In Sicilia i colori e gli odori dell'estate insieme alla delicatezza del pesce, e quindi ai filetti di acciughe in olio: al naturale, al peperoncino, al prezzemolo, con capperi, con mandorle, con pomodoro secco, e poi, la neonata in olio, neonata piccante, bottarga intera e macinata, uova di tonno in olio, tonno in olio, sgombro in olio, pesce spada in olio, acciughe salate in latta.

Nel mare siciliano, vengono pescati facilmente: seppie, calamari, triglie, merluzzi, marmore e non mancano orate e dentici, sogliole e spigole; senza contare tutta quella serie di pesci che portano il nome di murene, palombi, gronghi, vope, razze, rombi, che fanno felici schiere di golosi amatori.

 

Pochissime calorie e tanto gusto, sono queste le caratteristiche dei prelibatissimi frutti di mare siciliani. Inseparabili compagni delle mangiate estive. Cozze, vongole, ostriche, fasolari, cappesante, murici, noci di mare ce n’é per tutti i gusti. Per chi ama i piatti semplici, ma anche per i palati più ricercati.

Tra i tanti frutti di mare che si possono trovare nelle pescherie siciliane, le più richieste sono le vongole e le cozze.

Se l'ostrica è la regina dei frutti di mare, in Sicilia le principesse sono le echinoderme, meglio conosciute come ricci di mare. Il sapere popolare dice che si può mangiare solo la femmina, in realtà i ricci sono ermafroditi.

Tra i tanti molluschi che si possono acquistare ci sono, però, delle specie protette, di queste è vietato il prelievo, si tratta delle mandorle di mare e dei datteri.

Nel risotto, lessi e scoppiati, o nella classica zuppa o nell'amato spaghetto allo scoglio, i frutti di mare si presentano con un gusto e una fantasia unici. Ma sono ottimi anche accompagnati da un crostino di pancarré imburrato. Con una salsina francese o semplicemente con il limone e un po' di pepe nero è un altro ottimo modo per apprezzarli.

 

 

 

 

 

l mitilo della “Gallia”, un mollusco celebre pescato ed allevato quasi in tutto il mondo: la cozza

La cozza, conosciuta in buona parte d’Italia anche come Muscolo, e’ un mollusco lamellibranco, capace di assorbire l’ossigeno tramite delle branchie a lamelle. La cozza e’ costituita da un gusci esterno formato da due valve, composto da carbonato di calcio.

Normalmente di colore nero, la cozza presenta la parte interna delle valve di colore argento o madreperlaceo.

Grazie ad una cerniera a tre o quattro denti le valve sono tenute insieme. L’animale che invece vive all’interno del guscio, la cozza vera e propria, puo’ presentare colori differenti. Essendo il mollusco a sessi separati, il maschio dopo la maturità e’ colorato di bianco sporco, le femmine invece sono di colore arancione.

Grazie ad un filamento (bisso) formato da fibra, la cozza si lega a substrati sia fissi che mobili dove vivrà tutta la vita in colonie. Tale filamento a Taranto (patria italiana delle cozze) e’ conosciuto come “ZOCA”.

La riproduzione avviene nell’ambiente esterno, quando lo sperma raggiunge le uova rilasciate in acqua. Una volta sviluppate, le larve si legano a substrati dove vivranno per circa 4 anni (durata media della vita).

http://www.ilgiornaledeimarinai.it/la-cozza/

 

 

 

 

 

 

 

 

Le vongole sono una dei Frutti di Mare più amati dai buongustai. Sono vendute in tutta Italia con il loro nome comune, anche se in diverse regioni d’Italia prendono l’appellativo regionale; molto spesso incontriamo questi nomi nella letteratura dialettale: ricordiamo il nome Lupino (Campania) o Cucciula, Cuppe (Sicilia), Biberassa (Veneto), Liberazza (Friuli Venezia Giulia) e così via…

Possiamo in ogni modo distinguere due tipi di vongole, quella tradizionale, comune e  quella chiamata vongola verace.

La vongola comune è un mollusco con una conchiglia esterna formata da due parti totalmente uguali e separate dette valve. L’intera conchiglia è costituita da carbonato di calcio che viene estratto dall’animale dall’acqua di mare. Le due valve sono di forma generalmente triangolare e di solito arrotondata. Sono costituite nella parte esterna da delle piccole costole concentriche incrociate da strie radiali sottili e irregolari. Le due valve sono tenute insieme da una cosiddetta cerniera, formata da incastri con tre denti e con dei legamenti.

All’interno invece la valva è liscia e proprio qui si attaccano i muscoli adduttori del mollusco. Nella parte molle, gli organi interni (branchie, cuore, centri nervosi, muscoli, organi riproduttivi, stomaco, intestino…) della vongola sono racchiusi da una specie di mantello.

 

 

 

La colorazione della conchiglia è di solito grigio-bruna, con alcuni raggi striati, punteggiati o composte da righe frammentate di colore più scuro. All’interno invece è bianca o anche giallastra con piccole sfumature brunastre o violacce nella parte superiore. La vongola comune non raggiunge una dimensione molto ampia, in media misura circa 3 centimetri mentre al massimo può arrivare anche i cinque centimetri.

La vongola verace si distingue da quella comune in genere per le dimensioni più elevate; faremo una descrizione più minuziosa dell’animale per rendere palesi anche le distinzioni più sottili.

Al contrario della vongola comune le valve hanno forma ovale squadrata e non presenta dentellature sul bordo. All’esterno è costituita da cerchi radiali o concentriche che terminano sulla parte superiore della conchiglia con una sorta di ispessimento chiamato umbone. All’interno anche qui troviamo una valva liscia. La colorazione esterna è di solito biancastra o addirittura bruno chiara (solo raramente giallastra), con alcune macchie e possibili striature più scure. La colorazione interna è sempre biancastra anche se la presenza della caratteristica macchia violacea nella parte superiore è possibile e non certa. Di solito le dimensioni sono molto più grandi rispetto ad una vongola comune. Può raggiungere i sette centimetri mentre la grandezza standard si aggira sui cinque centimetri. 

Le vongole sono acquistabili senza alcun problema in pescheria e possono essere di mare o di allevamento. Da ricordare che è sempre preferibile comperare delle vongole ancora vive anche se è possibile anche trovarne di surgelate. Prima di cuocerle è necessario spurgarle in acqua salata così da espellere la sabbia in eccesso prima di metterle in padella.

http://www.fruttidimare.net/tutti-i-frutti-di-mare

 

realizzazione e foto di Michela Becciu

 

Gli spaghetti alle vongole sono un piatto napoletano a base di pasta e vongole. Come molti altri piatti della tradizione partenopea, dello stesso piatto esistono più versioni: rossa e bianca, esiste anche la versione senza vongole, che altro non è che spaghetti aglio e olio (Aglio e Uoglie) detti anche alla Borbonica.

La pasta può essere vermicelli, spaghetti o linguine e va cotta al dente e poi mantecata in padella nel sauté di vongole, infine si completa il piatto con prezzemolo tritato fresco. I pomodorini, cotti e un po' appassiti, sono opzionali. È possibile condire gli spaghetti con Peperoncino.

L'ingrediente principale tradizionale dei "veri" spaghetti a vongole è la vongola verace (Ruditapes decussatus), che non va confusa con la vongola filippina (Ruditapes philippinarum), spesso chiamata verace nei mercati del nord italia, che è ormai quella maggiormente diffusa sul mercato, ed il lupino (Chamelea gallina).

 

 

 

 

 

 

Capasanta o Cappasanta. Le capesante, nome volgare di Pecten Jacobaeus, sono dei molluschi bivalve a struttura inequivalve. Sono anche conosciute con il nome di cappasanta, pellegrina oppure conchiglia di San Giacomo.

Come la maggior parte dei “molluschi con conchiglia” presenta due valve, una inferiore e una superiore; la valva inferiore, che poggia sul fondo, è di colore chiaro e di forma molto convessa, mentre al contrario quella superiore è pianeggiante e di un colore bruno.

La conchiglia può raggiungere le dimensioni di 14 centimetri circa. All’esterno la valva è costituita da piccole costole, più o meno 15, che si irradiano fino alla cerniera.

Il mollusco sebbene dalla morfologia tipica, possiede una rara particolarità: è munito di occhi detti catadiottrici elementari, ossia che funzionano per riflessione.

La capasanta è un essere vivente ermafrodita e la riproduzione del mollusco avviene tra i mesi di maggio e giugno. Il suo habitat ideale in Europa è il Mar Mediterraneo, mentre nelle regioni del nord, come Normandia, Bretagna, Scozia , Irlanda ed Inghilterra, la varietà comune non è stata in grado di attecchire, contrariamente a quella chiamata Pecten Maximus.

In Italia quindi è possibile reperire la capasanta in quasi tutte le città di mare: sono più popolose le zone che presentano un fondale arenoso o sabbioso, ricco di detriti.

Gli esemplari più giovani di capasanta vivono ancorati al fondale marino tra i 25 e i 200 metri di profondità: sono appigliati tramite dei filamenti (un po’ come le cozze).

Gli esemplari adulti invece hanno la facoltà di spostarsi liberamente lungo il fondale, aprendo e chiudendo le valve per permettere la fuoriuscita dell’acqua che consente all’animale una sorta di locomozione.

 

Dal punto di vista gastronomico e nutrizionale, possiamo dire che la capasanta è un mollusco molto apprezzato sia cotto che crudo. Nonostante il gusto particolare delle sue carni, soprattutto crude, si sconsiglia vivamente di consumarle senza una previa cottura a causa di motivi igienici e sanitari.

E’ possibile trovare il mollusco in quasi tutte le pescherie ed è possibile incontrare la varietà nostrana (quindi del Mar Mediterraneo) e quella atlantica la quale, se da una parte è considerata molto più economica, dall’altra presenta un sapore meno incisivo. Da preferire i molluschi che sono aperti già a metà, puliti quindi parzialmente dalle impurità e dalla sabbia marina.

Se la capasanta è fresca allora si presenterà di un colore abbastanza vivo (quindi bianco candido o arancione brillante), se al contrario è stata pescata da alcuni giorni sarà caratterizzata da dei colori spenti e grigiastri. Da evitare esemplari con il guscio rotto. Se preferite il prodotto congelato, sarà possibile trovarlo nelle migliori pescherie, ma è chiaro che non manterrà lo stesso caratteristico aroma.

Per pulire le capesante, nel caso in cui questo non fosse già stato fatto dalla pescheria, si dovrà aprire il guscio, staccare la parte molle, lavarla ben bene ed asciugarla. Il guscio può essere lavato (di solito con una paglietta di ferro) e conservato per realizzare delle bellissime decorazioni da portata.

Per avere ulteriori informazioni riguardo ricette tipiche della tradizione italiana, vi invitiamo a cliccare sulla sezione dedicata.

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Le ostriche sono i Frutti di Mare più conosciuti e apprezzati al mondo. Da sempre conosciuto come ostrica, questo genere di molluschi bivalvi è chiamato in termini scientifici Ostrea. Ha una conchiglia tondeggiante ricoperta da alcune lamelle squamose ondulate. Andiamo però a scoprirla nelle sue caratteristiche morfologiche più particolari 

Il mollusco si trova all’interno di una conchiglia costituita da due valve non simmetriche che possono raggiungere una dimensione di 20 centimetri. Di solito questi animali vivono in colonie decisamente numerose ad una profondità di circa 40 metri; abitualmente sono attaccate alla parete di uno scoglio dalla parte della valva sinistra, che può essere riconosciuta dall’altra per una forma decisamente più grande e convessa. L’ostrica può vivere in diversi habitat.

Nei nostri mari è presente nella zona settentrionale dell’ Adriatico (è diffusa in quantità maggiore l’ostrica comune, anche chiamata Ostrea Edulis), mentre nell’Oceano Pacifico è possibile trovare le cosiddette ostriche perlifere. Queste ostriche, chiamate scientificamente Pinctada Margaritifera, sono conosciute sin dai tempi antichi per il prezioso tesoro che custodiscono! Ma come si sviluppa una perla all’interno di questo mollusco? Se l’ostrica si trova a contatto al suo interno con un agente esterno (che può essere un granello di sabbia entrato per caso, o un elemento introdotto dall’uomo) comincia a secernere del carbonato di calcio e una sostanza organica chiamata conchiolina, al fine di espellere questo oggetto estraneo. Questo processo in realtà non determina l’espulsione, ma in alcuni casi, le sostanze secrete dall’organismo, unitamente all’acqua, tendono a cristallizzarsi intorno a quel nucleo estraneo, fino alla formazione di cerchi concentrici e alla perla.

 

Gastronomicamente parlando, la più pregiata tra tutte è l’ostrea edulis più tondeggiante. Nonostante questo, in quasi tutti i ristoranti si trovano le ostriche definite portoghesi o giapponesi (varietà chiamate rispettivamente Crassostrea angulata e Crassostrea gigas) le quali posseggono una forma decisamente più allungata e ovale.

Il miglior modo per consumare un’ostrica è mangiarla cruda. Di solito, freschissima (addirittura ancora viva), appena la conchiglia viene aperta deve essere ben spruzzata con del succo di limone. In questo modo costituisce uno degli antipasti più prelibati e pregiati del mondo. Ovviamente da non perdere è l’accostamento ad un vino altrettanto pregiato, come lo champagne francese. 

In Italia questi Frutti di Mare possono avere successo anche se consumati cotti, specialmente al forno oppure al graten.

Ricordiamo che nelle pescherie è consigliabile l’acquisto di confezioni perfettamente sigillate, non è consigliabile l’acquisto di ostriche sfuse.

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Il mollusco conosciuto da tutti con il nome di Fasolaro in realtà è scientificamente nominato come Callista Chione. Si tratta di un mollusco costituito da un guscio composto da due valve. La forma del mollusco è molto simile a quella di una vongola, infatti le valve sono ovali pressoché di grandezza e morfologia identica l’una dall’altra.

Il guscio è robusto, liscio e di una colorazione brunastra con striature tondeggianti nella superficie esterna che rappresentano le fasi di crescita della conchiglia nel tempo.

 

 

L’interno delle valve invece è completamente bianco e lucido, la consistenza è simile a quella della porcellana. La parte molle, oltre che esser composta da vari organi interni, presenta una sorta di piede che fuoriesce spesso dalle valve, che permette all’animale dei movimenti semplici come ad esempio quello di seppellirsi sotto la sabbia.

Il mollusco che si trova all’interno della conchiglia presenta una colorazione alquanto particolare, che tende dal bruno al rosso intenso. È lungo circa 10 centimetri.

Generalmente vive nei fondali sabbiosi a circa 15 o 20 metri di profondità: è diffusissimo sia nell’Oceano Atlantico sia nel Mar Mediterraneo. È possibile pescarne in grandi quantità nei fondali sabbiosi dell’alto Adriatico, del Tirreno laziale e delle isole britanniche.

Il tipo di pesca che viene utilizzato per raccogliere i fasolari è quello definito a rastrelli o a turbo soffiante. Nonostante questo, è molto diffuso anche l’allevamento (per saperne di più visita la sezione dedicata all’acquacoltura).

Il fasolaro è un frutto di mare che va acquistato ancora vivo, per garantirne la completa freschezza. La conchiglia deve essere decisamente chiusa, se le valve sono aperte allora vuol dire che l’animale è già morto e quindi da non acquistare.

Da ricordare che più la taglia è grande più le carni saranno più dure e legnose, quindi è consigliabile scegliere i fasolari dalle dimensioni più ridotte. Prima di cucinare questi ottimi frutti di mare sarà d’obbligo metterli a mollo in acqua fredda salata (con del sale grosso), per permettere lo spurgo dalla sabbia che si trova al suo interno.

Una volta terminato questo procedimento, si andrà alla pulitura, che è oltretutto simile a quelle delle ostriche.Per sgusciarli nel miglior modo prima della cottura, usate un coltello robusto per incidere il muscolo che si trova vicino al callo e che tiene la conchiglia chiusa. Staccate il mollusco dalla conchiglia e sciacquatelo bene da qualsiasi impurità. Dividere anche il piede rosso dalla sacca della sabbia. Se avete a che fare con un fasolaro molto grosso, e quindi avete timore che le carni si presentino abbastanza dure, potete prendere un batticarne per renderle più delicate e morbide. 

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I Cannolicchi anche conosciuti con il nome di Cannelli sono dei frutti di mare con la caratteristica forma allungata. Possono avere diversi nominativi a seconda delle regioni italiane in cui ci troviamo, tra i nomi dialettali più fantasiosi troviamo “Manego de Coutelo” in Liguria, “Manico de Coltel” in Friuli Venezia Giulia, “Arrasoias” in Sardegna.

Il Cannolicchio è considerato un mollusco bivalve che vive in posizione verticale di solito infossato nella sabbia. Esistono due varietà di questa specie (farellidi e Solenidi) che in comune hanno ovviamente la forma caratteristica della conchiglia: tutti arrivano a misurare tranquillamente i 17 centimetri. La varietà chiamata dei Solenidi ha la conchiglia liscia, molto delicata, tubiforme ed equivalve troncata alle due estremità.

Dalla estremità superiore sporge un grosso piede, al contrario dall’estremità inferiore fuoriescono i sifoni. Grazie a questi sifoni, i cannolicchi riescono anche a nutrirsi, inalando delle piccole particelle alimentari dall’acqua.

La caratteristica singolare di questi molluschi è l’habitat! Infatti essi si trovano sotto il fondale sabbioso dove riescono a scavare delle gallerie fino ad un metro di profondità! In queste gallerie i Cannolicchi possono rifugiarsi in caso di estremo pericolo. Il colore della conchiglia è giallastra brillante con alcune piccole striature violacee.

Pescare questi molluschi è estremamente semplice, il metodo più rapido è quello di farlo direttamente a mano, data la notevole facilità nel riconoscerli sul fondo sabbioso proprio per la loro forma caratteristica. I pescatori più esperti a volte utilizzano anche un attrezzo da scavo, simile a quello utilizzato per vongole e telline, bisogna però in questo modo agire molto velocemente perché l’insabbiamento del cannolicchio è veramente molto rapido. 

La pesca professionale fa uso di turbosoffianti; si sta sviluppando in questo ultimo periodo l’allevamento, soprattutto in Spagna (in Italia i prodotti sono totalmente pescati).

Potrete trovare questi frutti di mare nelle pescherie più fornite di tutte le città italiane. Deve essere commercializzato da vivo e per verificare questo particolare, basterà toccare il piede che sporge: se l’animale è vivo, tenderà subito a ritrarlo.

Visto l’habitat di questo mollusco, sarà necessario spurgarlo per alcune ore e lavarlo molto bene per eliminare tutta la sabbia all’interno.

Le preparazioni migliori sono in forno gratinati o con la pasta: per scoprire ricette tipiche della tradizione culinaria italiana vi consigliamo di cliccare sulla sezione dedicata.

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La patella è un mollusco con una sola valva (gasteropode), provvisto di un grosso piede a ventosa che si fissa sul substrato roccioso in maniera talmente salda da risultare praticamente impossibile da strappare.
Esistono in tutti i mari del mondo circa 200 specie distinte di patelle, ma nel Mediterraneo ne sono presenti solo alcune.
La più comune è la Patella coerulea con una conchiglia a cono, base molto larga e vertice aguzzo, che negli esemplari più grandi puo' apparire arrotondato a causa dell'erosione dovuta al moto ondoso.
Le altre specie reperibili in Mediterraneo sono la Patella aspera, la P. ferruginea, la P. safiana e la P.lusitanica.
Si assomigliano più o meno tutte, con la conchiglia dal bordo quasi circolare e l’apice che, a seconda della specie, risulta più o meno arrotondato.

Da questa sorta di vertice, si irradiano verso il bordo basso delle striature molto evidenti.
Compiendo piccolissimi spostamenti sulle scogliere in cui vive, “bruca” i microscopici ciuffetti di alghe.

Le nostre coste abbondano di patelle, ma ad un occhio poco esperto potrebbero passare inosservate, poiché il colore della conchiglia è uguale a quello della roccia dove il mollusco vive.

 

La patella sceglie un sito dove vivere e riesce a scavarsi nella roccia una sorta di nido circolare: una piccola depressione con un bordo che aderisce perfettamente all’orlo della sua conchiglia.
Infatti la patella conduce la sua esistenza quasi sempre nella zona di marea, quindi resta all’asciutto nelle fasi di bassa marea, per poi venir sommersa quando il livello del mare sale nuovamente.
Nei periodi di bassa marea essa aderisce alla roccia in maniera così perfetta da conservare acqua all’interno della conchiglia e riuscire a sopravvivere fino a che la marea non sarà di nuovo alta.

Se non esistesse una tenute ermetica fra conchiglia e substrato roccioso, cio' non sarebbe naturalmente possibile; una volta immerso, invece il mollusco allenta un po’ la presa e compie addirittura dei piccoli spostamenti.

La patella si raccoglie utilizzando una robusta lama di coltello nei momenti di alta marea, cioè quando il mollusco non esercita il massimo della pressione sul substrato roccioso; la lama va infilata subito sotto la conchiglia. Le patelle non sono molluschi molto richiesti nella nostra gastronomia, né rappresentano un prodotto commerciale, non si trovano infatti sui banchi del mercato. È questo il motivo per cui le patelle abbondano lungo i nostri litorali senza che la loro densità accenni a diminuire.
Le carni sono buone e gustose anche se un po’ dure.

 

 

 

 

 

 

 

è un mollusco bivalve dalla conchiglia più o meno triangolare a valve leggermente disuguali e dalla forma alquanto appiattita. La parte anteriore è rotondeggiante, più lunga di quella posteriore che è tronca ed obliqua, la faccia esterna delle due valve presenta striature longitudinali di accrescimento (più marcate sulla parte anteriore) e linee radiali molto sottili. 
Il bordo interno è dentellato sulla parte ventrale, ad eccezione delle estremità. La colorazione è bianco giallastra, violacea o brunastra con zone radiali più scure, l’interno è biancastro con ampie zone violacee.
La tellina si nutre filtrando l’acqua e trattenendo per mezzo di branchie a rete, piccolissimi organismi, particelle di detriti e particelle organiche in genere.
La riproduzione avviene da novembre ad aprile e gli esemplari adulti possono raggiungere i 3 cm di lunghezza, più frequenti però attorno ai 2 cm.
Una tellina di aspetto molto simile è Donax semistriatus, più allungato, che non raggiunge le dimensione del Donax trunculus e che possiede, nella zona mediana posteriore, linee concentriche e linee radiali che formano una sorta di reticolo.

Dove vive:
La tellina è una specie molto comune nel Mediterraneo, soprattutto nel Tirreno, ma anche nel Mar Nero, nell’Atlantico orientale e nel Mar Rosso. Vive infossata nella sabbia delle zone litorali, fino ad una profondità di circa 15 metri ma è più abbondante nei primi 3-4 metri vicino alla costa.

 


Il mollusco, che dispone di un piede a forma di ascia, riesce a penetrare facilmente sotto il primo strato del fondo sabbioso (pochi centimetri) e qui staziona estroflettendo verso l’alto due sifoni: uno inalante l’altro esalante.
Si trova quasi sempre in colonie.

Come si consuma: Le telline devono essere vendute vive, il loro stato di conservazione si valuta prendendo in considerazione la reazione dell’animale agli stimoli. Quando le telline muoiono le valve si aprono e rimangono aperte. Non acquistate telline se non sono ben chiuse e neppure se presentano una piccola fessura tra le due valve e non si chiudono toccandole.
Le telline devono essere commercializzate chiuse in sacchetti di rete, con indicata la data di confezionamento.
Una volta venivano vendute mantenendole vive in vaschette con acqua di mare, ciò è contrario ad alcune norme sanitarie per la tutela del consumatore.
Le carni della tellina sono consumate sia crude che cotte, il pregio principale delle telline è la dolcezza e la delicatezza delle loro carni. Per le piccole dimensioni si prestano bene come condimento per diversi tipi di pasta.

http://www.supercozza.it/det_articolo.asp?idpage=3&id_articolo=15&nome_articolo=Tellina

 

 

LA PESCA DELLE TELLINE (I COZZULI DI CATANIA).

Con una certa periodicità, stimata intorno a quindici - venti anni, si osserva il cosiddetto fenomeno della "buona annata".

Si ricordano, nel nostro golfo, quella dei merluzzi, degli sgombri e, ancora più ricorrente, delle alici.

I nostri pescatori ricordano anche quella delle "cozze rosse" e dei "granchi americani" - comparsi misteriosamente ed altrettanto misteriosamente scomparsi - per averne fatto una pesca eccezionale.

Poiché cozze e granchi erano commestibili, ed anche di sapore gradevole, data la grande abbondanza, si vendettero a buon mercato, a danno della pesca abituale praticata con "lacciare" e "tattaruni".

Se in questo caso però il danno fu soltanto di natura economica e fu compensato dalla maggiore vendita di cozze e granchi, quanto, invece, accadde tre anni addietro, e che vide protagonisti due tipi di molluschi da un lato e dall'altro gli operatori del settore, causò danni di natura ambientale.

I molluschi di cui si parla sono: "i muccuni" e "'i còzzuli di Catania"; gli operatori sono "i cuzzulara", cioè gli "eroi" che si immergono dalla cintola in giù (espressione che richiama alla memoria quella dantesca "dalla cintola in sù" , stando a mollo per ore e ore. Essi adoperano attrezzi ("'ngegni") molto semplici che lasciano sicuramente passare le telline più piccole e catturano solamente quelle medio-grandi, per consentirne così la naturale riproduzione.

 

 

Come già accennato, circa tre anni addietro, si verificò nella nostra Plaia una vera e propria invasione di "muccuni" - uguali a quelli che qualche volta si possono vedere frammisti alle telline - i quali, insidiando prima e aggredendo poi la conchiglia, ne succhiavano la carne come un vero e proprio parassita può fare, provocandone in tal modo lo sterminio.

Le telline scampate si portavano, per istinto di conservazione, verso la spiaggia e così, quando le mareggiate le spingevano sulla battigia, morivano assieme agli aggressori.

Conclusasi l'invasione, i marinai ritengono che i killers rimasti, non trovando più cibo a sufficienza, abbiano "fatto passa" (si siano spostati) verso altri lidi.

Sembra però che non tutto è andato perduto, perché le poche e piccole telline rimaste, proliferando, riporteranno - almeno in parte - l'equilibrio compromesso, sia pure stentatamente. Compromesso perché - dicono 'i cuzzulara" - con la realizzata sistemazione idraulica del Simeto, le acque del fiume vengono raccolte nelle dighe per essere utilizzate in agricoltura. Di conseguenza, in assenza delle grandi piene di un tempo, al fondo marino viene a mancare il benefico humus, costituito dalle sostanze organiche che il fiume strappava alla terra e riversava in mare.

Si è detto stentatamente perché, come sappiamo, un fattore di rallentamento della crescita delle telline è costituito dagli scarichi industriali che interessano la costa dalla foce del Simeto fino a Catania.

Crescita, invece, quasi del tutto normale le telline sembrano avere dal fiume S. Leonardo fino ad Agnone, dove mancano elementi di ostacolo al loro sviluppo regolare.

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tratto da "Il Golfo di Catania e i suoi pescatori" di Pippo Testa e Mimmo Urzì - Edizioni Greco, Catania - 1992

 

 

 

 

 

 

 

 

lumachino di mare (Nassarius mutabilis) è un piccolo gasteropode, che può raggiungere i 3,5-4 centimetri. La taglia minima del prodotto commerciale è di 2 centimetri. La conchiglia è globosa ad andamento spiraliforme, con apertura di forma semicircolare; una parte del labbro è dentellata e il canale sifonale molto ampio. La superfi cie esterna è liscia, contraddistinta da una colorazione giallastra con striature irregolari più scure di colore bruno-rossastre. Diff uso in tutto il Mediterraneo nei fondali di tipo sabbiosi-fangosi a profondità comprese tra i 2 e 15 metri, è particolarmente abbondante nell’Adriatico centro-settentrionale.
Di giorno vive infossato lasciando sporgere verso l’esterno il sifone e le antenne sensoriali utilizzate per la ricerca del cibo, mentre nelle ore notturne è solito procurasi il cibo strisciando sul piede.

E’ un detritivoro, che si nutre prevalentemente di carne. Ha sessi separati e la riproduzione avviene tra la fi ne dell’inverno e l’inizio della primavera; la fecondazione è interna e le uova dopo un primo stadio di sviluppo vengono deposte in capsule ovigere attaccate ad un substrato solido come rami sommersi, conchiglie e pietre.

La pesca del lumachino si concentra lungo la costa dell’Adriatico settentrionale, ed è svolta con attrezzi da posta fi ssi, ossia con dei piccoli cesti di rete con struttura metallica. Sfruttando la biologia del lumachino, cheè un animale carnivoro e necrofago, i pescatori sono soliti porre all’interno come esca pesce azzurro, cefali o altro. Da qualche anno, l’attività di pesca è sospesa nel periodo estivo, un “riposo biologico” per consentire una miglior crescita/sopravvivenza a giovanili e adulti. I cestini vengono fi ssati su un cavo ad una distanza variabile da 5 a 10 metri l’uno dall’altro a formare dei fi lari di 20 – 30 trappole. L’innesco con esca nuova e il controllo per prelevare il pescato avvengono contemporaneamente, di norma ogni 24-48 ore. La stagione in cui le carni sono migliori è quella inverno-primaverile, da gennaio a maggio.

www.stradadelpesce.it

 

 

 

 

 

 

 

La conchiglia è di circa 6–8 cm, munita di prolungamenti spinosi e dalla forma rigonfia allungata in una estremità del sifone, che invece è lungo e dritto.

La superficie esterna è rugosa e percorsa da numerosi cordoncini spirali irregolari. La colorazione esterna varia dal giallo al bruno, lo stoma è ovale, dentellato sul margine esterno, dal giallo all'arancio. È una specie comune su fondali sabbiosi, fino ad un massimo di 100 m. Questa specie è predatrice necrofaga.

Durante il periodo riproduttivo (giugno-luglio) non è raro osservare gruppi numerosi con esemplari di sesso differente che si accoppiano. Gli individui di questa specie sono ermafroditi proterandri, ovvero prima sono maschi e poi, all'occorrenza, diventano femmine. Le uova vengono deposte sulle rocce delle scogliere organizzate in una massa biancastra più o meno gelatinosa.

Cenni storici[modifica | modifica wikitesto]

Dal mollusco si ricava la porpora reale, secreta da una ghiandola, dal colore violaceo e il cui utilizzo riguardava la colorazione delle stoffe.

Da ogni mollusco si può estrarre solo una goccia e quindi le sue applicazioni erano molto onerose, come è confermato anche dalle testimonianze scritte, basti pensare all'Iliade, secondo la quale solo le principesse potevano indossare i veli di porpora.

La pesca del murice era talmente pregiata da sospingere i fenici ben al di là delle Colonne d'Ercole, facendoli arrivare fino alle Canarie.

 

In un primo tempo il centro di smistamento della porpora fu Tiro, ma dopo il suo declino Cartagine divenne il luogo più importante di produzione. Proprio da qui raggiunse Roma, dove divenne uno dei simboli della magnificenza imperiale.

Una testimonianza ci viene da Plinio il Vecchio che descrive compiutamente la conchiglia.

« Le porpore vivono al massimo sette anni. Si nascondono, come i murici, all'inizio della canicola per trenta giorni. In inverno si riuniscono e, sfregandosi tra di loro emettono un particolare umore mucoso. Nella stessa maniera fanno i murici. Ma le porpore hanno in mezzo alla bocca quel fiore ricercato per tingere le vesti. Qui si trova una candida vena con pochissimo liquido, da cui nasce quel prezioso colore di rosa che tende al nero e risplende. Il resto del corpo non serve a niente. Si cerca di catturarle vive, perché gettano fuori questo succo insieme alla vita. E si estrae dalle porpore più grandi dopo che viene tolta la conchiglia, mentre le più piccole vengono frantumate vive con la mola, in modo da fargli espellere quel liquido.

Il migliore dell'Asia è quello di Tiro; di Gerba quello dell'Africa, e sulla spiaggia del mare di Getulia; in Laconia quello d'Europa. Di questo sono ornati i fasci e le scuri Romane, e sempre questo dà maestà alla giovinezza. Distingue il senatore dal cavaliere; è utilizzato per placare gli dei, e fa risplendere ogni veste: nei trionfi è mescolato all'oro. Per questo sia scusata la follia della porpora. Ma da dove provengono i prezzi delle conchiglie, che hanno cattivo odore nel sugo, un colore grigiastro austero e simile al mare in tempesta?

La lingua della porpora è lunga quanto un dito e con essa si nutre forando le altre conchiglie: tanta è la durezza dell'aculeo. E si uccidono con l'acqua dolce, e perciò si immergono in un fiume: altrimenti una volta prese, vivono cinquanta giorni con la loro saliva. Tutte le conchiglie crescono molto rapidamente, e specialmente le porpore: raggiungono le loro dimensioni in un anno. Vi sono due tipi di conchiglie che producono il colore detto porpora e quello detto conchilio (la materia è la stessa, ma diversa la combinazione). La conchiglia più piccola è il buccino, così detta per la sua somiglianza alla tromba, con cui si suona: e da qui l'origine del nome, per la rotondità della bocca, incisa nel margine. L'altra è chiamata porpora, ha un rostro sporgente a forma di cunicolo e un'apertura laterale. In più ha spine simili a chiodi fino all'apice della spira, con circa sette aculei per giro, che non ci sono invece nel buccino: ma entrambi hanno tanti giri quanti sono i loro anni. Il buccino aderisce ad alcune pietre e si raccoglie fra gli scogli.

Le porpore vengono chiamate anche pelagie. Ce ne sono molti tipi, che si diversificano per l'alimentazione e per il substrato dove si trovano. La lutense si nutre di fango mentre la algense di alghe, entrambe sono di scarsissimo valore: migliore è la teniense, che si raccoglie negli scogli; ma anche questa è troppo leggera e liquida; la calcolense prende il nome dai sassi del mare, incredibilmente adatta alle conchiglie in genere e soprattutto per le porpore; la dialutense si chiama così perché si nutre in substrati di vario genere. Le porpore si prendono con strumenti simili a nasse, piccoli e con maglie larghe, gettati in profondità. Essi contengono come esca delle conchiglie chiuse e robuste, come i mitili: queste, mezze morte, ma ritornate in mare, rivivono aprendosi rapidamente e richiamano le porpore, che le penetrano con le loro lingue distese; ma quelle, stimolate dall'aculeo, si chiudono e stringono le lingue: così le porpore vengono tenute penzolanti per la loro avidità. »

fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Bolinus_brandaris

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tempo del mauro ... perduto

Il periodo è questo, ma bisogna sapere dove andare e, nonostante ciò, essere fortunati. Poter gustare il "mauro" - o "u mauru", in dialetto catanese - è infatti ormai talmente raro da essere una delizia da veri gourmet. Si tratta di un'erba marina dai lunghi filamenti callosi, un'alga commestibile che fino a qualche decennio fa cresceva spontaneamente lungo le coste laviche catanesi e della Sicilia orientale, ma che adesso è quasi scomparsa a causa dell'inquinamento.

 


Inutile chiedere alla Pescheria e nei ristoranti di pesce di Piazza duomo o di Acitrezza; a restare legati a questa specialità sono alcuni ristoratori lungo la Timpa ed a Stazzo (nei pressi di Acireale), e giusto un paio di commercianti della zona di Ognina, a Catania.
"Ogni venerdì me lo porta un vecchietto - spiega Tino, titolare di una rivendita di frutti di mare in piazza Mancini Battaglia - che lo raccoglie insieme a suo figlio in una località vicino Acireale. Trovarlo è così difficile che neanche lui vuole far sapere dove riescono a prenderlo".

Un "segreto professionale" che, tuttavia, non turba la serenità del rivenditore e dei suoi clienti: "Credo sia una località poco inquinata - continua Tino - perché so che per crescere ha bisogno di acque limpide". Magari, perciò, si chiude un occhio su tracciabilità e sicurezza alimentare, ma volentieri si apre la bocca per assaggiare una prelibatezza tipica che rischia l'oblìo: "La domenica è già terminato - prosegue il commerciante - perché ho dei clienti affezionati che vengono qua apposta".

 


Come ogni sciccheria marinara, di solito si consuma crudo: "Cinquanta anni fa mia mamma se lo mangiava a mare mentre lo raccoglieva - ricorda Tino - ma c'è chi lo preferisce condito con sale e limone, o chi lo salta in padella".
Sono questi i mesi migliori in cui tentare la fortuna: l'alga trova il suo habitat ideale da aprile a giugno. Una vaschetta da 100 grammi costa più o meno tre euro. Ben 30 euro al chilo, ma vale per la memoria.

Francesca Marchese

http://www.cronachedigusto.it/i-nostri-consigli/dove-mangio/3124-la-curiosita-il-tempo-del-mauro-perduto.html

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"CAPIDDUZZU" O "MÀUTIZZO" . Si presenta a carattere cespuglioso e con proliferazioni di natura coriacea. Il colore marrone è quello predominante.Gicartina Teedii, (Roth) Lamo-roux. Si presenta, a differenza del "màuro", con proliferazioni sottili. Il verde intenso è il colore prevalente.

 

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'U MAURU - L'ALGA SICILIANA PERDUTA

'U Mauru è un'alga rossastra e coriacea che cresce tra Acireale e Catania. Una volta era un piatto tipico della zona, ora è praticamente scomparsa. E' stata per molto tempo la merenda dei pescatori che rientravano dalle battute di mattina. La strappavano dagli scogli, la condivano con limone e sale e se la mangiavano lì, a bordo, prima di rientrare a riva. Oggi però non è più così facile trovarla sugli scogli vicino la riva. Spesso a prenderla ci vanno i sommozzatori che, il più delle volte, tornano a mani vuote. E così la tradizione del Mauru sta scomparendo alla velocità della luce: resiste in sparuti ristoranti e trattorie in un tratto che va da Acireale a Catania. Meno di 20km di costa in tutto. 'U Mauru prende la sua radice da màguru in siciliano e a sua volta dal latino macer, letteralmente magro, povero. Il nome scientifico dell’alga sarebbe Chondracanthus teedei. Il primo a parlarne è Friedrich Traugott Kützing, dottore in filosofia, che nel 1847 afferma di averlo trovato sia nel mare Adriatico che nel Mediterraneo. In realtà oggi sappiamo della sua presenza anche in Giappone, Portogallo, Spagna e in alcune isole dell’Oceano Pacifico. Rimane comunque un’alga piuttosto rara.

 “A seconda del periodo il sapore cambia tantissimo,” mi spiega il ristoratore, appassionato di Mauru, che si va a prendere da solo. “Agosto non è il periodo migliore, anzi: non è proprio periodo. La stagionalità del Mauru va da marzo a giugno e, più si va avanti, più saprà di iodio e assumerà un colore rosso.” Il Mauru nella pasta con i frutti di mare, però, era una bomba: un po’ di cottura attenua parecchio il sapore — un sapore che, sappiatelo fin da ora, rimane in bocca per ore.

Per crescere il Mauru ha bisogno di particolarissime condizioni, la prima delle quali è l’acqua pulitissima. “Il Mauru cresce dove l’acqua salata incontra acqua dolce in mare e solo dove è pulita,” mi spiega il ristoratore anonimo che mi fa assaggiare il Mauru e che ne è un esperto. “Inoltre cresce su scogli di origine vulcanica. Capisci bene che sono condizioni difficili da trovare.” Quindi: se mai mangerete del Mauru, sappiate che difficilmente sarà cresciuto in condizioni ambientali avverse. O non lo trovereste proprio.  È selvatico, cresce spontaneo e l’opinione comune —soprattutto fra i pescatori — vuole che il mare sia ormai irrimediabilmente inquinato. Il che lo avrebbe reso poco disponibile e soprattutto, come mi ha spiegato il pescatore Giambattista Guarrera: “Le alghe trattengono l’inquinamento, per questo potrebbe essere pericoloso.” Poi c'è da tenere in considerazione la non tracciabilità, che non è cosa da poco.

Infine il fattore più pittoresco: alla fine 'sto Mauru è illegale sì o no? Qui potrebbe c’entrarci solo il “sentito dire”: non c’è al momento un solo documento che lo indichi come specie protetta (male), né uno che ne sancisca l’illegalità. “Quando non lo trovo lo acquisto tranquillamente,” mi dice il ristoratore - che però non vuole parlare al telefono di certi dettagli, alimentando ancora la leggenda popolare. “Basta una licenza di pesca generica e specificare la zona in cui si è preso.” Il problema non è che faccia male, anzi, hanno pure scoperto che è un ottimo antifungino e antivirale. Il problema è che non ce n’è proprio più in quel tratto di costa. Tanto che, se lo trovate, il prezzo è di circa 30 euro al chilo.

(Andrea Strafile)

 

 

 

 

 

 

 

è un animale marino erbivoro, che appartiene al Phylum degli Echinodermi (la parola deriva dal greco e significa “pelle con spine”) e vive sui fondi dei mari: è un animale poco mobile. Presenta un rivestimento esterno ruvido e spinoso detto dermascheletro, formato di piastrine calcaree unite insieme e contenute nello spessore della pelle. Sulle piastrine si articolano gli aculei e, attraverso piccoli fori, vengono astroflessi i pedicelli ambulacrali: tubicini che terminano con delle ventose e permettono al riccio di muoversi. La respirazione è essenzialmente cutanea, ma sono presenti anche piccole branchie vicino alla bocca.

 

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I ricci di mare sono piuttosto bizzarri e si possono presentare sotto tante forme e colori diversi, e vengono tutti raggruppati nella classe degli Echinoidei. Si distinguono in RICCI REGOLARI e IRREGOLARI.

I Ricci Regolari sono i più comuni, sono diffusi ovunque e sono muniti di aculei: il Paracentrotus è di colore variabile dal bruno al viola ed è commestibile.

I Ricci Irregolari hanno il corpo ovale, vivono infossati nel detrito o nella melma, il loro scheletro mostra sulla parte superiore una figura a stella che rappresenta il sistema locomotorio trasformato. Hanno aculei molto corti e fragili che formano una sorta di manto peloso attorno all'animale.

 Il riccio di mare è molto usato come antipasto, crudo. Il suo impiego è altresì noto come condimento nei famosi “spaghetti ai ricci di mare”.

 

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Le spine del riccio di mare possono pungere, provocando dolore e bruciore. Gli aculei sono fragili e molto spesso si spezzano all’interno della pelle; non iniettano veleno, ma la puntura è dolorosa e s'infetta facilmente.

Ricci di mare: usa garze imbevute di acqua e aceto
I ricci solitamente vivono su fondali rocciosi poco profondi, in nicchie riparate scavate negli scogli. Se si calpestano, le spine, che sono fragili, si possono spezzare e rimanere conficcate nella pelle. Sono dolorose e fastidiose, quindi è consigliabile rimuoverle, meglio se con una pinzetta o con un ago sterile, c
ercando di non spezzarle. Se non ci si riesce è possibile provare, dopo aver lavato e disinfettato la zona colpita, a bagnarla con garze imbevute di acqua e aceto (scioglie i residui di spina). Oppure puoi provare con un impacco di pomata di ittiolo, che ne favorisce l'espulsione. Comunque, se non vengono espulse, possono essere disgregate e assorbite dai tessuti stessi.

Si appresta l’estate e ciò significa non solo mare e ferie, ma anche pesca ricca e mangiate di pesce fresco: una delle specie marine più consumate nelle regioni del Sud Italia è il ricco di mare (Paracentrotus lividus), particolarmente apprezzato dai consumatori e dai turisti.

Spaghetti con le uova, a crudo con un pò di pane casereccio, i ricci sono buonissimi, ma anche una specie protetta: attualmente la normativa comunitaria ( in particolare il D.M. 12 gennaio 1995 che disciplina la pesca del riccio di mare -Gazz. Uff. 25 gennaio 1995, n. 20-) prevede il fermo biologico, alias il divieto di raccolta e di consumo, nel periodo dell’anno che va al 1° Maggio al 30 Giugno (è il periodo della fecondazione della specie).

E anche quest’anno la pesca del riccio sarà vietata, sia a scopo commerciale che sportivo, pena la confisca del pescato, degli attrezzi e multe da mille a 6mila euro.

La raccolta di esemplari sotto misura comporta anche una denuncia penale. La taglia minima di cattura, infatti, non deve essere inferiore a 7 centimetri di diametro totale, compresi gli aculei.

Si ricorda inoltre che la pesca del riccio nel restante periodo dell’anno (dal 1° Luglio al 30 Aprile) è circoscritta ai casi di immersione e di pesca manuale, tramite asta a specchio e rastrello; i professionisti possono raccogliere fino ad un massimo di mille esemplari al giorno, gli sportivi non più di cinquanta.

http://www.giornalesiracusa.com/notizie/2015/04/29/pesca-del-riccio-inizia-il-fermo-biologico

 

 

Mentre procediamo più verso nord, l'odore di «viddulidda» e di «evva 'i ciàuru» si fa più intenso che mai. Così il nostro «Bastiano» coglie lo spunto per raccontarci che alcuni «trezzoti» raccolgono, per mestiere, queste erbe profumate, rivendendole alle «case del pesce», e che «Janu lupu» e «Araziu fulinia»  sono i più classici rappresentanti di questo commercio. Ci dice pure che tempo addiestro c'era un «rizzaru» («Còcimu Valastru»), chiamato «'u cavaleri d'i rizzi», perché i suoi ricci erano «chini comu l'ova, e no nni sbagghiava mancu una!»

 

da "Luci sulla scogliera" di Testa e Urzì - Edizioni Greco in Catania

 

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https://www.mimmorapisarda.it/2023/scupulu.jpgQuando per “’i saddara” non era consigliabile “andare con la tratta”, cioè d’inverno, alcuni di loro esercitavano un’attività che oggi viene praticata solo dai subacquei: la pesca dei ricci.

Plinio, nella sua Naturalis Historia, dei ricci: "hanno degli aculei al posto dei piedi. Per essi procedere significa rotolarsi in cerchio, e così se ne trovano spesso con gli aculei consumati. Tra questi si chiamano echinometri quelli che hanno aculei lunghissimi e gusci molto piccoli. E non tutti hanno lo stesso colore verde.

Intorno a Torone  (in Calcidica) ne nascono bianchi, con gli aculei piccoli. Le uova di tutti sono amare, cinque di numero. Dicono che essi presagiscono le tempeste marine e che le aspettano afferrando delle pietruzze in modo da dare, col peso, stabilità al loro corpo che è mobile; non vogliono consumare, avvoltolandosi, le spine. Non appena i naviganti vedono ciò, subito fissano le imbarcazioni con parecchie ancore».

Il tipo di riccio localizzato da Plinio nella Calcidica cresce anche nel tratto di mare fra "l'Armisi" (stazione F.S.) e Capo Mulini e viene chiamato "rizzo monaco" o "rizza carusedda".

Quanto asserito dallo storico sul sapore amaro di tutte le uova dei ricci, può essere condiviso solo in parte, anche perché siamo confortati dalle testimonianze di alcuni nostri pescatori, i quali, in una delle loro "missioni" in Calabria, esattamente nei pressi di Tropea, riscontravano con sorpresa che il sapore delle uova dei ricci del luogo era effettivamente amaro.

Le uova, invece, dei ricci delle nostre coste non lo sono affatto; anzi i ricci, più che frutti di mare, si potrebbero considerare dei veri e propri dolci di mare, in particolare quelli che hanno le uova di colore rosso. Probabilmente Plinio verificò quanto riferito in una zona dove il cibo dei ricci produce sostanze amarognole.https://www.mimmorapisarda.it/2024/131.jpg

La pesca di cui si parla aveva un fascino particolare soprattutto in relazione all'attrezzo che veniva usato per la cattura dei ricci, il cosiddetto "scùpulu" (specifica funzione dell'ngegnu). Si trattava di una pietra calcarea a forma di ciambella scanalata alla quale venivano legati numerosi fasci di vecchia rete. Nella sua parte superiore la ciambella recava una lunga e robusta corda che, dalla barca, veniva manovrata in modo che gli anzidetti fasci di rete scopassero il fondo alla ricerca dei ricci. La pesca si effettuava quasi esclusivamente di notte, perché è di notte che i ricci si muovono alla ricerca del cibo.

Quando la pesca dei ricci veniva praticata da marinai professionisti, si incontravano quotidianamente carovane di pescatori (trezzoti e ogninesi) che, a piedi, si spingevano fino a Catania per la vendita del pescato, riposto nel classico cesto con manico detto "panaru".

Dato che ogni "mestiere" ha avuto quasi sempre un suo "personaggio", anche fra i vendi-tori di ricci ve ne era uno che viene ricordato per la sua simpatia e per quanto era solito fare. Egli, come tutti gli altri, si recava a piedi da Acitrezza fino a Catania con il suo fardello sulle spalle. Essendo persona dotata di una grande resistenza, per il suo incedere, per la forte andatura e per il fatto che al ritorno fosse il solo a servirsi di un mezzo pubblico che, a quei tempi, giungeva fino ad Acireale, meritò il nomignolo di "Sani 'u tram".

Il riccio più conosciuto è il Paracentrodus lividus che vive sugli scogli, o entro cavità da esso stesso scavate , coi cinque denti appuntiti che formano la cosiddetta "Lanterna di Aristotele" .

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tratto da "Il Golfo di Catania e i suoi pescatori" di Pippo Testa e Mimmo Urzì - Edizioni Greco, Catania - 1992

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A Catania le grandi patelle reali madreperlacee, dette "occhi di bue" alle quali, anche dai sub, viene data un'implacabile caccia, tant'è che il prezzo al chilogrammo ormai supera cifre esorbitanti. Il mollusco viene consumato crudo, ma più spesso arrostito sui carboni e condito col salmoriglio.

Lo squisito abalone e il rischio del divieto assoluto di pesca

LIVORNO. Dal primo febbraio in Sudafrica scatterà il divieto di pesca degli abaloni, quelle che noi chiamiamo orecchie di mare, considerati una squisitezza ed un potente afrodisiaco nel sud-est asiatico, dove vengono importati in gran quantità, e per questo ormai ridotti alla prossima estinzione.

 

 Il divieto di raccolta e pesca degli abaloni era stato annunciato nel novembre 2008 dal ministro dell’ambiente e del turismo sudafricano Martinis van Chalky, che nello spiegare la misura assolutamente necessaria disse: «Sfortunatamente, siamo al punto che la pesca dell’abalone selvatico non si può più giustificare, dato che la sua esistenza si è ridotta ad un livello che la risorsa è minacciata di estinzione».

Negli anni ’60 del secolo scorso in Sudafrica si pescavano 2.800 tonnellate all’anno di abaloni, nel 1970 vennero introdotte le quote fino ad un mhttps://www.mimmorapisarda.it/altro/occhi44.jpgassimo di 700 tonnellate all’anno, che vennero ulteriormente ridotte nel 1995, fino ad arrivare nel 2006 e nel 2007 a 125 tonnellate. Ma questo non ha impedito la raccolta illegale di queste grandi orecchie di mare che sul mercato cinese, durante le festività del nuovo anno, raggiungono i mille dollari al chilogrammo.

Per questo nel 2007 il governo di Tshwane (come si chiama oggi Pretoria) ha chiesto al Cites di introdurre questi molluschi nell’Appendice III delle specie commerciali minacciate, richiedendo l’embargo di vendita internazionale per gli abaloni sudafricani pescati illegalmente e non certificati. Il Sudafrica ha anche iniziato un pattugliamento delle coste per impedire la raccolta di frodo dei molluschi, un’attività che impegna 170 uomini ed una ventina di imbarcazioni, elicotteri ed aerei da ricognizione, con un costo per le casse pubbliche di 3,2 milioni di dollari all’anno.

Ma neanche questo è riuscito a fermare i bracconieri e lo stock di abaloni del Sudafrica è calato drasticamente. Sfogliando i registri di confisca Cites si scopre che gli abaloni pescati illegalmente sono moltiplicati in maniera esponenziale tra il 1996 e il 2006. Nel 2007, è stato confiscato almeno un milione di orecchie di mare sudafricane, per un valore di circa 20 milioni di dollari, probabilmente solo una piccola parte del traffico abusivo.

Ma le perplessità sul divieto assoluto di pesca non convince tutti, nemmeno esperti ed ambientalisti. Secondo quanto ha detto al The Cape Times una ricercatrice dell’unità di valutazione ambientale dell’università di Città del Capo, María Hauck, la sospensione della pesca degli abaloni potrebbe provocare addirittura un aumento della loro raccolta illegale.

«Il governo – spiega la Hauck – ha alienato i diritti legali dei possessori di licenze, mentre avrebbe dovuto allearsi con loro per gestire le risorse».Il problema è infatti cosa faranno (e come reagiranno) le 800 persone che lavorano legalmente nel settore e che fanno un fatturato annuo di 21 milioni di dollari. Con la ricercatrice concorda addirittura Markus Bürgener, di Traffic, un network mondiale sul controllo del commercio di risorse naturali al quale aderiscono anche Cites e Wwf. «Se non si danno a questi pescatori altre opzioni percorribili per potersi sostenere – spiega Bürgener – il pericolo è che qualcuno tra loro ricorra alla raccolta illegale. Questo è il lavoro che conoscono meglio».

Il governo sudafricano pensa di inserire i pescatori di abaloni nell’industria turistica, in particolare nelle attività di whale-watching, ma anche di realizzare, con un investimento di 15 milioni di dollari, 6 impianti di acquacoltura per allevare abaloni. Ma l’allevamento in mare degli abaloni richiede 5 o 6 anni per raggiungere la taglia commerciale (7 o 800 grammi) e anche se impianti del genere esistono già in Sudafrica ed esportano oltre 180 tonnellate di prodotto all’anno, questa pratica presenta molti rischi, ha alti costi di partenza, richiede personale specializzato. Inoltre, è energivora ed ha bisogno di essere supportata da generatori autonomi, perché in caso di interruzione di corrente le orecchie di mare iniziano a morire già dopo la prima mezz’ora. Ma l’acquacoltura pare l’unica soluzione reale per allentare la pressione sugli abaloni selvatici e salvarli dall’estinzione, impiegando le abilità dei pescatori per distoglierli dalla cattura illegale di questi molluschi.

Fonte: Greenreport

 

 

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