in foto, S. Maria di Leuca al tramonto.
Cosa c'entra un sito marca Liotru con la Puglia? In effetti si tratta del mio tour fotografico durante il viaggio in quella regione nell'estate del 2005. Potevo semplicemente pubblicare le immagini dove stava scritto "qui sono a .... ", ma non mi bastava. Siccome, per natura, non riesco ad essere banale e visto che questo sito non si chiama Puglia-Vacanze.it ma mimmorapisarda.it, l'ho trasformato in uno Speciale. Quindi, oltre alle foto scattate dal sottoscritto ho aggiunto "qualcosina" di questa bella terra facendo, al contempo, sorbire al visitatore anche i motivi di questo viaggio ... dove si capirà perchè ...."c'entra".
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Io
sono
per metà catanese e per metà tarantino, quindi mezzo pugliese. Istruttore di canottaggio, era molto conosciuto e rispettato da tutti per la sua correttezza, signorilità, lealtà e bontà d'animo. Ma soprattutto per la sua generosità, che era proverbiale: quando andava al mercato acquistava la stessa spesa presso due commercianti diversi, per non far torto a nessuno dei due! Lo ricordo ancora quando la sera, davanti al televisore, sfidava il colonnello Bernacca sulle previsioni meteo dell'indomani. Quelle sue erano tutte sballate, ma aveva quasi sempre ragione! Le estati si passavano a Taranto con i nonni materni, ma soprattutto con lui. Anzi, le passavo attaccato a lui come una cozza. Quando arrivava il momento di ritornare in Sicilia era una pena perchè allagavo l'auto di famiglia del mio pianto, uno tsunami di lacrime che ci spingeva fino a Catania. In compenso ero carico carico di amore per il mare che lui mi metteva in valigia: ancorette, stemmini militari, cappelli da marinaio. Il suo aspetto, ma anche il suo modo di essere, ricordava Il vecchio e il mare di Hemingway...."Tutto in lui era vecchio tranne gli occhi che avevano lo stesso colore del mare .......". Quando ero con lui mi sentivo Manolo accanto a Santiago. Aveva un portamento regale, un paio di baffi da ammiraglio in un corpo possente, una camminata ammaccata che ricordava Spencer Tracy ed emanava calorosa bontà da ogni poro della sua pelle, dura e corrucciata come quella di un marinaio. Affondare le mie mani nel suo torace, avvolgermi fra le sue braccia, cercare nel sonno le sue spalle larghe come il ponte di una nave significava risalire in coperta dopo la mareggiata nel porto dei miei sogni, rappresentava un accogliente e sicuro rifugio dopo aver attraversato un mare forza otto sul cuscino. In parole povere, come per qualsiasi bambino, per me quella figura era decisamente una favola, un libro di avventure sempre a portata di mano, perennemente aperto. E sfogliarne le pagine era meglio di una lettura di Salgari! Più stavo con lui e più cresceva in me l'amore per il mare. Osservavo attentamente le sue mani che erano bitte, le sue mascelle timoni, le sue braccia tatuate di sirene come due ancore, gli occhi erano un albero di trinchetto e il suo sorriso un boccaporto dal quale uscivano le storie più fantastiche: tempeste in mezzo al mare con onde alte (lasciamo stare i metri....), guerre mondiali, nemici austriaci, murene lunghe così...... quante storie mi ha raccontato, quanti incrociatori colati a picco solo con le parole! Ma a bordo, dentro di lui, esisteva una stiva eccezionale perchè conteneva un cuore e un coraggio così grandi, ma tanto grandi che fu anche decorato per il suo valore: salvò due marinai in mare durante una burrasca al porto e quando gli alleati bombardarono le corazzate italiane a Taranto, in mezzo a quel girone dantesco che era Mar Piccolo c'erano lui e la sua barca per recuperare i marinai italiani. Avevo una gran nostalgia di rivedere i luoghi della mia adolescenza, risentire odori che ristagnavano soltanto nella mia immaginazione; volevo riascoltare i battiti del mio cuore mentre calpesto la sabbia di Viale del Tramonto e verificare se oggi palpiltavano alla stessa velocità di allora. Quella sabbia è a San Vito, magica spiaggia abitata dal dio Nettuno che ebbe anche la fortuna di ascoltare le storie di un indimenticato e leggendario Lupo di mare chiamato Zi' Cilluzzo, mio nonno, che quando se ne andò i tritoni e le sirene di quella baia incantata smisero di cantare e suonare per rendergli omaggio. Da quel giorno tutto cambiò, quel luogo non è più lo stesso e, a parte quello che scrivo in calce, assieme a lui se n'era andata dentro di me la voglia di ritornare in quei luoghi. Ma era passato tanto, troppo tempo. 23 anni! Troppi! E poi la mia conoscenza della Puglia si limitava alla città jonica, non conoscevo altro, non sapevo niente della mia terra d'origine. Uno dei motivi perchè ho fatto questo viaggio, a parte gli amici che mi aspettavano a Barletta, con i quali condivido una passsione musicale. Ho
fatto base a Taranto e poi, parafrasando una
vecchia canzone, via sulla strada di Pescara, assalito dai
parenti ingordi (eccolà qui quella passione musicale) che non volevano lasciarmi andare e che si sentivano di
fottere (*). Ma scaricai le mie pistole a salve, regalai le mie parole
ai sordi e sono partito per conoscerla davvero la mia seconda terra.
A torso nudo, coi finestrini aperti che facevano volare mappe e cartine, che facevano entrare il rumore di grilli in amore e un forte odore di menta e di rucola selvatica, mi sentivo come un Ulisse in terra salentina. Sigarette e rutto libero, la
terra rossa, ulivi e case bianche a sinistra e il mare azzurro a
strapiombo a destra, scoprivo ad ogni curva qualcosa di nuovo
meravigliandomi ad ogni
tornante e come i bambini fare "Oohhh!". Lasciandomi lo Jonio alle spalle,
passavo direttamente all'Adriatico (col sole che
cambia da ovest ad est) solcando coi pneumatici l'atlante
geografico nell'arco di un minuto. A Trani sono stato ospitato da un mio cugino tarantino. Una sera, passeggiando con lui, mi fa vedere la sua vecchia casa affacciata sul porto e mi dice "Guardando quella finestra mi sento di fottere" (*)". Ho pensato "oh, ma qui sono tutti mandrilli!" Chissà quali notti d'amore consumate in quella casa, oggetto dei ricordi del parente! Cugino, invece non dimenticherò mai quella birra gelata sul lungomare, alle due di notte, bevuta accanto a due tranesi che parlavano fra loro. Tu stesso, che sei pugliese, non avevi capito una mazza! L'indomani incontro a Barletta la mia amicona Pippina, quasi una sorella. Il tempo di cogliere al volo lo scatto di un originalissimo manifesto elettorale prima di ammirare la galleria del grande De Nittis al Castello. Poi a pranzo a casa sua per gustare la famosa parmigiana assieme a sua figlia Serena e a Franco, il suo prezioso (certifico!) marito. La sera concerto di Francesco De Gregori al Fossato assieme ad altri amici (uno dei motivi). Mentre Francesco suona si accorge che sotto il palco ci siamo io e Pippina e ci fa un gesto come per dire "che cacchio ci fate qui?". Grande concerto! Il Principe si toglie la corona e indossa un'armatura di note trasformandosi per una notte in Ettore Fieramosca, capitano di ventura per una serata in quel di Barletta, luogo di una famosa disfida fra italiani e francesi. E per quella volta è lui l'eroe di Barletta, è lui che con la sua musica fa vibrare i torrioni del castello, fa scricchiolare le feritoie, fa traballare le corazze nel maniero al suono della sua armonica quando canta Rimmel. Beh, il resto del viaggio sono chilometri, cozze pelose, iavatun, friselle, focacce terzarule e pane di Altamura, pesche grosse come cocomeri, svariati torcicolli causati dalla bellezza delle donne pugliesi, il piacere di rivedere persone care, i miei cugini ormai coi capelli brizzolati e che invece immaginavo ancora bambini. E poi spirito d'avventura, scariche di adrenalina, emozioni e una vocina (che mi scandiva in testa puntuale come lo sciroppo per la tosse) che continuava a ripetermi "Ciao uomo, dove vai?". Un Grazie a tutti. Un viaggio che mi ha permesso, appena in tempo, di aggiungere al titolo di questa pagina due paroline finali scritte in basso. Infine, ... un'altra cosa che descriverò in fondo, dopo la galleria fotografica del tour.
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INDICE
Il Metapontino, la California d'Italia
TARANTO - Mar Piccolo - Base Militare Marina |
TARANTO Vecchia - venditori di cozze |
TARANTO - San Vito - Viale del Tramonto |
Un’isoletta,
la «Città vecchia» e la terra ferma, la «Città nuova»,un mare,
quello «Piccolo», protetto e racchiuso da due penisole a formare un
bacino, separato da un altro mare., quello «Grande», definiscono
storicamente e geograficamente una delle più interessanti e laboriose
città del nostro sud: la latina Tarentum, la nostra Taranto,ricca
città della Magna Grecia. Proiettata sul mar Ionio, che da sempre è
stato un’importante via marittima di scambi economici e culturali tra
due civiltà, quella romana e quella greca, la Città di Taranto deve la
sua origine, secondo la tradizione, a coloni ellenici di origine
spartana o, forse, ancor prima, a coloni Pelasgi, efficienti e validi
lavoratori del ferro (chissà se le moderne attività metallurgiche di
Taranto derivano proprio da quel popolo?).
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TARANTO - Baia del Pescatore |
TARANTO - Lido Gandoli |
TARANTO - Ponte girevole |
È nota la strategica importanza di Taranto quale base navale della nostra Marina che trova riparo nel bacino del Mar Piccolo dominato dal famoso Ponte Girevole, inaugurato il 22 maggio del 1887, il cui funzionamento e sicurezza sono affidati al personale della Marina Militare. Il Ponte è considerato dai marinai che vi transitano, la «porta di casa». Non è raro, infatti, osservare lungo le sponde del breve canale navigabile che congiunge i due Mari, la presenza di familiari nell’attesa dell’arrivo o della partenza di unità della marina, per salutare o accoglierei marinai allineati a bordo; è un momento di vita marinara che sa di affetti, di trepidazioni e, in modo particolare, di quanto il cuore dei tarantini viva con la nostra Marina e partecipi ai suoi eventi. Infatti, non solo i parenti corrono lungo il canale, nelle varie occasioni più o meno importanti: sono tutti i cittadini di Taranto che si fanno testimoni, senza retorica, con vero slancio fatto di riconoscenza e di amor patrio. Il Ponte Girevole è una mirabile opera dell'ingegneria navale. Al tempo della prima invasione dei Saraceni, i tarantini tentarono di scavare in questo punto, un fosso per difendersi dai nemici. Ferdinando I d'Aragona lo fece approfondire ed ingrandire quando i Turchi, assediata Otranto nel 1480, minacciavano di assalire Taranto. Filippo II lo rese navigabile; Ferdinando I di Borbone lo migliorò e alla parte nord fece costruire un ponte che fu detto "Ponte di Porta Lecce". Ma era riservato alla meccanica moderna di rendere questo canale atto al passaggio delle nostre superbe corazzate e ad unire la città vecchia con quella nuova, mercé un ponte girevole. Il gran ponte in ferro misurava 86.4 metri di lunghezza e 6,7 metri di larghezza. Quando qualche nave doveva entrare nel Mar Piccolo o uscirne, il ponte si apriva per forza idraulica in due bracci che giravano su se stessi. Fu costruito per conto del Ministero della Marina, sotto la direzione del Genio Militare locale. Demolito, fu rifatto con criteri e mezzi moderni tra il 1957 e il 1958 e edicato a San Francesco di Paola, patrono della gente di mare. |
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TARANTO - San Vito - Viale del Tramonto |
TARANTO - Viale Virgilio |
TARANTO - Mar Piccolo |
Taranto
mostra la sua sensibilità e l’attaccamento alle sane antiche
tradizioni, rinnovando ogni anno i riti della Settimana Santa;unico
nello svolgimento, quest’evento,una pubblica manifestazione di fede,
si conclude con la solenne processione del Venerdì Santo che parte
dalla Chiesa di San Domenico e, portando le statue che simboleggiano la
passione, procede per le strade del «Borgo Umbertino». La processione
è preceduta dai «Perdúne»: nel pomeriggio del Giovedì Santo coppie
di confratelli della Confraternita del Carmine escono dalla loro Chiesa,
una delle più belle e più amate della Città e a piedi nudi, indossato
l’abito con fraterna le, effettuano un lento pellegrinaggio verso le
principali chiese dove sono allestiti i sepolcri.
LA MIA TARANTO DI UNA VOLTA Spesso si tornava a Taranto in estate per vedere i parenti e gustarne le bellezze marine e dei dintorni. La prima volta andammo a San Vito, in una villetta vicina al mare, ma ero troppo piccolo per ricordare qualcosa. Era estate, tempo di mare, di sole, di bagni. Le belle spiagge della litoranea (Lama, San Vito e Lido Bruno) erano prese d'assalto dai bagnanti che cercavano refrigerio tra le onde e facevano a gara per l’abbronzatura più scura. Una volta, fino agli anni '50, gli stabilimenti balneari più frequentati erano situati in città e sulla strada per capo San Vito In quegli anni in alcuni bagni era possibile noleggiare la barca a remi per allontanarsi dalla riva. Molti ragazzi allora ne approfittavano per mangiare l'anguria (lasciata in acqua a raffreddare) al largo o per cimentarsi in furiose battaglie a colpi di cappelli di prete(così erano chiamate le grosse meduse che hanno appunto tale forma). Chi non aveva il salvagente suppliva con una grossa camera d’aria gonfiata a dovere. Ritornai con papà nella città capitale della Magna Grecia nell’estate del ’57: Il viaggio durò a lungo ma una volta arrivati alla stazione respirammo a pieni polmoni l’aria profumata e salmastra del mar Ionio, che è lì proprio davanti alla stazione. Prendemmo la carrozza scoperta, che chiesi invece di un taxi, visto che le auto allora avevano un nauseabondo odore di vinile e benzina, stanchi ma felici. Il cocchiere faceva trottare lestamente il cavallo per le strade poco trafficate, attraversammo il ponte di barche (il nuovo girevole, che sostituisce il vecchio ottocentesco ponte era in costruzione) per giungere infine a casa dei nonni in Via Anfiteatro. Conoscevo bene l’indirizzo, che diverse volte avevo scritto sulle buste della lettera per i nonni e che leggevo con l’acquolina in bocca. Se vedevo il mittente sui pacchi con i piombini e la cera lacca, erano i preziosi plichi che contenevano dolci di mandorla, fichi secchi e pecorelle di pasta reale, con la bandierina sulla schiena, che c’inviava spesso la cara nonna. Ci accolse, una volta saliti per le scale, zia Lidia, vociante e calorosa, poi salutammo i nonni e gli zii Tonino e Mario ed il nero e rumoroso cane Bull. Il nonno era ormai anziano con bianca lanugine sul viso e si aiutava con il bastone, la nonna stava spesso al balcone su una sedia ed osservava le gente passare per la via, facendosi un po’ d’aria nella torrida estate con un antico ventaglio. In casa c’era già la TV e per la prima volta in quella occasione vidi il celebre mago Zurlì, Il mago del giovedì. Quando la nonna usciva, spesso incontrava qualche ex allievo che, riconoscendola l’abbracciava calorosamente. Per lo “struscio” nelle strade centrali della città come via d’Aquino e via di Palma si vedevano passare festanti molti marinai italiani ed americani, con le loro candide divise, sul berretto si leggeva il nome della nave, al largo si intravedevano ormeggiate le navi militari delle forze USA. A Taranto vecchia si vedevano per la strada molti ragazzi scalzi, venditori di pesce e cozze oltre ai pescatori che riparavano le reti. Dai bordi del canale si scorgevano le navi militari con i marinai in coperta sugli attenti. I ristoranti tradizionali della città offrono una cucina leggera ma gustosa, che combina sapientemente i frutti di mare con i prodotti della terra, conditi con l'ottimo olio extravergine d’oliva tarantino . Piatti tipici come i cavatelli con le cozze, il risotto ai frutti di mare, il polpo ed il pesce alla griglia, sono accompagnati da saporiti ortaggi crudi o cucinati nei modi più vari: i pomodori, i peperoni, le melanzane, i carciofi ed i legumi sono particolarmente saporiti. Da non dimenticare le orecchiette le chiangarèdde con le cime di rapa o al ragù, le mozzarelle e le provole fresche, o gli involtini di vitello e i fegatini alla brace, accompagnati con i vini del territorio (Aleatico di Puglia, Lizzano, Martina Franca , Primitivo di Manduria ). Arance, mandarini, clementine, uva, fichi e angurie e melloni bianchi non mancano mai sulle tavole imbandite, come i dolci di miele ed in pasta di mandorle, o i più tipici Carteddàte, Sannacchiùdere e Pettole, fichi secchi, leccornie preparate nell'occasione di particolari festività o ricorrenze.
Vicino al Mar Piccolo si trovavano molti ristoranti e pescherie tipici, quali “Cicce u’ gnure”,”Il Ponte” ,“il Gambero”, “Il Ponte” specializzati nella pregevole ricca cucina tarantina, con piatti prelibati in gran parte a pesce e mitili. Ricordo; “i lambasciuni”, zuppa di cozze, spaghetti di frutti di mare alla tarantina, fave bianche, le verdure fresche, e gli squisiti dolci alla mandorla di “pasta reale” A ferragosto si andava nel paese di Carosino, che ospita ogni anno in agosto una nota Sagra e mostra-mercato del vino, occasione in cui dalla fontana della piazza principale era fatto zampillare vino, che è gratuito per tutti i presenti, che possono attingere al rosso liquido con bicchieri di carta. Zio Tonino guardava incantato, entusiasta di tutto, ci fornica accurate spiegazioni ed esaltava i panorami incantevoli, il mare e le qualità gastronomiche della città. I tarantini ed i miei parenti in particolare sono cuochi eccellenti e preparano per gli ospiti piatti eccelsi quali: antipasto di cozze, spaghetti alla tarantina, o chiancaredde al sugo di pesce, pasta al forno con la besciamella, qualche sarago arrostito o triglie, un po’ di melanzane con il formaggio fuso, un grappolo d’uva, fichi e melone bianco. Il tutto è annaffiato da vino bianco di Martina Franca o di Locorotondo ed una buona dose di dolci alla mandorla e ricotta per concludere D’estate lo zio si metteva sulla sua fresca terrazza di Viale Virgilio, guardava il mare e si “schiodava” solo alle ore piccole. Un giorno andai a trovare lo zio al BIT, di Milano, dove la Regione Puglia aveva un ricco stand; lo trovai immerso in lunghe discussioni sulle bellezze della sua Taranto materia che da esperto conosceva nei minimi dettagli ed aveva pochi rivali. “Nà, assaggia queste friselle al pomodoro con olio di Bitonto, senti questo caciocavallo, bevi un goccio di rosso di Puglia, senti il profumo di questo vino di Manduria…”. Alla fine presi sotto braccio un bel po’ di bottiglie che mi aveva regalato e lo accompagnai a casa, in un leggero stato d’euforia Zio Tonino amava Martina Franca e ne parlava con entusiasmo: là c’era la miglior gente del mondo, era uno splendido paese, diceva sempre. In effetti, Martina è un’elegante cittadina situata a quattrocento metri d’altezza, adagiata, su una delle ultime colline meridionali della Murgia sud-orientale, domina l'incantevole Valle d'Itria, splendida distesa verde ricca di ulivi centenari, biancheggiante di stupendi e caratteristici trulli. La maggiore attrattiva della città è senza dubbio costituita dal caratteristico centro storico, splendido esempio di arte barocca, che con le sue stradine, i suoi bianchi vicoli, i palazzi signorili e le maestose e monumentali chiese. Oltre ad un ricco paesaggio punteggiato dai famosi trulli, si trovano le tipiche costruzioni delle masserie pugliesi.
La sera zio Tonino alle volte prendeva la macchina e ci portava sulle lunghe spiagge ioniche, allora incontaminate, si levava scarpe e calzini, si rimboccava i pantaloni e si cimentava divertito ed entusiasta in una passeggiata sul bagnasciuga “Guarda quant’è bello u’mare!”,diceva respirando a pieni polmoni la fresca aria vespertina. Nelle case in campagna spesso la gente teneva in giardino, verdure, pomodori viti e piante di fichi. Quando arrivava l’ospite riceveva in dono uva e splendida, saporita frutta raccolta in quel momento. Bello? “No bellissimo, magnifico, superlativo”,direbbe non a torto zio Tonino! Oggi purtroppo la speculazione ha riempito di cemento la zona guastandola, tuttavia il lungomare ionico è immenso, con quelle enormi distese d’acqua tinta di un azzurro trasparente e calda: sembra tutta un’immensa piscina. Questo era zia Tonino, un illustre cittadino di Taranto città che lui amava moltissimo e che non volle mai abbandonare, anche se altrove avrebbe fatto più carriera. Questo ritratto a tratti un po’ lieve ed in parte forse esagerato e caricaturale, non vuole essere irriverente; tutt’altro, è un ricordo affettuoso. Lo zio Tonino era persona di gran cultura ed intelligenza, oltre ad aver qualità umane non comuni, sapeva apprezzare le gioie della vita e lo ricordiamo tutti con gran rimpianto. Negli anni sessanta la farmacia di zio Mario, che l’aveva ottenuta dopo di quella di Lama era a Taranto vecchia, cuore popolare della città. La sua bottega era sempre affollata da gente che chiedeva i consigli più strampalati, quasi egli fosse uno stregone pellerossa, e si imbottiva di medicine “perchè tanto erano gratis”. “Così poco scrive dottò?’, aggiunga tante altre medicine sulla ricetta!” chiedeva la gente al medico della mutua.
Quando lo zio al primo pomeriggio (ad orari del sud), arrivava per aprire il negozio, c’era già la fila fuori in strada. “Sono arrivati i mangiatori di medicine!”, diceva ridendo, ma in realtà erano preziosi clienti. Non tutti i frequentatori erano piacevoli: una volta un anziano si tolse la dentiera e la mise sul banco: “Vede dotto’? Non c’è niente da fare, anche con l’Orasiv non sta su!” Un’altra volta un cliente a Taranto vecchia gli portò i pannolini della moglie, per farli analizzare e vedere se era rimasta in stato interessante. I “mangiatori” divennero poi assai più numerosi nella nuova farmacia del Sacro Cuore in viale Liguria, un bellissimo punto vendita. “Le medicine sono come le illusioni, diceva zio Mario: la gente ne vuole tante”. Era giustamente molto orgoglioso del suo successo zio Mario. “Non è stato certo facile, sono l’ultimo di tanti fratelli, eravamo in anni duri, ma sono riuscito a realizzare i miei progetti”, diceva sempre soddisfatto ed allegro, con la risata contagiosa all’Alberto Sordi, tuttavia come tutti coloro che si sono fatti da soli sapeva che era duro guadagnarsi il pane e dava il giusto valore al denaro. Lo zio tendeva a sdrammatizzare tutto ed a trovare sempre la visuale divertente in ogni occasione. Una sera a Lama, stava uscendo dalla farmacia, salì sulla vecchia Renault e si accorse che era senza benzina. Distributori aperti non ce n’erano (nemmeno chiusi era in piena campagna) e allora “zac! Il colpo di genio”: prese dallo scaffale un po’ di bottiglie di benzina purificata, le versò nel serbatoio e la macchina divenne una bomba. “Questa non è una macchina, ma un carro armato!”, disse ridendo, andrebbe anche con il kerosene. Negli anni sessanta acquistò una “500”, quale macchina da città, la chiamava il frullatore, e la utilizzava in modo garibaldino, senza molta cura per la carrozzeria, Dopo più di una decina d’anni la vettura, stinta dal sole ed ammaccata nel traffico disordinato come quello di Bombay della città ionica, era alle corde. “Che schifezza di macchina”, disse lo zio fra il serio ed il faceto: “Dopo un buon rendimento iniziale è già da buttare.”, ma il realtà fu usata ancora un po’, come auto da battaglia, fin quando non si “sguasciò” del tutto. Quando zio Mario prendeva una multa spesso la stracciava ridendo di gusto “A Taranto queste non le paga nessuno!”. Importante è osare… Un giorno lo zio dovette andare all’Ammiragliato: si presentò alla porta carraia, elegante, a bordo di una bella vettura. Si vedevano i cartelli minacciosi: “Alt zona militare farsi riconoscere!” Fece un cenno sicuro di alzare la sbarra al marinaio di guardia, che vista la macchina e la distinzione della persona, aprì subito scattando repentino sull’attenti: l’aveva scambiato per un Ammiraglio! Dopo le nozze con zia Rosetta, zio Mario andò ad abitare in via Anfiteatro, sopra la nonna: una casa un po’ infelice, più avanti si trasferì in in un bel palazzo moderno. La vecchia Taranto della mia infanzia con i marinai americani è ormai scomparsa e molto cambiata, i miei carni nonni e zii non ci sono più, anche se a Taranto sono rimasti sono diversi cugini, tuttavia la capitale della Magna Grecia mantiene tutto suo fascino antico con la città vecchia oltre al ponte girevole, una Taranto vecchia oggi restaurata e molto migliorata. Mauro Lupoli
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MARTINA FRANCA (TA) |
MARTINA FRANCA (TA) |
MARTINA FRANCA (TA) |
Elegante
cittadina situata a 431 m. di altezza sul livello del mare, adagiata su
una delle ultime colline meridionali della Murgia sud-orientale, Martina
Franca domina l'incantevole Valle d'Itria, splendida distesa verde
biancheggiante di trulli. La maggiore attrattiva della città è senza
dubbio costituita dal caratteristico centro storico, splendido esempio
di arte barocca, che con le sue stradine, i suoi bianchi vicoli, i
palazzi signorili e le maestose e monumentali chiese. Oltre
ad un ricco paesaggio punteggiato dalle antiche "casedde", i
famosi trulli, e dalle tipiche costruzioni delle masserie, preziose
testimonianze dell'archeologia industriale, Martina Franca gode di un
vasto territorio carsico ingemmato da suggestive grotte.
La città, che conta oggi circa 49 mila abitanti, è una meta turistica molto ambita, non solo per il suo ricco e prezioso patrimonio artistico architettonico, storico ma anche per la sua vivacità culturale, che trova massima espressione nell'ormai celebre e atteso Festival della Valle d'Itria.
La
cucina martinese è il frutto di un perfetto equilibrio fra le
tradizioni gastronomiche contadine e la memoria storica di una
popolazione, che ha fatto dell’olio e del vino i componenti
fondamentali dell’arte del desinare. L'agroalimentare
costituisce uno dei comparti produttivi più importanti nell'economia
cittadina. |
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MARTINA FRANCA (TA) |
MARTINA FRANCA (TA) |
LA TERZA - Santuario |
Recentemente, il Comune di Martina è entrato a far parte della rete delle "Città Slow" istituita dalla "Slow Food", associazione impegnata nella valorizzazione dei prodotti tipici dell'agroalimentare. Tra le prelibatezze gastronomiche locali premiate dalla "Slow Food" particolare importanza ricoprono il capocollo e la ricotta forte che presto diverranno titolari di propri presidi di tutela. Moltissimi sono i dolci tradizionali martinesi prodotti durante il periodo delle festività natalizie (carteddete, purcidde, pettule, entreme de vicchie) e pasquali (pucciatidde, cavaddistre, fecazzedde).
Eccoci
giunti a Laterza! Avverti questo delizioso profumo? Ebbene sì, proviene
proprio dai medievali forni sparsi per il paese che portano avanti l’antica
tradizione della produzione degli squisiti prodotti da forno (pane,
focaccia, friselle, taralli). Essa fonda le sue origini nell’età del bronzo con la civiltà Eneolitica, fino ad arrivare ai primi segni di cultura attribuiti ai Peuceti, popolo dedito alla produzione di ceramica, decorata con stesura cromatica turchina su smalto bianco. Sicuramente sarai curioso di assistere a questa secolare tradizione in una originale fornace laertina. Seguendo il nostro appassionante percorso, giungerai nella misteriosa Cantina Spagnola, chiesa rupestre recentemente scoperta, risalente al XVIII secolo, che conserva affreschi sacri e profani completate da sculture in alto rilievo. Non molto lontano troverai la Fontana Medievale, costruita in pietra e abbellita da archi e da volti in alto rilievo. La sorgente è situata nei pressi del Santuario Mater Domini, eretto in seguito all’apparizione della Madonna col Bambino al pastore laertino Paolo Tria il 20 maggio di molti anni fa. Alberobello, la città fatta di trulli, occupa un terreno fortemente sottoposto all'azione erosiva delle acque meteoriche, tanto in superficie quanto in profondità; le rocce calcaree stratificate offrono così il materiale da costruzione che contraddistingue non solo l'immagine della città ma l'intero territorio, abitato sin dal secolo XV da coloni cui il signore del luogo affidava la terra affinché fosse bonificata e coltivata.
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LA TERZA - Le famose focacce |
ALBEROBELLO (BA) |
ALBEROBELLO (BA) |
Pare
che le ragioni storiche del trullo come costruzione a secco siano da
ricondurre all'abuso di potere con il quale il feudatario poteva a suo
piacimento allontanare il colono dalla terra senza riconoscergli alcun
diritto, primo fra tutti quello di essere "cittadino", se si
pensa che agli inizi del seicento i diversi nuclei familiari che si
erano stabiliti nel territorio di Alberobello - attirati anche dalle
franchigie concesse dai conti di Conversano - risultavano a tutti gli
effetti abitanti della vicina Noci. Era
nata una vera e propria comunità stabile tenuta in pugno dal conte
Giangirolamo Acquaviva d'Aragona, in aperta violazione alla prammatica
che vietava ai feudatari di costruire, senza il permesso del re, nuove
città.
I
trulli, cattedrali di pietre a secco. L'immagine
del trullo, costruzione rurale senza tempo, è da sempre associata alla
Puglia come una delle espressioni più tipiche della sua anima
contadina. Popola le province di Bari, Brindisi e Taranto, trovando la
consacrazione assoluta e monumentale nella città di Alberobello, da
poco entrata a far parte del patrimonio dell'umanità tutelato dall'Unesco. |
PORTO CESAREO (LE) |
PORTO CESAREO (LE) |
NARDO' (LE) |
Nel 1975, grazie alla volontà dei residenti che chiedevano da tempo l'autonomia dal comune di Nardò, Porto Cesareo divenne a sua volta comune a tutti gli effetti. Oggi quest'ultimo è ormai una rinomata località di bagni grazie ai suoi 17 km di spiaggia dorata in parte attrezzati e acqua molto limpida fronteggiate da un arcipelago di isolotti ricchi di vegetazione e di fauna che conta specie molto rare. Dal 1997 il Comune è sede di una delle 20 aree marine protette d'Italia per la presenza di una ricchissima e diversificata comunità marina di elevato valore biologico. L'area si estende fino a 7 miglia dalla costa, tra Punta Prosciutto a nord e Torre dell'Inserraglio a sud. Importanti sono anche la Stazione di Biologia Marina e il Museo Talassografico che contiene una raccolta malacologica, un erbario e rare specie ittiche. Nel 2002 Porto Cesareo è balzato agli onori della cronaca per una notizia molto curiosa che ebbe molta eco e fu imitata successivamente anche in altre parti d'Italia: l'intitolazione di una statua a Manuela Arcuri. L'opera, realizzata dallo scultore salentino Salvatino De Matteis, richiama ancora adesso molti curiosi che, in vacanza nella zona, vengono a visitarla; essa rappresenta la moglie del pescatore che aspetta impaziente il proprio marito che torna dal mare. C'è da annotare, però, un triste primato: recentemente in un sondaggio il comune è risultato il secondo più abusivo d'Italia, una realtà infelice che affligge da anni questo bellissimo territorio e che le autorità di competenza non riescono a fermare.
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GALLIPOLI (LE) |
GALLIPOLI (LE) |
GALLIPOLI (LE) |
Sicuramente una tra le più gettonate mete turistiche, non solo del Salento, ma di tutta Italia, Gallipoli con i suoi dintorni, rappresentano il fiore all'occhiello dell'industria turistica della Provincia di Lecce. Il suo Centro Storico straordinariamente intatto, si propone come un raro esempio di Città Isola protetta dal mare, con all'ingresso la splendida mole del Castello cinquecentesco, costruito sull'acqua a protezione del Porto, che era a quel tempo uno degli scali commerciali più importanti, insieme a Taranto, sul mare Jonio. La città nuova risulta separata dal Borgo Antico da un ponte e si estende su un promontorio lungo più di 2 Km. Nella zona nuova e su tutta la costa, trovano ampi spazi le moderne strutture ricettive e l'area commerciale. Gallipoli è ormai diventata la località turistica piu rinomata della Puglia, con le sue splendide spiagge, il mare limpido e incontaminato, le strutture turistiche in cui si preparano squisiti piatti tradizionali a base di pesce e non, e i tantissimi locali nottuni... Ma Gallipoli non è soltanto mare e spiagge ha nel suo centro storico (costruito su di un isola e collegato alla terraferma tramite un ponte del 1500) importanti monumenti storici, come castelli e chiese e fontane greche.
Gallipoli dal greco "Citta Bella" è una delle più caratteristiche città Ioniche, che sa unire al suo interno splendide spiaggie, bellissimi monumenti storici ed una squisita e salutare cucina tradizionale... Certo a Gallipoli non ci si può certo annoiare, dopo una giornata in spiaggia si puo approfittare del tardo pomeriggio per ammirare il Centro Storico con il suo Castello, la Cattedrale la fontana oppure si può fare un giro e a fare shopping tra i numerosissimi negozi.., e dopo una sostanziosa e saporitissima cena con pesce fresco o prodotti tipici salentini, e poi un giro tra i numerosissimi e belli locali notturni sulla spiaggia o all'interno per conoscere nuova gente!! Insomma non vi resta che passare un pò di giorni a Gallipoli per scoprirla e apprezzarla......
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S.MARIA DI LEUCA (LE) |
S.MARIA DI LEUCA (LE) | S.MARIA DI LEUCA (LE) |
Santa Maria di Leuca: il cui nome gli venne attribuito dagli antichi marinai greci che provenivano dall'oriente, vedevano questo posto illuminato dal sole e perciò leukos, bianco. Il resto del nome trae origine dallo sbarco di S. Pietro dalla Palestina, da numerose testimonianze è emerso che proprio qui abbia incominciato il suo processo di evangelizzazione, cambiando anche il nome della cittadina dedicandola alla Vergine.
Il
nome De finibus terrae invece nasce dai Romani. Santa Maria di Leuca è
un centro balneare e peschereccio, nell'insenatura tra Punta Ristola e
Punta Meliso, sorge in una magica posizione, dove da sempre si crede che
il Mare Adriatico e il Mar Ionio si incontrano. Figlio di questa cittadina è Aldo Riso. Nonostante i suoi continui e lunghi viaggi nell'Unione Sovietica, in Africa, nell'America del Nord e in quella Latina, innamorato della sua terra, la Puglia, ne rimane il vessillifero; è l'artista che si è dedicato a realizzare le immagini più significative, trasferendole sulla carta e sintetizzando, attraverso un pulito acquarello il vasto e sempre diverso paesaggio. Nell'acquarello, al di fuori di ogni schema restituisce a questa tecnica una forza nuova, proprio un senso del colore, è sopratutto nella luce che simbolizza tutto un mondo che sembra rimasto immobile pur attraverso il lungo viaggio nei secoli. Con questa sua espressione fa rivivere personaggi e paesaggi in una forma quasi surrealistica. Il gioco delle ombre che servono a rendere la nitidezza del tratto ed il largo uso del bianco mettono in risalto i suoi paesaggi, le strade assolate, le piazze, le case immobili sotto il sole, rese vive da un passante, da un fiore o da un panno ad asciugare.
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S.MARIA DI LEUCA (LE) |
S.MARIA DI LEUCA (LE) | LITORANEA SALENTINA |
Perla dell'estremo lembo d' Italia, Leuca si adagia in un tratto di costa alternato da scogliere e piccole calette di sabbia. Le numerose grotte sono di grande interesse storico e naturalistico e i fondali marini sono un vero e proprio paradiso per il turismo subacqueo. Con un entroterra prodigo di storia e cultura, di paesaggi splendidi da ammirare, di sontuose e colorate ville ottocentesche che declinano verso il lungomare. Una scalinata di 184 gradini collega la Basilica al sottostante porto facendo da cornice all' Acquedotto Pugliese che sfocia in mare, cominciato a costruire nel 1906 ma, con lo scoppio della prima guerra mondiale, i lavoro dovettero fermarsi, i cantieri si riaprirono conclusa la guerra e si giunse nella marina nel 1939. La monumentale scalinata e la colonna romana furono inviate dal Duce di Roma. La cascata è stata aperta diverse volte in sessant'anni. |
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CASTRO MARINA (LE) |
CASTRO MARINA (LE) | CASTRO MARINA (LE) |
La grotta della Zinzulusa, una delle più famose ed importanti manifestazioni del carsismo costiero italiano, si affaccia con una maestosa apertura sul mar Ionio, lungo il litorale tra Castro Marina e Santa Cesarea Terme. La grotta, originatasi durante il Pliocene a seguito di intensi processi di erosione marina che interessarono l'intera Penisola Salentina, si articola in tre parti geomorfologicamente distinte. La prima, che si estende dall'ampio ingresso sino alla Cripta, è scavata in calcari compatti e risulta caratterizzata appunto da una grande varietà di stalattiti e stalagmiti e numerosi fenomeni di crollo della volta; in questa parte vi è la prima importante manifestazione idrologica della grotta, "La Conca", invasa da acque limpidissime in cui si mescolano componenti marine a componenti dulciacquicole. La seconda parte, che si estende dalla Cripta sino all'ampia cavità denominata "Il Duomo", mostra una tipica morfologia erosiva risalente al Cretacico; in questa zona la roccia si presenta meno compatta e più evidenti risultano gli esiti dell'intensa azione erosiva delle acque interne; inoltre, le stalattiti e le stalagmiti diminuiscono, come pure non si osservano evidenti fenomeni di crollo. Infine, la parte terminale che ospita le acque limpidissime del "Cocito" la cui natura anchialina è dimostrata dalla evidente stratificazione tra una lente superficiale più fredda e dolce ed un livello sottostante più caldo e salmastro. |
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Santa
Cesarea è situata su un ripiano della scogliera che si affaccia sul
Canale d'Otranto in una cornice collinare ricoperta da una fitta
vegetazione di macchia mediterranea e pineta di alto fusto. |
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CASTRO MARINA - Grotte della Zinzulusa |
LITORANEA SALENTINA | SANTA CESAREA (LE) |
PORTO BADISCO (LE) |
PORTO BADISCO (LE) |
PORTO BADISCO (LE) |
Porto Badisco è un piccolo centro abitato da pescatori, molto frequentato nel periodo estivo da un turismo internazionale. Sorge tra "Punta Scuru" a nord e "Capo Palascia" a sud, nei pressi di Otranto. Porto Badisco è una stupenda caletta naturale della costa salentina, una piccola convalle che degrada lentamente verso il mare e forma un porticciolo naturale. Secondo la leggenda narrata da Virgilio Porto Badisco è la prima sponda adriatica toccata da Enea nel suo viaggio in Italia, in fuga da Troia. Badisco rappresenta oggi uno dei rari esempi di costa alta ancora integra dell'Italia peninsulare. Sono evidenti i fenomeni carsici ed erosivi: calette e anfratti ricchi di particolari geologici di spettacolare bellezza, come la Marmitta dei Giganti, una flora ricca di piante medicinali, una fauna selvatica nidificante, arricchita da passaggi migratori. Il mare di Porto Badisco è una distesa blu scuro, interrotta solo dal bianco della costa frastagliata. Roccia chiara bordata dallo scintillio di schiuma bianca. L’entroterra è lievemente ondulato con valli e rilievi, punteggiato da muretti a secco, architetture chiare e isolate rocce bianche. Profumi e colori sono dovuti alla gariga. Nel vento si mescolano le essenze del mirto, del timo, della salvia, del finocchio selvatico, ecc. Il sole accende le tonalità verdi di ulivi, fichi d'india, oleandri, palme, e quercia spinosa. Una piccola caletta di spiaggia sabbiosa completa un ambiente incontaminato, apparentemente inaccessibile, e forse per questo non ancora intaccato dalle moderne forme di turismo selvaggio e dall’abusivismo edilizio.
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OTRANTO (LE) - Panorama |
OTRANTO (LE) |
OTRANTO (LE) |
Otranto, chiamata anche 'Porta d'Oriente', si affaccia nello stretto che prende il suo stesso nome, il Canale d'Otranto, situato a sud dell'Adriatico, nel punto più orientale d'Italia. Anticamente capoluogo della terra, ancora oggi conserva l'aspetto caratteristico delle antiche città commerciali che si affacciavano sul Mediterraneo. Si mostra ai numerosi visitatori che affollano le sue coste ed il centro storico ogni anno, solare e con il suo fascino orientale. E' possibile intravedere le montagne dell'Albania, distanti 70 miglia nelle giornate più limpide. A testimoniare l'incubo delle invasioni dei Turchi sono rimaste le due torri medievali di avvistamento. Il centro storico della città è rimasto intatto nonostante la grande espansione edilizia. Otranto si presenta ai suoi visitatori con la Cattedrale, terminata e aperta al culto nel 1088, con la sua notevole dimensione, è da ritenersi la Chiesa più grande della Puglia, di incomparabile valore è il mosaico pavimentale eseguito da un monaco, conserva i resti degli 800 martiri uccisi dai Turchi. Otranto è anche il Castello Aragonese, con le torri, i bastioni e le mura. il borgo antico, con le strade fatte in pietra viva, strette e che si snodano a serpentina tra le case, il porto che ha sempre avuto un'importanza notevole per gli scambi con l'Oriente e infine, ma non meno importante, il mare cristallino e limpido, ricco di dune, anfratti, grotte e insenature, che insieme alla presenza dei Laghi Alimini, rendono questa cittadina veramente incantevole, da innamorarsene a prima vista. |
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OTRANTO (LE) |
OTRANTO (LE) |
OTRANTO (LE) |
Otranto deve la sua suggestività soprattutto al suo borgo antico, il quale ha resistito alle burrasche del tempo e si presenta oggi come ieri. Vi si accede da "Porta Terra", che si apre lungo un bastione, recentemente restaurato, d'epoca napoleonica. Una volta entrati nel cuore della cittadina, ci si trova in una piazza triangolare, realizzata nella seconda metà del Cinquecento. Più avanti, si erge "Porta Alfonsina", costruita nel 1481 e dedicata ad Alfonso, duca di Calabria, al quale si deve la liberazione del borgo dagli Ottomani.
E'
emozionante camminare sull'antico lastricato fatto di pietre vive. Corso
Garibaldi rappresenta l'arteria commerciale del paese. Vanta, infatti,
la presenza di innumerevoli negozietti, aperti fino a tarda serata, nei
quali si può trovare di tutto: souvenir, oggettistica locale e non,
cartoline, abbigliamento, ecc. Il Corso si conclude in Piazza del Popolo
dove si può notare la "Torre dell'orologio", edificata nel
1799 e impreziosita dallo stemma cittadino. Successivamente, tra
localini e bar, si giunge a "Porta a Mare", attraverso la
quale, percorrendo una lunga scalinata in legno, si arriva al porto. |
LECCE |
LECCE - Basilica S. Croce |
LECCE - Basilica S. Croce |
Lecce,
capitale del Salento, visse, a partire dalla seconda metà del '500,
un'epoca di solare fortuna destinata a durare due secoli. All'aria indurisce e assume col tempo un caldo colore dorato. E' questa pietra che sta alla base del barocco leccese, che si esercitò più sulle decorazioni che sulle architetture: colonne tortili, cornici fastose, balaustre a trafori, frontoni ricurvi, vasi di fiori e frutta, nastri svolazzanti, putti e mascheroni. Una fantasia bizzarra e ineusaribile che dall'architettura religiosa approda alle case d'abitazione di Lecce, ornando con la stessa pietra i balconi, i portali, gli stemmi: un paradis du rococo, come scrisse un francese del secolo scorso. Il monumento che meglio illustra la Lecce barocca è la basilica di Santa Croce, il cui restauro è stato portato a termine recentemente. I lavori sono durati quasi nove anni: la friabilità della pietra, la sua ricchezza di sali, la loro solubilità a contatto con l'acqua avevano creato fratture, alveoli, incrostazioni di licheni che stava mangiando il monumento. Adesso la straordinaria decorazione della facciata, liberata dalle impalcature, può nuovamente essere letta figura per figura come un trattato di teologia, ricco di valori simbolici. Seconda tappa del visitatore che si inoltra nelle vie di Lecce è il Duomo con l'attiguo Palazzo del Seminario: ma è l'intera piazza della Cattedrale, con il campanile e lo straordinario pozzetto che è un pò il simbolo della Lecce barocca, a costruire una grande, unica scenografia. Altri monumenti del barocco leccese sono la chiesa di Santa Chiara, con un ricco portale su una facciata elegante, la chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo, eretta dai Normanni ma completata con una facciata barocca, e la chiesa dei Teatini. Ma una passeggiata a Lecce, varcata la cinta muraria che racchiude il centro storico, è sempre un itinerario a sorpresa. E sufficiente entrare a Lecce dalla Porta Rudiae, che vale come un biglietto da visita: è un vero arco di trionfo sormontato dalle statue dei santi protettori della città (Sant'Oronzo, San Domenico e Santa Teresa).
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LECCE - Basilica S. Croce |
LECCE - Duomo |
LECCE - Piazza Duomo |
Basilica di Santa Croce. La facciata della basilica, concepita come un gigantesco altare, concentra le espressioni elaborate da diverse generazioni di architetti nell’arco di circa un secolo: Gabriele Riccardi nell’ordine inferiore e Cesare Penna nella parte superiore, con successivi interventi di Francesco Antonio e Giuseppe Zimbalo. Il Riccardi, nel 1582, conferisce un forte senso prospettico all’ordine inferiore, messo in risalto da una ricchissima trabeazione. Su quest’elemento s’imposta una balconata retta da mensole-cariatidi che simboleggiano il paganesimo schiacciato dalla forza del credo cristiano. Il secondo ordine della facciata è dovuto all’intervento, nel Seicento, di Cesare Penna e Giuseppe Zimbalo, architetto egemone in terra salentina dopo aver fornito prova delle sue capacità nella sistemazione del cortile del Vescovado, l’attuale Piazza Duomo, riorganizzato per volontà e su indicazione del potente vescovo napoletano Pappacoda. La parte superiore della basilica è, nella sua interezza, il simbolo del Barocco leccese; trionfi di fiori e frutta, ghirlande e puttini trattengono lo sguardo, suscitando nell’osservatore continue sorprese e meraviglia. Pietra Leccese. Le peculiarità di questa roccia ne hanno da sempre fatto un materiale che ben si presta alla lavorazione artistica. La sua morbidezza la rende adattissima alle realizzazioni di sofisticati disegni e decorazioni intricate come merletti, all’insegna del barocco leccese; il suo colore ambrato la rende ideale per la costruzione di edifici sacri e palazzi gentilizi, ma anche dimore "rusticamente" eleganti; la solidità di questa roccia calcarea, che si indurisce col passare del tempo, la rende ottimale per "scrivere" la storia di questa terra. |
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OSTUNI (BS) |
OSTUNI (BS) |
OSTUNI (BS) |
Ostuni è detta la "città bianca". La parte antica della città sorge sull'ultimo lembo della Murgia meridionale nella provincia di Brindisi, sulla cima di un colle a pareti ripidissime, e il suo nome, secondo la tradizione, deriva dal greco "Astu-neon", città nuova, costruita con ogni probabilità "circa duemila anni fa" sui resti di una città più antica. In provincia di Brindisi, Ostuni, eletta città d'arte nel 1998, è arroccata sulla sommità di una collina, da cui domina il territorio fitto di ulivi secolari che dalle Murge sud-orientali si estende fino al mare. All'interno della sua cinta muraria si conserva intatto un borgo medioevale, chiamato Terra, caratterizzato da un labirinto di stradine strette, scalinate, archi rampanti, palazzi dai singolari portali, piazzette e balconcini, tutto completamente imbiancato a calce, da cui l'epiteto di “Città Bianca”. Il nome Ostuni, invece, deriverebbe dal greco “Astu-neon”, città nuova, costruita circa duemila anni fa sui resti di un insediamento ben più antico. Caduto l'impero romano, Ostuni subì una lunga serie di dominazioni straniere: gli Ostrogoti di Teodorico, i Longobardi, nel IX secolo d.C. i Normanni Altavilla che edificarono un castello poi distrutto ed il fiorente porto commerciale di Villanova, gli Svevi nel XIII secolo, gli Angioini e dal 1442 gli Aragonesi. Ma oltre al mare, risalendo verso la piana coltivata ad ulivi (l'olio d'oliva è senz'altro il prodotto tipico per eccellenza della zona), Ostuni offre anche un panorama diverso, quello delle zone collinari interne, chiamate Murge dei trulli, punteggiato da masserie, cappelle rurali, vecchi tratturi, muretti a secco e trulli, simili a quelli della famosa e non lontana Alberobello. A ferragosto nel centro storico si tiene la Sagra “Vecchi Tempi” dove, oltre a gustare i piatti tipici della gastronomia locale, si possono ammirare gli artigiani che ripropongono mestieri ormai scomparsi, come l'umbrellare e l'acconzopiatte (colui che aggiusta ombrelli e vasellame), o lu curdelare (il funaio che intrecciando fibre produce i fiscoli, piatti circolari di corda utilizzati per la spremitura dell'olio dalla pasta di olive). Il 25-26-27 agosto dal 1793 si rinnova ininterrottamente, in occasione della processione dedicata al protettore della città, la tradizione della Cavalcata di S. Oronzo. |
BARLETTA - Scorcio |
BARLETTA - Manifesto di Lega Sud |
BARLETTA - Il leggendario luogo della sfida |
L'esistenza del nome Barduli è testimoniata solo in età romana, ma alcuni ritrovamenti del IV sec. a.C. indicano un precedente centro apulo. Dal 584 al 590 si popolò con i rifugiati dell'importante Canosa di cui Barletta era il porto - per sfuggire ai Longobardi; ma acquistò importanza militare ed economica solo con i Normanni, e s'ingrandì con gli abitanti di Canne, distrutta da Roberto il Guiscardo nel 1083. Diventò una tappa importante dei Crociati e di tutto il traffico verso la Terra Santa; nel Duecento ospitò il Patriarca Rondolfo, fuggito da Gerusalemme. Nel 1228 Federico II, prima di partire per la Crociata, vi adunò il parlamento dei baroni. Nel 1310 fu dichiarata città demaniale. Sotto gli Angioini, nel XIV e nel XV sec., ebbe il periodo del suo massimo splendore grazie ai commerci con l'Oriente e alla costituzione di una potente flotta mercantile. Il 4 febbraio 1459 vi fu incoronato Ferdinando I d'Aragona. Nella prima metà del '500, durante le guerre tra Francesi e Spagnoli, ebbe luogo la celebre Disfida (13 febbraio 1503) fra 13 cavalieri italiani (al servizio degli Spagnoli) guidati da Ettore Fieramosca e 13 francesi comandati dal capitano Guy de La Motte, conclusasi con la vittoria degli italiani. Nei secoli successivi subì terremoti e pestilenze. Si risollevò nella seconda metà del Settecento. Nelle due guerre mondiali il valore della città fu riconosciuto con 11 medaglie d'oro e 215 medaglie d'argento. Il suo maggiore sviluppo è iniziato negli anni Cinquanta del secolo scorso. Il toponimo deriva da Barduli, formato a sua volta dalla base prelatina bard-, fango. Fra i personaggi illustri della città Pietro Mennea (per 17 anni primatista mondiale nei 200 metri con 19"72). Il nome di Barletta è legato al ricordo della celebre Disfida di Barletta. L'episodio è noto: il capitano francese La Motte, prigioniero degli Spagnoli in una delle tante guerre combattute su territorio italiano dalla Francia e dalla Spagna, mentre era a cena con il comandante spagnolo Mendoza, sostenne che gli italiani non fossero dei buoni combattenti. Ettore Fieramosca, capitano di ventura al servizio della Spagna, sfidò allora il condottiero e il 13 febbraio 1503 un drappello di tredici italiani affrontò sul terreno, tra Andria e Corato, altrettanti francesi; un francese cadde, gli altri si arresero con l'onore delle armi.
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BARLETTA - Castello Svevo |
CASTEL DEL MONTE |
BARLETTA - Souvenir digestivo |
Ogni anno i cittadini di Barletta rivivono la "Disfida" con una suggestiva e pittoresca manifestazione. Davanti ad una immensa folla di turisti, convenuti da ogni parte d'Italia e soprattutto dalla Francia, vengono ricordati i momenti del fatto storico. Dalla Lettura del Cartello di sfida all'investitura del Cavalieri, al Certame Cavalleresco tra splendidi elmi e cimieri, gualdrappe, corazze e costumi sfarzosi; una suggestiva successione di quadri viventi, resi con fedeltà e realismo impressionanti. Il Centro storico della Città di Barletta , nel "quartiere della marineria" con le belle chiese, i palazzi e gli altri monunenti, conserva ottimamente l'aspetto medievale e non appare contaminato da costruzioni moderne.Imponente è il Castello Svevo di Barletta costruito da Federico Il su una preesistente Rocca normanna e, successivamente, ampliato da Carlo . Ma a caratterizzare Barletta è il cosiddetto colosso Eraclio una delle sculture in bronzo fra le più belle pervenuteci dal mondo antico. L'identificazione iconografica è incerta (Valentiniano I o Marciano?) come è incerta la sua provenienza. Si credeva, infatti, che :provenisse dal vicino Oriente, forse da Bisanzio, ma oggi par prevalere la tesi della sua provenienza dalla città di Canosa, dove si ergevano altri colossi di bronzo ormai scomparsi. Degno di particolare attenzione è il Museo Civico dove è possibile ammirare la più vasta raccolta di dipinti di Giuseppe De Nittis (1846-1884), il grande pittore di Barletta vissuto nella seconda metà dell'Ottocento, che ebbe tanto successo a Parigi, sì da essere insignito della "Legione d'Onore" a soli trentadue anni e fu autorevole rappresentante della corrente degli impressionisti. De Nittis affidò la sua fama specialmente agli squisiti ed eleganti ritratti di Parigine, ma non meno belli e suggestivi sono i suoi "paesaggi" in cui spesso tornava con struggente amore alla sua terra ("Strada campestre-Lungo I'Ofanto", "Paesaggio sotto il sole", "Fiume", "Contadini" e "Strada da Brindisi a Barletta"). A 12 chilometri dalla città, tra la campagna e le anse dell'Ofanto, sulla riva sinistra del fiume è Canne della Battaglia, dove avvenne l'epico scontro tra i Cartaginesi di Annibale e i Romani che nella tragica battaglia lasciarono sul campo oltre cinquantamila caduti |
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BARLETTA - Ettore Fieramosca |
BARLETTA - Soundcheck |
BARLETTA - De Gregori in concerto |
Castel
del Monte Nei pressi di Andria, a 540 metri sul livello del mare,
isolato su di un colle della Murgia Pugliese, sorge Castel del Monte, il
più famoso monumento dell' epoca dell' Imperatore Federico II di
Svevia. La costruzione di Castel del Monte risale alla prima metà
del '200 e sintetizza mirabilmente negli schemi plano volumetrici ,
tutte le influenze di stile e di cultura della cerchia artistica
dell'Imperatore svevo. |
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Trani - Venditori di pesce |
Trani - Donne pugliesi |
Trani - Fontana dell'Acquedotto pugliese |
Per
qesto l'impianto ottagonale, proprio dei battisteri, è stato usato in
edifici sacri del mondo imperiale cristiano quali San Vitale a Ravenna e
la Cappella Palatina ad Aquisgrana. Ma è molto suggestiva l'ipotesi che
Federico si sia ispirato a un monumento che senza dubbio alcuno lo aveva
affascinato, la moschea di Umar a Gerusalemme, che ai suoi tempi era
conosciuta come il Templum Domini. Per la sua struttura ottagonale e il
dedalo dei disimpegni (ma anche per il percorso obbligato) al suo
interno, Castel del Monte è stato paragonato a un labirinto, con tutte
le implicazioni simboliche di tale disegno (ottagonale era il labirinto
sul pavimento della cattedrale di Reims). Castel
del Monte è un esempio di architettura pecisa e allo stesso tempo
simbolica: ciascun elemento costruttivo risponde a precise regole
algebriche e astronomiche. Secondo alcuni studiosi, è stato scelto e
progettato per essere il più grande osservatorio spaziale del Medioevo!
Oggi, Castel del Monte completamente restaurato, è interamente
visitabile: dal solenne portale in breccia corallina che nelle porzioni
e nella forma ricorda gli archi trionfali di epoca romana, si accede
nella prima sala a pian terreno. Questa, come tutte le camere di Castel
del Monte, ha forma trapezoidale con volte a crociera.Superate due
sale si accede al cortile sempre ottagonale. Da qui si aprono tre porte
finemente decorate. Attraverso una ripida scala a chiocciola si accede
al primo piano. La volta del vano scale è risolta con dei costoloni
poggianti su mensole antropomorfe altamente espressive, pregevoli pezzi
di scultura del XIII secolo. Nelle sale del primo piano di Castel del
Monte, tutte naturalmente uguali fra loro, sono interessanti i marmi
policromi delle colonne, le porte e le finestre in breccia corallina, i
camini e infine le "chiavi di volta" dalle coperture
antropomorfe. Chissà che in fondo Federico non ambisse a costruirsi un
maniero-modello, a sua vera immagine, nel quale ritrovarsi con i suoi
pochi saggi amici e i suoi diletti falconi. E lì vivere gli ultimi anni
in solenne, beato ozio studioso, immerso in un contesto che lo
proponesse di continuo lex animata in terris, isolato quasi - oseremmo
dire- come una vivente reliquia della sacralità imperiale? |
L'olio,
le olive, le verdure e i farinacei - il territorio pianeggiante
favorisce un'enorme produzione di cereali - cioè i prodotti più tipici
dell'agricoltura, caratterizzano la cucina pugliese che, accompagnata da
saporiti aromi e spezie, quali basilico, capperi ed origano, risulta
particolarmente genuina e gustosa. I Fegatelli (gnummaridde) di Martina Franca. Tappa d'obbligo negli itinerari eno-gastronomici martinesi, le numerose macellerie specializzate nel servizio di "fornello pronto", che consente di gustare carne mista arrostita nel forno a legna, appena sfornata. Ostriche e cozze sono da sempre il vanto di Taranto. Il mare, ricco e generoso, è popolato da dentici e orate, cernie, triglie e alici, gamberi e calamari. I ristoranti tradizionali offrono una cucina gustosa ma leggera, che combina sapientemente i frutti di mare con l'ottimo olio extravergine di oliva tarantino. Piatti tipici come i cavatelli con le cozze, il risotto ai frutti di mare, il pesce e il polipo alla griglia sono accompagnati da squisiti ortaggi mediterranei crudi o cucinati con fantasia. Ottima l'unione delle orecchiette con le cime di rape. Particolarmente saporiti sono i pomodori, i peperoni, le melanzane, i carciofi e i legumi, che sapientemente combinati con frutti di mare, pesce e pasta danno alla cucina tarantina un tocco di originalità. Squisite le mozzarelle e le provole fresche.
Ecco
la ricetta delle carteddate (cartellate), dolci tipici tarantini del
periodo di Natale. Ingredienti: Un chilo di farina, 100 gr. di vino bianco secco, 100
grammi di olio extravergine di oliva e un po' di sale fino, vino cotto,
miele o zucchero a velo. Preparazione: Impastare la farina con il vino bianco e mezzo bicchiere
di olio. Se l'impasto dovesse risultare troppo duro aggiungere un po'
d'acqua tiepida fino ad ottenere una massa morbida e vellutata.
Fare lievitare per circa due ore. Stendere la pasta con il matterello in una sfoglia molto sottile e
ricavarne, con una rotellina dentata, delle strisce larghe 5 cm e lunghe
20; ripiegare a metà nel senso della lunghezza, pinzettando con le
dita, in modo da formare una specie di rosetta. Quando si sarà finito
di preparare queste rosette, lasciarle riposare per 8-10 ore e poi
friggerle. Appena fredde, tuffarle nel miele o nel vin cotto e
cospargerle di zucchero ed anicini da guarnizione. Il pane di Altamura è un pane tipico pugliese ottenuto da un impasto di semola di grano duro rimacinata. Affonda le sue radici nella cultura contadina delle popolazioni alto murgiane e ancor oggi mantiene un metodo di lavorazione artigianale che prevede l'uso di lievito madre, pasta acida, sale marino e acqua, con lievitazione naturale e cottura in forno a legna. Nella sua forma più tradizionale (U sckuanËte = pane accavallato) aveva pezzatura di notevoli dimensioni, era prevalentemente impastato e lavorato tra le mura domestiche, e veniva cotto in forni pubblici. Il fornaio procedeva alla marchiatura delle forme con il marchio in legno o in ferro artigianale riportante le iniziali del capo famiglia. La sua principale caratteristica, mantenuta fino ad oggi, era la durevolezza, necessaria per garantire l'alimentazione di contadini e pastori per una settimana o più frequentemente nei quindici giorni trascorsi nelle masserie disseminate tra le alture murgiane: un'alimentazione incentrata quasi esclusivamente sul pane condito con sale, olio ed immerso nell'acqua bollente.
Si
abbina bene a qualunque contorno ma è particolarmente buono anche da
solo, condito con un filo d’olio extravergine d’oliva, si mantiene
anche per diversi giorni dopo la cottura grazie al lievito naturale
ricco di fermenti vivi. Non sopporta il sottovuoto o il contatto con la
plastica, si consiglia quindi, per preservarne più a lungo la
freschezza, di avvolgerlo in un panno ben asciutto.
I molluschi costituiscono un alimento per l'uomo sin dal Paleolitico. La facilità di cattura, rispetto agli scattanti pesci pinnati, ne hanno fatto per secoli il capro espiatorio della gastronomia marinara. Ma se la nobile ostrica è stata citata, quando non addirittura esaltata dai più grandi poeti e scrittori dell' antichità, quali Omero, Virgilio, Petronio, Marziale, la plebea, saporita, aromatica cozza, non solo è stata completamente ignorata dai letterati, ma è quasi sfuggita ingenerosamente persino al grande Aristotele, ed è stata troppo presto liquidata anche da Plinio il Vecchio che ce ne ha lasciato notizie così vaghe e frammentarie da far pensare che l'abbia confusa con l'ostrica.Bisogna giungere all'olandese Swammerdam (1637-1680) perchè la cozza ottenga l'onore dei primi studi, proseguiti dallo svedese Linneo (1707-1778), dal francese Cuvier e dall'inglese Lister. Quindi, se il consumo di tante specie di molluschi è ancestrale. come è testimoniato dai loro resti trovati nei depositi lasciati dall'uomo preistorico nelle caverne, la stessa cosa non è provata per le cozze, delle quali non sono state trovate quasi tracce, e anche il loro allevamento pare che sia stato completamente ignorato dagli antichi.Secondo i francesi, che ne rivendicano la paternità, questo ha avuto inizio solamente nel XIII secolo sulle loro coste atlantiche. Nella storia un po' romanzata lasciata dal Figuier, la prima attività mitilicola fu intrapresa da Patrizio Walton, un irlandese naufragato nel 1236 col suo carico di montoni nei pressi della Rochelle sugli scogli del seno d'Aiguillon. Esule su quelle solitarie coste con alcuni montoni sfuggiti al naufragio, l'intraprendente Walton visse dapprima cacciando uccelli marini, abbondanti nella laguna. Pensando di poter trarre da quell'attività un lucroso reddito, fece tessere una tela lunga 300-400 metri e alta 3, che tese verticalmente a pelo d'acqua a mezzo di pali infissi nel fondo fangoso della stessa. Nell' oscurità della notte, gli uccelli che volavano sfiorando la superficie dell' acqua vi rimanevano impigliati. Ebbene, Walton notò che un gran numero di mitili si era fissato ai pali che sostenevano la rete, e che questi erano più grossi e gustosi di quelli nati nel fango. per cui ebbe l'acuta intuizione che se ne poteva realizzare la produzione. Sembra che egli, applicandosi in questa nuova impresa, ebbe coscienza del servizio che stava rendendo all'umanità e, desideroso che le genti future ne conservassero la memoria, diede agli impianti che inventò la forma di una W, lettera iniziale del suo nome. Alla sua morte il geniale Walton aveva lasciato una tecnica pressoché perfetta, migliorata di anno in anno per mezzo di prove e di sagace lavoro. Una tecnica che poco si discostava dalle tecniche tuttora adoperate. Ci dispiace deludere i francesi, ma l'emerito Walton era stato purtroppo preceduto, probabilmente a sua insaputa (salviamo la sua buona fede), dai tarantini, i quali già dal XII secolo adoperavano un sistema diverso ma non troppo da quello da questi ideato. L' allevamento delle cozze a Taranto risale sicuramente ad epoca remota. Fonti autorevoli attestano che, risorta la città a opera dell'imperatore Niceforo Foca, dopo le devastazioni saracene del 927, furono subito riprese le concessioni delle pescherie, dalle quali i concessionari traevano oltre che il pesce anche le ostriche, le cozze, e altri frutti di mare. Le cozze raccolte durante l’autunno venivano portate lungo il litorale della città in acque della profondità di 12 palmi, ritenute idonee al loro sviluppo dove venivano appese a pali, in origine di leccio, di pino in seguito e poi per lo più di castagno. VenivanoPescate, ripulite durante l’equinozio d’inverno e infine ripescate e poste in commercio soltanto nell' estate dell' anno successivo. In questi ubertosi campi marini pingui di pascolo, le cozze crescevano e ingrassavano grazie alla presenza dei «citri» (polle sottomarine di acqua dolce poiché, dicendola con Plinio, esse gaudent dulcibus aquis ubi plurimi influunt amnes), Nei soli due seni del Mar Piccolo si contano una trentina di «citri», ognuno dei quali è conosciuto dai pescatori locali con il proprio idronimo. Quindi proprio sulle cozze Taranto ebbe per secoli una sorta di monopolio, come testimoniato dal Kolbert che, in un suo reportage su Taranto stilato nella seconda metà dell'800, ci illustra quale importanza economica avesse raggiunto in quel periodo quest'industria: «Dei 30.000 abitanti dell' odierna città di Taranto almeno i due terzi traggono vita dal mare e dai suoi prodotti. Fra questi esercitano la parte più importante due conchiferi, la Modiola azzurra e la Modiola barbata; le modiole azzurre sono chiamate Cozze nere dalla gente del paese, le altre Cozze pelose. Le cozze di Taranto e le ostriche di Taranto si trovano in tutti i mercati d' Italia meridionale fino a Roma. Nel bacino anteriore del Mar Piccolo, come diceva con molta
vivacità nel suo dialetto un barcaiolo, una larga zona d’acqua bassa, alta da 3 a 15 m, circonda la spiaggia. Ivi sono disposti dappertutto, in file regolari, numerosi pali, alla distanza di 6-7 m. Tutti i pali sono riuniti da corde, alle quali vengono fissate in gran numero piccole e brevi fascine, a cui si attaccano i mitili. Le corde sono fatte di una fibra vegetale, che abbonda nei contorni di Napoli. Credo che questa pianta sia la Macrochloa tenacissima, il cosiddetto Esparto degli Spagnuoli. Tali corde rimangono a lungo intatte e soprattutto sopportano a meraviglia 1'acqua di mare. I pescatori le chiamano Funi di paglia. «Mentre mi trovavo a Taranto in Novembre, quasi tutti i bacini di allevamento erano vuoti, ma i pescatori si affaccendavano ovunque a riaccorciarli per ricevere nuovi ospiti. Non credo perciò che i mitili rimangano un anno e mezzo sulle funi, come dice Salis. Gli esemplari necessari al ripopolamento dei bacini si pescano in alto mare, oppure si adoperano a tale scopo gli individui giovani coltivati in appositi serbatoi separati. Le funi sono collocate per modo da rimanere in secco durante il periodo del riflusso, che a Taranto giunge a 60 cm. In certi stabilimenti vengono sollevate di tratto in tratto e lasciate fuori dell' acqua per qualche giorno. «Nel Mare Piccolo contai circa 30 gruppi di pali, composti in media di 200 pali per uno, ma non riuscii a procacciarmi nessun ragguaglio intorno alla quantità e al valore dei mitili allevati nel paese: nessuno si era preoccupato di ciò. La somma ricavata da questo commercio dev' essere però abbastanza rilevante poiché intieri vagoni pieni di mitili freschi e conservati partono dalla città pei mercati italiani. Verso Natale il consumo di questi molluschi diventa addirittura enorme poiché allora in ogni casa italiana non si cena senza mangiare 1'anguilla tradizionale (capitone) di Chioggia e le Cozze nere di Taranto. Le Cozze nere fresche costavano a Taranto da 40 a 50 centesimi il chilogrammo.
Le orecchiette sono un famosissimo formato di
pasta e rappresentano il simbolo gastronomico della regione Puglia.
A
meta' cottura delle orecchiette, aggiungete nell’acqua le cime di
rapa. Scolate di tutta l'acqua di cottura le orecchiette con le rape.
Chianchiarelle tarantine Caratterizzate da una forma più schiacciata e da una grandezza maggiore, le Chiancarelle sono apprezzatissime con ragù di carne o con le cime di rapa La storia delle Chiancarelle (o chiancaredde) risale alla fine del ‘500: negli archivi di una chiesa pugliese fu ritrovato un documento con il quale un padre donava il panificio alla figlia. La dote più importante che quel papà lasciava alla figlia consisteva nell’abilità trasmessa nell’arte di preparare le chiancaredde, la forma più antica delle orecchiette pugliesi. Un aneddoto racconta che in passato vi fosse l’usanza da parte delle donne incinta di immergere in acqua bollente un’orecchietta ed un pezzo di maccherone detto zito: appena immersi, entrambi andavano su e giù nella pentola, ma se la donna vedeva salire a galla prima la chiancaredde pronosticava che sarebbe nata una femmina. Rispetto alle orecchiette, le chiancaredde sono caratterizzate dalla forma più schiacciata e da una grandezza maggiore. Entrambe vengono preparate con semola rimacinata di grano duro.
IL PANE E LE FOCACCE DI LATERZA
Tartufi di mare ... ( spuènze ) U spuènze jè 'nu frutte de mare ca appartene a la famigghie de le ascidie, 'u cuerpe, non ge tène 'na forme definite, ma jidde jè cchiù o mene a forme de otre, e jè dette tuniche, jè difficile da vide perché stè jndr'ô mare scunnute da organisme varie cumme alghe, spugne ma se jè sfiurate o misse 'n'ombre se contrae e face vide le striature russe de le sifone. 'U cuerpe massicce jè fissate sus a 'u funne cu putènde filamende ca stonne sus 'a soje parte vendrale. Tène pure 'na tuniche spesse e coriacee. 'U sifone d'a vocche jè assaje sviluppate e se pote vide pure quanne l'animale jè cuntratte. 'U culore jè brune - grigiastre cu sfumature rossastre, mendre de jndre jè russe. Le sifone sonde 'nternamende striate cu bande violette chiare e scure. Pote arrivà a le 20 - 22 cm de lunghezze. Vive sus a le funnale rocciose o detritiche e 'mbrà le praterie de Posidonie, da picche metre fine a 200 m de profondità. Se pote mangià, se mange crude e jè oggette de peshe pè essere ausate cumme frutte de mare assaje ricercate, se apre cu 'nu curtelle 'u sacche 'ndestinale e se mange 'a parte de jndre gialle. 'U guste jè asckuande assaje.
Praticata in tutto il bacino del Mediterraneo già ai tempi dei Fenici ( 2000 a.C. ) e degli Egizi la coltivazione della vite attecchì nel meridione d'Italia e in Puglia in particolare a causa dei conquistatori che stanziarono in questa regione. Il vino pugliese era già presente sulle tavole imbandite della Roma antica come raccontano nei loro scritti Tibullo, Plinio il Vecchio e Orazio che ne decantano il profumo, il sapore e il colore. E' grazie a loro se ci sono giunti ampi dettagli sui processi di coltivazione e vinificazione dell'uva in questa terra ai tempi dei Romani.
Più
tardi ci pensò Federico II di Svevia a fare da testimonial d'eccezione
per questa autentica ricchezza favorita dal sole e da un terreno
particolarmente adatto alla coltivazione della vite. Per molti anni però si è puntato più alla quantità che alla qualità del prodotto e sovente il mosto pugliese è stato impiegato in altre zone d' Italia come arricchimento a produzioni con grado alcolico molto basso. Fortunatamente le cose sono cambiate. Alcuni bravi e coraggiosi produttori hanno cominciato, anni fà, un opera di valorizzazione della viticultura pugliese. Grandi investimenti sono stati fatti per ammodernare le tecnologia di cantina e i reparti di imbottigliamento. Si è poi puntato molto sulla rivalutazione del vigneto con la valorizzazione di molti vitigni autoctoni (negroamaro, malvasia nera, primitivo, uva di Troia, bombino bianco e nero).
Questo
ha fatto sì che la qualità generale di vini sia costantemente
aumentata, mantenendo comunque un eccellente rapporto con il prezzo. Oggi la Puglia conta 25 vini a denominazione di origine controllata ( D.O.C. ) con 128 preparazioni diverse: 52 vini rossi, 28 bianchi, 22 rosati, 17 dolci e/o liquorosi e 9 spumanti. Accanto a vini diventati un cult, come il Primitivo, prodotto nella zona di Manduria, altre produzioni, anno dopo anno, stanno salendo di quotazione. i vini: Aleatico di Puglia Alezio Brindisi Cacc' è mitte Castel del Monte Copertino Gioia del Colle Gravina Leverano Lizzano Locorotondo Martina Matino Moscato di Trani Nardò Ortanova Ostuni Primitivo di Manduria Rosso di Barletta Rosso di Canosa Rosso di Cerignola Salice Salentino San Severo Squinzano Galatina
La Pianta di origine dell' ulivo (olea - europea) è l' Oleastro, e i primi ritrovamenti, foglie fossili, risalgono a circa un millennio di anni fa. Lo storico Erodoto ( 484-425 a.C. ) riteneva che solo ad Atene e in nessun altro posto ci fossero gli ulivi.
Secondo
la mitologia greca fu la dea Atena a piantare il primo ulivo albero che,
con i suoi frutti avrebbe donato a tutti gli uomini, un succo
meraviglioso. Per i Greci l’olivo era considerato una pianta sacra
(simbolo di forza, di fede, di pace), tanto che chi la danneggiava o
sradicava, era punito con l’esilio. Al Neolitico (5000 a.C.) risalgono le scoperte in terra di Puglia: a Torre a Mare ( Ba ) e Fasano, a sud di Brindisi. Scoperte che attestano come le olive costituivano, già da allora, alimento di importanza fondamentale per gli uomini della Puglia. Importanti per ricostruire la storia di questa pianta dai mille usi, sono stati i ritrovamenti nel Sud dell'Italia di reperti con scene di raccolta, produzione e vendita delle olive, di monete coniate a Messina, Crotone e Taranto raffiguranti foglie e rami d'ulivo.
E,
infatti, come i Greci, anche i Romani avevano imparato a fare largo uso
dell'olio per la cura del corpo: uomini, donne, grandi e piccoli, malati
e sani, tutti lo usavano diverse volte al giorno. Veniva spalmato sul
corpo prima e dopo il bagno, come detergente e come unguento, arricchito
con profumi ricavati da fiori e piante. Non esistono oli più grassi o più magri: tutti gli oli, infatti, sono costituiti per il 99% di sostanze grasse e per l’1% di componenti minori responsabili del sapore e di altri aspetti fisiologici. La composizione dell’olio d’oliva lo rende un prodotto con qualità organolettiche ideali per una corretta alimentazione. Olio d’oliva, infatti, non solo per insaporire i nostri cibi, ma soprattutto per introdurre nell’organismo sostanze (acido oleico, caroteni, tocoferolo, vitamina E, e altri composti fenolici) che contribuiscono al suo sviluppo equilibrato, alla protezione contro le malattie degenerative e al rallentamento dei processi di invecchiamento.
La
percentuale di acido oleico libero determina il grado di acidità dell’olio,
infatti, in base ai gradi di acidità e gusto le sole denominazioni
utilizzate per il commercio sono le seguenti: olio extravergine di
oliva, olio di oliva vergine, olio di oliva, olio di sansa di oliva. L’olio che vi si produce è rigorosamente extravergine (olio di oliva vergine, di gusto impeccabile, la cui acidità non può essere superiore a 1 g. per 100 g.). L'olio extravergine di olive pugliesi, a seconda delle olive da cui è prodotto, presenta diverse caratteristiche. La qualità più delicata di olio extravergine, di colore giallo oro, di gusto dolce con lieve pizzicore, è ideale per le preparazioni servite crude. Il tipo medio, di colore giallo intenso, sapore soave e un pò erbaceo, si adatta per le preparazioni cotte a vapore e al sale. Il tipo più intenso, di colore giallo verdognolo, con ricco aroma fruttato e leggermente piccante, si adatta per grigliate ed arrosti.
L'olio
extravergine di oliva, inoltre, è l'ideale per le fritture poiché non
modifica la sua struttura chimica fisica a temperature alte, quindi non
è dannoso per la salute. che è una delle versioni dello scapece (chiamato regionalmente scabéggio), è un piatto tipico della cucina della città di Gallipoli (Puglia). Questo piatto ebbe la sua origine nel periodo in cui Gallipoli, città marinara, era costretta a subire gli assedi da parte delle potenze mediterranee. Per scongiurare la fame era necessario rifornirsi di cibo da conservare per molto tempo e il pesce, abbondante nei mari intorno alla città, si prestava a questo uso. Infatti l'ingrediente principale della scapece è il pesce che viene fritto e fatto marinare tra strati di mollica di pane imbevuta con aceto e zafferano all'interno di tinozze chiamate, in dialetto gallipolino, "calette". Lo zafferano dona al piatto il colore giallo che lo rende caratteristico.
Oggi
la scapece viene servita come specialità gastronomica nei ristoranti ed
è un prodotto tipico delle feste patronali nel Salento. Preparazione: Nella scapece gallipolina il pesce non viene pultito prima di essere fritto a causa della quantità e della dimensione ridotta delle specie di pesci ultilizzati. Mantenere la lisca del pesce potrebbe sembrare strano ma questa viene ammorbidita e resa commestibile con la marinatura in aceto. Va precisato che ci sono più tipi di scapece gallipolina, differenti tra loro dal tipo di pesce utilizzato, per questo, prima della frittura, i vari tipi di pesci vengono "scucchiati", cioè separati, secondo la specie. I pesci fritti vengono disposti, a partire dal fondo della tinozza, a strati alternati con la mollica di pane imbevuta con l'aceto in cui è stato sciolto lo zafferano. La mollica che si utilizza è quella della pagnotta. La forma di pane viene privata della crosta e tagliata a metà, le varie metà vengono poi strofinate su uno strumento detto "crattacasa", una grande grattuggia formata da un semicilindro di acciaio largo mezzo metro sulla cui superficie sono stati praticati dei fori, simili a quelli di una grattugia da formaggio, larghi circa un centimetro. Una volta che la tinozza è stata riempita fino all'orlo viene sigillata con un foglio di plastica e messa a riposare in una cella frigorifera.
Un
appuntamento ormai consolidato e sempre più apprezzato dell'estate molese da
viaggiatori provenienti da tutta Italia. La sagra del polpo è l'evento per
eccellenza dell'estate molese.La Sagra del Polpo nacque nel 1965, grazie
all'allora presidente della Pro Loco cav. Nicola Parente, quale riconoscimento
ai marinai per il contributo dato all'economia molese. Buon appetito !
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Con questo nome, sulla cui origine molto si è discusso, s'indica l'Italia meridionale greca. Secondo alcuni studiosi il nome di Megále Ellás (Magna Graecia) sorse, già a partire dal sec. VIII, in contrappunto a quello di Ellás, che in età arcaica indicava la Grecia con esclusione del Peloponneso. Secondo altri autori l'espressione si affermò in connessione col diffondersi del pitagorismo quasi a rimarcare la prosperità e la bellezza della regione rispetto alla Grecia vera e propria, piuttosto angusta e avara di prodotti del suolo, da cui erano venuti o discendevano gli abitanti delle varie città, chiamati col tempo Italioti. L'insediamento dei coloni greci nella Magna Grecia ebbe luogo in due fasi. La prima, in ordine sparso e a opera di gruppi di Achei, avvenne in età arcaica, tra i sec. XV e XIV a. C., e il ricordo sopravvisse nei racconti degli avventurosi viaggi verso l'Occidente favoloso (ciclo troiano). Quel remoto flusso migratorio si interruppe verso il sec. XII a. C., forse in conseguenza dell'invasione dorica della Grecia che sospinse gli Achei verso l'Asia Minore. Ma il flusso, e ora in forme più regolari e massicce, riprese nel sec. VIII a. C. o per effetto dei rapidi incrementi demografici nelle città greche di provenienza, o per contrasti scoppiati in esse, o per le attività commerciali, e si sviluppò specialmente in alcune direzioni: i Calcidesi verso la Carnpania e lo stretto di Messina (Cuma, Velia, Reggio), i Dori nella Sicilia (Siracusa, Agrigento), gli Achei del Peloponneso verso la costa calabra (Sibari, Crotone, Metaponto), gli Spartani verso il golfo di Taranto. Gli antichi empori divennero vere e proprie colonie grazie a un'agricoltura che si fece prospera nelle piane dell'entroterra e lungo i corsi d'acqua. Le antiche popolazioni locali, varie per stirpe e linguaggio, furono sottomesse o assimilate o ricacciate verso l'interno. Lo sviluppo urbanistico fu rapido con l'affermazione di alcune città dalle piante regolari, che operarono concentrazioni territoriali dandosi costituzioni anche più evolute di quelle della madrepatria, arricchendosi di templi fastosi, di cui rimangono oggi resti (Posidonia, Selinunte, Segesta, Agrigento), creando attive scuole filosofiche (quella di Parmenide a Velia e il pitagorismo a Crotone) e diffondendo l'alfabeto tra gli Italici. Il massimo splendore si ebbe tra i sec. VI e V a.C.: le emissioni monetarie in oro, argento e bronzo del tempo testimoniano il grado di prosperità. Gli apporti degli indigeni diedero poi una particolare fisionomia alle espressioni dell'arte locale. Operate le concentrazioni locali, con fondazione di numerose nuove città, non mancarono tentativi di sopraffazione delle une a danno delle altre, ripetendo gli errori che erano stati fatali alle città greche di provenienza: nel 540 a. C. Siris sulla costa lucana fu distrutta da una coalizione achea e la stessa sorte toccò nel 510 a Sibari rasa al suolo dai Crotoniati. Vi furono però anche seri tentativi di concentrazioni politiche ad ampio raggio, con le guerre contro i Cartaginesi in Sicilia e contro le popolazioni osche in discesa dall'Appennino nell'Italia meridionale sotto la spinta, in particolare nel sec. VI-V a. C., di tiranni locali. Gelone di Siracusa nel 480 sconfisse, assieme a Terone di Agrigento, i Cartaginesi a Imera, ponendo le premesse di una rapida espansione siracusana che provocò in seguito l'intervento di Atene in appoggio a Leontini: la spedizione ateniese si risolse in un disastro (413 a.C.), ma anche Siracusa ne uscì indebolita nella lotta con Cartagine e solo il tiranno Dionisio I riuscì a ripristinare, nella prima metà del sec. IV a.C., la sua egemonia in quasi tutta la Sicilia e nella stessa Calabria con la presa di Reggio e di Crotone. Taranto aveva raggiunto nelle contese locali un alto grado di potenza, ma nella seconda metà del sec. IV a. C. fu costretta a richiedere a più riprese aiuto a Sparta per difendersi dalla pressione delle popolazioni italiche, e successivamente a far intervenire Pirro per tener testa a Roma finendo, nel 272 a. C., con tutta l'Italia meridionale, sotto il dominio romano dopo il rientro di Pirro in Grecia. Nel contrasto che seguì tra Roma e Cartagine durante la prima e la seconda guerra punica, anche la Sicilia cadde sotto il dominio di Roma (Siracusa fu espugnata da Marcello nel 212 a. C.), diventando, con la sua economia agricola a intensa produzione, granaio di Roma. Le vicende connesse con la spedizione di Pirro prima e con le guerre puniche poi, provocarono una generale decadenza della Magna Grecia, che però continuò ad avere grande influsso sul piano culturale e religioso, specialmente con l'immigrazione a Roma di suoi elementi. Uno schiavo di Taranto fu il primo poeta romano, Livio Andronico, e dell'Italia meridionale erano originari altri poeti della prima letteratura latina. La Magna Grecia, anche se aveva perduto la sua autonomia politica, continuò così nella sua funzione di diffusione in Occidente della civiltà ellenica. La presenza greca lasciò tracce indelebili nell'Italia meridionale e in Sicilia. L'arte della Magna Grecia si sviluppò sulle forme della madrepatria anche se, come nella vicina Sicilia, fu caratterizzata da elementi locali, in maniera anche diversa nelle singole località.
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Dal
28 luglio al 11 agosto 1480 i Turchi del Pascià Acmet assediarono la
città di Otranto. Entrati con forza nella città, raccolsero gli 813
uomini superstiti. Gli abitanti furono portati sulla vicina collina della
Minerva e obbligati ad una scelta: morte o rinnegare Cristo. Il
primo martire fu Antonio Primaldo, il quale dopo la decapitazione si alzò
in piedi e vi rimase fine al martirio dell'ultimo compagno di gloria.
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Domenico
Modugno, detto anche Mimì, come molti lo ricordano, nasce a Polignano a
Mare il 9 gennaio del 1928, nei pressi della piazza, all'epoca
denominata, Minerva. Dell'infanzia non si hanno particolari notizie se
non del suo trasferimento, insieme alla famiglia, a San Pietro Vernotico,
piccolo paese in provincia di Brindisi. Qui, Mimì comincia giovanissimo
a dedicarsi alla musica, strimpellando la chitarra e suonando la
fisarmonica. Una volta raggiunta la maggiore età, Mimì decide di
trasferirsi a Torino, dove troverà lavoro in una umile fabbrica.
Successivamente, per assolvere agli obblighi di leva, Domenico Modugno
torna nel suo paese, ma egli sa che questo stazionamento non durerà a
lungo. Infatti, dopo aver assolto i doveri militari, Mimì si
trasferisce a Roma, in cerca di fortuna e il suo sogno, sicuramente a
lungo covato, diventerà per il nostro Mr. Volare, ben presto una
realtà.
Questi
sono gli anni più proliferi della carriera di Domenico Modugno. Prende
parte a trasmissionmi radiofoniche e scrive ballate in dialetto. Ma il
vero successo planetario giunge con la canzone "Nel blu dipinto di
blu" ("Volare"). In controtendenza ad ogni stereotipo
musicale dell'epoca, "Volare" consacra il successo di Modugno,
che nel 1958 vinse il Festival di Sanremo. Ma non solo, "Nel blu
dipinto di blu" viene tradotta in ogni lingua, scala tutte le
classifiche musicali raggiungendo la vetta e nello stesso anno, in
America del Nord, Domenico Modugno riceve due Grammy Awards in quanto
"Volare" è la canzone dell'anno (1958), come pure il disco.
All'apice
del proprio successo, però, durante una trasmissione televisiva, Mr.
Volare viene colpito da una trombosi e da ciò accusa menomazioni nel
linguaggio e nei movimenti.
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Rieccomi.
Gli ultimi quattro giorni del viaggio li ho dedicati al mio zione. E' uno zio acquisito, ma per me è stato ed è come un padre, un
fratello, un amico. E la cosa è reciproca.
Una persona davvero
speciale, non
so se nel nuovo millennio si possa ancora trovare una persona come lui. Lui l'ha amata la sua vita, l'ha assaporata al cento per cento, c'è salito sopra come su un ottovolante e se fosse possibile rifarebbe punto per punto tutto quello che ha fatto senza toccare una virgola, un respiro, una parola, una vangata, una fucilata. Se, per miracolo, nascesse di nuovo risposerebbe certamente sua moglie della quale è ancora perdutamente innamorato, rifarebbe lo stesso lavoro e si farebbe destinare a Metaponto, di nuovo, per farsi ancora un altro giro di giostra! Non so quante volte ho sentito questa frase "se dovessi rinascere, farei questo e quest'altro...". Lui no, ripeterebbe tutto senza cambiare nessuna battuta, primo secondo e terzo atto. Metaponto è un luogo che nel 56', quando lui arrivò da Taranto, doveva essere come Piovarolo nel film di Totò; un luogo dove ognuno, colto dalla nostalgia, avrebbe fatto di tutto pur di scappare e tornare nella città. Ma lui, appena scoprì quel Paradiso che nessuno riusciva a "vedere" capì subito, al contrario di altri che cercano effimere felicità, che quello era un dono divino. Capì che soltanto lì avrebbe potuto vivere a misura d'uomo, raccogliere tutti i frutti che la natura gli metteva a disposizione senza nessuna formalità, respirare ogni mattina l'odore della campagna e del mare, vivere davvero in modo biologico, concepire il commercio con gli abitanti del luogo solo con scambi in natura e tramutando la moneta in verdure, ortaggi, fichi, pesce, fagiani, salumi, lavoretti e cortesie. Insomma, appena arrivò in quella terra capì in un attimo di che pasta era fatta la felicità. E' stato proprio quel vivere "ruspante", il godersi fino in fondo la terra che ha coltivato, dimenticare (se mai le ha pronunciate) parole quali "ansia", "tristezza", "malinconia" che lo hanno forgiato a dovere fino a fargli capire davvero come si dovrebbe vivere nel vero senso della parola. Forse è stato un privilegiato e nemmeno lo sa. Che vita avrebbe mai potuto fare un uomo che a 25 anni girava per le strade in Lambretta, con la fidanzata seduta dietro sul sellino e davanti il suo Leo, fedele bracco da quaglie? E che a 75 va a ballare il Liscio al Lido, con le ragazze che fanno a gara per due salti (zomp) con lui mentre la moglie gli corre dietro con le camicie di ricambio?
Ho
desiderato ripassare in quel viale di eucaliptus che emanano
odori inebrianti e in fondo alla strada, all'improvviso, quel bianco serbatoio
d'acqua che tutti noi cugini chiamiamo col nome di mio zio., un
simbolo che considero quasi la porta dell'Eden. Proveniendo dalla
provinciale, dove in un unto preciso un cartello indica "Metaponto",
girando a destra da quella
porta si cominciano ad annusare strani e familiari odori: l'odore di
semola del pane di Matera che vendono nei forni, quello della nafta in
un disordinato (ma ordinato) garage n. 21, quello di rucola che cresce
dentro un'Opel diesel che gironzola da mattina a sera per tutto il
borgo, quello che proviene dalla cucina di mia zia. Mentre il treno cominciava a muoversi, sapendo che difficilmente sarei ritornato in Puglia, mi sembrava che quel vagone, con quel fantastico passeggero a bordo, si portasse via tutta la mia infanzia per non rivederla più, consentendomi soltanto di poterla raccontare agli amici: le mie estati a Metaponto, le infruttuose battute di caccia che finivano con i pallini scaraventati sulle angurie, le anguille del Basento, suo figlio utilizzato per confondere le tortore e farle avvicinare al suo fucile, le masserie ripitturate da cima a fondo, i bisognini all'aria aperta di campagna con la speciale carta igienica fornitami da mio zio: foglie d'ortica! E poi le notti passate sulla sua barca a tirare le reti, a pescare gli sgombri al bolentino, ad attendere le alici sulla sabbia fredda all'alba, ad arrostire enormi cefali di fiume, a sparare nei pomeriggi al tiro al piattello; le visite alle aziende agricole con mucche, oche e mezzadri che sembravano balzati fuori da un dipinto di Fattori o dai libri di Giovannino Guareschi. E come dimenticare il suo orto con l'antistante "officina"? (il garage dove mette subito sott'olio i suoi prodotti). I suoi vecchi cani li ho conosciuti quasi tutti, come le sue galline insaziabili, polli, colombe, capponi, conigli restii all'accoppiamento e che per punizione si ritrovavano la sera in salmì. Gli facevo compagnia anche quando lavorava. E quando era libero dal servizio, ogni tanto "si andava in servizio" lo stesso: ci recavamo allo Scalo per missioni burlone nei confronti dei suoi colleghi o (se proprio volevamo fare i bravi ragazzi) raccoglievamo lumache per la cena vicino i binari della stazione, illuminati da quelle affascinanti luci blu-violetto. Insomma, estati piene di tutto...di tutto..quello che quest'uomo mi ha insegnato. Ebbene,
quella mattina alla stazione di Catania, tutto quel ben di Dio se lo
stava portando il treno. Al ritorno in auto piansi, perché sapevo
che se anche fosse ritornato in Sicilia, mai avrei riprovato quelle
gioie. Cioè ..... nei suoi luoghi, a casa sua, dà il meglio di se stesso.
Fuori casa gioca per il pareggio, ma in casa ottiene sempre tre punti! Una mattina mi sono presentato da lui e gli ho detto "Adesso sarò la tua ombra. Per due giorni non ti mollo, ti seguirò dovunque andrai", sicuro che andandogli appresso avrei scoperto sempre qualcosa di nuovo, di fantastico. Appena gli dico questa frase il suo viso, come sempre, si trasforma magicamente da persona adulta a bambino monello: le labbra birbanti gli si cominciano ad allargare, le sue orecchie vibrano, una ruga scugnizza solleva le sue gote briccone che gli fanno diventare gli occhi così birichini da portarli in un collegio. E quando rivedo quella faccia discola, quella faccia da monellaccio, capisco subito cos'ha in mente. Già immagino quello che lui sta pregustando, cosa mi sta riservando, le trappole che mi sta preparando. In fondo era quello che voleva: passare un paio di giorni col suo vecchio compagno di giochi, preparargli subito un letto pieno di molliche e che sarà teatro di goliardici attentati notturni. E così è stato:
quattro giorni appresso ad un grande uomo che
è l'Agriturismo fatto persona, che qualsiasi itinerario ti farà
percorrere non sarà mai un percorso banale perché ha già in testa
quale incontro meraviglioso vuol farti fare col suo secondo amore: la natura.
E se lo assecondi, è felice di presentartelo, il suo amore. Un pomeriggio l'osservavo mentre dormiva: si addormenta dopo tre secondi esatti assumendo la posizione di un bambino mentre fa la nanna, girato di lato e con le mani sotto la guancia. E mentre è nelle braccia di Morfeo sorride, beatamente, e allarga le sue guance innocenti con l'espressione di colui che gode per qualcosa: forse sogna lepri che saltano o anatre di plastica che dovrà sistemare per scherzo nello stagno a danno di un ingenuo cacciatore. Ecco, quando un uomo dorme così non si può definire diversamente: è un'anima pura. A un uomo così c'è da augurargli soltanto una cosa: ancora tanti giri di giostra!!
Te lo dico proprio come si dice da voi: adesso anch'io mi sento di fottere! Mimmo.
Dicono che c'e' un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare. Io dico che c'era un tempo sognato, che bisognava sognare. (Ivano Fossati)
(*) "mi sento di fottere" è un termine usato specialmente nella bassa Puglia per esternare sconforto e malinconia. Sta di fatto che un siciliano in vacanza in Puglia rischia grosso e il pericolo di prendere un paio di ceffoni è notevole. Di contro, una donna pugliese in vacanza in Sicilia rischia grosso lo stesso. Ma non per prendere ceffoni.
(P.S. Giuro di non averlo mai saputo prima di questo viaggio!)
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