Come si poteva cominciare questa pagina senza di lui? Senza il più importante musicista di Catania? Il Cigno! 

VINCENZO BELLINI

Vincenzo Salvatore Carmelo Francesco Bellini (Catania, 3 novembre 1801 - Puteaux, 23 settembre 1835) è un compositore italiano, tra i più celebri operisti dell'Ottocento.

Le sue opere più famose e rappresentate sono La sonnambula, Norma e I puritani.

Studiò musica prima a Catania, sua città natale, poi a partire dal 1819, grazie ad una borsa di studio offerta dal comune di Catania, si trasferì a Napoli per perfezionarsi al Conservatorio. Qui tra i suoi maestri ebbe Nicola Antonio Zingarelli, che lo indirizzò verso lo studio dei classici e il gusto per la melodia piana ed espressiva, senza artifici e abbellimenti, secondo i dettami della scuola napoletana. Tra i banchi del conservatorio conobbe il calabrese Francesco Florimo, la cui fedele amicizia lo accompagnerà per tutta la vita e dopo la morte, allorché Florimo diventerà bibliotecario del conservatorio di Napoli e sarà tra i primi biografi dell'amico prematuramente scomparso.

In questo periodo Bellini compose musica sacra, alcune sinfonie d'opera e alcune arie per voce e orchestra, tra cui la celebre Dolente immagine, oggi nota solo nelle successive rielaborazioni per voce e pianoforte.

Nel 1825 presentò al teatrino del conservatorio la sua prima opera, Adelson e Salvini, come lavoro finale del corso di composizione. L'anno dopo colse il primo grande successo con Bianca e Fernando, andata in scena al Teatro San Carlo di Napoli col titolo ritoccato in Bianca e Gernando per non mancare di rispetto al principe Ferdinando di Borbone.

La tomba di Bellini nel Duomo di Catania. L'anno seguente il celebre Domenico Barbaja commissionò a Bellini un'opera da rappresentare al Teatro alla Scala di Milano. Partendo da Napoli, il giovane compositore lasciò alle spalle l'infelice passione per Maddalena Fumaroli, la ragazza che non aveva potuto sposare per l'opposizione del padre di lei, contrario al matrimonio con un musicista.

Sia Il pirata (1827) che La straniera (1829) ottenero alla Scala un clamoroso successo: la stampa milanese riconosceva in Bellini l'unico operista italiano in grado di contrapporre a Gioachino Rossini uno stile personale, basato su una maggiore aderenza della musica al dramma e sul primato del canto espressivo rispetto al canto fiorito.

Meno fortuna ebbe nel 1829 Zaira, rappresentata a Parma. Lo stile di Bellini mal si adattava ai gusti del pubblico di provincia, più tradizionalista. Delle cinque opere successive, le più riuscite sono non a caso quelle scritte per il pubblico di Milano (La sonnambula, e Norma, entrambe andate in scena nel 1831) e Parigi (I puritani - 1835). In questo periodo compose anche due opere per il Teatro La Fenice di Venezia: I Capuleti e i Montecchi (1830), per i quali adattò parte della musica scritta per Zaira, e la sfortunata Beatrice di Tenda (1833).

La svolta decisiva nella carriera e nell'arte del musicista catanese coincise con la sua partenza dall'Italia alla volta di Parigi. Qui Bellini entrò in contatto con alcuni dei più grandi compositori d'Europa, tra cui Frédéric Chopin, e il suo linguaggio musicale si arricchì di colori e soluzioni nuove, pur conservando intatta l'ispirazione melodica di sempre. Oltre ai Puritani, scritti in italiano per il Théâtre-Italien, a Parigi Bellini compose numerose romanze da camera di grande interesse, alcune delle quali in francese, dimostrandosi pronto a comporre un'opera in francese per il Teatro dell'Opéra di Parigi. Ma la sua carriera e la sua vita furono stroncate a meno di 34 anni da un'infezione intestinale probabilmente contratta all'inizio del 1830.  

Bellini fu sepolto nel cimitero Père Lachaise, dove rimase per oltre 40 anni, vicino a Chopin e a Cherubini. Nel 1876 la salma fu traslata nel Duomo di Catania.

Dotato di una prodigiosa vena melodica, Bellini dedicò la sua breve vita alla composizione. Il suo talento nel cesellare melodie della più limpida bellezza, conserva ancora oggi un'aura di magia, mentre la sua personalità artistica si lascia difficilmente inquadrare entro le categorie storiografiche. Legato ad una concezione musicale antica, basata sul primato del canto, sia esso vocale o strumentale, il siciliano Bellini portò prima a Milano e poi a Parigi un'eco di quella cultura mediterranea che l'Europa romantica aveva idealizzato nel mito della classicità. Il giovane Wagner ne fu tanto abbagliato da ambientare proprio in Sicilia la sua seconda opera, Il divieto d'amare, additando la chiarezza del canto belliniano a modello per gli operisti tedeschi e tentando di seguirlo a sua volta.

 In anni recenti, la musica di Bellini ha attirato l'attenzione di compositori d'avanguardia come Bruno Maderna e, soprattutto, Luigi Nono, che l'hanno riletta al di fuori delle categorie operistiche, concentrando l'attenzione su una particolare concezione del suono, della voce e dei silenzi le cui radici affonderebbero nella musica della Grecia antica e dell'area del Mar Mediterraneo anziché nella moderna tradizione musicale europea.

 

Opere: Adelson e Salvini (febbraio 1825 Teatrino del Conservatorio di San Sebastiano, Napoli - in 3 atti)

2a versione: modificata a più riprese ma allestita solo il 23 settembre 1992 al Teatro Bellini di Catania (in 2 atti)

Bianca e Gernando (30 maggio 1826 Teatro San Carlo, Napoli)

2a versione: Bianca e Fernando (7 aprile 1828 Teatro Carlo Felice, Genova)

Il pirata (27 ottobre 1827 Teatro alla Scala, Milano)

La straniera (14 febbraio 1829 Teatro alla Scala, Milano)

Zaira (16 maggio 1829 Teatro Ducale, Parma)

I Capuleti e i Montecchi (11 marzo 1830 Teatro La Fenice, Venezia)

La sonnambula (6 marzo 1831 Teatro Carcano, Milano)

Norma (26 dicembre 1831 Teatro alla Scala, Milano)

Beatrice di Tenda (16 marzo 1833 Teatro La Fenice, Venezia)

I puritani (24 gennaio 1835 Théâtre Italien, Parigi)

 

LA MORTE BURRASCOSA DI UN CIGNO "FIMMINARU".

Fu chiamato "IL CIGNO" per l'eleganza e la delicatezza del suo stile musicale, evidente nelle sue romanze e nelle opere, il cui pathos malinconico e sentimentale ha sempre intenerito chiunque ne ascoltasse qualche brano.
La sua bellezza fisica, i suoi amori e la sua inaspettata quanto prematura morte hanno incuriosito e stimolato la fantasia di scrittori, poeti e cineasti, anche perché la sua fine, che fu tremenda, solitaria, fulminea e sofferta, per molto tempo ha portato in sé anche un certo mistero che ancora non è del tutto risolto.
Bellini fu un musicista di fama internazionale, egli resta ancor oggi un raro esempio di sensibilità musicale, capace di grande espressione drammatica unita ad una poesia di estremo fascino e dolcezza romantica; egli fu, con Donizetti e Rossini, uno dei tre grandi operisti italiani del primo Ottocento, le sue melodie divennero subito popolari e si guadagnarono l'ammirazione di Chopin e di altri artisti contemporanei.
La musica di Bellini è un singolare connubio tra classicità e romanticismo. Certamente classica fu la sua formazione, ed in più egli aveva in sé anche una particolare tendenza verso i valori poetici dell'armonia e compostezza che tanto erano decantate dai classici, ma assolutamente romantico era lo spirito delle sue composizioni, dove le passioni ed i sentimenti assumono il primo posto nelle vicende rappresentate.
Il punto di raccordo fra i due stili è la melodia, che senza venir meno alla classica sobrietà ed eleganza, sa creare atmosfere sognanti, sensuali e notturne, in linea perfetta con il gusto del romanticismo.
La vita di Bellini si spostò presto dalla sua piccola provincia - Catania - a Napoli (dove studiò) e poi a Londra ed a Parigi, dove incontrò cantanti famosi, poeti, intellettuali e musicisti con i quali strinse grandi amicizie. Soprattutto nella capitale francese furono in tanti a conoscerlo ed apprezzarlo, ma in molti anche ad invidiarlo, viste le festose accoglienze che sempre riceveva; egli era addirittura conteso dai circoli culturali o politici e dai salotti aristocratici più in vista del momento, ma era soprattutto il mondo artistico che ruotava intorno a lui.
Musicisti come Rossini, Chopin, Liszt, Cherubini, gli scrittori Alessandro Dumas e Victor Hugo erano spesso insieme a lui, egli frequentava i salotti più importanti ed i teatri come fossero la sua casa, tanto che scrisse "le serate, i balli, i pranzi mi hanno fatto guadagnare una specie di mal di testa", ma non c'era alcuno snobismo in queste parole, egli stesso si stupiva della meraviglia che suscitava la sua musica; Bellini era un giovane musicista proveniente da una piccola provincia, dove tutto era semplice e naturale, e quel grande sfarzo non gli era certo familiare.
Nel 1833 Bellini era a Parigi, nel salotto aristocratico della principessa di Belgioioso Cristina Trivulzio, e lì incontrò il bizzarro poeta tedesco Heinrich Heine, il quale, osservando quel giovane dall'aspetto gradevole e bene educato che proveniva dal profondo sud dell'Italia, che si faceva così benvolere e che si muoveva "con garbo e con civetteria, sempre elegante fino all'affettazione", fu preso da un moto d'invidia, e, sottolineando la sua antipatia, gli predisse che sarebbe morto giovane.
Al bel catanese mancavano in effetti ancora solo due anni di vita, ma in quel momento nulla lo lasciava prevedere, anzi, egli appariva in forma ed era come sempre al centro dell'interesse dei suoi ospiti, era "adulato dalle più belle donne di Parigi" ed in più stava per completare la sua decima opera - "I Puritani" - concludendo l'accordo per la sua rappresentazione al Teatro degli Italiani, ed in quell'occasione le parole di Heine - piuttosto sgradevoli e malevole - furono accolte con una certa incredulità, un sospiro di sopportazione e nulla di più.
Ma l'anno seguente Bellini iniziò ad essere tormentato da una strana malattia viscerale che nessun medico riusciva a curare, e con questo problema di salute egli trascorse più di un anno, tutto il tempo della composizione dei "Puritani". Essa fu rappresentata a Parigi nel Gennaio del 1835, con grandi interpreti ed un gran successo di pubblico e di critica; sui giornali del tempo leggiamo articoli di grande ammirazione e la cronaca riporta quella serata sottolineando che "tutte le donne sventolavano i fazzoletti e tutti gli uomini agitavano in aria i loro cappelli". Il musicista fu assolutamente felice di questo grande successo, naturalmente, e decise di prendersi un periodo di riposo, visto che quel lavoro gli era costato tanta fatica.
Alcuni suoi amici, la famiglia Lewis - o Levys - gli offrirono ospitalità nella loro villa di Puteaux, appena fuori Parigi, un'amena residenza immersa nel verde, elegante ed ospitale, che si presentava come il luogo ideale per una tregua dall'incessante lavoro cui il musicista era stato sottoposto, ma proprio allora iniziarono i problemi più gravi.
Bellini passò a Puteaux tutta l'estate del 1835, la casa era piuttosto isolata e la famiglia che ospitava il musicista non permetteva a nessuno di avvicinarlo, con il pretesto che dovesse riposare. Bellini annullò tutti i suoi impegni e disertò per un po' la vita di società, forse per un eccesso di zelo o perché davvero si sentiva stanco, ma iniziò presto a sentirsi solo ed anche un po' triste. Ancora egli accusava "una febbre infiammatoria gastrica biliosa", come egli stesso definì il suo malessere, e che inizialmente fu preso davvero come un segno di affaticamento, ma che certo non lo era visto che peggiorava con il passar del tempo; egli si trovava quindi in una condizione debilitante che però non presagiva affatto una fine così imminente e dolorosa.
Invece l'irrimediabile accadde in un attimo. Alla fine dell'estate Bellini avrebbe dovuto recarsi a Parigi per una nuova rappresentazione dei "Puritani" ma non poté muoversi a causa di una "leggera indisposizione" (come egli stesso scrisse), che però tale non era, visto che fu l'inizio del fulminante male che in meno di venti giorni lo avrebbe ucciso.
Dopo qualche giorno da questa lettera, il 23 Settembre, Samuele Lewis e sua moglie partirono improvvisamente per ignota destinazione, lasciando il loro giovane e celebre amico solo e sofferente, il quale, abbandonato a sé stesso e con la sola compagnia di un giardiniere, si spense un'ora dopo, a soli 34 anni, in preda a tremende convulsioni.
Perché era rimasto solo? Non s'è mai saputo. Il giardiniere, attonito ed addolorato per l'accaduto, riferì che il malato era disteso, pallido e sudato, freddo e tremante prima della morte e con un'espressione di gran dolore negli occhi, ma nulla era in grado di salvarlo, e l'uomo poté solo inginocchiarsi ai piedi di quel letto e pregare. L'assenza dei padroni di casa proprio quella sera parve fortemente sospetta, ed indusse a congetturare che Bellini fosse stato avvelenato dai suoi ospiti. In seguito a ciò il re ordinò l'autopsia del cadavere, ma il risultato fu negativo.
Questa morte così misteriosa fu oggetto di tante storie e congetture di ogni tipo, e certo che le circostanze strane in cui essa avvenne le avallarono tutte. Si vociferarono addirittura vicende di natura esoterica e fantasiosa, come l'avverarsi della iattura enunciata da parte di quel poeta invidioso, oppure quella che vede la signora Lewis come un'amante segreta del musicista, e che quindi il delitto fosse nato nella mente del marito offuscata dalla tremenda gelosia, ma anche questa diceria non portò da nessuna parte.
Ma le chiacchiere non si fermarono così presto, ed i Lewis furono al centro del pettegolezzo più avverso, al punto che furono definiti "gente che lascia di sé una curiosità sospettosa ed insoddisfatta, quanto più si mostra facile alle amicizie, si sbraccia, invita, accoglie e facilmente abbandona gli ospiti e gli amici.
Gente che predilige le compagnie varie, le persone del giorno; capricci, simpatie da villeggiatura che svaniscono con l'autunno. Poi, chi s'è visto s'è visto, te lo lasciano morire senza un soccorso…".

 

Vincenzo Bellini fu dapprima sepolto a Parigi, ma nel 1876 la sua salma fu traslata a Catania, dove riposa nella Cattedrale. Gabriele D'Annunzio dedicò a questo splendido e delicato musicista romantico dei versi poetici, e laddove egli si trova oggi si legge un'epigrafe dettata da Mario Rapisarda che dice: "Questa basilica, ove giacciono dimenticate le ossa di tanti re, diverrà famosa per la tomba di Vincenzo Bellini".
Ma le domande sulla natura di questo male incurabile e violento che finì il "cigno della musica" nel fiore degli anni e nel momento del suo più grande successo, hanno nel tempo trovato una risposta: si trattò di colera. Questa verità certamente affranca la famiglia Lewis da ogni sospetto di avvelenamento o storie simili - anche perché non vi fu mai alcuna prova in proposito - ma rimane sempre la domanda del perché il giovane Vincenzo fu lasciato da solo nel momento più terribile della sua malattia, probabilmente essi non si avvidero della sua gravità e così non gli diedero la giusta importanza.
L'ipotesi che la malattia che finì il giovane Bellini fosse proprio il colera trova conferma nei tanti sintomi da lui stesso descritti in proposito, ed ancor di più nel fatto che un'epidemia di questa malattia colpì l'Europa nel 1832, quando i rimedi erano assolutamente sconosciuti, dato che la scoperta del vibrione che ne è la causa risale a molti anni dopo.

 

 

 

Il "bacillo virgola" che causa tale malattia fu scoperto infatti da Robert Koch solo nel 1883, mentre prima di allora il male era sconosciuto e, soprattutto, mortale.
Nell'uomo il colera inizia generalmente con dolori intestinali ed una diarrea banale, le cui scariche però diventano progressivamente più numerose (fino a quindici o venti al giorno), accompagnate da vomiti biliari. Il polso diviene debolissimo, la sete è sempre più intensa per via della forte disidratazione e la temperatura corporea si abbassa fino ai 32 gradi, ed è questo un chiaro sintomo dell'infezione colerica.
Successivamente si hanno dei crampi ai polpacci, la pelle diventa cianotica, gli occhi si incavano dando al malato un'aria di estrema sofferenza, poi la superficie corporea viene ricoperta da una secrezione sudorale vischiosa e l'ammalato, giunto a questo stadio, muore rapidamente. Nei casi detti di colera fulminante, tutti i sintomi compaiono contemporaneamente, ma la diarrea è generalmente terminale.
Marina Pinto

 

 

 

 

 

 

 

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Vitti 'na crozza

di Franco Li Causi

 

 

 

Vitti 'na crozza supra nu cannuni,

fui curiusu e ci vosi spiari.

Idda m'arrispunniu "Cu gran duluri,

muriri senza toccu di campani".

 

Sinn' eru, sinni eru li me anni,

sinn' eru, sinni eru e 'un sacciu unni.

Ora 'ca su' arrivati a ottant'anni,

u' vivu chiama e u' mortu 'un arrispunni.

 

Cunzatemi, cunzatemi stu' lettu,

cca di li vermi su' manciatu tuttu.

Si nun lu scuntu 'cca' lu me piccatu,

lu scuntu a chidda vita, a sangu ruttu.

 

Idda m'arrispunniu "Cu gran duluri,

muriri senza toccu di campani!"

 

 

 

Vidi un teschio

di Franco Li Causi

 

 

 

Vidi un teschio sopra una torre,

fui curioso e volli sapere.

Esso mi rispose "Che gran dolore,

morire senza rintocco di campane".

 

Se ne andarono, se ne andarono i miei anni.

Se ne andarono, se ne andarono, non so dove.

Ora che sono arrivato a ottant'anni,

il vivo chiama e il morto non risponde.

 

Preparatemi, preparatemi questo letto

che dai vermi sono mangiato tutto.

Se non lo sconto qua il mio peccato,

lo sconterò in quella vita, a sangue rotto.

 

Esso mi rispose "Che gran dolore,

morire senza rintocco di campane!".

 

 

nota di Francesco Raciti:

Caro Mimmo sono a curiosare sempre nel tuo infinito sito e leggo la canzone Vitti na crozza, a mio modestissimo parere, incompleta.

Quando ero a militare facevo parte della banda  musicale e anche dell'orchestra delle scuole truppe meccanizzate e corazzate  di Caserta e come me altri 70 elementi tra cui uno di questi faceva parte del gruppo musicale Fokloristico i Peloritani. Alcune notti, per essere ascoltati e poi commentarle si canticchiavano le canzoni siciliane, vista la massiccia presenza in caserma da parte sicula.

Proprio questa canzone, ricordo benissimo (e indelebile) le frasi iniziali che purtroppo nessuno pronuncia nel cantarla e che sono sicurissimo nessuno conosce nella sua vera versione.

Affermo questo perche il signor Mazzeo, cantante del gruppo i Peloritani, la intonava con queste frasi iniziali dicendomi che queste sono le giuste parole e che anche suo Padre e suo Nonno cantavano.

 

Vitti 'na crozza

di Franco Li Causi

 

C'è nu giardinu ammenzu di lu mari

tuttu 'ntissutu d'aranci e ciuri,

tutti l'aceddi ci vannu a cantari,

puru li pisci ci fannu l'amuri.

 

Senti li trona di lu Mungibeddu

chi ghietta focu e fiammi di tutti i lati;

oh Bedda Matri, Matri addulurata,

sarva la vita mia e d' 'a mia amata.

 

Vitti na crozza supra nu cannuni,

fui curiusu e ci vosi spiari.

Idda m'arrispunniu cu gran duluri:

"Murivi senza toccu di campani".

 

Sinni eru, sinni eru li me anni

chiangennu sinni eru, cun gran duluri...

ca' si putissi ancora chiuù nun vurria,

cchiù nun vurria muriri chi pi amuri.

 

...Ah si putissi ancora, chiuù nun vurria,

cchiù nun vurria muriri chi pi amuri.

 

Vidi un teschio

di Franco Li Causi

  

C'è un giardino in mezzo al mare

tutto intessuto di aranci e fiori,

tutti gli uccelli ci vanno a cantare,

pure i pesci ci fanno l'amore.

 

Senti i tuoni del Mongibello

che butta fuoco e fiamme da tutti i lati;

oh Bella Madre, Madre addolorata,

salva la vita mia e della mia amata.

 

Vidi un teschio sopra ad una torre,

ero curioso e volli domandare.

Esso mi rispose con gran dolore:

"Morii senza il tocco delle campane".

 

Se non era, se non era per i miei anni

piangendo se non era, con gran dolore...

ché se potessi ancora più non vorrei,

più non vorrei morire che per amore.

 

Ah se potessi ancora, più non vorrei

più non vorrei morire che per amore.

 

 

 

 

Vitti ‘na crozza non è catanese. Nel film "Il cammino della speranza" di Pietro Germi questa canzone fu utilizzata come colonna sonora attribuendogli una generica potestà popolare. In realtà il motivo, riprodotto in migliaia di dischi e riproposto non si sa quante volte in televisione, alla radio, negli spettacoli popolari e in piazza, ha un autore. Si chiama Franco Li Causi, direttore di una piccola orchestra agrigentina e solista di chitarra. Questi racconta che nel 1950 il regista Pietro Germi gli chiese se, nel suo repertorio di canzoni siciliane, ci fosse un motivo "allegro-tragico-sentimentale" da inserire in un film sugli emigrati siciliani. Le composizioni del musicista però non piacquero al regista che, comunque, invitò il maestro sul set a Favara. In quell’occasione un anziano minatore, Giuseppe Cibardo Bisaccia, recitò al regista un brano poetico che conosceva a memoria e Germi chiese a Li Causi di musicare quei versi. Ma questa paternità non gli sarà riconosciuta nonostante il maestro agrigentino avesse inviato subito la composizione in deposito SIAE. Così molti sono stati i cantanti, i musicisti, le case discografiche che hanno utilizzato la musica di "Vitti 'na crozza" o appropriandosene tout court o attribuendola ad un'equivoca tradizione popolare. L'autore di uno dei più popolari motivi siciliani, dunque, è stato per tanti anni un artista indifeso, che ha strenuamente combattuto per far valere i suoi diritti di unico ed indiscutibile autore della musica, avendo come unici alleati i suoi concittadini che hanno testimoniato a suo favore affinché gli fossero riconosciuti tutti i diritti morali ed economici.

Nel film Vitti ’na crozza unisce dunque, in un reciproco scambio di significati, il titolo del film e le scene in cui a prevalere è la fiducia nel futuro: la canzone diventa così la musica del cammino della speranza.

 

ECCO L'AUTENTICO INNO DI CATANIA:

E vui durmiti ancora

parole di Giovanni Formisano - Musica di Emanuel Calì (entrambi catanesi)

Si dice che fosse il 1916. Sul fronte della Carnia si fronteggiavano gli austriaci e due reggimenti formati da catanesi. Si sparavano e si ammazzavano. Una sera, splendendo la luna, uno dei nostri prese la sua chitarra e cantò. E mentre cantava, gli spari cessarono. E quando finì di cantare, gli austriaci applaudirono.

 

E VUI DURMITI ANCORA

Lu suli è già spuntatu di lu mari

E vui bidduzza mia durmiti ancora

L'aceddi sunnu stanchi di cantari

Affriddateddi aspettanu ccà fora

Supra ssu barcuneddu su pusati

E aspettanu quann'è ca v'affacciati

Lassati stari nun durmiti cchiui

Ca 'nzemi a iddi dintra sta vanedda

Ci sugnu puru iu c'aspettu a vui

Ppi viriri ssa facci accussì bedda

Passu cca fora tutti li nuttati

E aspettu sulu quannu v'affacciati

Li ciuri senza i vui nun vonnu stari

Su tutti ccu li testi a pinnuluni

Ognunu d'iddi nun voli sbucciari

Se prima nun si rapi ssu barconi

Intra li buttuneddi su ammucchiati

E aspettanu quann'è ca v'affacciati

Lassati stari nun durmiti cchiui

Ca 'nzemi a iddi dintra sta vanedda

Ci sugnu puru iu c'aspettu a vui

Ppi viriri ssa facci accussì bedda

Passu cca fora tutti li nuttati

E aspettu sulu quannu v'affacciati

 

E voi dormite ancora

Già dal mare s'è levato il sole

E voi dormite ancora, piccola e bella

Gli uccelli sono stanchi di cantare

Infreddoliti, aspettano qui fuori

Su quel balconcino si son posati

E aspettano che voi vi affacciate

Basta, non dormite più

Perché insieme a loro, in questa straduccia

Ci sono anch'io ad aspettare voi

Per vedere questo viso così bello

Passo qui fuori tutte le mie notti

E aspetto solo che voi vi affacciate

I fiori non vogliono stare senza di voi

Tengono tutti il loro capo chino

Non ce n'è uno che voglia sbocciare

Se prima non si apre quel balcone

Sono nascosti fra i boccioli

E aspettano che voi vi affacciate

Basta, non dormite più

Perché insieme a loro, in questa straduccia

Ci sono anch'io ad aspettare voi

Per vedere questo viso così bello

Passo qui fuori tutte le mie notti

E aspetto solo che voi vi affacciate

 

 

cantata dal Maestro Alfio Marletta

 

La Canzone Catanese tra Ottocento e Novecento
( Prof. Salvatore Enrico Failla - Associato di Storia della Musica all'Università di Catania)

Stabilire quali siano i contorni più significativi di Catania sul piano culturale, fra i molti che hanno avuto vita e che si possono individuare, è impresa certamente non facile sostanzialmente per due ordini di motivi: da una parte, ed è l'aspetto positivo, la varietà e la pienezza dei contenuti relativi alle molteplici condizioni che il centro etneo ha attraversato con alterne vicende nel corso della sua storia; dall'altra, in posizione negativa, la modesta conoscenza del passato anche recente delle nuove generazioni di Catanesi, che impedisce una ricognizione persuasiva, e quindi didatticamente valida, dei trascorsi lontani e vicini di una città che è oggi considerata, in un'ottica ormai drammaticamente generalizzata che purtroppo e sempre più spesso è quella adottata anche dalla popolazione indigena, solo il cattivo prodotto di una degenerazione costante e inarrestabile. Che quanto sopra sia la realtà o soltanto il delirio interessato di mass media lanciati alla conquista sfrenata di spazi sempre più eloquenti nel descrivere i degradi piuttosto che le conquiste culturali delle città meridionali poco importa, ciò che vale, come argomento di discussione, è la conseguente difficoltà creatasi nel tentativo di articolare proposizioni che, rapportandosi al passato, siano in grado di dare di Catania immagini positivamente costruttive, di esprimerla in progresso sulla base di riferimenti storici, di renderla, in definitiva, esempio per se stessa. La premessa, sebbene inflazionata da migliaia di propositi di ogni genere sempre più lontani dalla realizzazione, appare tuttavia allettante e probabilmente ancora degna di considerazione.
Ma cosè esattamente la canzone catanese? Quando, cioè, una canzone si può definire catanese? Sarebbe legittimo, ad esempio, per porre in essere questa disamina, procedere per diminutiones conseguenziali, stabilire, in altri termini, cosa sia la canzone italiana e poi intercettare le canzoni trentine, lombarde, campane, calabresi, siciliane ... e, fra quelle siciliane, definire le canzoni palermitane, messinesi, catanesi ... ? Un'impresa di questo genere, fatto salvo un elevato tasso di impraticabilità, potrebbe forse avere cittadinanza in questa come in altra sede ma è certo che per quello che ci si prefigge hic et nunc sarebbe pretenziosa; meglio procedere per confronti meno soddisfacenti sul piano della completezza scientifica ma decisamente più efficaci per via della loro sperimentata strumentalità ed assumere come punto di riferimento la canzone italiana per antonomasia: la canzone napoletana.
Sostanzialmente diversa da quella napoletana, la canzone siciliana ne riproduce tuttavia alcuni caratteri senza per questo confondersi con quella e senza assumere le connotazioni del sottoprodotto. Una considerazione può meglio chiarire quanto possa diventare facile, in casi molto particolari, traslitterare il linguaggio musicale etneo in quello partenopeo: Vincenzo Bellini, inizialmente e principalmente caricatosi di melodie popolari di Catania e dintorni, non ebbe nessuna difficoltà ad inserirsi nel filone dei napoletanesimo quando questo, per giunta, rappresentava in tutta l'Europa l'intera Penisola musicale. E, a tal proposito, va detto che la popolarità e la diffusione della musica napoletana non è paragonabile, sia pure alla lontana, con la modestissima notorietà del canto catanese che, nella maggior parte dei casi, non riesce a superare i confini del proprio territorio (fanno eccezione le poche melodie distribuite in versioni storpiate ai turisti di turno e, per questo, divenute maldestri e svianti santini della nostra cultura) e spesso, come si diceva prima, è ignoto agli abitanti dei suoi luoghi d'origine. E' già questa una prima fondamentale differenza: se le due maniere fossero indistinguibili (solo raramente possono esserlo, come è avvenuto nella mirabile fusione operata dalla penna di Bellini) sarebbero parimenti popolari. Nei fatti, al di là di tutte le dissertazioni, dei ricorsi agli avvenimenti storici, che potrebbero far venire in mente rapporti, più o meno stretti, fra le espressioni musicali della Sicilia e della Campania, ed eventi come il reame e il vicereame, la canzone siciliana ha come nobili ed illustri prodromi quelli relativi al mondo classico, ai modi della Grecia antica, arricchiti da influenze provenienti dagli Arabi, dai Normanni, dagli Spagnoli... e anche qui non si possono certo negare profonde concordanze con la genesi del canto napoletano che, tuttavia, non possono costituire pregiudizio sostanziale al fine di distinguere stilisticamente i due prodotti.
Le canzonette catanesi, dalle mirabili favole d'amore di Francesco Paolo Frontini alle deliziose "sciocchezze" a plettro di Giovanni Gioviale, hanno caratteri specifici: la preponderanza del modo minore, retaggio temperato delle armonie dorie, il trocaico andamento ternario di lunga e di breve, il sovrabbondante cromatismo che a volte spinge la sensibilità dell'interprete su posizioni microintervallari tipiche della lettura enarmonica del tetracordo. Come dire che la canzone catanese d'autore, quella dell'800 e del primo '900, è il vero e proprio avamposto moderno, forse l'unico, della cultura musicale dell'antica Grecia (si può sostenere, infatti, che, dopo la stagione liberty, misurata sulla modalità classica, un lento ma efficace processo di degenerazione ha tolto inesorabilmente alla melodia catanese le sue più specifiche peculiarità finendo con l'uniformarne e con l'appiattirne i percorsi sugli schemi delle mode di passaggio con qualche ingenuo tributo pagato a vaghe malinconie o ad inconsistenti contenuti letterari di sapore civitoto). Di più, però, hanno fatto, i compositori di canzoni catanesi delle epoche citate, almeno quelli attenti ai tipici tragitti cantabili dei carrettieri, dei contadini, dei carcerati e, perchè no, di Bellini, di Pacini, di Coppola.Francesco Paolo Frontini (Catania, 1860 - ivi, 1939), soprattutto, certo il più tecnicamente istruito dei sette musicisti convocati, sembra aver colto nel segno, almeno per quanto attiene al tentativo di creare una sorta di compromesso simbiotico fra la cultura musicale culta o apparentemente tale e quella popolare del suo tempo. Aveva studiato a Palermo con Pietro Platania e Giuseppe Pitrè (materie letterarie) e a Napoli con Lauro Rossi, ricevendo dal primo una buona impostazione contrappuntistica, dal secondo l'amore per l'arte popolare e dal terzo una salda mentalità operistica. il rapporto contrappunto-melodramma è sempre stato di notevole importanza soprattutto nel tempo in cui visse ed operò Frontini (autore, fra l'altro, di alcune valide opere liriche, nonchè di lavori vocali e strumentali di un certo impegno), ne, d'altronde, si possono ignorare i punti di contatto fra melodramma e canto popolare, specie in quelle aree culturali in cui i repertori tradizionali riescono a conquistare spazi precedentemente controllati quasi del tutto dalla più rigorosa ed ufficializzata intellighenzia musicale. Il contrappunto, di contro, sembrerebbe lontano dall'arte tradizionale ma si tratta di mero abbaglio. A parte i numerosi esempi di polifonia popolare, nei casi in cui la melodia popolare o di carattere popolare è composta, adattata, rimaneggiata e sostenuta da un accompagnamento strumentale - ed è questa l'operazione condotta da Frontini - la conoscenza del contrappunto riesce provvidenziale e talvolta persino insostituibile. Frontini, dunque, aveva le carte in regola pe r accostarsi alla composizione del canto popolare accompagnato? Certamente sì da un punto di vista tecnico. Ma, poichè questa affermazione contrasta nettamente con le connotazioni fondamentali del canto popolare, bisogna affermare che Frontini fu un compositore e non un coinpositore di musica popolare, che, mantenendo l'accezione del termine compositore imposta dalla cultura egemone, non è mai esistito né ha senso pensare che possa esistere. Sospendendo giudizio di valore sulle sue canzoni, gli si possono riconoscere un demerito ed un merito: un carente rispetto per la genuinità de prodotto tradizionale, sebbene attenuato dal fatto che, comunque, una ricerca sul campo precede il vero e proprio lavoro compositivo (demerito, questo attribuibile, per certi versi, anche ad Alberto Favara, in quanto anche lui noi. riuscii ad evitare l'armonizzazione di alcuni canti e persino a Goffredo Petrassi che, assieme a Giorgio Nataletti, nel 1930 ha armonizzato alcuni canti laziali.
Canzuna di li carritteri, ricchi di accentuazioni inusitate ed imprevedibili, come se volessero imitare, pur nella costanza del tempo dell'impianto, le "squadrate" libertà dei cantori. Si potrebbe, tuttavia, spezzare una lancia in favore della "biasimevole" pratica frontiniana e non solo frontiniana di armonizzare il canto proprio, quello popolare o quello spacciato per tale: era costume diffusissimo, infatti, fra Ottocento e Novecento, vestire musica di qualsiasi genere con fogge utilizzabili durante gli intrattenimenti familiari e non e, dunque, Frontini e i suoi colleghi altro non fecero, in questo senso, se non uniformarsi a tale criterio, per altro utilissimo per la diffusione della musica in tempi privi di mezzi elettronici di riproduzione. D'altronde è destino della canzone di tutti i tempi quello di dover subire l'arrangiamento a seconda delle esigenze e delle circostanze.
Ma fra tutti è, a Catania e dintorni, Gaetano Emanuel Calì (Catania, 1885 -Siracusa, 1936), autore di quella romanza che è da molti considerata l'inno della sicilianità lirica etnea, composto nel 1910: E vui durmiti ancora. Allievo di Frontini, Emanuel Calì, molto attivo sui podi catanesi, ha fondato, condotto e promosso il gruppo folcloristico i canterini etnei, che ha continuato ad agire anche dopo la sua morte sotto la direzione della figlia Rita Corona, ed ha portato in giro per il mondo la voce della Sicilia. il testo di Giovanni Formisano (Catania, 1878 - ivi, 1962), un quadretto di vita amorosa siciliana d'altri tempi che racconta di un innamorato che aspetta paziente sotto il balcone dell'amata che costei vi si affacci, permette al musicista di fare appello a tutte le forze più spontanee e naturali di un melodiare accattivante a tratti appassionato, sfaccettato in diversi episodi, che ha facilmente conquistato vari strati della società catanese.
Altro compositore è Salvatore Riela (Catania, 1897 - ivi, 1981), amico di Frontini e diplomato al San Pietro a Majella, è l'autore della serenata siciliana Quantu ni patu (parole di Francesco Foti).
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https://www.mimmorapisarda.it/2024/287.jpgVorrei aggiungere qualcosa alla "accademica" e dotta esposizione del Prof. Failla, in particolare all'ultima canzone citata: Quantu ni patu.
L'inno musicale catanese è senza dubbio E vui durmiti ancora ma la canzone che ascoltate anche in sottofondo, secondo me non si può definire una semplice serenata siciliana ma una delle più belle canzoni d'amore mai scritte. La musica melodiosa di Salvatore Riela è accompagnata da parole che stillano amore da tutti i pori, scritto da Francesco Foti quand'era certamente ventenne, perché solo a vent'anni si possono scrivere certe cose. Non si discute.

E' una meravigliosa dichiarazione d'amore che il giovane dedica alla sua amata, ricordandole sotto il balcone di tutti gli affanni che patisce per incontrarla,. Di cosa è capace di fare per guardarla ancora una volta, come la sera prima, glielo racconta:  nonostante la tempesta, i vestiti inzuppati e la ruota del carretto andata, tanta è la gioia di vederla che intorno a lui vede splendere il sole. Quando le è davanti, in quel tratto di strada non sente più pioggia, gelo o vento. Non gli fanno più niente, è immune alle intemperie perchè possiede il più efficace degli antibiotici.

 

QUANNU NI PATU

 

Oh quantu longa mi pari 'sta strata,

Quantu ni patu p'attruvari a tia!

E lu cavaddu si ferma di 'cchianata,

La rota pigghia scaffi e nun furria.

Partu ccu' lu bon tempu, a matinata;

Lu suli mi faceva cumpagnia....

Poi vinni la timpesta,

Timpesta a l'impinsata

E lu cavaddu persi la varia.

Ma si t'affacci di la barcunata

Quannu la vuci di l'amuri senti,

Torna lu suli 'ntra la me' iurnata

E scordu tutti li me' patimenti.

Rosa di maju frisca, spampinata,

Sbucciata sula a lu me' cori ardenti...

Ppri mia lu ventu e l'acqua,

L'acqua e la jlata,

Quannu passu di cca nun su' cchiù nenti!

 

 

QUANTE NE PATISCO

 

Oh quanto lunga mi sembra questa strada,

quanto soffro per venirti a trovare!

Il cavallo si ferma nella salita,

la ruota s’inceppa per le buche e non gira.

Parto col buon tempo, di buon mattino,

il sole mi faceva compagnia...

poi arrivò la tempesta,

tempesta improvvisa,

e il cavallo perse la baldanza.

Ma se ti affacci al tuo balcone,

quando la voce dell'amore senti,

torna il sole nella mia giornata

e scordo tutti i miei patimenti.

Rosa di maggio fresca e radiosa,

sbocciata al solo calore del mio cuore...

Per me, il vento e l'acqua,

l'acqua e la gelata,

quando passo di qua non sono più niente.

 

 

 

 

NON LU SAPITI (Non lo sapete)

Musica: Luciano Maglia, Parole: Vincenzo Esposito.

 

Non lu sapiti l'amuri ca v'haiu

e non sapiti quantu vi disiu

non lu sapiti comu chiangiu e staiu

quann'è ca ppi mumentu non vi viu

 

Dintra di l'arma mia na vampa cci haiu

e lu me cori è vostru e non lu miu

si moru 'n paradisu non ci vaiu

pirchì p'amari a vui non pensu a Diu

 

E vui sapennu st'amuri e sti peni

mi lassati muriri comu 'ncani

ma oggi siddu cc'è cu vi tratteni

speru di cunvincirivi dumani

 

Cchiù non m'amati e cchiù vi vogghiu beni

chiù passa e chiù vi mannu cristiani

non mi lassati amuri 'ntra sti peni

pirchì siti ppi mia l'acqua e lu pani

 

 

 

NON LO SATETE

 

Non lo sapete l'amore che ho per voi

e non sapete quanto vi desidero

non lo sapete come piango e sto

quando per un momento non vi vedo

 

Dentro l'anima mia un fuoco ho

e il mio cuore è vostro e non mio.

Se muoio in Paradiso non ci vado,

perchè per amare Voi non penso a Dio

 

E Voi conoscendo il mio amore e le mie pene

mi lasciate morire come un cane

ma se oggi c'è chi vi trattiene

spero di convincervi domani

 

Più non mi amate e più vi voglio bene,

più passa tempo e più vi mando messaggeri

non mi lasciate amore fra queste pene

perchè siete per me l'acqua e il pane.

 

 

 

La canzone è stata composta per il finale della "Lupa" di G. Verga, un famosissimo e intenso lavoro teatrale, ed è la gna Pina a cantarla a Nanni prima di morire. E' dunque un canto (uno dei pochissimi) al femminile.

Bellissima dichiarazione d’amore che la suocera dedica al genero, dimostrandogli la sofferenza che prova per una passione non corrisposta. Fa di tutto per conquistarlo, al punto da inviarlgli ambasciatori (i cosiddetti “cristiani”, come noi chiamiamo la gente, gli altri) nell’opera di convincimento.

Stupenda la strofa "Se muoio, in Paradiso non posso andarci perchè nei miei pensieri sei più importante di Dio". Infine, notare l’immensa deferenza che un siciliano (donna o uomo che sia, ma vero siciliano!) aveva nei confronti della donna o dell'uomo, dando rispettosamente del Voi.

Quando soffriamo sotto a un balcone e con la chitarra in mano, in Sicilia diventiamo irresistibili. Per amore potremmo fare di tutto.

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Gnà Pina, la protagonista della novella, viene chiamata dai suoi concittadini “La lupa”. È una donna aImmagine correlatalta, magra, con una fisicità molto sensuale nonostante non sia più giovanissima. La figura della lupa desta un misto di invidia e paura nelle altre donne del paese le quali, quando la vedono camminare da sola, come un cane randagio, arrivano a farsi il segno della croce. Gnà Pina è quindi una donna esclusa dalla società per colpa probabilmente proprio del suo atteggiamento conturbante e a tratti diabolico. Nonostante questo, La Lupa ha una figlia, Maricchia, una dolce e bella ragazza rassegnata a rimanere sola a causa della nomea e del comportamento della madre.

Un giorno La Lupa si imbatte in un giovane appena tornato dal servizio militare, Nanni. Il ragazzo lavora come bracciante nei campi vicino alla sua abitazione e, in realtà, è innamorato della figlia della Lupa, Maricchia. Gnà Pina, follemente innamorata del giovane, decide di dargli in sposa la figlia con l’unico scopo di avere Nanni in casa, il più vicino possibile a lei, per poterlo sedurre. Il diabolico piano della Lupa si compie: Nanni sposa Maricchia e i due vanno a vivere proprio in casa di gnà Pina. In un primo momento, davanti ai tentativi di seduzione della madre nei confronti del marito, Maricchia tace, ma alla fine esasperata cerca di fermare la madre, intimandole di smettere di provare a corrompere Nanni.

La Lupa però è inarrestabile e continua a cercare di sedurre il marito della figlia. Maricchia a quel punto denuncia la madre alle forze dell’ordine chiedendo che gnà Pina venga allontanata da casa. Nanni, nel mentre, viene convocato dalla Polizia per giustificare i motivi del suo ripetuto adulterio nei confronti della moglie e davanti alle forze dell’ordine l’uomo si lascia andare alla sua totale disperazione non negando i tradimenti, ma limitandosi a piangere a strillare che la donna era la “tentazione dell’inferno” e che dovevano mettere lui in galera affinché non la vedesse mai più. Le forze dell’ordine così intimano alla Lupa di lasciare l’abitazione, ma la donna non se ne vuole andare. Ad un certo punto, però, Nanni viene ferito gravemente da un mulo e rischia di morire: il prete, tuttavia, non vuole dare al ragazzo l’estrema unzione se la Lupa è in casa e solo a quel punto gnà Pina decide di andarsene. Inizia un brevissimo periodo di serenità per Maricchia e Nanni, ma quando le condizioni del giovane sono migliorate, La Lupa torna a casa. Nanni disperato la implora di lasciarlo stare, di non perseguitarlo più, ma è tutto inutile. Nanni alla fine uccide la Lupa e questo gesto brutale ed estremo chiude, con altrettanta rapidità, la novella.

 

https://www.scuolazoo.com/info-studenti/copiare-a-scuola/riassunto-lupa-verga-personaggi-commento-analisi/

 

 

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Il Baritono Enrico Roggio

 

 

 

 

Francesco Paolo Frontini


(Catania, 6 agosto 1860 - Catania, 26 luglio 1939)
"Figlio della sua terra e profondo studioso
dell'anima musicale del suo popolo" - Francesco Pastura

Francesco Paolo Frontini, musicista e compositore siciliano. Del suo inizio diceva egli stesso che ad avviarlo allo studio della musica era stato suo padre, il cav. Martino (1827-1909), fondatore e direttore per trentasette anni della Banda civica di Catania, anzi, come la chiamavano allora, della Banda nazionale; diceva anche che aveva studiato violino col maestro Santi D'Amico e che a tredici anni aveva esordito in un concerto nel salone comunale. Un paio d'anni dopo aveva avuto in Cattedrale il battesimo come compositore, con un « Qui tollis » diretto dal maestro Pietro Antonio Coppola. Così si legge in un articolo di Saverio Fiducia in un giornale del 13 agosto 1960. A proposito di Fiducia, piace ricordare che Frontini compose la musica per il suo atto unico «Vicolo delle belle». Fiducia desiderava inserire il canto d'un cieco, ma il maestro non fu d'accordo. Disse che invece avrebbe fatto, come infatti fece, un «pezzo» affidandolo, anziché alla voce umana, al violino. Disse poi Fiducia che dall'oggi al domani «nacque la toccante sonata dell'orbo». Accanto a Fiducia non va dimenticato A. Russo Giusti, la cui commedia «U Spirdu», una delle più significative del teatro siciliano, fu musicata da Frontini e, recitata nel 1920 al Teatro Comunale Coppola, diretta dal maestro Gaetano Emanuel Calì, fu accolta con grande successo. Nel 1875 fu ammesso al Regio Conservatorio musicale di Palermo, dove ebbe maestro Pietro Platania, grande contrappuntista come il suo maestro Pietro Raimondi. In seguito passò al Conservatorio di Napoli in cui conseguì il diploma di compositore.

Distintosi fin da giovinetto con alcune composizioni, fra cui particolarmente apprezzata una «Messa funebre» in morte del maestro Coppola, nel 1881 si rivelò col melodramma in tre atti «Nella» rappresentato con vivo successo il 31 marzo nel Teatro Comunale di via Vecchio Bastione. Dal trionfo di «Nella», che dal giornale dell'epoca, «Il Plebiscito», fu giudicata «un tentativo, ma un tentativo di gigante», comincia l'ascesa del Frontini e tutte le sue opere successive: «Sansone» nel 1882, «Fatalità» nel 1890, «Malia» nel 1891, «Il Falconiere» nel 1899. Frontini fu tra i pochi musicisti, oltre a Giovanni Simone Mayr, ad essersi ispirati alla leggenda di Adelasia e Aleramo e, nel medesimo periodo, il poemetto lirico «Medio-Evo», gli fece meritare un "bravo" di tutto cuore da Massenet segnando come pietra miliare il suo cammino artistico. Amato ed apprezzato da personaggi come Victor Hugo, Émile Zola, Giovanni Verga, Federico De Roberto, Mario Rapisardi, Sciuti, Puccini, Cesareo. Particolarmente amici gli furono Massenet, (che si vantava di andare in estasi quando ascoltava musica di Frontini), e Luigi Capuana, la cui amicizia gli fruttò il libretto di «Malia», dal quale poi, caso più unico che raro, lo stesso anno del libretto (1891), nacque la commedia omonima in lingua, e poi, nel 1902, quella in dialetto malgrado il parere contrario di Verga, che non credeva in una «Malia» in siciliano, e che fu portata alle stelle da Giovanni Grasso e Mimì Aguglia. Prima di accingersi alla stesura dell'opera, Frontini fece leggere il libretto a Rapisardi e a Verga.

Il successo dell'opera, dopo Bologna, Milano e Torino, si rinnovò entusiasticamente al Teatro Nazionale di Catania, in piazza Cutelli, da anni scomparso. «A leggere l'opera anche oggi» - scriveva il maestro Pastura alla morte del Frontini («Popolo di Sicilia» 26 agosto 1939) - «un brivido di commozione ci avvince. Il dramma del Capuana trovò in Frontini un commentatore raffinato e preciso, un musicista che facendo musica seppe fare anche della psicologia. Jana, Nedda, Cola e Nino sono tratteggiati con profondo intuito e con una indagine psicologica che mette a nudo le loro anime inquiete, che precisa i caratteri, che ne riassume la tragedia». La «Lauda di suora» dal «Giobbe», (edizione Tropea, Catania, 1884) la musicò Frontini.

Frontini insegnò musica, contrappunto, all'Ospizio di Beneficenza, al tempo in cui ne era direttore il padre dello scrittore e storico del teatro siciliano Francesco De Felice. Contemporaneamente vi insegnava anche Emilio Romano, padre del maestro Armando Romano, attuale componente del gruppo concertatori e direttori d'orchestra del Teatro Massimo. Emilio Romano era un virtuoso solista di cornetta geniale interprete della melodia belliniana. Ogni anno, la sera del 2 giugno, essendo in programma l'omaggio a Bellini, per ascoltare Emilio Romano affluivano a Catania folle di forestieri oltre che da gran parte della Sicilia, anche da diversi luoghi del Continente e dell'estero. «Figlio della sua terra e profondo studioso dell'anima musicale del suo popolo» (così lo definisce Francesco Pastura nel "Popolo di Sicilia"), le sue preziose raccolte: "Eco di Sicilia" e "Natale Siciliano" (che Saverio Fiducia qualificò "un fresco torrente melodico") sono dedicate alla madre terra. La prima raccolta, che comprende cinquanta canti e che meritò la lode di Giuseppe Pitrè (lode pubblicata nell'Archivio per lo studio delle tradizioni popolari), fu compilata nel 1882 dal ventiduenne Frontini per incarico della casa Ricordi. "Natale Siciliano", invece, in cui il maestro raccolse i canti e le nenie con cui il popolo siciliano festeggia il Natale apparve nel 1893 presso l'editore milanese A. D. Marchi. Se la fama del Frontini operista è legata a "Nella" al "Falconiere" e specialmente a "Malia", non c'è dubbio che il suo nome di studioso delle nostre tradizioni popolari è affidato soprattutto alle due raccolte di cui s'è detto or ora, come si può dire che la sua popolarità egli l'abbia conquistata con quella svariata e scintillante fiorita di canzoni, di romanze, di serenate, di melodie, che egli componeva a getto continuo e con fluida vena melodica. Basti ricordare per tutti la « Serenata araba ». Il Frontini scelse con cura i temi politici, come Aleramo o il Falconiere, oppure positivisti da mettere in musica. Il "Canto di Ebe" è tratto dal "Lucifero" di Mario Rapisardi (suo fraterno amico), ispirato all'ateismo, per questo motivo e anche per essere finito nelle mani del Demarchi, uno dei più grandi interpreti dell'ottocento del Verismo in musica, pagò e continua a pagare un prezzo altissimo, dimenticato dalla cultura del settore. - Pietro Rizzo
Le opere
"Quartetto in do minore" (Napoli 1879). "Spartaco", ouverture (Cremona1880). "Nella", opera in 3 atti rappresentata al Comunale di Catania (1881). "Sansone", azione biblica in 3 parti (1882) scritta per incarico del Municipio di Catania ed eseguita per la festa di sant'Agata. "Aleramo", in un prologo e 3 atti (1883). "Malia", opera in 3 atti (1893). "Il Falconiere", in 3 atti (1899) "Fatalità", in 2 atti (1900).

Le composizioni
"Omaggio a Lauro Rossi" eseguita a Cremona (fantasia per orchestra). "Grande messa di Requiem". "Medio Evo" poemetto per soprano con accompagnamento di pianoforte. "Marcia Trionfale" per orchestra e fanfara. "Elsie", ouverture per orchestra. "Gloria", ouverture per orchestra. "Minuetto", per archi. "Grande Messa di Requiem in sol minore" (1888). "Un intermezzo per archi e strumenti a fiato". "Un idillio per orchestra". "Un preludio sinfonico". "Preludietto", per orchestra. "Notte d'oriente", per orchestra. "Petite Tableaux". "Impressioni". "Esquisse musical",

Le canzoni
Eco della Sicilia (ed. Ricordi 1883). Canti della Sicilia ( ed. Forlivesi 1890 ). Natale Siciliano (ed. De Marchi 1893). Antiche canzoni di Sicilia (ed. Carisch 1936). Canti religiosi del popolo siciliano (ed. Carisch 1938).
Il CD "La Canzone Catanese tra '800 e '900" comprende: Malatu p'amuri, Pri tia diliriu e spasimu, Canzuna di li carritteri, La vucca, e Mi lassasti in abbannunu tutte su musiche di Francesco Paolo Frontini.

Informazioni complete su Frontini si trovano sulla rivista "JU, SICILIA" organo ufficiale del CSSSS

http://www.csssstrinakria.org

 

 

 

Giovanni Gioviale

 

L’11 giugno del 1949 moriva il M° Giovanni Gioviale, apprezzato musicista catanese, autore di brillanti compositori popolari oggi pressoché introvabili. Era nato nel novembre del 1885. A distanza di 52 anni, il mito di Gioviale è rimasto immutato tra gli amatori della musica di genere popolare. Non c'era catanese che non conoscesse e non amasse la sua generosità nell'affrontare, solo per il piacere di suonare e deliziare il pubblico, faticosissimi concerti spesso senza percepire alcun compenso.

Ovunque egli suonasse, il successo era assicurato, anche se la sua fortuna non fu pari alla sua abilità né al suo talento. La sua vita fu però costellata d’emozionanti aneddoti, d’entusiasmanti "imprese" musicali compiuti al mandolino, strumento musicale diretto discendente del liuto. I pochi testimoni che ebbero la fortuna di conoscerlo, raccontano che "suonava come un angelo". Al mandolino, Gioviale era capace di sbalordire con le sue strabilianti esecuzioni pieni di virtuosismi, con le sue geniali interpretazioni in grado di raggiungere ritmi addirittura frenetici. Chi lo definì il "Paganini del mandolino", ben comprese la grandezza del personaggio.

Nella sua arte, Gioviale non ebbe rivali, anche se nel panorama siciliano e catanese in particolare, non mancavano i musicisti professionisti o dilettanti capace di stupire per la loro naturale predisposizione all'arte musicale. E questi personaggi, dediti all'artigianato o addirittura agli umili mestieri, si formavano nelle botteghe di lavoro o nei circoli privati; raramente nei teatri cittadini che contavano. Questi musicisti o "orecchisti" (perché suonavano senza leggere la musica; solo ascoltando il motivo musicale) di solito non erano destinati alle grandi platee ma ad occasionali esibizioni pubbliche per lo più familiari.

Cominciò all'età di 10 anni l'attività musicale di Gioviale. Dopo avere assistito ai concertini che si svolgevano quasi tutte le sere a chiusura della giornata lavorativa in una sala da barba in via Plebiscito, imparò a suonare il mandolino. Successivamente si cimentò nel suono del banjo, della chitarra e del violino. Quest'ultimo strumento egli cominciò a studiarlo al convitto di via Crociferi. Come violinista, entrò a far parte dell'orchestra del teatro "Bellini". Ma era il mandolino lo strumento che più lo affascinava. Intorno al 1923, giovane musicista, ebbe modo di farsi apprezzare da Pietro Mascagni venuto a Catania per dirigere una propria opera. Il musicista toscano, nel corso di uno spettacolo musicale offerto in suo onore all'Hotel Bristol, sarebbe rimasto ammirato dalla versione de "La danza esotica" eseguita al mandolino da Gioviale. Anche nell'episodio riferito da Saverio Fiducia, successe qualcosa di analogo.

Protagonista questa volta, il noto tenore Dino Borgioli che casualmente ascoltò in una trattoria di via Paternò, "La danza delle ore" eseguita da Gioviale con l'accompagnamento della chitarra suonata da un certo Costa. Ne rimase talmente stupito da offrirgli una tournee in Spagna, a Madrid, il musicista andò lo stesso. Nella città madrilena, racconta un aneddoto, durante una prova di abilità, costrinse il mandolinista avversario ad ammettere pubblicamente la propria sconfitta. Nella ricca anneddòtica legata al suo "mito", si racconta inoltre di una gara mandolinistica svoltasi nel 1922 ad Acireale nella tenuta di un noto politico del luogo. Nella città ionica, Gioviale diresse l'orchestra a plettro formata da 19 elementi che si aggiudicò la gara sbaragliando tutte le altre formazioni orche-strali che costituivano il meglio dei mandolinisti Siciliani. Gioviale ebbe modo di "catturare", come ci riferisce ancora il Fiducia in un articolo commemorativo scritto nel 1969 a vent'anni dalla morte, le simpatie del maestro Leopoldo Mugnone.

Questo direttore d'orchestra che godeva fama di "duro" e "scorbutico" dopo la mirabile esecuzione della serenata del secolo atto dell'Otello", rivolgendosi a Gioviale che l'aveva eseguita, così si sarebbe espresso: "Ho diretto un centinaio di volte il capolavoro Verdiano, ma una serenata come questa, così eseguita, fu sempre prima d'ora un ardente desiderio". Gioviale amava viaggiare: l'Africa, l'Inghilterra, la Spagna, l'Austria, le tappe principali della sua carriera. In Italia suonò a

Torino, Milano, Roma, Genova e Palermo. Poi negli Stati Uniti.

Nel corso della sua permanenza a New York, dal 1926 al 1929, conquistò un'altissima reputazione in campo concertistico e discografico. Nel suo repertorio, oltre a Frontini, Emanuel Calì e alle proprie composizioni caratterizzate dalle "acrobatiche" esibizioni, vi furono: Bellini, Mozart, Grieg, Ponchielli, Verdi, Mendelsson, Mascagni. Ma l'opulenza del nuovo continente e soprattutto il rafforzarsi dei ritmi estranei alla sua cultura musicale; forse anche tanta nostalgia della sua terra, lo convinsero a tornare. la sua fama ha ormai raggiunto l'apice: è membro della Federazione Italiana del Plettro; suona e dirige nelle orchestre a plettro siciliana e romana; entra a far parte dell'orchestra Toscanini alla "Scala".

A Catania, prese parte ad una trasmissione radiofonica settimanale a diffusione nazionale intitolata: "I canti dell'Etna".La sospensione del programma per "riduzione di autonomia", si disse, dovette incidere notevolmente sulla sua decisione di ritornare negli Stati Uniti. Era in attesa delle apposite autorizzazioni per l'espatrio, quando si manifestò il tumore al polmone che in breve tempo lo avrebbe condotto alla morte. L'ultimo concerto lo tenne al club della stampa nel febbraio del 1949.

Scrisse moltissime opere per mandolino, quasi tutte polke, valzer e mazurche incise nelle migliori case discografiche. Tra queste ricordiamo le più note: "Viale fiorito"; "Ritornando da Vienna"; "Biancuccia"; "Allegra compagnia; "Occhi di bambola"; "Amorino"; "Balliamo l'ultima mazurca"; "Serate primaverili"; "L'ultimo amore". Due storici e scrittori, in particolare, si occuparono di lui: Francesco Granata e Saverio Fiducia. Un fatto è certo: la figura artistica di Gioviale andrebbe meglio approfondita; se non altro perché quella sua abilità tecnica che aveva conferito al man-dolino una voce così speciale, non vada perduta per sempre. Una strada alla periferia della città, è tutto quello che Catania fino a questo momento gli ha saputo dedicare: ben poca cosa, forse, per un mandolinista che suonava la "Lucia di Lammermoor" in sei diverse voci, facendo esplodere la platea di scroscianti e prolungati applausi.

Santo Privitera

http://www.federmandolino.it/gioviale.htm

 

LASSITI BALLARI

 

Le belle canzoni siciliane non occorre andarle a ricercare nel passato, il nostro sentimento è rimasto immutato dai tempi di Frontini e Riela. Per esempio, anche se moderna, questa è una delle più belle canzoni d’amore scritta da tre siciliani.

Le straordinarie parole sono di Maria Elisa Di Fatta, in arte "Mara Eli" (grande artista siciliana scomparsa prematuramente un po’ di anni fa in un incidente) musicate da Francesco Buzzurro e Mario Incudine.

Lassiti ballari è il titolo, facendo attenzione all’accento sulla prima vocale che cambia tutto il significato. Cioè lasciati trasportare dalla vita ballando assieme a lei, nonostante tutto.

E’ il canto che la moglie defunta dedica al suo uomo, che vede nuovamente innamorato, incitandolo ad amare la vita sempre, qualsiasi cosa accada lungo il percorso. Lo invita a non piangerla più, a cercare la luce nel buio delle sue sofferenze notturne e a dedicarle questa canzone senza spaventarsi se sente la sua voce, perchè lei è lì solo per benedire il suo nuovo amore.

BELLISSIMA.

In qualche modo, ho cercato di tradurre il testo per chi non è siciliano:

__________________________

Che strana luce c’è stasera, mi cerchi e non trovi le parole ma io li conosco i tuoi sospiri!

Io sono la chiave del tuo cuore, già so le cose che devi dirmi: dentro i tuoi occhi c’è il sole! (queste le parole originali della strofa, non corrispondenti al video)

La luna nuova in capo al mare, corda è qui per i tuoi pensieri, suona che è tempo di suonare.

Io soffio forte i tuoi veli, e di luna fatti accompagnare e suona per me sta canzone…

La la la la la la, canta la vita e il buio se ne va. Passano i mesi e tu mi trovi sempre qua, questo cielo che luce che fa!

La la la la la la la, prendi la vita e lasciati ballare. Se senti la mia voce non spaventarti, sono io … che benedico il tuo amore.

Sono moglie e sono madre, conosco tutte le tue ferite, il pianto nelle tue nottate.

Bedda, siete finestrati ma se apri non mi vedete. Spegni la luce e ballate.

La la la la la la, canta la vita e il buio se ne va. Passano i mesi e tu mi trovi sempre qua, questo cielo che luce che fa!

La la la la la la la, prendi la vita e lasciati ballare. Se senti la mia voce non spaventarti, sono io che benedico il tuo amore … così di notte di buio non ce ne sarà piu! 

 

Ed ora quello che ormai è diventato un fenomeno: la musica a Catania. Da anni è diventata una città sonora, molto sonora. E' noto a tutti, Catania è diventata una fucina di talenti, una Nashville del Mediterraneo, una Menphis del Sud, che sforna continuamente musica passando dal jazz al country, dal rock al folk. L'Etna cova questi geni musicali nelle sue viscere da sempre sottoforma di pub, ritrovi e marciapiedi. Qui la gente suona, suona tantissimo e tante piccole Carmen Consoli sono pronte a farsi ascoltare. Lei cominciò proprio così. Eppure ogni iniziativa volta ad offrire arte pura deve elemosinare annualmente presso i Palazzi per ottenere angusti e modesti spazi, aiuti che non arrivano quasi mai. Credo che tutto questo meriti più attenzione da parte di istituzioni che, al contrario, non hanno "orecchio" o fanno finta di non averlo.

 

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Francesco Virlinzi, Mario Venuti, Carmen Consoli e Franco Battiati negli anni Novanta

 

Oltre agli evergreen degli anni Settanta, si aggiungono i nomi che vedete sotto e che hanno portato Catania in alto. Ma qui c'è qualcosa che affascina anche altre Star della musica nostrana e internazionale: Lucio Dalla da molti anni ha casa a Milo e non per moda o per investimento. Ormai qui è di casa,  Catania la vive, produce il suo Stronzetto dell'Etna, lo si può incontrare in città mentre prende la granita o dietro il fercolo di Sant'Agata il 5 febbraio. E perchè Mick Hucknall dei Simply Red vuole produrre vino proprio a Sant'Alfio? E Vasco Rossi che prende casa a Valverde? E Amedeo Minghi che vuole trasferirsi alle pendici dell'Etna?

 

 

 

CARMEN CONSOLI

La sua carriera di musicista parte dalla città etnea dove l'artista si esibisce in vari pub con la band Moon Dogs's Party. Dopo brevi apparizioni televisive presso emittenti locali e nazionali (partecipò alla trasmissione tributo per Mia Martini, condotta da Michele Santoro), l'incontro felice con il produttore Francesco Virlinzi e il conterraneo Mario Venuti la fanno sbarcare sul palco del Festival di Sanremo 1996 nel 1996 con la canzone "Amore di plastica" contenuta nell'album Due parole.

Ottimo successo per la critica, la grinta di questa ragazzina che imbraccia la chitarra e sussurra urli a metà tra Dolores O'Riordan (voce dei Cranberries) e Janis Joplin la portano direttamente in finale, conferendole il titolo di Big nell'edizione del 1997 alla quale si presenta con il singolo "Confusa e felice" inclusa nell'omonimo album. Comincia un nuovo tour in giro per l'Italia, dopo l'esperienza in veste di supporter ai concerti di Raf durante l'inverno.

 

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In bianco e nero (Carmen Consoli)

Guardo una foto di mia madre

era felice avrà avuto vent'anni

capelli raccolti in un foulard di seta

ed una espressione svanita

Nitido scorcio degli anni sessanta

di una raggiante Catania

la scruto per filo e per segno e ritrovo

il mio stesso sguardo

E pensare a quante volte

l'ho sentita lontana

E pensare a quante volte…

Le avrei voluto parlare di me

chiederle almeno il perché

dei lunghi ed ostili silenzi
e di quella arbitraria indolenza
puntualmente mi dimostravo inflessibile
inaccessibile e fiera
intimamente agguerrita temendo
l'innata rivalità
Le avrei voluto parlare di me
chiederle almeno il perché……
Le avrei voluto parlare di me
chiederle almeno il perché ……

 

 

Il nuovo rock italiano fa proselitismo. È l'autunno del 1998 quando esce un album travolgente e dai toni stridenti: Mediamente isterica.

Il successo al grande pubblico giunge nel 2000 quando ritorna a Sanremo con un look tutto nuovo, taglio corto e colorato, presentando la canzone "In Bianco e nero" che sancisce l'uscita negli stessi giorni del quarto album: Stato di necessità. È con canzoni come "Parole di burro" e "L'ultimo bacio" (già colonna sonora dell'omonimo film di Gabriele Muccino che la vuole nel cast in un piccolo cameo) che cattura l'attenzione del pubblico italiano.

Sound soft e melodico anche per il quinto disco di inediti L'eccezione del 2002 che segue una raccolta live L'anfiteatro e la bambina impertinente registrato in CD e DVD presso il Teatro Greco di Taormina. Il 23 ottobre 2002 registra il primo showcase italiano di MTV, che uscirà poi con il titolo "Un sorso in più", nel quale presenta in anteprima alcuni brani de "L'Eccezione".

Ha scritto per Paola Turci il testo di "Saluto l'inverno", presentato al Festival di Sanremo del 2001. Nell'estate dello stesso anno è seguito un tour con Max Gazzè e con la stessa Turci. Tra i duetti, celebre è quello con Mario Venuti in "Mai come ieri". Ha firmato inoltre il brano "Cambio stagione" cantato da Ron in cui riecheggia il rapporto con suo padre.

Il suo nuovo album "Eva Contro Eva" è uscito il 12 maggio 2006. Il nuovo lavoro discografico è stato anticipato il 21 aprile con l'airplay del nuovo singolo "Signor Tentenna".  

Dal suo fanclub:  Carmela Carla Consoli,ormai conosciuta da tutti con il nome d'arte di Carmen Consoli, nasce il 4  settembre 1974 a San Giovanni La Punta, in provincia di Catania, da Maria Rosa e Giuseppe Consoli. Talento precocissimo, ha preso esempio soprattutto dal padre, ottimo suonatore di chitarra che le ha trasmesso i rudimenti dell'arte musicale. Già a partire dai quattordici anni Carmen era una vera e propria forza della natura. Il pubblico, nonostante la giovane età, non le procurava alcuna soggezione e si è da sempre trovata a suo agio sul palco, come potrebbero testimoniare le persone la sentivano cantare fino a notte fonda nei pub e nei locali catanesi con un gruppo chiamato "Moon's dog party". Una vita da rockstar in erba che mal si conciliava con l'impegno scolastico, anche se la brava Carmen ha sempre fatto di tutto per rispettarlo (ha frequentato l'istituto di ragioneria con indirizzo programmazione). Finalmente nel 1995, chiamata dalla Cyclope Records, collabora per la realizzazione di un cd tributo a Franco Battiato (intitolato "Battiato non Battiato"), cantando "L'animale". La sua voce è inconfondibile e rimane decisamente impressa a chiunque abbia avuto modo di sentirla la prima volta. Nel 1995 partecipa a Sanremo giovani con la canzone "Quello che sento", presentata dal concittadino Pippo Baudo. Si era già iscritta all'università in Lingue e aveva preparato 3 esami, ma nel 1996 arriva la chiamata a Sanremo, dove presenta la canzone "Amore di plastica", scritta con la collaborazione di Mario Venuti, e lascia perdere gli studi. Francesco Virlinzi, produttore e fondatore della Cyclope Records, dopo l'esordio a Sanremo produce il suo primo cd, uscito nel 1996 e, nello stesso anno realizza i video di "Amore di plastica" e "Lingua a sonagli". Dopo l'enorme successo Carmen si ripropone a Sanremo nel 1997 con il brano "Confusa e felice", divenuto ormai un suo cavallo di battaglia e che verrà utilizzato anche come colonna sonora dello spot del profumo RoccoBarocco. Il secondo album solista, uscito sulla scia del grande successo ottenuto dal singolo conferma la salda posizione che Carmen ha raggiunto nei cuori di tanti fan, tanto è vero che si aggiudica il tanto sospirato disco di platino. Un riconoscimento che per un artista italiano è una vera rarità. Nel 1998 è il momento di un duetto con Mario Venuti, ex leader dell'ormai inesistente gruppo dei Denovo. Il titolo è "Mai come ieri": il lancio del pezzo è accompagnato da un videoclip, cosa anch'essa non così scontata per gli artisti nostrani, che soffrono di cronica carenza di mezzi e di risorse . Nello stesso anno vede la luce dunque anche il terzo cd, "Mediamente isterica", il titolo che le porterà maggior fortuna e che verrà celebrato in un mitico tour in tutta Italia. Tra il 1998 e il 1999 produce anche tre video dalle canzoni di quest'ultimo album ("Besame Giuda", 1998; "Eco di sirene", 1999; "Autunno dolciastro", 1999). Intanto, dopo le grandi fatiche di quell'anno così intenso, la cantante catanese si prende una pausa di riflessione e diserta le edizioni sanremesi del '98 e del '99, tornando però alla ribalta alle soglie del 2000 con "In bianco e nero", sempre ottimamente piazzato nelle classifiche italiane. Malgrado il vasto suiccesso in veste solistica, Carmen non ha mai scordato le collaborazioni, una "pratica" che l'intensa cantautrice predilige particolarmente. Innumerevoli gli artisti che hanno avuto l'onore di averla accanto: oltre al già citato Mario Venuti, nell'elenco si trovano anche La Crus, Irene LaMedica, Paola Turci, Natalie Merchant, Lula, Marco Parente, Nuovi Briganti, Francesca Lago e altri ancora. Il suo quinto cd "Stato di necessità" ha goduto di un lancio più internazionale, contando anche su una versione pensata apposta per il mercato francese in cui ad esempio si trovano versioni di "Bambina impertinente" (che diventa "Gamine impertinente"), "Parole di burro" (trasformata in "Narcise"), e una cover di Serge Gainsbourg "JE suis venu te dire que je m'en vais".

 

sito ufficiale

 

 

 

 

FRANCO BATTIATO

Franco Battiato (nato a Jonia di Riposto, in provincia di Catania, il 23 marzo del 1945) è un cantautore, musicista, pittore (con lo pseudonimo Süphan Barzani) e regista cinematografico italiano.

Personalità tra le più eclettiche e originali espresse nel panorama italiano negli ultimi decenni, ha attraversato molteplici stili musicali: gli inizi romantici, la musica sperimentale, l'avanguardia colta, l'opera lirica, la musica etnica, il rock progressivo e la musica leggera riuscendo sempre a cogliere un grande successo di pubblico, avvalendosi di collaboratori eccezionali come il violinista Giusto Pio e il filosofo Manlio Sgalambro e costruendo una carriera ineguagliabile, che lo ha visto cimentarsi anche nella regìa cinematografica.

Trasferitosi a Milano nel 1965, pubblica due singoli per la rivista di enigmistica "Enigmistica Tascabile", che proponeva come allegati dischi di canzoni celebri interpretati da cantanti poco conosciuti, che oggi possiedono un valore collezionistico molto alto. Il primo conteneva un brano presentato al Festival di Sanremo del 1965 da Beppe Cardile e Anita Harris, "L'amore è partito", al quale fa seguito una canzone già portata al successo da Alain Barriere, "...e più ti amo".

Due anni dopo (nel 1967), notato da Giorgio Gaber che gli procura un contratto con la Jolly, inserendosi nel filone di "protesta" che in quel momento andava molto di moda. Il primo singolo che incide ufficialmente fu "La torre" a cui fa seguito "Il mondo va così". Ha anche un esperienza come attore teatrale, recitando in un ruolo di contorno insieme a nomi del calibro di Tino Carraro ed Elsa Merlini, in "Molto rumore per nulla" di William Shakespeare. Collabora inoltre con Gaber scrivendo la famosa "...e allora dai!", presentata al Festival di Sanremo del 1967 e "Gulp Gulp", sigla della trasmissione televisiva Diamoci del tu.

Nel 1968 cambia casa discografica, passa alla Philips e abbandona anche il genere di protesta per incidere dischi romantici più immediati e di facile consumo. Registra due brani che la casa discografica olandese pubblicherà soltanto nel 1971 ("Vento caldo" e "Marciapiede") e ottiene un discreto successo con "È l'amore", nel quale l'arrangiamento classicheggiante al pianoforte e una voce accorata lascia già intravedere quello che sarà il Battiato futuro. Nel 1969 partecipa con ottimi risultati al Disco per l'estate con il brano "Bella ragazza" (insieme a lui c'era anche un'altra cantante destinata poi alla celebrità, Fiorella Mannoia).

Sarà l'incontro con il musicista d'avanguardia Juri Camisasca a dare una prima brusca svolta alla sua carriera. Collabora nel 1970 a uno dei pochi esperimenti di rock psichedelico italiano con il gruppo Osage Tribe, autore di un solo omonimo album ma leggendario, la cui copertina (raffigurante una testa di bambola con la bocca sanguinante) fece epoca.

Dal 1971 si dedica alla musica sperimentale con ampio uso di elettronica con una serie di album leggendari per l'etichetta Bla-Bla: Fetus (1972, con un'altra famosa copertina, all'epoca censurata), Pollution (1973), Sulle corde di Aries (1973), Clic (1974) e M.elle le Gladiator (1975). Un brano di questo primo periodo, Propriedad prohibida (1974) viene utilizzato ancora oggi come sigla del programma Tg2 Dossier. Media:Esempio.mp3

Nel 1976 passa alla Ricordi e si dedica all'avanguardia colta con tre album pochissimo venduti ma apprezzati dalla critica: Battiato (1977), Juke Box (1978) e L'Egitto prima delle sabbie (1978). Con Zâ, esperimento con un solo accordo ripetuto al pianoforte, si aggiudica nel 1977 il Premio Stockhausen di musica contemporanea.

Licenziato dalla Ricordi, con il passaggio alla EMI nel 1979 torna alla canzone con echi orientali senza mai cedere al gusto imperante, e ottiene uno straordinario e meritato successo di pubblico in album come L'era del cinghiale bianco (1979), Patriots (1980), La voce del padrone (1981, il primo 33 giri italiano a superare il milione di copie vendute), L'arca di Noè (1982), Orizzonti perduti (1983), Mondi lontanissimi (1985), Fisiognomica (1988), Giubbe rosse (1989, il suo primo album live), Come un cammello in una grondaia (1992), Cafè de la Paix (1993) e L'ombrello e la macchina da cucire (1994), l'ultimo album per la EMI, realizzato su testi del filosofo Manlio Sgalambro, che diventerà in seguito suo stretto collaboratore.

Parecchi suoi brani sono entrati a pieno diritto nella storia della musica, non solo italiana: basta citare L'era del cinghiale bianco, Il re del mondo, Up patriots to arms, Prospettiva Nevskji, Bandiera bianca, Centro di gravità permanente, Cuccuruccuccu, Radio Varsavia, Voglio vederti danzare, I treni di Tozeur (con il quale nel 1984 si classifica al quinto posto dell'Eurofestival), La stagione dell'amore, La Cura e tanti altri, compreso il celebre Povera patria, una durissima requisitoria contro il potere politico e il potere in generale. Nella sua musica si avverte una profonda e costante ricerca di spiritualità: da citare su tutti E ti vengo a cercare, L'oceano di silenzio e L'ombra della luce. https://www.mimmorapisarda.it/2023/324.jpg

Determinante è il suo contributo al lancio della cantante Alice, che vince il Festival di Sanremo nel 1981 con Per Elisa e con la quale realizza numerosi L.P., a partire da Caponord (1980) fino a Viaggio in Italia (2005)

Con Giuni Russo, cantante lirica e leggera di eccellenti qualità vocali, ottiene grande successo estivo con Un'estate al mare (1982). Il momento più importante della collaborazione con questa artista è comunque la realizzazione dell'album Energie (1981), lampante esempio dei fermenti innovativi dei primi anni '80. Con Giuni collabora fino alla prematura scomparsa dell'artista, firmando l'arrangiamento del suo testamento musicale, la canzone Morirò d'amore con la quale partecipa al Festival di Sanremo nel 2003.

Non è poi da trascurare la decisiva collaborazione agli arrangiamenti di Giusto Pio, già violinista nell'orchestra della Rai, che realizza in proprio alcuni album strumentali prodotti da Battiato, cogliendo un buon successo con Legione straniera (1982). Con la versatile Milva realizza due album di grande fascino: Milva e dintoni (1982) e Svegliando l'amante che dorme (1989), conosciuto anche con il titolo Una storia inventata. Altri artisti che interpretato canzoni di Franco Battiato sotto la sue diretta supervisione sono stati Juri Camisasca, Sibilla (partecipazione al Festival di Sanremo nel 1983 con Oppio), Farida e Ombretta Colli.

A partire dal 1985, travolto e forse sorpreso dal successo colossale arrivato improvvisamente (non solo italiano, ma anche spagnolo e in gran parte dell'Europa, mentre nei paesi anglosassoni non viene altrettanto apprezzato) si dedica all'attuazione di numerosi progetti al di fuori del campo leggero, accolti con interesse.

Nel 1985 una propria casa editrice ed etichetta di musica etnica, L'Ottava, compone tre opere liriche, Genesi (1987), Gilgamesh (1992), e Il cavaliere dell'intelletto (1994), è il primo musicista occidentale a esibirsi in Iraq, nel 1992, sotto il regime di Saddam Hussein (Concerto di Baghdad, pubblicato nel 2006 su DVD), ed è l'autore del balletto Campi magnetici, presentato nel 2000 al Maggio musicale fiorentino. Inoltre, tra il 1999 e il 2002 pubblica due raccolte di cover, Fleurs e Fleurs 3, dove omaggia diversi celebri brani di fine anni '60 e '70 che lo hanno influenzato.  

 

'Ndo vadduni da Scammacca

i carritteri ogni tantu

lassaunu i loru bisogni

e i muscuni ciabbulaunu supra

jeumu a caccia di lucettuli ...

a litturina da Ciccum-Etnea

saggi ginnici 'u Nabuccu
a scola sta finennu.
Man manu ca passunu i jonna
sta frevi mi trasi 'nda ll'ossa
ccu tuttu ca fora c'è a guerra
mi sentu stranizza d'amuri ... l'amuri
e quannu t'ancontru 'nda strata
mi veni 'na scossa 'ndo cori
ccu tuttu ca fora si mori
na mori stranizza d'amuri ... l'amuri.

 

 

Stranizza d'amuri (Franco Battiato)

 

 

A partire dal 1994 inizia la collaborazione con il filosofo Manlio Sgalambro e la casa discografica Virgin per album di grande successo quali L'imboscata (1996), Gommalacca (1998), Ferro battuto (2000) e Dieci stratagemmi (2004). I brani di questo periodo sono meno fruibili, forse di sonorità più ostica per il grande pubblico il quale però continua a non abbandonarlo, e con ragione, a partire dalla straordinaria La cura (dichiarato nel 1996 miglior brano dell'anno e nel 2005 votato come miglior canzone d'amore degli anni '90), quindi Strani giorni, Shock in my town, Il ballo del potere, Running against the grain (cantato insieme a Jim Kerr del complesso dei Simple Minds) Ermeneutica e Tra sesso e castità. Nel 2005 viene rilasciato il live Un soffio al cuore di natura elettrica registrato al Nelson Mandela Forum di Firenze il 17 febbraio 2005.

Attorno al 1990, Franco Battiato inizia a cimentarsi nella pittura, mediante una specie di esperimento di autoanalisi e miglioramento di sè stesso. Dipingendo, Battiato vuole verificare che l'abilità nel disegno e nella pittura non siano caratteristiche innate nella persona umana, come molti critici invece sostengono. Dopo un periodo di ricerca, adotta quindi l'ideale pratica artistica associata alla sua facoltà pittorica.

Dal 1993 la sua attività nella pittura lo porta ad organizzare mostre personali in Italia e nel mondo, in città come Roma, Catania, Firenze, Stoccolma, Miami e Goteborg; una delle sue mostre è stata organizzata in collaborazione con Piero Guccione. Dall'inizio della sua attività ha prodotto circa ottanta opere firmandosi con lo pseudonimo di Süphan Barzani; nelle sue pitture, prodotte su tele o tavole dorate, predilige tecniche di pittura ad olio e utilizzi di terre e pigmenti duri. Le copertine e i libretti di Fleurs, Ferro battuto e dell'opera lirica Gilgamesh sono alcuni esempi della pittura di Battiato.

Il rapporto di Franco Battiato con la settima arte inizia negli anni Settanta, dopo l'unica esperienza come attore teatrale avvenuta nel 1967. Già nel 1973 appare occasionalmente e non accreditato come attore nel film di Corrado Farina Baba Yaga, interpretato da Carrol Baker. Compone diverse colonne sonore, collaborando soprattutto col veronese Giacomo Battiato (omonimo ma non parente), nello sceneggiato Brunelleschi (1974) e nel film Una vita scellerata (1990) imperniati sulle figure di Filippo Brunelleschi e Benvenuto Cellini, e quindi con il conterraneo Pasquale Scimeca, firmando le musiche del film Il giorno di San Sebastiano (1992). Alcuni suoi brani vengono utilizzati da Antonello Aglioti nel film Il giardino dei ciliegi (1992), dove l'attrice Marisa Berenson esegue Luna indiana, e soprattutto Nanni Moretti, che lo cita esplicitamente in Bianca (1983, con il brano Scalo a Grado) e Palombella rossa (1989, con il brano E ti vengo a cercare).

Le sue aspirazioni di regìa iniziano già nel 1979, quando comincia a dirigere tutti i suoi videoclip, raccolti in gran parte nella VHS Dal cinghiale al cammello (1992) e ristampata in DVD con il titolo Dal cinghiale al cammello - The Video Collection (2004). Nel 2003 scrive, dirige e sceglie le musiche per il suo primo film a soggetto: Perdutoamor, in larga parte autobiografico, con il quale si aggiudica il Nastro d'Argento come miglior regista esordiente. A marzo 2006 è uscito nelle sale il suo secondo film: Musikanten, imperniato sugli ultimi quattro anni di vita del grande musicista Ludwig van Beethoven.

Nel giugno 2006, alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, annuncia il suo terzo film, sempre scritto con Manlio Sgalambro: Niente è come sembra, interpretato da Giulio Brogi.

Franco Battiato è apparso molto di rado sul piccolo schermo. Evita con grande accuratezza di essere ospite in trasmissioni leggere (uniche eccezioni, con Fabio Fazio nel programma Che tempo che fa, trasmesso da Raitre, Quelli che il calcio su Raidue con Simona Ventura) e Il Tornasole con Andrea Pezzi; concede invece interviste in occasione dell'uscita dei suoi lavori e presta il proprio nome a campagne di solidarietà sociale. Nel 1988 appare insieme ad altri cantanti e musicisti come Gianni Morandi, Giorgio Gaber, Ombretta Colli e Franz Di Cioccio nel film per la televisione Una donna tutta sbagliata, diretto da Mauro Severino e con protagonista Claudia Koll. Nel dicembre 2004 esordisce come presentatore di un programma culturale in sei puntate, del quale è anche il curatore: Bitte, keine réclame (Spiacenti, niente pubblicità) andato in onda sul canale satellitare Rai Doc.  

 

 

 

MARIO VENUTI

Mario Venuti (nato a Siracusa il 28 ottobre 1963, ma catanese di adozione) è un cantautore italiano di musica leggera.

La carriera artistica di Mario Venuti inizia con la consueta gavetta in diverse cover bands, con le quali gira per i locali catanesi; la svolta all'inizio degli anni '80, quando incontra i fratelli Madonia (Gabriele e Luca) e Toni Carbone, con i quali, nel 1982, inizia l'avventura dei Denovo.

Il sodalizio artistico tra i quattro durerà meno di un decennio e, nel 1990, con all'attivo 4 album, un EP, centinaia di concerti e unanimi consensi da parte di pubblico e critica, i quattro decidono di porre fine all'esperienza dei Denovo.

Dopo lo scioglimento del gruppo trascorrono tre anni prima del debutto da solista. È il 1993 e l'album, trainato dal singolo Fortuna (brano che vanta due cover, una in portoghese, ad opera dei Brazilian Love Affairs, e un altra a cappella, eseguita dai Neri per Caso), si intitola Un po' di febbre. Il lavoro, un eterogeneo quanto interessante insieme di pezzi pop d'autore, viene accolto positivamente dalla critica.

La positiva impressione viene confermata dal successivo Microclima del 1996 (insignito del premio Max Generation). È un album intenso e raffinato, in cui l'amore per le sonorità sudamericane è ancora più evidente.

Nello stesso anno, suggerisce all'amico Francesco Virlinzi, patron della Cyclope Records, un interessante progetto: un album tributo al maestro Franco Battiato. L'album, "Battiato non Battiato", riunisce sotto il nome di Battiato, oltre allo stesso Venuti, che si cimenta nella cover di E ti vengo a cercare, anche un altro ex Denovo, Luca Madonia (alle prese con Summer on a solitary beach), i La Crus, i Bluvertigo, una, allora, sconosciuta Carmen Consoli e tanti altri artisti.

È proprio il 1996 l'anno di inizio della collaborazione con la Consoli. Mario scrive insieme alla cantantessa Amore di plastica, che partecipa nella sezione giovani al Festival di Sanremo del 1996 e La semplicità, brani contenuti nel primo lavoro della Consoli, "Due parole". Non sarà l'unico incontro artistico tra i due, che si reincontreranno nel 1998 per duettare nel pezzo Mai come ieri (brano di grande successo che raggiungerà il 3° posto delle classifiche di vendita dei singoli). È il preludio all'album omonimo. Un lavoro che abbina tracce inedite, che propongono un Venuti più maturo ed intimista, ed altre dal vivo, occasione per ripercorrere oltre 15 anni di carriera.

L'attenzione ricevuta dall'album sembra aprire la strada al successo per l'artista siciliano. Tuttavia, la scomparsa nel 2000 di Francesco Virlinzi (produttore di Venuti), e i problemi contrattuali che ne deriveranno, ritardano di parecchio tempo l'uscita del nuovo album.

Nel 2002 risponde alla chiamata del vecchio amico Luca Madonia, il quale ha scritto un pezzo in pieno "stile Denovo" pensato per un duetto con Mario. Il risultato è una piccola gemma in uno scrigno di preziosi, la canzone si intitola In santità ed è contenuta nell'album di Luca Madonia "La consuetudine", nel quale spiccano anche le collaborazioni con Franco Battiato e Carmen Consoli.

Nel 2003, dopo una lunga attesa, riesce a risolvere i problemi contrattuali e, edito da una indie catanese, Musica&Suoni, esce l'album Grandimprese. È un lavoro, ancora una volta, di notevole spessore, meno intimista ma più orientato verso sonorità pop e rock. Il brano di punta è Veramente, uno degli hit più programmati dalle emittenti radiofoniche (tanto da partecipare al "Disco per l'estate").

Nel 2004 un'altra svolta per la carriera artistica del cantatutore siciliano, l'incontro con Pippo Rinaldi, in arte Kaballà, con il quale inizia una collaborazione che dura tutt'oggi, collaborazione che sfocia nella partecipazione al Festival di Sanremo di quell'anno con Crudele, brano che si piazza al 10° posto della classifica finale della kermesse sanremese e che vale il prestigioso Premio della Critica del Festival della canzone italiana "Mia Martini".

Il successo sanremese sembra essere l'occasione giusta per proiettare la musica di Mario verso il grande pubblico, e non solo nei confronti della critica e di un pubblico di nicchia. Tuttavia, l'idea di pubblicare un nuovo album viene accantonata in favore di un repacking di "Grandimprese", arricchito con il brano sanremese, altri inediti e un brano già edito, Per causa d'amore, un ritorno alle sonorità brasiliane tanto care a Mario Venuti, una bossa nova scritta per Patrizia Laquidara e che la cantante vicentina di origini catanesi aveva già inserito nel suo album d'esordio "Indirizzo portoghese".

In attesa di completare la registrazione del nuovo album, Mario Venuti compone brani per illustri colleghi: Echi di infinito per Antonella Ruggiero , brano che vince nella Categoria Donne del Festival di Sanremo del 2005, Estate in città per Raf, Non è peccato per Syria (brano che da il titolo all'album dell'artista romana), La lingua perduta del cuore per Nicky Nicolai (brano che troverà posto nell'album "L'altalena", del 2006). Duetta in Pura Ambra con Joe Barbieri, con gli amici La Crus canta La prima notte di quiete e partecipa alla realizzazione dell'album On the air, innovativo progetto dei "Jetlag" (Livio Magnini, Jacopo Rondinelli ed Emilio Cozzi), prestando la sua voce in Slow burn. Il 1° maggio del 2005 è sul palco del concertone di Piazza S. Giovanni a Roma dove, tra l'altro, si esibisce insieme alla PFM in La guerra di Piero di Fabrizio De Andrè. Durante l'estate del 2005 debutta al Teatro Greco di Taormina nel musical "Datemi tre caravelle" (di e con Alessandro Preziosi), nella parte di Re Fernando. Sempre nell'estate del 2005 partecipa, insieme ad altri artisti tra i quali Max Gazzè e Paola Turci, al progetto Stazioni Lunari (vincitore del Premio MEI 2005 come miglior progetto speciale).

Ancora nel 2005, firma la sua prima colonna sonora; a volerlo è Christian Bisceglia (già regista del video di Veramente), per il film Agente matrimoniale, prodotto da Eleonora Giorgi, girato a Catania con protagonista Nicola Savino, celebre deejay di Radio Deejay e previsto in uscita nell'autunno del 2006.

Nel gennaio del 2006 esce il singolo Qualcosa brucia ancora, brano che conquista il 1° posto nella classifica del Music Control e che anticipa di qualche mese l'uscita di "Magneti", quinto album da solista di Mario Venuti, che viene pubblicato all'indomani della partecipazione all'edizione del 2006 del Festival di Sanremo, dove Mario si presenta nella categoria gruppi in compagnia degli "Arancia Sonora" (musicisti che da anni lo accompagnano in tour e che suonano nei suoi album), con il brano Un altro posto nel mondo. Il brano non supera la prima fase della kermesse canora, ma la partecipazione al festival è comunque un'ottima vetrina, il brano risulta essere tra i più trasmessi dalle radio.

 

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VINCENZO SPAMPINATO

Fin da giovanissimo Vincenzo Spampinato studia musica e suona in diversi gruppi, spaziando dal rock al pop sperimentale, fusion e world music. E' di quegli anni la sua partecipazione, appena sedicenne, al raduno internazionale Palermo pop ’70 .
Presente sulla scena artistica degli anni ’70, ’80 e ’90 come interprete della canzone d’autore, con le più prestigiose case discografiche.
Nel 1978 è secondo al FestivalBar, nel 1979 vince il premio come miglior paroliere, molteplici le sue tournée in tutti i maggiori teatri e palasport italiani.
Singolari i due tour con Vasco Rossi, Fortis, Ferradini ('Primo concerto' 1979) e con i New Trolls (1981).
Nel 1991 canta in coppia con i Matia Bazar al Cantagiro, con la canzone "Antico suono degli dei". Nel 1993 vince il Premio Tenco con l'album "L'amore Nuovo" e, per l'occasione, duetta con Lucio Dalla e Franco Battiato.
Non solo musicista, Spampinato s’interessa, come cultore della danza (alle spalle scuole di mimo, drammatizzazione, dizione, fonazione, creatività pubblicitaria) del teatro e d’ogni forma artistica.
E’ anche Ispettore Onorario dei Beni Culturali. Sulle orme di Schaeffer, Henry, Cage, da tempo percorre le strade sperimentali della Musica Concreta.
Come compositore ha prodotto brani, (milioni di dischi al suo attivo) che sono stati interpretati, tra gli altri, da Fausto Leali, Irene Fargo, Milva, Viola Valentino, Riccardo Fogli. Diversi i successi per Viola Valentino tra cui "Sola" e "Arriva Arriva" (Sanremo 1983). Suoi anche molti successi di Riccardo Fogli tra cui "Sulla buona strada" (Sanremo 1985) e "Per Lucia" (Eurofestival 1983).
Curioso un secondo posto allo Zecchino d’oro del 1987 come autore della canzone "Il mio grande papà". Versatile autore di colonne sonore per film, spot pubblicitari, sigleTV, danza, teatro, alta moda… tra le tante: Premio Regia Televisiva (RAI Uno Teatro Ariston anni 90); 'Di penna e di spada' (sceneggiato su Nino Martoglio per RaiTre); Sorrisi, inno per lo spot del settimanale TV sorrisi e canzoni (primo posto nelle classifiche di vendita nel 1984); 'Delito sull'autostrada', film di Sergio Corbucci con Tomas Milian.
Nella sua carriera anche successi all’estero. Nei primi anni ’80, in Spagna, il cantante Gonzalo interpreta "Mujer de un dia", successivamente nei paesi del Sud America, Sebastian Casanova porta al successo la versione spagnola di "Innamorati di me" con la quale Spampinato ha partecipato al FestivalBar del 1981.
Ma il successo più clamoroso lo ottiene con "Quiero un angel" in Venezuela, dove la cantante Kiara resta in vetta alla classifica per mesi e mesi.
Nel 2001, Patrizia Bulgari esce in Grecia con "La tarantella di Socrate", un Cd con varie canzoni di Vincenzo. Altre sue canzoni vengono tradotte in Africa e in Cina.
La Bastogi editrice ha pubblicato, "Lettere mai spedite", la sua biografia.
Da qualche anno collabora con i Rondò Veneziano, diretti da Giampiero Reverberi, grande arrangiatore del mitico Lucio Battisti. Con loro ha realizzato parte di "Kokalos.3", un Cd interamente in lingua siciliana amalgamando la world mediterranea con le preziose armonie della singolare orchestra, un’unione che ha rispolverato l’antico amore di Spampinato per la musica classica. "Kokalos.3" è stato presentato con successo al Midem di Cannes nel 2000, e presto uscira' in Korea e Giappone.

Chi non ricorda Vincenzo Spampinato, dominatore della scena artistica degli anni Settanta/Ottanta con una serie di hit di successo?  È sera, Innamorati di me, tra i primi successi (nel 1978 con E' sera si piazza al secondo posto al Festivalbar)  firma canzoni di successo  per Riccardo Fogli  Per Lucia, con cui partecipa all'Eurofestival e Torna a sorridere e Viola Valentino ( Sola)  con Maurizio Fabrizio, firma  la sigla degli spot televisivi di Sorrisi e canzoni. Fin da giovanissimo studia musica e suona in diversi gruppi, spaziando dal rock al pop sperimentale, fusion e world music.

Appena sedicenne, col gruppo del fratello “ I Rovers “, partecipa al raduno internazionale “ Palermo pop ’70 ”,la prima ed unica “ woodstock” europea.

Nel 1979 vince il premio come miglior paroliere, partecipando, alle più importanti trasmissioni televisive, da “Domenica in” a “Pronto Raffaella”. Molteplici le sue tournée in tutti i maggiori teatri e palasport italiani. Singolari i due tour con Vasco Rossi, Fortis, Ferradini ed altri (“Primo concerto” 1979) e con i New Trolls (1981). E' con lo pseudonimo di Peter Pan che pubblica Rime tempestose, disco semplice e piacevole con arrangiamenti molto curati.

 Nel 1989, una nuova uscita: Dolce amnesia dell’elefante che contiene canzoni scorrevoli con molta melodia, tipicamente mediterranea, e due ispirate canzoni in siciliano, Veni ‘cca e Iè a terra mia. L'anno successivo è la volta di Antico suono degli dei in cui collabora Alfio Antico, il, pastore di Lentini  artista del tamburello. Notevole l’impiego di zampogne, mandolino, cornamusa, arpa celtica e un’intera orchestra di archi. Molti i brani in evidenza. Nel 1992, esce il disco che forse lo rappresenta al meglio: L’amore nuovo. Nel disco, dove si parla di Ustica, di mafia, di tangenti, oltre ai vocalizzi di Lucio Dalla nel finale del brano Bella e il mare,  duetta con Franco Battiato in L’amore nuovo. Curiosa la danzante Velenoso riso dalla strumentazione acustica, con flauto, tammorra e un corpo bandistico. Negli anni '90 pubblica altri due lavoro: Judas del 1995 - che contiene canzoni dalla struttura essenziale in cui sono meno marcate le sonorità  etniche - e Il raccolto del 1997. Nel 2000 esce Kokalos.3 disco interamente in lingua siciliana in cui amalgama la world mediterranea con le preziose armonie del Rondò Veneziano, che collabora in alcuni brani. Nel 2002 I diritti dell’uomo (e una canzone d’amore) opera a sfondo sociale dedicata al tema della violazione dei diritti dell’uomo, realizzato con il patrocinio dell’Intergruppo parlamentare per i diritti umani e civili dell’ARS. Nel disco c’è spazio per una sola canzone d’amore, Bella don’t cry. Una parte dei ricavati della vendita è stata devoluta alla Federazione Internazionale dei Diritti dell’uomo della Sicilia e all’Associazione Telefono Arcobaleno.

 Non solo musicista, s’interessa, come cultore della danza (alle spalle scuole di mimo, drammatizzazione, dizione, fonazione, creatività pubblicitaria) del teatro e d’ogni forma artistica.

Sulle orme di Schaeffer, Henry, Cage, da tempo percorre le strade sperimentali della “Musica Concreta”(l’uso di suoni della natura e rumori, intrecciati con le melodie e le armonie ) la cosidetta “Tape-music”.Nella sua carriera anche successi all’estero. Nei primi anni ’80, in Spagna, il cantante Gonzalo interpreta “Mujer de un dia”, successivamente nei paesi del Sud America, Sebastian Casanova porta al successo la versione spagnola di “Innamorati di me” con la quale Spampinato ha partecipato al FestivalBar del 1981.

Ma il successo più clamoroso lo ottiene con “Quiero un angel” in Venezuela dove la cantante Kiara resta in vetta alla classifica per mesi e mesi. La stessa canzone in italiano, aveva dato notorietà e  successo alla giovane esordiente Valentina Gautier prodotta da Shel Shapiro, leader dei Rokes. Negli anni ’90, in “compilation” con altri artisti(tra i tanti anche Ramazzotti), per la DDD, esce in Germania e in tutto il nord-Europa. Nel 2001, Patrizia Bulgari esce in Grecia con “La tarantella di Socrate” un CD con varie canzoni di Vincenzo. Altre sue canzoni vengono tradotte in Africa e in Cina.

Da 15 anni è socio alla SIAE ( Società Italiana degli Autori ). E’ anche Ispettore Onorario dei Beni Culturali. La Bastogi editrice ha pubblicato "Lettere mai spedite", la sua biografia.  

 

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MARIO BIONDI

Enrico Bettinello - Un passo avanti e uno indietro per la sempre fervida scena nu-jazz italica.

Il passo avanti: finalmente una voce maschile davvero degna di nota, quella del catanese Mario Biondi, qui al suo disco di esordio, Handful of Soul. Artista dalla solida esperienza come turnista, Biondi ha un timbro scuro e pastoso che fa riferimento direttamente a quel soul confidenziale e un po' gaglioffo in cui la componente ormonale fa la sua bella parte, ma riesce a metterlo a servizio di una linearità asciutta.

Il repertorio del disco è scelto con accuratezza: riletture classiche ma non abusate come quella di “On A Clear Day” o “Slow Hot Wind”, puntuali cuciture r&b con “I’m Her Daddy” di Bill Withers, addirittura l'Al Kooper di “I Can’t Keep From Crying Sometime”, si affiancano ad alcuni originali, tra i quali spicca il notevole - e già collaudato - singolo “This Is What You Are”.

Nell'affrontare i brani Biondi dimostra gusto e sicurezza, non calca mai la mano e tutto il lavoro è costruito su un ampio respiro tra le parti cantate e quelle strumentali. Ma proprio l'aspetto strumentale costituisce il passo indietro cui si accennava sopra: gli High Five, quintetto ormai collaudato della scena nazionale, composto da ottimi strumentisti come il sassofonista Daniele Scannapieco o il trombettista Fabrizio Bosso, suonano il tutto in maniera impeccabile, ma non c'è in tutto il disco un solo momento di originalità.

La scelta di non percorrere l'ormai abusato terreno elettronico - che tanto onore ha portato alla stessa etichetta, la Schema e al suo esponente più famoso, Nicola Conte - è idea in partenza tutt'altro che disprezzabile, ma se l'esito deve essere quello di riprodurre [per quanto in maniera impeccabile, o forse sarebbe meglio dire “e per di più” in maniera impeccabile, si ascolti ad esempio il pezzo di Withers, troppo “pulito” nonostante la notevole prestazione di Biondi] sonorità e idee di decenni fa, il senso del tutto incomincia a sfuggire.

Che la scena sia sempre stata improntata a un certo “classicismo” non è una novità e si ricollega a quella forte nostalgia - da noi sottolineata più volte - di tempi e musiche “mitizzate”, rese paradigmatiche da una concomitanza di fattori. Ma si rischia di non superare quest'impasse espressiva se non si esce dalla stretta dinamica di una generica coolness, fatta di party e martini, ball-chairs e croccanti vinili di Lou Rawls [tra l'altro meravigliosi!].

Si rimane quindi con la sensazione [che più che sensazione è realtà] del già ascoltato, ci si pasce nella piacevolezza complessiva, ma spiace che musicisti dotati di simili doti non osino di più. Anche perché un timbro come quello di Mario Biondi sembra possedere tutte le carte in regola per portare un determinato tipo di vocalità dentro scenari sonori di più stringente contemporaneità.

Qui non si tratta di esaltare il “nuovo ad ogni costo” o di negare la fortissima dialettica con la tradizione di cui vibrano le musiche di più stretto riferimento di “Handful of Soul”, ma di non negare le possibilità che l'inserimento di elementi nuovi possa essere vivificante senza togliere smalto alla qualità interpretativa dei singoli - cui sembra talvolta si tenga di più che all'esito collettivo.

Le possibilità ci sono e come, Mario Biondi è davvero bravo, non fateci attendere troppo!

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GIANNI BELLA

Nato a Catania nel 1947, dopo aver guidato come cantante e chitarrista alcuni gruppi catanesi, alla fine degli anni '60 si trasferisce al nord seguito della sorella Marcella, che ha ambizioni come cantante. Nel 1972 il brano Montagne verdi, firmato da Bella per la musica e da Giancarlo Bigazzi per il testo, partecipa al Festival di Sanremo e sale in vetta al le classifiche di vendita. Marcella si impone quindi come una delle cantanti italiane di maggiore successo e il suo repertorio è quasi per intero composto dal binomio Bigazzi-Bella. Fra i brani più famosi Un sorriso e poi perdonami, Mi...ti...amo, Io domani, Nessuno mai. Contemporaneamente anche Gianni comincia la propria carriera solista, sempre con l'aiuto del paroliere Bigazzi, e subito ottiene un buon esito col singolo Più ci penso che rimane più di 3 mesi nella top ten italiana del 1974. Due anni dopo Gianni Bella domina le classifiche estive con Non si può morire dentro, e vince il Festivalbar. Nel 1978 si impone nuovamente nella stessa manifestazione col brano No. Nel 1981 partecipa al Festival di Sanremo col brano Questo amore non si tocca. Il limite dei brani del periodo sono soprattutto i testi di Bigazzi. In alcuni brani dell'album Toc toc si sfiora frequentemente il ridicolo. ("... e quando vieni qui non ti spogliare / perchè anche un uomo solo può dir di no..."). Negli anni '80 continua la sua attività di autore per la sorella (tra le altre Nell'aria del 1983) e inizia la collaborazione con Mogol, che diventa suo paroliere. I tre dischi usciti nel decennio sono prodotti dal musicista inglese Jeff Westley: Gb1, Una luce, Due cuori rossi di vergogna. Partecipa al Festival di Sanremo del 1991 con il brano La fila degli oleandri, titolo anche dell'album prodotto da Mogol. Qualche anno dopo è la volta di Vocalist album realizzato a Los Angeles con musicisti di fama internazionale. Alla fine degli anni '90, il duo Mogol-Bella firma i brani del grandissimo successo di Celentano Io non so parlar d'amore, bissato due anni dopo da Francamente me ne infischio e nel 2002 da Per sempre. Nel 2001 partecipa nuovamente al Festival di Sanremo, presentando Il profumo del mare, titolo anche del suo ultimo album.

 

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GERARDINA TROVATO

Nata a Catania il 27 maggio 1967, Gerardina Trovato sembra essere l’artista che ha aperto la strada alle future promesse della musica siciliana. Figlia di artisti, eredita dal padre la passione per la chitarra e per la canzone popolare e dalla madre, diplomata in pianoforte, riceve le prime lezioni di musica.

Dopo il conseguimento del diploma di ragioneria Gerry, chiamata così dagli amici, lascia la sua città e si trasferisce a Roma dove fa le sue prime esperienze musicali, provini, tournée come corista, incontrando delusioni e gratifiche.

Il suo talento è immediatamente notato da Caterina Caselli grazie alla quale, nel ’92, firma il contratto con la Sugar e raccoglie larghi consensi col primo singolo ''Non ho più la mia città'' che, presentata tra le ‘Nuove proposte al Festival di Sanremo del ’93 e prodotta artisticamente da Maurizio Malavasi, regala alla cantante il secondo posto diventando un successo.

Nel ’93 esce il suo primo album “Gerardina Trovato” che, con duecentomila copie vendute solo in Italia, si rivela uno dei successi dell’anno conquistando anche il resto dell’Europa. Anche il suo secondo singolo ''Sognare Sognare''è tra i più gettonati dell’estate 1993 e nello stesso anno la cantante col suo gruppo debuttano nei grandi stadi affiancando Zucchero nella sua tournée. La sua carriera è in ascesa.

Prodotto da Celso Valli, nel ’94 esce il suo secondo album ''Non è un film'' che nel giro di poche settimane diventa di platino. Con la canzone ''Non è un film'' (tratta dall’omonimo album) Gerardina Trovato partecipa, questa volta tra i ‘big’, al Festival di Sanremo conquistando la quarta posizione.

Dopo la famosa kermesse canora, la cantante parte in tournée nei teatri italiani con Andrea Bocelli duettando nella commovente Vivere. Coordinata da Mauro Malavasi, nel ’95, scrive undici brani che rivelano tutta la sua grinta, raffinatezza e dolcezza che esplodono nel suo terzo album ''Ho trovato Gerardina''. ''Piccoli già grandi''è il grande successo della sua ultima fatica ma di notevole effetto è anche il toccante duetto con Renato Zero ''Eh già''. L’album è un gran successo anche all’estero, infatti rimane in classifica nei top 30 in Olanda e in Belgio.

Nel ’97, anticipato dal singolo ''Il sole dentro'', scritto dal cantautore napoletano Enzo Gragnaniello, esce l'album antologico ''Il sole dentro. Le sue più belle canzoni'' con sedici brani di cui due inediti: Il sole dentro e Nascerai. Nello stesso anno Gerardina partecipa ad un mega show in mondo visione entrando nella top 10 dei cantanti Europei presentando cinque brani dal vivo.

Dopo un lungo tour per le principali città d’italia, Gerardina decide di dedicare del tempo a sé stessa, alla sua famiglia e ai suoi amici stando un po’ lontano dai riflettori. Nel 2000 fa di nuovo la sua apparizione al Festival di Sanremo partecipando col brano ''Gechi e vampiri'' nella sezione ‘Campioni’ che arriva prima nella classifica demoscopica e sesta in quella finale. In poco tempo il suo album entra in classifica raggiungendo le prime dieci posizioni conquistando prima il disco d’oro e successivamente quello di platino.

Il primo maggio del 2000 inizia il suo tour attraversando le principali città d’Italia e in estate esce il singolo “Mammone” e la versione spagnola del brano “Gechi e Vampiri” ovvero “Buhos y vampiros”.

Nel 2003, dopo tre anni di assenza dalla scena musicale, collabora attivamente alla composizione e alla produzione del brano “M’ama non m’ama” dei Verbavolant, gruppo emergente del panorama musicale italiano. La cantante si è divertita a cantare il pezzo con Massimiliano D’Apollo, calda e profonda voce del gruppo.Il pezzo unisce la tradizionale melodia pop di Gerardina ai ritmi più rock dei Verbavolant, anticipando così l’uscita del suo nuovo album.

 

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MARCELLA BELLA

Marcella Bella nasce a Catania il 18 giugno 1952 e fa parte di una famiglia intera di musicisti. Oltre a lei vanno ricordati i fratelli Giovanni (in arte Gianni), cantante a sua volte ed autore della maggior parte delle musiche per la sorella, Antonio, autore talvolta dei testi e Rosario, anch'esso autore.
Marcella comincia molto presto a muovere i suoi primi passi nel mondo della canzone, incoraggiata peraltro da mamma Grazia e da papà Pietro.
Si iscrive a tutti i concorsi per dilettanti della sua zona e si convince di essere tagliata per la carriera di cantante. Approva al Festival di Ariccia, famoso trampolino di lancio negli Anni Sessanta per i giovani debuttanti, e riesce a vincerlo, fermo poi farsi squalificare perché l'età minima per partecipare è di 15 anni e lei ne ha solo 13.
Questo fatto però non riesce a farle cambiare opinione ed anzi continua a partecipare fino al giorno in cui riesce ad ottenere un provino discografico a Milano, dove giunge accompagnata dalla mamma e dal fratello Gianni.
Ma il provino va male, perché la ragazza ha un accento siciliano troppo marcato e quindi torna a Catania, dove comincia a perfezionare la sua pronuncia, smette di partecipare ai concorsi per fare invece numerose serate nei locali insieme ad un complesso che aveva formato ed al quale aveva dato il nome di "Ninetti di Giuda".
Durante una di quelle serate viene notata dal produttore Ivo Callegari, allora manager e produttore di Caterina Caselli, che le propone di entrare a far parte della CGD e Marcella non si lascia sfuggire l'occasione.
Lascia la Sicilia per trasferirsi a Sant'Ilario d'Enza, in provincia di Reggio Emilia, accompagnata dal fratello e dal suo complesso. Più tardi anche gli altri componenti della famiglia la raggiungeranno.
Entra in sala d'incisione per il suo primo disco, che contiene i brani "Il pagliaccio" e "Un ragazzo nel cuore", ma nemmeno lei è molto convinta di queste due canzoni ed il singolo passa completamente inosservato, nonostante sia stato inserito nel girone B del Cantagiro del 1969.
Il disco viene inciso con il suo nome e cognome, Marcella Bella.
La stessa sorte tocca al secondo singolo, con i brani "Bocca dolce", cover di "Sugar sugar" e "E' semplice": è l'anno 1969.
Marcella insiste presso la sua casa discografica perché vuole incidere una composizione del fratello, dal titolo "Montagne verdi", ma i tempi non sono ancora maturi e, nel 1971, si presenta alla Mostra Internazionale della Musica Leggera di Venezia, in gara per la Gondola d'Argento, con una composizione proprio dei fratelli Antonio e Gianni, "Hai ragione tu", perdendo il cognome che riacquisterà più avanti negli anni.
E Marcella ha proprio ragione, perché viene notata dal pubblico per la sua grinta ma al tempo stesso per la dolcezza del suo viso.
Tra i suoi sogni c'è quello di partecipare al Festival di Sanremo ed ecco che, nel 1972, questo sogno diventa realtà: insieme ad altre tre debuttanti, Carla Bissi (che diventerà poi Alice), Delia (che poi aggiungerà il suo cognome Gualtiero) e Angelica, arriva sul palco dell'Ariston.
"Montagne verdi" è una canzone con un ritmo dolce e trascinante e lei, non ancora ventenne, è affascinante e fresca con la sua chioma di capelli ribelli e il successo è garantito. Il brano convince, va in finale ed arriva in Hit Parade.
Il 1972 è un anno denso di partecipazioni a trasmissioni televisive e concorsi. Dopo Sanremo, Marcella viene iscritta al "Festivalbar", dove ottiene un discreto successo con "Sole che nasce, sole che muore", canzone dal ritmo tipicamente estivo e senza grandi pretese, ma che entra subito nell'orecchio della gente.
Sicuramente soddisfacente la sua partecipazione a "Canzonissima 1972": anche se non riesce a passare direttamente dal primo turno al terzo (in questa edizione, infatti, il cantante che si classificava per primo passava direttamente alla terza fase, l'ultimo veniva eliminato e gli altri due passavano alla seconda fase per una sorta di "spareggio"), la sua "Montagne verdi" riscuote comunque un buon successo. Al secondo turno presenta ancora "Sole che nasce, sole che muore" e viene un poco presa di mira dalla stampa per questa scelta. Infatti i giornali dell'epoca commentarono "non è ancora arrivata e già si brucia subito presentando i suoi successi". Ma Marcella va avanti ed arriva al terzo turno, dove canta una convincente ed appassionante versione di "Io vivrò (senza te)" di Lucio Battisti, con la quale raggiunge la semifinale. Si affida ancora alla coppia Bigazzi-Bella per la canzone inedita, dal titolo "Un sorriso e poi… perdonami", con la quale riesce a mandare a casa addirittura Caterina Caselli e la sua "E' domenica mattina" ed agguanta la finale del 6 gennaio.Non vince, ma il suo brano diventa un altro successo da Hit Parade. Il seguito della storia è noto a tutti.

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ROSARIO DI BELLA

Rosario Di Bella nasce a Zafferana Etnea (CT). Ha studiato pianoforte, medicina all'università di Catania e teatro all'Arsenale di Milano. Vive e lavora tra Roma e Milo, un paesino sulle montagne dell'Etna.


Dopo un lungo periodo passato in giro per il mondo a suonare con gruppi e formazioni di diversa estrazione, dove ha l'occasione di respirare musiche ed avventure musicali di differente provenienza e destinazione, approda nel 1987 al Festival di Castrocaro dove vince con il brano Sono Interessante. Vittoria che gli apre le porte ufficiali del mondo musicale. Il suo primo lavoro Pittore di me stesso (Emi) viene pubblicato nel 1989.
È un disco elettronico dove Rosario sperimenta sulla struttura della forma canzone e sui testi. Il lavoro viene presentato al "Club Tenco" e ottiene ottimi consensi da parte della critica. Tra i brani spiccano le composizioni Come se parlassero due amici, Bella come una rosa e Svegliati Maria.
Nel 1991 viene pubblicato il suo secondo disco Figlio perfetto (Emi).
È un disco riflessivo dove Rosario inizia a trasmettere la propria visuale della vita e del viaggio immaginario in un brano come Cantando e dove medita sull'esistenza in Figlio perfetto. È anche l'anno della guerra del golfo e Rosario respira l'odore della tragedia e ne racconta con il brano I soldati e le donne.
In questo stesso anno incontra Bungaro e Conidi, due cantautori coetanei e dopo una serie di concerti in giro per l'Italia nasce il progetto del trio Bungaro-Conidi-Di Bella che presenta il brano E noi qui (Bmg-It-Emi) al festival di Sanremo. Il brano diventa subito un grande successo popolare dopo essersi posizionato al terzo posto nella categoria dei giovani.
Nel 1993 torna a Sanremo in chiave solista con il brano Non volevo (Emi). Il brano segna anche il suo incontro con il produttore Greg Walsh.
Nel 1995 esce il suo terzo lavoro: Esperanto (Polygram). Un disco di grande apertura dove i testi sono molto diretti e i suoni meno elettronici. Nel lavoro in questione Rosario immagina che esista una grande anima comune a tutti i popoli del mondo e per questo chiama metaforicamente il cd Esperanto.
Esplorando il mondo dell'università di orientalistica di Torino, si documenta sul linguaggio e sulla musica cantata in esperanto ed approda all'idea di scrivere il chorus di Liberi, uno dei brani del disco, in lingua esperanto. Il lavoro contiene anche un hit radiofonico come Difficile amarsi e una canzone molto particolare: La casa del pazzo.
Dove affronta con grande poesia il mondo dei malati di mente: quel labilissimo confine tra normalità e follia. La casa del pazzo diventa anche un video clip alla cui realizzazione partecipano gli Ospiti dell'ex Ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano. Il video in realtà è un vero e proprio cortometraggio che infatti viene proiettato nel corso del tempo in numerose occasioni pubbliche e manifestazioni tra le quali il Festival di Recanati.
La sua musica alle soglie del 2000 torna a raccontare il suo mondo interiore, i suoi turbamenti, la sua vita, in un disco che respira però anche i dubbi del tempo, le incertezze, le cose perse, la difficile ricerca dell' equilibrio. Succede ne I Miei amici (Sony) dove si ascoltano brani come Il giorno del mio compleanno, I miei amici, Le cose perse.
Nel 2001 inizia un periodo di intense collaborazioni. Scrive per molti altri artisti (Meneguzzi, Patty Pravo, Godiva) e, affascinato da sempre dalle immagini, scrive soundtracks e musica per documentari (Voyager Rai 2).
A settembre del 2006 Rosario torna in scena come artista con il brano Invece No.
A gennaio del 2007 pubblica il singolo Portami via che anticipa l'uscita del suo nuovo lavoro discografico Il negozio della solitudine (Maremosso/Universo) in uscita per il 16 febbraio del 2007.

 

 

 

SUGARFREE

Gli SUGARFREE nascono come cover band nel 2000, a Catania, iniziano suonando nei locali, proponendo le cover del rock’n’roll anni ’50, il rithm’n’blues’, il funky. Ottengono un’immediata risposta positiva del pubblico, dando dimostrazione di notevole presenza scenica live, nonché di una non indifferente maturità musicale e artistica. Riescono così ad abbracciare parecchi stili e generi musicali: rock, pop, rithm'n'blues, jazz, blues, latino, funky e rock'n'roll. La loro ecletticità è stata determinante nella ricerca di elementi in grado di riprodurre sonorità particolari costituendo un gruppo compatto e allo stesso tempo di talento. Dai migliori pub di Catania, alle piazze dei maggiori centri siciliani, gli SUGARFREE coinvolgono con la loro musica centinaia di giovani che stravedono per loro. 

E’ grazie a questo loro successo che approdano al mondo della televisione locale siciliana, rilasciando numerose interviste ed esibendosi in 'live performance'. Nel 2003, Matteo Amantia, compie il suo ingresso negli SUGARFREE, (proviene da un’altra nota band locale, nella quale è leader da diversi anni) Matteo è alla ricerca di nuove esperienze e nuovi stimoli, con gli Sugarfree nasce subito un’intesa perfetta. “nell’ambiente musicale ci conoscevamo già, ci siamo incontrati nel momento in cui tutti noi avevamo l’esigenza di intraprendere un nuovo percorso musicale e tanta voglia di iniziare a scrivere e proporre brani nostri”. Gli SUGARFREE, iniziano a buttar giù qualche idea di brano inedito, collaborando anche con altri giovani autori, e ben presto sentono la necessità di entrare in studio di registrazione cercando un filo conduttore nella loro musica, riescono a scrivere un gran numero di belle canzoni inedite diventando una delle band più promettenti nel panorama nazionale. Il loro primo successo ‘Cleptomania’, lo hanno inciso nello studio di registrazione di Matteo (il cantante), l’idea del “morbo incurabile”, è di Davide Di Maggio (giovane autore che collabora con loro). “ Davide ci ha proposto il brano, noi lo abbiamo sentito subito nostro e lo abbiamo arrangiato in studio...ci piaceva l'idea di parlare d'amore in maniera non consueta, ma così'maniacale'".

 

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BRANDO

Orazio Grillo in arte Brando, musicista catanese, inizia la carriera artistica a 17 anni con il gruppo dei Boppin' Kids che, in breve, grazie a tre album e all'attività concertistica, diviene fra i più rappresentativi del panorama rockabilly italiano (travolgente, ancora oggi, la loro cover di Tainted Love). Ben presto, però, l'autore muta stile indirizzandosi verso un genere musicale più orientato verso il rock statunitense d'ampio respiro.
La carriera solista prende il via nel 1992 con l'album Santi e peccatori. L'album è prodotto dal compianto Francesco Virlinzi e registrato Waterbird Studio di Catania con l'assistenza di George Cowan (già dietro gruppi quali R.E.M. e 10.000 Maniacs). Trainato dai singoli Donne in amore, composto dall'amico Kaballà, e Oh Mary, il lavoro si pone subito all'attenzione degli addetti ai lavori. Il giovane autore catanese comincia quindi a farsi notare, grazie anche all'attività live in qualità di supporter a musicisti quali Vasco Rossi, Bryan Adams, Sting e, qualche anno dopo, Simple Minds.
Il successivo lavoro è del 1994 e porta il titolo di Fuori dal branco, e segna una tappa fondamentale per l'artista catanese, portandolo a contatto con una realtà di spessore ben più elevato. Registrato in parte ad Athens, l'album si avvale infatti del supporto tecnico in fase di registrazione di Gary Rindfuss, nonché di collaborazioni eccellenti d'oltreoceano quali quella di Mike Mills dei R.E.M.. L'impronta sonora conferita all'insieme, di chiara ispirazione statunitense, è molto curata, tanto da far sì che l'album in questione sia considerato come uno dei migliori dell'autore catanese.
Nel 1997 esce Buoni con il mondo. Un'opera importante nella carriera di Brando, non solo per la maturità che emana da ogni singola traccia, ma anche perché segna il distacco da Virlinzi. In cabina di regia, questa volta, troviamo infatti Mauro Pagani, il quale darà una connotazione meno "internazionale" al lavoro, ma non per questo meno rock e interessante, grazie anche all'apporto di musicisti di notevole caratura artistica, molti dei quali provenienti dall'entourage di Fabrizio De André. La critica, ancora una volta, è prodiga di commenti favorevoli.
Nel 1998, sotto il nome Strych9, con la complicità del batterista Emilio Catera e dell'ex Denovo Toni Carbone (sotto lo pseudonimo Consuelo), Brando rievoca lo spirito rock 'n roll e punk dei Boppin' Kids con l'album Toxicparty.
Tuttavia, alla ricerca di nuovi stimoli, un nuovo cambio di rotta è alle porte. Grazie all'incontro con Jovanotti e Saturnino, la musica di Brando abbandona le highway statunitensi per farsi più solare ed approdare verso le atmosfere latine di un genere più leggero ed immediato. La collaborazione tra Brando e Lorenzo Jovanotti darà parecchi frutti. Il primo sarà l'album No autostop, cui seguirà un'intensa attività live durante il Capo Horn Tour. Nel 2000 Azucar moreno, Sin corazon (Malavida) e La mia vita, saranno programmatissimi dalle radio, tanto da valergli la partecipazione al Festivalbar e la riedizione del precedente album con l'aggiunta delle hits in questione e un nuovo titolo: Azucar moreno. Impegnato nella collaborazione al programma di Italia 1 "2008", seguirà comunque Se ci credi, altro singolo di successo, e la composizione di Sei volata via, che verrà portata al successo da Ron.
Raggiunto un discreto successo, tuttavia, per Brando segue un periodo di allontanamento dalla prima linea delle scene musicali, concentrandosi sull'attività di produzione e management discografico.
Il silenzio è interrotto nel 2005, quando Tav Falco lo chiamerà al suo fianco in qualità di musicista. Brando sembra essere quindi pronto al rientro sulle scene. Il nuovo progetto, dal sapore rock, prende il nome di "Brando & Congopower" che, dopo la presentazione live, nel 2006 sfocia in un nuovo album: Boogie nights.

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UMBERTO BALSAMO

Cantautore catanese attivo principalmente negli anni '70. Raggiunto subito un buon successo con Se fossi diversa del 1972, partecipò nel 1973 al Festival di Sanremo nel 1973 con Amore mio, che ottenne un buon piazzamento e un discreto riscontro commerciale. Da allora, per tutto il decennio i suoi successi furono diversi. I brani più conosciuti sono Bugiardi noi, 3° posto nella hit parade e soprattutto L'angelo azzurro, canzone che raggiunse il 1° posto, rimanendovi per ben 6 settimane. Il brano fu uno dei grandi successi del 1977, (28 settimane in hit parade). Nel 1979 l'ultimo grande successo con Balla (18 settimane in classifica). Negli anni '80 ha scritto brani soprattutto per altri. Alcuni suoi brani sono parecchio imbarazzanti; in special modo Futuro per Orietta Berti ("... a voi russi e americani / io non delego il suo domani..."), Italia per Mino Reitano, Nascerà Gesù per i Ricchi e Poveri.

 

BRIGANTONY

"IL CANTASTORIE DEL SUD-ITALIA, IL MICIO TEMPIO DEL 2000, CON GLI OCCHI APERTI SULLE DISGRAZIE CHE AFFLIGGONO IL MEDITERRANEO… BRIGANTONY!"
Un artista come Brigantony non è raro nel suo genere, ma del suo calibro non può essere raggiunto da nessuno. Per la cronaca, Antonino Caponnetto (Catania, 1950) è la leggenda del folk catanese, famoso in Sicilia, meno nel resto dell'Italia, tantissimo all'estero. Il suo repertorio è basato maggiormente su canzoni dialettali molto volgari e che, a volte, sono parodie di pezzi famosissimi.
Quello che mi ritrovo a recensire (A'Ciolla) è l'ottavo album su 47 prodotti dal 1976 a oggi (raccolte comprese), e , lasciatemelo dire, si tratta del capolavoro dell'artista siciliano. È un disco eccezzionale, un opera unica, divertentissima, graffiante, satirica, volutamente stupida e volgare (e quando mai!). Il primo brano "Stuppai Na Fanta"(Italiano: "Ho stappato una Fanta") non è altro che la parodia del celebre brano degli Europe "The Final Countdown"; musica identica, testo insensato e diffamatorio. A dir la verità questa è forse la canzone meno importante dell'album, anche se è la più famosa. La satira vera e propria comincia con la sbalorditiva "Mi Vulissi Maritari" (Italiano: "Vorrei Sposarmi"), uno spaccato della società italiana (non solo siciliana!) che coniuga rime e ritornelli irresistibili. Il controcanto(?!…in realtà battute parlate!) è affidato al solito gay di turno (succede molto spesso nelle sue canzoni).
Altri sprazzi di satira in "Comu Ci Mangia"(Italiano: "Ci fa molto prurito"!), ballata avente tema le "pulsioni" sessuali dei giovani d'oggi e in "A Machinedda"(Italiano: "La macchinetta"). Ma il pezzo che convincerebbe Elio e Le Storie Tese e artisti simili a ritirarsi dalle scene (Le loro canzoni in confronto sono scherzetti musicali!) è la memorabile "O Pa Cche Bellu u Cinima" (Italiano: "Papà, ma che bello il cinema!"… ovviamente in siciliano questo titolo è tutto un gioco di parole nel quale si nasconde un accenno al solito organo sessuale femminile!), pezzo da antologia, un folk/rap frizzante, scattante, energico, improbabile, la classica canzone che non ti stancheresti mai di ascoltare per la sua impressionante struttura: uno dei pezzi migliori di tutto il repertorio di Brigantony.

 


La sua musica è popolare: la maggior parte della sue canzoni sono degli adattamenti in siciliano di canzoni famose (cover), come ad esempio "Stuppai na Fanta" (basata sul celebre brano "The final countdown" degli Europe), forse la sua cover più famosa.
In questo è stato il primo in Sicilia e decine di altri autori, negli anni, lo hanno seguito.
Il suo genere spazia dalla classica tarantella siciliana al rock ed al pop.
Tra i Premi che ha ricevuto si ricordano: il Personaggio più gettonato del 1982 per le radio libere siciliane; la medaglia d'onore di Milano nel 1985; I grandi della Sicilia 1990 (in Australia); Divulgatore della canzone siciliana nel mondo nel 1995; premio al personaggio ne "La Sicilia che sorride" del 2001.
Ecco, fino ad adesso avrò dato l'impressione di aver recensito un cantante dialettale sulla falsa riga di Gigi Finizio, Gigi D'Alessio e smielataggini varie. In realtà l'unico difetto che si può rimproverare alla musica di Brigantony è di essere poco… esportabile!
(babyburdoc)

 

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BEANS

Pier Paolo Cristaldi, Carmelo Morgia, Pippo Panascì, Tony Ranno e il nuovo aggiunto Alex Magrì.
Hanno raggiunto una certa notorietà derivatagli soprattutto da un impasto vocale "particolare".
Gianni Bella fu il loro primo produttore.
Scelse per il loro lancio il revival di "Come pioveva".

 

Fu un grosso successo della Hit Parade, con più di mezzo milione di copie vendute.
Seguirono canzoni inedite, quali: "Sto Piangendo" e "Cara", due successi presenti nell'alta classifica delle "hit parade" per varie settimane.
Il '77 fu un anno molto fortunato per i Beans; il successo li portò in Canada, Stati Uniti e Sud America dove per molti mesi furono nelle classifiche dei dischi più venduti.
Nel noto brano "non si può morire dentro" cantato da Gianni Bella, vi incisero i loro cori particolari .
Al festival di Sanremo del 1978 presentarono l'eccellente "Soli", scritto da Antonio e Gianni Bella, ottenendo un ottimo riscontro di vendite.
Per questi ed altri successi sono ancora oggi sulla "cresta dell'onda".
Nel 1996 hanno realizzato un prodotto ( Ever green ), distribuito dalla Sony Music , destinato soprattutto al mercato europeo.
Continuano a partecipare a programmi televisivi (su RAI e Networks) come : "Le stelle del mediterraneo" ( TMC); "L'antifestival" (TMC); "Napoli prima e dopo" (Rai1); "Anima mia" (Rai2); presenti su TMC con la sigla finale del programma "Il processo di Biscardi". Di recente e per diverse volte, a "La vita in diretta" il programma (Rai) ottimamente condotto da Michele Cucuzza
Nel 2002 si presentano sul mercato con un CD contenente, tra gli altri eccellenti brani, l'accattivante "Heaven must be missing an angel" (dei Tavares gruppo anni '70) , riportato al successo dai Beans in una ottima versione italiana con il titolo "Stelle".
Incoraggiati dal successo ottenuto, durante i loro tours, I Beans nell'estate 2005 , mettono sul mercato un nuovo CD: " Beans per sempre " .
Una miscellania di sapori : beans style e musica latina.

 

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LAUTARI

Se il rock incontra il folk siciliano
I Lautari in concerto con Carmen
La storica formazione popolare in un inconsueto progetto che fonde musica leggera e suond mediterraneo. "Un incontro storico come quello tra De Andrè e Mauro Pagani", lo definisce il musicista catanese. Riflessioni e confidenze di un'amicizia "in note" nata da tempo: "La Consoli - racconta - veniva ai nostri concerti"
Il gruppo dei Lautari è il prescelto da Carmen Consoli per il suo nuovo progetto acustico. Un bel salto per la ragazza catanese che nel 1996 debuttò a Sanremo con la 'rocchettara' "Confusa e felice". Da stasera - concerto numero uno del suo nuovo tour italiano, Palasport di Palermo - sul palco accanto a lei non solo batteria, basso elettrico e Yamaha laccata in rosso, ma anche chitarre acustiche, flauto, fisarmonica, contrabbasso e tammorre. Insomma, il suond della migliore tradizione mediterranea.
Ma - verrebbe da chiedersi - al gruppo di musica popolare nato a Catania nel 1987, uno di quelli che più di altri ha riportato alla luce la tradizione sonora della nostra Isola, chi gliel'ha fatto fare di mettersi con una cantante di musica leggera? "Trovo che sia superficiale separare rock e acustico, come se si trattasse di due universi diversi", precisa subito Roberto Fuzio, (nella foto il primo a sinistra) uno dei fondatori dei Lautari. Insieme a lui, altri cinque musicisti, Gionni Allegra, Puccio Castrogiovanni, Salvo Farruggio, Enrico Luca, Antonio Catalfano e Salvo Carruggio, "tre del nucleo storico e tre esordienti aggregati", precisa ancora.
Beh, però tutta l'attenzione della stampa è rivolta su Carmen, ma la decisione di seguirla appare in verità ancora più inconsueta per una formazione come la vostra.
"Vuoi sapere cosa penso? Dico che questo è un incontro storico, come quello tre Fabrizio De Andrè e Mauro Pagani. Non può che uscirne che qualcosa di particolare".
Ma avete avuto modo in passato di suonare con Carmen?
"Certo, l'abbiamo accompagnata l'estate scorsa a Roma nel grande concerto Italia-Africa dove lei ha cantato un pezzo nostro. Il vero connubio però è nato quando Carmen ha aperto la sua etichetta discografica Due Parole-Narciso con la volontà di partire da qualcosa di catanese, con la musica della sua terra. Così ha scelto di produrre il nostro lavoro, 'Anima antica'. Poi si è talmente innamorata di noi - e noi di lei - da voler costruire un progetto comune".
Dal punto di vista non professionale, invece, che tipo di rapporto avete instaurato?
"Non è per dire le solite frasi fatte, ma tra me e lei c'è una vera amicizia. Mi viene da sorridere se penso che Carmen da ragazzina veniva ai nostri concerti! Quest'ultimo lavoro che condividiamo., poi, è stato concepito attraverso un'intesa straordinaria".
Siate sinceri, però, non vi infastidisce avere una 'signora' della musica leggera, per di più estranea alla vostra formazione, come leader?
"Ma no! E' vero che la "cantantessa" è una figura molto carismatica, ma è anche una ragazza dolcissima. Non si è mai imposta al gruppo con arroganza e lo spettacolo stesso è frutto della collaborazione di tutti: ci siamo influenzati a vicenda. La Consoli, insomma, è una che si fa valere, ma solo per le cose che contano veramente".
Come convincerete il pubblico a venire al vostro concerto?
"Vi anticipo solo che saremo noi Lautari ad aprire la serata, con cinque brani popolari 'rubati' al nostro repertorio. Poi arriverà Carmen e le nuove canzoni composte pensando alla sua Sicilia. Spazio ai vecchi successi e infine il momento per me più emozionante: la poesia di Peppino Impastato, 'Ciuri di campo' che il nostro gruppo ha musicato qualche tempo. E sarà propio la nostra brava voce femminile ad interpretarla. Mi vengono i brividi a pensare che giusto stasera è l'anniversario della morte di quel coraggioso giovane ucciso dalla mafia. Una coincidenza, credetemi. Dai, vi aspettiamo!"
Maria Angela Vacanti (9 maggio 2006)

 

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ARCHINUE'

Il nome: "archinuè" è una parola del siciliano antico (letteralmente “Arco di Noè”) che indicava l’arcobaleno.

Il gruppo si forma nel lontano 1991 dall’unione di quattro “soggetti” assolutamente ignari di ciò cui sarebbero andati incontro. Dalla prima esibizione in pubblico, sapientemente organizzata nella casa di campagna del cantante per il piacere di pochi intimi costretti ad ascoltare, alle partecipazioni più importanti, fino alle ultime apparizioni “plateali”, ciò che ha caratterizzato i quattro musicisti è stato l’entusiasmo, la voglia di suonare, di comunicare attraverso la propria musica, di divertirsi facendo divertire.
L ’otto marzo 2002, dopo la partecipazione al Festival di Sanremo (in cui al gruppo vengono assegnati il “Premio della Critica” e il “Premio Sala Stampa Radio-TV”) esce il primo lavoro discografico, un cd, dal titolo “Oltremare”, che raccoglie insieme alla scanzonata “La Marcia dei Santi” altri quattordici brani frutto di dieci anni di esperienze, di emozioni, di sogni, di incontri fatti ,durante la lunga ma piacevole gavetta.

La naturale “escalation”, che ha visto gli Archinuè protagonisti di manifestazioni e programmi televisivi

La naturale “escalation”, che ha visto gli Archinuè protagonisti di manifestazioni e programmi televisivi quali Sanremo Giovani (novembre 2001), Festival di Sanremo (marzo 2002), Sanremo Top (aprile 2002), Un Disco per l’Estate (giugno 2002) e quant’altro, ha portato il gruppo ad una popolarità non indifferente ed a molteplici riconoscimenti da parte degli addetti ai lavori e del grande pubblico.

Il gruppo è composto da Ciccio(voce e chitarre; Pasqualino(plettri e chitarre); Michele (basso e fiati all'occorrenza); Dario(batteria e percussioni). Il loro genere ha conquistato il pubblico e nel 2002 con "La marcia dei santi" vincono il Premio della Critica della 52°edizione del Festival di Sanremo.

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LUCA MADONIA

Nato a Catania , Luca Madonia è fra le realtà più interessanti scaturite dalla frizzante scena musicale della città siciliana. Una scena che ha portato alla ribalta, di recente e non, un interessante ventaglio di musicisti , cantautori, gruppi di ogni genere musicale conosciuto. Inizia la sua carriera insieme al fratello Gabriele e ai musicisti Mario Venuti e Toni Carbone, fondando il gruppo dei Denovo, nei quali da chitarrista si alterna al canto con Venuti. La felice avventura della band dura cinque album, fra il 1984 e il 1989: "Niente insetti su Wilma", "Unicanisai", "Persuasione", "Così fan tutti" e "Venuti dalle Madonie a cercar carbone", prodotto da Franco Battiato. A questo punto, siamo nel 1990, il gruppo si scioglie e Luca Madonia si sente pronto per la carriera solista. Senza ripudiare lo stile dei Denovo, ma anzi arricchendolo e personalizzandolo, incide così i primi lavori a suo nome: prima "Passioni e manie" (1991), poi "Bambolina" (1993) e "Moto perpetuo" (1994). Tre album subito apprezzati dalla critica, che indica in lui uno dei cantautori più interessanti e promettenti del pop italiano.
Dopo un periodo di riflessione arriva il nuovo lavoro di Luca Madonia: un mini CD, "Solo" il titolo, con tre brani che rappresentano in pieno ciò che l’artista intende essere adesso. Nel 2002 torna finalmente a pubblicare un nuovo album intitolato "La consuetudine", anticipato dall’omonimo singolo, sigla del programma di RadioRai "Hobo" di Massimo Cotto, e che vede la partecipazione di Franco Battiato, Carmen Consoli e Mario Venuti. L'album riscuote un notevole successo di critica e di pubblico ed è seguito da un tour che porta Luca a toccare gran parte delle regioni italiane. Nel 2003 esce un ulteriore mini CD dal titolo "5 minuti e poi" liberamente ispirato alla colonna sonora del film "Perduto amor" di Franco Battiato (e che include l'inedito "La strada" ed un brano dei Denovo "Buon umore") e nel 2004 la raccolta L'essenziale proposta in tutte le edicole ad prezzo speciale ed ora in vendita on-line. Nel 2005 Luca è impegnato, insieme all'amico ed autore del testo Jonathan Giustini, nella presentazione del libro "Tempi di libero rock" dedicato interamente alla storia dei Denovo e della Catania rock. Nel 2006 esce Vulnerabile, il nuovo album di inediti.
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ETTA SCOLLO

Nell’infanzia e giovinezza di Etta Scollo si sono impresse le influenze musicali più diversificate, in particolare quella legata alla passione del padre per il Jazz, e in generale quelle provenienti dal suo crescere a contatto con la cultura popolare siciliana.

La nonna suonava il mandolino e in giovinezza improvvisava con le due sorelle (voce e chitarra) pomeriggi musicali nel terrazzo di casa, lasciando in estasi i passanti che si fermavano ad ascoltare.

Il padre, proveniente da una famiglia contadina, da ragazzo suonava il clarinetto nella banda del paese ma il suo vero talento era nella voce. Spesso la sera veniva richiesto sotto i balconi a cantare serenate alle ragazze da marito per conto di giovani pretendenti. Negli anni vissuti in Inghilterra sul finire della guerra si ritrovò a cantare, nei Musical organizzati dai militari, un repertorio che spaziava da Billie Holiday a Frank Sinatra. Tornato in Italia coltivò questa sua passione cantando e suonando occasionalmente la chitarra in un gruppo semiprofessionale.

Etta ha un ricordo curioso di quella prima chitarra elettrica un po' rudimentale del padre: essa possedeva un amplificatore incorporato, e questo, grazie alla prossimità di una potente antenna di diffusione, la faceva funzionare anche da radio, cosicché la famiglia Scollo ascoltava la domenica, dalla chitarra trasformata in radio, „Il gazzettino di Sicilia“ notiziario regionale. Era la stessa chitarra con cui il padre la accompagnò nel suo debutto canoro all’età di 6 anni in un festival per bambini.

Erano gli anni ’70 e casa Scollo era un porto di mare per la musica. Lì si riunivano gli amici, dei fratelli quelli più giovani, dei genitori quelli adulti, improvvisando interminabili serate musicali di un repertorio che andava dalla canzone d’autore della scuola genovese a quella di tradizione napoletana di Roberto Murolo, passando per i Beatles ed i Rolling Stones. Anche Etta si appassionò alla chitarra, con cui scriveva i suoi primi brani e imparava i segreti della canzone popolare, attraverso le ricerche musicali di Roberto Leydi, o dei canti di Giovanna Marini o, ancora, di Rosa Balistreri.

Malgrado ciò l’idea di una carriera musicale era per lei ancora lontana. Solo a Torino, dove aveva intrapreso gli studi di Architettura, verrà a contatto con il mondo del blues, in particolare quello di Little Walter e di Big Mama Thornton che diverranno il suo modello stilistico di quel periodo. Un concerto con la sua prima formazione la porta a Vienna e qui, se da un lato si dedica agli studi di canto del conservatorio, dall’altro fa esperienza dal vivo, accompagnata dal „Joachim Palden trio“, nei Club di mezza Europa. Si alternano in quegli anni esperienze che consolideranno il suo carattere musicale: uno Stage vocale con la cantante lirica Gabriella Ravazzi, l’assegnazione del primo premio al Festival Jazz di Diano Marina (diretto dal pianista jazz Giorgio Gaslini) e la collaborazione discografica con il sassofonista Eddie Lockjaw Davis. Sarà ospite di concerti e tournee accanto ad artisti quali Sunnyland Slim o Champion Jack Dupree e farà tesoro di esperienze canore sui palchi di Chicago, New York e New Orleans. Ma gli anni ’80 segnano anche il fermento di nuovi stili musicali e Vienna è piena di talenti della Jazz-Fusion, del Funky, del Punkrock. Etta si sente attirata dall’improvvisazione vocale, frequenta uno Stage al conservatorio di Graz con Bobby McFerring e Sheila Jordan. Scrive brani a quattro mani con Heiri Känzig, il contrabassista dell’allora „Vienna Art Orchestra“, sperimenta il be bop per Contrabasso e voce, è ospite di alcuni concerti del pianista Roland Batik.

Dall’incontro casuale con produttori dell’ambiente pop nasce una collaborazione musicale e la registrazione, quasi per scherzo, del brano „Oh darling“ di Paul Mc Cartney, da Etta rielaborato in lingua italiana, che si classifica subito al primo posto della Hitparade austriaca.
Più cresce la sua popolarità, più Etta se ne allontana e ricerca, viaggiando, il filo di un discorso musicale interrotto. Lo ritrova in Sicilia, dove ritorna a causa della malattia del padre. La nuova situazione rafforza in lei il desiderio di un ritorno alle origini.
Dopo un ultimo adempimento discografico per la EMI-Austria Etta focalizza la sua attività su una serie di concerti acustici, accompagnata dal pianista Robert Gutdeutsch e dal batterista francese Patrice Heral, approfondisce le sue conoscenze di tecnica vocale e si dedica all’insegnamento.

Alla ricerca di nuove ispirazioni, Etta segue il suo compagno ad Amburgo, nella città che ha dato i natali a spettacoli quali „Black Rider“, le cui musiche portano la firma di Tom Waits, o „Time Rocker“ con quella di Lou Reed. Etta prova qui altre strade, cimentandosi insieme al batterista Matthias Kaul, del gruppo di musica contemporanea „L’art pour l’art“, nella rappresentazione di „Palimsest“, un brano per voce e percussioni scritto dal compositore Hans-Joachim Hespos su testi di Ezra Pound. Il brano, rappresentato più volte in festival di musica sperimentale, ha successo e raccoglie il favore della critica.

Ma in questo nuovo periodo Etta scrive quasi per se stessa un diario di ricordi che diventano canzoni sotto la regia del compositore di musica da film Christoph M. Kaiser. Ne nasce il CD „Blu:“ incoronato dagli arrangiamenti di Wil Malone per la „London Session Orchestra“ di cui due brani saranno scelti come colonna sonora di due Film di fama internazionale: „Für immer und immer “ di Hark Bohm fa suo il brano „Come la pioggia“ e „I tuoi fiori“ verrà scelto solo nel 2002 per il film „Bad guy“, del coreano Kim Ki-Duk, presentato alla „Berlinale“(festival internazionale del cinema, Berlino).

La musica da Film prende posto nel suo mondo: Etta improvvisa texture vocali per le immagini del film „Jenseits der liebe“ del regista Matti Geschonneck, musiche di Stephan Zacharias (ZDF/Arte), e per il film della francese Anne Alix „Dream Dream Dream“, musiche di Frank e Stefan Wulff.

L'attività concertistica di questi anni l'ha resa popolare nei paesi di lingua tedesca. Con la realizzazione dei successivi CD "Il bianco del tempo" (interamente registrato a Venezia), "In concerto" (registrato dal vivo al teatro Tivoli di Amburgo, con la partecipazione dell'orchestra d'archi femminile "Musica nostra") e "CASA", Etta conferma il suo stile personalissimo e naturale, fuori dagli schemi convenzionali del mercato discografico.

Vive attualmente fra Berlino e Catania dove si dedica alla composizione e alla ricerca musicale nell'ambito della musica tradizionale.

Il trionfo dei concerti sinfonici intitolati Canta Ro' tenutisi nel luglio del 2004, nell'ambito della stagione estiva palermitana, interpretati da Etta Scollo ed eseguiti dall'Orchestra Sinfonica Siciliana diretta dal maestro Angelo Faja, hanno confermato l'attualità della musica tradizionale siciliana, finora conosciuta solo da un pubblico ristretto.
Il CD dal vivo die concerti è stato nominato per il "Premio della critica discografica tedesca 2005" e il Premio RUTH 2005. Canta Ro' è stato eseguito da prestigiose formazioni quali la "Ensemble Resonanz" di Amburgo e l'Orchestra Filarmonica di Baden-Baden.

Su richiesta del suo pubblico affezionato, Etta Scollo presenta quest'anno un nuovo album registrato durante la sua ultima tournee in trio, una versione intima della precedente pubblicazione orchestrale.

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RITA BOTTO

Rita Botto non arriva dal nulla. E' al suo primo disco, ma dietro ci stanno anni di lavoro, prima nella natia Sicilia (è nata sulle pendici dell'Etna), poi a Ferrara e infine a Bologna, dove si è recata a insegnare canto, inserendosi nell'ambiente musicale locale, ma senza mai perdere i contatti con la Sicilia e soprattutto con il siciliano, "una lingua che suona", come lei stessa la definisce

"Stranizza d'amuri" quindi è un album di canzoni siciliane, ma (già prevengo il rimbrotto: "che palle! Un altro disco di musica etnica!") non è un disco di musica etnica. Come dice la stessa Rita nell'intervista che le abbiamo fatto, l'approccio è trasversale. "E' un disco a rombo, un disco che vaga". Un po' l'inquetudine e la curiosità della stessa Rita, un po' un gruppo di musicisti che l'accompagna dal coté jazzistico pronunciato (Teo Ciavarella al pianoforte e tastiere, Felice Del Gaudio al basso e contrabbasso e Ruggero Rotolo alla batteria che preferibilmente suona con le mani) a cui si aggiunge in alcuni brani al sax Antonio Marangolo danno al suono una deriva non esattamente identificabile, mentre Alfio Antico, presente voce e tamburo in un brano di cui è anche autore, e Fabio Tricomi con mandolino e friscaletti, tengono strettamente legato il disco a terra e mare.

Il fascino è costante, per cui si fatica anche a scegliere fior da fiore, ma i brani vanno almeno raccontati. A partire da quello che dà il titolo al disco, "Stranizza d'amuri" che è di Franco Battiato, da "L'era del cinghiale bianco" del 1979, ma che qui torna a nuova vita, forse superiore all'originale, per l'intensa partecipazione di Rita nel canto. Il sax di Marangolo intinge di color seppia la musica già di per sè evocativa. Pianoforte, fisarmonica, contrabbasso e spazzole completano il panorama. E' una meravigliosa canzone d'amore a cui non si può resistere.

Compiendo un balzo nella tracklist, ma non nelle atmosfere, atterriamo dalle parti di "Sirena 1 e 2" dal fascino particolare che può avere il mare quando uno strato di nebbia ne sfuma i contorni. Non ci deve essere sole per vedere le sirene. Sennò che incanto sarebbe? Devono bastare le voci. E anche qui, anche questa volta, bastano. "Sirena 2" poi allunga i suoi tentacoli per 9'05" per non lasciare niente di intentato alla malia prima della chiusura del disco. Nove minuti di brividi crescenti.

Cambiamo adesso completamente atmosfera e clima. Torniamo al sole e scogliamo la lingua con lo "Scioglilingua" impraticabile che Rita ci propone. Un esercizio di bravura che ricorda quello di Mina in "Brava". La voce che si trasforma in strumento percussivo che accelera o rallenta i battiti e si scioglie in canto popolare. Solo voce. Nessun altro accompagnamento che la propria bravura. "Cu ti lu dissi" di Otello Profazione resta sullo stesso tema, affrontato a pieno jazz, come pure la strasentita "Ciurì ciurì" una volta tanto proposta in una versione che le rende giustizia.

Mimmo Modugno fornisce la stupenda storia del pesce spada, separato dalla compagna che sceglie di morire con lui. "Lu pisci spada", grande storia d'amore in chiave ittica! Ne parlano ancora in tutti i mercati del pesce. Non solo alla Vucciria. Modugno aveva già fatto quanto di meglio si poteva pensare. Era difficile migliorarlo. Rita quasi ce la fa. "Avò" è invece una ninna nanna di Rosa Balistreri, tesa come una corda di violino e arricchita dal suono del djdjieridu e dagli "uccellini" di Cristian Lisi: un cristallo splendente.

Restano i 5 minuti e 51 secondi di Alfio Antico e dei suoi tamburi in "Storia antica". Tamburo, sax e voce: nulla più. Rita la definisce così: "Alfio è una persona splendida, una forza della natura! La canzone sua è fuori dall’usuale …Ha staccato completamente. E’ una canzone molto strana, va per i fatti suoi. Fuori dallo schema inciso-strofa-ritornello, con i tempi suoi, un po’ libera … larga". E credo non ci sia niente che si possa aggiungere. Bisogna solo sentirla.

Bellissime infine le due poesie: "L'amuri" di Nino Martoglio e "Dimmillu doppu" di Ignazio Buttitta e convincente la resa recitativa di Rita. mentre della "Mavaria" se n'è già parlato: è la malia che affascina e strega, il filtro d'amore che non perdona. Ma state attenti! Avverte Rita che il filtro colpisce anche da lontano. Basta ascoltare il disco per caderne vittime. E allora vi stupite che questa recensione sia un po' di parte? Non è colpa mia. Scrivo sotto malia!

Giorgio Maimone (bielle.org)

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www.ritabotto.com

 

 

RADIOVINTAGE

La forza del loro sound nasce dal connubio tra il rock’n’roll e le melodie degli anni ’60 con il rock puro degli anni ’70 in una veste assolutamente  originale, basata su continui riferimenti stilistici e sonori dal look rigorosamente Vintage!

“Cinque ragazzi senza tempo…”:

DIFFERENTI IN QUANTO VINTAGE Quattro amici spinti dalla stessa passione nel 2004 decidono di creare un progetto inedito con l'intento di realizzare un unico grande sogno: EMOZIONARE il pubblico con le loro canzoni Alfio Consoli(voce) - Mario Indaco(chitarre) Anthony Panebianco(tastiere) - Max Firetto(batteria)
2005 Finalisti al Festival di San Marino e al Tim Tour col brano "Come Prima"
2007 Marzo 1° posto web-contest NOKIA TRENDS LAB con il brano "Libero ovunque io sia" Settembre-Novembre Web-Single "L'Acquario" - CMP Italy 1° in classifica su i Tunes Music
Dicembre Nella settimana di Natale 2007 il singolo entra nella TOP FIVE DIGITAL DOWNLOAD ITALIA: L'Acquario è il 3° brano più scaricato (a pagamento) in Italia.
Il singolo resta per 10 settimane nella TOP 50 SINGOLI ITALIANA e viene suonato da diverse Radio regionali medio-grandi ottenendo un significativo riscontro da parte del pubblico
Il 23 Dicembre 2007 i Radiovintage sono Finalisti (5° posto) al Festival di SANREMO ROCK 2007 con il brano "Bilaterale" 2008 Attualmente i ragazzi sono impegnati nella realizzazione del loro primo Album con l'intento di far conoscere al grande pubblico il loro rock vintage! ----- "Chi ha un perché abbastanza forte può superare qualsiasi come"

 

 

 

 

 

SISSY CASTROGIOVANNI

 

Casa Russo, una domenica più luminosa di altre. Un papà chiama a sè Matteo, Oriana e Carola: sta per venir giù una di quelle storielle favolose che fan luccicare i loro sguardi. 

«Sissy –attacca babbo Alessandro- è una bimba incantevole nata in un paese non distante da qui. Casa sua si trova di fronte allo specchio d’acqua marina che accarezza i faraglioni sotto lo sguardo burbero del maestoso Mongibello. Passano anni, la ragazza cresce e comincia a cantare ma lo fa di nascosto, quando nessuno la può sentire. Ha un talento innato: è brava ma ha paura d’esser presa in giro. Finita la scuola, s’iscrive all’università; studia genetica, gioca a pallavolo, esce con gli amici. Dopo un po’ si stufa di pianificare la sua vita e d’improvviso molla tutto. “La passione -ammette un pizzico tormentata- è la più grande fonte d’energia che c’è, senza di quella non si va da nessuna parte. È come un treno che va inseguito senza lasciarsi spaventare dai luoghi comuni che vengono raccontati.  È la chiave per essere felici e vivere al meglio la propria vita”

Una mattina piena di sole, la giovinetta prende l’aeroplano e atterra in America, in una città chiamata Boston. In pochi giorni conosce persone dell’intero pianeta mentre bravi compositori le fanno ascoltare jazz contemporaneo e world-music e poi il fado portoghese, il flamenco spagnolo, melodie arabe e greche. Ognuno porta una diversa cultura, la signorina impara cose nuove e si sente felice. Tuttavia, benché distante, s’avvicina alle radici, alle tradizioni, all’essenza pura dei suoni dell’isola lontana che rimane il suo luogo dell’anima. Spesso ella pensa al paese d’origine, d’estate attraente più d’una bomboniera e d’inverno identico a un presepe. Le tornano in mente le canzoni apprese ogni santo giorno da bambina: pian piano tutti i pezzetti del puzzle si piazzano al posto giusto. Il primo componimento è “Comu lu mari da Trizza”, una soave melodia jazz con influenze mediterranee e sicule. Il testo in dialetto vi fluisce armonicamente e il ritmo che ne scaturisce possiede una forza d’urto magica al punto che chi si concentra all’ascolto sovente scorge qualche angioletto danzare. Cantando “E vui durmiti ancora” Sissy grida l’amore per la Sicilia e rafforza la propria personalità; con una voce sferzante provoca brividi intensi, fa vibrare le onde del cuore e offre la migliore espressione di sè. In quest’istante la nostra principessina giramondo pianta gioiosa la bandiera di Trinacria nel Nuovo Continente e ne innalza al vento il vessillo».

«Il mio ultimo lavoro –in linea Sissy Castrogiovanni dal Massachusetts- risente del forte legame con la mia terra natia ed è un inno alla sicilianità. Esprime il sentimento che sposta le montagne e permette di raggiungere l’obiettivo desiderato: la passione. S’intitola ‘Intra lu munnu’ e sta riscuotendo molto interesse nella critica per il connubio tra jazz contemporaneo e sonorità mediterranee. Il CD contiene dieci composizioni in vernacolo, epperò gli orchestrali che ne fanno parte provengono da Uruguay, Argentina, Palestina, Balcani. Altre contaminazioni sono quelle africane presenti in un brano al quale sono molto legata: "Africannu". Significa "Africando" ed è uno stile di vita: parla di sorrisi e positività anche nei momenti peggiori della vita. Tra l'altro, in questo componimento i cori in siciliano sono cantati da gente da tutto il mondo. Un richiamo alla musica classica c’è invece in "Annuzza" che altro non è che il Notturno di F. Chopin (op.9 no.2). È ispirato ad Anna Pandolfini, la famosa pittrice nata e vissuta ad Acitrezza, e contiene parole in siciliano. Infine influenze mediorientali sono presenti nel brano che dà il titolo all'album, di cui fa parte come special guest il Pletenitza Balkan Choir di Christiane Karam.

Dal 19 dicembre al 4 gennaio sarò in Italia al Metropole Taormina Jazz Night Series; poi a gennaio raggiungerò Panama per il Panama Jazz Festival, mentre ad aprile andrò in Perù al Festival de Jazz en Lima. Per aver successo nel mio ramo ritengo che al talento deve unirsi tanto, tanto, tanto studio, un’immensa devozione, una severa disciplina e un pizzico di fortuna. Infine frequentare una buona scuola, come certamente sono il Berklee College of Music di Boston o di Valencia ma anche il Conservatorium Van di Amsterdam, ti dà l’opportunità di studiare con grandi maestri e sviluppare molti contatti».     

Alessandro Russo

http://www.sissycastrogiovanni.com

 

 

CLAUDIA ARCIDIACONO

 

Buongiorno.
Scrivo dalla zona più seducente della città di Berlino, appartenente al distretto di Charlottenburg-Wilmersdorf, nella parte occidentale della capitale tedesca. La mia missione di oggi, ovvero l'incontro con una violinista delle migliori orchestre al mondo, si è appena conclusa. Da tre minuti la mia illustre ospite, Claudia Arcidiacono, ventisei anni, nata ad Acireale, è andata via. Strano ma, in questo preciso istante, l'intera metropoli germanica mi somiglia a una cornice vuota appesa a una parete. All'interno del quadro, poco fa, c'era un dipinto meraviglioso e soprattutto raro.
"Sono siciliana fino al midollo -lo garantisce Claudia Arcidiacono- e ritengo ciò un vero privilegio. Da sempre la nostra Trinacria è la patria dei grandi. Penso a Pirandello, a Bellini, a Giovanni Verga, senza dimenticare i contemporanei Franco Battiato, Mario Biondi e Giuseppina Torregrossa, una scrittrice di raro talento e coraggio. La musica la considero, prima di tutto, una gioia personale, un arricchimento spirituale, non di certo un business. Inizio a suonare che ho appena otto anni; Maria, la mia sorella maggiore, fa tintinnare un pianoforte e io per spirito di emulazione e curiosità decido di far lo stesso con un violino. Il primo concerto lo tengo all'età di nove anni, poi vengo ammessa al prestigioso Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, e lì quattro anni orsono conseguo il diploma. A chi mi chiede se è meglio crescere accompagnati da una buona dose di ideali oppure di senso pratico, rispondo che gli ideali sono importanti perché arricchiscono l'animo, ti rendono forte e soprattutto che nessuno potrà mai toglierteli. È fondamentale credere in qualcosa ma ovviamente tutto ciò deve essere supportato da una buona dose di senso pratico, perché bisogna saper anche dimostrare ciò di cui si è convinti.
Come son finita qui? Tutto inizia nove mesi fa intanto che abito tra Milano, l'Austria e Roma: a Milano suono con l'Accademia della Scala e in Austria con la O.A.O. Akademie, a Roma passo dei periodi con la mia famiglia. Un giorno navigando in rete scopro che a Berlino ci sono le selezioni per partecipare a un master con un'orchestra giovanile Scandinavo-Tedesca: la Deutsche-Skandinavische Jugend Philharmonie. Immediatamente invio la mia candidatura e, una settimana più tardi, scopro con immensa gioia di esser stata accettata. Lo stage dura quindici giorni e si svolge in una città che adoro e dove abita stabilmente la mia cara amica Adi, come me violinista. Ha ragione chi dice che le coincidenze governano tutto e che ad ogni essere umano non resta che ubbidir alla catena di sincronismi che le muovono, minuto per minuto. Sento però di aggiungere che le cose non avvengono mai casualmente; siamo noi che emaniamo un certo tipo di energia e riceviamo costantemente dei feedback. Insomma, finito il master, Adi mi suggerisce di venir a vivere nella Community di musicisti dove tuttora risiedo. Siamo a Weissensee, in un posto incantevole e con me e Adi ci sono tre pianisti, un produttore, un percussionista e un bassista. D'estate questa è una città fantastica perché si può andare in giro senza soffrire il caldo torrido, dato che la temperatura non supera i trenta gradi centigradi e non c'è umidità. Una cosa che faccio costantemente e alla quale sto dando il giusto spazio è lo studio della lingua tedesca, che sconoscevo del tutto prima di giunger qui. Quando il tempo è bello, è gradevole incamminarsi per raggiungere uno dei parchi più famosi, il Tiergarten, ove è situato il Siegessäule, l'Angelo della Vittoria eretto come simbolo delle conquiste militari della Prussia in Danimarca nel 19° secolo. La sera c'è molta vita mondana e a me piace frequentare il quartiere Kreuzberg. Eppoi è delizioso andare a Tacheles, il simbolo di Berlino, una casa occupata da artisti di ogni nazionalità che espongono e vendono le loro creazioni o passeggiare per le vie di Mitte. Adoro inoltre girare per musei: tra i miei preferiti ci sono il Pergamon Museum, il Museo Egizio e lo Judisches Museum.
Se è vero che la musica rappresenta il bisogno dell'uomo di mettersi in contatto con l'Altissimo, per arrivare a questo scopo io ho scelto lo strumento tipico dell'ebraismo, il violino. Dai tempi biblici e fino alla loro cacciata nel 1492, gli ebrei vivono in Sicilia e il mio animo dentro di sé porta questa memoria. E, come ama ripetere spesso Benedetto XVI, 'ogni creazione artistica è un canale che conduce a Dio, una porta aperta verso l'infinito che apre gli occhi della mente e del cuore a una bellezza e a una verità che vanno al di là del quotidiano' ".

Alessandro Russo

 

 

 

 

 

 

in sottofondo QUANTU NI PATU, da "LA CANZONE CATANESE TRA '800 E '900"intrepretate e arrangiate  dall'Associazione Culturale "Schizzi d'arte"con la promozione del Rotary Club - Catania - Distretto 2110