La pantomima “U pisci a
mari” é una tradizione popolare trezzota che risale intorno al 1750,
anno dell’inaugurazione della statua lignea del Santo Patrono di
Acitrezza, San Giovanni Battista. Tale pantomima é un rito propiziatorio,
parodia della pesca del pesce spada che si svolgeva anticamente nello
stretto di Messina, dove un marinaio da un’alta antenna (il “rais”)
piantata in mezzo ad una barca, spia il pesce che passa per lo stretto;
in un’altra barca a lancia più piccola quattro marinai sono pronti al
remo, e quando il grido della guardia annuncia la comparsa del pesce
essi vogano di tutta forza: il “rais” dirige il corso, pronunziando
parole in dialetto, in modo che il cetaceo venuto sotto tiro, viene
inforcato furiosamente con la fiocina alla quale starebbe attaccato un
capo di canape fatto fermo sulla barca. Il pesce viene così ferito e s’inabissa
tirandosi la corda, che é sufficientemente lunga, ma ben presto muore e
viene tirato su rosseggiante fra le grida festose di altre barche di
curiosi e di quello che sta all’antenna che manda benedizioni, e che
cambierebbe in maledizioni o imprecazioni se il colpo dovesse fallire. La pesca del pesce spada rappresenta, per
il popolo protagonista, la continua lotta ingaggiata con gli elementi
naturali, per sopravvivere in una terra che come pane ha il pesce. Ad
Acitrezza é precisamente questa scena, che si vuole imitare, ma l’azione
assume un che di comico, di folkloristico, di esagerato.
Ogni anno sin dal 1750,
nel pomeriggio del 24 di Giugno (giorno della festa di San Giovanni
Battista), tutto inizia con la calata dei pescatori verso il mare, che
per ogni edizione avviene da un punto estremo del paese a nord o a sud. Tra la enorme folla presente nella strada,
sei uomini si avviano ballando (sulle note di musiche tradizionali
ritmate, suonate da un corpo bandistico), ostentando calzoni corti
stracciati, una maglia rossa e una fascia gialla a tracolla (che
rappresentano i colori simboleggianti il Santo Patrono), un cappellaccio
di paglia, ed infine cinti sulla vita da un cordone che tra loro li
collega. Arrivati sulla Piazza Giovanni Verga (che
si trova al centro del paese, antistante la chiesa madre) invocano San
Giovanni Battista affinchè la pesca che si accingono a svolgere, possa
andare bene e possa essere molto ricca. Poi il corteo festoso si dirige
verso il molo (nello specchio d’acqua antistante lo scalo di alaggio)
dove viene atteso da moltissima gente (ogni anno circa 10.000 persone),
che riempie le barche o che quasi non trova posto sui bracci del porto
dove sta assiepata.
Tra gli attori della
pantomima, tre iniziano la cala della barca (che viene addobbata con
fiori e nastri rossi e gialli), due prendono posto sul molo in modo da
poter seguire le fasi della pesca. Il “rais”, che sta sul molo, é colui
che grida e dirige la pesca (urlando tradizionali frasi in dialetto)
mentre con fare minaccioso muove una canna di foglie fresche sulla mano
destra ed un ombrello sulla sinistra. Si comincia la pesca “do pisci”, nella
prima parte rappresentato da un esperto nuotatore che furtivamente si
immerge nello specchio di acqua teatro della pantomima, nascondendosi
tra le numerose imbarcazioni colme di gente che osserva più da vicino
l’avvenimento e urla verso i protagonisti incitandoli. Il “rais”, dall’alto di uno scoglio,
avvista l’uomo-pesce e lancia segnali, urla le frasi in gergo antico e
incita i marinai a catturarlo. E quindi, dopo vari tentativi, il pesce
viene preso e levato a bordo (tra gli applausi del pubblico e il suono
festoso della banda assiepata sul molo), ma prontamente riesce a fuggire
dalle mani dei pescatori già pronti a tagliarlo a fette. I pescatori dunque, imprecano contro la
mala sorte e si accapigliano, ed anche il “rais” disperato si getta in
acqua in maniera goffa. L’inseguimento del pesce continua, ed inizia
così la vera lotta con la preda che viene nuovamente infilzata, ferita e
catturata, e con il mare che si tinge del suo sangue rosso. Due pescatori che si trovano sulla barca
tengono saldamente l’uomo-pesce per le braccia e le gambe e, mentre
minacciano di squartarlo con una grande mannaia, questo si agita ormai
conscio del suo destino. Ma dopo essersi dimenato a lungo, riesce a
scappare nuovamente gettando nello sconforto i pescatori. Alla fine, con la forza della disperazione
i pescatori continuano a vogare, con il “rais” che avvista nuovamente la
preda (questa volta é un pesce vero, un tonno o un pescecane immerso
precedentemente nelle acque del molo), che finalmente viene catturata e
viene affettata. Quando i teatranti (che sono tutti
pescatori trezzoti) urlano la bontà delle carni, con la gente che
applaude ed il corpo bandistico che suona incessantemente a festa, per
il pesce sembra davvero finita. Ma a pochi metri dall’approdo fugge
definitivamente, scomparendo tra i flutti. Gli spettatori gridano, il “rais” impreca
e si getta in mare, ed alla fine i pescatori in preda allo sconforto
capovolgono la barca, tra il susseguirsi dei tuffi da parte dei giovani
spettatori nel mare scintillante, che sotto un sole d’estate chiudono
l’avvenimento ancora una volta onorato, ovvero l’ennesima
rappresentazione (che ancor oggi assume dei valori artistici, culturali
e folkloristici encomiabili), della continua lotta dell’uomo per
sopravvivere in questi luoghi.
Le frasi che il
“rais” urla mentre si dimena sul porticciolo:
Dando indicazioni
sull’avvistamento del pesce:“A
luvanti, a luvanti. A punenti, a punenti. A sciroccu, a sciroccu.” Quando
poi viene pescato il pesce:
“Pottulu n’terra, pottulu n’terra; ca semu ricchi! Pigghia ‘a
mannara, pigghia a mannara; ca semu ricchi!” Pisci friscu, pigghiatu ora
ora. ‘U tagghiamu a Trizza stissu!” Quando lo
perdono:Scialaràti,
scialaràti, m’arruvinàsturu; mi facìsturu pèrdiri a pruvirenzia!