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La Sicilia, con le sue tradizioni, la sua storia millenaria, i suoi paesaggi sconfinati in cui già si trovano le prime contraddizioni isolane costituite dall'alternanza tra speroni rocciosi e distese pianeggianti, i suoi abitanti che tendono più che mai ad esser in simbiosi con la propria terra, è tutto un mondo da scoprire. Un buon metodo di lettura e di conoscenza dell'isola è senza ombra di dubbio il cinema. In effetti, la Sicilia è una fonte inesauribile di storie nuove ed atmosfere sempre suggestive e coinvolgenti che interessano non solo il cinema, ma anche la letteratura, due forme espressive che spesso si uniscono, pur mantenendo sempre la propria identità, nel tentativo di offrire delle piacevoli rappresentazioni dell'isola stessa. Parlare di cinematografia in relazione alla Sicilia vuol dire ricordare una serie di film spesso ineguagliabili, dei capolavori realizzati grazie alla partecipazione di grandi interpreti italiani e stranieri e che hanno trattato varie tematiche, da quelle comiche a quelle d'amore, da quelle storiche a quelle mafiose. La cinematografia italiana e straniera si è molto interessata alla Sicilia ed i nomi ricorrenti e celebri che hanno rappresentato l'isola sono Visconti, Germi, Rosi, Taviani, ai quali si aggiungono quelli di artisti più "giovani" del calibro dei "Premi Oscar" Tornatore e Benigni e di Gianni Amelio. Affrontare il binomio Sicilia-Cinema vuol dire anche adottare criteri di scelta nel ricordare i numerosissimi film ed interpreti che hanno contribuito a rendere molto ricco tale settore. Il ilm di Francesco Rosi "Salvatore Giuliano", realizzato nel 1962 con gli attori Salvo Randone, Frank Wolff e Pietro Cammarata, è completamente girato in Sicilia e precisamente nei luoghi legati al famoso bandito (Montelepre - Pa -, dove il bandito nacque, e l'ambiente circostante costituito in prevalenza da montagne, a partire da Montedoro dove spesso il bandito si rifugiava, e Castelvetrano - Tp - dove egli visse l'ultimo periodo della sua vita e dove fu trovato morto). La scelta dei luoghi fu determinata, come ammise lo stesso regista, per ottenere un maggiore coinvolgimento emotivo alla vicenda che si stava narrando. Lo stesso tema è stato successivamente ripreso dal regista Michael Cimino nel 1987 per la realizzazione de "Il Siciliano". In questo caso la storia del famoso bandito siciliano, qui interpretato da Cristopher Lambert, ebbe una diversa ambientazione cinematografica, cioè Sutera - Cl -. La città fu scelta perché molto somigliante, per struttura, a quella originaria del bandito e per mantenere un certo alone di riservatezza attorno alla produzione. Il regista genovese Pietro Germi (1914-1974) ha scelto di ambientare alcuni dei suoi film a Sciacca - Ag - e precisamente per realizzare "In nome della legge" nel 1949 e "Sedotta ed abbandonata" nel 1964. I vari luoghi della cittadina sono stati ripresi nei due film per intrecciarsi meravigliosamente con le vicende narrate tanto da confondersi con esse. Pensare di rivedere oggi gli stessi luoghi è un'impresa ardua perché il tempo e soprattutto l'azione dell'uomo li ha notevolmente modificati. "Nuovo Cinema Paradiso" realizzato nel 1988 da Giuseppe Tornatore, film premiato con l'Oscar. Il film va ricordato come una testimonianza d'affetto nei confronti del cinema. In questo film si hanno numerosi riferimenti a film celebri, a partire da "La terra Trema", i cui titoli di coda scorrono nel cinema colpendo gli analfabeti e curiosi clienti, e "Catene". Il film va ricordato come uno squarcio della storia del costume, cioè di come il cinema ha saputo coinvolgere e far sognare chi vi si accostava e come un buon strumento di aggregazione. Alcune scene del film furono girate a Cefalù - Pa -, ed esattamente quelle riguardanti il porticciolo e le distese di case abbandonate, riprese che riguardano alcune fasi della crescita del protagonista del film. Il film "L'avventura", realizzato da Michelangelo Antonioni nel 1960, fu girato nelle Isole Eolie, ed esattamente a Lisca Bianca. Inizialmente l'isola è il teatro per l'incontro dei protagonisti del film che la scelgono per raggiungere i loro amici, ma ben presto essa si tramuta nel luogo della perdita. In effetti, durante una sosta, "Anna" (Lea Massari) scompare e "Sandro" (Gabriele Ferzertti) e "Claudia" (Monica Vitti) iniziano a cercarla. Nel frattempo tra i due nasce un sentimento, che però si rivelerà effimero quando, raggiunta Taormina, Claudia scoprirà Sandro tra le braccia di una prostituta. Molti film sono stati girati nella provincia di Ragusa. Un primo esempio è sicuramente "Marianna Ucria", film tratto dall'omonimo romanzo scritto da Dacia Maraini e girato da Roberto Faenza nel 1996 in buona parte a Villa Fegotto, nelle vicinanze di Chiaramonte Gulfi. Il regista Gianni Amelio realizzò nel 1993 il film "Ladro di bambini" per la Erre Produzioni e Alia Film con gli interpreti Enrico Lo Verso, Valentina Scalisi e Giuseppe Ieracitano. Le scene sulla spiaggia e col mare furono girate sempre nella provincia di Ragusa. Da ricordare il film "La stanza dello scirocco" tratto dal romanzo di Domenico Campana, realizzato dal regista Maurizio Sciarra ed interpretato da Giancarlo Giannini e dalla catanese Tiziana Lodato. Gli "interni" del film furono girati nel Castello di Donnafugata ed altre scene sono state girate a Monterosso Almo. Un successivo aspetto della cinematografia isolana riguarda gli attori nati in Sicilia e che hanno contribuito ad accrescerne la popolarità. Un altro grande attore siciliano è Giovanni Grasso (1873-1930), discendente da una famiglia di marionettisti e ricordato soprattutto per la sua recitazione estremamente dura e verista. Tra i film da lui interpretati occorre decisamente ricordare "Sperduti nel buio", un film muto del 1914 realizzato da Nino Martoglio e tratto dal dramma di Bracco. Il film tratta di due derelitti, il cieco Nunzio (interpretato da Grasso) e Paolina (interpretata da Virginia Balistrieri), diseredata dal padre naturale, il duca di Valenza, e sfruttata dalla malavita. "Nunzio" riesce a liberare la ragazza dalla sua schiavitù ed i due conducono insieme una vita misera mendicando. Turi Ferro (1921) è un altro attore siciliano molto famoso. Il suo impegno lavorativo maggiore è rappresentato dal teatro, ma ha lavorato spessissimo anche per il cinema. Si possono citare, infatti, film come "Un uomo da bruciare" (realizzato dai fratelli Taviani e da Valentino Orsini nel 1965), "Malizia" (film del 1973 realizzato dal regista Salvatore Samperi), "Il lumacone" (film del 1975 realizzato da Paolo Cavara e con gli attori Agostina Belli e Ninetto Davoli), "Il Turno" (realizzato da Tonino Cervi nel 1981 e con gli attori Laura Antonelli, Vittorio Gassman e Paolo Villaggio) e "Novella Siciliana" (opera realizzata da Wolf Gaudlitz nel 1988 per la Salafilm & Duofilm Munchen e con gli attori Hilmar Thate e Massimo Bonetti). Indimenticabile è la coppia di attori comici palermitani Franco Franchi (all'anagrafe Francesco Benenato) e Ciccio Ingrassia che realizzarono insieme più di cento film. Tra essi si può citare "L'Onorata Società" di Riccardo Pazzaglia girato nel 1962 insieme ad attori del calibro di Vittorio De Sica, Domenico Modugno e Rosanna Schiaffino. Indimenticabili sono anche le trasposizioni di alcuni testi letterari in opere cinematografiche. Tra le trasposizioni cinematografiche delle sue opere si possono citare, ad esempio, quelle riguardanti "Storia di una capinera" realizzata nel 1917 per la regia di Giuseppe Sterni per la Silentium Film e quella del 1945 realizzata per la regia di Gennaro Righelli con gli attori Marina Berti, Claudio Gora e Tina Lattanzi per la Titanius. Indimenticabili sono, inoltre, le trasposizioni cinematografiche de "La cavalleria Rusticana". L'opera verghiana è ricordata soprattutto per la sua drammaticità. Santuzza, compromessa per la sua relazione con Turiddu Macca, scopre d'esser stata tradita dal compagno che ha avuto un incontro amoroso con Lola, la moglie di Alfio di Licodiano. Lo stesso Turiddu, in realtà, era stato a sua volta tradito perché era innamorato di Lola, ma, quando ritorna dal servizio militare, scopre che la donna si era già sposata. Mentre tutta la cittadinanza sta seguendo la messa della mattina di Pasqua, Santuzza rivela tutto ad Alfio ed i due uomini si scontrano in un duello che decreterà la morte di Turiddu. L'opera letteraria divenne un film per ben due volte nel 1916, la prima per la regia di Ubaldo Maria del Colle per la Flegrea Film e la seconda per la regia di Ugo Falena per la Tespi Film. Ci furono altre rappresentazioni di tale opera, a partire da quella realizzata nel 1924 per la regia di Mario Gargiuolo per la Film d'Arte Italiana/Lombardo Film e quella del 1939 per la regia di Amleto Palermi, per la Scalera Film e con gli attori Isa Pola, Carlo Ninchi, Doris Duranti e Leonardo Cortese. L'agrigentino Luigi Pirandello si interessò al cinema in maniera sempre crescente. L'autore collaborò attivamente dando spunti originali per la realizzazione di vari film come "Acciaio" del 1933 realizzato da Walter Ruttmann, con articoli e conferenze aventi come soggetto sempre il cinema e con la messa in scena di sue numerose opere e novelle. Da citare, in quest'ultimo caso, sono le trasposizioni cinematografiche di "Liolà" - celebre commedia che narra delle alterne vicende amorose dell'anziano Zio Simone Palumbo e del gaio Liolà rappresentato nel 1964 per la regia di Alessandro Blasetti con gli attori del calibro di Ugo Tognazzi, Pierre Brasseur e Giovanna Ralli - e "Kaos" - realizzato nel 1984 per la regia di Paolo e Vittorio Taviani con gli attori Margarita Lozano, Claudio Bigagli e Massimo Bonetti -. Non si possono trascurare, inoltre, film come "L'uomo, la bestia e la virtù" tratto dalla commedia omonima di Pirandello e realizzato per la regia di Steno, film che riunisce attori del calibro di Totò, Orson Welles, Viviane Romance, Franca Faldini, Mario Castellani, Giancarlo Nicotra e Clelia Matania, ed ancora le varie rappresentazioni de "Il fu Mattia Pascal", come quella realizzata nel 1925 da Marcel L'Herbier e quella più recente realizzata da Mario Monicelli dal titolo "Le due vite di Mattia Pascal".Successivo esempio del felice connubio tra scrittori siciliani e cinema è rappresentato dalle trasposizioni cinematografiche di alcune opere di Leonardo Sciascia, a partire da "A ciascuno il suo" - realizzato nel 1967 per la regia di Elio Petri, per la casa Cemo Film e con gli attori Gian Maria Volontè, Irene Papas e Gabriele Ferzetti - e "Il giorno della civetta" - realizzato nel 1968 per la regia di Damiano Damiani per la Panda Cinematografica e con gli attori Franco Nero, Claudia Cardinale e Lee J. Cobb -. L'incontro tra Sciascia ed il cinema si ha anche con il film di Gianni Amelio "Porte Aperte" - realizzato nel 1990 per l'Istituto Luce Ucrania Film e con gli attori Gian Maria Volontè, Ennio Fantaschini e Vitalba Andrea - e con il film di Emidio Greco "Una storia semplice" - realizzato nel 1991 per la BBE Internatinal-Claudio Bonivento Production e con gli attori Gian Maria Volontè, Ennio Fantaschini, Ricky Tognazzi e Massimo Ghini . Lo stesso Sciascia ammise di sentirsi molto debitore nei confronti del cinema grazie al caratteristico modo di raccontare che ha tale strumento di comunicazione, così come il cinema, del resto, è debitore nei confronti di questo genio letterario siciliano dal quale attinse molto quando si voleva parlare di mafia, politica, giustizia, di intrighi dal chiaro riferimento a tematiche civili e sociali. Vitaliano Brancati può esser degnamente ricordato come un illustre figlio della Sicilia e come un intellettuale che si distinse per le sue attività di letterato, critico cinematografico, commediografo e sceneggiatore. Come autore teatrale, soprattutto nella maturità, si distinse per la trattazione di alcuni temi ricorrenti come l'osservazione dei costumi e la trasposizione, spesso esagerata, dei vizi della provincia. Lo scrittore nativo di Pachino aveva pubblicato il racconto "Il vecchio con gli stivali" da quale si ottenne l'idea per la sceneggiatura del famoso film "Anni Difficili" realizzato nel 1948 dal regista Luigi Zampa, girato a Modica - Rg -ed interpretato dagli attori Ave Ninchi, Umberto Spadaro e Massimo Girrotti. Tale lavoro è l'esempio classico della massima fedeltà tra cinema ed opera letteraria, è la testimonianza di come il protagonista Aldo Pisciatello è un antieroe, un uomo destinato a sottostare alla mentalità della sua Modica per esser successivamente e nuovamente sconfitto quando i tempi cambiano sotto il vento del fascismo e della democrazia.
Il binomio Brancati-Zampa merita d'esser ricordato non solo per questo film, ma anche per "Anni Facili" del 1953 e "L'arte di arrangiarsi" del 1955, film che costituiscono una chiara testimonianza della forza della Sicilia e primi esempi di satira sociale e politica. Tra le altre trasposizioni cinematografiche di opere letterarie occorre citare quella del romanzo di Luigi Capuana "Il Marchese di Roccaverdina" realizzata da Fernardo M. Poggioli nel 1943; il film è intitolato "Gelosia", ha come interpreti Luisa Ferida, Ronaldo Lupi ed Elena Zareschi e fu prodotto da Cines-Universalcine. "Il Gattopardo", film del regista milanese Luchino Visconti (1906 -1976), è tratto dal classico di Tommasi Di Lampedusa e fu realizzato nel 1963 per la Titanius e con gli attori Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale. Il film va ricordato come uno spaccato della società siciliana al tempo dell'impresa dei garibaldini, dell'avvicinamento di due differenti classi sociali attraverso una proposta di matrimonio (da una parte c'è Tancredi-Alain Delon, esponente della vecchia classe nobiliare siciliana che dalla sua parte ha solamente il buon nome ed il rango e Angelica - Claudia Cardinale, esponente della nuova classe media emergente che non possiede cultura ma che può contare su un ingente patrimonio. Il film è un tipico specchio dei travolgimenti sociali che riguardarono la Sicilia in quegli anni ed il tutto è reso ancora più vivo dai discorsi disincantati del Principe di Salina che denunciano, con il loro pessimismo, la fine di un'epoca con la dissoluzione che il ceto nobiliare si appresta a vivere. Infine, occorre citare "Diceria dell'untore", opera realizzata nel 1990 da Beppe Cino e tratta da un romanzo di Gesualdo Bufalino con gli attori Franco Nero, Lucrezia Lante Della Rovere, Fernando Rey, Remo Girone, Salvatore Cascio, Dalila Di Lazzaro, Gianluca Favilla, Nando Murolo, Egidio Termine e Vanessa Redgrave. Il film va ricordato per l'estrema fedeltà data allo spirito del testo letterario, per l'intensa interpretazione degli attori e per l'attenta rappresentazione della cruda ed estrema realtà del sanatorio. Il contatto tra la Sicilia ed il cinema si può vedere sotto una diversa angolazione, cioè quella che unisce i grandi registi alle tematiche siciliane. Un primo esempio è dato dalla forte presenza del regista genovese Pietro Germi (1914-1974). Sorvolando sui già citati "In nome della legge" (film di mafia del 1949 per la Lux Film e con gli attori Massimo Girotti, Jone Salinas, Charles Vanel e Saro Urzì tratto dal romanzo dell'ex magistrato Giuseppe Lo Schiavo) e "Sedotta e abbandonata" (film realizzato nel 1964 con gli attori Stefania Sandrelli, Saro Urzì e Aldo Puglisi per la Ultra-Vides-Lux Film), il binomio Germi-Sicilia si ricorda degnamente per lo splendido film "Divorzio all'italiana" e "Il cammino della speranza". "Divorzio all'italiana" fu girato nel 1962 con gli attori Marcello Mastroianni, Daniela Rocca e Stefania Sandrelli. Ad Agramante, un paesino disperso nella provincia siciliana, il barone Fefè Cefalù (Mastroianni) ha per moglie una donna gelosa e trascurata, rappresentata dalla Rocca, e nel contempo è innamorato, e ricambiato, dalla cugina (rappresentata dalla Sandrelli). Il barone, per coronare il suo sogno d'amore, ha come sola via d'uscita quella data dal "delitto d'onore". Spinge la moglie nelle braccia dell'ex spasimante per poterli così cogliere in flagranza di reato, cosa che però non accade perché i due amanti riescono a fuggire prima dell'arrivo del barone. Così egli diventa lo zimbello del paese e la vendetta diventa quasi un obbligo: quando Fefè trova ed uccide i due amanti ottiene un processo trionfale che si chiude con la condanna al minimo della pena, tre anni di reclusione. Quando Fefè torna ad esser un uomo libero, può finalmente sposare l'amata cugina, non sapendo che la donna incomincerà a tradirlo già dal viaggio di nozze. "Il cammino della speranza" fu girato nel 1950 con gli attori Raf Vallone, Elena Varzi, Saro Urzì e Franco Navarra. La tematica affrontata è sociale e riguarda le vicende di un gruppo di minatori dopo la chiusura delle miniere e la loro conseguente emigrazione. Da non dimenticare è decisamente l'ingente produzione del regista napoletano Francesco Rosi. Il suo legame con la Sicilia si vede già dall'esordio della sua carriera, quando lavorò come aiuto-regista per Luchino Visconti per la realizzazione de "La terra trema". I suoi primi film si ricordano come una sorta di denuncia sociale e danno una chiara idea di come il regista elaborò un suo codice linguistico-cinematografico del neorealismo. Se il suo capolavoro eccellente è il già ricordato "Salvatore Giuliano", indimenticabili restano altri film, dalle chiare tematiche sociali. Da citare, innanzitutto, è il film "Il caso Mattei" girato nel 1972 ed interpretato magistralmente da Gian Maria Volontè, Franco Graziosi e Luigi Squarzina. Il film-inchiesta tratta dell'attività di Enrico Mattei e del contesto storico in cui essa si svolse ed anche della scomparsa del giornalista Mauro De Mauro che lavorava per il quotidiano "L'Ora" di Palermo. Un film dalla chiara tematica mafiosa realizzato da Rosi è "Lucky Luciano" realizzato nel 1973, prodotto da Franco Cristaldi per la Titanius ed interpretato in maniera magistrale da Gian Maria Volontè, Edmund ÒBrien, Vincent Gardenia, Silverio Blasi, Charles Cioffi, Larry Gates e Rod Steiger. Il film è una sorta di biografia del gangster che evitò l'ergastolo grazie all'aiuto che diede agli Alleati durante lo sbarco in Sicilia e che, ritornato in Italia, continuò le sue attività illegali di controllo sulla mafia italo-americana finché non morì a causa di un infarto. Occorre citare il film "Cadaveri eccellenti", opera tratta dal lavoro di Leonardo Sciascia "Il contesto" e realizzata nel 1976 con gli attori Lino Ventura, Alain Cuny e Tino Carraro. Il film ha una doppia ambientazione (Sicilia-Roma) e dimostra ancora una volta che il connubio Sciascia-cinematografìa permette di creare delle opere dagli intrighi sociali e politici davvero corposi e dai chiari richiami sociali e politici. In questo caso il protagonista è l'ispettore Rogas che indaga sulle morti sospette di alcuni procuratori e giudici, cioè delle personalità importanti, "eccellenti", finché non scopre un contesto eversivo particolare, una sorta di potere negativo che si è fortificato creandosi una discreta rete di interessi economici ed intrecciando legami sociali. Il film non ha un lieto fine poiché si conclude con la morte dell'ispettore.
Un
affresco corale sulla memoria collettiva che diventa un omaggio al
cinema del passato La
storia di una famiglia siciliana che prende le mosse dal ventennio
fascista in cui Cicco, sin da bambino apertamente contestatore, è un
pastore che ha la passione per la letteratura epica. Suo figlio Peppino,
cresciuto durante la guerra, entrerà nelle file del Partito Comunista
divenendone un esponente di spicco sul piano locale e riuscendo a
sposare, nonostante la più assoluta opposizione della famiglia di lei,
Mannina che diventerà madre dei loro numerosi figli che saranno
comunque considerati da alcuni sempre e comunque ‘figli del
comunista'.
Oggi ben pochi sembrano accorgersi della perdita della conoscenza di un passato recente in cui umiliazioni, lotte e parziali vittorie lasciavano segni profondi nella collettività. Segni che, come l'affresco sulla volta della chiesa, 'dovevano' essere cancellati. Ma ciò che al regista sembra premere ancor di più è il mostrare come il retaggio di un passato di tradizioni ormai incancrenite nella società non sia stato ancora superato nella realtà sociale siciliana e non solo. La sequenza dell'assessore all'urbanistica non vedente che si fa portare i piani regolatori in plastico e li apprezza solo dopo aver intascato l'ineludibile mazzetta è di quelle che si ricordano. Così come (pur nel caleidoscopio a tratti pensoso e a tratti decisamente macchiettistico della miriade di personaggi che attraversano la scena) resta presente, nello scorrere degli anni e delle vicende, la pessimistica sensazione di una sorta di atavica maledizione a causa della quale le uova rotte e i serpenti neri finiscono col far parte del passato, del presente e del futuro di una terra che ha bisogno di una frattura traumatica per poter liberare una volta per tutte una vitalità creativa che certo non le manca. http://it.wikipedia.org/wiki/Baar%C3%ACa http://www.mymovies.it/film/2009/baarialaportadelvento/
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Sul set con Burt Lancaster tra ville, feste e tante gelosie Un despota rinascimentale trapiantato in epoca dannunziana. Questo era Luchino Visconti. Lo conobbi a Roma, nella casa di Fedele d' Amico, di cui ero stato allievo, e della moglie Suso Cecchi che sceneggiò poi "Il Gattopardo". Io fui coinvolto appieno, seppur in forma non ufficiale, come «consigliere». La lavorazione durò da maggio a ottobre; tutte le scene sono state girate in Sicilia, salvo gli interni di Donnafugata per i quali fu utilizzata villa Chigi di Ariccia e qualche scena a Cinecittà. Durante la lunga estate siciliana, facemmo una vita molto particolare. L' idea era quella di un gruppo di gran signori che fanno una vacanza in Sicilia: Visconti prese in affitto la Tonnara Bardonaro vicino Palermo e la addobbò a meraviglia, Burt Lancaster prese Villa Scalea, e di sera c' erano sempre feste e ricevimenti. Del resto, si sa, Luchino viveva come un sovrano. Un' atmosfera ricca, fastosa... Un set fondamentalmente tranquillo. Se problemi c'erano, investivano non il mondo professionale, ma quello personale, privato. Soprattutto per gelosie, nell' harem che Luchino si portava dietro. Suso Cecchi e Romolo Valli facevano da mediatori. è stata un' esperienza unica. E quando mi chiedono se il film ha tradito il romanzo, dico no. Non in questo caso. E per un motivo: Visconti e Tomasi di Lampedusa erano due persone simili, due aristocratici che avevano memoria del secolo precedente attraverso la tradizione orale familiare, i racconti dei nonni. Il sentimento nei confronti della storia era in entrambi di reminiscenza e nostalgia. Anche l' attrazione per certi luoghi, come i palazzi di famiglia... se sei cresciuto in posti così sei segnato, gli spazi in quel caso sono più forti dell' individuo. Insomma, erano due uomini della stessa classe sociale, separati però da un punto di vista: Tomasi di Lampedusa aveva quello dei vinti, Visconti quello dei vincitori.
Insomma due esponenti dell' aristocrazia separati "filosoficamente" dalla storia, e dalle storie, dell' Italia. E credo sia questo il motivo per cui Luchino portò qualche piccola alterazione al testo. Fu una estate affascinante. Conobbi Claudia Cardinale e Burt Lancaster. Quest' ultimo era di spettacolare intelligenza. E poi c' era il gruppo che faceva teatro con Visconti, da Paolo Stoppa a Romolo Valli. E proprio su Stoppa Luchino esercitò una delle sue consuete cattiverie: chiamò nel cast sua moglie, Lola Braccini, che lui aveva lasciato per Rina Morelli, anche lei nel film. E passammo qualche momento molto imbarazzante. Luchino, sebbene artista dotato di colossale autorità, aveva con gli attori lunghissime conversazioni. Se dovessi esprimere in due parole il tratto che distingue lo storicismo romantico di Visconti da quello corrente lo individuerei nell' assenza di ogni sentimentalità. Gli attori dovevano trasmettere l' immagine della perfezione di cui è capace un attore, non dovevano confondersi con la mimesi della realtà. Gli attori de "Il Gattopardo" risposero a queste aspettative e lasciarono un segno nella sua vita. Da non sottovalutare Visconti come regista d' opera. Nel mio lavoro di sovrintendente penso spesso a Visconti perché ebbe grande influenza sulla regia lirica italiana e ritengo che il suo genio l' abbia in un certo senso annientata. A rivedere oggi le riprese dei suoi allestimenti essi possono sembrare superati, invece Visconti è stato un regista altamente innovativo. Ricordo "Le nozze di Figaro" del '66, così anti-salisburghese. Erano di moda fino ad allora le messinscene incipriate, settecentesche, invece lui ambientò l' azione in una casa di campagna in Spagna a fine Seicento; tutto molto campestre e meno imparruccato. Visconti ha trasformato l' opera da mascherata a storia degli affetti. Un cambiamento affascinante. * sovrintendente del teatro San Carlo di Napoli GIOACCHINO LANZA TOMASI - 02 novembre 2006
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I N G R A N P A R T E G I R A T I A C A T A N I A
Regia:
Giambattista Avellino, Salvatore Ficarra, Valentino PiconeSceneggiatura:
Giambattista Avellino, Francesco Bruni, Salvatore Ficarra, Valentino
PiconeAttori: Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Mario Pupella, Anna
Safroncik, Mariella Lo Giudice, Giovanni Martorana, Filippo Luna, Maria Di
Biase, Pino Caruso, Domenico Centamore Questa è la storia di una lite, anzi della lite. Quella lite, simile a tante altre che già erano state, ma che allontanò per sempre due fratelli, e le loro famiglie. Due fratelli che avevano sempre vissuto da fratelli, condividendo gioie e dolori, superando insieme le difficoltà della vita e dei loro caratteri, con amore. Lo stesso affetto che avevano trasferito ai loro figli, i due cugini, (Ficarra e Picone), cresciuti per tanti anni come fratelli. Così diversi tra loro: prepotente e carnefice il primo (Ficarra), remissivo e vittima il secondo (Picone). Poi, d'improvviso, quella lite li allontanò, rendendoli non più fratelli, se non nei loro ricordi di quel meraviglioso periodo della vita, che è l'adolescenza. Oggi, al momento della nostra storia, i nostri eroi sono due trentenni che conducono due vite profondamente diverse che il destino farà ritrovare...
Il Messaggero. ROMA (6 marzo 2009) - Hanno alle spalle due film di successo (Nati stanchi ha incassato un miliardo e mezzo di lire, Il 7 e l’8 più di dieci milioni di euro) e sono riusciti ad abbattere altrettanti luoghi comuni: quello secondo il quale un’opera che ha successo al botteghino non può piacere anche alla critica e quello secondo cui i comici, se tentano la strada del grande schermo, falliscono inesorabilmente. Oggi Ficarra e Picone puntano ancora più in alto e, con il loro ultimo film, La Matassa, si prendono il lusso di sbeffeggiare la mafia. Il risultato è una commedia ricca (dall’attenzione ai piccoli ruoli alla notevole fotografia), diretta a sei mani dai due comici palermitani assieme a Giambattista Avellino e prodotta da Attilio De Razza in collaborazione con Medusa e Sky, nei cinema con Medusa dal 13 marzo in 500 copie. «La verità - raccontano Ficarra e Picone - è che ci è sempre piaciuto capovolgere le situazioni: per questo abbiamo dipinto personaggi come il mafioso che non riesce ad imporsi neanche a casa sua. Qualcuno si indigna quando si ironizza su una faccenda grave e tragica come la mafia, ma, secondo noi, il silenzio è peggio. Ricordiamo che anche Chaplin ha scherzato sul nazismo. Quanto a noi, siamo abituati a irridere i potenti, lo facciamo spesso a Striscia la notizia (ci torneranno il 30 marzo, ndr)». Nel film, la matassa da sbrogliare è quella di una lite fra due fratelli, che viene poi “ereditata” dai rispettivi figli, che da bambini erano inseparabili. Il tutto, fra avventure, pizzi e pizzini di mafia, sullo sfondo di Catania: per questo all’anteprima di ieri, Pippo Baudo ha voluto accompagnare i comici e godersi in prima fila il film sulla sua città. Del resto, a parte Anna Safroncik (che interpreta la socia in affari di Ficarra), il cast pullula di isolani: Pino Caruso (il sacerdote amico), Tuccio Musumeci, Domenico Centamore, Mario Pupella e Giovanni Martorana. Per non parlare di Claudio Gioè, che per la tv è stato addirittura Totò Riina. I comici qui interpretano due cugini, i figli di quei due fratelli che avevano litigato. Salvo Ficarra è il tipo che si crede più furbo degli altri, per questo ha aperto una sottospecie di agenzia “matrimoniale”, che procura permessi di soggiorno agli extracomunitari, mentre Valentino Picone è il timido e ipocondriaco proprietario dell’hotel di famiglia, pieno di debiti e soggetto a ruberie come se piovesse. «Abbiamo scelto di raccontare una lite in famiglia - affermano i comici - perché è veramente un tema universale e trasversale: diciamo la verità, succede a tutti. Noi siciliani, poi, litighiamo in un modo speciale: in silenzio. Se sono offeso con uno - sottolinea Picone - è lui che deve accorgersene da solo: già sono arrabbiato, vi pare che glielo devo pure dire?».
Italia, USA. è un film del 1961 diretto da Richard Fleischer, tratto dal romanzo Barabba di Pär Lagerkvist. un precedente adattamento cinematografico del romanzo, Barabba, era stato prodotto in Svezia nel 1953 con la regia di Alf Sjöberg. Anthony Quinn, Silvana Mangano, Vittorio Gassman, Jack Palance, Arthur Kennedy, Katy Jurado, Norman Wooland, Valentina Cortese, Harry Andrews, Arnoldo Foà, Ernest Borgnine, Michael Gwynn, Laurence Payne, Guido Celano, Rocco Roy Mangano, Emma Baron, Paola Pitagora, Vera Drudi, Rina Franchetti, Antonio Segurini, Piero Pastore, Peter Tavis, John Stacey, Richard Watson, Friedrich von Ledebur, Maria Zanoli, Jay Weston, Marylin Tosatti, Marco Tulli, Jacopo Tecchio, Tullio Tomadoni, Margherita Sala, Joe Robinson, Vladimiro Picciafuochi, David Maunsell, Paul Muller, Joseph Pilcher, Robert Hall, Carlo Giustini, Enrico Glori, Fernando Hillbeck, Rick Howes, John Palance, Spartaco Nale, Douglas Fowley, Eugene Gervasi, Robert Gardett, Marylin Lombardo, Alberto Carlo Lolli, Bill Kuehl, Maria Marchi, Walter Maslow, Curt Lowens, John Farksen, Ralph Dammers, Gustavo De Nardo, Livia Cordaro, Caroline de Fonseca, Gianni Di Benedetto, Marcello Di Martire, Anna Maria Ferrara, Audrey Fairfax, Rina Braido, Nando Angelini, Colm Caffrey, Miranda Campa Dopo essere stato liberato per ordine di Ponzio Pilato, Barabba riprende la sua vita violenta di brigante e, anche se il ricordo del Nazareno cui deve la vita è ormai impresso indelebilmente nella sua mente, rifiuta di credere in Lui. Per avere ucciso uno dei responsabili della lapidazione di Rachele, una sua amica convertitasi alla nuova religione, viene condannato nuovamente, questa volta ai lavori forzati. Nelle miniere di Sicilia stringe amicizia con un cristiano e, una volta liberato, viene messo, insieme al nuovo amico, al seguito di un senatore romano. Giunti a Roma, i due vengono arruolati fra i gladiatori. Quando Nerone dà la città alle fiamme, credendo di far cosa gradita al Signore (la colpa dell'incendio è infatti addossata ai cristiani), Barabba brucia un magazzino. Scoperto ed arrestato, muore sulla croce, ripetendo le parole udite sul Calvario: "Mi rimetto nelle tue mani, o Signore".
Una parte del film è ambientata e girata a Catania. Fefè infatti ha voglia di rivedere Angela e deve fare un acquisto importante, così, dopo la prima scena che mostra una panoramica su piazza Duomo, con la fontana dell’Elefante, ritroviamo il barone al tavolino di un bar del porto di Ognina mentre immagina il suo delitto e offre del vino ad un avvocato.
Regia: Pietro Germi anno: 1962 Nazione: Italia Produzione: Lux Film Durata: 120' Genere: commedia CAST Daniela Rocca Marcello Mastroianni Leopoldo Trieste Stefania Sandrelli Lando Buzzanca Nella
rovente terra di Sicilia, il barone Fefè Cefalù (Marcello Mastroianni),
arde d'amore, riamato, per la cugina
sedicenne (Stefania Sandrelli), cui potrebbe essere padre. Peccato
però, che egli, oltre ad essere, per cause paterne, quasi totalmente in
rovina, sia anche maritato da dodici lunghissimi anni con una fedele,
amorevole e sottomessa femmina, non solo tutt'altro che bella, ma in
grado di raffreddare, come dire, qualsiasi slancio amoroso ed affettivo
del marito, che, chissà perché, "se la pigliò". Graffiante,
grottesco, di ironica denuncia; sapido, intelligente, senza pause;
monotematico (art. 587 C. P.), eppure poliedrico, artistico, spassoso;
un piccolo capolavoro. Ecco quel che ci viene in mente, a tutta prima,
riguardo quest'opera del regista Pietro Germi, che mette alla berlina
tutta l'ipocrisia, l'egoismo, il maschilismo becero e moralmente
inaccettabile di un periodo che oggi pare tanto lontano, ma che in
realtà è appena dietro l'angolo. Mattatore assoluto e perfettamente
plausibile, tra i suoi rovelli, benché in una parte risibile e
buffonesca, un Mastroianni dai mitici baffi, io narrante per gran parte
della pellicola. Bella prova per la giovane Sandrelli (doppiata).
Assolutamente irresistibili certi passaggi del film, come quello in cui
il barone, ormai pubblicamente tradito, scorre la posta, custodendo
gelosamente per il futuro processo le missive anonime con scritto
"cornuto", e stracciando con disgusto le lettere di
solidarietà pervenute. Perfino il finale, anzi finalissimo, regala
tanto, assecondando il motto latino "in cauda venenum".
La Sicilia «sedotta e abbandonata» Cinquant'anni fa usciva nelle sale il film di Pietro Germi, sequel di «Divorzio all'italiana» Franco La Magna Microcosmo e pendant d'una Sicilia immobile, grottescamente esibita in catalessi etnico-culturale, priva di qualsiasi movimento dialettico della storia, «Sedotta e abbandonata» (1964, rabbrividente sottotitolo «Una storia di mostri») di Pietro Germi - uscito nelle sale esattamente mezzo secolo fa - nasce come fortunato sequel dell'ancor più osannato «Divorzio all'italiana» (1961), anch'esso patologica risultante di un'abiezione gabellata come siciliana, premiato da americani e francesi che gli assegnarono i primi l'Oscar alla sceneggiatura (dello stesso Germi, Age e Scarpelli) e i secondi la Palma come miglior soggetto. Dopo la perniciosa fase calante degli anni ‘50, il genovese Germi - (di cui quest'anno ricorre una tripla ricorrenza: nascita, morte e il 50° di «Sedotta e abbandonata») creativamente svigorito, indossati nuovamente i panni di regista «a vocazione meridionale» ritrova ispirazione ripiombando nell'isola a tre punte variando, però, drasticamente tematiche e registro stilistico. Non più mafia («In nome delle legge») o drammi dell'emigrazione («Il cammino della speranza»), bensì commedia e riflettori puntati su aberranti, inaccettabili e mostruose, sopravvivenze di costumanze locali. Una grottesca «mostrazione» di quel vero e proprio museo degli orrori che la Sicilia «metastorica» offre all'occhio del settentrionale Germi: un corpo estraneo alla nazione, un enclave, su cui impartire una lezione di civiltà. Al centro del racconto la famiglia Ascalone, asservita e dominata dal bestiale Vincenzo (interpretato dall'ormai fetish Saro Urzì) - indiscusso e temuto pater, accanto a cui ruota una pavida genìa isolana sottomessa ai voleri del padre padrone, incontrastato sovrano assoluto e incrollabile bastione d'una sessuofobica e repressiva morale tradizionale. Un «despota per tradizione», che impone a tutti gli sciagurati componenti la sua inflessibile volontà di depositario d'una sacralità morale cui nessuno può e deve osare di ribellarsi. Vincenzo Ascalone incarna la codificazione di uno status quo, dell'unico possibile modello d'organizzazione familiare del tutto priva di dialettica interna, dove «onore e famiglia» sono i dogmi assoluti cui immolare la propria esistenza e laddove il concetto di «onore» s'identifica principalmente con l'illibatezza e la fedeltà delle donne e quello di «famiglia» con il dominio del sovrano assoluto. La «ribellione» (se tale può intendersi) della figlia Agnese, segretamente innamorata del futuro cognato, sconvolge momentaneamente l'ordine costituito, ma Ascalone dopo mille infausti eventi guiderà la ribelle - con minacce, bastonature, blandizie e infine rimettendoci la vita - nell'alveo della tradizione.
Il malcelato moralismo di Germi non sfiora neppure il problema del matriarcato siciliano e tantomeno quello del fallimento storico dello Stato unitario nei confronti del Sud, avallando un protagonismo declamatorio e mistificante che qui tocca il culmine e diviene mallevadore dell'immagine stucchevole, bozzettistica, macchiettistica e distorta d'un'isola «anomala» non per motivi storici ma per lombrosiana predisposizione, quindi da recuperare a superiori modelli di civiltà. Le maschere mostruose che abitano la Sicilia non sono frutto (per Germi) della storia violenta di miseria, di sangue e di sopraffazione subita, bensì (positivismo scientista lombrosiano docet) problema biologico di brachicefali da affidare allo studio dell'antropologia criminale.
Il tentativo di Germi di far tabula rasa, secondo le sue parole, «di usi e costumi che offendono la coscienza civile» resta purtroppo per la Sicilia uno dei più colossali inganni del cinema italiano, così ben costruito da essere avallato e perfino amato dagli stessi siciliani. Sebbene non accolto con lo stesso successo ed entusiasmo del precedente, davvero straordinaria appare la prova dell'intero cast (quasi tutto indigeno), guidato da una regia impeccabile e come sempre attentissima alle caratterizzazioni minori: Stefania Sandrelli (Agnese, sedotta dal fidanzato della sorella, rapita per simulare la classica "fuitina" e alla fine costretta a sposarlo), il catanese Aldo Puglisi (esagitato seduttore, purtroppo poco valorizzato dal cinema e poi dedicatosi quasi esclusivamente al teatro), Leopoldo Trieste (nobile spiantato ma onusto «d'onore», Nastro d'Argento), Saro Urzì (anch'egli premiato a Cannes e con il Nastro d'Argento), Lando Buzzanca (il pavido fratello «costretto» dal padre a vendicare l'onore violato), ancora in una delle sue prime apparizioni, poi divenuto l'amatorius siculus per antonomasia d'un cinema ripiegato ad libitum su corrivi clichés. E ancora una galleria di «minori» che completano l'aberrante corpus compatto di siculi orrori. La Sicilia 24/03/2014
Via Crociferi, un set tra i più ricercati dai registi di cinema Un ruolo di primo piano per la bellissima strada. Nel breve spazio hanno girato Bolognini, Zeffirelli,Vicario, Wertmuller, Samperi, Zaccaro (La
Sicilia 12.5.2012) di Mario Bruno
Via Crociferi amatissima, dunque, non soltanto dagli uomini del cinema
ma pure da documentaristi, da studiosi di storia, da fotografi
rinomati provenienti da tutto il mondo per ritrarre i prospetti delle
chiese, l'arco di San Benedetto, il cancello di ferro battuto
dell'omonima chiesa, la prima delle quattro che si incontrano salendo
dalla piazza San Francesco d'Assisi, che ospita la casa natale di
Vincenzo Bellini «il Cigno» e il monumento al cardinale Dusmet.
Proseguendo si incontra la chiesa di San Francesco Borgia e, a
seguire, il Collegio dei gesuiti, vecchia sede dell'Istituto d'arte,
che ha al suo interno un bel chiostro con portici su colonne e arcate
sulle quali si soffermò l'obiettivo di Diego Ronsisvalle per «Gli
astronomi». Di fronte al Collegio spicca la chiesa di San Giuliano un
tempo definita «patrizia» perché vi si celebravano cerimonie
religiose per i nobili e considerata uno degli esempi più eleganti
del barocco catanese. E' proprio all'interno e all'esterno di questo
tempio che il regista Zaccaro ambientò la scena del matrimonio fra
Barbara (l'attrice Nicole Grimaudo) e Antonio Magnano (Daniele Liotti)
soprannominato il bell'Antonio, uomo attraente ma affetto da
impotenza: un'onta per i «masculi siculi» con in testa il padre di
Antonio, Alfio Magnano, il quale andrà a morire in una casa di
tolleranza pur di dimostrare a tutti l'indiscussa virilità del suo
«casato».
scene girate in Via Etnea, Via Vittorio Emanuele II, San Nicolò l'Arena in Piazza Dante, Piazza Asmundo, Via Alessi, Via delle Finanze, Via de Marco, ex Piazza Nicosia, S. Agata Li Battiati (casa degli sposi) https://catania.italiani.it/il-bellantonio-pellicola-tra-le-sontuosita-di-catania/
Produzione Italia Anno 1959 b/n Regia Mauro
Bolognini -
Interpreti Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Pierre
Brasseur, Rina Morelli All’inizio Antonio, che vanta una fama di dongiovanni, confermata dagli sguardi maliziosi che gli rivolgono tutte le donne che incontra, è scettico sul matrimonio. Ma quando il cugino Edoardo (un irriconoscibile Tomas Milian) gli mostra la foto della ragazza, Antonio ne rimane fulminato, innamorandosene perdutamente. Celebrato così il matrimonio, però, si svela un problema di impotenza del protagonista, con la moglie che, dopo un anno, chiederà l’annullamento del matrimonio stesso. Questo scandalo sconvolgerà la quiete della famiglia di Antonio, fino a travolgere l’orgoglioso padre, che rimarrà vittima della sua smania di mostrare al mondo il suo immutato vigore maschile. Il bell’Antonio scava dentro le macerie di una famiglia italiana ormai in decomposizione sociale e in un mondo/città chiuso e provinciale, dove la sessualità e il matrimonio sono ancora dei vincoli ben definiti e la virilità maschile ha bisogno di continue conferme sociali. In questo ambito può pertanto liberamente sfogarsi tutta la rabbia accumulata - con le frustrazioni subite in Friuli - da Pier Paolo Pasolini, che di quei vecchi costumi sociali fu uno dei più grandi castigatori. Il film di Bolognini, delicato e quasi “in punta di piedi”, sceglie di non urlare questa rabbia, ma di rappresentare questo ‘piccolo mondo”, tutto chiuso in un universo familiare oppressivo e autoreferenziale. In questo contesto emergono le straordinarie interpretazioni di Rina Morelli e Pierre Brasseur nei panni dei genitori di Antonio, mentre Mastroianni può candidamente esibire la sua ambiguità senza timore di perdere quel suo fascino proverbiale. Il DVD ci presenta il film in una splendida versione restaurata, mostrandoci negli extra come era ridotta la pellicola prima di questo intervento. Materiali sulle riprese del film, un lungo trailer-presentazione e una ricca galleria fotografica completano un pacchetto di contenuti speciali più che discreto, per un film “antico” nei contenuti quanto “moderno” nello stile.
Mastroianni e Cardinale a Catania il centro storico diventa magico Luciano Mirone Tra i palazzi della Catania barocca si consuma il dramma di un uomo. Antonio Magnano, giovane di famiglia alto borghese, affascinante e corteggiato, non riesce a consumare il matrimonio con la bella moglie Barbara Puglisi della quale è profondamente innamorato. L' impotenza di un Magnano, sulla cui mascolinità nessuno aveva mai osato dubitare, distrugge le certezze del padre Alfio (Pierre Brasseur), federale ai tempi del fascismo, frequentatore di bordelli e sedicente «sciupafemmine». Una fine drammatica come drammatico è il film, "Il bell' Antonio" (sceneggiato da Pier Paolo Pasolini e Gino Visentini) attraversato da una venatura di sottile ironia che mette in ridicolo il mito dell' uomo forte e le incrostazioni culturali di certa borghesia siciliana. Il regista Mauro Bolognini affida la parte dei protagonisti ai «bellissimi» del cinema italiano, Marcello Mastroianni, allora trentacinquenne, e Claudia Cardinale, all'inizio della carriera. Rispetto al romanzo di Vitaliano Brancati (scritto nel 1949 e ambientato nella Catania fascista), Bolognini sposta la storia (rimaneggiata in più parti) nel periodo a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, tempi in cui il mito del maschio resiste ancora, soprattutto nella capitale del «gallismo» siciliano. Per l' ambientazione sceglie gli angoli più suggestivi del centro storico. Basta affacciarsi dalla terrazza del palazzo settecentesco di via Vittorio Emanuele, che nel film appartiene ai Magnano, per capire come la scelta di Catania si riveli felice. Un «giardino di pietra» costruito dopo il terremoto del 1693, ammantato dalle atmosfere magiche della pellicola in bianco e nero: la sagoma dell' Etna, le cupole delle chiese, i tetti delle case, il duomo che si affaccia sulla piazza dove spiccano i palazzi progettati dall' architetto palermitano Giovan Battista Vaccarini, l' obelisco con l' elefante e la via Etnea, quattro chilometri di raffinato barocco. La storia inizia alla stazione di Catania. Antonio Magnano proveniente da Roma, dove ha vissuto per qualche anno, torna nella sua città. Antonio si incammina verso la casa di famiglia costeggiando la marina, il palazzo dei principi Biscari, fino a porta Uzeda, dal nome dei viceré spagnoli che governarono la città. Poco dopo arriva a piazza Palestro dove si erge porta Garibaldi, un arco di pietra nera inframezzato da blocchi di pietra bianca eretto nel 1768. Siamo nel popolare quartiere Fortino. Cammina ancora. Adesso la macchina da presa inquadra la chiesa della Madonna del Carmelo in piazza Carlo Alberto, nel film completamente vuota, nella realtà sede del pittoresco mercato della «Fera 'o luni». Tra sporadiche Seicento e qualche tram in lontananza, giunge nella casa di famiglia. La dimora dei Magnano è al secondo di un palazzetto di tre piani. A pianterreno si intravedono la pasticceria Reale, un negozio di mobili e di ciclomotori (ormai scomparsi). Sullo sfondo una scritta, "Vespa". Dal balcone accanto si affaccia la moglie dell'avvocato Ardizzone: «Signor Alfio, ho saputo che suo figlio è tornato dalla capitale». Poco dopo ecco anche la figlia (l'attrice Fulvia Mammi), da sempre desiderosa di sposare Antonio. E poi dal piano di sotto il senatore. Tre balconi che nel film hanno un ruolo importante. All'epoca proprietari dell'abitazione erano i Gemma, benestanti catanesi concessionari della Piaggio. Alberto Gemma aveva 18 anni: «Un giorno si presentarono a casa il regista Mauro Bolognini e il produttore Alfredo Bini, patron della casa Cino Del Duca, che chiesero il permesso di utilizzare l' appartamento per gli esterni. Evidentemente il nostro edificio, all' angolo fra la chiesa di San Placido e i palazzi di via Vittorio Emanuele, faceva al caso loro. "Inutile dire", spiegò Bini, "che la produzione pagherà il disturbo". "Non vogliamo soldi", disse mia madre. "Chiediamo soltanto la presenza di Mastroianni e della Cardinale nel negozio: vorremmo fotografarli a bordo delle Vespe". Il produttore rimase di stucco, l' affitto di una casa per girare un film veniva pagato profumatamente. Dopo mezz' ora mandò cinquanta rose gialle. Nella sede centrale della Piaggio quando videro le foto non credettero ai loro occhi. Le pubblicarono sulla loro rivista, anche in copertina. Il cast stette una settimana e mia madre non faceva mancare i cannoli. La Cardinale era molto riservata, ma anche molto simpatica. L' amicizia durò anche dopo: per tanti anni, in occasione delle feste, ci fu un intenso scambio di biglietti di auguri. A Mastroianni andò la mia stanza per i riposini pomeridiani. A Pierre Brasseur, simpaticissimo e bravissimo attore, faceva trovare una bottiglia di vino che lui tracannava in pochissimo tempo. Ogni tanto veniva anche Tomas Milian, che interpretava il cugino di Antonio». Ma torniamo al film. Dopo il fidanzamento fra Antonio e Barbara, muore il nonno della ragazza. Tre i luoghi scelti per il funerale: piazza Duomo, via Etnea, piazza Università. In una atmosfera crepuscolare si scorge il bar Duomo, l' antica gioielleria Avolio e la sede dell' Ateneo catanese. Il corteo procede lentamente, le donne affacciate ai balconi osservano Antonio: «Quant' è bello». Barbara nasconde il volto con il velo nero. Improvvisamente la bara scivola per terra e Bolognini è costretto a ripetere la scena. A ricordare questo particolare sono due comparse, Roberto e Aldo Pistorio, allora di 16 e 8 anni: «Nostro padre ci portava sempre a fare le comparse. Faceva il cuoco ma partecipava a tutti i film che venivano girati a Catania». Dopo il funerale Antonio e Barbara si sposano. La scena viene realizzata fra le colonne incompiute della solenne chiesa di San Nicola, in piazza Dante. Quando Goethe la visitò restò incantato dall' organo di Donato Del Piano: «Non vi è cosa più solenne, più profonda, più maestosa di questa». Oggi l' organo non esiste più. Saccheggiato negli anni. Un' immensa luce bianca penetra dagli ampi finestroni e si espande fra le tre navate della chiesa. Il dramma fra Antonio e Barbara si consuma in una bellissima villa dove la coppia va a vivere. è nella parte alta della città, era dell' ex sindaco di Catania, Papale: allora era circondata da aranceti, oggi è soffocata dal cemento. Fra Antonio e Barbara un anno di carezze, di baci, di parole d' amore. Nient' altro. La notizia arriva all' orecchio del notaio Puglisi, padre della ragazza, che mediante lo zio monsignore riesce a fare annullare il matrimonio e a combinare le nuove nozze con il duca di Bronte. La madre di Antonio, in un disperato tentativo di riconciliazione, parla con Barbara. Il colloquio avviene nella sagrestia della chiesa di San Giuliano, in via Crociferi. Il fallimento della discussione sancisce la rottura definitiva fra le due famiglie. Ad attendere Rina Morelli sul sagrato c' è il marito infuriato: «So io come parlare ai Puglisi». Attende il monsignore ed entra con lui nel convento dei gesuiti che si trova di fronte. L' ex federale accusa la Chiesa di ipocrisia. Il battibecco si svolge nel suggestivo chiostro, con il pavimento di ciottoli bianchi e neri. La via Crociferi è l' angolo più incantevole del centro storico. Piena di chiese, di monasteri, di palazzi nobiliari, ha ispirato grandi scrittori come Verga, De Roberto e Brancati. Tutto è immerso in un' atmosfera irreale fatta di putti, di mascheroni, di cariatidi, di ricami pietrificati. Stefano Valastro ha 72 anni e fa il ciabattino. Si siede sui gradini della bottega e comincia a parlare: «Quando fu girato il film il responsabile della chiesa di San Giuliano era padre Consoli, un frate che faceva anche l' esorcista. Qui per gli esorcismi venivano anche dalla Calabria. Un paio di persone nerborute accompagnavano i posseduti dal diavolo, venivano chiuse le porte e dopo un po' si sentivano grida disumane. Succedeva quando Satana veniva cacciato dal corpo». Poi Barbara si sposa con il duca di Bronte. Dopo la cerimonia gli sposi salgono in macchina. Tutto si svolge con il magnifico sfondo del palazzo aristocratico degli Asmundo. La macchina costeggia i manufatti della via Crociferi. Improvvisamente appare Marcello Mastroianni, statuario, bellissimo, triste. Che attende il passaggio di Barbara in una via Alessi lastricata con le strisce di basalto lavico (poi trasformate in scalinata). Lo sguardo di lui incrocia quello di lei. è la scena più struggente del film. Lui innamorato e disarmato, lei ineffabile e corrucciata. Antonio accompagna con lo sguardo la macchina, poi percorre la via con la morte nel cuore, mentre centinaia di curiosi osservano la scena. Antonio Di Grado, oggi docente di Lettere all' Università di Catania, nel '59 ha dieci anni ed è affacciato al balcone con lo zio. Sta lì dalla mattina alla sera: «Il film consolidò la cultura interclassista del centro storico: nei piani bassi gli artigiani, in quelli medi la borghesia, in quelli alti i nobili. Tutti assistevano alle riprese. Affacciato al balcone c' era anche un barbiere. Aveva una storia incredibile: essendosi ammalato da giovane, aveva promesso a Sant' Agata che se fosse guarito avrebbe sposato una prostituta. E così fece». Ormai sono le ultime scene del film. Il vecchio federale smaltisce la vergogna in un bordello. Va al vecchio San Berillo, il quartiere delle prostitute, da sempre ritrovo di militari, ragazzini, anziani e gente sposata. La scena viene girata dal vivo. Pierre Brasseur attraversa le stradine sconnesse, via delle Finanze, via Maddem, via Di Prima, sale le scale, va da Mariuccia, una vecchia conoscenza. Muore dopo «l' adempimento del proprio dovere» fra le braccia della donna, mentre pronuncia l' ultima frase della sua vita terrena: «Tutti dovranno sapere che a sessant' anni suonati Alfio Magnano andava ancora a donne». ________________________ LUCIANO MIRONE from "Mastroianni e Cardinale a Catania il centro storico diventa magico - Repubblica, 28.1.2005" La targa è stata piazzata, fotografata e lasciata a Catania in via Vittorio Emanuele II al 133, nel preciso palazzo dove nel film abitano i genitori del bell'Antonio, in barba alla telecamera della BNL. Poi fu rimossa. (M.R.)
https://www.facebook.com/chiesadisangiuliano https://www.youtube.com/watch?v=5MWg0lsjqBQ https://it.wikipedia.org/wiki/Collegio_dei_Gesuiti_(Catania)
scene girate al Monastero dei Benedettini, Piazza Duomo, Lungomare di Acitrezza
ANNO: Italia 2007 GENERE: Drammatico - Storico REGIA: Roberto Faenza CAST: Alessandro Preziosi, Lando Buzzanca, Cristiana Capotondi, Guido Caprino, Assumpta Serna, Sebastiano Lo Monaco, Giselda Volodi, Paolo Calabresi, Biagio Pelligra, Giovanna Bozzolo, Pep Cruz, Vito, Jorge Calvo, Anna Marcello, Katia Pietrobelli, Larissa Volpentesta, Danilo Maria Valli, Magdalena Grochowska, Daniela Terreri, Giulia Ferrario, Pino Calabrese, Giorgia Biferali, Cast:
Consalvo: Alessandro Preziosi Principe Giacomo: Lando Buzzanca Principessa
Teresa: Cristiana Capotondi Giovannino: Guido Caprino Duchessa Radalì: Assumpta
Serna Don Gaspare: Sebastiano Lo Monaco Lucrezia: Giselda Volodi Benedetto
Giulente: Paolo Calabresi Baldassarre: Biagio Pelligra Graziella: Giovanna
Bozzolo Don Blasco: Pep Cruz Fra’ Carmelo: Vito Michele Radalì: Jorge Calvo
Chiara: Anna Marcello Donna Margherita: Katia Pietrobelli Concetta: Larissa
Volpentesta Federico: Danilo Maria Valli Donna Isabella: Magdalena Grochowska
Lucia la sigaraia: Daniela Terreri Contessa Matilde: Giulia Ferrario
I Vicerè è un film che vede protagonista, nella sua magnificenza, la Catania del Vaccarini, con le sue strade, le sue piazze, i suoi monumenti (via Dei Crociferi, Piazza Duomo, Palazzo Biscari, il Monastero dei Benedettini…) luoghi e architetture, che per la loro bellezza, il loro fascino e la loro spettacolarità fanno già parte di un immaginario cinematografico, ancor di più esaltato dalle immagini suggestive del film di Roberto Faenza. Tratto da "I Vicerè" di Federico De Roberto scritto nel 1894, capolavoro della letteratura italiana di fine Ottocento, tuttavia di sbalorditiva modernità e attualità, è il secondo volume (il primo è "L'Illusione" del 1891, e il terzo "L'Imperio" del 1929, uscito postumo) in cui lo scrittore racconta l'epopea d'una potente dinastia, un'antica famiglia catanese d'origine spagnola, gli Uzeda di Francalanza, nell'Italia del Risorgimento e dell'unificazione. È il cuore della città barocca a pulsare per l’epopea della terribile dinastia, fatta di egoismi, lotte, liti, miserie, sopraffazioni, raccontata dal regista con ricche scenografie, in interni e in esterni, che trovano nella città etnea ideali ambientazioni cinematografiche. La trasposizione sullo schermo de "I Vicerè" di De Roberto, è un capitolo fondamentale per il cinema siciliano e internazionale, che arriva certamente in ritardo per la complessità dei fattori produttivi che affliggono il cinema italiano, ma coraggiosamente affrontati da Faenza e dalla casa di produzione "Jean Vigo" di Elda Ferri. Si
tratta di un progetto di
grande spessore culturale che coniuga sapientemente la suggestione dei luoghi,
con il cinema di qualità e la letteratura siciliana. Con il suo nuovo film
Roberto Faenza, regista da sempre incline tanto a dar corpo a un cinema d’impegno
civile di spessore artistico quanto a tradurre per il grande schermo pagine
intense di autori italiani, coniuga felicemente queste due “anime” della sua
poetica, innestandole nel cuore della cultura siciliana, attualizzando con le
sue immagini il messaggio straordinariamente moderno del capolavoro letterario
di De Roberto.
Un film di Franco Zeffirelli. Con Valentina Cortese, John Castle, Vanessa Redgrave, Frank Finlay, Sinéad Cusack, Angela Marie Bettis, Jonathon Schaech, Camillo Pilotto, Mario Ferrari, Claudio Gora, Amalia Pellegrini, Maria Jacobini, Marina Berti, Teresa Mariani, Pat Heywood, Barbara Livi, Angela Bettis, Oreste Fares. Genere Drammatico, colore 99 minuti. - Produzione Italia 1993.
Catania. Maria, giovane figlia di un vedovo che si era risposato, all’età
di sette anni, poco dopo la morte della madre, è destinata al convento,
non in seguito al manifestarsi di una sua vocazione alla vita monacale,
ma per un’irrevocabile decisione familiare. Nella nuova famiglia,
composta dalla matrigna e dai due fratellastri Gigi e Giuditta, non c’è
più posto per lei: il convento è la sola via d’uscita possibile ai
mali della società di quel tempo. Ha quasi 20 anni Maria quando nel
1854 a Catania scoppia l’epidemia di colera ed è costretta quindi a
far ritorno a casa, trasferendosi con tutti i familiari nella tenuta di
campagna a Monte Ilice.
La vicenda
pare denunciare l’intenzione di sfruttare la struttura sensibile di
una sentita polemica sociale sull'ingiustizia della condizione femminile
dell’epoca, privata della sua libertà di decidere del proprio
destino, assoggettata a uno stato di inferiorità.
La sala del parlatorio delle monache di clausura. Da notare i divanetti all'incontrario di fronte alle grate dietro alle quali si aprirà una finestra per far comunicare la religiosa con i parenti. La sala ispirò Giovanni Verga alla scrittura della novella "Storia di una capinera", ripresa poi nell'omonimo film di Franco Zeffirelli.
scene girate in Piazza Duomo, Via Crociferi
Un film di Marco Vicario. Con Giancarlo Giannini, Adriana Asti, Riccardo Cucciolla, Rossana Podestà, Vittorio Caprioli, Ornella Muti, Gastone Moschin, Marianne Comtell, Mario Pisu, Attilio Dottesio, Andrea Aureli, Oreste Lionello, Bruno Scipioni, Umberto D'Orsi, Lionel Stander, Ugo Fangareggi, Femi Benussi, Eugene Walter, Pilar Velasquez, Angela Covello, Anna Melita, Roberta Paladini, Barbara Bach, Orchidea De Santis. Genere Commedia, colore 124 minuti. - Produzione Italia 1973. Cresciuto in una famiglia in cui, da sempre, tra i maschi si perpetua la tradizione di arroganza e gallismo, da cui si è astenuto solo suo padre, uomo di idee socialiste, il giovane barone catanese Paolo Castorini , compiuti i venti anni, mostra di voler seguire l'esempio del nonno e dello zio, dongiovanni impenitenti. Sconvolto dal suicidio di suo padre, e dalle sue ultime parole, egli decide, per uscire dal cerchio in cui è imprigionato, di trasferirsi a Roma, dove si trova lo scrittore Vincenzo Torrisi, suo amico e compagno di bagordi.
Nella
capitale, riprende la vita di sempre, avviando una serie di avventure
con la spregiudicata Lilia, con una principessa, una sartina, una
militante comunista. Tornato a Catania per la morte della madre,
decide di sposare la graziosa ed ingenua nipote di un farmacista. La
moglie, conscia di non riuscire ad essere la donna che vuole, lo
abbandona.
Solo e disperato, irrimediabilmente schiavo del piacere,
incapace di ripristinare il dominio della ragione e di seguire i
consigli paterni, Paolo sa di essere condannato, come i suoi squallidi
parenti a vivere una vita di solitidine.
scene girate in Via Crociferi, Piazza Duomo, Ognina, la Pescheria, Via Cardinale Dusmet e Monastero dei Benedettini, Monti Iblei zona Canalicchio, Via Vincenzo Giuffrida
Regia: Lina Wertmuller Sceneggiatura: Lina Wertmuller Fotografia: Dario Di Palma Scenografia: Amedeo Fago Costumi: Enrico Job Musica: Giuseppe Verdi,Piero Piccioni Montaggio: Franco Fraticelli Prodotto da: Daniele Senatore,Romano Cardarelli (Italia, 1971) Durata: 121' PERSONAGGI E INTERPRETI Rosalia Capuzzo in Mardocheo: Agostina Belli Carmelo 'Mimì' Mardocheo: Giancarlo Giannini Fiorella 'Fiore' Meneghini: Mariangela Melato Mimì, operaio siciliano di sinistra, viene licenziato a causa delle sue idee politiche. Costretto ad emigrare al nord, a Torino, per cercare un nuovo impiego, l'uomo lascia la moglie Rosaria. Giunto a Torino, Mimì trova lavoro come edile presso l'Associazione Fratelli Siciliani, che gli offre anche una sistemazione. Ben presto, però, Mimì capisce che l'associazione assistenziale è solo una facciata per coprire una serie di attività illecite della mafia. Dopo un attimo di titubanza, Mimì approfitta della situazione e fa carriera, grazie alla protezione mafiosa, in un'industria metallurgica. Nel frattempo si trova anche un'amante: Fiore, dalla quale ha un figlio. Quando però ritorna a Catania, con tanto di amante al seguito, Mimì scopre che sua moglie aspetta un figlio da un brigadiere della finanza. Deciso a vendicarsi Mimì seduce a sua volta la moglie del brigadiere e la mette incinta. Dopo che Mimì ha rivelato la verità al brigadiere, un sicario della mafia si mette in mezzo e per paura che l'uomo abbia una reazione contro Mimì, lo uccide. Mimì passa poco tempo in prigione finché la mafia lo fa scarcerare. All'uscita di prigione, diventa galoppino elettorale di un noto esponente mafioso. Si ritrova la moglie e l'amante con i rispettivi figli. Ma un giorno Fiore, l'unica che lo amava davvero, disillusa dalla situazione, lo abbandona.
Lina Wertmüller - Catania nel cuore
ORNELLA SGROI - La Sicilia 26.7.2012 Lo
scrittore Henry Miller l'ha definita la migliore regista sul campo,
migliore di qualsiasi collega uomo. E in effetti, nel panorama della
regia al femminile, Lina Wertmüller ha scritto e diretto film che -
è il caso di Pasqualino Settebellezze (1975) con l'immancabile
Giancarlo Giannini - l'hanno portata ad essere la prima donna regista
candidata a ben quattro premi Oscar. Non solo per il miglior film
straniero, ma anche nelle sezioni principali: regia, sceneggiatura,
attore protagonista. Il prossimo 14 agosto compirà 86 anni ed è
pronta a festeggiare le sue nozze d'oro con il mestiere del cinema,
anche grazie ad un documentario diretto dal suo giovane assistente,
Valerio Ruiz, che per il film ha scelto un titolo già significativo:
Dietro gli occhiali bianchi. Il riferimento è all'accessorio che più
è caro alla signora Wertmüller, che dei suoi occhiali da vista ha
fatto praticamente un segno particolare da indicare nell'apposita voce
della carta d'identità.
Tuccio Musumeci: «Con
Mariangela fu un divertimento girare a Catania»
IL RICORDO DELL’ATTORE, IL DOLORE DELLO STABILE
CATANIA. Ognina, il santuario della Bambina, i
balconi terrazzati che si affacciano sul golfo. Le strade nere di
basalto lavico e poi il mare, azzurrissimo. Scorci di una città del
1972 che raccontano una delle più straordinarie pagine
cinematografiche di Mariangela Melato (Fiore) in Mimì Metallurgico,
ferito nell’onore, con Marcello Giannini per la regia di Lina
Wertmuller. Nel cast c’era un giovanissimo e baffuto Tuccio Musumeci,
che interpretava Pasquale, uno dei due amici comunisti di Mimì, che
oggi, a distanza di 40 anni, ricorda con nostalgia quegli anni e la
scomparsa prematura di Mariangela Melato.
mariangela a Catania - «Con questo sole -
diceva - sembra d'essere a Miami» Prima di essere la "brutta bottana industriale" di "Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare di agosto", Mariangela Melato era stata una splendida Fiore, amante di Giannnini-Maddocheo, nell'ottimo film "Mimì metallurgico ferito nell'onore", sempre diretto da Lina Wertmuller e in gran parte, era il 1972, girato a Catania. Esilarante la scena che vedeva Mimì, Fiore e il loro figlioletto, arrivare a Catania in gran segreto per non essere scoperti dalla moglie di lui (Agostina Belli) e dal parentado. Per evitare di farsi riconoscere, i tre "clandestini" attraversavano via Etnea a bordo di un'auto con tendine coprivetri e tutti armati di occhialoni neri (da ciechi più che da sole) compreso il pupo di pochi mesi. Incontrammo Mariangela sul set catanese, durante una pausa e ci colpirono subito il sorriso cordiale e l'allegria. Era giovane, poco più che trentenne, bella ed esuberante. Niente pose da diva, niente supponenza, ma tanta spontanea cordialità verso tutti, dalla Wertmuller al "ciakkista". «Per me che vengo dalle nebbie milanesi - ci disse - Catania mi sembra Miami, con il sole e il mare caraibico che vi ritrovate. E poi, i cannoli… me ne porterei, se potessi, un camion su a casa mia! » Altra scena memorabile è quella girata davanti alla chiesa di Ognina, quando Mimì rivela pubblicamente che sua moglie aspetta un figlio dall'amante-finanziere e che anche quest'ultimo è cornuto perché la sua grassa signora (l'attrice napoletana Elena Fiore) è incinta di Mimì. «Questa è una scena molto teatrale - sottolineava la Melato - che mischia il melodrammatico al comico specie con l'arrivo inaspettato di Turi Ferro dal cipiglio minaccioso». E ci confessò, Mariangela, di essere più attratta dal cinema: «Perché sul set mi diverto, è tutto un gioco, una favola, mentre a teatro lo sforzo, la concentrazione, l'impegno sono maggiori, devi soffrire ogni sera e non puoi sbagliare perché sei nel mirino del pubblico. Davanti alla macchina da presa invece sei più libero: se sbagli ripeti il ciak e si accomoda tutto». Oltre che per i cannoli stravedeva per i rigatoni alla Norma e per le fritturine di pesce. Parlava velocemente, sempre spigliata, briosa, scherzava coi colleghi e i tecnici, ovunque portava una ventata di buonumore alternando il suo dialetto meneghino (con tanto di "pirla" e "pistola") a un catanese maccheronico pieno di "mizzica" e "ciao ‘mpare".
scene girate a Villa Cerami, Piazza San Francesco d'Assisi, Piazza Dante, Monastero dei Benedettini, Piazza Palestro, Palazzo Biscari Anno: 1954 Regia: Luigi Zampa Attori: Alberto Sordi, Marco Guglielmi, Franco Coop, Luisa Della Noce, Franco Jamonte, Elena Gini, Elli Parvo, Armenia Balducci, Carlo Sposìto, Gianni Di Benedetto, Antonio Acqua, Gino Buzzanca, Gustavo Giorgi, Giuseppe Stagnitti, Giacomo Furia, Vando Tress, Tullio Tomadoni, Gaetano Verna, Catherine Zago, Piero Pastore, Turi Pandolfini, Fernando Cerulli, Gino Baghetti, Archibald Layall, Victor Ledda, Luigi Moneta, Gina Moneta Cinquini, Franco Migliacci, Virginia Onorato, Peppino Nicolosi. Rosario Scimoni, detto Sasà, ha imparato presto l'arte di 'arrangiarsi' traendo profitto dalle circostanze. A vent'anni, nipote e segretario del sindaco della sua città, cede di fronte alla prepotenza di un guappo a cui consegna documenti compromettenti, dopo averne fatte delle fotocopie. I socialisti danno filo da torcere all'amministrazione comunale e al sindaco e Sasà, convinto della loro vittoria, passa dalla loro parte divenendo il braccio destro del loro leader, l'onorevole Toscano, e l'amante della moglie. Toscano, che ha visto le copie dei documenti, attacca vigorosamente gli avversari, ma viene condannato per diffamazione, poiché Sasà nel frattempo ha bruciato le fotografie, per poter vivere indisturbato con l'amante. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Sasà, interventista, simula la pazzia per restare a casa. Decide poi di accasarsi e sposa una ragazza brutta ma ricca. Iniziato il fascismo, Sasà diventa fascista e gerarca. Caduto il fascismo, passa al comunismo. In seguito, grazie alla buona fede di una Congregazione religiosa e di un suo compaesano, riesce a raccogliere i mezzi necessari per finanziare un film che servirà a lanciare una sua protetta. Quando i suoi imbrogli vengono finalmente scoperti, tenta di rimediare corrompendo un funzionario, ma il gioco non riesce e finisce in galera. Una volta uscito, riprende la sua attività e camuffato da tedesco fa la réclame a lamette da barba.
scene girate ad Aci S. Antonio, Palazzo Riggio e Villa Paternò Regia: Mauro Bolognini Interpreti: Margarita Lozano, Gabriele Ferzetti, Paolo Turco, Gina Lollobrigida Durata: h 1.31 Nazionalità: Italia 1969 Genere: drammatico Al cinema nel Gennaio 1969 Nino è un irrequieto adolescente di Catania, che cova una sfrenata passione d'amore per la zia Cettina. La donna, che è sposata e matura, ricambia in parte l'attenzione del nipote Nino ma allo stesso tempo è interessata ad un socio del marito, giovane ed aitante. Nino che è costretto così ad allontanarsi dalla zia, reagisce accettando suo malgrado. Infine il giovane, pur non dimenticando la focosa zia si sposa con una coetanea.
Il film è tratto da un romanzo di Ercole Patti. Tutto ha inizio in uno dei salotti borghesi di Catania dove il giovane Nino è seduto con la zia sulle gambe, ciò ovviamente gli provoca delle forti emozioni che alla sua età saranno difficili da dimenticare. Lo sfondo si sposta alle pendici dell'Etna in una masseria nel mese di novembre (che ha sempre qualcosa di affascinante e misterioso). Il giovane s'innamora perdutamente della zia con la quale arriva a consumare la sua prima esperienza sessuale. Le conseguenze di questo amore proibito, data la parentela, per il giovane sono nefaste non solo perché lo porta ad una "morte psicologica", infatti il suo unico pensiero è rivolto alla zia, ma anche alla morte vera e propria poiché durante un raptus di gelosia insegue la zia che si era appartata con un altro uomo; temendo di essere scoperto scappa via e noncurante dei pericoli del sentiero "batté violentemente il capo su una roccia e non si mosse più".
scene girate ad Acireale, stazione Circumetnea di Giarre, Sant'Alfio Un film di Alfredo Malfatti. Con Luciana Paluzzi, Domenico Modugno, Eleonora Giorgi, Umberto Spadaro, Pippo Franco, Franco Agostini. Genere Commedia, colore 90 minuti. - Produzione Italia 1975. Un
film sfortunato questo LA SBANDATA che, pur avendo tutte le qualita' per
diventare un hit nel 1974
(un'appetitosa Eleonora Giorgi al massimo della forma, bianca e liscia come
porcellana, Domenico Modugno nel ruolo principale e Samperi alla regia, reduce
dalla sbornia colossale dei due miliardi e passa incassati al botteghino con
MALIZIA), per motivi difficilmente spiegabili ha fallito il decollo ed e'
rimasto in un cantuccio, ignorato dal pubblico e stroncato dalla critica, a
raccoglier polvere prima nei magazzini dei distributori poi nelle videoteche. Modugno, solitamente dongiovanni a parole nei varieta' dell'epoca, ha modo qui
di rendere piu' esplicito il suo personaggio pubblico rimestando a piene mani
tra tette e culi di nipotina e cognata arrivando, in un momento di focosa
passione, a fellare un delicato piedino della Giorgi per poi ingoiarlo quasi
interamente (!!!). Una serie di piccole notazioni e tic, uniti al consumato
mestiere dell'interprete, contribuiscono inoltre a rendere il personaggio dello
"zio d'America" insolitamente profondo ed umano.
Il film è stato girato quasi interamente in Sicilia. La Villa Caputo, in realtà Villa Arezzo, si trova dalle parti di Bagheria vicino Palermo. Le sequenze del teatro sono state girate al Teatro Massimo Bellini di Catania, mentre quelle del furto della banana a Letojanni (Messina), dove tuttora si possono trovare la bottega dell’ortolano, del barbiere ed il bar. L'autogrill dove viene ucciso Johnny è quello di Roccalumera Est. Regia: Roberto Benigni Sceneggiatura: Roberto Benigni, Vincenzo Cerami Fotografia: Giuseppe Lanci Scenografia: Paolo Biagetti Costumi: Gianna Gissi Musica: Evan Lurie Montaggio: Nino Baragli Prodotto da: Group Tiger, Melampo (Italia,1991) Durata: 121' Distribuzione cinematografica: Cecchi Gori PERSONAGGI E INTERPRETI Dante, Johnny Stecchino: Roberto Benigni Maria: Nicoletta Braschi Ministro: Franco Volpi Dottor Randazzo: Ivano Marescotti Dante
fa l'autista d'uno scuolabus per ragazzi disabili: uno di loro, Lillo,
è il suo unico amico. Dante è ingenuo e un po' naif: a volte ruba per
gioco qualche banana e, sempre senza malizia, truffa l'assicurazione,
fingendo una menomazione alla mano destra.
scene girate a Catania e Provincia è un film del 1967 diretto da Alberto Lattuada, tratto dall'omonimo romanzo di Vitaliano Brancati. Regia: Alberto Lattuada - Attori: Rossana Martini, Giuseppe Silvestri, Marcella Michelangeli - Biondina Alla Festa, Maria Mizar Ferrara, Katia Moguy - Ninetta Marconella, Ugo Attanasio - Il Sacerdote, Pippo Starnazza, Riccardo Mangano, Angelo Puglisi, Grazia Di Marzà, Roberto De Simone, Elio Crovetto, Katia Christine - Francoise, Stefania Careddu - Padrona Di Casa, Lando Buzzanca - Giovanni Percolla, Ewa Aulin - Wanda, Ettore G. Mattia - Dott. Giorgioni, Anna Canzi, Antonio Isurguna, Antonio Mangano, Efisio Cabras, Eugenio Colombo, Jole Campagna, Carlo Sposìto - Scannapieco, Giuliana Farnese, Aldo Majorana, Luisa Rigolani, Ignazio Leone, Giuseppe Sillato, Giovanni Petrucci, Giuseppe Maso, Calogero Milazzo, Franco Monaldi, Franco Marletta, Ludovico Toeplitz - Vittorio Valsecchi, Pino Ferrara - Muscara' Giovanni Percolla, giovane avvocato catanese, vezzeggiato da tre sorelle zitelle, trascorre le sue giornate tra fantasie sessuali e pratiche legali mediocri. L'arrivo in città di Ninetta, una ragazza di nobile famiglia modernamente educata in Svizzera, sconvolge la vita di Giovanni, il quale, innamoratosi della ragazza, la sposa. Trasferitosi con la moglie a Milano, Giovanni trova una sistemazione in una grande industria, intraprendendo una carriera assai promettente grazie alla sua capacità negli affari e presumibilmente riversando in questa attività la sua carica sessuale, non soddisfatta dal matrimonio. Percolla, per quanto costretto ad un ritmo di lavoro al quale mal si adatta, non dimentica le sue qualità dongiovannesche che tenta di mettere a profitto per conquistare Wanda, l'affascinante amica di un suo avversario. Soppiantato con Wanda da un suo vecchio amico catanese, Giovanni finisce per disamorarsi dell'ambiente milanese e, in preda ad una nevrosi incipiente, torna a Catania per ritrovare le gioie d'una vita accidiosa e la pienezza e la felicità dei sensi.
scene girate prevalentemente a Catania Italia
1975 di Flavio Mogherini
con Renato Pozzetto Magali Noël Janet Agren Un ingenuo nudista brianzolo, condizionato da una nonna invadente e autoritaria, vince un concorso statale e va ad insegnare in una scuola elementare di Catania. Con il suo comportamento sprovveduto e la sua inarrestabile logorrea, l'insegnante creerà scompiglio tra le colleghe e metterà in subbuglio le famiglie degli alunni. Indubbiamente invecchiato, Paolo Barca è un film che, nell'epoca in cui è stato fatto "ci stava". La logorrea di Pozzetto era di gran moda e, in questo caso, riesce a far risaltare tutta la sua sprovvedutezza in ambito sessuale, specialmente messo a contatto con una società al tempo stesso spregiudicata ma ipocrita com'era la Sicilia trent'anni fa (ma le cose sono davvero cambiate di molto?). La morale era "si fa tutto, basta che non si sappia in giro". Questo sistema è messo in crisi dalla reazione inusitatamente ingenua dell'insegnante di fronte alle domande maliziose degli alunni della quinta elementare: cos'è la minchia? cos'è l'orgasmo? Al di là, comunque, di qualsivoglia (forse abusiva) interpretazione sociologica di questo film, a me pare che si tratti di una sorta di rivisitazione, con un protagonista settentrionale, di film precedenti quali Paolo il caldo (1973) di Marco Vicario (dal romanzo di Brancati) e della sua parodia Paolo il Freddo (1974) di Ciccio Ingrassia con Franco Franchi. Vi sono, in più, elementi surreali e surrealisti (i sogni, le improvvise apparizioni della nonna eccetera) e perfino qualche eccesso di fellinismo, testimoniato dalla bella e generosa Magali Noël. E in ogni caso il film è un perfetto veicolo per il Pozzetto debordante, recitativamente e pure fisicamente, del periodo. Ottimo anche il compianto Satta Flores.
scene girate in Piazza Stesicoro e Villa Bellini
Un film di Gianni Grimaldi. Con Vittorio
Caprioli, Paola Quattrini, Agostina Belli, Martine Brochard, Turi Ferro,
Umberto Spadaro, Lorenzo Piani, Christa Linder, Pino Caruso. Genere
Commedia, colore 109 minuti. - Produzione Italia 1974.
scene interamente girate ad Acitrezza Regia:
Luchino Visconti Sceneggiatura: Luchino Visconti Fotografia: G. R. Aldo
Musica: Luchino Visconti, Willy Ferrero Montaggio: Mario Serandrei
(Italia, 1948) Durata: 160' Prodotto da: Salvo D'Angelo PERSONAGGI
E INTERPRETI 'Ntoni: Antonio Arcidiacono Cola: Giuseppe Arcidiacono Quando si parla di cinema nello Jonio, e soprattutto di Verga, è impossibile da dimenticare l'incontro tra lo scrittore e il regista Luchino Visconti. Le bellezze paesaggistiche siciliane hanno ospitato vari set cinematografici, a partire dalla cittadina di Aci Trezza - che nel 1948 ospitò Luchino Visconti ed il suo gruppo di lavoro per la realizzazione de "La terra trema". La città dei faraglioni collaborò non solo come teatro della rappresentazione con chiari contorni urbani e con le sue bellezze, ma anche con alcuni dei suoi abitanti, circa una trentina, che furono coinvolti nel film come attori, i cui nomi non furono però citati nei titoli di coda ma che comunque restarono nella memoria cittadina e che sognarono spesso un rifacimento del film. Il regista Luchino Visconti, ispirato dall'attenzione sociale con la quale lo scrittore Giovanni Verga aveva trattato nel romanzo "I Malavoglia" i problemi dei poveri pescatori, ideò una trilogia di film sulla condizione dei lavoratori siciliani nel difficile periodo economico che seguì alla seconda guerra mondiale. Il primo film doveva riguardare la vita dei pescatori, il secondo quella dei braccianti agricoli e il terzo quella dei minatori. Visconti, però, realizzò soltanto il primo, "La terra trema". I tre film erano stati ideati originariamente come documentari per aiutare la campagna propagandistica del Partito comunista italiano in vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948. Nell'estate del 1947 il regista Visconti compì un sopralluogo in varie località della Sicilia e quindi, per ambientare il primo dei tre documentari, quello riguardante le condizioni di lavoro dei pescatori, scelse Acitrezza, lo stesso paese nel quale Verga aveva localizzato il romanzo "I Malavoglia". Il film, girato in bianco e nero, con una rigida interpretazione dei canoni del neorealismo, venne interpretato esclusivamente da attori non professionisti, tutti pescatori o abitanti di Acitrezza, che parlavano, in presa fonica diretta, il dialetto locale. Come assistenti alla regia Visconti scelse due giovani, Francesco Rosi e Franco Zeffirelli, che sarebbero diventati entrambi registi di grande successo. Rosi era incaricato di tenere il "diario di lavorazione", mentre Zeffirelli aveva la responsabilità delle comparse, dei costumi e della scelta degli ambienti. Le riprese cominciarono nell'autunno del 1947. Non c'era una sceneggiatura: gli attori recitavano dialoghi che venivano scritti poco prima che cominciassero le riprese della giornata e che gli assistenti alla regia facevano "tradurre" lì per lì in dialetto siciliano. Il Partito comunista aveva stanziato per l'operazione la somma di 30 milioni di lire che però, dopo appena poche settimane di riprese, si dimostrò assolutamente insufficiente. Visconti allora, sospesa la lavorazione del film, si recò a Roma dove, per procurarsi il denaro necessario per la prosecuzione, vendette alcuni gioielli di famiglia e, per ultimare la pellicola, si procurò un finanziamento integrativo del produttore Salvo D'Angelo della casa di produzione "Universalia Film". A questo punto, Visconti, ormai svincolato dal rapporto finanziario con il Partito comunista, modificò il proprio progetto: il film abbandonò lo stile del documentario e cominciò a diventare una specie di trasposizione cinematografica del romanzo "I Malavoglia" di Verga. Visconti, però, in aderenza alla propria ideologia personale marxista, apportò una modifica fondamentale: mentre l'opera dello scrittore è un ritratto corale "senza speranza" soffuso di pietà e di rassegnazione, il film fa intravedere una possibilità di riscatto attraverso la "rivoluzione" contro i soprusi sociali. L'opera venne presentata alla Mostra Cinematografica di Venezia del 1948 dove suscitò molti consensi da parte dei critici; il massimo premio della manifestazione, il "Leone d'oro", però, venne assegnato al film britannico "Amleto" di Laurence Olivier. Al film di Visconti venne attribuito un premio "per i suoi valori stilistici e corali". Il film, della durata di 157', distribuito nelle sale cinematografiche, non ebbe molto successo commerciale, in gran parte per l' incomprensibilità del dialetto "stretto" che parlavano gli interpreti. Ne venne fatta quindi una seconda versione, più breve (dalla durata complessiva di 105') e con una nuova colonna sonora nella quale gli interpreti erano "doppiati" con un dialetto siciliano "italianizzato", più comprensibile. La pellicola, indicata dalla critica come uno dei documenti più significativi della corrente cinematografica del neorealismo, è stata recentemente restaurata. A distanza di mezzo secolo dalla realizzazione del film, Acitrezza ha dedicato a Luchino Visconti una delle piazze del paese, accanto a quella intitolata a Verga. La trama - Il giovane 'Ntoni Valastro incita gli altri pescatori di Acitrezza a ribellarsi ai soprusi dei grossisti di pesce. Dalle proteste nasce un tumulto e i pescatori vengono arrestati; ma poi gli stessi grossisti li fanno rilasciare non potendo fare a meno della loro manodopera. 'Ntoni convince i propri familiari a mettersi in proprio, ipotecando la casa per far fronte alle spese. Un'eccezionale pesca di acciughe, che vengono "salate", sembra inizialmente favorire l'iniziativa, ma una tempesta fa naufragare la barca. La famiglia Valastro, così, è costretta a vendere le acciughe salate ai grossisti ad un prezzo irrisorio e, non potendo pagare l'ipoteca, perde anche la casa. Il dissesto economico fa disgregare la famiglia. 'Ntoni, non potendo trovare lavoro, si abbrutisce all'osteria e viene abbandonato dalla fidanzata. Suo fratello Cola si fa abbindolare da alcuni contrabbandieri e si associa ad essi. Il nonno muore. La sorella di 'Ntoni, Mara, afflitta dalla situazione nella quale versa la famiglia, si ritiene ormai indegna del fidanzato, il muratore Nicola, e scioglie il fidanzamento. La sorella minore, Lucia, si lascia irretire dalle lusinghe del maresciallo del paese ed è ridotta alla condizione di "donna disonorata", particolarmente pesante nella Sicilia dell'epoca. Alla fine, 'Ntoni si rassegna e piega la testa: va a chiedere lavoro, assieme ai fratelli più piccoli, ai grossisti. Ma, sebbene "vinto", appare consapevole che in futuro la lotta comune con gli altri pescatori riuscirà a sconfiggere i soprusi dei grossisti. - fonti: www.sicilycinema.it/ e www.acitrezza.it
scene girate a Catania ed Acireale Un film di Salvatore Samperi. Con Tina Aumont, Laura Antonelli, Lilla Brignone, Turi Ferro, Alessandro Momo, Angela Luce, Pino Caruso, Stefano Amato. Genere Commedia, colore 99 minuti. - Produzione Italia 1973. Fu
'Malizia' il film che segnò la svolta in un genere cinematografico,
quello sexy-erotico, che sembrava avere il fiato corto, e che invece,
anche grazie al film di Salvatore Samperi, acquistò nuova linfa e si
rigenerò con successo fino al termine degli anni settanta. Il motivo
del trionfo al botteghino di 'Malizia' fu dovuto soprattutto alla sua
protagonista, la splendida Laura Antonelli, la cameriera che deve
soddisfare i desideri sia di un anziano vedovo (il bravissimo Turi
Ferro) che dei suoi figli, uno dei quali interpretato dallo sfortunato
Alessandro Momo. La Antonelli non solo era bella e sensuale, ma
rappresentava una novità per questo genere di film: l'attrice che
mostrava le sue grazie non era più una stangona straniera, non una
irraggiungibile Barbara Bouchet, una prorompente Edvige Fenech, non una
super sensuale Femi Benussi, ma aveva i panni di una donna dal viso
semplice, quasi una insospettabile vicina di casa condiscendente che
tutti i maschi italiani sperarono, prima o poi, di incontrare sul
pianerottolo di casa.
scene girate a Riposto, S. Venerina e Acicastello
Nazione: Italia Anno: 2002 Genere: Commedia Durata: Regia: Franco Battiato Cast: Corrado Fortuna, Donatella Finocchiaro, Gabriele Ferzetti, Ninni Bruschetta, Rada Rassimov Produzione: Franco Battiato, Francesco Cattini Distribuzione: Warner Bros Battiato non ha girato un film ma ha scritto una canzone montandoci delle immagini al posto delle note. Ha preso il pentagramma e come un album di ricordi ci ha incollato sopra le fotografie della sua infanzia a Riposto negli anni Cinquanta. Però, come dichiarato da lui stesso, non è un film autobiografico, infatti i ricordi della sua infanzia si limitano soltanto ai luoghi, agli oggetti e alle usanze che fanno da contorno alla storia dell’immaginario Ettore Corvaia. Ha usato i sogni e l’emancipazione del protagonista come un binario che ci porta attraverso tanti flash di rimembranze sul percorso Catania-Milano; e i cambi improvvisi fra la trama e le altre inquadrature non sono altro che introduzione, ritornello, refrain, ritornello, refrain, ritornello, finale, proprio come in una canzone, una canzone di quelle buone, di quelle che ti raccontano una storia invitandoti, per vederla, ad entrarci dalla porta di servizio e non da quella principale. La Madonna nera di Fossati parla di una processione religiosa, di una statua nera che si inclina, di un uomo che la sorregge e la paragona alla donna amata. Eppure è una canzone d’amore. Chi l’avrebbe mai immaginato se non l’avesse detto lo stesso Fossati? Questo è il bello di entrare dalla porta di servizio. Non pensavo che Battiato, cimentandosi al cinema quasi per gioco, riuscisse ad ottenere una fotografia degna di un regista con quattro oscar in bacheca. Ogni fotogramma è quasi un quadro. E poi i luoghi: Ragusa, Acicastello, Acitrezza, Catania e Palazzolo Acreide con i loro colori fanno già sceneggiatura; le suore con le tonache nere che si stagliano sulle facciate barocche di chiese costruite col tufo giallo, con lo sfondo del cielo azzurro… e poi la luce, l’immensa luce che c’è qui. Ungaretti deve essere passato da queste parti. Geniale la scena al macello, quando la cinepresa si sposta dalla mano armata di coltello - pronta ad uccidere l’animale – fino a salire sopra quel muretto affacciato sul mare dove si vede di spalle il piccolo Ettore, che non vuole più accettare quel mondo e sogna di veder passare il Rex dei suoi desideri e della sua fantasia, perché dentro di noi c’è sempre stato un Rex, simbolo di una partenza liberatoria che ti porta via.Gli oggetti, le situazioni, le battute necessarie per riportare lo spettatore indietro nel tempo sono tutti molto curati e, come uno storico consumato, Battiato non ha mai lasciato niente al caso. Nel bagno di casa Corvaia il padre con la brillantina in pomata davanti a un autentico specchio che si usava negli anni Cinquanta e dieci anni dopo il figlio con altro tipo di gel, altri pettini, altri specchi, altre canottiere, altro tutto (ma dove li ha trovati?). Tutto è stato messo al suo posto, minuziosamente, come in un museo di modernariato. Ho letto della visione metafisica di Battiato riportata in questo film. Mah…io non ne capisco niente di metafisica, forse sto parlando di metafisica e nemmeno me ne rendo conto. Comunque, le immagini presentano con dovizia di particolari una generazione e un mondo che non c’è più. Alcune cose me le ricordo e sono arrivato in tempo a vederle, anche se sono più giovane di Battiato: il mangiadischi, le seicento, quelle lampade sulle scrivanie, i complessini che suonavano su un palchetto con tastiere Farfisa traballanti e con improvvisati impianti di amplificazione, le uova acquistate in campagna, ecc. E anche i modi di dire e di fare: con calma, senza fretta, senza stress; ritmi molto cadenzati, perché allora di tempo ce n’era tanto e di cose, a differenza di oggi, se ne facevano poche ma buone. Le ventiquattro ore di un giorno sembravano non finire mai e, a volte, la salutare partita a briscola nel film serviva ad esoricizzare certe situazioni. Oggi sembrerebbe una cosa inutile e noiosissima e si scapperebbe subito presso lo studio di un consulente familiare, per non perdere tempo. Sempre per non perdere tempo. Perché non lo fermiamo questo tempo? Dalle parti di Acireale, in una frazione incastonata fra giardini di limoni e il mare, c’è un bar a conduzione familiare che produce una granita di mandorla buonissima, ma il servizio è pessimo. Può capitare di ordinarla e sentirsi rispondere "Ora a voli? Si facissi du passi ca poi a facemu!". Magari poi te la preparano subito, anche a mezzanotte, ma quelle lamentele sprigionano tutto il folclore e la sottile ironia che circolano da queste parti. I catanesi lo sanno, ci vanno apposta e stando al gioco si divertono a ricevere le risposte più colorite alle loro richieste. E fanno questo anche per passare tempo, e questo da noi si chiama "sbaddu" (spiego altrove cosa significa). Il bello viene quando capita da quelle parti una famigliola del Nord che si incazza quando riceve quelle risposte, risposte che non comprendono, perché la loro vacanza è tutta programmata e il tempo destinato all’assaggio di quella prelibatezza era soltanto di venti minuti, sempre per non perdere tempo. E invece non sanno che il divertimento è proprio lì, cogliere l’attimo di certe situazioni occasionali, sfruttarne tutti i suoi aspetti positivi e spassosi, senza guardare l’orologio o il telefonino. Devo dire che il film mi ha affascinato fin dall’inizio. Tanto ne ero preso che nel finale vengo pure colto di sorpresa: "Oh, guarda chi c’è… che ci fa De Gregori qui?", quasi dimenticando il motivo della mia presenza in quel cinema. Subito dopo, però, ho sollevato istintivamente la mia mano destra quasi a cercare il testo "rewind" del telecomando. Devo dire che nella parte del musicologo che parla di catarsi e sciamani si è comportato davvero bene, complimenti. La Sicilia, chiaramente, non è più come quella descritta nel film, anche qui la gente corre e pigramente si affida alla tecnologia perché è più comodo e non fa perdere tempo. Il cucito non si fa più come in quel bellissimo cortile circondato da banani, dove le donne, fra l’ago, la lingua e il ditale (facendo finta di essere sottomesse) regolavano il destino dei loro uomini. E’ sempre stato così, in Sicilia hanno sempre comandaro loro.La battuta finale di Sgalambro, seduto al tavolino di un bar in una piazza assolata, simboleggia tutto il nostro modo di essere: "La Sicilia esercita un diritto di appartenenza. Per favore, una granita alla mandorla". E’ vero, siamo fatti così. Seduti a un tavolino, con una granita di mandorla davanti e stavolta PER perdere tempo, volutamente, quaggiù siamo ancora capaci di consumarla impiegandoci anche due ore filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando … (Mimmo Rapisarda)
Oggi, rivedendo PERDUTOaMOR, mi accorgo di quanto fosse stato geniale e meticoloso Battiato nell’arte di “far vedere e non far vedere”, cioè lanciare quei piccoli messaggi nascosti fra i fotogrammi. Quel che faccio vedere bisogna saperlo stanare. Nel film c’è un cameo, un gioiello della durata di pochi secondi, in cui si scorge un momento felice di catanesi che andavano a prendere un po’ di fresco alla riviera dei Ciclopi negli anni Sessanta. La location è la parte finale della piazza di Aci Castello, un meraviglioso palcoscenico teatrale con le quinte rappresentate dalla costa con i faraglioni di Acitrezza in lontananza, il castello normanno a destra e una mitica pizzeria a sinistra di cui scriverò in seguito. La scena è immaginata, ricordata e girata dal Maestro proprio lì, sulla piazza di fronte a quello spettacolare belvedere. E’ magistralmente camuffata, ma chi sa o possiede quella famelica curiosità di scovare la chiave di lettura si accorgerà che tutto è al suo posto e non manca proprio niente. Ciak! il juke box che suona “La terza luna“ di Neil Sedaka; i ragazzi che corteggiano discretamente le ragazze che passeggiano “sutta u castiddazzu” dentro abiti dai variopinti colori dell’epoca; due pettegole; il timido spasimante che si fa accompagnare per dichiararsi all’amata; due anziani coniugi che litigano fra loro; fanciulle che giocano felici e senza smartphone mentre i tranquilli genitori gustano il gelato seduti in piazza. Lo Spritz? Al massimo c’era il San Pellegrino con il Cocktal, il Bitter, il Crodino, quattro olive e un pugnetto di arachidi. Stop. La fettina di limone e il cubetto (uno!) di ghiaccio, erano serviti solo a richiesta. Guardatelo attentamente perché Battiato non ve ne darà il tempo. E’ uno spaccato di vita della durata di appena 30 secondi che proietta, come in una passerella di alta moda, una generazione che si accontentava di piccole cose ma soprattutto un piccolo scrigno di gente perbene. Geniale! (Mimmo Rapisarda)
scene girate ad Acitrezza, Pozzillo, Acireale
LA PRIMA NOTTE DEL DR. DANIELI, INDUSTRIALE COL COMPLESSO DEL GIOCATTOLO Un
film di Gianni Grimaldi. Con Françoise Prévost, Alfredo Rizzo, Saro
Urzì, Lando Buzzanca, Katia Kristine, Linda Sini, Enzo Garinei, Carletto
Sposito, Ira Fürstenberg, Ileana Rigano, Katia Christine, Renato Malavasi,
Francesco Sineri. Genere Comico, colore 93 minuti. - Produzione Italia
1970.
Esterni girati alle Terme S. Venera di Acireale
Anno: 1989 Genere: Commedia Durata: 89' Regia: Nanni Moretti
Amarcord ciak alle Terme, la "Palombella rossa" partì da Acireale La Sicilia, 11/12/2016 - di Gaetano Rizzo Ricordi indelebili per centinaia di acesi coinvolti sul set, in prevalenza come comparse Acireale (Catania) - Il recente restauro del film “Palombella rossa”, presentato all’ultima edizione del “Torino Film Festival”, ha fatto riavvolgere il nastro dei ricordi a molti, in particolare agli acesi, considerato che il set principale dell’opera, quasi per intero, fu la piscina delle Terme “Santa Venera”. Un aspetto, questo, che parecchi - anche nella città di Aci e Galatea - sconoscono e che vale la pena di ricordare partendo dall’antefatto. Primavera del 1988. La Federazione italiana nuoto, interpellata da Nanni Moretti, chiede a Pietro Nicolosi, presidente della Pozzillo, gloriosa società pallanostica di Acireale, di mettere a disposizione del regista la propria piscina. «In prima battuta - ricorda Nicolosi - avevano “bussato” alla porta del Nervi (storica squadra genovese, n.d.c.), ma l’operazione non era andata in porto; quindi, dirottarono su Acireale». Moretti, accompagnato dal produttore Angelo Barbagallo, suo socio nella “Sacher film”, effettua un sopralluogo alle Terme “Santa Venera” e resta favorevolmente impressionato, al punto da chiedere di mettere subito “nero su bianco” ovvero di ottenere il via libera. «Che, ovviamente, non esitiamo a concedergli - prosegue Nicolosi - consapevoli del ritorno di immagine per Acireale». L’estate sta per fare capolino quando nel parco delle Terme “Santa Venera” si riversano centinaia di persone, in prevalenza giovani, che aspirano a fare da comparsa. Trascorrono ore ed ore tra i viali alberati, in attesa del ciak. Moretti è noto per essere un perfezionista e, quindi, capita che le scene si ripetano anche decine di volte. «Non a caso - osserva Pietro Nicolosi - le riprese durarono sino a novembre, sebbene fosse previsto si dovessero concludere un mese e mezzo prima». Tra gli attori anche un acese che già si è fatto apprezzare su altri tra palcoscenici e set. Mario Patanè vive da circa quattro anni a Roma quando Moretti lo chiama per interpretare Simone, un giovane appartenente al movimento di “Comunione e liberazione”, al suo primo lungometraggio. «Un’esperienza bellissima - ricorda - ed anche faticosa. Moretti era molto esigente e, dunque, i ritmi di lavoro erano davvero sostenuti». Un rigore che, probabilmente, sarà servito a Mario Patanè, poi capace di recitare persino con Vittorio Gassman nel film “La cena”, di Ettore Scola, che gli valse il nastro d’argento come migliore attore non protagonista. Nel corso degli ultimi 30 anni ha lavorato per produzioni di rilievo, ma quel “rigore” vissuto sul set di “Palombella rossa” non lo dimenticherà mai, assieme alle emozioni. Che, in parte, erano le stesse delle comparse, quasi tutte acesi, in prevalenza ingaggiate per indossare i panni dei tifosi presenti sulla tribuna della piscina delle Terme, per l’occasione ridotta nelle dimensioni attraverso una serie di accorgimenti scenografici, così da non richiedere la presenza di almeno 700 persone per gremirla. Dalla tribuna alla vasca. Nella foto sopra, Moretti è raffigurato tra due pallanotisti di fazioni opposte, entrambi “pilastri” della Pozzillo dell’epoca e oggi entrambi ingegneri, come il loro “patron” Pietro Nicolosi: a sinistra del regista c’è Concetto Bosco, poi anche imprenditore, a destra Sandro Paternò. E mentre la pellicola veniva impressa, ai margini della piscina c’era il compianto Carlo Testa, trascorsi apprezzabili da pallanonista, ma già medico affermato e riferimento sanitario per tutta la produzione. Un ruolo di rilievo, dal punto di vista scenico, venne affidato al castellese Mauro Maugeri (accreditato tra gli attori), allenatore della Pallanuoto Acireale, avversaria della Monteverde, nella quale militava lo stesso Moretti, Michele Apicella nel film. Per alcuni mesi la piscina delle Terme di Acireale fu il quartiere generale del regista romano, in gioventù anche apprezzato pallanotista, con il “factotum” Nino D’Anna, dipendente della Polisportiva Pozzillo “prestato” alla produzione, pronto a risolvere ogni problema e a confrontarsi con le esigenze del cast e delle centinaia di comparse. Qualcuna tra loro fu anche “parlante”, come nel caso di Giuseppe Costarelli, oggi stimato avvocato, all’epoca studente in Giurisprudenza. «Volevamo sapere come sta» la richiesta formulata da Costarelli ad un dirigente della Monteverde in relazione ad un infortunio patito da Moretti. «Per il ruolo di comparsa - ricorda l’avvocato Costarelli - si registrò un’autentica mobilitazione, anche per via dei compensi che erano apprezzabili. Faticavamo parecchio, comunque, perché si lavorava molto di notte. Furono momenti indimenticabili perché tra molti, trascorrendo parecchie ore assieme, si cementarono anche rapporti di amicizia che ancora durano nel tempo». E di certo non è poco.
scene girate nella Riviera dei Ciclopi ed Acireale
Italia (1973) - Drammatico, Erotico - 100 min. (colore) REGIA Fernando Di Leo SCENEGGIATURA Fernando Di Leo, ...CAST Lisa Gastoni Maurice Ronet Jenny Tamburi, Pino Caruso Da
molti anni giornalista in Francia, Giuseppe Laganà torna nella natia
Catania anche sospinto dal desiderio di rivedere Caterina, sua ex
fidanzata che, ora, è vedova e madre dell'adolescente Graziella. Giuseppe
riallaccia la relazione con l'antica fiamma e prende a frequentarne
assiduamente la casa. L'entrata in scena di Rosina, un'amica coetanea di Graziella, sconvolge
nuovamente il precario equilibrio. Giuseppe tradisce madre e figlia con la
nuova arrivata e tanto basta perché Caterina impugni la pistola e uccida
l'antico fidanzato.
CATANIA PRESENTE IN QUESTI FILM
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Catania e l'Etna nel Cinema
Catanesi
si nasce, è un dato di fatto. Qualcuno sostiene che anche scrittori si
nasce. Ma una cosa è certa: scrittori catanesi si diventa. Non basta
essere nati a Catania e scriverne per afferrarne l'essenza. Catania è una
città da sempre sfuggente, ama nascondersi, mascherarsi. Per togliere i
veli a questa città, per scoprirne i meccanismi bisogna guardarla da
lontano, starne a distanza sia pure per un periodo soltanto. Giovanni
Verga, Luigi Capuana, Federico De Roberto, Vitaliano Brancati, Ercole
Patti - nomi che basterebbero a far la gloria di una intera regione e non
di una città soltanto - sono tutti catanesi di nascita o d'adozione. Ma
nessuno di essi è rimasto abbarbicato alla "casa del nespolo",
per usare un'espressione dei Malavoglia.
L'arena Pacini
Articolo tratto da Aldo Piro, giornalista e autore televisivo, Ulisse la Rivista di bordo dell'Alitalia
Il
cinema muto della Hollywood nata sul Simeto La Sicilia, 4/8/2012
Una Cinecittà sotto l'Etna: il Cinema a Catania nei primi decenni del Novecento
di
Ignazio Burgio. Tra il 1913 ed il 1916 a Catania non solo vennero girati "kolossal" del cinema muto che fecero molto effetto all'epoca, ma sorsero anche diverse case cinematografiche, come l'Etna Film, la Katana Film, la Sicula Film, e la Jonio Film. Anche il commediografo Nino Martoglio con una sua casa di produzione, la Morgana Film, insieme al grande attore Giovanni Grasso, produsse pellicole che divennero delle pietre miliari nella storia del cinema internazionale. Poi quella breve stagione d'oro improvvisamente finì... Al
tempo in cui i Fratelli Lumière a Parigi davano le prime proiezioni
pubbliche della loro straordinaria invenzione (la prima delle quali fu
tenuta il 28 dicembre 1895 al Salon Indien del Gran Cafè), la città di
Catania stava vivendo una prospera stagione, sia economica, ma ancor di
più culturale. L'industria di raffinazione dello zolfo (di notevoli
dimensioni, come ancora testimoniato dalle alte e numerose ciminiere che
ne rimangono), le molteplici industrie alimentari ed il commercio degli
agrumi, alimentavano il traffico di navi mercantili dell'attiguo porto,
complice anche il favorevole periodo di espansione economica
internazionale, ed il comodo accesso al Mediterraneo tramite il canale
di Suez. Le
pellicole proiettate in quei primi anni nelle sale catanesi o erano di
origine straniera (come i cortometraggi di George Mèliès, il primo
inventore dei trucchi cinematografici) o prodotte da altre società
cinematografiche sorte nel frattempo nelle maggiori città della
penisola, come la Cines di Roma o la Ambrosio di Torino, che
cominciarono a produrre le prime pellicole a soggetto storico o
letterario: ad esempio “La presa di Roma” (1905), “Gli ultimi
giorni di Pompei” (1908) o le due versioni dei Promessi Sposi che
uscirono sempre nel 1908, una delle quali diretta da Giuseppe De Liguoro.
La città di Catania comunque poteva già offrire se stessa ai primi
suoi concittadini spettatori in documentari quali “Catania e la
Circumetnea” delle Manifatture Cinematografiche Riunite di Napoli
(1907), “Sua Maestà il Re all'Esposizione”, sempre del 1907,
e la prima documentazione filmata - perlomeno a livello professionale
– di una “Eruzione dell'Etna”, del 1909 (ambedue della
Ambrosio). Intorno
al 1912-13, insomma, i tempi sembravano ormai maturi perchè anche a
Catania – così come ad es. già avvenuto nel medesimo periodo a
Palermo – sorgessero le prime società cinematografiche locali, tanto
più che una delle maggiori società di Roma, la già citata Cines,
ospitava tra i suoi amministratori un rilevante numero di siciliani: il
vice-direttore Carlo Amato, Pietro Moncada, conte di Caltanissetta, ed
il principe di Paternò, che ovviamente non mancarono di orientare la
produzione della casa cinematografica verso soggetti ed ambienti
siciliani, nonchè catanesi. La “Società Anonima Editrice di Films, Etna Films”, omologata dal Tribunale di Catania il 21 Gennaio 1914, venne fondata con un capitale sociale di 200.000 lire – divise in duemila azioni da 100 lire l'una – dal cavalier Alfredo Alonzo, imprenditore nel campo dello zolfo e nell'esportazione della frutta secca, nonchè azionista di una società di navigazione. Suo amico e fidato consigliere era Pippo Marchese, drammaturgo e critico teatrale. Deciso a non badare a spese pur di sfondare nel panorama cinematografico mondiale, per prima cosa fece venire da Milano una personalità già nota ed esperta, il già citato Giuseppe De Liguoro, in qualità di direttore artistico, regista – e a volte anche soggettista ed interprete – dei film di imminente produzione. Raccolse inoltre dal Nord-Italia e dall'estero, interpreti già famosi (come la francese Simone Sandrè), tecnici già esperti, e apparecchi e attrezzature un po' da tutto il mondo.
Ma come afferma Giusy Nicolosi in un suo articolo “...Quello che fece più effetto fu l’immenso stabilimento costruito in sei mesi seguendo i più moderni criteri e nel quale lavorarono, secondo le cronache, quasi 500 operai. "Sarà il più grande d’Italia !" scrisse su un periodico un attore scritturato dall’Etna. Tutti i corrispondenti visitarono quella "piccola città" e ne scrissero. Lo stabilimento sorgeva a Cibali [un quartiere di Catania, n.d.r.], su un perimetro di 23.000 mq e vi si accedeva da quattro entrate (sappiamo che una era adiacente alla stazione della Circumetnea tutt'ora esistente e un’altra in via Cibele). All’interno, oltre a quattro villini che ospitavano i vari uffici, vi erano numerose costruzioni. Un orgoglio per la Casa erano i due teatri di posa: il più “piccolo” di m 20 x 18 e il più grande di 26 x 30 (cioè circa 900 mq di ampiezza, capace di ospitare le riprese di quattro diverse scene in contemporanea !). Poi i camerini ed i saloni per gli attori e le comparse; un’officina per i fabbri, una per i falegnami e una per gli scenografi; la sartoria; i depositi del legname, delle scenografie, del “mobilio” e di tutto il necessario per la ricostruzione degli ambienti, "in quantità straordinaria, di tutti gli stili, le epoche, le qualità"; un garage, con cinque automobili ed un autobus, e una scuderia con cavalli e carrozze. Ma non è finita. "La capitale della pellicola siciliana", come la definì il direttore di un periodico milanese, disponeva anche dei laboratori tecnici per lo sviluppo, il lavaggio, la coloritura, la stampa, la revisione e il collaudo delle pellicole, e di una sala di proiezione "vasta ed elegante come quella di un gran cinematografo". Addirittura un corrispondente scrisse di un castello a grandezza naturale. Il tutto immerso nel verde, tra viali, pozzi, fontane, sedili, laghetti e piattaforme all’aperto, naturalmente tutto da utilizzarsi nei vari films...” (Giusy Nicolosi - "Etna Film, una Hollywood siciliana" - vedi bibliografia).
Nello
stesso anno 1914, intanto Nino Martoglio per conto della sua Morgana
Film con sede a Roma, ebbe l'opportunità di girare le sue due prime
pellicole, di tono più verista e naturalista rispetto ai lavori dell'
Etna Film. Ambedue videro come protagonista il grande attore teatrale
catanese Giovanni Grasso. Ma mentre il primo titolo, Capitan Blanco,
girato ad Aci Trezza ed in Libia, non incontrò i favori del pubblico
(probabilmente perchè il finale “poco tragico” finiva per snaturare
la trama verista), il secondo, Sperduti nel buio, non solo riscosse
all'epoca un grande successo, ma nei manuali della storia del cinema
viene spesso definito una vera “pietra miliare”, in quanto
considerato il primo film neorealista della storia. Sull'onda del successo dell'Etna Film vennero fondate in quel periodo altre tre società cinematografiche catanesi: la Katana Film, la Jonio Film, e la Sicula Film, dell'avvocato Gaetano Tedeschi dell'Annunziata. Tra il 1915 ed i primi mesi del '16 sfornarono un certo numero di pellicole di vario genere – comico, satirico, militare, ecc. - coinvolgendo interpreti già famosi nell'ambiente teatrale o che lo sarebbero diventati negli anni successivi dopo la breve e gloriosa stagione del cinema etneo: ad esempio i due “divi” di allora Mariano Rapisarda ed Attilio Bottino che interpretarono alcune pellicole della Sicula Film (“Alba di Libertà”, “Presentat-arm!”, ambedue del 1915, ed “Il vincolo segreto”, del 1916); la moglie dell'attore Angelo Musco, Desdemona Balistrieri, che fu tra gli interpreti del film “Il latitante” della Katana Film (1915), e Rosina Anselmi in “Per te amore” sempre della Katana Film (1915). Ma
improvvisamente all'inizio del 1916 - come già accennato - quella breve
stagione d'oro per la cinematografia catanese svanì insieme a tutti i
sogni di gloria internazionale. Travolta dalla crisi finanziaria, e
forse (come suggerito da Giusy Nicolosi) anche da forti contrasti in
seno al suo consiglio d'amministrazione, la Etna Film prese la decisione
di chiudere la sua attività insieme a tutte le sue imponenti strutture
(forse già entro la fine del gennaio 1916). Questo certamente
significò anche per tutte le altre società più piccole
l'impossibilità di continuare a girare altre pellicole, poichè – a
quanto sembra – ad essa si appoggiavano per tutti i servizi di
sviluppo dei negativi e talvolta anche per le riprese nei suoi teatri di
posa. In una lettera datata 4 febbraio 1916 infatti l'amministratore
della Sicula Film, Gaetano Tedeschi dell'Annunziata si lamentò col
cavalier Alonzo medesimo della sua improvvisa decisione di chiudere gli
stabilimenti. Paradossalmente, comunque, proprio mentre a Catania tramonta nel 1916 il sogno hollywoodiano di sviluppare una “Cinecittà” ante litteram ai piedi dell'Etna (Film), Giovanni Verga fa finalmente il suo ingresso ufficiale nel mondo della “settima arte” (o “decima musa” che dir si voglia). E' quanto vedremo prossimamente su questi monitor ! da http://digilander.libero.it/cataniacultura
Oreste
Bilancia, singolare fenomeno del cinema muto
Nato a Catania nel 1881, esordisce nel 1915 ed è presente in oltre cento film, fra i quali «Casta Diva» di Carmine Gallone e «San Giovanni Decollato» di Amleto Palermi Con i suoi oltre cento film interpretati a partire dal 1915 e fino al 1944, meno di un anno prima della morte prematura, il catanese Oreste Bilancia è in assoluto l'attore siciliano più presente nel cinema nazionale ed europeo. Nato a Catania il 24 settembre 1881, cresce in uno con l'esplosione delle formazioni teatrali catanesi della fine dell'800, ma stranamente il suo nome ne resta fuori, finché entra a far parte della compagnia Calabresi-Severi, per poi passare a quella più famosa dei Galli-Guasti-Bracci-Ciarli come «secondo brillante», dove rimane fino al 1910. La breve parentesi (1910-1913) come direttore del Casinò di Sanremo e poi del Kursaal di Montecatini (1914; cfr. C. Lo Presti, "Sicilia teatro", Firenze, 1969), non basta a distoglierlo dall'attività artistica con il cinema iniziata a partire dal 1915, quando esordisce interpretando «La scintilla» di Eleuterio Rodolfi, prodotto dall'Ambrosio di Torino e «Romanticismo» di Carlo Campogalliani. Da
allora lavora alacremente e senza soluzione di continuità con i più
noti registi italiani del cinema muto
(il messinese Febo Mari, Augusto Genina, Gero Zambuto, Giovanni Pastrone,
Gennaro Righelli, Mario Almirante, Guido Brignone, Eleuterio Rodolfi,
Mario Camerini, Mario Bonnard, Giulio Antamoro…), interpretando,
sebbene spesso in ruoli secondari, un'impressionante quantità di opere
cinematografiche, appartenenti ai generi più diversi ma soprattutto al
comico-leggero, rendendo eccezionalmente familiare la sua presenza agli
spettatori del tempo. I suoi partner sono le celebrate dive e i divi
degli avventurosi anni dell'arte del silenzio: la siciliana Italia
Almirante Manzini («Femmina», 1917, di Augusto Genina; «Hedda Gabler»,
1920, di Giovanni Pastrone; «La statua di carne», 1921 e
«L'arzigogolo», 1924, di Mario Almirante; «Sogno d'amore», 1922, di
Gennaro Righelli), Maria Jacobini e Amleto Novelli («La casa di
vetro», 1920, di Gennaro Righelli); Linda Pini e Lydia Quaranta
(«Voglio tradire mio marito», 1925, di Mario Camerini).
Partecipa ad una pattuglia di film
d'ambiente siciliano, a cominciare da «Zaganella e il cavaliere»
(1931, tratto dal "Cavalier Petagna" di Luigi Capuana),
iniziato da Amleto Palermi e completato da Gustavo Serena e Giorgio
Mannini; nel 1935, insieme a Martha Egger e Sandro Palmieri, prende
parte al film «Casta Diva» di Carmine Gallone, prima, fumosissima,
biografia romanzata di Vincenzo Bellini; in «San Giovanni decollato»
(1940) di Amleto Palermi (da Martoglio), eccolo con uno scatenato e già
originalissimo Totò, del quale era già stato antagonista in
"Fermo con le mani" (1937) di Gero Zambuto, esordio
cinematografico del "principe della risata" ed ancora nel
calcistico "Cinque a zero" (1932) di Mario Bonnard, primo film
sonoro interpretato dallo scoppiettante Angelo Musco, ritenuto smarrito
ma da qualche anno ritrovato incompleto in Francia.
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Angelo Musco |
Turi Ferro |
Turi Pandolfini |
Rosina Anselmi |
Giovanni Grasso |
Saro Urzì |
Aldo Puglisi |
Umberto Spadaro |
Leo Gullotta |
Ciccino Sineri |
Salvatore Scalia |
Ignazio Balsamo |
Natale Cirino |
Tuccio Musumeci |
Pippo Pattavina |
Gilberto Idonea |
Antonio Catania |
Daniela Rocca |
Guia Jelo |
Mimmo Mignemi |
Margherita Mignemi |
Enrico Guarneri |
Mariella Lo Giudice |
Tiziana Lodato |
Lucia Sardo |
Angela Finocchiaro |
Laura Torrisi |
Donatella Finocchiaro |
Miriam Leone |
Sara Micalizzi |
Ignazio Pappalardo |
Antonello Puglisi |
Goliarda Sapienza |
Nellina Laganà |
Miko Magistro |
Gino Astorina |
Alessandra Costanzo |
Jerry Calà |
Beppe Fiorello |
Rosario Fiorello |
Angelo Tosto |
Conquita Puglisi |
Cosimo Coltraro |
Turi Killer |
Gianni Sineri |
Luciano Messina |
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I
cinema allora si chiamavano anche "Vittoria", "Delle
Rose", "Sanfilippo", "Europa",
"Apollo", "Ideai Gangi", "Astoria",
"Concordia", "Archimede", "Dora",
"Imperiale", "Eliseo", "Esperia",
"Giardino", "Trento", "Borgo", "Splendor"
ed erano sale ed arene dove ci si andava tranquillamente e senza timori
di essere coinvolti in spiacevoli situazioni. Negli anni '60 al "Mirone"
si organizzarono pure incontri di pugilato. Nei cinema all'aperto,
fra un tempo e l'altro, passava il venditore di calia, simenza e
sciampagnette; sui banconi dei bar facevano bella
mostra ceste colme di gelsomini; e si affittavano financo cuscini per
chi volesse il popò più comodo, cuscini che inevitabilmente, alla fine
dell'ultimo spettacolo, qualcuno tirava scherzosamente all'amico. Usciti
dal cinema era d'obbligo 'prendere la pizza" oppure gironzolare per
la città, che allora si ripopolava, ritornava frenetica come a
mezzogiorno... E con questo nome, nostalgicamente lo ricordo: unitamente alle lunghe partite di carambola, alle sovente "steccate" che non solo provocavano strappi al tappeto verde (che noi ragazzi poi ingenuamente cercavamo di rappezzare facendo combaciare quanto meglio si poteva il "sette" provocato) ma anche potevano far sì che la biglia impennata uscisse dal balcone, nonostante la rete di protezione, e andasse a finire sotto, in via Etnea, sulla testa di qualche malcapitato passante. Poi
un brutto giorno vidi lo stabile ingabbiato ed indifeso: avevano deciso
di abbatterlo per fare posto ad un moderno casermone, che venne
dannunzianamente chiamato "La Rinascente", e che risultò in
seguito un pugno nell'occhio, circondato com'era da nobili ed antichi
palazzi settecenteschi. Mi dissero che il progresso doveva andare
avanti; ma io ragazzo non volli capire e mi rifiutai categoricamente di
accettare quella che mi sembrava una ingannevole giustificazione.
I primi cinematografi a Catania A partire dal Sangiorgi altre sale teatrali si convertono alla nuova «strabiliante meraviglia». Il boom del muto. A partire dal 1904 e fino a pochi mesi dall'entrata in guerra, s'assiste a una successione d'aperture - Franco La MagnaNella storia del cinema muto a Catania il periodo compreso tra il 1905 e il 1913 è caratterizzato, dopo l'arrivo nella città etnea alla fine dell'800 del cinema ambulante, essenzialmente dall'apertura delle sale stabili - attività dalle alterne fortune - che rapidamente si espandono nel tessuto urbanistico del capoluogo etneo decuplicandone la presenza e proponendo proiezioni non dissimili da quelle delle altre città della nazione. Soprattutto a partire dal 1904 e fino a pochi mesi dall'entrata in guerra, un'agitata successione d'aperture s'impone come nuova, allettante, attività commerciale (fino ad oggi poco attenzionata dagli studiosi d'economia), raggiungendo presto uno sviluppo estremamente consistente. A darne la stura è lo storico teatro "Sangiorgi", inaugurato il «9 luglio del 1900 con "La Bohéme" di Puccini», poi esercizio stabile, ingresso «per pochi baiocchi». (oggi divenuto seconda sala del Teatro Massimo Bellini), dove la città etnea ospita ancora stupita le prime proiezioni dei fratelli Lumière (quadri dell'Esposizione universale di Parigi). Ma anche sale teatrali preesistenti si convertono progressivamente alla nuova «strabiliante meraviglia» (la definizione è Nino Martoglio), come accade all'elegante sala teatrale "Principe di Napoli" (via Lincon, 108 - oggi via Di Sangiuliano - inaugurata il 22 gennaio 1887, poi divenuto "Iride", "Umberto", "Musco", "Vittorio Emanuele" e ancora "Teatro Alhambra", infine cinema "Sarah".). Quindi una vera e propria gragnola accende rutilanti luci di sala dislocandole spesso tra loro vicinissime, segnando la definitiva sconfitta del cinema ambulante e la prepotente affermazione dell'esercizio stabile.
In rapida successione nascono l'"Edison americano" (1906, via Alessi 16); il "Cinematografo Mondiale" (piazza Cavallotti); il "Sala Italia" (1906, piazza Duomo, subito dopo "Real Cinematografo Gigante"); il "Cinematografo Moderno" (1906, via Spadaro Grassi, totalmente distrutto da un incendio domenica 10 giugno 1906, ma immediatamente ricostruito e riaperto con il nome di "Lumière Moderno"); il "Salon Parisien" (via Biscari); il "Nazionale" (via Alessi 11); l' "Iride" (1909, via Etnea, gestito dai fratelli Angiletti, con il "Parisien" di via Biscari, "locali di primissimo ordine", uffici in piazza Duomo 3); il "Re Umberto" (via Umberto); il "Club Unione"; il "Varietà Massimo" (nei pressi del Teatro Massimo); il "Cinematografo Italia"; il "Cinematografo Imperiale" (1906, via Novaluce, oggi viale Rapisardi); il "Garibaldi" (1906, via Ventimiglia, secondo altre fonti via Mazza 24); il "Politeama Pacini"; il "Cinema Eros Wilhem" (via Bufalo 3, gestito dall'avv. Santo Zuccarello).; l'"Eliseo" (1910, via Garibaldi 271, la più antica sala catanese ancora esistente); il "Dante" (via Garibaldi); il "Kursaal Lanza" (via Francesco Crispi); l'"Apollo" (via S. Giuseppe al Duomo, inaugurato nel 1914 e subito chiuso a causa della crisi e riconvertito in caffé concerto); l'"Excelsior" (1906, proprietario Mario Midulla - poi esclusivista della Pathé - «locale elegantissimo con annessa buvette»; Midulla risulta essere anche concessionario della "Cines"); il "Centrale", locali quasi tutti più o meno dislocati nel cuore cittadino. Quest'ultimo, assieme al "Lumière Moderno" e al "Sangiorgi", nel 1912 fa parte della "Società Cinematografica Italiana", di cui è comproprietario l'avv. Martorelli. La novità rappresentata dall'endemica apertura delle sale non manca di suscitare l'attenzione della stampa locale che, in brevi articoli, oscillanti tra informazione e pubblicità, non omettono di darne notizia alla cittadinanza etnea. Come già pubblicato, deflagra in quei lontani anni d'inizio secolo anche una vera e propria sfida tra ingegneri ed architetti impegnati a creare sale particolarmente pregiate sotto il profilo artistico-architettonico. Ne sono preziosi esempi lo sfarzoso liberty "Olympia" di piazza Stesicoro, inaugurato con il kolossal "Quo Vadis? " di Enrico Guazzoni il 22 marzo 1913, divenuto presto ritrovo della Catania "bene", svenduto alla catena dei Mc Donald's, dopo una lunga fase di proiezioni hard-core, nell'indifferenza (o peggio) dei pubblici poteri che non ne hanno saputo salvaguardare la conservazione. Un pezzo di storia cittadina distrutto dall'invasione di hamburger e patatine fritte. Quindi il cinema "Music Hall" (1913, poi "Sala Roma") - ubicato in via Etnea, in quel che fu Palazzo Spitaleri, abbattuto per far posto al nuovo che avanza, la costruzione della Rinascente inaugurata il 10 ottobre 1959, scandaloso prosieguo di quel "sacco di Catania", iniziato con l'ignominioso sventramento del quartiere di San Berillo. Il cinema "Hall" nasce con l'intento di «far rivivere in tutta la sua serenità la classica bellezza dell'arte antica» e di coinvolgere un target di pubblico elevato, ma finirà negli anni '50 in un cumolo di macerie.
Nel 1907 in città si contano già oltre una dozzina di sale. Anche le arene non restano fuori dalla competizione. Nel 1904 apre il "S. Carlino" (via S. Euplio, in corrispondenza dell'attuale Piazza della Borsa, inaugurata da Rocco Natale, già proprietario del teatro San Carlino di piazza Ogninella), seguito dall'"Edison" (via Novaluce, 9 oggi viale Mario Rapisardi), l'"Excelsior" (via Stesicoro), il "Geisha" (1906, collinetta nord della Villa Bellini), l'"Etneo" (1907, Tondo Gioieni), un altro "Imperiale" (via Lago di Nicito), il "Kursaal Esposizione" (piazza d'Armi), il "Nuova Italia" (1914, via S. Euplio, grosso modo sul sito del teatro Metropolitan). Molti gli imprenditori, a cui con il passare degli anni se ne aggiungeranno altri, che danno inizio ad una più o meno proficua attività di gestori: Mario Sangiorgi, Mario Midulla, Giuseppe Gangi, Agostino Caporlingua, Martorelli, Tedato, Filippo Lo Giudice, Spitaleri, Di Stefano, Angiletti, Pancari, Anastasi, Monachini, Serrano, Grassi, Isaja… A seguito dell'entrata in vigore di più rigorose norme di sicurezza e soprattutto con l'imposizione ai proprietari dei cinematografi di pagare una tassa sulla ricchezza mobile, già nel 1907 Catania diventa capofila d'una protesta nazionale attraverso la creazione d'un agguerrito comitato di protesta con sede nella redazione della rivista "L'Alba cinematografica". L'apertura delle sale, sebbene a ritmo molto più lento, continuerà anche oltre i primordi a partire dalla fine del primo conflitto mondiale, ultima infiorescenza nel periodo del muto. La Sicilia, 02/11/2014
Cinema,
teatro, musica una città palcoscenico Sabato 25 Giugno (La Sicilia) A
fianco Giuseppe Di Pasquale, direttore artistico del Teatro Stabile di
Catania; sopra Catania ... Mario Bruno
La rinascita di una città dipende anche dallo sviluppo della cultura
e dell'arte, che contribuiscono a incrementare il turismo. Catania è
una città dove fervono costantemente vivaci iniziative teatrali,
musicali, cinematografiche e letterarie. Qui arrivano molti registi,
conquistati dal barocco, sedotti dalle chiese di vie Crociferi, dai
prospetti dei palazzi di via Etnea, dal pittoresco, variopinto
microcosmo della pescheria con la sua umanità vociante, dall'azzurro
luminoso del mare, dagli abbaglianti colori caraibici delle spiagge
della Plaia.
Tanto cinema, dunque, ma anche musica d'autore. Abbiamo la
magnificenza del Teatro Massimo Bellini, siamo la patria di Carmen
Consoli, Franco Battiato, Luca Madonia e Mario Venuti; e c'è pure un
graditissimo ritorno del jazz, con ottimi, interessanti concerti
organizzati dal Brass group e dal teatro Piscator con Aleph. Eventi
importanti con strumentisti di calibro internazionale tra i quali
abbiamo ascoltato Xavier Girotto, Irio De Paula, chitarrista
brasiliano di ammirevole talento, e Francesco Cafiso, considerato non
a torto uno dei migliori altosassofonisti del mondo.
La bellezza del cinema nei tempi ormai andati» Molti si ricorderanno quando nei cinema di Catania, nell’intervallo tra un tempo e l’altro, facevano ingresso i venditori ambulanti con la tipica cassetta appesa al collo, strillando in rima baciata: “Iris, caramelle, bon bon e cassatelle”. Seguiva una breve pausa e la cantilena terminava con lo strillo finale “Champagnotte?!”. Non si sa se seguito da un punto esclamativo o interrogativo. Per chi andava al cinema con la famiglia l’acquisto di uno di quei prodotti era d’obbligo, specie in presenza di bambini. Resistevano solo le persone anziane e chi aveva poche lire in tasca. C’erano però coloro che arrivavano già forniti, con il coppo pieno di “p a s s atempo”: ceci, semente e noccioline americane A farne le spese chi il giorno dopo doveva pulire la sala, stracolma di residui sotto le sedie. Per le famiglie che avevano al seguito procaci donzelle, scegliere dove e come sedersi era la principale preoccupazione. Il capo famiglia da un lato, le figlie nel mezzo e dall’altro lato la madre. Meglio se a quest’ultima toccava la sistemazione in fondo alla fila, in modo che non corresse, lei, il rischio di essere palpeggiata. Dulcis in fundo il pericolo peggiore: “il temuto molestatore" a fini sessuali. Di solito la strategia di questi personaggi era la stessa. Il tizio provava a poggiare la mano sul ginocchio di chi gli stava seduto accanto, in attesa di coglierne la reazione. Dipendeva dal tipo di questa se smetterla o estendere il palpeggiamento “sull’oggetto del desiderio". Era questo un film muto, che nell’oscurità e nel silenzio della sala, si girava solo tra i protagonisti del “misfatto”. Oggi tutto questo sembra preistoria . La società si è evoluta, non si sa se in meglio o in peggio. Le sale cinematografiche, con l’avvento della TV, scontano un prezzo salato e quel mondo che girava attorno ad esse è costituito da fantasmi che non tornano. Nelle orecchie, però, risuona la voce dello strillone: “ Iris, caramelle, bon bon e cassatelle”. Champagnotte !? “ E oggi, come allora, affiora lo stesso dubbio: “Champagnotte”: Esclamazione o punto di domanda? SARO PAFUMI
Scusi, dov'è il Cinema? di Leandro Perrotta con Roberta Attardo
creato
il 16/02/10 Via delle Salette, angolo via Concordia. Iniziamo da qui un tour fra le vecchie sale cinematografiche catanesi. Terra di mezzo fra San Cristoforo e Angeli Custodi, periferia catanese. Eppure questo è il “vero centro”, la Catania popolare storica. Se vuoi vedere com'è cambiata la città in questi anni, devi andare qui, una strada dominata dall'imponente mole rossa dell'oratorio salesiano. Per il resto il panorama non è molto vario, e fra i capannoni abbandonati si fa una certa confusione. Approfittiamo della disponibilità di un raro passante per chiedere «scusi, il cinema Apollo?», e ci indica un vecchio rudere a pezzi, un capannone, guarda caso. «Mi ricordo il cinema Apollo, ci facevano i film di Superman». Capienza 700 posti, ma in zona non c'era solo l'Apollo, c'erano anche il Concordia, il Caronda, l'Eliseo, il Midulla. Quest'ultimo non era nel nostro elenco – ricavato da una edizione della “Enciclopedia di Catania”, Tringale Editore, 1980 - , ma ci facciamo spiegare la strada «Si trova vicino al mercato di San Cristoforo, ma fai attenzione, quella è una zona brutta». La “zona brutta” si trova a circa mezzo chilometro, stesso quartiere ma più vita: nascosto da una bancarella di frutta e verdura, ecco il portone dell'ex cinema Midulla. Qui c'è tanta gente, che quando scopre che siamo lì per il cinema viaggia fra i ricordi: «Ha chiuso 15 anni fa... No forse 20. Bei tempi quelli». Oggi nel basso edificio che ospitava il Midulla c'è un centro sociale del comune, con un paio di finestre rotte. Stessa sorte ma una sola finestra rotta per il cinema Concordia, in via Playa, qui siamo agli Angeli Custodi: un grande edificio a piano terra, per quasi 800 posti, riconvertito in “Centro culturale Alberto Sordi”. Destino forse migliore di un'altra sala storica, l'Eliseo, appena 300 posti ma in un edificio di pregio, su via Garibaldi: è ancora attivo, ma proietta solo film a luci rosse da 30 anni, e sembra cascare a pezzi. Il Caronda, cinema più arena, si raggiunge proseguendo per via Fortino Vecchio, si gira per un paio di traverse, e lo vediamo finalmente alle spalle di via Acquicella. Un altro anonimo capannone da 24 anni. L'Arena invece è diventata un parcheggio. Un triste parcheggio è oggi anche l'Arena Centrale, in via Etnea accanto al centralissimo Lo Po', uno dei pochi cinema storici ad essersi “reinventato” multisala per proseguire l'attività, in una zona che 30 anni fa era letteralmente piena di sale. Verrebbe da dire che un po' di sale dovevano buttarlo a terra, visto che in attività restano solo il già citato Lo Po', l'Odeon, l'Arena Argentina, mentre il Metropolitan è ormai solo un teatro. Fra quelli chiusi l'Arena Ideal di via Andronico, che oggi è un cortile abbandonato pieno di erbacce, mentre sulla sponda opposta di via Etnea, in via De Felice stà silenzioso l'ultimo caduto di questa guerra a colpi di multisale: l'Excelsior. Il Tiffany poco più là aspetta affittuari, mentre il cine-teatro Diana su via Umberto è diventato un outlet dopo essere stato per anni un negozio della catena “Sisley”. Del cinema “Monachini”, zona piazza Carlo Alberto, nel via vai frenetico di cinesi si ricorda uno sparuto gruppo di residenti storici. Del cinema “Reale” in via Francesco Crispi non si ricorda invece proprio nessuno; al suo posto oggi c'è una banca. Tornaniamo in centro storico, in via di Sangiuliano, dove nessuno sospetterebbe che il bel teatro Sangiorgi (riaperto nel 2003 e gestito dal Teatro Massimo Bellini) alla chiusura nel '89 fosse un cinema pornografico, come il vicino “Fiamma”, ancora attivo in via Fischetti, e l'Olympia-Mac Donald di piazza Stesicoro. Un
cinema c'era anche in pescheria, o quasi: in via Gisira lo storico “Vittoria”,
costruito nel 1924, era finito anche lui a proiettare film porno, fin
dal 1978. Nel 2000 i membri della cooperativa Azdak insieme ad altri
soci esterni lo hanno rilevato per portarne avanti un piano di
ristrutturazione, che non è stato mai avviato. Nelle prossime puntate
cercheremo di scoprirne le motivazioni.
ARENA MARGHERITA Catania, metà anni Sessanta, tardo pomeriggio di una domenica di fine giugno Il sole ormai era al tramonto e nel largo spiazzo di via SS. Trinità gli spettatori cominciavano lentamente ad affluire. Un fragrante profumo di gelsomini rampicanti riempiva le narici facendo emettere dei gradevoli sospiri alle persone che, abbassando i sedili in ferro smaltati di color verde scuro, si accomodavano in attesa del film. Nel frattempo degli anziani spiluccavano della semenza o mangiavano delle fette di cedro spalmate di bicarbonato, mentre altri fumavano delle sigarette senza filtro. Dei giovanotti, con la pelle arrossata dal sole, parlavano della giornata appena trascorsa alla Plaia, commentando, con ampi gesti della mano, la presenza al Lido di una prosperosa biondona con indosso un bikini talmente succinto da far accapponare la pelle. Un gruppo familiare composto da marito, moglie e quattro figli si andava sistemando in prima fila. La madre teneva un ampia sporta di paglia gonfia di mafalde imbottite di frittata, mentre la figlia maggiore portava una borsa frigo con dentro bottiglie di aranciata e Coca Cola. Dopo alcuni minuti dalla cabina di proiezione partiva la canzone più gettonata del momento: “Il Pullover” di Gianni Meccia e subito dopo seguiva “Il Barattolo” sempre dello stesso Meccia, quindi “Legata a un granello di Sabbia” di Nico Fidenco. Appena le prime ombre della sera facevano capolino partiva il telegiornale INCOM, con notizie di attualità. Spesso apparivano dei famosi personaggi del Cinema tipo: Alberto Sordi, Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Ugo Tognazzi, Monica Vitti, che facevano passerella in qualche rassegna cinematografica o in qualche evento mondano e poi seguivano i politici tipo: Fanfani, Nenni, Andreotti, Moro, Saragat, La Malfa che inauguravano qualche mostra o tagliavano dei nastri. Finalmente il film. Ricordo con piacere “I magnifici Sette”, con Yul Brynner, Steve Mc Queen, Charles Bronson, oppure “Trapezio” con Burt Lancaster, Tony Curtis e Gina Lollobrigida e inoltre “Spartacus” con Kirk Douglas e poi i musicarelli tipo in “Ginocchio da Te” con Gianni Morandi e Laura Efrikian e poi i film mitologici con protagonisti Steve Reeves e Gordon Scott, tipo “Romolo e Remo”, o “Orazi e Curiazi” con Alan Ladd. Al termine del film, anzi dei film perché allora se ne proiettavano due, si aprivano le porte di sicurezza e le persone si riversano lungo la strada, felici d’aver trascorso una piacevole serata d’estate al profumo dei gelsomini e, a piedi, perché allora c’erano poche automobili, rientravano, serenamente, a casa. Angelo Di Bernardo
Elenco alfabetico delle sale
Abc: 1958. Inaugurato il 16 Marzo ’58 con il film “Un amore splendido”. via p. Mascagni 88, venne costruito al posto dell’ Arena Spadaro. Non è stato in attività tra il 1987 (chiuse in aprile con il film “figli di un dio minore”) e il 1998, quando ha riaperto a novembre con il film “Delitto perfetto”.
Achab: 1995. Viale Africa 31. Saletta d’essai gestita dalla cooperativa Azdak. Amadea: 1997-1999. Viale Africa 31. Si trovava nell’immobile adiacente al lato posteriore della saletta Achab.
Alfieri 1948. Via Duca degli Abruzzi 8. Fino al ’64 cinema Garden. Dal 1999 anche sala 2.
Ambasciatori: 1959, al posto dell’arena Manzoni. Viene inaugurato il 25 luglio 1959 con lo spettacolo teatrale “Follie del varietà”. Il primo film viene proiettato il 10 agosto “Kamikaze torpedini umane”. Dal settembre 2004 svolge unicamente attività teatrale ed è gestito dal Teatro Stabile.
Apollo: 1914 – 1914. via San Giuseppe al Duomo. Inaugurato nel gennaio del 1914 fu subito travolto dalla crisi del settore e nello stesso anno venne riconvertito in caffè concerto. Da non confondere con il cinema Apollo di via S. Maria delle Salette. 1956-1983. Inaugurato il 9 Giugno 1956. Via S.Maria delle Salette 165.
Archimede: 1941-1959 via Mendola, anche arena. L’ultimo film, “Quota periscopio!”, è stato proiettato mercoledì 14 ottobre ’59. Fu demolito in seguito allo sventramento del vecchio San Berillo. Si trovava nella zona compresa tra Via Archimede e Corso Sicilia.
Ariston: 1958, via Balduino 19. Viene inaugurato il 7 giugno ’58 con il film “Orgoglio e passione”.Non è stato in attività nella stagione ’84-’85. Nel 1985 viene preso in gestione dalla cooperativa AZDAK. Dal novembre ‘99 anche sala 2. Il 24 gennaio 2006 i locali sono stati rilevati dalla società romana “Circuito cinema” che a breve provvederà alla ristrutturazione realizzando altre due sale al posto della tribuna. Astoria: 1957 – 1969. Inaugurato il 14 settembre 1957 con il film “Donne, dadi, denaro”. Dal 1969 Teatro Delle Muse, poi TeatroVerga.
Autoferrotranvieri: 1944-1963. via L.Capuana 72. Dal 61 assume il nome di “Roma".
Bellini: 1934-1959 via V.Emanuele 121. Dal 1965 Teatro Rosina Anselmi.
Buscemi: 1951-1982. via Susanna 74. Anche arena. Inaugurato sabato 3 marzo 1951 con “Domani è troppo tardi”.
Capitol: Inaugurato il 16 maggio 1957 con serata ad inviti per la proiezione del film “La traversata di Parigi”, il giorno dopo cominciano le proiezioni per il pubblico con il film “Alta società”. La terrazza viene inaugurata il 15 giugno 1957.
Carmelitani: 1953 – 1962, Piazza Del Carmine, sala parrocchiale.
Caronda: 1955-1986. via acquicella porto 105.
Concordia: 1950-1979. Inaugurato mercoledì 18 gennaio 1950 con il film “Marito ideale”, ingresso platea £ 40, tribuna £ 60. Dal ’76 assume la denominazione di Elen. Via Plaja 43.
Corsaro: 1944. via S. Nicolò al borgo 49
Delle rose: 1955-1982. inaugurato il 3 settembre 1955 con il film “Rose marie”. Via del bosco 100. Anche arena. Chiude il 25 luglio 1982 con il film “Conan il Barbaro”.
Dora: vedi Fiamma.
Diana e Saletta: 1926-1981. via Umberto 7. Realizzato dall’arch. Paolo Lanzerotti e inaugurato il 26 dicembre 1926 con il film “Maternità” e con spettacolo di varietà. Negli ultimi due anni il Diana funziona come luci rosse, mentre il saletta continua la normale programmazione. Chiudono entrambe nel giugno ’81.
Divino amore: 1956 – 1960, via Zia Lisa 118, sala parrocchiale.
Don Bosco: 1964, viale Mario Rapisardi 56. Sala parrocchiale. Prevalentemente adibito ad attività teatrale.
Edison americano: : 1906-1929. Via Alessi 16. risulta anche un Edison estivo in via Nuovaluce 9, oggi Viale Mario Rapisardi. Sul finire degli anni 20 compare anche un “Edison” ubicato il via di Prima 18, ma non se ne sa di più.
Eliseo: 1910 via Garibaldi 271. Dal ’79-’80 sala a luci rosse.
Esperia: 1931-1984 via Plebiscito 782. Anche Arena. Durante il fascismo cinema Littorio. Inaugurato il 16 ottobre 1931, con serata ad inviti, e il giorno dopo per il pubblico, con il film “Legione azzurra” e la comica “Pompieri (flick e flock)”. Non è stato in attività dal 20 aprile del 1943 all’inizio del 1946. Chiude il 17 gennaio 1984 con il film “Paolo Roberto cotechino centravanti di sfondamento”.
Europa: 1955- 1976 Nesima, Via Pacinotti 23. Costruito al Catania e il cinema di Alberto Surrentino D’Afflitto
Excelsior: 1939 via de felice 19. Anche arena fino al 1960. Venne aperto come teatro nel ’35, eliminati parte della tribuna (al cui posto fu ricavata la cabina di proiezione) e i palchetti riaprì come cinema nel ’39.
Famiglia: venne demolito in seguito allo sventramento del quartiere San Berillo. Si trovava in Via Ventimiglia.
Fiamma: 1944 via fischietti 2 . Fino al ’48 cinema Virtus. Sabato 11 dicembre 1948, dopo una breve chiusura per rinnovo locali, riapre con il nome di Dora (in onore della nipote del gestore) con il film “Scala al paradiso”. Dal 1971 assume la denominazione di Fiamma. Dal ’79 è sala a luci rosse.
Garden: (San Giovanni Galermo): 1954-1984. Per i primi anni cinema. L’ultima proiezione di cui si ha notizia certa risale al 1° aprile 1984, con il film “Turbo time”.
Garibaldi: 1906- metà anni 10. Alcune fonti riferiscono che fosse ubicato in Via Mazza 24, secondo altre si trovava in via Ventimiglia. E’ possibile anche che si tratti di due diversi locali in attività in periodi diversi e con identico nome. Come di molti dei locali aperti nel 1906, le notizie si perdono nel corso degli anni. Di sicuro non fu più in attività dopo lo scoppio della prima guerra mondiale.
Golden:1974 – 2003, Viale Ruggero di Lauria 85. Inaugurato sabato 23 novembre 1974 con “Stavisky il grande truffatore”. Non è più in attività dall’ottobre 2003, ultimo film proiettato “La maledizione della prima luna”. Non si hanno ancora notizie sul futuro della sala.
Imperiale: 1906 - via nuovaluce (oggi viale mario Rapisardi) n. 9. Da non confondere con l’Arena Imperiale di via Lago di Nicito. Dovrebbe avere iniziato le proiezioni nel settembre del 1906. Non è stato possibile reperire altre fonti in merito alla sua attività e all’anno di chiusura. Allo stesso indirizzo risulterà ubicato anche il cinematografo Edison, ma non risulta chiaro se si tratta di un cambio di denominazione o della realizzazione di una attigua arena estiva.
Lo po’: 1936 via etnea 256. fino al ‘66 anche terrazza. Dal 2003 è stato trasformato in multisala con tre schermi.
Lumiere: 1906-1938. via Spadaro Grassi. Inaugurato nel maggio del 1906 con la denominazione di cinema Moderno, fu distrutto da un incendio domenica 10 giugno. Riaprì il 2 settembre 1906 con la nuova denominazione di Lumiere. Per i primi anni in estate il gestore trasferiva la propria attività nel porticciolo di Ognina. Negli ultimi due anni di attività assunse il pomposo nome di cinema Impero. Chiude il 26 marzo 1938 con il film “Casta diva”.
Lux: 1936-1960 via Messina
Marisa: 1952-1980. anche arena. Via Fazello 27. Nel giugno ’51 ne viene annunciata l’imminente apertura, poi rinviata per motivi non rinvenibili. L’apertura al pubblico si avrà il 1° gennaio 1952 con il film “Il principe e il povero”. Demolito intorno al 2000.
Messina: 1959. Via Giannotta 15. Inaugurato il 25 luglio 1959 con il film “Il grande paese”. Dal 1989 sala a luci rosse.
Metropolitan: 1955. via S.Euplio 21. Inaugurazione il 19 gennaio 1955 con la rivista “tutte donne meno io” della compagnia Macario. Il 24 gennaio ‘55 viene proiettato il primo film: “Giulietta e Romeo” di Renato Castellani..
Midulla: 1937-1979. via Zuccarelli 36. Prima della guerra aveva il nome di cinema «Italia». Distrutto nel febbraio del 1979 da un incendio doloso. Ultimo film proiettato “Totò contro Maciste”.
Minerva: 1946-1983. via Orto del re 20. Chiude il 31 maggio 1983 con il film “Pink Floyd the wall”.
Mirone: 1928. Via A. De Curtis. Fu inaugurato il 10 marzo 1928 con il film “Derby reale”. Non è stato in attività tra l’85 e il ‘95, anno in cui, nel mese di ottobre, ha riaperto con il nome di King.
Monachini: Sala A 1928-1956. Sala B 1945-1990. Terrazza 1930-1963. via Giordano Bruno 20. Nei primi anni 80 alterna film normali a quelli porno. Diventa esclusivamente a luce rossa dalla stagione ’83-’84. Chiude mercoledi 24 ottobre ’90 con il film hard “Le superscatenate”.
Mondiale cinematografo Excelsior: 1906 - ???? Di sicuro era in attività fino al 1911. Dopo questa data non è stato possibile reperire altre notizie. Da non confondere con il cinema Excelsior di via De Felice.
Nazionale: 1906 - via Alessi 11.
Nuovo: 1928-1966,ex teatro Genio, dall’ottobre ‘54
Aurora: Via Abate Ferrara 32. Costretto alla chiusura da ingenti danni al tetto, oggi completamente crollato.
Odeon:1932. via F. Corridoni 19. Realizzato dall’arch. Carmelo Aloisi e inaugurato l’11 marzo 1932 con il film “Papà gambalunga” e il corto “Inverno” (Sinfonia allegra). Il primo locale a vantare il tetto apribile.
Olympia: 1913-1998 Piazza Stesicoro 57. Realizzato dall’architetto Francesco Fichera, inaugurato il 21 marzo 1913 con il film “Quo vadis?”. Dall’80 sala a luci rosse. Ultima proiezione lunedì 13 luglio 1998. Oggi è sede di un fast food.
Orione: 1947-1952. via Pietro dell’ova
Planet : 2000. Via della costituzione 47. 5 sale. Inaugurato sabato 4 marzo 2000 con i film “C’era un cinese in coma”, “Il collezionista di ossa”, “Sbucato dal passato”, “Three kings”.
Reale: 1925- 1984. fino al 33 cinema Orfeo. Via F.Crispi 262. Chiude martedì 26 giugno ’84 con il film “La donna che visse due volte”.
Recupero: 1953- ha chiuso nel 1983 per riaprire i battenti nel 2003 come multisala. Via duca degli abruzzi 69. Dal 2000 anche arena.
Rinascita: 1948-1959. Via Barriera del bosco angolo via Antonello da Messina.
Ritz: 1972-2001. Via Ibla 5. Inaugurato il 31 ottobre 1972 con il film “L’avventura è l’avventura”. Ultimo film proiettato “Storie” nel maggio 2001. Acquistato dalla Provincia, è attualmente adibito a sala per le lezioni della facoltà di giurisprudenza.
Ruggeri: 1959-1961. C/da San Giorgio 39.
Sala Italia: 1906 - Piazza Duomo. Inizia le proiezioni il 24 marzo 1906 e come di tutti i locali della prima ora, se ne perdono le tracce nel corso degli anni. Conosciuta anche con il nome, assunto successivamente a partire dal settembre 1906, di Real cinematografo Gigante
Sala Roma: 1913-1957 Palazzo Spitaleri, oggi Rinascente, via Etnea 155. Inaugurato nel settembre del 1913 con il nome di “Music Hall”, assunse la denominazione di “Sala Roma” dal 4 dicembre 1932. Dal 1948 anche arena. Nel 1938 fu il primo locale ad ospitare la proiezione di un “film in rilievo”, ovvero il 3D. Ultima proiezione Il 17 giugno 1957 con il film “L’angelo del ring”. Fu demolito per far posto al palazzo della Rinascente, la cui attività commerciale verrà aperta al pubblico il 10 ottobre del 1959.
Salon parisien: 1907 - via Biscari. Già dal 1909 se ne perdono le tracce. Probabilmene, come molte delle sale della prima ora, fu travolto dalla crisi di metà anni dieci causata anche dall’inasprimento fiscale imposto per far fronte ai costi della guerra.
Sampaolo: 1955 - 1957 . Sala parrocchiale, via S.Agata 3. Inizia le proiezioni il 12 gennaio ’55. L’ultima proiezione di cui si ha notizia certa risale al 23 ottobre 1957, con il film “Quando mi sei vicino”. In attività peraltro non continuativa durante la stagione ’56-’57. Via S.Paolo 73, Cibali.
Sanfilippo: 1962- 1973 via Re Martino 197. Nel ’70 assume in nome di Orchidea. Dal 1974 Teatro Sud fino a metà anni 90.
San Filippo Neri: via teatro greco 32, sala parrocchiale. Non si hanno notizie sul periodo di attività.
San Francesco di Sales: via Cifali 7, sala parrocchiale. In attività nei primi anni 50.
Sangiorgi: 1901, una programmazione cinematografica continuativa comincia però a metà degli anni 20. Estivo Kursaal (terrazza con 600 posti) attivo fino a metà anni 30 e poi dal ‘54 al ’63 .Già dai primi anni 70 si proiettano esclusivamente film erotici. Nell’ottobre ’76 si tenta un rilancio e si torna ad una programmazione “per tutta la famiglia”, ma nel gennaio ’77 si torna ad una programmazione erotica. Pochi mesi dopo cominciano anche le proiezioni di film porno. Rilevato dal Teatro Massimo Bellini nel’89, dopo una lunga ristrutturazione è stato nei primi mesi del 2003 riaperto come teatro.
Santa Maria della Mercede: 1957 – 1960, via Caronda 102, sala parrocchiale.
Sarah: 1953. Via di San Giuliano 126. Dalla stagione ’76-’77 proietta esclusivamente film erotici,e dalla fine del ’77 anche porno. Prima del ’53 Teatro Alhambra, a sua volta ex Vittorio Emanuele, a sua volta ancora ex Principe di Napoli, (1887).
Sciara: 1979 – 1996. San Paolo, Piazza Risorgimento 20. Tecnicamente in territorio di Gravina, per la sua vicinanza con il quartiere di Barriera è stato sempre considerato un cinema cittadino.
Spadaro: 1948-1980. via Sabotino 2.E’ l’unico caso di terrazza entrata in funzione prima della sala: essa infatti è attiva dall’estate ’47 mentre la sala comincerà a funzionare da sabato 18 settembre ‘48, giorno in cui si inaugura con il film “La signora Parkington”.La terrazza rimane in funzione fino al 7 agosto ’52, il giorno dopo viene aperta l’arena Spadaro in via Mascagni. A seguito della trasformazione dell’arena nel cine Abc, la terrazza tornerà a funzionare dall’estate ’57. Il cinema riaprirà prossimamente come teatro Brancati.
Trinacria. ex Tiffany: 1932, fino al 1994 ha mantenuto il nome di Trinacria. Via Agnini 20. Dall’estate del ’77 comincia a proiettare qualche film erotico. Sala a luci rosse dal ’79 al ’94 ,anno in cui riapre sotto il nome di Tiffany.
Vittoria: 1924, via gisira 67. Conosciuto anche come Supercinema. Dal ’78 sala a luci rosse. Rilevato nel 2000 da alcuni membri della cooperativa Azdak assieme ad altri soci esterni, doveva essere oggetto di un piano di ristrutturazione mai avviato.
Arene e terrazze
Arena Adua: 1930 – 1971, via Ciccaglione. Chiude domenica 10 ottobre 1971 con i due film “Don giovanni in Sicilia” e “La porta sbarrata” per la volontà dei proprietari di vendere il terreno su cui verrà di seguito costruito un palazzo. Il gestore tuttavia non si perse d’animo e realizzò due anni dopo la nuova arena Adua in via San Nicolò al Borgo.
Arena Nuova Adua: 1973, Largo Carmelo Mendola (già via S. Nicolò al Borgo). Inaugurata domenica 27 maggio 1973 con il film “La treccia che uccide”. A causa di problemi burocratici relativi alla licenza, ancora relativa al precedente omonimo locale di via Ciccaglione, nella stagione ’77 dovette mutare nome in Arena Imperiale (scelto in onore della gloriosa arena, in cui tra l’altro il gestore, sig, Gallina, era stato ai tempi proiezionista), per riprendere l’anno seguente quello di Adua.
Arena Archimede: 1928-1959. Fino al 1936 arena Balilla. Fu demolita in seguito allo sventramento del vecchio san berillo. Nel 1941 venne affiancata dall’omonimo cinema.
Arena Argentina: 1945. Non è stata in attività nel 1981. Dall’82 è gestita dalla cooperativa Azdak.
Arena Augusteo: via plebiscito 199. Già attiva sul finire degli anni 20, ha chiuso i battenti pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ha comunque svolto prevalentemente attività teatrale.
Arena Borgo: 1937-1960. Via Canfora 6. L’ultimo film, “Il figlio di Caroline Cherie” viene proiettato il 23 settembre 1960.
Arena Buscemi: 1951-1982. via Susanna 74. Attigua all’omonimo cinema. Inaugurata giovedì 28 giugno 1951 con “Gli amanti della città sepolta”.
Arena Campione: 1952-1959 via V.Giuffrida 109. Inaugurata sabato 31 maggio 1952 con il film “Ti avrò per sempre”. Chiude martedì 6 ottobre 1959 con il film “La carica dei 600”.
Arena Canalicchio: 1956-1981. Via Di Giorgio 3. Per i primi anni Arena Cosentino Cosentino. Dal ’79 Arena Broadway. Ultima proiezione mercoledì 9 settembre ’81 con “I giganti del west”.
Arena Caronda: 1953-????. Dovrebbe essere rimasta in attività fino alla fine degli anni 70. E’ attigua all’omonimo locale invernale.
Arena Centrale: 1930-1979. Via Etnea 284. Chiusa per impossibilità di adeguamento alle norme sulla sicurezza.Ultima proiezione domenica 30 settembre 1979 con “ i 10 gladiatori”.
Arena Corsaro: 1964 via S. Nicolò al borgo.
Arena Del sole: 1945-1958 via Belfiore 90
Arena Del bosco: 1946-1959. Via Antonello da Messina, 11.
Arena Delle rose: 1955-1982. Nell’ultima stagione rimane aperta soltanto dal 17 al 25 luglio ’82 quando chiude definitivamente con il film “Conan il barbaro”.
Arena Don Bosco: via Madonna delle Salette, sala parrocchiale.
Arena Dopolavoro ferroviario: 1950-1963. via Calatafimi 4.
Arena Eldorado: 1945-1958 Via Vittorio Emanuele 379.
Arena Esposizione: 1921-1950. Via F.Crispi. L’ultimo film viene proiettato il 15 ottobre 1950: “Impresa eroica”.
Arena Esperia: 1932-1982. Via Plebiscito 782.
Arena Etneo: 1907 - ???? Tondo Gioieni. Sulle considerazioni in merito all’impossibilità di determinare la data di chisura vedi quanto detto in merito al Salon Parisien.
Arena Europa: 1954 – 1954. Attiva per una sola stagione, al suo posto fu costruito il cinema Europa.
Arena Gangi: 1919-1938. Con i suoi 4500 posti risulta essere stato il più grande locale della città. Ultimo film proiettato: “Il pugnale cinese” il 21 settembre 1938. Demolito per far posto al largo paisiello.
Arena Garozzo: Via Masaniello 12. Funzionante a metà anni 60, non si hanno notizie sulla durata della sua attività.
Arena Geisha: 1906-???? Collinetta nord villa bellini. Non si hanno notizie precise sulla sua chiusura, di certo non fu più in attività dopo la prima guerra mondiale. Conosciuta anche con il nome di “Eden Bellini”. Nello stesso luogo venne realizzata nei primi anni 30 l’arena Palace.
Arena Giardino: 1945-1955 grattacielo. Inaugurata il 22 giugno ’45 con il film “I dieci comandamenti”. Ultima proiezione 31 agosto ‘55 con i film “El gringo” e “Don Camillo”.
Arena Grande: metà anni 30 -1961. Via S.Maria della catena. Fonti ufficiali dell’AGIS ne farebbero risalire l’apertura al 1949. In realtà sulla base di testimonianze di gestori ed avventori, risulta che l’arena fosse già attiva almeno nel 1938. Non è possibile tuttavia individuare l’anno esatto di apertura.
Arena Kursaal: estivo Sangiorgi. 1901-1936 e 1954-1963.
Arena Ideal: 1931-1981 via Andronico 9. Prima del ’31 Arena Verdi, ma con attività quasi esclusivamente teatrale. Chiude mercoledì 30 settembre ’81 con “Malaspina”. Il 14 febbraio 2005 è stato bandito l’incanto per la vendita fallimentare.
Arena Imperiale: 1937-1955 via lago di Nicito angolo via Castromarino. Fu costruita a metà degli anni 20, ma svolse esclusivamente attività teatrale fino al ’36. Ultima Proiezione il 10 Ottobre ’55 con i film “Cento serenate” e “Frine cortigiana d’oriente”. Ingr. L.50.
Arena La battigia: 2000 - 2004. Viale Ruggero di Lauria 1. Struttura in legno ospitata all’interno dell’omonimo lido. Inaugurata domenica 16 luglio 2000 con “La cena dei cretini”. Oggi non più in esercizio.
Arena Lucciola: 1947-1955. Via Franchetti 9 . Inaugurata sabato 5 luglio 1947 con il film “Il figlio di Montecristo”. Dopo la stagione 1955 scompare dal tamburino del quotidiano locale, e se ne deve pertanto supporre la chiusura. Secondo fonti AGIS ha chiuso i battenti nel 1956, mentre alcuni abitanti del quartiere ritengono che sia stata in attività almeno fino ai primi anni 60. La struttura, tuttora esistente, è adibita a garage.
Arena Miramare: 1951 - 2003 Chiude il 23 settembre 2003 con il film "Un ciclone in casa". La chiusura deriva dalla vendita del terreno per realizzare un palazzo. L'arena verrà demolita nel 2007, il palazzo è attualmente in costruzione
Arena Manzoni: Inaugurata l’8 luglio 1956
http://www.editorialeagora.it/rw/articoli/202.pdf
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di MImmo Rapisarda
C'era, c'era.... eccome se c'era. Fra qualche anno diremo così anche per questo altro pezzo di "quella" Catania che se ne va. C'era una volta, come c'era una volta il Diana, il Roma, l'Archimede e tanti altri. Demoliti da poco nobili interessi che niente hanno a che vedere col cuore degli ultimi nostalgici, come me. Dico questo perchè, forse, non riusciamo ad accorgerci che nella vita tutto fa parte di un ciclo e il ricambio naturale delle cose che perdiamo è una cosa normale. Però, a volte ci arrabbiamo per come accade questo ricambio. Sfido qualsiasi catanese al di sopra dei Quaranta a dirmi che non c'è mai stato. Parlo di almeno una serata alla mitica arena Miramare, a Guardia Ognina. Architettonicamente era spartana, mediocre, direi scadente, addirittura fetiscente. Più che un cinema sembrava una masseria. Ma era decisamente il posto, in cui un inconsapevole genio dell'urbanistica pensò di collocarla, che la rendeva strategica. Un posto fantastico, quando ancora i suoi metri quadrati non valevano l'oro di oggi! Situata sul cono della collinetta che si affaccia sulla baia di San Giovanni Li Cuti, era incastonata su di essa come un gioiello, visibile anche dal lungomare. L'ingresso si trovava su Via Messina; si pagava alla cassa che sembrava un confessionale in versione balneare e poi si entrava attraversando una stradina in discesa verso la grande fossa naturale nella quale era stava ricavata l'arena, al fresco. All'entrata era già uno spettacolo perchè vedevi subito l'orizzonte del mare di fronte, che prima del film offriva straordinari Trailers colorati di azzurro celeste, rosa, indaco, violetto. Già questa sensazione ti rilassava e ti faceva stare subito bene, aggiungiamoci l'improvvisa frescura, gli odori, il canto dei grilli in amore e il gioco era fatto. Quel viottolo, tempestato di colorate piante di fichidindia, pergolati di vite canadese e cascate di glicine, ciclamini e gelsomini, costeggiava sulla sua sinistra un orto i cui profumi ti ricordavano perfettamente in quale luogo del Mediterraneo ti trovavi, qualora l'avessi scordato per un attimo. Quante generazioni di catanesi sono passate da quel cancello! Intere famiglie, ragazzi, studenti, gente sola o accompagnata, "picciriddi cunnuteddi" che durante le proiezioni le prendevano di santa ragione, fidanzatini con genitori a carico che li sorvegliavano alla distanza di un metro, signore in gravidanza che si riparavano dal caldo di casa, tutte ci sono passate. Anche intere comitive che erano lì per ben altri scopi: fare farsa! Con gli amici, qualche sera, d'estate si andava al Miramare. Già forniti di panini con parmigiana o caponatina, stavamo seduti a tre a tre in due file. Durante la visione si sgranocchiava di tutto e si bevevano le bibite gelate. E' chiaro che il film non lo vedeva nessuno perchè il tempo scorreva mangiando, parlando, sparlando, scherzando, ridendo, raccontando, incantandoci su spalle fin troppo abbronzate e incrociando occhi ammalianti che davano appuntamenti a quelli nostri durante le luci dell'intervallo. Un altro passatempo: scommettere sui gechi poggiati sullo schermo, sceglierne uno e vedere quanto tempo impiegava per arrivare sul cappellone di Paul Newman. Il padrone della "zazzamita" che arrivava al traguardo aveva diritto a una birra gelata. Quando si esagerava, arrivava puntuale "shhh!!! Salenzio!". Una sera stavano proiettando il film "Amore per sempre" con Mel Gibson (un aviatore è innamorato di una ragazza .... purtroppo un giorno lei ha un incidente ed entra in coma, lui non riesce a sopportare questo e grazie a un inventore si fa ibernare nell'attesa che lei guarisca..ma qualcosa va storto e rimane ibernato per 50 anni. Quando si risveglia riesce a ritrovare la sua amata che nel frattempo era diventata pure nonna, ma che non aveva mai dimenticato quel ragazzo che scomparve all'improvviso). Ebbene, i due protagonisti sono in cima a una collina stile "Cime tempestose", le prime parole che lui dice sono: "Jane, finalmente ti ho ritrovata, adesso sono qui... c'è qualcosa che vuoi dirmi?". Lei è un po' titubante, ma non fa a tempo a rispondergli perchè la sua risposta arriva, bruciante, dalle ultime file: ..... "A unni a statu?" . Naturalmente risata generale, come sempre, come ogni sera in quel posto magico. Sbaglio, o ci trovate qualche assonanza con le scene di un famoso film di Tornatore? Ma poi, dopo tutto, chi se le li vedeva i film con l'altra pellicola che avevamo alla nostra destra? La luna che guardava a scrocco mentre luccicava e abbagliava un mare che faceva altrettanto; qualche nave passava con tutte le luci accese, la brezza marina che per invidia saliva anch'essa fino a noi per stordirci. Ma noi, che eravamo già ubriachi di forti odori di menta, basilico, zagara dei giardini vicini; noi, con la giacchettina di cotone sulle spalle e lucidi di spray antizanzare; noi, seduti su quelle scomode sedie in ferro verniciate di verde e di ruggine; noi, sepolti da scorze di noccioline, abbiamo sempre saputo di questi regali che la Natura ci ha fatto e per decenni abbiamo sempre detto Grazie! Abbiamo respirato, annusato e goduto di tutti i frutti offerti dall'Arena Miramare. Ma avremmo pagato anche il doppio del biglietto per stare lì. Almeno una volta nella sua vita, ogni catanese ha oltrepassato quel cancelletto per vedere Maciste, Totò o Tom Cruise. Chi per rilassarsi, chi per abbordare, chi per sfiorare, chi per la soddisfazione di alzarsi gonfio come un palloncino per vie delle gazzose consumate. Chi, infine, per trovare il coraggio di dirle "ti amo" con la complicità del posto. Alla fine, sollevati a dieci centimetri da terra, risalivamo quella stradina con tre etti in più e qualche atmosfera di troppo nello stomaco. Uscivamo sulla strada, avvertendo subito il caldo e il repentino cambio di temperatura: da 20 a 36-37 gradi!. Via le giacchette di cotone. Le strade di Guardia e Picanello, a quell'ora sono ancora vivaci, sveglie. In quei quartieri soffocati dal caldo umido e dall'afa catanese in agosto, si sentivano le nostre voci: chi sfotteva a destra e chi a sinistra. Le nostre risate sguaiate per chi, ancora impressionato dal film, imitava Franco Nero o per chi, ancora impaurito da L'Esorcista, si faceva accompagnare a casa. Il rumore delle nostre ciabatte ci trascinava per le strade eternamente bucherellate di Picanello mentre folate di vento caldo sollevavano dai marciapiedi quintali di scontrini fiscali (autentici e fasulli) e offerte imperdibili nei supermercati. Guardando in alto, piccoli bagliori rossi si ravvivavano ad intermittenza, al buio di precari balconi; oppure scivolavano in basso al pianoterra a forma di serpenti fumosi sedendosi sulle sedie di legno e paglia, sul marciapiedi davanti casa. Tutti, tutti a godersi un po' di fresco ristoratore all'aria, lontani dalle mura di pietra lavica e intonaco rosa, ancora calde perchè cotte a puntino dal sole pomeridiano del ponente etneo. E' gente che va tardi a letto sapendo già di non poter dormire per il caldo, che si gode l'ultima ventata che producono le alghe del golfo di Ognina. Gente che si attarda fuori sparlando senza pietà di nuore, generi, compari e consuoceri, che pensa già alla spesa che dovrà fare l'indomani: i pomodori freschi, il basilico, le melanzane, la ricotta salata, la pescheria, la "minnulata" al carrettino 'Don Tino-Coni con panna-Gelati-Granite'. Sì, ma al chioschetto del Miramare tutto era più solleticante, aveva un altro effetto... era gassoso, ghiacciato! Eppure era tutto uguale! Chi se lo dimentica quel piccolo bar? Stava dietro le ultime file, tipico da arena estiva: semi di zucca, gazzose, bibite, patatine, ecc. Negli ultimi tempi lo prese in gestione un tipo freakettone, con mille tatuaggi sulle braccia, un'infinità di borchie e un abbigliamento alla Fandango. Aveva tappezzato il locale con i poster dell'Harley Davidson, di James Dean e di altri miti che gli andavano a genio. Per aprire la saracinesca del bar arrivava a metà del primo tempo, col frigo ancora spento. Le gazzose, via via, cominciavano a diventare sempre più calde, sempre più calde. Erano segnali premonitori, erano i tempi che stavano cambiando, era la fine imminente. L'ultima stagione, infatti, fu nel 2002. Nell'anno successivo i proprietari del terreno sul quale sorgeva l'arena lo mise in vendita a fini edilizi. Assieme ad altri lettori, in quell'anno protestai su La Sicilia esortando l'Amministrazione comunale a non concedere la concessione sull'imminente disastro che si stava per compiere perchè consideravo quel luogo un patrimonio storico della città e che, per il suo valore affettivo, apparteneva un po' a tutta la cittadinanza. Smantellarlo significava distruggere una pietra miliare che era elemento componente e integrante del fascino ogninese. Andava invece acquisito, salvaguardato e rivalutato. Tutti sappiamo, invece, com'è andata. Se il Comune avesse acquistato il terreno, avesse bonificato e ristrutturato l'arena e l'area circostante per farci magari un Centro culturale, questa amministrazione sarebbe stata ricordata a vita dai suoi concittadini. Purtroppo, oltre a non avere il minimo interesse ad essere ricordato, chi ci governa non è nemmeno catanese e certe cose non potrà mai capirle. Speravo in un suo romantico ricordo di quando era studente nell'Ateneo catanese e che la rimembranza di un bacio galeotto regalato furtivamente alla collega di corso, davanti a quello di Cary Grant e Ingrid Bergman in "Indiscreto", lo avesse fatto redimere. Niente, solo parole al vento. Fra le arene, avevano già chiuso il Delle Rose, la Terrazza Cavallaro, il Sanfilippo. Sono rimaste ancora l'Argentina, l'Adua e qualche altra ancora, che battagliano ogni sera con un nemico molto più agguerrito, molto più organizzato di loro; un nemico che la sera inchioda tutti noi alle nostre poltrone, con il condizionatore acceso e che non ci fa uscire da casa impedendoci di capire cos'è davvero un cinema all'aperto, o perlomeno stare fuori di casa a vedere la gente: il principale cast della pellicola di ognuno di noi. Quel nemico si chiama Televisore, con tutti i suoi tecnologici aspetti e la sua immensa offerta giornaliera, ma che alla fine ci fa sentire più soli. Purtroppo, la fine di una delle cose più amate e ricordate a Catania è già sancita. Oggi le ruspe ci lavorano per creare un lussuosissimo casermone, con una vista sul mare tutta saccheggiata dalla cassapanca delle nostre notti d'agosto. Ci sono passato l'altro ieri e sono entrato fin dentro al cantiere. Con un piccolo groppo in gola, ho visto quei dinosauri estirpare dalle voragini di terra tonnellate di baci, carezze, schiaffi, sguardi, dichiarazioni d'amore, tutti appartenuti alla gioventù catanese. Ho pensato per un attimo al Nuovo Cinema Paradiso e mi sono sentito come Salvatore quando, dopo i funerali dell'amato Alfredo, assiste alla demolizione dell'oggetto dei suoi desideri di quand'era adolescente. Mentre scrivo l'arena non esiste più. Il Miramare ha già proiettato il suo ultimo "The End" sul bulldozer che gli ha dato il colpo di grazia, facendo la stessa fine del Cinema Paradiso. Come tanti suoi spettatori che non ci sono più, ormai appartiene al firmamento dei nostri ricordi. E' uscito di scena come fece Totò in un celebre film che abbiamo visto tante volte sul quel magico rettangolo dipinto di calce bianca e dell'azzurro del mare: "Torno nella miseria, però non mi lamento. Mi basta di sapere che il pubblico è contento!" Contentissimi. Grazie Miramare, per tutto quello che ci hai fatto vedere, vivere.... e sognare! Il tuo pubblico. ( lug 2007)
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