Ecco
la galleria di alcuni miei lavori, che eseguo ogni due o tre anni. La lunga
durata di questa sosta è dovuta alla mancanza di trasporto del sottoscritto nel
prendere tele e
pennelli, al
contrario di altri che - seppur con risultati più modesti - aprono le gambe del
cavalletto con grande entusiasmo.
Cominciamo
proprio dal cavalletto. Soltanto a pensare di montarlo, fissarlo, prendere i
colori e scioglierli, ripulire i pennelli, cominciare a coprire le
grandi aree di colore... beh, a quel punto mi passa già la voglia.
Diciamo che certi signori lassù mi hanno
dotato di questo dono, quello di trasportare su tela o carta tutto ciò che vedo. Però
si sono dimenticati un optional: la passione.
Quando
decido di iniziare dopo i lunghi digiuni comincio sempre così, con malavoglia.
Poi, dopo la prima fase noiosissima, mi ci immergo dentro con la mia tecnica, forte, marcata,
con una mano pesante che nemmeno io riesco a controllare. Finalmente la fase
noiosa diventa divertente e quell'immagine che ho davanti assume un aspetto completamente diverso
dall'originale: esclusivamente
"mio". Proprio per la pesantezza della mia mano non mi arrischio a fare
delicati acquerelli, che mi piacciono tanto.
Nella
fase "divertente" succede qualcosa di strano: non capisco più niente.
E' un momento in cui non mi accorgo nemmeno di quello che accade attorno a me.
Siamo soli io, il soggetto, la tela e cinque colori: bianco, nero, rosso, blu e giallo, coi
quali faccio tutto. Non uso altre gradazioni quali l'ocra, il violetto; li creo direttamente sul piattino.
Li
mischio e li annacquo e nella
confusione ci spengo sopra una sigaretta, intingo il pennello nel bicchiere
di vino, asciugo i pennelli sui miei calzoni, aspiro una boccata dal tubetto
di acrilico giallo. Insomma, un tunnel ipnotico
dove solo all'uscita vedo il risultato prodotto. Un breve stato di trance
durante il quale bilancio tonalità, incrocio cromature e decido la sorte
del dipinto in poco meno di venti secondi. Tutto velocemente, infatti i
migliori vengono fuori in poco più di un'ora. Ma alla fine sono
esausto. E' davvero stressante.
Non
ho mai fatto mostre, personali o collettive. Una sola volta, a mia insaputa, mi
hanno iscritto all'estemporanea di Vinimilo nel '95. Arrivai secondo, poi basta.
Non li vendo, sono appesi a casa mia o li regalo a parenti e amici perchè ogni tanto li devo
vedere. Venderne uno, per me, significa lasciare un figlio sulla porta
dell'orfanotrofio.
Tutto ciò non significa che non amo più
l'arte. Ho imparato, invece, ad ammirarla di più anzichè esporla. Soprattutto ho
allargato in me i confini del suo concetto, a 360 gradi. Per me arte è anche una
canzone di Francesco De Gregori, un libro di Alessandro Baricco, un film di
Giuseppe Tornatore, un piatto di Giorgio Barchiesi, un racconto di Federico
Buffa, un'intervista a Massimino, un balletto di Nureev, la truffa di un
napoletano ai danni di un turista, uno scheck di Sordi o Totò, un gelato di
Caviezel, un articolo di Gianni Brera, un’opera lirica di Giacomo Puccini, un
gol di Maradona, una battuta di Andreotti, un teatro progettato da Frank Gehry,
una puntata di Montalbano, una donna truccata da Diego Dalla Palma, un
fotoritratto di Marylin, un vestito di Valentino, un comizio di Berlinguer, una
fotografia di Francesco Raciti, gli slogan ai mercati storici siciliani, un
monologo di Paolo Villaggio.
La amo, nel senso più universale del termine.
Quello che facevo prima era solo un dono di natura per fotocopiare a colori che
mi consegnarono alla nascita, dimenticandosi di allegare un optional: il
telecomando per poterlo usare. Meglio così... almeno so che il mondo non ha
perso un nuovo Michelangelo.