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Proprio così, in questa vacanza li ho trovati anche in un posto dove ci devi andare apposta. Al Sentiero del Gigante, patrimonio UNESCO, cerco di salire sulla navetta che riporta ai parcheggi e l’autista irlandese avvisa che il mezzo è già pieno e che dopo due minuti sarebbe arrivata l’altra navetta ma, inconfondibile, arriva da dietro la fila un familiare “ziu avaja, fanni acchianari!”.

Mi è successo anche a Belfast. Entro in un fornitissimo emporio in Linenhall Street pieno di gadget e souvenir irlandesi; nei corridoi scorgo due uomini e una donna dall’abbigliamento italiano, anzi direi zaurdo e non proprio anglosassone che generalmente è costituito da Snaekers o infradito, bermuda, shirt e giubbottino (sarebbe la mia felicità).

Mi avvicino e li sento parlare fra loro: “mbare, chisti campunu n’campagna, ci su tutti cosi viddi…… non c’è mancu a maglietta di Geolier”! Colto da un raptus di liscìa, mi avvicino e sussurro “ma comu, mbare…. c’è n’manicomiu!” Mi guardano negli occhi: “ma si catanisi? e a seguire la solita stupida domanda “E chi ci fai cca?”. Arriva la donna: “ma cchi è, catanisi? Biiii signuri!” e l’uomo le risponde, ridendo: “Picchì, non si capisci?” ah ah ah!

Vi è mai capitato di incontrarli negli scali aeroportuali ai controlli? Oppure all’estero, mentre chiedete a qualcuno di farvi la foto e scoprite che quello che avete davanti è un catanese? Sono dovunque, in cielo in terra e in ogni luogo. Anche qui, in questo grande Paese privo di climatizzatori e che mi ha permesso di non utilizzare lo spray per la mia rinite; dove le 24 ore sono composte dalle quattro stagioni e soffiate da un vento così capriccioso da far svolazzare tempeste di capelli rossi ed occhi verdi; che non conosce suoni di clacson o doppie file; che vive ancora nel culto di George Best raffigurato nei numerosi campi di calcio privi di impianti di irrigazione e tappezzati da quei trifogli che ti accompagnano fino alla nausea, fino a farti ritornare a casa con le pupille colorate di verde; un Paese dall'efficienza schifosamente perfetta e dalla pulizia da far storcere il naso a Mastro Lindo; popolato da bambolotti uno più bello dell’altro che si mantengono tali almeno fino ai 18 anni, età in cui è consentito loro di affogarsi dentro i pubs con ettolitri di Guinness, patate e pollo fritto (ma la carne è favolosa!!!!) fino a diventare obesi da adulti.

 

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L’Irlanda del Nord è la parte più nordica, vulcanica e celtica dell’Isola ma altrettanto bella e piena di panorami come quella a sud, cioè quell’Eire che dopo la guerra del 1922 conquistò la sua indipendenza dal Regno Unito nel 1949, quando diventò una Repubblica e successivamente fra i paesi dell’UE.

Però nella parte Nord, ancora appartenente alla Gran Bretagna, l’odio fra cattolici (Irlandesi) e protestanti (inglesi) continua ancora, e lo si vede a Derry (dove nacque l’IRA) o a Belfast, nel famoso quartiere teatro di sanguinosi scontri avvenuti decenni fa e dove tuttora viene attuato una sorta di coprifuoco serale con la separazione, mediante un cancello, fra le due zone colorate da centinaia di murales, a ricordo di quel periodo e degli eroi che morirono per l’indipendenza.

 

          

 

Come in Inghilterra, qui c’è la guida a destra. https://www.mimmorapisarda.it/2024/guida.gifNoi tre coppie in due auto. Una per i tre maschietti e l’altra per le tre femminucce guidata da quella formidabile cicerona di mia nipote che ci ha scorrazzati nell’Irlanda del Nord per 700 chilometri. Con noi, invece, guidava Jack e all’interno dell’auto la liscìa catanese regnava sovrana.

Ad ogni curva arrivava puntuale un’auto che sembrava volesse volare sulla nostra corsia per uno scontro frontale. Dimenticandomi ogni volta che eravamo a sinistra, partivano le esternazioni: “Minghiuni! (*)”, “Amen!” oppure “Cunnutu ca si!” . Poi mi rasserenavo.

Viaggio bello e divertente. Atterrati a Catania da Dublino, con gli occhi ancora pieni di verdi visioni ma già febbricitanti per il Covid che avevamo addosso senza saperlo (come quando tornammo dalla vacanza napoletana… hargh!!), con mia moglie prendo l’auto al parcheggio e avviandomi in direzione di Via San Giuseppe La Rena comincio già a rivedere le prime doppie e triple file, clacson assordanti, energumeni che urlavano affacciandosi dal finestrino, picciriddi ca uscunu coppa, frutta e verdura in vendita sulla strada e infrazioni a iosa. In poche parole, buddellu!

Mentre 40 gradi mi davano il bentornato e il mio naso richiedeva già una prima spruzzata di Actimar (I love aria irlandese), sono già al lungomare invaso da MaoMao e munnizza.

La sento, li sento, lo sento: sono a casa!

(M.R.)
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(*) tipica espressione catanese per manifestare stupore oppure ammirazione, che non ha niente a che vedere con una persona stupida che invece in altro contesto diventa minchione. Sarebbe l’equivalente romano di “me cojoni!”

 

 

   

Potevo mai passare da Belfast e disertare la visita alla casa madre?

 

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