NAPULE, CHE BELLA PAROLA!
(da post Facebook)
Una capatina a Partenope Land
è stata da sempre desiderata e che mi ero ripromesso di farla
non appena ci fosse stato concesso un minimo di respiro dopo due
anni di divieti. Non pubblico altre foto perchè mi sembra banale
far vedere paesaggi presenti a milionate sul web. Sono tutte
uguali, chi non ha mai visto una foto di Napoli, Capri o Pompei?
E’ bella, bella davvero ... a
città e Pulecenella. Quando si dice “vedi Napoli e dopo puoi
anche morire” è una cosa vera, cioè una visita alla città non la
puoi perdere assolutamente, è un fondamentale biglietto prima
del cielo. La leggenda vuole che la sirena Partenope, per non
aver saputo conquistare Ulisse in quel di Scilla, si infranse
per disperazione sugli scogli di Mergellina, spargendo le sue
membra nel Golfo: Napoli, Ischia, Capri, Procida e le penisole
Sorrentina e Amalfitana. Adesso capisco perchè i coloni greci,
risalendo il Tirreno, scelsero Cuma nei Campi Flegrei come prima
città di quella Magna Grecia che stava per nascere.
La Napoletanità è una cosa
seria. Niente di programmato, s’inventa al momento secondo gli
eventi e le circostanze. Mi spiego meglio: alla Costiera
Amalfitana andiamo mediante un’agenzia che nelle esose
presentazioni si presentava hollywoodiana ma che, in realtà, ha
offerto un servizio di trasporto pessimo. Quel giorno si
presentano davanti all’hotel Ciro e Assunta (nomi inventati per
privacy). I passeggeri nel pullmino raccolti lungo la strada
siamo noi quattro catanesi, una coppia toscana e una coppia
spagnola.
Niente da eccepire sui
fantastici luoghi visitati. Partiamo in direzione della stupenda
Sorrento, dove tento di entrare all’Hotel Vittoria in cui Dalla
si ispirò per “Caruso”, ma mi dicono che non si può andare nella
stanza del celebre tenore per via del Covid. Ecco come il grande
Lucio spiegò come nacque il suo gioiello:
“Ero in barca
tra Sorrento e Capri quando si ruppe l’asse del motore. Andai a
vela per qualche miglio e poi chiamai il mio amico proprietario
dell’Hotel Excelsior Vittoria, che mi trainò al porto. In attesa
che aggiustassero la barca, mi invitò a passare la notte in
hotel, proprio nella suite dove morì Caruso. C’era tutto, anche
il pianoforte completamente scordato. Quella sera un altro
amico, giù al bar La Scogliera, mi raccontò di un Caruso alla
fine dei suoi giorni, innamorato di una giovane cantante cui
dava lezioni. Era uno stratagemma per starle vicino, ma l’ultima
sera, sentendo la morte arrivare, fece portare il piano sulla
terrazza e cantò con un’intensità tale che lo sentirono fino al
porto. Quel Te vojo bene assaje che appartiene a Dicitencello
vuje significava dare il marchio della napoletanità. Per quello
che ho appreso io, Caruso si spense al Vittoria, ma per non
dover pagare le gabelle in voga in quegli anni, venne messo su
una barca, fingendo fosse ubriaco, e fu portato all’Hotel
Vesuvio, a Napoli, dove morì ufficialmente.”
Bello, no? Come sarebbe stato
bello, quando vidi le indicazioni per Montechiaro a Vico
Equense, proporre una volata a Villa Rosa per salutare il mio
amico Peppe Guida . Ma non fiatai per non essere lasciato
per strada (ah ah !).
A bordo l’aria cominciava
stranamente ad essere più calda, già a Napoli si avvertiva che
l’impianto non funzionava alla grande. In poche parole: era
finito il gas di raffreddamento. Questa la prima pecca per un
mezzo che offre un certo servizio e che proprio per questo
dovrebbe essere controllato ogni giorno.
Allora Ciro, colto da pietà
turistica, apre il portellone principale per far entrare l’aria
all’interno, proseguendo il tour fino a Ravello e al
prefissato pranzo leggero (a Napoli si fa per dire, stavamo
scoppiando) al valico dei Chiunzi nei monti Lattari. Riprendiamo
l’autostrada per tornare ma, a causa di un incendio in
autostrada, si sono formati chilometri di coda. Ma il nostro
autista era Ciro, brillante pioniere partenopeo che conosceva
tutte le scorciatoie provinciali per farci tornare a casa senza
farci soffrire. Quindi devia per Torre Annunziata e da lì
comincia uno spassoso “on the road”, non previsto nel
preventivo, che non dimenticherò. Mentre lui guida, anche
Assunta abbandona la sua figura professionale e comincia a
sfotterlo per i sensi vietati, gli spericolati tornindietro, le
strade sbagliate e quelle interrotte per lavori in corso. Il
tutto con il rischio di farci fermare dalla Stradale per il
portellone aperto. Pazzi!
Il climatizzatore non dava
più segni di vita. La signora spagnola chiede un po’ di acqua
dal vano freezer “Lo siento señora, no tenemos”. Allora in coro
chiediamo di metterci dentro quella nostra: “signori, è
guasto!”. Noi catanesi la prendiamo con filosofia ed ironia,
considerato che la situazione era quella che era e che non si
poteva cambiare tranne che con un elicottero. Gli altri,
incazzatissimi, no.
Il tour continua fra paesi
che mai mi sarei sognato di vedere in vita mia. A Torre
Annunziata passiamo davanti a una chiesa dove stanno per uscire
gli sposi. Ciro si ferma e comincia a strombazzare facendo
voltare tutti gli invitati che vedono davanti ai loro occhi un
furgone Mercedes con i passeggeri che battono vistosamente le
mani come pazzi. Ovviamente solo quelle napoletane e catanesi.
Stessa pasta, stesse dominazioni, stesso estro, ironia e
fantasia. Gli altri muti come pesci, mentre pregustano i loro
reclami all’arrivo.
Passiamo per il lungomare di
Torre del Greco dove i napoletani scappano la sera dalla grande
città per un gelato fuori porta, e poi Portici, Ercolano. Per
cavalleria, offro alla signora spagnola il mio posto che era
vicino al portellone, per farla respirare un po’. Il marito mi
fa capire qualcosa come dire “grazie, ma preferisce non parlare,
è arrabbiatissima!”
Fra tante risate con le
nostre guide, arriviamo finalmente a Napoli. Lasciamo i toscani
e passiamo per Piazza Dante dove Assunta spiega che le statue
presenti sull’emiciclo del Foro Carolingio raffigurano le
26 virtù di Carlo di Borbone, aggiungendo “modesto lui!” Subito
dopo traduce completamente il tutto in lingua spagnola,
guardando in faccia la signora.
E mi dice “Mimmo, nemmeno mi
guarda più!”
Assunta, e ci credo, dopo
averla distrutta le insulti pure il Re spagnolo!
Arriviamo in Hotel dopo un
viaggio di ritorno durato quattro ore, stanchissimi ma
soddisfatti e divertiti. Lasciamo la lauta mancia ai ragazzi che
non c’entravano nulla con la poca serietà dei loro datori di
lavoro. Li abbiamo salutati con un “grazie, meglio di un film di
Troisi!”
Altro episodio di
napoletanità? Nei pressi del rione Sanità, col mio amico
entriamo in un bar e chiediamo due limoncelli. Il ragazzo tira
fuori un bottiglione con la scritta “Limoncello”. Ma quando gli
chiediamo se era quello di Sorrento, tira fuori un pennarello e
aggiunge sulla bottiglia la scritta “di Sorrento”. Va bbuono
accussi? (ah ah ah!)
Sono fatti così. Per esempio,
i tassisti ti raccontano, senza alcuna inibizione e senza
chiederglielo, la loro vita, il loro vivere alla giornata, i
loro guai durante le restrizioni della pandemia, le loro
cambiali e, ad ogni corsa, l’amore che hanno per Catania, fra le
siciliane quella che somiglia di più alla loro città. In poche
parole, ci amano e ci rispettano.
Passiamo alla gastronomia. La
pizza fritta non è altro che la nostra Diavola con all'interno
la mozzarella o la ricotta con tocchetti di salumi al posto di
tuma e acciughe.
Non ci siamo fatti mancare la
cena a Santa a Lucia sotto Castel dell’Ovo e la classica pizza
napoletana. Ormai tutti sanno, come suggerisce il web, che la
pizza bisogna provarla da Michele a Forcella. Non possiamo dire
di non averci provato; fuori all’ingresso mi hanno consegnato un
numeretto aggiungendo “ci vediamo fra due ore”. Era un normale
martedì, ore 19.00, con un gregge di 150 pecore tutte in fila
perché l’ha ordinato il Sig. internet.
Siccome per me sono poche le
cose che meritano due ore di coda, anche la pizza più buona al
mondo, propongo ai miei compagni di viaggio di cambiare aria.
Così ci avviamo in direzione Spaccanapoli fino a via dei
Tribunali e, rassegnati, inconsapevolmente consumiamo una
straordinaria pizza napoletana da Mazz al Vico del Fico, vicino
al busto di Pulcinella. Siamo stati serviti subito, senza
stress, a 30 metri da un altro gregge che si stava rovinando la
serata in attesa di entrare da Sorbillo. Non posso giudicare
perché non ho assaggiato le altre, ma vi assicuro che il
risultato della mia cena era quello che immaginavo.
Per questo suggerisco di non
andare dove vi porta il vento del web. Attorno a tutto quello
che vi dicono gli influencer c'è tutto un mondo parimenti ottimo
ma molto più comodo senza farvi venire le piaghe ai piedi.
Soprattutto non perdete un quarto d'ora a leggere le recensioni
di TripAdvisor ad ogni locale che vi aggrada (fregature
comprese, che comunque fanno parte della vita). Cioè, per me è
impensabile aspettare un’ora in fila perché devo assaggiare a
tutti i costi la sfogliatella di Attanasio. A Napoli sono tutte
buone, perfino all’aeroporto. Tutto il resto è solo spocchia da
condividere sui social per far capire a tutti che…"ci sono
stato".
Quel che mi è mancato in
questi 5 giorni?
- Non aver trovato nei menù
gli ziti alla Genovese, a pasta “e patane”, quella "assassina"
.......e “u rraù” che viene portato al tavolo in una ciotola per
farci la scarpetta.
- Una capatina alla
panoramica Posillipo con la Gaiola, il Palazzo degli
spiriti e il misterioso palazzo di Donna Anna (a casa mia c’è un
mio vecchio dipinto che lo raffigura).
- Qualche chilometro più
avanti, una zuppa di cozze da Cicciotto a Marechiaro, seduto di
fronte “a fenestella” del grande Di Giacomo con lo sfondo
fornito dalla classica cartolina napoletana. Non è stato
possibile per difficoltà logistiche e il tempo a disposizione.
- e poi Sant’Elmo, il
Vesuvio, il Teatro San Carlo, Museo archeologico e di
Capodimonte e la Certosa.
Ma ci sarebbe voluto un mese,
non cinque giorni. Per il resto ho visto tutto, compresi 40 km
walking.
Napoli mi resterà nel cuore,
visitarla è stato soprattutto un dovere per rimpinguarlo al
reparto “luoghi dell'anima”. Essere napoletano è soprattutto un
pregio, ho capito ancora di più che dono significa esserlo, ho
capito perché anche in miseria vivono con felicità assaporando
le cose più semplici e adorando i loro dei, sacri e profani,
quali San Gennaro, Totò, Maradona, De Filippo e le loro canzoni.
E i Borbone, senza i quali Napoli non sarebbe stata così bella.
Tornando a casa, già a
Capodichino, avevo un po’ di tosse e sentivo una vocina che mi
diceva all’orecchio “Jamme, ja!”.
L’indomani stanchezza, febbre
e tosse. La voce la risento ancora: “vi dovete fare il
tampone!”. A Napoli si dà del Voi, non del Lei e allora, a
quel punto, mi sono reso conto di avere addosso un Covid
napoletano verace ! Soprattutto educato, manifestandosi solo a
Catania. Positivi, tricheco e signora.
______
Vi lascio, vado a riposare
perché stanotte non ho dormito. La tosse continua a
sconquassarmi, per questo perdonatemi gli eventuali
strafalcioni. Adda passà ‘a nuttata (e dalle!)
Giugno 2022 |