L'ARABO DI SIRACUSA E LE NOTTI BRAVE NEL CONVENTO di Michele Nania - La Sicilia, novembre 2006 Il titolo, "Il sesso nel convento" corrisponde letteralmente all'originale: non c'è alcuna profanazione. L'autore, Ibn Hamdìs (1055-1133), il massimo poeta siciliano (era nato a Siracusa) di lingua araba, morì esule a Maiorca dopo che l'Isola fu riconquistata dai Cristiani. In questa che è l'elegia 110 del suo voluminoso Diwàn (=Canzoniere) pubblicato una sola volta nella lingua originale, a Roma, dal grande orientalista Celestino Schiaparelli (1841-1919 ), allievo dell'ancora più famoso Michele Amari (1806-1889), descrive una ordinaria serata in un pub dell'epoca. Vino a go-go, ragazze che come le odierne cubiste mostravano molto e nascondevano poco, e poi musica, linguaggio volgarotto e il resto che si immagina. E il convento? Per i buoni musulmani il vino è notoriamente arcivietato, ma i bravi giovanotti arabo-siculi (come fanno anche oggi i loro colleghi in Libano o in Turchia) qualche peccatuccio se lo permettevano andando non in discoteca, mai nei conventi dei Cristiani, i cui frati (anche questo si sa) hanno sempre disposto di capienti cantine e formidabili vinelli (est est est...). Per questo in arabo
"convento" (dàyra) significava "osteria" e
"monaca" (ràhiba) valeva come "ostessa": ma anche
se non c'era alcun sacrilegio in questa movida di mille anni fa, certo
c'era molta disinvoltura che i Mullàh non gradivano e per questo il
buon poeta usa metafore: le ragazze che baciano il piffero e
abbracciano il liuto (ud: che letteralmente significa bastone) avranno
esercitato anche altre meno oneste attività. Traduciamo sulla
edizione originale tenendo d'occhio la versione parziale che ne ha
fatto Francesco Gabrieli (1904-1996) il più grande arabista italiano
del Novecento. La monaca aveva chiuso il convento / ma noi andammo a trovarla di notte. Ci guidava il profumo del vino / che effonde i suoi segreti alle narici...
Gettai una dracma d'argento sulla sua bilancia
/ e lei spillò
dalla botte il vino aureo come i denarii romani. Si pacavano i moti del dolore / e le cantanti pizzicavano le corde, l'una abbraccia per me il liuto / e l'altra bacia il flauto suo, la
ballerina al zava in alto il piede / batteva il ritmo la mano sul
tamburo Ricordo la Sicilia con dolore / quando suscita in me questi
ricordi.
LA MALIA DELL'ETERNO DESIDERIO, UNA FAVOLA TUTTA DA RACCONTARE Intervista a Pietrangelo Buttafuoco - di Michele Nania (La Sicilia, novembre 2006) ________
Pietrangelo
Buttafuoco, giornalista e polemista, è nato Catania il 2 settembre
1963. Laureato in Filosofia, ex libraio ed ex insegnante di liceo, si
è trasferito a Roma, sentendosi un eterno emigrato, facendosi le ossa
presso diverse testate: il "Roma" di Napoli, il "Secolo
d'Italia", l'"Indipendente" ed il "Giornale".
Ex firma del "Foglio" di Giuliano Ferrara, al quale ha
collaborato dalla sua fondazione, ora editorialista a
"Panorama", ha vinto il Premio Guido Piovene 2000, la cui
giuria ha ammirato lo stile "provocante e arguto" dei suoi
scritti, e con il romanzo "Le uova del drago" ha vinto il
Supercampiello per l'opera prima 2006, entrando nella cinquina finale
per il premio vero e proprio. Politicamente di destra, pur vivendo da
anni nella capitale è rimasto profondamente legato alla sua terra
d'origine che ama caparbiamente e di cui vuole l'indipendenza da tutto
e da tutti.
IL
CALIFFO S.
Agata Militello. E continuavano a chiamarlo il Califfo. Anche se sono
passati anni e anni dalle sue epiche imprese, anche se adesso di anni
ne ha sessanta e chissà cos'è rimasto del celebre campione regionale
assoluto di sesso promiscuo. Però un segnale, o forse solo una
coincidenza, è il seguente: se arrivi in paese e chiedi in giro
dov'è la casa del signor Scaffidi ti allargano le braccia; se invece
chiedi dove sta il Califfo puoi scommettere che allungano il dito e
t'indirizzano a colpo sicuro. Tutti sanno chi è, cos'ha fatto e cosa
fa.
Storia del play boy più famoso dei Nebrodi La sua ultima storia risale a un anno fa, ma il suo mito non è affatto in calo. Uno dei personaggi più famosi di Sant’Agata Militello è certamente Giuseppe Scaffidi Fonte, 53anni, il Califfo di Cuccubello. Decine di donne sono cadute ai suoi piedi, 26 i figli all’attivo. Ma forse il califfo comincia a temere la concorrenza di un giovane pattese che a soli 17 anni ha messo a segno due fuitine e una figlioletta. Scaffidi Fonte, netturbino al Comune, è balzato agli onori della cronaca fra il 1977 e l’80, quando in una vecchia casa di contrada Cuccubello, alla periferia del paese, viveva con ben sette donne di cui una tedesca. Allora fu il padre a denunciarlo e il tribunale di Patti a condannarlo a un anno per poligamia. Ma “Pippineddu settebellezze” non si è mai scoraggiato. Anzi, uno dietro l’altro sono venuti al mondo ben 26 figli. Molti dei quali hanno già trovato una dignitosissima sistemazione. Di lui dicono: «E’ un padre affettuosissimo». Nessun rancore neppure fra ledonne, nè gelosie fra i figli che si rispettano come dei veri e propri fratelli. L’ultimo colpo del califfo, arrivato sulla stampa a giugno dello scorso anno, la conquista di una giovane di18 anni, acquedolcese, che con lui sarebbe fuggita a Roma. Ma Giuseppe Scaffidi Fonte è un uomo di cuore e lo ha sempre dimostrato.Alla madre della sua giovane fiamma, ad esempio, ha pure trovato una casa a Torrenova. La donna era stata infatti sfrattata dal sindaco di Acquedolci a causa delle pessime condizioni dell’abitazione in cui viveva. L’alternativa sarebbe stata un’istituto nella lontana Cefalù, con retta a carico del Comune.
Dopo la fuga con la suocera trentaquattrenne che lo ha reso papà, ha mollato tutti per convolare a nozze con una ragazza di Gioiosa. Ma c'è un giallo. L'ex convivente ha denunciatol'enfant prodige alla polizia. «Abbandono di tetto coniugale» di nuovo in fuga per amore. Sempre in cerca di nuove avventure che facciano parlare di lui. Lo chiameremo Enrico, ha 17 anni, pattese doc, capelli castano chiari rasati dietro, apparentemente un ragazzo come tanti. E’ lui - sulle orme del più famoso califfo di Cuccubello - il protagonista della nuova storia rosa che sta appassionando Patti e dintorni. Enrico - qualche problema alle spalle con polizia ecarabinieri, tanti lavori saltuari per tirare avanti - ha deciso di dare vita ad una nuova storia con una bella ragazza di Gioiosa Marea. E’ più grande di lui, ha 23 anni. Ma il casanova di Patti non si fa certo scrupoli. Sono altri i tempi quando si cantava “non ho l’età”. Il ragazzo è già diventato famoso per la fuga d’amore niente popo-dimeno che con la madre della sua ex ragazza, una bella donna che di anni ne aveva 34 anni e che per lui non esitò a piantare marito e figli. Tre anni fa, quando nessuno immaginava di dover vedere un giorno gli amanti di Montecastrilli sbattutti su tutti i teleschermi d’Italia, il giovane pattese si è guadagnato le pagine di Cronaca Vera per la fuga d’amore che lo ha portato a Roma. Nella città eterna si sono consumati iprimi atti di quello che sembrava essere l’inizio di una grande storia. Un dramma per la famiglia che - non avendo più sue notizie per giorni - lanciò appelli per ritrovarlo. L’ex suocera, diventata ufficialmente la sua donna, nel frattempo gli ha pure dato una splendida bambina che oggi sgambetta nella loro casetta, alla periferia est della cittadina, a due passi dal Santuario della Madonna Nera di Tindari. Ma tutto questo non è bastato a fermare Enrico. E’ giovane e non vuole sprecare il suo tempo. Il sorriso di quella ragazza di Gioiosa Marea è stato fatale. Un colpo di fulmine. La decisione immediata. Da alcuni giorni, Enrico vive nella casetta della sua nuova fidanzata, nelle campagne di Gioiosa Marea. Nessuna spiegazione per la sua ex. Una prima curiosità balza subito all’occhio. Questa ragazza porta lo stesso cognome della sua prima donna. Quest’ultima, però, non ha resistito alla gelosia. Si sarebbe presentata al commissariato di polizia di Patti con il chiaro intento di denunciare la rivale. Circonven-zione di minore o qualcosa di si-mile, l’accusa che stava per muovere. Ma le è bastato fare qualche passo indietro nella memoria per scoprire che anche lei, tre anni fa,si è invaghita dello stesso ragazzotto minorenne ma fin troppo cresciuto. E allora, meglio lasciar perdere. Ma chi è questo ragazzo che ditanto in tanto riesce a far parlaredi se? «Un ragazzo un po’ particolare - risponde un vicino di casa - ma non è uno che fa male agli altri». Tipica rivelazione di chi risponde a forza, ma in realtà vorrebbe tanto farsi i fatti suoi. «E’ un tipo un poco vivace, ma niente di più - dice invece una signora -. Da quando abita qua, mai avuto problemi con lui». Di Enrico ha un ricordo curioso una sua ex compagna di scuola: «Una volta, per carnevale, non avendo niente da mettersi, si disegnò una maschera sul viso con la penna»
SESSO
SI' MA NOZZE NO, PAROLA DI CIELO D'ALCAMO (XIII sec.)
Questo brano, (dal "Contrasto" scritto tra 1231 e 1260) è
un dialogo poetico tra un giovanotto in cerca di avventure e una
ragazza che vorrebbe almeno strappargli la promessa di regolari nozze,
ma che alla fine si lascia convincere a un incontro d'amore senza
formalità sacramentali: Cielo
d'Alcamo - Il testo che si è conservato di questo antichissimo duetto
d'amore è un rimaneggiamento toscano. Con qualche prudenza abbiamo
sostiuito alcune parole secondo il suono proprio del parlato
siciliano. Così come si presenta nel testo toscano "bella"
fa rima con "infella" (si riempie di amarezza), ma
sicuramente si doveva leggere "bedda" che avrebbe fatto rima
con "infedda" (= "si fa a fette"?). Il "Mostero"
probabilmente era "misteri" (= monastero, come in
Mister-bianco; Tre-mestieri ecc.)
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IL FUNERALE DELLA ZIA MATTIA A SAN BERILLO
Salvatore Puglisi"CATANIA DEI SOGNI"Cavallotto EdizioniAnno 1997Pagine 208Formato cm. 17 x 24Prezzo lire 20.000 - € 10,33 http://www.cataniaperte.com/catanesi/saggi/cavallotto_puglisi_catania_dei_sogni_funerale.PDF.
Il casino della zia Mattia, uno dei più noti della
città, era situato nel cuore del malfamato e fatiscente quartiere di
San Berillo. Esso spiccava su tutti gli altri, più che per la
modicità della tariffa e per l'avvenenza delle ragazze che vi si
potevano trovare, per la popolare notorietà della tenutaria. La zia -
da un paio di generazioni tutti la chiamavano così - nell'immediato
dopoguerra era ormai una vecchietta smunta e malandata, dalle narici
fuligginose e dal naso a becco di civetta. Gli occhi, però, molto
vivaci e intelligenti, splendevano ancora come due carboni accesi
dentro le oscure caverne delle occhiaie e la lingua, mobilissima,
tagliava ancora peggio di un rasoio. Le sue battute, sempre immediate,
caustiche e originali, costituivano lo spasso dei molti frequentatori
del suo locale e, non di rado, facevano il giro della città. Non
pochi erano perciò coloro che, quasi tutte le sere, facevano una
capatina nel suo locale più per divertirsi a sentirla parlare che per
consumare. La vecchia, infatti, non aveva peli sulla lingua per
nessuno. Conosceva un po' tutti anche di nome e, in considerazione
dell'età e del suo mestiere, dava liberamente del tu a chiunque.
È solo questione di cinque minuti. Non le dovete certo condurre all'altare!"Se, nonostante questi allettamenti, nessuno si alzava o sollevava gli occhi dalle mattonelle, la zia Mattia, fingendosi arrabbiata e guardandoli con disprezzo, diceva loro agitando la testa nauseata:"Di fronte a tutte queste belle ragazze continentali, stasera io stessa, vostra concittadina, mi sto vergognando di voi. Loro sanno che siete tutti ardenti e focosi come l'Etna; invece, si stanno ora vedendo davanti solo un branco di minchie morte. Alla vostra età, ragazzi miei, i vostri padri e i vostri nonni, per poterne avere una di Bologna che viaggiava con tre valige, la facevano a coltellate. Alla Plaia, poi, appena scorgevano una ragazza coi soli polpacci di fuori, non potevano più alzarsi dalla sabbia. Dovevano correre a spegnersi in mare strisciando a pancia in giù come coccodrilli".A questo punto, di solito, qualcuno si alzava per andarsene o per far segno a qualche ragazza di precederlo nel breve corridoio che portava la piano di sopra. Mala vecchia, dopo aver scambiato qualche parola con Bruna, che le stava seduta accanto coi gomiti poggiati sul tavolinetto della cassa, non ancora soddisfatta dell'andamento delle cose, tornava all'attacco perfino con parole piuttosto pesanti che, invece di offenderli, suscitavano l'ilarità degli avventori."Qui, ragazzi miei, delle due l'una!" bofonchiava. "O non avete soldi o non avete appetito! Se vi mancano i soldi, anche se per una sola volta, posso farvi credito; oppure andatevene alla Rineddadove, con poche lire, potete farvela, dietro a una barca, con qualche sozzona di strada. Se vi manca, invece, l'appetito, dovete andare di tutta corsa a consultare un medico. Se ragazzone cosìbelle e prosperose, a cui molti di voi arrivano a stento sotto il mento, non riescono a smuovervi niente, vuol dire che la cosa è grave. Non vi resta che lasciare il posto ad altri e correre subito al porto, dove dicono che sia arrivato un bastimento carico di negri a digiuno. Ma andateci subito! Potreste trovarli già tutti impegnati con i molti altri finocchi della città".E continuava a lamentarsi, parlando da sola: "Ma che cosa pretendono, tutti questi figli di sante mamme! Che io, per poche decine di svalutate lirette, metta a loro disposizione le verginelle dell'orfanotrofio, oppure Greta Garbo o la regina Margherita?"Quando, invece, le cose andavano così bene che le ragazze non avevano neppure il tempo di scendere in sala per ritirare la marchetta, perché di già nuovamente impegnate, la zia diventava subito allegra. Si saliva Batuffolo sulle ginocchia e, cullandolo come un neonato, cominciava a cantargli, con voce monotona e lamentosa, vecchi motivi in dialetto di almeno mezzo secolo prima.
Era a questo punto che qualcuno dei clienti, per farla ripartire con le contumelie, si azzardava a dire agli amici, che asserivano con la testa del tutto convinti, che in quel locale i soldi, ogni giorno, entravano a palate, e che sarebbe stata la più grossa fortuna della sua vita se la zia lo adottasse come figlio unico, per potere ereditare, un giorno, quella miniera d'oro.Ma la vecchia, superstiziosa e d'orecchio fino com'era, prima ancora che quello terminasse di parlare, lasciava scivolare il cane a terra e partiva subito in quarta. Facendo le corna con tutt'e due le mani contro di lui, assaliva il malcapitato con una valanga di scongiuri e d'improperi."Sangue dagli occhi devi buttare, tu e tutti quelli che ti credono!", esclamava spruzzando fiele dalla bocca come una vipera inferocita. "Neppure lo immagini quanto ci vuole, ogni mattina, per far partire questa baracca! E a quei cornuti delle tasse, ogni due mesi, ci vai tu a pagarli oppure ci mandi tua sorella?"Ma poiché tutti i presenti, per farla continuare, si schieravano a favore del malcapitato,protestando in coro che avrebbero voluto guadagnar loro, in tre mesi, quanto lei incassava in sole tre ore, la vecchia senza lasciarsi per niente smontare, ripartiva decisa:"Forse, al tempo dello sbarco degli alleati!", affermava con disprezzo. "Quando vi mettevate, di prima mattina, in fila per quattro davanti al portone e, insieme coi soldati, aspettavate, zitti zitti, anche un paio d'ore per stare due minuti con la prima che vi capitava. Allora eravate tutti di palato buono! Allora
vi contentavate, senza fiatare, di quattro villane racimolate
nell'interno dell'isola e con le pance tutte smagliate dalle numerose
figliate e, perfino di qualche finocchio travestito da donna! Allora
sì che un po' di grana entrava e nessuno storceva il muso, come ora
fate, di fronte a tanta grazia di Dio. Ma basta con le chiacchiere e
le tabacchiere di legno! lo sono come santa Chiara di Napoli: quel che
ho da dire, lo dico chiaro e tondo e senza mordermi la lingua. La
verità è che voi, figliuoli miei, non rassomigliate né ai vostri
padri né, tanto meno, ai vostri nonni. Quelli sì che erano maschi e
le donne se le sbranavano crude! Al loro confronto, voi siete solo dei
rammolliti viziosi che vanno in cerca dell'erba che Dio
maledisse".Approfittando della conversazione e delle risate che
suscitavano le schernevoli battute dellavecchia, qualche timido
diciottenne alle prime armi, che era rimasto tutto il tempo appartato
in un cantuccio, con ben calcolati spostamenti andava, a poco a poco,
a sistemarsi a fianco dellaragazza che più gli faceva gola.
"Come ti chiami? Di dove sei?" le chiedeva, poi, tutto
impacciato e cercando di accarezzarle distrattamente una gamba.La
vecchia, che era tutta occhi, seguiva i timidi approcci del
garzoncello senza darlo a vedere, perché le facevano tenerezza i
ragazzini che venivano ad affrontare da lei il battesimo del fuoco.
Erano, per lo più, ragazzotti che avevano atteso con grande ansia
l'arrivo del diciottesimocompleanno. E non certo per farsi fare la
torta con le candeline dalla mamma, quanto piuttosto per potere
entrare liberamente e senza paura della squadra, in quei sognati
paradisi del piacere. La carta d'identità che esibivano a Bruna, era
nuovissima. Se l'erano fatta rilasciare, per timore di qualche
ceffone, all'insaputa dei loro padri, qualche mese prima di quel
fatidico giorno cheavevano atteso con la stessa ansia con cui i
carcerati attendono quella della scarcerazione.Appena il giovincello
prendeva fuoco e, tutto rosso in viso e con gli occhi bassi, si alzava
per seguire la ragazza che aveva impegnato con un impercettibile
cenno, la zia Mattia, che aveva seguito la scena con la coda
dell'occhio, lo bloccava nel bel mezzo della sala, facendo sbellicare
dalle risate tutti i presenti e facendolo diventare ancora più
rosso."Ce l'hai, piccioncello mio, il paracadute?", gli
domandava con materna premura. "Se non ce l'hai, questa volta te
lo regalo io. Alla vostra età, bambini miei, in queste cose bisogna
andarci sempre con l'impermeabile. Se, Dio ne scampi!, ti dovesse
andar male, io non voglio litigare col tuo papà, che è stato anche
lui, come da oggi lo sarai tu, un mio affezionato cliente. Con una
significativa occhiata accennava poi alla ragazza, di trattarlo bene e
senza fretta, perché i giovani, come aveva detto, a suo tempo, la
Buonanima, rappresentavano la speranza del domani.Appena i due
sparivano nel corridoio, se non c'erano altre ragazze a spasso nella
sala, la vecchia esclamava sorridendo:"Con queste puttanacce
giramondo bisogna andarci sempre piano! Ne vedono, ogni giorno, più
dell'orinatoio che c'è dietro la Collegiata e non si può mai essere
sicuri al cento per cento".A ore precise, se era già nella sala,
Bruna si alzava dalla sua sedia e, senza dire niente,scompariva,
ciabattando, in fondo al corridoio. Ritornava, dopo qualche minuto,
con una scatolina di compresse e un bicchier d'acqua in mano per far
prendere la medicina alla padrona. Questa, però, nonostante le
affettuose insistenze della sua vice, faceva ogni volta, prima di
prenderla, un sacco di smorfie. Girando la testa dall'altra parte,
diceva che non la voleva, perché era più amara del veleno e che non
voleva morire, per colpa di essa, prima dei suoi giorni. Alla fine,
quando si decideva d'ingoiarla insieme con un sorsetto d'acqua, con
quella rimasta nel bicchiere sisciacquava ripetutamente la bocca e la
sputava, lamentandosi, dentro una sputacchiera collocata alla sua
destra: proprio sotto un'angoliera in cima alla quale stava Cucurucù.
Era un pappagallo imbalsamato, messo accanto alla finestra dalle
persiane eternamente chiuse, che la vecchiachiamava spesso a
testimonio di tutto quello che affermava con la frase: "E
Cucurucù, se potesse parlare, lo confermerebbe subito!" Metteva
poi fine alle smorfie toccando, con tutt'e due le mani, il grosso
ferro di cavallo che era sul tavolinetto, ed esclamando che, per far
morire lei, altro che medici e medicine ci volevano! Era una donna dal
cuoio duro e rappresentava ormai, per la città, un'istituzione di cui
non si poteva più fare a meno: proprio come il sindaco e il prefetto.
Ma mentre i sindaci e i prefetti vanno e vengono, lei era sempre là,
con le calze di lana anche d'estate e il fazzolettone di seta dai
colori sgargianti annodato sotto il mento, a veder passare ogni
giorno, sotto il suo naso adunco, tutta la bella gioventù maschile
della città.Morì , invece, all'improvviso, un tardo pomeriggio di
fine autunno, mentre era nel suo cesso personale. La fedele Bruna che,
come al solito, l'aveva accompagnata, dopo avere atteso un bel po'
senza vederla uscire, aveva spinto, adagio adagio, la porticina
lasciata senza paletto, e aveva sbirciato dentro. Alla vista della sua
padrona seduta sulla tavoletta del cesso con la gonna alzata sulle
coscette magre, le braccia cadute e la testa ciondolante sul petto, si
era precipitata in suo aiuto strillando come una pazza. Alle sue grida
erano subito accorsi, dalla sala grande, alcuni clienti che stavano
chiacchierando con un paio di ragazze in quel momento libere, e tutte
le inservienti del locale, compresa la cuoca che stava preparando la
cena. Erano pure scese aprecipizio, dal piano di sopra, temendo che si
trattasse di un incendio o di un terremoto, anche le ragazze che erano
in camera. Erano scappate tutte nude, così come si trovavano,
lasciando i clienti nel bel mezzo del servizio. Questi, a loro volta,
spaventati anch'essi, le avevano seguite a ruota coi calzoni e le
giacche in mano.Adagio adagio, la vecchia era stata tirata fuori
dall'angusto sgabuzzino e portata di peso nella sua stanza. Poiché si
capì subito che c'era ormai ben poco da fare, Bruna, che le voleva
bene come a una madre e tutte le sere, prima di coricarsi, si diceva
il rosario con lei, oltre a telefonare al medico, ordinò ad una delle
inservienti di correre subito in chiesa e far venire il prete
perimpartirle, almeno, l'Estrema Unzione. Tanto, diceva, la sua
padrona, di dentro, era più pulita di una bambina di due anni.
Poiché la serva, un po' dura di comprendonio, chiedeva ulteriori
istruzioni, una delle ragazze corse a prendersi il visone, se lo
buttò sullo slip, l'unico indumento che in quel momento aveva
addosso, e si offrì di accompagnarla.Quando il parroco si rese conto
di dove volevano portarlo le due donne, dapprima esclamò come caduto
dalle nuvole, puntandosi l'indice sul petto e allungando la prima
sillaba del pronome personale:"Iiiio portare il Signore al
casino? Come minimo, sorelle mie, dovete essere tutt'e due un po'
toccate di testa! I monelli del quartiere, che sono più sudicioni e
miscredenti dei loro padri, appena mi vedranno passare in pompa magna,
mi verranno dappresso suonandomi la marcia reale a pernacchie".Alla
fine, però, ricordando che il Signore in persona aveva accolto tra
gli eletti Maria Maddalena che, ai suoi tempi, aveva esercitato in
proprio, e che, nella Sua divina imperscrutabilità, avrebbe potuto
accogliere anche quella famosa tenutaria, s'era convinto che era suo
dovere andarci. A patto che le due donne lo seguissero ad una certa
distanza e non lasciassero intendere alla gente di essere in sua
compagnia!
Quando il carro funebre, con la bara della vecchia tutta coperta di fiori, lentamente si mosse lungo la sconnessa stradina, tutti i bottegai, al suo passaggio, abbassarono le saracinesche oaccostarono le porte per renderle l'estremo saluto. Precedeva il carro una lunghissima fila di ghirlande, che andava oltre la svolta della strada. Lo seguiva, tutta in nero e piangente,l'inconsolabile Bruna; e, dietro, tutta una folla di signore e signorine dalle sofisticate pettinature equasi tutte chiuse in costose ed eleganti pellicce."Meno male che se n'è andata prima ancora di sapere quale coltellata al cuore le stavanopreparando quei signori di Roma!", aveva esclamato il droghiere dell'angolo, che leggeva i giornali ed era informato di ciò che bolliva in pentola. E, rialzata la saracinesca, aveva spiegato ai vicini che un'anziana senatrice s'era messa in testa di voler redimere con la forza tutte quelle allegre donnine, che non desideravano per niente di essere redente. Aveva poi aggiunto, ridendo, che se la proposta di quella signora fosse andata in porto, è vero che quelle case sarebbero state tutte chiuse, ma l'intera penisola si sarebbe trasformata, in un battibaleno, in un unico, grande casino.1957-1988
SICULORUM GYMNASIUM :BORDELLO DEGLI UFFICIALI ALLEATI NEL DOPOGUERRA Non erano finiti i problemi dei catanesi con la fine della seconda guerra mondiale, una città in macerie ed odore di morte e fame in ogni vicolo; si esultò all'arrivo dei liberatori con la speranza che tutto rinascesse con un colpo di bacchetta magica, ma così non fu.Per anni mancarono i prodotti di prima necessità, soprattutto pasta,pane e farina e quei pochi furbi si arricchirono vendendoli a costi elevati.Ma non fu solo il costo della vita a deludere i catanesi, bensì la sospirata libertà che avevano sperato. I liberatori imposero un polso duro sin dall'inizio con controlli in tutta la città alla ricerca di fascisti da punire e spedire nelle dure carceri ;nel frattempo i militari liberatori si concedevano ogni sorta di "divertimento ".Ai semplici militari alleati si proibì l'ingresso nelle case di tolleranza di San Berillo per evitare risse e malattie ,di conseguenza cercavano altrove di soddisfare le proprie voglie . Diversa la questione per gli alti ufficiali che si impadronirono del Palazzo del Siculorum Gymnasium perché lo ritennero luogo ideale per le loro attività mondane ;fu così trasformato in sala da ballo dove gli ufficiali ricevevano donne di dubbia moralità ....il magnifico Palazzo da sede dell'Università più antica della Sicilia divenne un bordello riservato alle sole alte cariche alleate ,nonostante le opposizioni del Rettore dell'epoca ......Orazio Condorelli ,rettore dell'Ateneo, subì una grande umiliazione come racconta il giornalista Lucio Sciacca: "....colpito di tanto misfatto, Orazio Condorelli,magnifico rettore dell'Università e padre putativo del nobile palazzo, uomo di grandi virtù professionali, etiche e civili,affrontò i responsabili della grave offesa inflitta alla città e li coprì di parole roventi. Quelli,indignati e sbalorditi, reagirono seduta stante:misero nelle mani del futuro senatore della Repubblica Italiana una SCOPA DI SAGGINA e gli ordinarono di spazzare un tratto della via Etnea. Il professor Condorelli, il giurista eccelso,il conferenziere insigne,spazzò quel tratto di strada con la dignità e lo stile del maestro che sale in cattedra! La lezione impartita dal professor Condorelli esaltò la civiltà di un siciliano, e nello stesso tempo mise sotto gli occhi dei catanesi il nuovo modo di gestire il sesso, vale a dire comprandolo, come fosse una bevanda o un pacchetto di sigarette. Infatti, sulle orme e sull'insegnamento dei liberatori, si diffuse in città il mercato del sesso a pagamento, prima ristretto in via Maddem, ora straripato fino a piazza Studi! Nel breve volgere di pochi giorni, le lucciole invasero le strade del centro, ponendosi in concorrenza con le consorelle in pianta stabile d'antica prosapia." I catanesi da quel momento si divisero in due partiti :i conservatori tradizionalisti e gli innovatori del libero sesso.Anche le donne catanesi nel frattempo si divisero in due gruppi ,da una parte le casalinghe aggrappate alle loro tradizioni che non uscivano di casa se non in compagnia dei genitori, dall'altra parte le più anticonformiste iniziarono a frequentare local,sale da ballo ,ad uscir la sera incantate dal boogie woogie ,dal whisky e dalle calze di nylon....... S.Nicolosi
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GLI ULTIMI CHICCHIRICHI' DEI GALLI DI BRANCATI I nomi sono sempre gli stessi, Percolla, Magnano, Castorina, Muscarà, Scannapieco, e quanti altri, da prima a poi, si sono scaldati al sole dei caffè di via Etnea. A mezzo secolo dalla morte di Vitaliano Brancati, la tentazione è censire i residui del gallismo catanese, protagonista delle sue opere migliori. Cosa rimane di quel mondo, nella città dove il ragazzo di Pachino approdò per studiare, assumendone ritmi e vizi? Cosa resta dei perdigiorno esemplari che già Verga aveva chiamato ingravidabalconi? «Giovanni
Percolla aveva quarant’anni, e viveva da dieci anni in compagnia di
tre sorelle,... a Catania, dove i discorsi sulle donne danno un
maggior piacere che le donne stesse». Percolla l’accidioso. L’eternamente
eccitato. Che torna in grembo alle matriarche di famiglia dopo una pur
corroborante parentesi matrimoniale a Milano. E’ il Don Giovanni in
Sicilia del 1941. Con Il bell’Antonio e Paolo il caldo forma la
trilogia brancatiana dei seduttori “per nascita e per forza”,
modellata sui tipi catanesi. I cui epigoni, spalmati fra la barocca
via Crociferi e un’ormai poco riconoscibile via Etnea, vanno cercati
fra gli anziani di un certo giro, che cenano alle due di notte e
coltivano l’eros da chiacchiera e da alcova. Si sofferma con fastidio sui ragazzi del telefonino, nutriti dalla tv, incapaci di comunicare. Anche Elena Brancati, nipote di Vitaliano, riconosce nella volgarità la linea di demarcazione fra Giovanni Percolla e il dongiovanni 2003: «I “galli” sono annegati nella macchietta da film scollacciato. Se fanno apprezzamenti su una donna, usano modi e parole grevi, nessuna inventiva, non conoscono i linguaggi impliciti». Basta percorrere via Etnea all’ora della granita, o dell’aperitivo, per viverla da vicino, la differenza. Giovanotti americanizzati, tutti Coca, firme e motorini. I galli superstiti, pronti a infiammarsi sulla passeggiata delle “belle”, hanno in media settant’anni, sono affezionati agli interminabili tavoli da poker di un club della costiera, dove tante fortune hanno preso il volo, e ciarlano di matrimoni fatti, disfatti o da fare, di gravidanze, battesimi, corna. Assai più giovani di Brancati o di Mimì Rapisardi, non avrebbero comunque difficoltà a replicare le loro burle. Quella quasi crudele, ad esempio, che fu giocata un giorno al Vitaliano timido, schivo, col pallino delle donne. «Ci inventammo - ricorda Rapisardi - che una bella aristocratica si era innamorata di lui. Una passione folle, gli dicemmo. Ma i genitori si opponevano, volevano sbatterla in collegio. Scrivemmo anche delle finte lettere, alle quali lui rispose. A un certo punto, era totalmente preso. La cosa, però, ci stava sfuggendo di mano, non sapevamo più come governarla, come, soprattutto, farla finire. Allora ci venne in mente di dire che la ragazza stava partendo per il collegio, ma aveva un ultimo desiderio: una poesia. Brancati la scrisse, titolo A un’Ignota . Ricordo a memoria gli ultimi versi: ...stasera ho voglia di piangere/col volto sulla tua mano/la sera è triste e il mio pianto/lo piango piano piano . Incantevole la malinconia, struggente il pianto quieto, non di rottura, e dunque tanto più profondo...». Giovanotti irripetibili. Capaci di vivere gli amici in modo perverso. «Se io so che la moglie del mio migliore amico lo tradisce, che debbo fare?», cita Rapisardi. Ed è il rovello principe del maschio catanese, innamorato dei suoi sodàli e a loro devoto in forma quasi religiosa. E un vero cilicio, più tormentoso delle corna in casa propria. «A noi piace sofisticare, analizzare, demolire. Ma ciò cui teniamo di più è l’essere creduti diversi da quel che in realtà siamo, ricchi se poveri, intelligenti se stupidi. E viceversa. Ci piace “babbiare”, fare grullo il prossimo. Ne proviamo un piacere quasi sessuale». Gusto della maschera, del travisamento. Difesa di colonizzati, forse. Non esente da una punta di sadismo. Come non pensarci, incontrando il gruppo superstite, reduce da un sabato notte di rappresentanza? «Una cosa noiosissima: l’inaugurazione di un albergo. Se al nostro tavolo non fossero arrivate un paio di belle femmine, sarebbe stato il tedio totale». Edo, o Eldorado, al secolo Eduardo Magrì, distilla la domenica d’estate al lido di sempre, “I Ciclopi”. Con gli amici: Ciccio Calabretta, il bello, ex sportivo, detto Nasone; Franco Pintaldi “Taralla”; Geo Magrì “Naso di corno”. Manca solo lo scomparso Saverio Barbagallo, “Moravia”. Ben tenuti, assonnati ma lucidi, divise da spiaggia degne dei migliori Sessanta. Edo sollecita la memoria collettiva. «Da giovani, entrando da “Caviezel”, la pasticceria, ci ingozzavamo di roba. Poi, alla domanda della cassiera: “Quanti pezzi?”, la risposta pronta: “Un pezzo”. Senza vergogna». Goliardìa di provincia, fra un trasporto erotico e l’altro. «Erano e sono i vitalisti - dice Luciano Motta, geriatra, decano dell’Università di Catania e anima del gruppo (coetaneo) dei gaudenti intellettuali -. Erano gli scavezzacollo, i senzasonno, i forzati del corteggiamento. Vent’anni prima, il giro di Brancati, fatto di professori, giornalisti, scrittori, ebbe caratteristiche più simili alle nostre. Si riunivano davanti alla farmacia dei Minoriti a discutere di letteratura, storia, politica, questioni cittadine. Ancora esiste, quella farmacia. Allora, all’interno, c’era anche una stanza con lettino per le visite mediche. Chi aveva bisogno di un controllo, passava di là e si faceva guardare. Il farmacista - a quel tempo era ancora lo speziale - confezionava subito la prescrizione e il paziente se ne andava avendo fatto due cose in un colpo solo». Via Etnea. Luciano Motta, detto l’“Avvocato”, si rammarica dei mutamenti che il salotto di Catania ha subito nel dopoguerra: «Scomparse le ville nella parte alta, sul viale, che erano magnifiche, scomparsa la Sala Roma, un cinema liberty pieno di ricordi, mutata la zona dell’Albergo Central Corona, dove ronzavamo per spiare le femmine continentali, decimati i tavolini e le tende dove si parlava di sesso». E’ vero, professore, che Paolo il caldo è realmente esistito? Risponde Vera Castorina, vedova di chi molti indicano come il modello reale del personaggio brancatiano: «Mio marito si chiamava Paolo, era splendido, amava le belle donne e le belle donne amavano lui. In una scena del film di Marco Vicario con Giancarlo Giannini, tratto dal romanzo, compare anche lui. La girarono all’Hotel San Domenico di Taormina, fu invitato. Fa un breve passaggio, elegante come al solito. Per identificarlo occorre molta attenzione: io stessa ho dovuto guardare il film almeno tre volte». Il resto, si sa, è Catania, è mestiere della seduzione. RITA SALA http://www.pachinoglobale.net/news/news_notizia.php?id=1027
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IL GALLISMO DALLE PAGINE DEI LIBRI AL GRANDE SCHERMO. Un motivo ci sarà stato perchè tanti film appartenenti al filone erotico del cinema italiano sono passati proprio da Catania. Parecchi sono tratti dai capolavori di Brancati, Patti ed altri ma, a parte i romanzi, sarà stato anche quel pensiero fisso a... quella cosa là; una smania che si fa evidente in certi frangenti e che, appunto, ha spinto molti registi italiani degli anni Settanta ad attivare il ciack dietro i maliziosi angoli delle nostre strade o all'interno di palazzi in cui gambe femminili fanno capolino da effimere innocenze. In sostanza, luoghi, linguaggi, personaggi e situazioni complici di quei bollori che, oltre a celebrare la narrativa di casa nostra, hanno contribuito a creare quel fenomeno che è stato la "Commedia erotica all'Italiana".
Paolo il Caldo (Vitaliano Brancati) ...........vecchi
fiori, odore che nessuna donna di Roma aveva mai posseduto e che gli
saettò dentro la carne come uno scotimento profondo. Egli rimase
immobile, seguendo il corso di quella specie di serpe che gli era
entrato nei nervi e li mordeva alla radice.
Nel suo ultimo romanzo, "Paolo il caldo" (1954), pubblicato postumo, Brancati rappresenta la degenerazione del gallismo in follia. Paolo Castorini è segnato fin dall'infanzia dalla tendenza alla lussuria: ciò lo allontana dal padre Michele, uomo sensibile e schivo, che si occupa di problemi spirituali ed impiega il tempo leggendo le 'Confessioni' di Sant'Agostino. Consapevole che la felicità è data dal distacco dai sensi ed incompreso, Michele giunge al suicidio. Paolo decide, allora, di lasciare la Sicilia per trasferirsi a Roma, dove vive relazioni brevi e superficiali, tormentato da una sessualità sfrenata, tra fantasie ed approcci sempre più morbosi. Un telegramma improvviso lo costringe a tornare, dopo molto tempo, in Sicilia: la madre, la sorella e lo zio Edmondo sono vecchi e malati. Di fronte a questa decadenza fisica e morale, Paolo prende finalmente coscienza del rischio della follia: "Io rischio di diventare un idiota, e non voglio diventare un idiota!". Terrorizzato all'idea, egli decide di cambiare vita e sposa Caterina, giovane nipote d'un farmacista con la quale si trasferisce nuovamente a Roma. Tuttavia, Paolo non riesce a liberarsi delle proprie ossessioni: non sapendo accettare le ritrosie ed il candore della giovane sposa, sfoga il proprio desiderio con prostitute che frequenta nei quartieri poveri della capitale, ove la voluttà si fa largo tra la miseria. Quando Caterina fa ritorno in Sicilia, Paolo, solo con la propria libidine, sente "l'ala della stupidità sfiorargli il cervello". Il gallismo diventa, in quest'ultimo romanzo, patologico, e rappresenta la sconfitta della ragione alle prese con l'ossessione della carne, metafora della crisi della società borghese che non sa affrontare la realtà sfuggente http://www.italica.rai.it/scheda.php?scheda=grandi_narratori_900_brancati_paoloilcaldo
Il
bell'Antonio (Vitaliano Brancati)
______________________ La targa è stata piazzata, fotografata e lasciata a Catania in via Vittorio Emanuele II al 133, nel preciso palazzo dove nel film abitano i genitori del bell'Antonio, in barba alla telecamera della BNL. Antonio
Magnano è il protagonista de Il bell'Antonio, un film del 1960
diretto da Mauro Bolognini, tratto dall'omonimo romanzo di Vitaliano
Brancati. Il film si può vedere qui.
Un bellissimo Novembre (Ercole Patti)
«La
zia aprì piano un battente dell'armadio che mandò un odor pungente
di rinchiuso e di naftalina; si vedevano nel fondo due cappelliere di
cartone leggermente rosicchiate dai topi una sull'altra e due
ombrellini da sole appoggiati in un angolo; nell'altro angolo un
bastone di quelli con dentro lo stocco di acciaio; le grucce per
appendervi gli abiti erano libere.
"Apri prima quella più piccola", disse lei. ___________ Nino, un ragazzo di diciassette anni, si sente incompreso ed abbandonato da tutti; l'unica che sembra capirlo è zia Cettina, sorella di sua madre che in lui risveglia i primi desideri e turbamenti dei ragazzi della sua età. Cettina è sposata con Biagio, ed è divertita dai turbamenti di suo nipote, ed allo stesso tempo risveglia in lei l'istinto materno, che è rimasto inappagato. La donna non ha figli, e sente l'ipocrita e monotona vita di provincia la sta lentamente uccidendo. Tra lei e Nino quindi inizia una relazione..
Malizia (Salvatore Samperi) In un appartamento acese, negli anni '50, si trovano numerose persone in lutto per la morte della moglie di Ignazio La Brocca (Turi Ferro), gestore di una sartoria ben avviata e padre di tre figli maschi, il diciottenne Antonio, il quattordicenne Nino (Alessandro Momo) ed Enzino, di circa sei anni. Tra i presenti, si trova una giovane donna di nome Angela La Barbera (Laura Antonelli), che proprio in quel giorno era stata convocata per entrare a servizio della famiglia. Il vedovo ed i tre figlioli ben presto si adattano alle cure dolci e doviziose della nuova presenza femminile. Nonostante il suo lavoro sia impeccabile, l'apprezzamento è dovuto soprattutto alle generose e sensuali forme che s'intravvedono sotto le sue sottili vesti. Il figlio maggiore è sempre più invadente e non perde occasione per importunare la ragazza durante le faccende di casa. Il vedovo non riesce a resistere alla tentazione e decide - dopo aver chiesto aiuto al sacerdote e malgrado abbia ricevuto il divieto dalla severissima madre - di prenderla in sposa, nonostante il breve tempo trascorso dalla perdita della consorte. Ad ostacolare la loro unione, oltre all'inquisitoria presenza di un grande ritratto della ex-moglie appeso in camera da letto, è il figlio Nino, totalmente ossessionato dalla donna. Tra i due si va instaurando un rapporto malizioso e crudele, nel quale Angela si ritrova a soddisfare giochi erotici adolescenziali, pur di riuscire ad ottenere il consenso per sposare il padre. Dopo una serie d'incursioni furtive ed appuntamenti segreti, l'iniziazione sessuale del ragazzo si compie ed il matrimonio tra Ignazio ed Angela può essere celebrato.
100 colpi di spazzola prima di andare a dormire (Melissa Panarelloi) E'
un romanzo erotico in chiave auto-biografica della scrittrice catanese
Melissa Panarello, firmato con lo pseudonimo "Melissa P.".
Il libro è stato pubblicato in 42 nazioni, consacrando l'autrice al
successo con oltre tre milioni di copie vendute ufficialmente secondo
i dati della casa editrice[2], sebbene l'editore abbia in seguito
ammesso che le copie effettivamente vendute siano state in realtà
forse due milioni. Il
romanzo è scritto sotto forma di diario, in cui la protagonista
riversa le proprie emozioni e descrive accuratamente le proprie
giornate. Il romanzo è apparentemente autobiografico e la voce
narrante gioca ad avere lo stesso nome dell'autrice senza però
ricalcarne le vicende.
http://it.wikipedia.org/wiki/100_colpi_di_spazzola_prima_di_andare_a_dormire
GLI ALTRI (MA CE NE SONO ANCORA TANTI)
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di
Pasquale Almirante (da "A Catania con amore" di Aldo Motta -
Edizioni Greco)
Puttana,
bagascia, etera, lupa, prostituta, meretrice, baldracca, lucciola,
passeggiatrice, donnina, mondana ... in quanti modi si può definire
la cultrice del mestiere vecchio come il mondo e i cui canoni ideali
di base, contrariamente a tutte le rivoluzioni industriali e
tecnologiche dei secoli, rimangono sempre gli stessi!
Non sappiamo chi inventò quest'arte, richiesta in vero da clientela
di ogni ceto e classe; sappiamo però' che Cheope, il faraone tumulato
nella piramide più alta d'Egitto, fece prostituire la figlia per
finanziarsi il sepolcreto e che Cleopatra potrebbe essere considerata
l'etera meglio pagata della storia perché ottenne, da quel buon
tempone di Antonio in cambio dei suoi orientali lavori, Siria,
Fenicia, Arabia, Cilicia e la Giudea; invece l'ebrea Tamara, dopo
essersi liquidati con i suoi eccessi amorosi i fratelli Er ed Onan,
sedusse, ai margini di una strada e in guisa di lucciola, il suocero
Giuda che le aveva rifiutato l'ultimo figlio.
Tuttavia dobbiamo riferire un piccolo giallo perché, da precedenti
informazioni,- avevamo saputo che la casa di prima categoria per.
eccellenza era la "Fargione", seguita subito dalla "Fargionetta",
la "Suprema", la "Grasso", la "Favorita"
in B stavano: "Stella dei mari", "Zia Mattia",
"Vittoria", "Olimpia", "Flora dei mari". "Oh
tempora oh mores!" per declamare Virgilio, contrito che ora
abbraccia l'anziana "signorina" di un tempo, venuta
anch'ella al nostro appuntamento! La donnina di un tempo, che di mille rughe ha serpeggiato il volto, accoccolandosi gobbosa tra le robuste braccia di Virgilio, aggiunge tenera, col tremolìo del labbro: "Quando furono chiuse quelle case, piansero tutte le ragazze! Disperate, non sapevano che fare, dove andare, a chi rivolgersi. Guardi ora come sono ridotte". E il suo braccio avvizzito, uscendo dietro la mole di Virgilio, mi indica i resti del San Berillo, in cui al degrado fatiscente delle case, dei vicoli, degli antri purulenti s'accompagna quello antico, inestirpabile di una umanità bizzarra, abbruttita, violentata, incosciente, "singolare" come la condizione della minoranza che si contrappone al "plurale", alla massa che sogghignando passa e spésso vi si invischia. Ed esse, le ragazze, simili ad un ragno, tessono la tela, cantando nenie d'amore misterioso per attirare navigante e barca, nei profondi, inconsci e ancestrali abissi della libido.
Anna Accupu
grazie a Salvo Consoli
IL FASCINO OSCURO D'UNA STRADA :VIA LORENZO MADDEM A SAN BERILLO NEL PRIMO '900 -......una strada del centro storico, esaltata e vituperata a seconda dell'ottica attraverso cui la si guardava; una strada dal toponimo ragguardevole, decorato del nome d'un illustre ingegnere catanese:Lorenzo Maddem;una strada dal fascino oscuro, nata nell'opulenza, morta nella miseria, Essa,infatti, all'inizio del secolo scorso divenne un punto di riferimento per gli uomini in cerca di amore a pagamento, essendo il più ampio e assortito contenitore di case di tolleranza dell'intero rione,pieno di merce similare nelle varie strade e stradine trasversali. Poi,come suole accadere nelle zone adibite al pubblico commercio (qui si commerciava in prodotti speciali, ma sempre commercio era!),in via Maddem aprirono MAISONS di lusso,ben arredate, accoglienti, come salotti rococò dalla leggiadra tappezzeria,buvette fornita di champagne, musichette sottofondo, riservatezza garantita. Ogni casa di lusso disponeva d'una direttrice, che non veniva chiamata TENUTARIA ma MAITRESSE o, addirittura, SIGNORA.Appariva di buonumore, ben disposta,ben vestita, miscelava frasi francesi alla lingua nativa,e nei larghi sorrisi d'accoglienza mostrava un dentino tutto d'oro!Una donna di mezz'età , appositamente costruita ,non priva di fascino e di mestiere. L' affezionata clientela era fatta di persone danarose, la "merce"di prima scelta, i costi elevati. Ma non tutti andavano per "comprare",ci furono anche ospiti di riguardo, avvocati, ingegneri, politici che,prima dell'avvento del fascismo, passavano ore liete in quei salotti, sol per conversare e centellinare un caffè! Le ragazze cambiavano città ogni quindici giorni;le più appariscenti fra le nuove arrivate venivano pubblicizzate in via Etnea:una carrozzella padronale ,mantice abbassato ,tappezzata di panno blu, dipinta d'azzurro con striature rosse,ruote gommate, cavallo di classe,cocchiere in divisa grigia e berretto duro con visiera,scorreva briosa dalla Villa a piazza Duomo e ritorno, diverse volte. La gente si soffermava a guardare, i maschi soprattutto. Le donne le voltavano le spalle smaccatamente, alcune elargendo parole sfottenti, altre segnandosi in fronte. Le CASE CHIUSE furono più chiuse e più controllate dalla questura, tramite la squadra del "buon costume ";e più severi divennero i controlli di carattere sanitario. Sulla via Maddem incombeva una sorta di ostracismo, esteso anche al nome onorato del povero ingegnere! Ma i giovani, quella strada la pensavano, la sognavano,la temevano;era una tentazione, un assillo,un traguardo da raggiungere, prima o poi. Il "passaporto "per accedere dentro le case era la carta d'identità:occorrevano i diciott'anni compiuti. Alcuni ragazzi ricorsero alla scolorina per aggiustarsi la data di nascita....furono scoperti, diffidati ed estromessi. I meno avventurosi pensavano che,senza la pretesa di andare oltre,percorrere quella strada almeno una volta, di giorno, poteva soddisfare la loro curiosità, forse anche mostrare qualcosa di più....Quali rischi potevano esserci? Ma i rischi c'erano!Se,proprio quell'unica volta per avverso destino,avessero incrociato in quei paraggi un conoscente, un vicino di casa, un amico di papà, uno dei loro professori? Epperò il dado bisognava trarlo, si doveva agire. Talchè,assumendo un'aria innocente, si passava alla svelta, al centro di strada, col cuore in tumulto.Si guardava in tralice verso le verdi persiane:sempre chiuse! Che si poteva vedere? Indugiare soffermandosi, meglio no;sopravveniva la delusione, forse anche un senso di rigetto. - Non ci passerò più per via Maddem!- si sussurrava a fior di labbra. Invece, dopo qualche settimana, si tornava a pensare e a soffrire come prima. Le CASE TERRANE ,tutte abusive, si collocavano sul frontale opposto dei salotti dorati sopra citati, i quali, già negli anni Trenta erano sul viale del tramonto. Resistevano nomi d'affascinante ricordo come NEDDA GRASSO e MATTIA ABRAMO(inattive durante il Ventennio),o come FARGIONI,BUCANEVE,MODERNA in piena attività. La strada più frequentata dalla bassa forza (soldati e marinai)era la De Gaetani, poi Delle Finanze, su cui si affacciavano la DIANA-MASCALI e la ROMANA:tutto esprimeva squallore in quella strada, persino il selciato stesso, umido e scivoloso per le abbondanti irrigazioni degli utenti, e per la mancanza di vespasiani. L' unico collocato all'angolo con la via di Sangiuliano era da tempo inagibile, oltrechè inavvicinabile:una fogna di liquame a cielo aperto! Sentiamo Salvatore Nicolosi (Uno splendido Ventennio, Tringale, 1984)che così lo fotografa:"La gente viveva in quel ghetto (via Maddem ne era il centro)un'esistenza da bruchi.La prostituzione libera e quella controllata, cioè le mercenarie che si autogestivano e quelle delle case di tolleranza, allignavano del resto ovunque, in città. Le indipendenti erano abbordabili qua e là:in piazza Università, nella zona del cinema Sangiorgi, a San Cristoforo;e c'erano talune famose ,che si fregiavano di nomignoli eccentrici: MARA 'A PAZZA,ANNA ACCÙPA,SANTA L' ORBA,NINETTA 'A BUMMA,'RÀZZIA 'A PILUCCA. Non belle , con la sola eccezione, forse, di 'A PAZZA, grulla e poco pulita. Altre erano afflitte da tare fisiche che le gratificavano di pertinenti soprannomi:'A SCIANCATA,'A SURDA, 'A MULA......La mattina gli avventori erano pochi e si muovevano frettolosi e guardinghi, per lo più provinciali, militari, qualche professionista di spicco, qualche nobilotto che però si vergognava di farsi vedere da quelle parti ...Quelle strade e quegli "eserciti"si animavano quando faceva buio.La folla serale era composta specialmente da giovani, perlopiù universitari, cui si mescolavano di straforo i minorenni liceali del Cutelli e dello Spedalieri ". I minorenni che studiavano il latino,anche quelli che lo imparavano di malavoglia, si abbarbicavano al detto:Audaces fortuna iuvat, s'inventavano una forte dose d'audacia e,appena potevano, tentavano la sorte.... Le tenutarie li riconoscevano a prima vista, alcuni chiudevano un occhio e li ammettevano in camera, altre no. I respinti insistevano, si appellavano ad una locandina appesa nella sala d'aspetto. In lettere cubitali diceva:Siete tutti froci?Andate in camera, ragazzi! ......A Catania, non credo le "direttrici "avessero....cortesie coi ragazzi, di solito squattrinati! Nel rione proibito, le cose andarono avanti fino al fatale ottobre del 1958 ,quando l'onorevole Angelina Merlin promosse la legge che aprì le famigerate case-chiuse. La speciale mercanzia, che riempiva quelle case e ornava quella strada, si autocollocò equamente e con sollecitudine nei punti nevralgici della città! Il "guadagno "che se ne fece fu (ed è)sotto gli occhi di tutti. - (Lucio Sciacca)
In Sicilia viveva un duca, poeta e fimminaro: quando faceva l'amore suonava la campana Il suo castello, "espugnato", esiste ancora e si trova in un delizioso borgo medievale e abbandonato che era chiamato “u feu”. La storia di un viveur, amato e detestato Marta Genova - 19 ottobre 2022 Lo hanno appellato nei modi più diversi, di certo il suo vivere si prestava a questo gioco. La sua storia è assai nota, forse via via dimenticata ma siamo certi che il suo nome vi dirà qualcosa: il Duca di Gualtieri, Giuseppe Avarna. Fece scandalo la sua storia d’amore con Tava Daetz, per la differenza di età - lei aveva 26 anni e lui era prossimo ai 60 - ma soprattutto perché il duca lasciò la moglie e i tre figli per questa donna che in un'intervista a Enzo Biagi definì “l’unica immensa fortuna della mia vita”. Aveva un cuore, il nobile duca, ma capirlo non era cosa per tutti, per la maggior parte delle persone era solo il rampollo di un'antica e nobile famiglia siciliana, cresciuto nell'agio e amante della bella vita. Ma non era solo questo, era dotato di grande intelletto e di una sensibilità che sfociava in malinconia. Prima di raccontarvi di questa intensa storia d’amore, vi parleremo di questo eccentrico duca che visse la maggior parte della sua vita a due passi da Milazzo, un viveur, un “fimminaro”, un poeta. Amato e detestato. Le origini della sua storica famiglia del mezzogiorno di Italia le raccontò lui stesso in numerose interviste. Risalivano al primo insediamento longobardo nel marsitano, hanno poi seguito tutte le vicissitudini del regno attraverso le varie dinastie, dai normanni, agli svevi, agli angioini, gli aragonesi,i borbonici e la dinastia sabauda. Suo padre era il Duca Carlo Avarna di Gualtieri e sua madre Giulietta Farensbach. Visse la sua infanzia a Roma studiando in famiglia. Parlava correttamente francese e inglese. Intellettuale, poeta, scrittore, fondò anche una rivista chiamata "Girasole"con un gruppo di giovani scrittori. Compose liriche in lingua francese e le raccolte di poesie in lingua italiana (Il cavaliere gotico, Ovunque confini, Macerie, seguono le poesie Ecco Perché, Solenne 1996, Il Cipresso 1997, Eravamo, Vorrei, Vado Avanti 1998, opere pubblicate nella raccolta Il Silenzio delle Pietre 2010). Era appassionato di politica e fu anche tra i fondatori del movimento per l'autonomia della Sicilia, assieme a Carlo Stagno d'Alcontres., Francesco Paolo Lo Presti, Umberto Bonino, Gaetano Martino, Giuseppe Pulejo, Antonino Vaccarino. La sua storia echeggia ancora tra le strade dell'incantevole borgo medievale, Sicaminò, a circa 5 chilometri dal paese di Gualtieri Sicaminò, nel sito naturalistico in cui ricade la cascata del Cataolo. Il borgo era chiamato dai gualtieresi “u feu” (il feudo). Qui si trova il palazzo Baronale della famiglia Avarna e la annessa cappella di fine '800 e a questo luogo è legata la vita del Duca Giuseppe Avarna, amato e odiato ma che di certo non lasciava indifferenti, uomini e donne. Il castello fu costruito per conto del Duca Bartolomeo Avarna (primo duca di Gualtieri in casa Avarna, fatto duca nel 1797 per i servizi resi a Ferdinando I di Borbone), nel secolo XIX. Da lui il feudo passò al figlio Carlo e poi al nipote Nicolò che sposò Giulia di Somma, baronessa rimasta nella memoria collettiva per la sua grande bontà. Giuseppe Avarna visse al castello per oltre trent’anni, si era sposato nel 1941, a Cortina d'Ampezzo, con Magda Persichetti, nobildonna appartenente a un’agiata famiglia di costruttori romani, da cui ebbe tre figli, Carlo, Guiscardo e Albereda. La donna conosceva bene il “personaggio”, sapeva già che avere la fedeltà del duca sarebbe stato impossibile... Sono diverse le scappatelle a lui attribuite e addirittura accadde che una volta, la figlia Albereda, ai tempi 22enne, arrivò alle mani con una “presunta” amante del padre, Antonina Torre e la notizia arrivò anche sui giornali. Si legge in un vecchio articolo infatti che le due donne si “sarebbero scambiate ingiurie e percosse, riportando entrambe notevli lesioni" e che la duchessina era stata ferita in diverse parti del corpo e aveva deciso di sporgere denuncia contro la donna. Una vita vissuta al massimo quella del duca che fu conosciuto nel mondo per la sua storia di amore con una hostess di quasi 40 più giovane, Tava Daetz, americana nativa dell’Oregon, che sposò ben undici anni dopo attendendo le carte del divorzio. I testimoni di nozze furono i principi Grimaldi e Borghese. La moglie gli tolse tutto, “Tutto ciò che possedevo” dirà in numerose interviste ribadendo che ciò che gli era stato portato via era tutto frutto del suo lavoro e di beni di famiglia. E infatti fu Tava a pensare al suo sostentamento per il resto della sua vita. E di questo amore voglio raccontarvi adesso. Perché diversamente dalle altre volte, per il nobile messinese, quello fu il vero amore della sua vita, e con lei si rifugiò nella cappella ottocentesca adiacente al palazzo baronale. In un articolo pubblicato da Antonino Cangemi nel 2018 su Dialoghi Mediterranei si racconta dell'amore, a partire dal loro primo incontro che avvenne nel 1976 nel pieno centro di Roma. "Tava Daetz ha occhi bellissimi dai colori cangianti tra il verde e il celeste, capelli castani scuri, un sorriso luminoso, un corpo slanciato, gambe lunghissime: è, insomma, una donna di particolare fascino che unisce all’avvenenza fisica classe e sensualità", si legge. Era corteggiatissima ma la meglio tra tutti l'ebbe il duca Giuseppe Avarna, che a quel tempo aveva 59, ben 34 più di lei ma aveva un savoir-faire che non lasciava scampo. E nell'articolo si legge ancora, «È stato proprio love at first sight» – confesserà Tava. Il classico colpo di fulmine. Dopo rapidi convenevoli e sguardi incisivi d’intesa, il duca le propone di bere champagne. Lei scoppia a ridere, lui le prende il braccio, con delicata naturalezza. Una delle armi seduttive del duca è l’ironia, che sa indirizzare anche nei propri confronti. Durante il primo incontro ne fa sfoggio con destrezza. Tante le sue battute brillanti che rivelano a Tava di avere incontrato un uomo di straordinaria eleganza pieno di vitalità e umorismo. Una, soprattutto, le rimane impressa: «Mi odiano tutti perché sono troppo intelligente». Tava era attratta dal duca sotto ogni punto di vista, e forse soprattutto da quell'aria da nobile decaduto e trasandato. Passano pochi giorni dal primo incontro e i due amanti si trasferirono in Sicilia ma non nel castello di Gualtieri dove ormai la sua presenza non è più tollerata, la storia era di dominio pubblico ed era, appunto, una storia, non un semplice flirt passeggero. Fu così che la coppia andò a vivere nella cappella sconsacrata del curato e secondo le cronache con loro anche sette cani e i cavalli. Scrive ancora Cangemi: "In quell’ambiente bucolico, l’amore trionfa – condito dai tocchi di campana –: lei suona la chitarra, lui declama i suoi versi. Ma non vivono di solo amore e poesia: il duca coltiva la terra, pianta alberi, i due amanti raccolgono l’uva e gli altri frutti, insieme puliscono i campi estirpando le erbe cattive. Su tutto s’impone la parsimonia: per spostarsi da un luogo all’altro, Giuseppe e Tava si accontentano di un’utilitaria: prima una Cinquecento, poi una 126, la fuoriserie il duca la possedeva ma dovette venderla". La storia d’amore conquistò i rotocalchi i tutto il mondo. Tava non smise mai di lavorare, dovendo sostenere economicamente tutte le spese anche per il futuro marito. Continuò a fare la hostess e il duca la seguiva nei continui viaggi per il mondo rendendosi utile e racimolando qualche denaro facendo il cuoco di bordo. La storia racconta che durante le loro notti d'amore suonassero la campana per fare ingelosire la ex moglie. Anche il pretore di Milazzo, cui si rivolse la ex moglie Magda Persichetti denunciando il fatto sposò la tesi e condannò il duca a un'ammenda, con tanta di pubblicazione del responso sulla “Gazzetta del Sud”. Il Duca invece non confermò mai la tesi ma in realtà che si potesse pensare quello che si oensava lo divertiva parecchio. In un'intervista rilasciata a Biagi raccontò con entusiasmo che sì, la suonavano in momenti di euforia, di gioia, perché lui e Tava avevano, diceva, un modo di interpretare la vita con ironia e spirito e non era certo per “suonare campane a morto per la ex consorte”, ma solo per umorismo. La sorte purtroppo alla fine con lui non fu benevole, nella morte intendo. Ebbe sicuramente una vita incredibile e piena di avventure come ogni Gattopardo che si rispetti dovrebbe avere, ma morì in solitudine e in seguito ad un drammatico evento, nel 1999, nel tentativo di salvare da un incendio la sua biblioteca. La sua modesta abitazione, la cappella del Curato, fu misteriosamente avvolta dalla fiamme. Giuseppe Avarna duca di Gualtieri non ebbe il tempo di avvertire i pompieri e chiedere aiuto. Lo trovarono carbonizzzato nel bagno, forse cercava una via di fuga ma le grate dalla finestra bloccarono il passaggio. Tutto andò distrutto, rimase in piedi solo una porzione di muro su cui il duca aveva scritto l’ultima poesia per Tava e la bandiera azzurra del casato, issata su un balcone. Il duca Riuscì a mettere in salvo alcuni libri e raccolte di poesie. Il castello nel tempo rimase disabitato e fu anche oggetto di pignoramento. Fu acquistato all’inizio del 2020 dal signor D'Amico che avrebbe voluto realizzare un albergo, ma il progetto non è mai andato in porto. Oggi è di proprietà dei figli, Maria Grazia e Alessandro, che non hanno smesso di cercare il modo di realizzare il sogno del padre di valorizzare questo luogo, ma non è facile. Quanto alla "campana d'amore" che in tanti ricordano, oggi non esiste più. Fu rubata una decina di anni fa ma c’è chi giura di sentirla ancora suonare di tanto in tanto, di giorno e di notte.
Storia e tecniche della ‘fuitina’, un’usanza socio-economica Nonostante il suo nome simpatico, la fuitina è tutt’altro che una pratica ben vista; almeno oggi, perché in passato era invece particolarmente diffusa, e in alcuni casi, utile, o necessaria. Fino all’inizio degli anni Novanta, in tutto il Sud d’Italia prese piede il cosiddetto fenomeno della ‘fuitina’; ovvero di una fuga, che i giovani ragazzi innamorati decidevano di mettere a segno spesso per poter consumare le proprie giornate da amanti in santa pace; a volte invece, per sposarsi in fretta e furia, magari perché la famiglia non approvava l’unione, perché vi erano dei contrasti tra congiunti, o perché la ragazza si ritrovava incinta. Più anticamente però, questo fenomeno di costume riguardava anche i ceti più abbienti, e, soprattutto, non era una pratica che veniva portata avanti di nascosto, bensì molto spesso organizzata in concerto, con parenti e genitori. Questo perché una volta, le famiglie erano notevolmente più numerose; le prime a sposarsi erano le figlie, poi i maschi, in ordine d’età. Quindi che speranza aveva una figlia giovane contro 8 sorelle? O che speranza aveva la classica ‘vecchia zitella’ che finalmente aveva trovato lo sposo ma non c’erano più i soldi per accomodarlo? Infatti anticamente, il matrimonio veniva organizzato con un grande dispendio di energie e di denaro. Una tradizione, che ove possibile continua a rimanere viva e presente in tutto il Sud, Sicilia compresa. Quello che però non è più uso preparare, è la dote: spesso biancheria finissima oppure mobili, che gli sposi dovevano portare come offerta il giorno del matrimonio; era una sorta di contributo, che ognuna delle due famiglie coinvolte nel contratto, si doveva preparare a rispettare, pena il non compimento del matrimonio. Non tutti però se lo potevano permettere, specialmente dopo aver sposato altri 5 figli. Ed ecco che entrava in campo la ‘fuitina’, una maniera ben accordata e articolata, di permettere alle proprie figlie femmine una posizione, e mettere a tacere i pettegolezzi di paese. Una volta infatti era parte del costume delle celebrazioni, dare bella mostra della ricchezza e dello sfarzo, di cui era capace la propria famiglia; la ‘fuitina’ avrebbe eliminato ogni dubbio circa l’eventuale povertà dei ragazzi e dei loro genitori, che con la forza del sentimento avrebbero potuto giustificare la loro fuga agli occhi indiscreti dei compaesani. Ecco quindi la messinscena, che veniva organizzata con grande dispiego di forze: prima, un rapido rapido di messaggi tra i due amanti, che attestava il luogo dell’incontro preposto al viaggio, solitamente breve; poi, il coinvolgimento di parenti prossimi, coloro i quali offrivano alla giovane coppia il luogo in cui rifugiarsi, molto spesso vicino casa. Normalmente, alla ‘fuitina’ occorrevano solo poche ore. Una volta consumato il matrimonio, infatti, i giovani avvisavano casa, confermando i finti sospetti che serpeggiavano in famiglia sulla loro ‘fuga d’amore’. Tornati a casa dopo lo ‘sdillinchio’ del padre della ragazza, a volte ‘con pagnotta già nel forno’, i due giovani erano ora tenuti a sposarsi. Solo così infatti il ragazzo avrebbe ‘protetto il buon onore’ della di lei, che altrimenti non avrebbe voluto più nessuno, in quanto già ‘fuiuta’. Dopo i dovuti complimenti di rito, anche da parte degli altri abitanti della città o del paese, il matrimonio poteva essere celebrato. Enrica Bartalotta http://www.siciliafan.it/storia-tecniche-fuitina-unusanza-socio-economica/
Testa di Moro: mai tradire una Siciliana La Testa di Moro è un oggetto caratteristico della tradizione siciliana. Si tratta di un vaso in ceramica dipinta a mano utilizzato come ornamento che raffigura il volto di un Moro e talvolta di una giovane donna di bell’aspetto. Un’antica leggenda narra che intorno all’anno 1100, durante il periodo della dominazione dei Mori in Sicilia, nel quartiere Kalsa di Palermo, viveva "una bellissima fanciulla dalla pelle rosea paragonabile ai fiori di pesco al culmine della fioritura e un bel paio di occhi che sembravano rispecchiare il bellissimo golfo di Palermo". La ragazza era quasi sempre in casa, e trascorreva le sue giornate occupandosi delle piante del suo balcone. Un giorno si trovò a passare da quelle parti un giovane Moro, che non appena la vide, subito se ne invaghì e decise di averla a tutti i costi. Quindi senza indugio entrò in casa della ragazza e le dichiarò immediatamente il suo amore. La fanciulla, colpita da tanto ardore, ricambiò l’amore del giovane Moro, ma ben presto la sua felicità svanì non appena venne a conoscenza che il suo amato l’avrebbe presto lasciata per ritornare in Oriente, dove l’attendeva una moglie con due figli. Fu così che la fanciulla attese la notte e non appena il Moro si addormentò lo uccise e poi gli tagliò la testa. Della testa del Moro ne fece un vaso dove vi piantò del basilico e lo mise in bella mostra fuori nel balcone. Il Moro, in questo modo, non potendo più andar via sarebbe rimasto per sempre con lei. Intanto il basilico crebbe rigoglioso e destò l’invidia di tutti gli abitanti del quartiere che, per non essere da meno, si fecero costruire appositamente dei vasi di terracotta a forma di Testa di Moro. Ancora oggi nei balconi siciliani si possono ammirare Teste di Moro spesso denominate anche "Teste di Turco" di pregevole fattura, un simpatico monito per tutti i mariti! http://www.siciliafan.it/testa-di-moro-mai-tradire-una-siciliana/
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Era il mercato del sesso più grande d'Italia. Poi dal quartiere a luci rosse di Catania una retata ha cacciato le prostitute immigrate. Ora restano i transessuali, le italiane e la realtà di tante vite difficili. Aspettando che arrivi un centro commerciale di Chiara Dino
Via delle Belle ha cambiato colore. Il più grande mercato del sesso povero d'Italia si è trasformato, sotto gli occhi increduli di magnaccia e puttane. Dai tuguri di San Berillo sono sparite le nigeriane, le colombiane, le magrebine. Le più giovani, le più belle, le più procaci tra le prostitute del quartiere a luci rosse di Catania: via, via per sempre. Sono state cacciate, nello spazio di poche ore, da una retata dei carabinieri: ha colpito poche settimane fa, ma è stata studiata con cura per anni. Centinaia di case piccole e maleodoranti, dove giovani donne di colore offrivano le loro grazie in cambio di poche lire e dove un'ora d'amore non si negava a nessuno, sono in gran parte deserte. Di più: sono state murate o sprangate con grossi catenacci. C'è chi dice che tutto questo preluda a un grande speculazione, che dovrebbe trasformare il quartiere in un immenso centro commerciale. Voci che rimbalzano di bocca in bocca, chiacchiere che riecheggiano in battute appena accennate di prostitute e svagati frequentatori della zona. Eppure, in questo angolo di Sicilia, le marchette sono ancora all'ordine del giorno. E i catanesi lo sanno. Passeggiano con aria disinvolta, scelgono la preda più intrigante o la più economica. Spesso sono clienti fissi, che cercano con maniacale assiduità sempre la stessa donna. Entrano nelle case chiuse di San Berillo per uscirne mezz'ora dopo con 30 mila lire in meno in tasca e, negli occhi, la strana soddisfazione di chi ha goduto a pagamento. Scivolano via con circospezione da un baraccone del sesso, strangolato da una selva di edifici pericolanti, che si estende per oltre 90 mila metri quadri. Scappano con malcelato imbarazzo da un mercato del piacere a cottimo, dove la meretrice più giovane ha 28 anni. Brigitte è un travestito che delle sembianze maschili non mantiene quasi più nulla. Passeggia tra via Circo e via delle Finanze dove, al civico 29, si vende con disinvoltura per 40 mila lire la marchetta. Vagheggia una vita diversa, da reinventarsi in qualche parte del mondo dove, probabilmente, non andrà mai. Si guarda intorno, racconta di sé e delle sue compagne di ventura: quelle professioniste del sesso attempate e cordiali, scampate, per il momento, al repulisti dei carabinieri. "Sono qui da 12 anni. Ma oggi sono stanca del tran tran squallido di San Berillo". Gambe lunghe e magre, viso scavato e capelli biondi, Brigitte ancheggia come una modella di professione. Ostenta sicurezza e pensa all'Olanda, patria del sesso libero senza ipocrisie, come a una meta possibile ma lontana. "Vivo con un uomo che mi ama e che amo. Sa del mio lavoro ed è geloso. Ma rispetta la mia scelta: andarmene da qui vorrebbe dire lasciarlo, e non ne ho voglia. E poi", aggiunge con una smorfia che sottolinea i tratti forti del viso, "sono io che detto le regole, nel mio lavoro. Niente porcherie né orge. I miei clienti lo sanno: con me si fa solo sesso tradizionale. E mi do solo a chi mi piace. Prendere o lasciare". Maurizio ha tutt'altro aspetto. Da queste parti lo chiamano Lulù. Ha 32 anni, una massa folta di capelli lunghi, e quando non batte vive con l'anziana madre in un paesino dell'hinterland catanese. Qui a San Berillo ha comprato una casetta. Una stanza di pochi metri quadri, uguale a tante altre. Il suo tariffario varia a seconda delle prestazioni: "A chi si accontenta di fare sesso qui da me chiedo 30 o 40 mila lire. Ma se i clienti mi chiedono di andare a casa loro, allora la musica cambia. Non mi muovo per meno di 300 mila lire. Anche perché, in genere, chi ti invita a trascorrere una notte nel suo letto ha in mente giochi erotici perversi. Spesso sono professionisti affermati. Ti chiedono di scoparti la moglie e poi di ricominciare con loro. È un vero schifo. Lo faccio solo per guadagnare". La sua più cara amica nel quartiere si chiama Anna. Ha 57 anni, anche se ne dimostra meno. È arrivata qui a Catania un po' per caso e un po' per bisogno. Nella sua città, Salerno, ha lasciato cinque figli, che mantiene da lontano collezionando marchette dalle nove del mattino alle sei di sera. Il suo "ufficio" di San Berillo, è così che lo chiama, è una stanza rischiarata appena da una luce fioca. Il letto troneggia tra quattro mura piene di specchi e di manifesti. Le foto nude di Marina La Rosa, la bella messinese del Grande Fratello, stanno accanto all'immagine di padre Pio. Perché Anna, in Dio e nel frate buono di Pietralcina, crede senza riserve. "Quando avrò messo da parte un po' di soldi", racconta, "smetterò con questo mestiere e mi dedicherò al volontariato. Voglio assistere le persone anziane, liberarmi dei peccati che ho commesso e cambiare vita". Ma intanto mette in ordine sul comodino decine di preservativi, prepara le videocassette porno che tanto eccitano le fantasie dei catanesi e apre un armadio per mostrare gli strumenti del mestiere: falli di gomma di tutte le dimensioni. La sua storia è simile a quella delle tante donne che battono dentro questo quadrilatero di miseria e di desolazione, che si estende proprio alle spalle del teatro Bellini. Sono rimaste solo le italiane a San Berillo, pronte ad assecondare le perversio-ni erotiche di studenti e professionisti, disoccupati e pensionati, militari e impiegati. Accanto a loro, lungo un vicolo stretto come un budello, battono i travestiti, i "puppi" come li chiamano da queste parti. Ognuno di loro ha una storia da raccontare, un sogno nel cassetto che li aiuta a campare dentro questo immenso bordello all'aperto. Caterina è un transessuale che si dà a giovani e anziani da una ventina d'anni. La prima volta che ha fatto sesso a pagamento era ancora minorenne. Paga 500 mila lire al mese per assicurarsi un buco fetido dove ospitare i clienti. "Che sono tanti", racconta con ironia, "più di quanti non potreste immaginare. Di uomini eterosessuali ne sono rimasti pochi. La maggior parte dei clienti fissi di San Berillo cerca noi, i "puppi". Ognuno ha un vizietto. Pagano senza battere ciglio anche per dieci minuti di sesso". Fa freddo, per strada. Ma Caterina, fasciata in una minigonna cortissima, non se ne accorge. Fuma e aspetta. Prima o poi, qualcuno chiederà di lei. Intanto, per ingannare il tempo, dice un gran bene del blitz dei carabinieri: "Finalmente hanno ripulito il quartiere da chi lo aveva trasformato in un luogo indecente". Le belle nigeriane, cacciate via nei giorni scorsi con l'accusa di sfruttare le più inesperte fra loro, qui non le voleva quasi nessuno. Loro, le straniere giovani e focose, si vendevano anche per 10 mila lire. Una concorrenza che dava fastidio a molti. La guerra tra le puttane di San Berillo è un misto di interesse spicciolo e di pregiudizi razziali. E a soccombere sono state le nere, che adesso sono tornate a battere per strada. Anche i loro clienti si sono trasferiti: pochi isolati più in là, lungo il marciapiedi di corso Sicilia. Adesso le extracomunitarie più disinibite d'Italia, che per restare a San Berillo hanno scomodato invano anche il sindaco di Catania, Umberto Scapagnini, si vendono dentro le macchine dei clienti. Quelli che lo vogliono fare senza preservativo. E che per pagare qualche migliaio di lire in meno hanno lasciato lo storico quartiere a luci rosse. "Una vergogna", racconta Rosaria, 40 anni ben portati, una collezione di foto hard e un apparente buon umore, che lascia trasparire malinconie sopite da un mestiere che la sfianca. Dalla sua bocca esce un fiume di parole: "Quelle lì erano merce a perdere", racconta. "Non si preoccupavano di niente. Neanche delle malattie. Nessuno le ha mai visitate. Chissà quante, in questi anni, si saranno ammalate. Giravano seminude davanti alle loro case. Si offrivano al primo venuto, adescandolo senza pudore. E lo facevano con tutti. Vecchi e ragazzini. Senza proteggersi, senza pensare a niente. Mettevano da parte i soldi per poi mandarli nel Paese d'origine. Le loro case erano sudicie e maleodoranti. Non le pulivano mai". Non ne avevano neanche il tempo, le prostitute di colore. Lavoravano di notte e di giorno. Si davano il turno ogni otto ore. Riposavano un po' e poi ricominciavano a macinare sesso e denaro. Senza sosta, senza fermarsi mai. Le loro case erano sempre aperte. Dei soldi, guadagnati a fatica, conservavano solo quanto bastava per vivere. Il resto volava via, diviso tra prepotenti magnaccia e parenti lontani da mantenere. "Ora che siamo rimaste noi", dice Mariella, "le cose sono ritornate come prima. C'è più ordine nel quartiere. Noi lavoriamo solo di giorno. E poi non ci diamo al primo venuto. Io, i miei clienti, li scelgo. Niente ragazzini, solo uomini dai trentacinque anni in su. Danno meno problemi. Hanno meno grilli per la testa". Un isolato più in là c'è la casa di Antonella, il travestito più appariscente del quartiere. Calze a rete, trucco pesante, un body ultra aderente che fa intuire tutto, Antonella è l'unica, qui a San Berillo, a spendere qualche parola per difendere le extracomunitarie. "In fondo facevano il nostro stesso mestiere. Anche loro si guadagnavano da vivere come noi. Che lo facessero in modo più sfrontato era una scelta, che io non giudico. Ognuno è libero di fare ciò che vuole della sua vita. Raccontatelo, raccontatelo ai tanti che prima vengono da noi e poi ci insultano senza pietà. Fatelo sapere a tutti, che la disonestà non ha nulla a che vedere con il sesso a pagamento", dice, mentre mostra un'istantanea dove è ritratta senza veli. La sua sembra una voce stonata, a San Berillo. La solidarietà, da queste parti, è una merce rara. Un'eccezione tanto preziosa quanto insolita. Lo sanno bene le giovani nigeriane. Lo sanno bene le centinaia di puttane straniere che, per sopravvivere, da qualche settimana sono tornate a battere in strada. |
EONARDO SCIASCIA - IL CATANESE DOMENICO TEMPIO di Leonardo Sciascia Catania ha, nella parte alta del giardino Bellini, un viale degli uomini illustri: vescovi, canonici, umanisti e storiografi locali, deputati e senatori del regno, fiancheggiano in busti marmorei un vialetto forse eccessivamente illuminato per il gusto delle coppie; e forse eccessivamente alto per il fiato corto delle matrone, che preferiscono bivaccare nella grande rotonda dove suona in palco la banda municipale. E tra i busti, gelati dalla luce al fluoro, vi imbattete in Domenico Tempio: così esile e immalinconito da confermarvi nell'idea che la pornografia in fondo non sia che il prodotto di una sorte di etisia o di impotenza. Perché Domenico Tempio è proprio quel poeta pornografo che i siciliani, usciti dalla Sicilia attraverso bandi di arruolamento e concorsi ministeriali, recitano spesso ai loro colleghi d' altre regioni, a suggellare quei discorsi sulle donne di cui Vitaliano Brancati si è fatto impareggiabile cronista. Contemporaneo del Meli, Domenico Tempio (nato a Catania nel 1750) rappresenta, appunto rispetto al Meli, il rovescio o, più esattamente la controparte dell'erotismo arcadico, del barocco estremo grondante di amorini e di putti in cui si configura la poesia del palermitano: il quale è, a chi sappia vedere sotto la leggiadria delle invenzioni e l'evocazione di casti miti e di campestri incanti, a suo modo ossessionato da quel vago carosello di Nici e Clori; che son poi realissime donne dell'aristocrazia palermitana. Al Meli che musicalmente risolve le sue ossessioni, musica lieve di immagini con appena qualche venatura di arguta saggezza, risponde da Catania il “basso” delle grevi rappresentazioni fisiologiche; il furore, per così dire, anatomico; l'emblematica di “argomenti” e “serviziali” che è nei versi del Tempio (...) Anche a non prendere sul serio le sue dichiarazioni moralistiche (“Scrivu chi sunnu l'omini,/ E fazzu a la morali / Di lu prisenti seculu/ Processi criminali./ A quali signu arrivanu,/ Mia Musa si proponi, / Dirvi li brutti vizi/ E la curruziuni; / Chi di la Culpa laidi / Tanti l'aspetti sunu/ Chi basta sulu pingirla / Per abburrirla ognunu”), bisogna riconoscere che gli effetti cui giunge il Tempio sono un po' diversi, poniamo, di quelli del Batacchi. La rappresentazione di fatti fisiologici non può mai giungere ad effetti francamente comici, ove tale rappresentazione non sia, come nel Batacchi, causa o effetto di una commedia di raggiri, di equivoci, di stupidità e astuzia. Il Tempio non aveva questo gusto della commedia: avrebbe potuto mettere in versi anche il rapporto Kinsey. Ma sotto il gratuito delle sue rappresentazioni sentiamo il fermento del disfacimento, quell' ”olor de la muerte” che Hemingway ci rende in una virtuosissima pagina. Si tratta, senz'altro, di pornografia: ma non priva di quel pirandelliano candore in cui Moscarda, protagonista di Uno,nessuno e centomila, si abbatte nella nausea cosmica da cui infine la solitudine lo salva (...) (tratto da: Pirandello e la Sicilia – Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma, 1983). LE LEGGENDE SU UN PORNOGRAFO "MARCA LIOTRU" (n.d.r.
: non me la sono sentita di riportare alcune delle sue poesie, perchè
sono scandalose adesso. Figuriamoci ai suoi tempi!) Assieme
a Giovanni Meli, fu il più grande Poeta siciliano di quei tempi..!
Tuttavia,
secondo il mio punto di vista, non si possono ignorare l'eleganza di
Scimonelli, nè la muniziosità di Calvino. Mi spiace e mi scuso di non
aver avuto modo di presentare gli altri Poeti, altrettanto meritevoli. La donna rimase scandalizzata, anche perchè non era abituata a certe forme di espressione. Il fratello se ne accorse e riprese Micio: 'Cosa hai combinato? Vai a chiederle scusa, no?' Così, Micio Tempio si scusò: 'Signurina, m'ha scusari 'ppi 'dda minchiata ca ci rissi antura..!' Enzo De Cervo http://www.puzzle.altervista.org/racconti/tempio.php
Dove visse? Secondo le fantasie dei Catanesi, forse per i putti zozzoni scolpiti sotto il balcone di Palazzo Mazza in Via Vittorio Emanuele140, si è sempre pensato che la casa di Tempio fosse questa. Sono tuttora oscuri molti aspetti della vita di Micio Tempio, tanto che i biografi non sono in grado di stabilire con certezza se la nascita avvenne nel rione dei santi Filippo e Giacomo, un antico quartiere scomparso dalla topografia di Catania, e che è ipotizzato fosse vicino a piazza Mazzini dove sorgeva un'antica chiesa. E' stato invece stabilito dove egli abitò prima di trasferirsi in Via Cristoforo Colombo. Qui visse per 30 anni per poi trasferirsi in Via Velis, dove morì. La casa, ha accertato una ricerca di Vito Zappalà, dirigente di SiciliAntica che ha consultato e analizzato documenti originali, era confinante proprio con la Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo che oggi si trova inglobata nel Palazzo Zappalà-Gemelli, al civico 28 dell'omonima via, nella zona della "pescheria". Nei manoscritti ritrovati da Zappalà si parla proprio della casa che Tempio fu costretto a vendere per pagare alcuni creditori. I documenti permettono inoltre di ricostruire le vicende giudiziarie che assillarono il poeta per un trentennio e i rapporti con alcuni Catanesi citati nelle sue poesie. (Turi Salvatore Giordano)
L’AUTOBUS ROSA. Siciliani focosi. Erano così tanto gentili con le donne che salivano nei bus che ora hanno istituito un servizio “per sole donne” ! 31 dicembre 2010 di milenalibera
Vicenda che nell’autunno del 1960 suscitò ilarità in tutto il mondo e alla quale i quotidiani e i rotocalchi italiani e stranieri diedero ampio risalto. Tutte le mattine, operai e operaie impiegati nella zona industriale partivano da piazza Duomo con gli autobus della linea 27 verso il posto di lavoro. Senonchè, durante il viaggio, circa un’ora, pigiate come sardine,<< giovani coppie affondate nella calca tubavano guardandosi negli occhi, ripetendosi sottovoce parole d’amore e scambiandosi furtive carezze che non sempre sfuggivano agli occhi indiscreti degli altri passeggeri e dello stesso bigliettaio.>> Ma fra le coppie, s’infiltravano alcuni <<pappagalli>>, pronti ad approfittare della ressa, suscitando la vivace reazione delle ragazze: e la presenza dei disturbatori, più che degli innamorati, divenne presto uno spinoso problema che la SCAT ( l’azienda che gestiva i trasprti urbani) pensò bene di risolvere separando uomini e donne, un autobus a sesso. La notizia fece il giro del mondo. Un settimanale italiano sotto il titolo << Per sole donne >> scrisse che << la decisione è stata adottata in seguito alle proteste di alcune operaie che, nel corso del tragitto, sono state infastidite da passeggeri particolarmente importuni >> e che << uno di questi pappagalli provocò un putiferio con relativa gragnuola di colpi di borsetta >>. Per cui ( aggiungeva il rotocalco ) << ogni mattina alla partenza da piazza Duomo provvede allo smistamento addirittura la polizia che accompagna le viaggiatrici fino al posto di lavoro per impedire che lungo le fermate del percorso qualcuno dei pappagalli riesca ad insinuarsi futivamente a bordo dell’autobus proibito >>. Anche all’estero la notizia fece scalpore. Un giornale argentino la pubblicò conil titolo << Sicilianos fogosos >> Eran tan Gentiles con las Damas en los Omnibus que Ahora hay un Servicio “Para Mujeres Solas”. Siciliani focosi. Erano così tanto gentili con le donne che salivano nei bus che ora hanno istituito un servizio “per sole donne” ! Altri giornali stranieri si occuparono dell’<<autobus rosa>>: il quotidiano statunitense The Washington post, la rivista tedesca Der Stern, un giornale francese, che pose questo titolo alla notizia << Les catanais son trop entreprenants >> I maschi catanesi son troppo intraprendenti. Ma chi aveva avuto quell’idea stramba? << Il direttore dell’azienda disse che non era stato lui; la questura spedì una lettera ai giornali e si tirò fuori anch’essa. Il fatto diventa ancor più curioso per questo scarico di responsabilità ( le responsabilità di aver fatto sorridere il mondo alle spalle di una Catania così bigotta e puritana). Dopo qualche mese infine, la segrecazione finì, e l’autobus della linea 27 riaccolse, in festosa comunità uomini non più fogosos e ragazze che non furono più solas >>
Enc. di Ct Tringale Editore 1987 https://milocca.wordpress.com/2010/12/31/i-siciliani-focosi-di-60-anni-fa/
L'« autobus rosa» vietato agli uomini di FRANCO SAMPOGNARO
La storia dell'* autobus rosa » — la linea 27, che aveva come capilinea la piazza Duomo e la zona industriale, dove dalla città tra¬sportava le operaie e gli operai che lavoravano negli stabilimenti — fu raccontata tanti anni fa da tutti i giornali d'Italia, quotidiani e settimanali, e da molti giornali del resto del mondo, persino d'America. Era l'ottobre del 1960. Un quotidiano catanese mise insieme i ritagli coi titoli dei € servizi speciali » e corrispondenze su questa singolare faccenda catanese, e ne fece un pittoresco collage internazionale. * Sicilianos fogosos », intitolava il 'servizio' un giornale argentino; e, con un pizzico d'ironia, proseguiva nel sottotitolo: « Eran tan Gentiles con las Damas en los Omnibus que Ahora hay un Servicio Para Mujeres Solas ». Sul quotidiano statunitense The Washington Post la corrispon¬denza Reuter, partita da Roma, era così intitolata: € Bus Segregation by Sexes Ordered in Catania's Drive Against Flirts ». Un giornale fran-cese intitolava in 'pezzo' in questo modo: c Les Catanais sont trop entreprenants » ; e nel sottotitolo: < Hommes et femmes seront séparés dans les autobus ». Sulla rivista tedesca Der Stern il titolo era: c Verzwickter Bus-Verkehr » ; con il sommario: c Die Manner und Frauen Catanias fahren jetzt getrennt zur Arbeit », e due fotografie di autobus, uno pieno di soli uomini, l'altro pieno di sole donne. Chi aveva avuto la stramba idea? Il direttore dell'azienda disse che non era stato lui; la questura spedì una lettera ai giornali e si tirò fuori anch'essa. Il fatto diventa ancor più curioso per questo scarico di c responsabilità » (le responsabilità, vale a dire, di aver fatto sorridere il mondo alle spalle di una Catania così bigotta e puritana). Dopo qualche mese, infine, la segregazione finì, e l'autobus della linea 27 riaccolse, in festosa comunità, uomini non più focosi e ragazze che non furono più sole. Nel « servizio » qui riportato la storia, che in verità era meno casta di quel che non appaia, è raccontata soltanto alla fase cruciale: viene interrotta cioè, per insuperabili motivi di tempestività giornalistica, mentre la separazione fra ragazze e giovinotti era ancora in corso. Questa è la storia, straordinaria e affascinante, di un auto-bus che i catanesi sino a pochi giorni fa chiamavano l'« auto¬bus rosa » o l'« autobus dei sogni ». E' una storia strana, un po' all'antica e un po' frivola, con qualche sfumatura piccante, mol¬ti sospiri d'amore e scambi di tenerezze. Fra un capolinea e l'altro l'hanno vissuta nella realtà i passeggeri, belle ragazze bru¬ne e baldi giovanotti, che ogni mattina s'incontravano nella vettura. Per alcuni di essi, ora che l'« autobus rosa » è stato messo sotto accusa, forse ci sarà un lieto fine con gli immancabili fiori d'arancio; per altri, come succede spesso nelle vicende cariche di personaggi, le avventure del « 27 » resteranno invece solo un ricordo. Nessuno sa con precisione chi è stato a tradire l'« autobus rosa » della linea 27, a chiedere l'intervento della polizia e a farlo diventare addirittura un « vigilato speciale » con tutto il suo carico umano. Si dice che a sporgere denuncia sia stato un fidanzato geloso, cosa non improbabile in una città come Catania che, quantunque sia una delle più moderne e spigliate del Meridione e si fregi dell'appellativo di « Milano del sud », resta tuttavia una città dove la gelosia è sempre di moda. Il direttore della società che gestisce il servizio autofiloviario e che potrebbe dire come effettivamente sono andate le cose, è deciso a mantenere il segreto: « Non so nulla — ripete ai giornalisti che assediano il suo ufficio —. Non so nemmeno chi abbia dato l'ordine di istituire corse per donne sole. Probabilmente l'iniziativa è della polizia. Forse qualche passeggera ha protestato in questura, e gli agenti sono intervenuti nel modo che sapete ». Sino a pochi giorni fa l'autobus 27 era il più allegro e ro-mantico autobus del mondo. Alle 7,15, puntuale come un treno elettrico, si muoveva dal capolinea di piazza del Duomo, at-traversava la periferia, costeggiava il porto e filava, mattiniero e « galeotto », verso la zona industriale con a bordo un esercito di donne, quasi tutte belle ragazze, e di aitanti giovani, operai delle varie fabbriche di zucchero e di medicinali, di dolci e di maioliche che sorgono a una decina di chilometri a sud della città. Era incredibile quanti passeggeri riuscisse a contenere il « 27 ». Una volta saliti, però, non potevano più spostarsi nemmeno di pochi centimetri; per circa un'ora, cioè durante tutto il tragitto, dovevano starsene immobili, come inchiodati al pavimento della vettura. « Se cadesse uno spillo — borbottava immancabilmente il bigliettaio prima che la corsa avesse inizio, — non riuscirebbe a toccar terra- Resterebbe sospeso in aria ». Non era una spiritosa esagerazione: con quella calca strabocchevole, l'autobus sembrava una grande scatola di sardine. A volerci pensare, era quasi inevitabile che sull'autobus della linea 27 fiorissero idilli sentimentali. Se ancora oggi ci si innamora per uno sguardo e se il classico colpo di fulmine miete ancora tante « vittime » come pretendere che due giovani, un uomo e una donna, spinti dalla calca l'uno contro l'altra, costretti a guardarsi negli occhi ogni giorno, per mesi e mesi di seguito, possano ignorarsi e far finta di niente? Se a questo poi si aggiungeva che gli uomini catanesi raramente tralasciano l'occasione per rivolgere galanti attenzioni alle belle ragazze che incontrano, nessuna meraviglia che fra molti passeggeri dei due sessi si stabilisse una tenera simpatia. E' difficile dire con esattezza quante operaie si siano fidanzate sull'« autobus rosa » della linea 27 dal giorno in cui esso entrò in funzione. Forse dieci, o venti, o cinquanta. Probabilmente molte di esse sono già spose felici e, più avanti negli anni, potranno dire ai loro figli: « Papà ed io ci conoscemmo sull'autobus ventisette. Era un mattino d'autunno. Le nostre mani si sfioravano e gli scossoni ci spingevano continuamente l'uno contro l'altro in un forzato abbraccio. Successe così per tanti giorni e tante settimane: ci innamorammo ed eccoci qua ». La cosa sembra insolita, anzi lo è senz'altro; ma diventa addirittura paradossale, anche se piacevolmente romantica, quando si pensi che l'« autobus rosa », da mezzo di trasporto qual era, si trasformò in un vero luogo di ritrovo per convegni amorosi. Ogni mattina, mentre la vettura correva verso la zona industriale, giovani coppie affondate nella calca tubavano guardandosi negli occhi, ripetendosi sottovoce parole d'amore e scambiandosi furtive carezze che non sempre sfuggivano agli occhi indiscreti degli altri passeggeri e dello stesso bigliettaio. Ma non tutti, naturalmente, filavano in perfetto accordo; ogni tanto qualche ragazza, guardando con occhi di fuoco il giovanotto che le stava al fianco, cominciava a strillare: « Le ho detto che sono fidanzata e mi devo sposare fra pochi giorni. La smetta di fare il "cascamorto"! ». Infatti, l'aspetto inquietante della singolare vicenda non era certo costituito dai flirt a base di platoniche occhiate e ingenue tenerezze. Le circostanze preoccupanti erano ben altre. Tra la calca (è sempre così, non soltanto a Catania, ma in tutte le città del mondo) ci sono sempre coloro che approfittano della situazione per molestare, con eccessi galanti di cattivo gusto, le compagne di viaggio. Naturale, perciò che sul « 27 » a un certo punto cominciassero a volare gli schiaffi. Fu per questo che l'altra mattina, poco dopo le sette, quando gli operai della zona industriale giunsero al capolinea di piaz¬za del Duomo e si avvicinarono all'autobus fermo a pochi metri dalla famosa fontana con l'elefante, alcuni agenti di polizia bloccarono l'entrata della vettura. « Le donne possono salire e prendere posto — disse un bri-gadiere rivolto alla folla —. Gli uomini sono pregati di attendere l'arrivo di un'altra vettura. A momenti sarà qui- Oggi viaggerete separati ». Era senza dubbio un provvedimento strano, incredibile. Ma gli agenti, schierati dinanzi alla grossa vettura entro la quale erano fioriti tanti sogni, fecero capire che quella disposizione riguardava solo quel giorno. Invece l'indomani e il giorno dopo ancora si ripetè la stessa scena: polizia al capolinea, uomini da una parte e donne dall'altra, separazione forzata. Qualcuno, a un certo punto, tentò di protestare; una coppia di giovani, sui vent'anni, si fece largo fra la folla e si avvicinò ai tutori dell'ordine tenendosi per mano: « Perché ci separate? — disse lui, con un filo di indignazione. — Io e Maria siamo fidanzati, fra due mesi ci sposeremo. Abbiamo il diritto di stare insieme ». Ma le sue rimostranze non valsero, le guardie furono infles-sibili: « Noi non facciamo che eseguire gli ordini ». Così l'« autobus dei sogni » non c'è più; al suo posto ci sono due vetture, una per sole donne, che la gente ha subito battezzato « Concettina », e un'altra per soli uomini alla quale è stata imposta la definizione di « autobus coi baffi ». Portano tutte e due lo stesso numero, il 27; partono contemporaneamente dallo stesso capolinea e alla stessa ora, le 7,15, da piazza del Duomo, percorrono tutte e due la stessa strada, quello delle donne davan-ti e quello degli uomini dietro. L'unica differenza sta in un par-ticolare, in una fondamentale formalità: alla partenza gli agenti controllano che su « Concettina » non ci siano clandestini, ossia uomini. L'avevamo detto: è una strana storia che sorprende e fa sorridere; una storia che sfiora l'incredibile. Da quando nel mondo civile esistono le filovie certamente è questa la prima volta che un servizio pubblico viene scisso in due generi, maschile e femminile, ed effettuato in maniera da tenere a distanza le donne dagli uomini. « Autobus di punizione » potrebbero essere chia-mate le due vetture che hanno sostituito l'indimenticabile car-rozza degli amori. (da: Franco Sampognaro, L'autobus vietato agli uomini, in « Annabella », Milano, 30 ottobre 1960).
LE AVVENTURE E LE TRUFFE DI TANIA, FALSA PRINCIPESSA E REGINA DEL GOSSIP di Michele Nania - La Sicilia, novembre 2006
Non
c'è niente di più fesso di un maschio arrapato. Anzi sì: tanti
maschi arrapati. Presi uno per uno non fanno notizia, e neanche se
sono tanti. Diventa notizia se la causa scatenante è una sola, ed è
una bella fanciulla marocchina men che ventenne da tempo residente in
Sicilia, apparsa e sparita dopo averne combinate di tutti i colori tra
Agrigento (Villaggio Mosè) e Catania (Acitrezza), con qualche puntata
a Taormina e fino al capolavoro nel tempio estivo della bellavita
d'Italia, la Costa Smeralda. Li ha fatti fessi tutti, arrapati e
paparazzi, ed è svanita nel nulla.
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Nel
vecchio quartiere di San Berillo la storia è scritta sulle pareti
scrostate, tra le case distrutte e i vicoli puzzolenti; nelle storie che
tracciano, dolorose e ironiche, una continuità tra un passato
idealizzato e un presente da ristrutturare. Come in una fiaba seguiamo
le eco dei fantasmi di ieri e di oggi del quartiere leggendario e
proibito. Sullo sfondo la attuale, ennesima, violenta metamorfosi.
LA
CITTA’ DELLE PUTTANE 1
giugno 2011 - 19:39
Benvenuti a Catania, la città delle puttane. Non più il vecchio ghetto di San Berillo, coi suoi vicoli e con i suoi bassi fatiscenti. Ormai è roba per transessuali attempati diventati padroni di quegli appartamenti dove accolgono ancora varia umanità e di colleghe coetanee che annoiate ancora siedono sull’uscio. Ormai la prostituzione sulla strada invade le principali arterie del capoluogo etneo. Perfino il cosiddetto salotto buono, dove per acquistare un appartamento devi essere uno con il conto in banca roccioso; dove per affittare un appartamento devi avere uno stipendio che superi la dignità. Stiamo riferendoci al Corso Italia, al viale Africa, dove si affacciano negozi griffati, bar e locali frequentati anche da fighetti, figli di papà, sedicenti vip o trend setter, amici di gente con il portafogli gonfio. Lì vicino c’è la danarosa via Monfalcone; c’è la via Umberto del Teatro Musco che sfocia sulla via Etnea nel tratto dove c’è l’ingresso principale della Villa Bellini; c’è il lungomare dei condomini di lusso che hanno il privilegio dello spettacolo offerto dalla vista sulla scogliera jonica. Insomma, siamo nel cuore di Catania, Benvenuti a Catania, la città delle puttane. Non più il vecchio ghetto di San Berillo, coi suoi vicoli e con i suoi bassi fatiscenti. Ormai è roba per transessuali attempati diventati padroni di quegli appartamenti dove accolgono ancora varia umanità e di colleghe coetanee che annoiate ancora siedono sull’uscio. Ormai la prostituzione sulla strada invade le principali arterie del capoluogo etneo. Perfino il cosiddetto salotto buono, dove per acquistare un appartamento devi essere uno con il conto in banca roccioso; dove per affittare un appartamento devi avere uno stipendio che superi la dignità. Stiamo riferendoci al Corso Italia, al viale Africa, dove si affacciano negozi griffati, bar e locali frequentati anche da fighetti, figli di papà, sedicenti vip o trend setter, amici di gente con il portafogli gonfio. Lì vicino c’è la danarosa via Monfalcone; c’è la via Umberto del Teatro Musco che sfocia sulla via Etnea nel tratto dove c’è l’ingresso principale della Villa Bellini; c’è il lungomare dei condomini di lusso che hanno il privilegio dello spettacolo offerto dalla vista sulla scogliera jonica. non siamo nella periferia abbandonata, sfruttata, mortificata. Non siamo nella Catania da mantenere insozzata e ricattata per non fare esaurire la miniera di voti dei disperati eternamente illusi. Un cuore che smette di battere all’imbrunire. Appena i negozi abbassano le saracinesche, ecco materializzarsi decine di ragazze in minigonna o pantaloni che poco lasciano alla fantasia. La maggior parte sono bulgare e romene. Dicono di essere maggiorenni, ma alcuni visi sembrano tradire una maturità burocratica non ancora raggiunta. IL PAPPONE «TABACCAIO». I magnacci le scaricano come bestie da mandare al pascolo. Sono femmine da vendere, da sfruttare. La mappa è rispettata ogni sera. Ci sono quelle sotto il portico della banca che si affaccia su piazza Galatea; ci sono quelle che bivaccano di fronte, fra piazza Europa e piazza Oceania, fra gli scarichi delle marmitte e lo sfrigolare dei wurstel, quelli cucinati senza sosta nei furgoncini dei paninari posteggiati poco distanti; ci sono quelle che si mettono in mostra davanti alle Poste di viale Africa, nel piazzale del centro fieristico Le Ciminiere gestito dalla Provincia regionale di Catania; ci sono quelle che si accovacciano in gruppi anche di 5/6 prostitute proprio davanti all’ingresso di alcuni condomini a cinque stelle, di fronte all’ex sede della Fica, la Federazione italiana consorzi agrari… Sono belle, sono giovani; sono tristi, sono rabbiose. Lo leggi negli occhi. Fumano, attendono, già stanche appena giunte. Ci siamo anche noi, in una sera qualsiasi, per osservare e cercare di comprendere. E c’è pure il loro carceriere. Giunge spavaldo con lo scooter, senza casco, facilmente identificabile per l’atteggiamento. Perlustra il viale Africa, controlla il movimento dei clienti, tiene i contatti tramite il cellulare con la merce che gli è stata affidata, vigila sull’eventuale passaggio di vetture delle forze dell’ordine. Ed è stracarico di pacchetti di sigarette. All’improvviso scorgiamo un esodo di ragazze verso di lui, mollemente seduto sullo scooter posteggiato all’interno del piazzale de Le Ciminiere. Sono andate a fare scorta di sigarette; la notte sarà lunga, nauseante, Tanja, Stefanja e le altre si illudono di potere anestetizzare e purificare la bocca e la mente con overdosi di nicotina… «QUINDICI MINUTI, 30 EURO». Fingiamo di essere potenziali clienti. Abbiamo la conferma di quel che già si sa. Cioè che il centro di Catania è dominio incontrastato di ragazze giunte dall’Europa dell’Est; che per una fellatio e/o un rapporto sessuale in 15’ netti si pagano 30 euro, il doppio per mezzora; che se si desidera pure il lato B ti invitano a utilizzare quello di una parente stretta…; lo stesso se non vuoi utilizzare il profilattico perché ancora hai in mente l’orgasmo invidiato al protagonista dell’ultimo pornazzo gustato prima di andare a caccia di qualcosa di reale o perché da quell’orecchio la moglie/fidanzata non vuole sentirci, è roba da troie… Scopriamo pure che alcune non disdegnano di avvalersi della collaborazione dell’amica con la quale battono: quelle che avviciniamo sono disponibili a una miniammucchiata. IL RAPPORTO FANTASMA. Ma, soprattutto, scopriamo che a Catania si può fare l’amare comodamente con le prostitute negli alberghi del centro. Cambia la tariffa (100 euro per mezzora nella posizione da sempre al vertice delle virili classifiche: quella che in auto è roba da contorsionisti…), ma l’aumento del prezzo concede la serenità di non essere beccato per strada dalla polizia con le mutande abbassate, con tanto di denuncia e rischio di sputtanamento (qual termine più appropriato?). E del «rapporto» comodo – udite, udite – non resterà traccia. Nel senso che non si corre alcun rischio di essere sgamati tramite un controllo nei registri in cui, per legge, i responsabili delle reception di alberghi, bad and breakfast e pensioni hanno il dovere di inserire il nominativo e gli estremi del documento d’identità dei clienti. Involontariamente, le ragazze con le quali abbiamo parlato (una decina) ci hanno rivelato come stanno le cose: «Possiamo fare anche in albergo – ci dice una – ti costa 100 euro per mezzora, il doppio per un’ora. Dove si trova l’albergo? In piazza Duomo. No, stai tranquillo, non ti chiedono i documenti, il portiere sa cosa andiamo a fare…». Un’altra: «L’albergo si trova in piazza Teatro Massimo. Non veniamo registrati all’entrata. Facciamo tutto tranquilli…». Ancora: «Allora, andiamo in albergo? Facciamo tutto bene. Si trova vicino a via Francesco Crispi. Documenti? Nooooooo, nessuno te li chiede…». E ancora: «L’albergo è alla Plaja. Nessuno ci dice niente… Andiamo?».
http://www.magma7.it/cronaca/la-citta-delle-puttane/
San Berillo. La Vecchia Prostituzione Dietro L'Uscio Chiuso
Inviato da editor il Lun, 07/21/2014 - 13:55 - Fabiola Foti
Catania – San Berillo C’è un quartiere a Catania che è il più pop di tutti, fino a 20 anni fa venivi in questa città per vedere l’Etna e per fare il Puttan Tour. Non solo è tanto affascinante architettonicamente con il suo crogiolo di strade e stradine che si incrociano in quella maniera così araba che fa sembrare il quartiere più una kasbah marocchina ma c’è di più, ci sono ancora le lucciole. Una volta libere di “brillare”, sbragate su una seggiola dietro porte sgarrupate, oppure in mezzo alla strada, con i loro sederi enormi messi in bella mostra ed i seni fluttuanti, a chiamare i clienti sbattendosi sopra le automobili. Oggi il quartiere cade e decade ma mantiene tutto il suo fascino ed il suo carico di energia. Le porte ed i varchi sono stati murati, molti dei quali portano inciso sul cemento la data dello sgombero. Era il dicembre del 2000 quando con un’azione quasi definitiva le puttane di San Berillo venivano cacciate. Oggi in via delle Finanze sono rimaste le vecchie proprietarie delle case. Vecchie prostitute e vecchi travestiti. Alcune meretrici più giovani hanno squarciato il cemento di taluni usci murati e si sono accaparrate spazi angusti: stanzini con il tetto dipinto di nero più simili a sgabuzzini scavati nella pietra illuminati da vecchie candele. Fazzoletti, caramelle, uno specchio rotto, un fallo di plastica e dei preservativi. La prostituzione c’è ancora a San Berillo resiste e per di più si è diffusa per la strade, ovunque a Catania, guadagnando nel tempo posizioni sempre più centrali. Per il fine settimana la borghesia radical chic si è mischiata alle puttane che liete hanno aperto il loro quartiere alla manifestazione che ha portato poesia, gruppi musicali, reading e proiezione di film lì dove ancora si paga per un amplesso. Il sindaco Enzo Bianco, è chiaro, non ha disertato l’evento. Per l’occasione ha sfoderato il braccino che saluta da Regina Elisabetta d’Inghilterra che ama tanto usare quando il 3 febbraio sfila in via Etnea sulla Carrozza del Senato. L’occasione appare utile per chiedergli della legalizzazione del fenomeno prostituzione. Il primo cittadino di Catania vuole un intervento serio in proposito ma lui adesso la priorità è il recupero del quartiere. Un rione che sta proprio al centro di Catania e che ingloba quella sede tanto discussa di corso Martiri della Libertà. http://www.lurlo.info/san-berillo-la-vecchia-prostituzione-dietro-luscio-chiuso
NASCE IL PORNO ALLA SICILIANA CIAK NEL PALAZZO DI NELSON CATANIA La ragazza della locandina promette con occhi maliziosi lo spettacolo più erotico dell' anno. Il seno prepotente e una cascata di capelli biondi nascondono sul manifesto i tetti degli antichi palazzi di via Etnea. La starring è Marina Lotar, il produttore è un signore catanese sulla quarantina che si fa chiamare Billy Lewis. Alle falde del vulcano nasce il porno alla siciliana. Un porno molto hard e un po' artigianale che ha già invaso le sale a luci rosse di mezza isola. Sul set le solite reginette, maschi made in Sicily, qualche comico. I dialoghi: rigorosamente in stretto dialetto catanese. Il primo film girato a Catania ha un titolo che lascia poco spazio alla immaginazione: Perdizione. La storia comincia alla stazione centrale tra i treni in arrivo dal continente, continua nella suite di un famoso albergo di Acireale, finisce nella ducea dell' ammiraglio Nelson, a Bronte, nelle sontuose stanze di un castello proprietà della Regione. Accanto a Marina e a Giuliano Stallon ecco una folta schiera di ragazzotti siculi, gente di teatro emigrata per necessità sul fronte del porno, sceneggiatore e regista anche loro dalle improbabili origini anglosassoni. L' appuntamento con uno dei protagonisti di Perdizione avviene nell' angolo più catanese di Catania, la piazza dell' Università dove inizia via Etnea. All' anagrafe è registrato come Salvatore Reina, il nome d' arte è Turi Killer. Ha 33 anni, capelli e baffetti color pece, un paio di lenti spesse che nascondono due occhietti furbi. Turi vuole chiarire subito una cosa: Io sono un vero attore e sono entrato in questo giro perché devo campare. Qui a Catania, comunque, noi abbiamo inventato un nuovo genere cinematografico: il porno-comico: non solo sesso ma anche spettacolo. Turi Killer ricorda la sua carriera, dai tempi del teatrino dell' oratorio alle tournée con Ilona Staller, alla fine degli anni 70, nei locali di tanti paesini delle province interne. Billy Lewis l' ha lanciato poi nel pianeta delle pellicole a luci rosse. E con lui una mezza dozzina di attori e qualche ragazza. Tutti catanesi purosangue, tutti alla ricerca di nuove esperienze o più semplicemente di soldi. Ma la corsa al set non è sempre facile. Tanti i ragazzi che si prenotano con mesi di anticipo per una particina, grande la delusione quando arrivano sotto i riflettori. Sì, sembra facile dall' esterno, dice Turi, ma lì, davanti alle telecamere in molti fanno perdere solo tempo. Il focoso maschio catanese dei racconti di Vitaliano Brancati sul set si trasforma: è timido, si emoziona, non sempre ce la fa ad interpretare il ruolo. Una pellicola porno che si gira a Catania costa dai 30 ai 40 milioni. Il guadagno della star: dalle 600 alle 800 mila lire al giorno. I maschi, mediamente, incassano la metà delle donne. Il grosso delle spese, nei quattro o cinque giorni di lavorazione, se ne va per pagare fotografi, elettricisti, l' affitto di ville o appartamenti. Dopo il successo di Perdizione, che ha fatto il pieno nelle sale di Catania, Palermo e Siracusa, nei primi giorni di novembre Turi Killer sarà protagonista anche nel Carrozzone del sesso. E' un' altra pornopellicola ambientata nella più classica delle campagne siciliane, tra fichi d' India, ulivi e alberi di carrubo. Un autobus carico di belle ragazze si ferma per un improvviso guasto al motore, l' autista va alla ricerca di un meccanico e intanto passano alcuni pastori...Compagni di Turi sul set saranno molti suoi amici. I loro nomi? Top secret. L' ambiente è piccolo sussurra ad un orecchio Turi quasi non volesse farsi sentire qui ci conosciamo tutti. Provatelo a chiedere al produttore. Il produttore Billy Lewis in realtà ha un nome sicilianissimo: Luigi Grosso. Il suo ufficio, due stanze a piano terra in un vicolo buio a due passi da Villa Bellini, ha tutte le pareti coperte da locandine che pubblicizzano pellicole hard. Questi porno o si girano con attrici conosciute al grande pubblico come fa la concorrenza dice Billy Lewis indicando la porta accanto dove c' è un' altra società di produzione o bisogna trovare un' idea nuova come la mia: inserire la comicità nel porno, far divertire lo spettatore. Ma il porno alla siciliana non sempre piace. Ricorda ancora il produttore: Quando abbiamo provato ad esportare la pellicola un distributore di Genova mi ha telefonato perché nelle sale a luci rosse della Liguria si lamentavano: le battute in siciliano facevano perdere la concentrazione agli spettatori. Di più Billy Lewis non vuole dire. Ha paura che qualche pretore o qualche poliziotto curioso metta il naso nei suoi affari. Un po' di guai sono già arrivati con Perdizione: la pellicola è stata bocciata dalla prima commissione di censura e solo dopo 12 mesi di controlli e tagli è tornata in circolazione.
dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI
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