https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo1.jpegDomenico Modugno.  Un artista pugliese che per me merita “ah honorem” l’appellativo Marca LIotru, più di tanti altri, per come ha saputo capire lo spirito… ,”do liafanti”!

In questi giorni, agosto 2024, ricorre il trentennale della morte di Domenico Modugno ed io voglio celebrarlo con alcuni estratti di "Don Giovanni in Sicilia", sceneggiato televisivo del 1977 diretto da Guglielmo Morandi e tratto dal romanzo omonimo di Vitaliano Brancati, scritto a Zafferana Etnea nel 1940.

È il primo romanzo del cosiddetto gallismo teorizzato da Brancati. Il protagonista è impersonato da Domenico Modugno. Fra gli altri interpreti figurano anche l'attrice Rosanna Schiaffino, il grande Leopoldo Trieste e altri grandi attori siciliani.

Credo che solo Modugno sia riuscito ad incarnare esattamente la filosofia del gallismo catanese. Quegli sguardi, la sua fronte che si corruccia davanti a una battuta e che fa immaginare chissà quali valori di alta pressione arterios e quelle andature pigre non riuscirono a farle (benché bravissimi) nemmeno Giannini e Buzzanca che era pure siciliano.

Modugno era un fuoriclasse, e ripetè il suo amore per la Sicilia anche nel film La sbandata, girato parzialmente a Sant’Alfio e ad Acireale.

Davanti a una granita, qui si continua a  filosofare come Percolla, Scannapieco e Muscara a tavolino, senza troppo sforzare muscoli e linga, sugli unici argomenti tutt’ora preferiti: il clima, u Catania, u governo latru, a cu attaccanu assira, le corna, l’avvistamento del più bel culo di Catania e, principalmente …. i fimmini!

Sono ancora così. Solo che invece di farlo in diretta si riuniscono in gruppi Whatsapp.

Buona visione!

(Mimmo Rapisarda)

 https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg

___________________________

QUELLA CATANIA DEL ROMANZO DI VITALIANO BRANCATI 

In una città come Catania, appena uscita dalla guerra, vive una società variegata. Accanto alla decaduta e spiantata aristocrazia di origine feudale si muovono i soliti personaggi delle piazze e delle vie principali: il farmacista, il commendatore, il barone, l'avvocato, il cavaliere, i giovani rampanti spinti dal «germe dei viaggi», tutti riuniti nel solito rinomato bar, fulcro e centro vitale di una espansione urbana inaspettata. Un bar che si trasforma in salotto improvvisato dove osservare le donne più belle, uomini innegabilmente attratti da "I piaceri del discorrere della donna".https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo12.jpg

All'appassionata ricerca di donne e di avventure fugaci pensa sempre Giovanni Percolla, il quarantenne commerciante che vive in una casa grande, arredata con mobili antichi, circondato dall'affetto fin troppo premuroso e castrante di tre sorelle non sposate e dell'anziana domestica Agatina.

Giovanni passeggia con il gruppo di amici, Ciccio e Saretto Muscarà, incantati nel ricordare le descrizioni poetiche di don Procopio, attorniato sempre da giovani, che all'arrivo in città delle nuove "donnine", animava le serate altrimenti noiose. Ninetta dei Marconella, la ragazza più ambita di Catania, non perde occasione di mandare sguardi "pubblici" a Giovanni, suscitando invidie e perplessità tra amici e conoscenti.

E’ la ricerca della felicità, di cui Brancati  riconosce l’annuncio «nella solarità di certe indimenticabili giornate, nel ricordo di piccoli gesti cordiali, nel tranquillo agitarsi delle strade cittadine in qualche tardo pomeriggio d’estate, nel profumo e nei colori delle vesti di una donna che passa, nel trascolorare della luce attraverso le imposte di una stanza in ombra, nelle immagini di una tranquilla vita borghese»

Giovanni prima di cacciarsi nei guai iniziando una storia con una giovane ragazza, anche lei con i suoi problemi, torna definitivamente alla propria natura di scapolo pigro.

Il romanzo è davvero un piccolo gioiello di comicità. Brancati ha ormai raggiunto lo stile più maturo della sua prosa, naturale, semplice ma duttile e ricco di risonanze, ironiche e talvolta malinconiche.

Anche dal punto di vista tematico il romanzo presenta alcuni degli spunti più felici della narrativa brancatiana: a partire dalla descrizione del comportamento dei provincihttps://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo11.jpegali a Roma, alla rappresentazione degli innamorati siciliani nel contesto della vita catanese (e straordinaria è la contrapposizione tra la vita “sospesa” del Sud e la vita “attiva” della grande città del Nord, Milano), fino naturalmente alla vera e propria invenzione principale del romanzo: il gallismo.

Cosa è il gallismo? Una risposta alla domanda posta da Dondero ci viene offerta da Brancati stesso nel volume I piaceri (1943) e più specificamente nella parte che tratta I piaceri del discorrere sulla donna: il gallismo siciliano è l’«avere i sogni, e la mente, e il sangue stesso perpetuamente abitati dalla donna». Brancati però aggiunge una caratteristica essenziale, vale a dire, il fatto che tale onnipresenza mentale della donna «porta che nessuno sa poi reggere alla presenza di lei».

È nel quadro di questa definizione che si deve vedere il titolo del romanzo che colloca una delle figure mitiche dell’arte europea, il grande seduttore Don Giovanni, in un ambiente provinciale e medioborghese, un mondo chiuso in se stesso caratterizzato dalla noia e dalla circolarità dei vecchi costumi, completamente opposto dunque all’ambiente eccitante ed eroico del mito.

https://it.wikipedia.org/wiki/Don_Giovanni_in_Sicilia_(miniserie_televisiva)

 

https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg
L'ACQUA

Comincio con il suo rapporto con l’acqua per lavarsi, che doveva arrivare a 38 gradi, esattamente uguale al parallelo dove si trova la sua Sicilia. Temperature che non troverà a Milano quando, con un atto di orgoglio, si infilò nella doccia della casa meneghina.

https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg
LE SORELLE

Il Don Giovanni siciliano di Brancati è un donnaiolo passivo che evita ogni forma di contatto concreto con le donne tanto desiderate.

Non a caso è la pigrizia la qualità del protagonista. Giovanni, scapolo impenitente all’età di 36 anni, vive insieme alle tre sorelle: Rosa, Barbara e Lucia, nella vecchia casa di famiglia. Lavora nel negozio di tessuti dello zio ma dedica la maggior parte delle sue giornate al riposo. Le sorelle lo ritengono un uomo troppo buono e lavoratore che somiglia tanto a loro padre e fanno di tutto per soddisfarlo, dongiovannismo derivante da un complesso materno (anche se qui il ruolo della madre, morta da anni, viene ricoperto dalle sorelle, tutte e tre “tipi materni”).

Le tre donne non erano mai riuscite a liberarsi da una sorta di soggezione nei riguardi di lui:

«Giovannino, viene molta gente al negozio?». Egli si passava un dito sull’orlo dell’occhio, apriva la bocca e, in mezzo a uno sbadiglio, diceva: «Eh!». scavato nel letto il pomeriggio, coccolato da tutt’e tre le sorelle zitelle, spiumacciando, insieme, la lana, e sollevando in piedi il materasso, con un fervore quasi religioso.

 

https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg
I DISCORSI A TAVOLINO CATANIA

Fra lui e le donne ci fu sempre una certa distanza che egli riempiva dei suoi sguardi bassi e subitanei. La sua emozione era tanto maggiore quanto maggiore diventava quella distanza. Il massimo della felicità, egli lo raggiungeva la notte, se al di sopra di un cumulo di tetti, terrazze e campanili neri, quasi in mezzo alle nuvole, si accendeva una finestrina rossa, nella quale passava e ripassava una figura di donna che, per l’ora tarda, si poteva pensare che fra poco si sarebbe spogliata. Ma bastava una sottana di seta, arrotolata come una serpe sul pavimento, e l’ombra di qualcuno, che probabilmente si muoveva sopra un letto, collocato a destra o a sinistra dal punto visibile della stanza, perché la fronte di Giovanni s’imperlasse di sudore.

La sensualità e la sete sessuale sarebbero dunque in primo luogo eredità della terra siciliana, dell’essere siciliano, dell’estrema meridionalità che si rivolge direttamente ai sensi, come diventa chiaro da un discorso fatto tra Giovanni e i suoi amici Muscarà e Scannapieco: «Ma perché la donna deve farci quest’impressione? Vedo quei continentali calmi, sereni!... Non ne parlano mai!» Diventavano autocritici: «È che, a Catania, di donne se ne vede una ogni mille anni!» «E il sole, anche!» «Ma che diavolo dici, il sole? A Vienna due anni fa, durante un inverno, che, Dio ce ne scampi, pareva la notte, forse che io?... Madonna del Carmine! “Avete il fuoco nelle vene?” mi diceva la figlia della padrona di casa.»

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg
LA LUNA NON USCI

A volte questa tematica dell’ozio e del sonno raggiunge un tono grottesco, meno glorificante, come nel passaggio in cui Brancati racconta come ad un certo momento Giovanni è diventato così pigro che non si sforza neanche più di pronunciare chiaramente le parole quando si trova in compagnia dell’amico Muscarà che non riusciva a fargli un discorso che durasse più di tre minuti: al quarto minuto, la testa di Giovanni, dopo aver tentennato, gli veniva addosso con gli occhi socchiusi e privi di vista. Così, quando gli leggeva una lunga notizia interessante, Muscarà aveva la cura di tenere una mano sotto il giornale e l’altra aperta davanti al viso, in modo da ricevere sulla palma la fronte del suo ascoltatore, e rialzarla piano piano. Il languore cominciava a Giovanni fin dal pomeriggio, quando egli faceva seriamente discorsi come: «La

lina stasera non usci».

«Ma perché dici la lina e non la luna? Usci e non esce?» domandava l’amico.

Giovanni alzava una spalla. Ma una volta rivelò il segreto: voleva risparmiarsi la fatica di pronunciare

esattamente le parole, perché sembra che, abbandonata a se stessa, la bocca non scelga le vocali dell’uso

comune, come un asino a cavezza allentata non va per il mezzo della strada.

 

  

https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg
DON PROCOPIO (interpretato dal grande Ciccino Sineri)

 Il colmo della fantasia di Giovanni viene raggiunto grazie a Don Procopio Belgiorno, uno dei ruffiani catanesi enumerati nel taccuino di Giovanni, il quale sarebbe, secondo vari critici, una ripresa diretta in chiave ironica del catalogo con tutte le “conquiste” di Don Giovanni nella storia originale.

Il mestiere di Don Procopio consiste principalmente nel fare discorsi promettenti ai giovani catanesi e nel proporgli incontri con giovani ragazze bellissime, che poi si rivelano meno giovani e belle di quanto gli è stato promesso. I suoi clienti disillusi però tornano sempre a richiedere i suoi servizi, coscienti di cadere di nuovo nella trappola. Perché? Brancati sembra suggerire che a volte il piacere più grande è offerto da quello che viene prima dell’atto stesso che deve provocare il piacere, dal rallegrarsi al pensiero di qualcosa. In realtà dunque, Don Procopio non è nient’altro che un venditore di sogni. Il contatto con le donne di strada risulta molto più facile ai giovani catanesi perché con loro non c’è bisogno di parole dolci e di gesti galanti che le belle signorine per bene invece si aspettano.

Don Procopio Belgiorno mormorava in un orecchio: «Un piacere mondiale! [...] Quindici anni!» Subito il giovanotto tartagliava per l’emozione: «Don Procopio, non facciamo che sia una vecchia come l’altra volta?» In verità, non era mai accaduto che don Procopio non venisse rotolato dalle scale, in cima alle quali era salito insieme con un gruppo di cavallitti; mai che una della sua quindicenni non avesse almeno trent’anni. I giovanotti lo sapevano; ma l’eloquenza di don Procopio era potentissima in una città come Catania ove i discorsi sulle donne davano un maggior piacere che le donne stesse. [...]

Eppure le donne più belle che gli uomini di Catania abbiano veduto furon quelle di cui don Procopio fece sentir la voce, vedere il collo, i piedini, i denti, durante il tragitto dal centro della città alla scalaccia buia.»

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg
LA PARIGINA

Muscarà, uno degli amici di Giovanni, tornò da un viaggio con una bambola che assomigliava molto ad una donna in carne ed ossa; l’oggetto del desiderio venne nascosto in casa di Muscarà, poiché esso consisteva nell’elemento “perturbante”, un particolare inquietante che suscitava anche attrazione. La bambola avrebbe sconvolto la loro routine, rischiando di far “passare all’azione” i personaggi confrontandoli con una realtà più corporea rispetto a quella in cui avevano vissuto, per questo doveva essere celata. Inoltre, Ciccio ha il problema di dover nascondere ai genitori, di ritorno da Taormina, l'ultima invenzione della scienza in campo sessuale: una bambola-statua di ceralacca importata da Parigi che commuove perfino le generazioni più anziane, tale è la precisione dei dettagli e le movenze sensuali.

Gettiamogli quindi uno sguardo, anzi, una….. talìata.

Anche la bambola, surrogato della donna in carne e ossa, è un esempio concreto della preferenza accordata al fittizio piuttosto che al reale. Bisogna anche aggiungere che la storia più importante di Catania non è quella dei costumi, del commercio, degli edifici e delle rivolte, ma la storia degli sguardi. Le donne ricevono gli sguardi, per lunghe ore, sulle palpebre abbassate, illuminandosi a poco a poco dell’albore sottile che formano, attorno a un viso, centinaia di occhi che vi mandino le loro scintille. Raramente li ricambiano. Ma quando levano la testa dall’attitudine reclinata, e gettano un lampo, tutta la vita di un uomo ha cambiato corso e natura. Se lei non guarda, le cose vanno come devono andare, per il giovanotto o l’uomo di mezza età: uguali, comuni, insipide, tristi: insomma, com’è la vita umana. Ma se lei guarda, sia pura con mezza pupilla, oh, ma allora, la vita non è poi così triste, e Leopardi è un poeta che non sa nulla di questo mondo!

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg
MILANO E IL RITORNO IN SICILIA

Di colpo, Giovanni – da sempre recalcitrante al matrimonio – si innamora follemente della giovane signorina Maria Antonietta, della famiglia dei marchesi di Marconella, soprannominata Ninetta. La donna più bella di Catania.

Anche dopo il matrimonio, è la moglie che prende l’iniziativa, che porta i pantaloni e che prende le decisioni: «Tu non sarai come gli sciocchi di qui. Non mi farai il geloso! Voglio essere leale con te: io non avrò mai, mai un amante, ma desidero le mie libertà perché sono nata e cresciuta libera!».

Tuttavia, per i mondani milanesi che la coppia comincia a frequentare, Giovanni resta una specie di animale esotico, affascinante per la sua “meridionalità” e simbolo di un’autenticità perduta che tutti dicono di invidiare.  Le mani di queste signore milanesi gli si posavano sui ginocchi, i petti sul dorso, i menti, talvolta, sulla spalla, senza che niente di selvaggio e feroce saltasse su, dal fondo dei suoi nervi,

incontro a queste sensazioni.

D’un tratto poi Ninetta propone al marito di fare un piccolo viaggio in Sicilia ma di tornare subito. Sul treno tutti e due si sentono immediatamente a casa, ma tentano di nasconderlo l’uno all’altro. Quando rientrano a

Catania le sorelle trovavano il loro Giovanni assai malandato e sciupato.

Giovanni torna definitivamente ai vecchi tempi coricandosi nel vecchio letto dopo un pasto abbondante insieme alle sorelle e Ninetta. Quando si sveglia la moglie è gia partita per visitare i suoi e

Giovanni proprio non è capace di resistere più a lungo a tutto ciò che ama di più: il cibo, il sonno, la devozione incondizionata delle sorelle. È siciliano e lo rimarrà sempre.

 

__________

Le magnifiche perle descritte in questa pagina sono state estratte, in parte, da:

https://libstore.ugent.be/fulltxt/RUG01/002/212/992/RUG01-002212992_2015_0001_AC.pdf

Dott.ssa Laura Blondeel “La trilogia del gallismo di Vitaliano Brancati. Un triplice approccio della figura di Don Giovanni“

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/mo2.jpeg

 

 

Domenico Modugno era siciliano d’adozione: l’omaggio al cantautore a 30 anni dalla sua scomparsa

Il 6 agosto 1994 il cantautore pugliese ma siciliano d'adozione Domenico Modugno ci ha lasciati, proprio nella sua amata Lampedusa: non sono mancate nel tempo le storie sul suo legame con la Sicilia.

Oggi, 6 agosto 2024, ricorrono trent’anni dalla scomparsa di Domenico Modugno, un artista che ha lasciato un’impronta indelebile nella musica italiana e che ha sempre avuto un legame speciale con la Sicilia.https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/m14.jpg Nonostante fosse nato a Polignano a Mare, in provincia di Bari, nutriva infatti un profondo affetto per la nostra Isola, al punto da farsi percepire siciliano di adozione. È proprio nella sua amata terra morì nel ’94. In particolare, nella villa che aveva acquistato negli anni ’70 a Lampedusa che si affaccia sulla nota Spiaggia dei Conigli. Quest’ultima è stata venduta nel 2020 e ad oggi appartiene a un resort.

Il legame tra Domenico Modugno e la Sicilia non si limita tuttavia esclusivamente a Lampedusa. Sua moglie, Franca Gandolfi, era infatti messinese di origine, nata a Montalbano Elicona. La famiglia Gandolfi gestiva una lavanderia nel villaggio Regina Elena e la donna frequentò il liceo classico Giuseppe La Farina. La coppia spesso tornava in questi luoghi, soprattutto per le vacanze estive. Il cantautore amava passeggiare nella zona del Ringo, affacciata sullo Stretto, e suonare la chitarra presso villa Mazzini, come ricordano alcuni testimoni. Negli anni ’50 e ’60, frequentò spesso anche Taormina, dove cantò la celebre “Resta cu’ me” in un giardino del Casinò. Negli anni ’80, Modugno si impegnò attivamente nelle battaglie sociali in Sicilia, come quella per il miglioramento delle condizioni dell’Ospedale Psichiatrico di Agrigento. Questo impegno, insieme alla sua carriera musicale e politica, consolidò il suo legame con l’Isola.

Il suo sentirsi “siciliano per adozione” rifletteva dunque un legame profondo e sincero con la nostra Isola. Per molto tempo, si diffuse persino una leggenda sulle origini siciliane di Modugno. Questa convinzione popolare nacque negli anni ’50, quando interpretò un soldato siciliano nel film “Carica eroica” e continuò con le sue prime canzoni, che mescolavano dialetto pugliese e siciliano. Il cantautore stesso non smentì immediatamente questa voce, il che causò non pochi disappunti tra i suoi concittadini. Nel 1993, durante un concerto a Polignano a Mare, mise una pietra sulle questione, ironizzando: “Chiedo scusa, ma per la fame avrei anche detto di essere giapponese!“. Nonostante ciò, la Sicilia rimase una presenza costante nella sua vita e nella sua arte, influenzando profondamente la sua produzione musicale.

Domenico Modugno attinse spesso alla tradizione siciliana per la sua musica. La canzone “Malarazza“, pubblicata nel 1976, fu ispirata da una poesia siciliana del 1857. Anche “Vecchio Frac“, una delle sue canzoni più conosciute, ebbe eco siciliano, in quanto ispirata dalla figura https://www.mimmorapisarda.it/2024/casa2.jpgdel principe Raimondo Lanza di Trabia, presidente del Palermo Tra le numerose canzoni di Modugno, “Lu Pisci Spada“ occupa un posto di rilievo per il suo forte legame con la Sicilia e, in particolare, con Messina. Questa canzone, intrisa di pathos drammatico e romantico, racconta la storia di due pesci spada innamorati, separati tragicamente dai pescatori. Il brano, cantato in siciliano con voce accorata, è accompagnato da un suggestivo video girato in una feluca nello Stretto di Messina, che immortala la caccia a questa specie. Il cantautore fu ispirato dai racconti dei pescatori locali e creò una narrazione che celebra l’amore e il sacrificio.

“Lu Pisci Spada” non solo ebbe un grande successo, ma contribuì anche a rilanciare la tradizione della pesca del pesce spada. La canzone divenne il centro di documentari storici come “Tra Scilla e Cariddi” e “Lu tempu di lu piscispada“, diretti da Vittorio De Seta, che evidenziarono il legame profondo di Modugno con le tradizioni marinare di Messina.

A trent’anni dalla sua scomparsa, Domenico Modugno continua a vivere nei cuori dei siciliani e non solo. Le sue canzoni, intrise di passione e sentimento, risuonano ancora oggi.

 https://www.besicilymag.it/2024/08/arte-e-cultura/domenico-modugno-era-siciliano-dadozione-lomaggio-al-cantautore-a-30-anni-dalla-sua-scomparsa/