Versione maschile dell'amore per
questa terra. Non "LA" ma "IL", anzi "U Catania. Tre sono le cose che non
bisogna toccare al catanese DOC: Sant'Aituzza, i masculini e 'u Catania.
E' stato da sempre ......
CONTINUA QUI
Come ogni
catanese, anche io ho una fede calcistica per la squadra blasonata. Nessuno
escluso, a Catania o in Italia, altrimenti non saremmo degli sportivi ma dei
Talebani. A Modena tifano per la squadra locale ma poi tifano ANCHE Juve o Milan
o Inter.
Interista ci
diventai con quello di Boninsegna, forse per le figurine Panini, il Mondiale in
Messico, la finale a Rotterdam, i colori che mi stregarono. Quando ti esplode
una fede in corpo poi non te la puoi togliere più, è come una seconda pelle.
Però posso assicurare che la mia prima pelle è fatta di stoffa rossazzurra. Il
fascino “‘do Catania” è quella malattia, in primis e nonostante nerazzurro, che
mi ha fatto alzare il dito medio verso i finestrini del pullman dove nel 2010
c’era Mourinho, che passava da via Etnea per recarsi allo stadio e beccarsi tre
gol.
E’ quella
malattia che mi porto dietro da quando mio padre, negli anni Sessanta, mi
portava piccoletto all’allora Cibali e mi incitava, forse per farmi divertire, a
battere i piedi sul legno dei Gradoni quando attaccavano Gavazzi, Girol e
Facchin che sembravano sciare sul boato di quei tamburi di guerra che li
trasportava dritti dritti fino alla porta avversaria, dove già un giovane
Massimino, dietro la rete, sussurrava al portiere avverso che la moglie lo stava
cornificando.
E’ quella
malattia che mi porto dietro quando, ogni volta con nuova emozione e le polpette
al sugo nello stomaco ancora da digerire, vedo apparire il campo sempre più
verde, sempre di più, man mano che salgo le scale delle tribune per prendere
posto, inebriato dall’odore dell’erba appena tagliata.
Tanti anni fa
scrissi qui dentro che ai Catanesi non bisogna mai toccare Sant’Aituzza, i
Masculini e ‘u Catania. Frase che poi fu ripresa da molti nel web. Anche se è
una malattia che coesiste con quest’altra:
https://www.mimmorapisarda.it/Inter.HTM
Piero, come
diceva una pubblicità del Fernet Branca, “prima di tutto…. veni ‘u Catania!”
Questo
era quello che c'era scritto in questa pagina prima di Catania-Palermo. Poi
successe questo:
|
|
La
squadra che militò in serie C1 e che riuscì anche a lanciare
Pietro Anastasi
Profondo cordoglio ha destato tra i tifosi la scomparsa di Pippo
Massimino, fratello di Angelo e Turi, morto anch'esso non più
di un mese fa. A Pippo Massimino sono legati i cari e vecchi
ricordi della Massiminiana Calcio di Polizzo Samperi, Ursino che
non pochi tifosi ricorderanno, che arrivò a militare in Serie
C1 che a quell'epoca si poteva considerare una Serie B.
Pippo Massimino in quel tempo fu il fondatore di questa società
che si levò parecchie soddisfazioni e lanciò nell'olimpo del
calcio giocatori del calibro di Pietro Anastasi, centravanti
dalle grandi doti che militò nel Varese, nella Juventus, nell'Inter
e nella Nazionale Italiana e che siglò un gran gol nel 1968,
nella finale dei campionati d'Europa, alla Jugoslavia.
Inoltre
Pippo Massimino, come i fratelli Turi e Angelo, apparteneva a
una grossa famiglia di imprenditori degli anni Sessanta.
L'Associazione Calcio Massiminiana era una squadra di calcio di
Catania fondata nel 1962 da Giuseppe Massimino, che rilevò il
titolo della SCAT. Disputò per la prima volta il campionato di
Serie D nel 1964. L'anno successivo vinse il proprio girone e fu
promossa in Serie C, campionato in cui militò per quattro
stagioni consecutive ottenendo questi risultati: 10° nel
1966-67, 12° nel 1967-68, 17° nel 1968-69 e 19° nel 1969-70.
Nel 1969-70 retrocesse in Serie D dove giocò dal 1970 al 1976.
Nel 1976 retrocesse e dopo poco scomparve. Giocarono con la
Massiminiana, tra gli altri, Pietro Anastasi e Memo Prenna. I
colori sociali della Massiminiana erano il giallo e il rosso.
Soprannominato "Petru u turcu" o "Pietruzzo",centravanti,
esordì giovanissimo in Serie D con la Massiminiana di Catania,
mettendosi in luce nel suo secondo campionato, il 1965-66,
segnando 18 reti. A vent'anni, passato al Varese, si fece strada
segnando goal a raffica che gli valsero l'ingaggio nella
Juventus, il massimo sogno per un ragazzo del Sud quale era lui.
Esordisce così in Serie A nel 1967, non ancora ventenne, ma
segna 11 reti che gli valgono la prima convocazione in azzurro
(dopo quelle dell'under 21 e della nazionale B). Esordisce con
la nazionale maggiore l'8 giugno 1968 nella finale europea a
Roma contro la Jugoslavia, finita in parità. Nella ripetizione
segna il gol del 2-0, laureandosi così a pieno titolo campione
d'Europa.
Diventerà uno dei protagonisti della Juventus per tutta la
prima metà degli '70, dando un grosso contributo ai titoli del
1971-72, 1972-73, 1974-75. Fu ceduto all'Inter nell'affare
Boninsegna, ma in nerazzurro dimostrò segni di precoce
invecchiamento, non riuscendo più a segnare come un tempo. Fu
così ceduto all'Ascoli nel 1979, squadra con cui chiuse la
carriera dopo 3 campionati in massima serie.
In campionato ha giocato 338 gare di Serie A, segnando 105 reti.
Con la Juventus ha disputato 205 partite di campionato segnando
78 reti.
Per 3 volte è stato il terzo cannoniere della Serie A (1968-69,
1969-70 e 1973-74).
(la foto è di Nino Cantone)
http://www.massiminiana59-76pernondimenticare.it/
grazie a Salvo Consoli
Quando nel 1966 la Massiminiana
volò in C davanti a 28mila spettatori
Gioie, dolori e memorabili litigate: ecco
la squadra che prese il nome dalla famiglia Massimino che a Catania ha
segnato la storia del calcio nostrano. Oggi gioca in Terza Categoria: fair
play e divertimento alla base dell'attività
DAVIDE CALTABIANO
Una squadra con un nome importante. Di
quelli che a Catania non passano inosservati, che risuona come un eco
profondo e che rievoca ricordi di un passato che fu, tra gioie e dolori ma
pur sempre indimenticabile.
Negli anni '60-‘70 si concentra la vita
della Massiminiana, che prende il nome dalla gloriosa famiglia Massimino che
a Catania ha segnato in quegli anni la storia del calcio nostrano. Storia
che non è stata dimenticata, un presidente come Angelo ti resta nel cuore e
resta impressa anche la sua memoria oggi a campeggiare all'ingresso del
vecchio stadio "Cibali" che dal 2002 porta il nome di "Angelo Massimino".
Ce ne faremo una ragione se il grande
Sandro Ciotti, una domenica del 1961, quando il Catania batté l'Inter de "Il
Mago" Herrera, urlò a gran voce "Clamoroso al Cibali" e adesso nessun altro
cronista usa più questa locuzione. La prossima volta magari sarà "Clamoroso
al Massimino" e il grido arriverà fin lassù.
Il percorso della Massiminiana nasce nel
lontano 1953, quando l'allora presidente della SCAT (Società Catanese Auto
Trasporti) Salvatore Riceputo, creò la società di calcio, formata dai
dipendenti dell'azienda. Tempi che furono, quando dei semplici lavoratori
diventavano giocatori semi-professionisti e quando dei giocatori che erano
in cerca di lavoro riuscivano a trovare impiego grazie ad una squadra di
calcio. I primi anni la squadra giocò tra seconda divisione (allora si
chiamava così), prima divisione e seconda categoria. Poi un incontro tra
Riceputo e Nicolò Nicolosi cambiò la storia della squadra. Nicolosi,
conosciuto dai più con il nomignolo "Cocò", ex giocatore del Catania negli
anni '30 e ribattezzato dalla stampa "motorino" per la sua notevole
velocità, organizzò un incontro tra Riceputo e Angelo Massimino, che voleva
acquisire la squadra.
Ci fu una fusione e la squadra prese il
nome di Massiminana SCaT. Nel 1959/60 la squadra partecipò al campionato di
Prima categoria con allenatore proprio Nicolosi. I risultati furono subito
positivi con due secondi posti nelle prime annate, ma ancora niente
promozione. Gli allenamenti allo stadio Cibali proseguivano e la squadra
giocava di sabato per dare la possibilità a tutti di poter assistere alle
partite del Catania la domenica. La serie A era un richiamo troppo forte, il
Catania e la sua storia forse anche di più. La tanto agognata promozione in
serie D arriva nella stagione 1964/65, dopo ben due spareggi prima contro la
Provinciale Messina e successivamente contro l'Alcamo.
Inizia a calcare il campo anche un
giovane interessante, che però senza saperlo un giorno sarà destinato ad una
carriera brillante: Pietro Anastasi. Sono gli anni più belli per la
Massiminiana, ma anche i più turbolenti. Dopo anni di presidenza di Angelo
Massimino, in società si decise di procedere con la rielezione del
presidente e la votazione fu un autentico plebiscito a favore di Salvatore
Massimino. Solo un voto fu dato ad Angelo. E fu lui stesso ad assegnarselo.
Infuriato per questa decisione, esplose come un vulcano e andò via
denunciando tutti i membri della società, perfino i suoi fratelli.
Un aneddoto incredibile, che rammenta,
qualora ce ne fosse bisogno, il carattere forte di un presidente vulcanico
ma allo stesso tempo primo tifoso delle squadra. Di lì a poco Angelo
Massimino divenne il presidente del Catania e anche lì un altro pezzo di
storia fu scritto. I tifosi del Catania, ma anche gli amanti del calcio
puro, non dimenticano di certo.
Nel 1965/66 viene vinto il campionato di
serie D, allo stadio accorsero circa 28000 spettatori in uno stadio
stracolmo. Salvatore "Turi" Massimino continua la scalata della Massiminiana,
il fratello Giuseppe "Pippo" era come un padre per i giocatori. Quattro anni
di C e la retrocessione nella stagione 1969/70. Tanti anni di serie D fino
all'ultimo posto nel 1976 che portò allo scioglimento della Massiminiana.
Adesso la squadra è tornata a vivere
grazie ad un'intuizione dei fratelli Sapuppo avvenuta dieci anni fa. Ognuno
dei fratelli (Ignazio, Armando e Gino) con l'andare degli anni, ha deciso di
intraprendere una strada diversa nel mondo del pallone, così al comando
della squadra è rimasto come presidente il solo Ignazio. I fratelli. Sembra
come se questa parola l'avessimo già sentita…
La Massiminana adesso partecipa al
campionato di Terza categoria, il fair play e il divertimento sono alla base
della squadra, che vuole onorare la memoria di Massimino sperando un giorno
di poter emulare i fasti di un tempo calcando i campi di categorie più
altisonanti. I Massimino sono comunque sempre presenti, i figli di Turi
vanno a vedere domenica dopo domenica le partite della squadra (vedi foto) e
chissà se anche questi fratelli non stiano pensando a qualcosa di nuovo. Che
poi forse nuovo non è…
La Sicilia, 27.1.2015
Addio vecchio mio, ti saluta uno dei tanti che hanno
accompagnato i tuoi primi valenti passi calcistici importanti nel cortile
del nostro
Oratorio Salesiano S. Filippo Neri. Eravamo troppi a sgambettare in quel
cortile, ad inseguire un pallone da due soldi, ma troppo bello e importante
per i nostri aspetti economici e poi c'erano i preti che ci volevano tanto
bene e se ci scappava qualche scappellotto, era per la nostra formazione
cristiana e i tempi erano quelli che si pensava
che uno schiaffo, o similare, aiutasse tanto la tua crescita.
Don Emma era meraviglioso e quando si facevano le
squadre dei vari campionati, s'inventò un sorteggio totale per non favorire
sempre le solite squadre vincenti e far modo a schiappe come me di giocare
con i migliori e le squadre erano formate da ragazzi che andavano dai 9 ai
14 anni; personalmente ricordo poco, data la mia tenera età, ma i campionati
erano avvincenti e tu eri una spanna sopra tutti e deliziavi con quel gioco
di gambe e tanti prevedevano per te un futuro radioso, ma non immaginavamo
proprio che saresti arrivato alla Juve ed alla nazionale ed avresti segnato
un gol in nazionale nella finale dell'Europeo che all'unisono rimbombò in
quella via garibaldi e che ci fece urlare di gioia perchè tu un CARUSAZZU di
quartiere in quel lontano 1968 ci avevi dotato d'una gioia indescrivibile
per quel meraviglioso gol.
Poi sei tornato nel TUO oratorio nel 1967 per la
consegna d'una medaglia d'oro e TU portasti la squadra del Varese al
completo ed io quattordicenne ammiravo i tanti campioni che solo pochi mesi
prima ammiravo nell'album delle figurine e vedere dal vivo Da Pozzo, a cui
ricordai le 5 pappine prese nel '64 quando giocava nel Genoa ed era fresco
d'un record d'imbattibilità della sua porta che durò ben 791 minuti,
Sogliano, Maroso, Renna, Leonardi ed il mitico DELLA GIOVANNA che restava
per noi bimbetti una figurina che ti faceva vincere tanto in quanto si
giocava col nome del giocatore e più lettere aveva, più si vinceva
Addio amico delle mitiche mattonelle oratoriane,ora
hai raggiunto e trovato i tuoi tanti compagnetti di quella infanzia
oratoriana che ci hanno lasciato prima di te e potrai lanciare l'urlo che si
faceva in quel magico cortile........PROOOOOOSSIMA !!!!!!!!!!!
Mimmo Romano
grazie a Salvo Consoli
Il
nostro ospite di oggi è un grande campione del passato, di ruolo
centrattacco. Nato sotto il sole dell’Etna e trapiantato da tanti anni a
Varese, non ha purtroppo mai vestito il rossazzurro.
«Come
mai a Catania – rompo sommessamente il ghiaccio - ci sono tantissimi
juventini? È merito o colpa, in senso bonario, anche di Pietro Anastasi?».
«Juventini nel meridione – parola di Petru ‘u tuccu - ce ne sono stati
sempre. Probabilmente con l’avvento di giocatori siciliani come Anastasi e
come Furino, c’è stato questo incremento in più, però la Juventus è sempre
stata seguita in tutta la Sicilia. Forse noi giocatori siciliani abbiamo
incrementato un po’ il loro numero portando qualche tifoso in più
sicuramente».
«Secondo lei essere juventino oggi è uno status-symbol, una moda o cosa
altro?».
«È un
amore, una fede. D’altronde chi non è juventino è contro la Juventus; ci
possono essere tanti tifosi che magari se perde la propria squadra magari si
arrabbiano, ma il fatto che perda la Juventus gli dà più soddisfazione certe
volte di quando vince la propria squadra. Questa non è sportività».
«Che
idea si è fatto dei “treni del gol”, di questa brutta vicenda che riguarda
anche il Catania calcio?»
«In
effetti c’è poco da dire se non che quando uno sbaglia è giusto che paghi.
Però sono molto dispiaciuto per il campionato che sta facendo il Catania;
adesso ha perso in casa col Foggia e mi spiace davvero molto.
La
squadra ha iniziato con una penalizzazione e poi, purtroppo, c’è stato un
certo rilassamento, proprio dopo aver dato l’impressione di poter
raggiungere i play-off. Da qualche partita è in netto calo e non so se è una
cosa fisiologica o se c’è stato uno sforzo esagerato che adesso si sta in
qualche modo pagando.
Ora
la squadra sembra che abbia mollato abbastanza tristemente e questo è un
vero peccato. Se non ricordo male, di recente il Catania ha perso in casa
con l’ultima in classifica e quando si perdono questi punti viene poi
difficile risalire la china.
Il
treno passa una volta sola e il Catania l’aveva agganciato ma poi purtroppo
piano piano l’ha perso. Adesso è in programma Catanzaro-Catania, un vero e
proprio derby del sud. Penso che il Catania abbia la capacità di andare in
Calabria e conquistare i tre punti contro una squadra che annaspa nelle
retrovie.
D’altronde, se i rossazzurri vogliono dare un senso a questa stagione,
devono cambiar marcia e giocare per vincere le rimanenti sette partite. Una
volta raggiunti i play-off dovrebbero far di tutto poi per andare almeno in
serie B, dove una squadra gloriosa come il Catania merita di stare. Da
catanese mi auguro di cuore che sarà così».
Alessandro Russo
E’ MORTO
MARIO SAMPERI, TALENTO CALCISTICO DELLA CATANIA DEGLI ANNI D’ORO
Di Luciano Mirone
È morto uno dei più grandi talenti del
calcio catanese, Mario Samperi, 76 anni, “centrocampista dalla classe
sopraffina” (come si è scritto), nato a Catania il 3 gennaio 1944, che per
una serie di combinazioni del destino non ebbe la stessa fortuna del
compianto Pietro Anastasi (suo coetaneo, conterraneo e compagno nella mitica
Massiminiana di Catania), il quale fra gli anni Sessanta e Settanta fu
protagonista di un pezzo della storia della Juventus e della Nazionale. Ne
dà notizia Nino Massimino (nome della Catania calcistica che conta) sulla
pagina Facebook, Calciatori siciliani d’altri tempi.
Samperi nello stesso periodo restò ai
piedi dell’Etna scrivendo comunque delle pagine memorabili nello
straordinario libro del calcio siciliano di allora. All’inizio, come detto,
giocando con la Massiminiana dei fratelli Massimino, poi col Catania in
serie A, quindi con altre squadre del calcio isolano come il Paternò e il
Modica.
Anche se il sottoscritto non ha mai avuto
la fortuna di vederlo giocare, di Samperi ha sempre sentito parlare – da ex
compagni di squadra, da avversari e da tifosi – come di un fenomeno
calcistico che poco aveva da invidiare ai migliori giocatori della serie A
di quegli anni. Grande visione di gioco, lanci da quaranta metri, marcatore
frequente malgrado il ruolo di centrocampista.
C’è una foto alla quale i tifosi catanesi
degli anni Sessanta sono particolarmente affezionati: un contrasto fra lui e
il grande Mariolino Corso – il celeberrimo autore delle punizioni a “foglia
morta” – al Cibali, in un Catania-Inter degli anni Sessanta, quando il
presidente della società era Ignazio Marcoccio, l’allenatore Carmelo Di
Bella, l’immaginario collettivo galvanizzato per quel “clamoroso al Cibali”
scandito da Sandro Ciotti nel 1961 a “Tutto il calcio minuto per minuto”:
due gol dei rossazzurri (Castellazzi e Calvanese) rifilati negli ultimi
minuti alla grande squadra di Helenio Herrera, il tecnico che, nei giorni
precedenti, alla vigilia della trasferta in terra sicula, aveva detto:
“Adesso andiamo da quei post telegrafonici del Catania, gliene rifiliamo
quattro e torniamo a Milano”. Quella domenica le cose andarono diversamente
e l’allenatore spagnolo dovette tornare a Milano con le pive nel sacco.
Lo scatto che qualche anno dopo immortala
Corso e Samperi è molto bello, perché documenta che le qualità di un
giocatore si intravedono (anche) dalla postura, dalla dinamica, dal
movimento in cui – in quel millesimo di secondo – il fotografo fa click. Non
sappiamo chi – fra i due – vinse quel contrasto. Sappiamo però – perché si
vede, e le testimonianze lo confermano – che lo scontro era alla pari. Solo
che Mariolino Corso era nato a San Michele Extra, in provincia di Verona, e
Mario Samperi nella città più industriale del Sud, ma calcisticamente non
organizzata come le grandi società del Nord.
Fu questa, probabilmente, la differenza
fra un calciatore come Samperi (e non solo) e quelli che calcavano i campi
erbosi del Settentrione. Eppure Mario ha vergato pagine epiche di
quell’indimenticabile calcio siciliano d’altri tempi: come dimenticare la
finale al Cibali nel campionato di serie D fra la Massiminiana di Anastasi
(capocannoniere seppure ancora giovanissimo) e il Paternò, davanti a 28 mila
spettatori? Quell’anno si parlò insistentemente del passaggio di “Petru ‘u
turcu” alla società rossazzurra. Invece il destino invertì le sorti:
Anastasi venne acquistato dal Varese (la storia la conoscono tutti: il
presidente della squadra lombarda, allora in Sicilia per affari, passò dal
campetto di allenamento della Massiminiana attiguo all’aeroporto catanese,
restò impressionato dal talento del giovane centravanti e lo portò al
Varese, da dove l’anno successivo sarebbe passato alla Juve di Agnelli),
Samperi andò al Catania legando il suo destino a quello della società
rossazzurra, che in quegli anni visse stagioni favolose, ma forse non seppe
valorizzare pienamente, come meritavano, i giovani talenti del vivaio
locale, anche perché l’ottimo Mario aveva davanti il grande Cinesinho.
Eppure non ebbe rimpianti. Negli anni
successivi continuò a sbalordire le folle degli stadi minori, che ancora lo
ricordano con affetto e ammirazione.
Luciano Mirone
http://www.linformazione.eu/2020/11/e-morto-mario-samperi-talento-calcistico-della-catania-degli-anni-doro/
https://www.quellidel46.it/2020/11/17/mario-samperi/?fbclid=IwAR2vk1bn9KKE5SIA_6eMZ_wEC_3b2sJAT_8gqZU6s5W6XD0oiW1JJ-6wJvI
IL RICORDO DI ALESSANDRO RUSSO
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PETRUZZU
Dissero subito: «Come calciatore
è un paradosso». Avevano ragione: la lacuna più evidente finiva per
essere la sua arma segreta; risolveva i problemi creati dal
palleggio incerto con uno scatto ed una velocità impressionante. Lo
stop appariva sempre o quasi, approssimativo, ma lui riusciva a
raggiungere la palla prima degli avversari.
Pietro Anastasi, è stato un centravanti importante sia per la
Juventus, che per la Nazionale ed, a lungo, ha rappresentato un
modello per i giovani del più profondo Sud alla ricerca di
quell’affermazione sportiva che, ogni tanto, diventa vero riscatto
sociale.
Nasce a Catania il 7 aprile 1948, la famiglia non è ricca. «Sette
persone in due stanze», ha raccontato un giorno. Come per altri
ragazzi, il suo primo problema fu la scuola, visto che non gli
piaceva. Un giorno in classe ed un altro in piazza con una palla fra
i piedi spesso nudi per non rovinare le scarpe. Poi il calcio
diventò la sua ragione di vita. La carriera fu rapida e,
naturalmente, il successo arrivò presto. Due anni nella Massiminiana
(girone F della serie D) e trasferimento al Varese nel 1966.
Due stagioni in Lombardia e poi la Juventus che vinse la serrata
concorrenza dell’Inter: fu pagato un prezzo record, 660 milioni. È
il 1968, un anno magico per il calcio italiano. In Italia si disputa
il campionato d’Europa e, per la Nazionale è l’occasione per tornare
fra le grandi potenze del calcio. La sera di sabato 8 giugno, allo
stadio Olimpico, l’Italia è in finale contro la Jugoslavia. Anastasi
esordisce in azzurro, ma non si distingue in una squadra che non
soddisfa. Il pareggio 1-1 è un premio immeritato per i nostri
colori, ma due giorni più tardi, nella finale-bis, c’è una prova
d’orgoglio degli italiani. È il trionfo: goal di Riva e, bellissima,
in mezza rovesciata, la replica di Pietruzzu.
Molto intuito, nel gioco di questo calciatore, molto genio e,
purtroppo, anche molta sregolatezza: sarà il suo limite. Due anni
più tardi, è atteso con curiosità al Mundial messicano. È in gran
forma, ma uno stupido incidente lo costringe al forfait poche ore
prima della partenza. Lo sostituisce Roberto Boninsegna che, più
tardi, prenderà il suo posto anche nella Juventus. Partecipa anche
al Mondiale del 1974 ma, a quel punto, la carriera di Pietro è già
verso l’epilogo. In Nazionale giocherà 25 gare ed in totale
realizzerà 8 volte.
«Le mie qualità migliori erano lo scatto, la velocità e l’altruismo.
E seppur scendessi in campo, anche in Nazionale, con la maglia
numero nove, spesso mi posizionavo sulla sinistra, per effettuare
dei cross a favore del compagno di reparto. Insomma, ero un uomo
d’area che sapeva anche manovrare».
Quando, per la prima volta, arriva in Galleria San Federico, sede
juventina, è senza cravatta, ed il presidente di allora, Vittore
Catella, lo avverte: «Quando si presenta in sede sarà bene, d’ora in
avanti, che si vesta con regolare camicia e cravatta».
Ma il contratto è buono e la cifra concordata anche. L’allenatore è
Heriberto Herrera, il Ginnasiarca, uno che non cerca e non concede
simpatia. Ad Anastasi, che in allenamento non riesce ad interpretare
uno dei tanti schemi, una volta urla, davanti a compagni,
giornalisti e tifosi: «Tonto, stia a guardare, perché lei non
capisce niente!»
È un rapporto, questo con la Juventus, che non sarà mai sereno.
Quando torna a segnare con una certa continuità, allo stadio compare
uno striscione: Anastasi, il Pelè bianco.
Le cifre: 302 partite e 129 goal, il 1971/72 è l’anno del suo primo
scudetto, subito bissato l’anno seguente. Il terzo tricolore lo
conquista nel 1974/75, sempre in bianconero, naturalmente. Lascia la
Juventus per l’Inter, nel 1976/77, poi l’Ascoli e l’addio ai campi
di calcio con un bilancio brillante.
Anni dopo disse: «Andai via, perché ebbi un litigio con Parola, dopo
una trasferta in Olanda, ma con la società sono sempre rimasto in
ottimi rapporti. Alla Juventus è dove mi sono trovato meglio e
rimarrò sempre un tifoso juventino».
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Queste foto si riferiscono ai campionati aziendali che si
svolgevano tra
gli anni 60/70 al campetto del Cibali (sotto la tribuna B).
Le
squadra erano un misto di Massiminiana, Pollo D'Oro,
Ortofrutticoli.
Si giocava in nove, il torneo era
organizzato-arbitrato e "deciso" da Tano Valenti. |
|
|
Una formazione della
Ortofrutticoli nel 1962: Marino, Palazzo, Viola, De Vincelis,
Ursino, Russo, Anastasi, Vecchio, Pulvirenti. |
Una
formazione della "Corsara", squadra dopolavoristica mista partecipante a
campionati aziendali di calcio a 9 organizzati a Catania tra gli anni 60 e
70 del XX secolo, disputati presso il campetto della tribuna B dello stadio
Cibali o al campetto della cava nel quartiere Acquicella, e attingendo a
formazioni minori cittadine quali Massiminiana, Pollo d'oro e
Ortofrutticoli; si riconosce (in piedi, al centro) Pietro Anastasi della
Massiminiana.
Il campo di calcio della cosiddetta Cava, ad Aquicella,
dove Anastasi veniva applaudito ogni domenica mattina dagli affollatissimi
spalti (foto di Ersilio Consoli)
Provate a guardare in
alto,seduti sul cordolo,appassionatamente,-parapetto del muro a godersi
spettacoli di puro sport dilettantistico.Che mi ricordi,mai nessuno cadde
giù.Funamboli? Fortunati?
Anche,ma
scavezzacollo,imprudenti e incoscientemente testimoni di passione sportiva
domenicale. Era davvero una Cava...ma di gare,partite,incontri-scontri-sempre
entro i limiti sportivi...anche se qualche volta ci scappava pure la
rissa...che poi finiva a "cunzatina da scerra"....con i buoni propositi per
non dare sconzu a tanti amici,avventori e spettatori di spettacoli unici.
Quando giocavo con l'Olimpia,sai che ci allenavamo proprio lì,la sera,al
buio e solo con il riverbero della luce dell'impianto stradale. Mi rimane e
ci rimane l'immensa fatica do zu Tanu Fassari,ideatore del CAMPU da Cava e
di suo figlio Santo(R.I.P.)grande amico mio ed il migliore ARBITRO di
Catania, che mai si sottomise a giochi strategici e di potere dell'Aia
CATANESE...E CHE PER QUESTO NON FECE MAI CARRIERA. Rimase un Grande e segnò
un orgoglio di correttezza inimitabile e di preparazione certosina
nell'applicazione del regolamento FIGC.
Piero Privitera.
Anastasi, detto Pietruzzo è stato forse il caposcuola, il pioniere
dei calciatori che dal Sud sono arrivati al Nord per fare fortuna.
Non tutti sanno che a determinare il destino di Pietro Anastasi fu,
probabilmente, una donna incinta presentatasi all’aeroporto di
Catania e supplicando che la lasciassero partire anche se non aveva
un posto sull’aereo, perché doveva assolutamente recarsi a Milano.
Quel gentiluomo che era Casati, allora general manager del Varese,
le concesse il suo posto, accettando di partire la sera dopo. Lunedì
pomeriggio Casati si recò al Cibali per assistere ad una partita tra
squadre ragazzi; in una di quelle squadrette giocava un certo Pietro
Anastasi. Casati lo osservò attentamente e l’affare venne concluso
in poche ore. Pietruzzo si comperò una giacca nuova ed una valigia
fiammante per salire al Nord. Divenne famoso a suon di goal,
iniziando la carriera proprio nelle file del Varese.
D’acchito il Picciotto vinse la propria battaglia, quella contro il
mostro del Nord, cioè il gelo, l’indifferenza, l’incomunicabilità.
Vinse senza mai sottrarsi al pericolo di certe battaglie, ma
affrontandole a viso aperto anche quando sapeva di rischiare grosso.
Doveva finire all’Inter, ma Gianni Agnelli soffiò il giocatore a
Fraizzoli e lo vestì in bianconero quando già era stato fotografato
in nerazzurro per la gioia illusoria dei tifosi interisti. Alla Juve
fece fortuna e venne idolatrato dalla folla: era il centravanti che
nelle iperboli tifose si vide etichettare come Superpietro, Pelé
bianco o cose simili. La sua figura si installò in paradossali ex
voto sportivi e venne ripetuta per centinaia di pose fotografiche in
alloggi torinesi, in case siciliane, dietro il letto, sulla porta
della cucina, alla sommità di cassettoni e credenze.
Allo stadio Comunale, in maglia bianconera, cominciò non la vita, ma
la leggenda popolare di Pietruzzo. Robusto, seppur piccolo, veloce e
sgambettante, carico di fantasie da cortile, un acrobata istintivo:
questo il giocatore. Come ragazzo era simpatico, ingenuo, modesto,
con qualche improvvisa punta d’orgoglio.
Quando nel 1968 arrivò alla Juventus aveva solo vent’anni e tanto
entusiasmo. Lo gelarono subito, anche se si era in piena estate: il
presidente Catella, piemontese di stampo antico, lo strigliò subito
per aver osato presentarsi al raduno senza cravatta. Così lui, che
era arrivato al primo appuntamento con la “Vecchia Signora” timido e
sorridente, se ne andò con gli occhi rossi. Né quelle lacrime furono
le ultime. A settembre, la lezione tattica di Heriberto Herrera gli
gonfiò di nuovo gli occhi di pianto. Per fortuna, quando era sul
campo tutto filava a gonfie vele: 28 partite, 14 goal, tre in più
che la stagione precedente nel Varese.
Nemmeno la gloria (con tanto di maglia azzurra della Nazionale ed un
titolo di Campione d’Europa) è stata un passaporto sufficiente per
l’amicizia: si sentiva scartato, isolato e così si chiudeva sempre
più in sé stesso. La sua ombrosità, logica conseguenza della
difficoltà di comunicazione, veniva scambiata per selvatichezza e
qualcuno ci ricamava sopra, sino all’insulto.
La stagione successiva le faccende calcistiche andarono ancora
meglio: 29 partite, 15 goal. Ma a fine campionato la fortuna gli
voltò le spalle: alla vigilia della partenza della squadra nazionale
per il Messico, dove erano in programma i Campionati del Mondo,
Pietro venne colto da violenti dolori. Fu ricoverato in clinica ed
operato. Addio Nazionale, addio Mondiali. La sfortuna continuò poi a
perseguitarlo, non ritrovò più per la successiva stagione lo smalto
dei giorni migliori, segnò soltanto sei reti, perdendo anche quei
pochi amici di passaggio che era riuscito a racimolare. Ma la
straordinaria forza di volontà lo tenne a galla, in attesa di giorni
migliori, del successo definitivo.
Fu proprio allora che Anastasi iniziò un processo irreversibile,
quello che fece di lui un autentico uomo, un personaggio di
successo. L’introverso Picciotto, ex raccattapalle del Cibali,
egoista in campo, scontroso fuori, aveva finalmente imparato a
comunicare, dentro e fuori del calcio, fino a diventare un
protagonista: Campione d’Italia, uno dei migliori, un autentico
leader.
Pietro ricorda ancora quel periodo: «Sì, me lo dicevano tutti ed
anch’io dovevo constatare il cambiamento, il miglioramento. Ma una
ragione precisa non c’era, al di là del fatto che con gli anni ero
un po’ maturato. Quando ero arrivato alla Juventus, diffidavo di
tutti, dei giornalisti in particolare. In campo pensavo solo a
mettermi in luce, al tornaconto personale. Poi diventò tutto diverso
e mi accorsi che contava prima la Juventus e poi Anastasi; per la
squadra ero disposto a fare qualsiasi sacrificio».
Sicuramente gli giovò molto il matrimonio, placandone la scontrosità
e regolandone gli eccessi gastronomici: «A me piacevano i cibi
piccanti, la cucina siciliana; molti miei periodi non positivi
furono determinati da una pessima condizione fisica, conseguenza di
disturbi intestinali. Un giorno decisi di abolire salumi e salse
piccanti; la salute tornò e la condizione tecnica ne trasse
giovamento».
Poi la moglie, Anna Bianchi, gli regalò due figli ed altri
importanti equilibri vennero conquistati. Fu quello il periodo
migliore della sua carriera, quello in cui riuscì a riconquistare
stabilmente il posto in Nazionale, arrivando poi a collezionare ben
25 gettoni di presenza. Vinse lo scudetto al termine della stagione
1971/72 (giocando tutte e 30 le partite) e fece il bis nel 1972/73,
giocando 27 gare su 30; il terzo titolo di campione d’Italia arrivò
al termine della stagione 1974/75, anno in cui Pietro giocò 25
partite.
Il divorzio dalla Juve avvenne nel corso della stagione 1975-76.
Ritenendo di essere stato preso di mira dall’allenatore Parola, il
Picciotto si lasciò andare a roventi e polemiche dichiarazioni nella
settimana precedente un delicatissimo derby con il Toro. La Juventus
era stata sconfitta a Cesena e stava preparandosi a disputare
l’incontro con il Torino. Anastasi, dopo un allenamento al Combi,
improvvisò una conferenza stampa, nel corso della quale vuotò, come
si suol dire, il “suo” sacco, pieno di livore ed incomprensioni. Un
attacco preciso verso l’allenatore Parola e certi compagni di
squadra.
Come è nel proprio stile, la Juventus tolse di squadra Anastasi il
quale, nella stagione successiva, venne ceduto all’Inter in cambio
di Boninsegna. Tutti i tifosi bianconeri ricordano ancora le notizie
sensazionali apparse sui
giornali di quel 9 luglio 1976. La Juventus
annunciava il trasferimento di Anastasi alla società nerazzurra che
cedeva ai bianconeri il centrattacco Boninsegna, con l’aggiunta di
750 milioni. Contemporaneamente Capello veniva ceduto al Milan e la
Juve aveva in cambio Benetti più cento milioni. Un’operazione
sensazionale che portava la Juve sulla strada di altri trionfi.
Anastasi, dopo l’Inter, approdò ad Ascoli. Forse era anche il
traguardo cui Pietruzzo anelava, dopo aver perso la gloria della
casa bianconera. Ascoli ha rappresentato la tranquilla città di
provincia dove il Pelè bianco sta oggi per terminare la sua lunga e
tormentata carriera. Da Catania a Varese, da Varese alla Juve, poi
all’Inter ed infine all’Ascoli: una carriera da emigrante, ma con la
solida soddisfazione di aver guadagnato molto e di aver contato
qualcosa in questo sport che sovente uccide gli idoli.
Anche all’Ascoli il Picciotto ebbe momenti di autentico fulgore e di
gloria. Con la maglia della squadra marchigiana ebbe anche la
soddisfazione di consumare la sua piccola vendetta verso quella
Juventus che, sono parole sue, «avevo amato come nessuna altra cosa
al mondo, per un calciatore!»
Il 30 dicembre 1979 l’Ascoli venne a giocare al Comunale: Pietro
Anastasi sul suo campo, contro la sua Juventus. Il centrattacco, da
lungo tempo, era fermo al goal numero 99; sperava di trovare il
centesimo goal proprio contro la Juventus e l’impresa gli riuscì.
Dopo otto minuti di gioco, con una elevazione felina, colpì la palla
di testa e la depositò alle spalle di Dino Zoff. L’Ascoli doveva poi
vincere per 3-2 l’incontro, mettendo in crisi la Juve. Una crisi
passeggera, s’intende. La Juventus è rimasta nel cuore di Pietro
Anastasi, nulla al mondo potrà cancellarne il ricordo.
Abbiamo visto recentemente Anastasi ed abbiamo parlato dei tempi
felici in cui guizzava come un fulmine verso la rete avversaria e
mandava in delirio i suoi fans con i goals più pirotecnici e
brasiliani. Anastasi ricorda tutto e tutti, la sua amicizia con
Bettega, l’unico che seppe in certo qual modo sgelarlo dal mondo di
diffidenza ed incomprensione in cui era vissuto per molti anni.
Della città di Torino, in fondo al cuore, ha una certa nostalgia.
Forse si rivede ragazzo, correre disperatamente dietro ad un
pallone, su un prato d’erba ispida, sotto il cocente sole di
Sicilia. Forse ricorda il giorno in cui sbarcò a Torino e la
leggenda si colorì con i toni di una ballata da cantastorie. Nel
formicolio delle mansarde, degli agglomerati umidi delle periferie
abitate dalla gente della sua terra, il Pelé bianco riuscì a portare
lume con le sue acrobazie e con il suo nerissimo ciuffo di capelli.
La gloria arrivò presto e lo sistemò su un solido piedistallo.
Pietro sa che la gloria aveva un nome: Juventus. Per questa ragione
non ha mai dimenticato la società bianconera ed i tifosi che dalla
curva Filadelfia urlavano il suo nome: “Pietro, Pietro!"
DI ALBERTO FASANO, DA “HURRÀ JUVENTUS” DELL’APRILE 1981:
La Cava. Dove nacque
calcisticamente Anastasi. Si trovava qui.
Il proprietario e presidente
Angelo Barbagallo aveva una rosticceria/gastronomia in piazza
Jolanda chiamata Pollo d'oro. Il fratello ne aveva una nella piazza
di Ognina, anche quella chiamata Pollo d'oro.
QUANDO la squadra del Varese venne in
visita all'oratorio salesiano, portatavi da Pietro Anastasi cresciuto tra
quelle mattonelle e amante del calcio giocato con la sponda. Era il 17
febbraio 1967 ed il Varese di allora veleggiava già verso la serie A ed era
composto da gente famosa tipo il portiere Da Pozzo che anni prima ne aveva
beccati 5 col Genoa e sino alla settimana prima aveva il record di quasi 800
minuti senza prendere gol, Sogliano futuro D.S. del Milan, Cucchi Renna e
Leonardi futuri allenatori del Catania, poi ancora Maroso, Gioia, Gasperi,
Cresci ed il mitico Della Giovanna che ha rappresentato per noi bambini di
qualche anno addietro la figurina Panini più spettacolare perche la somma
delle lettere dava 13 e batteva tutti e anche Martiradonna era buono, mentre
i più odiati erano Cei e Bui.
Sig Arancio,Sig Barbagallo,D’Agostino,
Chiaramonte,Leonardi A,Lombardo,Calanna,Leonardi,Sig Quattrocchi, Consoli,
Capobianco,Stella, D’angelo,Bruno, Auteri.
QUANDO all'oratorio dalla fertile mente
di Franco Andronico nacque Sportivissimo Giovani che parlava di calcio
giovanile e posso dire di essere stato tra i primi a scrivere, ma purtroppo
lavorando la domenica ero costretto a prendere una sola partita che
solitamente si disputava al Duca d'Aosta, Nesima, Zia Lisa o Turati.
L'editore Andronico subito ribattezzato Feltrinelli perchè ci pagava 500
lire per ogni articolo, ma c'era anche il direttore Tempio che puntualmente
ci stoppava gli articoli che parlavano male dell'arbitro, lui era stato
arbitro di serie B e così a modo suo rispettava gli arbitri e tagliava i
commenti negativi. Diciamo che oggi è il vice direttore della Sicilia e non
ha saputo valorizzare nessuno di quei ragazzi che scrivevano e abbiamo
dovuto aspettare moto tempo per avere il piacere della firma.
QUANDO la domenica sera ti andavi a
mangiare la pizza, ma avendo in tasca al massimo 500 lire la tappa
obbligatoria era il Sangiorgi oppure nelle vie Corridoni o De Felice perchè
bastavano per pizza e Coca Cola, mentre se arrivavi a 1000 lire potevi
prendere l'autobus e andare al Rio di Corso Italia che costava di più, ma
che conoscevo e ci rispettava con lo sconto. Se poi eri nello spendere,
Ognina con la mitica pizzeria Pollo d 'Oro o mangiarti i frutti di
mare.Quanti ricordi ti vengono in mente, ma uno in particolare riguarda il
grande Josè che trattiene le mani al pizzaiolo impegnato nel creare in
maniera acrobatica la pizza e questa cade a terra.
Drago, Geremia, Musumeci, Fasone, Consoli, Consoli, Billy, Messina, Sarto,Manno,
Mimmu cipudda e Sanfilippo.
QUANDO nella vicina PUTIA di via teatro
greco si andava a recuperare, completamente ubriaco , il papà di amici
oratoriani e poi s'accompagnava a casa nella speranza che tenesse le mani a
posto senza picchiare i figli.
QUANDO lavoravo all'Agenzia Ippica di via
S. Euplio ed in 3 anni non conoscevo Natale, Pasqua, Ferragosto etc , ma ero
libero il lunedì come i barbieri. Che rabbia quando passavano gli amici
diretti all'Arena Ideal e mi beffeggiavano mentre lavoravo alla
telescrivente.
QUANDO si caliava la scuola e ci si
vedeva al cinema Esperia, dove c'era l'appello e il contrappello delle
scuole catanesi e sentivi . Gemmellaro, presente, Vaccarini, presente,
Cannizzaro, assente nuddu s'a caliau.Prima d'entrare al cinema dove erano
previsti 2 film e numerosi fimmiluce, antesignani degli odierni trailer,
c'era la visita al panificio di fronte dove con 100 lire t'imbottivano una
Mafadda del peso di 200 grammi con mortadella e con questo in pancia ti
potevi presentare all'una a casa pronto a mangiare.
Mimmo Romano
grazie a Angelo Belviso
ALTRE FOTO DELLA MITICA POLLO
D'ORO
Squadra mista allievi/juniores - Pollo
d'oro/Trinacria partecipante ai tornei estivi al villaggio S. Maria Goretti
e alla Plaia, anni 1963/1964.
Agliano', Barbagallo, Agliano', Agliano',
Leonardi, Scalia, Foti, Il Grande Presidente Barbagallo.
In basso Barbagallo, Guerrera, Stella,
Calanna, Consoli, D'Agostino e la mascotte Pinuccio Agliano'.
(Ersilio Consoli)
foto di foto di Nuccio Maniscalco
La Pollo d’Oro campione regionale
Juniores 1968 e arrivata alla finale nazionale a Recanati.
Maniscalco, Musso, Dibella, DeLuca,
Agliano, Creaco, Stella, Barbagallo, Girgenti, Auteri, Verderame
Pollo D'Oro Cibali - Adrano
Campionato 1970/71 in cui ci fu la
fusione con l'Inas Cibali del compianto cav. Ferrini; la squadra si chiamò
Pollo d'Oro-Inas Cibali con sede in piazza Bonadias, allenatore Cappello.
Il Presidente Barbagallo si arrabbiò
parecchio e pretese che la fascia di capitano ritornasse al sottoscritto
dopo che in primo tempo era stata assegnata a Musso dai cifaloti. L'allora
tifoso cifaloto, diventato famoso come "Brigantony", mi beffeggiò per tutto
il campionato ogni partita che giocavamo in casa.
(Ersilio Consoli)
La
società sportiva "Atletico Catania s.r.l." nasce nel 1986 ,
dal cambio di denominazione e relativo trasferimento a Catania della
squadra di calcio "S.C. Mascalucia 1969" . L' Atletico Catania
nel suo primo campionato a Catania , CND del 1986/87 , con il presidente
Salvatore Tabita raggiunse l' importante traguardo di vincere il
campionato e di ottenere così la prima storica promozione nel
campionato di serie C2 .
L' Atletico Ct. quindi , nella stagione 1987/88 , partecipò per la
prima volta ad un campionato professionistico di serie C2 (girone D) .
Tutte le partite si disputarono sul manto erboso del “Cibali” . Il
girone D di C2 era composto da molte società siciliane (Palermo, Giarre,
Siracusa, Trapani) e da squadre molto
ostiche per questi campionati come la Juve Stabia la Turris o la Cavese
. Nonostante il difficile campionato l' Atletico Ct. riuscì ha farsi
valere e raggiunse un' importante salvezza con il 10° posto nella
classifica finale . La foto accanto riporta la formazione atletista
durante la trasferta nel derby contro il Siracusa .
Il secondo campionato di C2 del 1988/89 l' Atletico Catania lo disputò
invece a Lentini . Tenendo conto che la Leonzio nel 1988 era fallita e
visto il poco pubblico che riusciva a racimolare l' Atletico al Cibali ,
in un costoso campionato di C2 , il Cav. Salvatore Tabita fù costretto
, per non portare al fallimento la società , nell' amara decisione di
effettuare questo trasferimento a Lentini . L' Atletico Ct. giocò un
ottimo campionato e raggiunse il 4° posto finale. Finito il campionato
iniziò però un periodo di crisi e dopo una lunga trattativa ,
sostenuta dal segretario generale Arturo Barbagallo, arriva un nuovo
presidente l' ex dirigente del Catania Calcio Franco Proto . Proto era
l' unico presidente che aveva quello di cui c' era di bisogno i
"soldi" , ma il suo unico e vero obbiettivo era quello di
riportare l' Atletico , nel giro di qualche anno, nella città di
appartenenza : Catania.
Dal 1989/90 alla stagione del 92/93 , anno della grande impresa con il
passaggio alla C1, l' Atletico militò in C2 disputando dei buoni
campionati e sempre sotto la presidenza di Proto. Proprio in occasione
del primo campionato di C1 del 1993/94 (che grazie ai goal di Calvaresi
e al buon tecnico Salvatore Bianchetti si raggiunse la salvezza ) che
Franco Proto si rese conto che era arrivato il momento , visto l'
importanza di un campionato come la C1, di riportare l' Atletico a
Catania . Nell' estate del 1993 la città di Catania era rimasta senza
calcio per l’estromissione del Catania dal campionato di C1 da parte
della Lega . Franco Proto , sollecitato dall' amministrazione comunale e
in prima persona dal sindaco Bianco , non potendo effettuare subito il
trasferimento fondò il Catania 93' . Il presidente Proto quindi accolse
la proposta è convinto che avrebbe , con il suo gesto , conquistato
Catania e i suoi tifosi organizzò un’ amichevole al Cibali facendo
giocare le sue due squadre , La Leonzio e il Catania 93 ; ebbe una
grande accoglienza dai tifosi della Falange (curva sud) e da tutto lo
stadio . Proto era commosso , mai avrebbe immaginato che pochi giorni
dopo , alla riammissione del Catania al campionato d' Eccellenza del
93/94 , la gente gli avrebbe rivoltato le spalle "politici in
testa" . Il Catania 93' nonostante tutto disputò al Cibali un
grande campionato (serie D del 93/94) sfiorando la promozione in C2 . L'
anno dopo si effettuò lo scambio : in pratica Franco Proto riportò l'
Atletico a Catania e alla città di Lentini cedette il suo Catania 93'
con la nuova denominazione di S.S. Leonzio .
Nel campionato di C1 del 1994/95 l' Atletico Catania " tornato
finalmente nella città natìa" raggiunse la salvezza con il 12°
posto finale ; ci furono diversi problemi che portarono all' esonero del
duo Auteri - Lombardo prima e del tecnico Caramanno dopo . Ma
fortunatamente a metà stagione con il ritorno del tecnico Paolo
Lombardo e l' arrivo di rinforzi (il portiere Graziano Vinti , Mattia
Collauto e Angelo Ferraro) si riuscì a raggiungere la salvezza . Da
ricordare i tanti goal di Calvaresi e l' esplosione di un giovane come
Mattia Collauto , senza dimenticarsi del capitano De Amicis.
Nella stagione 1995/96 il presidente Franco Proto decise di allestire
una squadra in grado di lottare per i Play/Off . Il Direttore Sportivo
Adriano Polenta e il nuovo tecnico Francesco D' Arrigo allestirono un'
ottimo organico che a fine stagione , dopo una grande rimonta nel girone
di ritorno , sfiorò i Play/off con il 7° posto finale .
Indimenticabile la sconfitta in casa , la penultima di campionato ,
contro la Nocerina per 2 - 0 che in pratica non permise all' Atletico
Catania di inserirsi nel quinto posto . Da ricordare , oltre all' ottimo
allenatore D' Arrigo, giocatori come : il portiere Nicola Di Bitonto ,
Fabio Bonadei , Loris Del Nevo , Pietro De Sensi , Marco Moro , Carlo
Troscè , Gaetano Calvaresi e Umberto Marino (chiamato dai tifosi "
mucca pazza").
Vista la delusione per il mancato accesso ai Play/Off nella stagione
1996/97 Franco Proto decide di allestire una super squadra che possa
lottare al vertice. Viene incaricato nel difficile lavoro un Direttore
Sportivo molto esperto come Enzo Nucifora e come tecnico si decise di
chiamare Orazi . Arrivarono a Catania grandi giocatori : dalla Juventus
arrivò il portiere Lorenzo Squizzi , vennero aquistati i difensori
Massimiliano Farris e Giovanni Paschetta (Cosenza) , al centrocampo
arrivarono : Luigi Bugiardini e Massimiliano Favo (Lucchese) ; in
attacco arrivò Franco Lerda (Brescia) e Claudio Cecchini (Ancona) . La
squadra era forte in ogni reparto però non riuscì subito ad ingranare
ed a metà stagione Orazi venne esonerato . Venne chiamato a Catania un
nuovo allenatore : lo svizzero Roberto Morinini che con grande impegno e
sapienza trasformò la difesa atletista in un vero e proprio bunker (a
fine stagione l' Atletico Ct con i suoi 15 gol al passivo fù la difesa
meno perforata dalla serie A alla C2) e con una grande rimonta si
raggiunse il quarto posto finale e si ottenne l' accesso per i Play/Off
poi persi contro il Savoia ( andata 0 - 0 , ritorno 1 - 0 al S.Paolo di
Napoli) . Fù una stagione indimenticabile soprattutto per il grande
pubblico che per la prima volta riuscì ad attirare l' Atletico al
Cibali e si raggiunse ovviamente il record di presenze in occasione dei
play/off contro il Savoia dove c' erano 20.000 spettatori. Nella partita
di andata , finita 0 - 0, un episodio poteva cambiare il volto della
partita e chissà pure la storia : sul finire del primo tempo Franco
Lerda con una grande punizione colpisce in pieno la traversa e il
pallone rimbalza in area di rigore ma nessuno riuscì a segnare . Nella
partita di ritorno partirono da Catania più di mille tifosi , direzione
"S. Paolo" (foto accanto ricorda i tifosi atletisti) momenti
indimenticabili ma non si riuscì nell' impresa e il Savoia vinse la
gara per 1 - 0.
L' estate del 1997 si tinge di giallo , a fine luglio quando ormai il
tecnico Morinini aveva accettato la riconferma il giorno prima della
firma di contratto scompare insieme al D.S. Nucifora ..........
destinazione Avellino . Franco Proto , altamente deluso dal
comportamento di gente che riteneva onesta , affidò la panchina per il
campionato 1997/98 al tecnico Rosario Foti . Quindi fù affidato all' ex
tecnico dell' Acireale il difficile impegno di riscattare la grande
delusione per il mancato salto in serie B , una grossa responsabilità
che nonostante l' ottimo impegno del tecnico la squadra , per mezzo
campionato , non riuscì ad uscire dalla bassa classifica . Arrivò l'
esonero di Rosario Foti e il presidente Proto richiamò in panchina
Paolo Lombardo ; inizia l' ennesima miracolosa risalita ed arrivano a
Catania nuovi giocatori : Giovanni Sulcis (Cagliari) , Davide Bombardini
(Reggina) ; Salvatore Nobile ; Fabio Pittilino (Udinese) ed in porta
entra titolare Marco Onorati . La squadra del capitano Pietro Infantino
si trasforma e risale pian piano la classifica ed a fine stagione batte
per 3 - 1 (con un gran goal di Bombardini) la Ternana , seconda in
classifica imbattuta da 32 turni , ed ottenne l' ingresso ai play/off
per la seconda volta consecutiva raggiungendo il 5° posto . Negli
spareggi si dovette però fare i conti di nuovo con la forte Ternana del
tecnico Luigi Del Neri ed il primo duello davanti ad un Cibali (foto
accanto) con 20.000 spettatori finì 0 - 0, nella gara di ritorno , dopo
diverse polemiche per un rigore negato a Bombardini, l' attaccante
Borgobello regala la vittoria per 1 - 0 alla Ternana trascinandola verso
la finale poi vinta.
Nel 1998/99 il presidente Franco Proto instaura un accordo con l' Inter
ed arrivano a Catania giovani promesse come : Luca Facchetti e Sergio D'
Autilia (ma entrambi si dimostrarono non all' altezza) , ritorna il
direttore sportivo Enzo Nucifora e l' Atletico disputa un discreto
campionato suggellato però da diversi esoneri : il tecnico Paolo
Lombardo visto l'ottimo finale di campionato fù riconfermato ma
successivamente (e ingiustamente) esonerato , venne chiamato in panchina
un grande ex giocatore del Milan Pietro Paolo Antonio Virdis , al suo
esordio come tecnico . Arrivarono anche nuovi rinforzi : gli attaccanti
Ciccio Pannitteri (Messina) e Firminio Elia (Crotone) ed il difensore
Claudio Grimaudo , però sul finire del campionato si ebbe un rischioso
calo in classifica ed a solo 4 gare dalla fine , raggiunta una posizione
critica in classifica , Franco Proto litiga con Virdis e lo esonera . Il
direttore Nucifora chiama in panchina il bravo Pasquale Casale che
riesce in poco tempo a salvare la squadra raggiungendo il 10° posto
finale. In questa altalenante stagione si vide una autentica coppia di
goal , Pannitteri ed Elia , entusiasmarono i tifosi con tanti bellissimi
goal , è stata sicuramente la coppia di attaccanti più prolifica mai
avuta ; da ricordare anche la grande serietà di un giocatore esperto
come Giacomo Modica che venne a Catania rinunciando di giocare in B con
la sua Ternana.
l penultimo campionato di C1 del 1999/00 è stato molto deludente e si
concluse con la penultima posizione in classifica e si dovettero
disputare i play/out poi vinti contro la Juve Stabia . Il ruolo di
direttore generale era stato affidato ad una persona seria e preparata
come il Dott. Claudio Tanzi . Tanzi però non condivise la gestione
societaria da parte del presidente Proto , ed infatti a fine dicembre
arrivarono le sue dimissioni . Furono fatti molti errori , il primo
sicuramente fu la scelta del tecnico Gregorio Mauro che venne quasi
subito esonerato . Il presidente Franco Proto chiamò in panchina il
tecnico catanese Salvo Bianchetti , successivamente incaricò come nuovo
direttore sportivo Andrea Mangoni (che aveva già lavorato con
Bianchetti nella Spal) . Arrivarono anche alcuni rinforzi : Alessio De
Stefani (Bari) , Nathan Schiavon (Lucchese) e gli attaccanti Luca Dosi e
Gabriele Scandurra (Lucchese) . Tutto ciò non bastò e la squadra
precipitò in fondo alla classifica , venne esonerato Bianchetti e il
nuovo tecnico Rosario Picone riuscì nell' impresa di salvare una
stagione fallimentare agganciando "per il rotto delle cuffie"
l' accesso ai play/out . Nella prima gara contro la Juve Stabia fù
Ciccio Pannitteri a trascinare l' Atletico verso una vittoria pesante
per 3 - 0 , la gara di ritorno finì 1 - 0 per la Juve Stabia e si
raggiunse la salvezza . Da ricordare : le grandi parate di Marco Onorati
, un leader come Massimiliano Farris , l' attaccamento alla maglia del
capitano Pietro Infantino , la cattiveria del giovane La Marca , l'
estrosità tecnica di Mirco Pagliarini e i goal di Ciccio Pannitteri
(chiamato CiccioGol) .
L 'ultimo campionato di C1 2000/01 iniziò con grandi obbiettivi , vista
anche la presenza nel medesimo campionato del Catania, e Franco Proto
insieme a Enzo Nucifora (ritornato e perdonato dopo la fuga insieme al
tecnico Morinini ad Avellino nell' estate del 1997) allestirono una
grande squadra con in panchina il mister Adriano Cadregari . Era stata
allestita una formazione completa in ogni reparto , arrivarono : in
porta Stefano Anbrosi , in difesa Stefano Archetti , Pietro Assennato e
lo sgusciante Francesco Tondo ; al centrocampo dal Livorno arrivò
Giuliano Gentilini e dalla Roma Fabrizio Romondini ; in attacco l'
attaccante Antonio Bernardi (Alzano) . Nonostante i buoni propositi la
stagione iniziò male e finì peggio con la retrocessione in C2 dopo la
perdita dei play/out contro la Lodigiani : infatti nella partita di
andata vinse al Cibali la Lodigiani per 4 - 3 e nella gara di ritorno ,
al Flaminio di Roma , la Lodigiani vincendo per 2 - 0 guadagnò , a
discapito dell' Atletico , la salvezza . Nel calcio la fortuna può
essere determinante e se in determinate circostanze và tutto storto non
sempre si riesce a salvare una stagione , quando poi giocatori
fondamentali come l' attaccante Bernardi salta l' intera stagione per
infortunio , o l' attaccante Moscelli , autore nelle prime partite di 8
goal , venne inspiegabilmente ceduto a Novembre . Tutto andò male ed
ancora peggio finì nell' estate 2001 quando per gravi condizioni
finanziare l' Atletico Ct. venne estromesso dalla serie C2 e costretto a
ripartire dall' Eccellenza . L' Atletico Ct. venne letteralmente
abbandonato dal comune di Catania , infatti il sindaco Scapagnini e l'
assessore allo Sport Paolo Di Caro non consegnarono il contributo che
era stato già promesso e approvato dal consiglio comunale . Se il
contributo sarebbe stato consegnato l' Atletico Ct. si sarebbe salvato
perchè avrebbe chiuso con un minore passivo il bilancio e sarebbe stato
iscritto regolarmente al campionato di serie C2 . Il contributo comunale
si aggirava sui 300 milioni e veniva puntualmente consegnato ogni anno
sia al Catania che all' Atletico , in base alla categoria di
appartenenza .
http://www.atleticocatania.altervista.org/la%20storia.HTM
L’ANNO IN CUI
IL GIARRE STAVA PER
(RI)FARLA “GROSSA”
-il sogno prima di cadere nell’oblio-
Stagione di Serie C1
1992-1993, il calcio siculo era in fermento, in quanto vi erano diverse
squadre isolane presenti nelle prime quattro categorie del calcio italiano
ed una di queste era il Giarre, che dopo la sorpresa del Licata, promosso in
B qualche anno prima, anche questa realtà stava per riuscire nell’impresa!
Allenata da un giovane
tecnico di nome Gian Piero Ventura, il Giarre si è piazzato quarto a soli
tre punti dall’Acireale terzo, salito in B al posto del Perugia.
Questo posizionamento è
stato il miglior traguardo raggiunto dal Giarre, il quale ha disputato in
tutto otto tornei professionistci (6 in C1 e 2 in C2).
A far parte di quel Giarre,
vi erano giocatori talentuosi e che comunque hanno lottato per la maglia,
quindi figuravano: Mauro Mayer, Cristiano Scalabrelli, Salvatore Tarantino,
Paolo Tomasoni, Antonio Bucciarelli, Stefano Dalla Costa, Walter Monaco,
Carmelo Mancuso e tutti gli altri grandi di quella magica stagione.
In quella stagione, nel
Girone B di C1 erano presenti ben sei squadre siciliane: Acireale e Palermo
(promosse in B, Giarre, Catania, Messina e Siracusa.
Anche nel 1989-1990, il
Giarre aveva sfiorato la B, posizionandosi terzo, con Walter Nicoletti
allenatore, ma questa è un’altra storia che racconterò…
Ho scelto di scrivere prima
di questa annata, rispetto all’altra, poiché il Giarre nel giro di due anni
è fallito, ripartendo dall’Eccellenza e ritrovando la D solo nel 2003, per
poi vivere nuovamente periodi terribili, ripartendo addirittura dalla Terza
Categoria.
Negli annate più recenti,
il club in questione era riuscito a risollevarsi nuovamente, per poi
riscomparire di nuovo e dover rifare nuovamente tutto da capo.
Oggi l’Akron Giarre disputa
il campionato di Prima Categoria siciliana, Girone D.
Dal Web
LA JOLLY COMPONIBILI
La
Jolly Componibili Catania è stata una squadra di calcio femminile,
attiva a Catania tra il 1976 e il 1979. Ha vinto lo scudetto nel 1978.
Giocava le partite casalinghe allo stadio Cibali e la maglia era a
strisce rosse e azzurre.
Fondata da Angelo Cutispoti, la squadra legò il proprio nome a due
allenatori, il bresciano Gianni Prevosti (ex ala del Catania maschile) e
il suo secondo Coci.
La
Jolly Componibili Catania (chiamata così per lo sponsor) partì dalla
Serie C nel 1976, appunto, vincendo subito il proprio girone. Subito
rinforzata, le ragazze di
Prevosti
vinsero anche la Serie B nel 1977. L'avvenimento più straordinario
arrivò al terzo anno di attività: da matricola in Serie A, ottenne il
primo posto e quindi lo scudetto. Su 22 incontri disputati, le
rossazzurre vinsero 20 partite e ne pareggiarono appena 2. La Lazio
Lubiam, seconda in classifica, era stata staccata di ben 7 punti. Il
secondo campionato di A fu meno appassionante: Prevosti lasciò a Coci
la guida tecnica, e la squadra, meno brillante, ottenne "solo"
un terzo posto. Alla fine del campionato 1979, la dirigenza dovette
cedere il titolo sportivo all'Alaska Lecce, che in seguito avrebbe vinto
tre scudetti consecutivi.
Questa
era la formazione titolare della squadra che vinse lo storico scudetto:
Virgilio; Caruso, Summa; Belviso, Pedrale, Musumeci; Carrubba, Lonero,
Zuccaro, M.Macaulo, Reilly. L'ala sinistra Rose Reilly, scozzese, era il
capitano e fu anche una delle giocatrici più rappresentative della
propria nazionale.
Gianfranco Forza. Le biancorosse, che fino alla stagione 2003-04
giocavano a Gravina di Catania ma che poi si sono trasferite a Paternò,
hanno alle spalle 12 campionati di serie A. Il miglior risultato è
stato un doppio 6° posto ottenuto nel 1991-92 e nel 1992-93. L'ultima
partecipazione alla massima divisione risale al 2001-02.
«Il
calcio? È solo uno sport…» La storia di Gianni Prevosti e dello
Scudetto del Catania di Calcio Femminile.
1 Aprile 2006 - di Roberto Quartarone
Nel
1976, Angelo Cutispoti iniziò un’avventura senza precedenti: creò
una squadra di calcio femminile a Catania, la Jolly Componibili Catania.
Il primo tassello fu la scelta dell’allenatore: il presidente
contattò Gianni Prevosti, che per vent’anni aveva girato la Sicilia
guidando molte squadre dilettantistiche. «Naturalmente cominciammo dal
gradino più basso -inizia l’ex allenatore bresciano-, dalla Serie C,
che era a livello regionale. Vincemmo subito il campionato e tutto ci
andò benissimo, anche se in squadra non avevamo grandi giocatrici. In
Serie B ci rinforzammo con delle ragazze dalla buona tecnica individuale
e con un buon tocco del pallone. Il campionato era molto impegnativo,
infatti erano state inserite nel nostro girone anche squadre romane e
napoletane. Anche quell’anno conquistammo il primo posto, passando in
Serie A, malgrado tra gli avversari ci fossero molte ragazze che
giocavano bene e promettevano. Le migliori, comunque, le portammo con
noi nella massima serie. Inoltre comprammo un’attaccante scozzese,
Rose Reilly, che era veramente brava e dava delle legnate tremende. Per
portare tutte queste giocatrici a Catania il presidente sborsò molti
soldi, ma grazie a ciò giocammo a Milano, Verona e Torino, ottenendo
sempre dei buoni risultati. Alla fine, vincemmo anche lo scudetto: non
ce lo aspettavamo! Ci siamo meravigliati di trovare una resistenza così
poco consistente: ogni avversaria aveva massimo 4 giocatrici con una
tecnica decente, mentre invece la nostra squadra aveva solo ottimi
elementi, tutti scelti e sui cui si poteva contare. Dopo lo scudetto, ho
dovuto lasciare la squadra per tornare a dedicarmi al calcio maschile.»
La
situazione del calcio femminile
Intervista
a Gianfranco Forza, presidente del Gravina ACF
Venticinque
anni fa, non era difficile che un catanese andasse abitualmente a vedere
una partita di calcio femminile. Allora, Angelo Cutispoti, Gianni
Prevosti e le ragazze della Jolly Componibili Catania andavano alla
grande in serie A. Bastavano un paio di giocatrici forti e dietro loro
si creava il vuoto: promozione in serie A, scudetto, terzo posto. Poi la
squadra si trasferì a Terni e l’interesse del grande pubblico per la
versione femminile dello sport più amato finì.
Oggi com’è la situazione del calcio femminile siciliano? Lo chiediamo
alla persona più esperta in questo campo: Gianfranco Forza, presidente
del Gravina A.C.F., da anni la squadra più importante della provincia
di Catania, avendo partecipato per 12 stagioni alla massima divisione.
«Quando la Jolly Componibili Catania vinse lo scudetto, io facevo
calcio femminile da due anni. All’epoca, nel 1978, c’erano appena
dodici squadre in serie A e trenta divise nei campionati regionali:
oggi, invece, solo a livello nazionale (tra serie A, A2 e B) si contano
93 squadre, di cui quasi una decina siciliane. A livello regionale sono
29 le squadre iscritte ai gironi siciliani. Per di più, il calcio a 5
è in crescita: da poco la FIGC ha creato dei campionati regionali; chi
vince accede alle finali nazionali e noi le abbiamo vinte nel 1991 e nel
1992. Tutt’ora ci facciamo onore con una squadra formata da ex
giocatrici di calcio ad 11, che si divertono di più in questi
campionati meno stancanti.»
Bilancio quindi abbastanza positivo? Tutt’altro.
«Un esempio: abbiamo superato brillantemente il primo turno di Coppa
Italia, ma non è facile andare avanti per motivi economici. Finché si
va in Calabria, la trasferta costa poco e si può fare tranquillamente.
Ogni volta che si va più a nord, però, si devono pagare tantissimi
soldi. Gli sponsor non coprono tutto e … non sono Berlusconi! Quando
entrano in ballo questi fattori, il divertimento passa in secondo piano:
forse era meglio quando si disputavano i campionati regionali…
Inoltre, nonostante sia riuscito a trovare dei buoni sponsor, ho paura a
salire in serie A1. Infatti, l’iscrizione costa più di quella alla
serie D di calcio maschile e noi siamo dilettanti! In più, il comune
non ci ha concesso un campo in erba e ogni partita in casa devo pagare
multe su multe. Infine, dobbiamo anche presentare una squadra di under
19 a livello nazionale. Questi costi sono insostenibili…»
Fortunatamente le partite giocate in campo regalano emozioni forti.
«Certamente. La stagione passata siamo partiti malissimo e abbiamo
finito benissimo: alla fine dell’andata eravamo in zona retrocessione,
nel girone di ritorno abbiamo totalizzato più punti di tutti, arrivando
a metà classifica. Quest’anno siamo più ambiziosi: è arrivato un
portiere nuovo, una mezzala veramente forte e dovrebbe aggregarsi un’algerina,
che ha un po’ di problemi con il transfert: la federazione pretende
che lavori, ma è giovane e non è facile trovarle un impiego [n.d.r.:
l'algerina alla fine non verrà tesserata]. Ci trattano da dilettanti
solo quando conviene... Comunque speriamo di arrivare tra le prime
cinque.»
Quali sono le differenze tra una calciatrice e un calciatore?
«Tecnicamente alcune, pur essendo meno veloci e meno potenti, sono a
livello di un professionista. Secondo me Gaucci sbagliava quando voleva
portare la Prinz a Perugia: alcune possono anche essere brave a
palleggiare, a fare le giocoliere, ma non possono competere fisicamente.
Tuttavia, in campo sono più cattive dei maschi
Come va con le giovani?
«Le scuole calcio sono molto attive. Iniziare da piccole conviene anche
perché le ragazzine sono più sviluppate dei ragazzi della stessa età.
Una volta le ragazzine di 12 anni hanno disputato un torneo di calcio a
5, vincendolo. La squadra campione della categoria maschile propose di
giocare una finalissima: le ragazze li umiliarono vincendo 4-0!»
A chi devono rivolgersi le ragazze che volessero iniziare a giocare a
calcio?
«Il mio numero (095 21 11 81) è sempre disponibile. Chi vuole, può
anche presentarsi al campo di calcio di Gravina il martedì, il
mercoledì e il venerdì dalle 17 alle 19, ci alleniamo sempre lì. In
Sicilia, però, è difficile che le ragazze giochino a calcio, spesso a
causa della mentalità di alcuni genitori. Una volta capitò che si
presentò una ragazza veramente brava di diciassette anni. Sua madre la
ritirò dalla squadra perché doveva farla giocare a pallavolo, senza
considerare il fatto che era troppo bassa per quello sport e che a lei
non piaceva minimamente!»
Il Gravina ha già iniziato il proprio campionato. I risultati iniziali
fanno ben sperare per il futuro. I miliardi sono lontani dal campetto di
Gravina, ma Forza ci ha confermato che anche questo ambiente considerato
lontano dal dio denaro rischia di impantanarsi nell’errore che, molto
tempo fa, hanno commesso i ragazzi: sacrificare il divertimento per il
guadagno.
(Roberto Quartarone, articolo scritto il 17-10-2004)
___________________________
È
con immenso piacere che vi presentiamo "Il cielo è rosa sopra il Cibali",
l'antologia che narra la storia del calcio femminile a Catania, dalle
origini alla stagione 2018-’19, con un particolare focus sullo scudetto del
1978, il secondo in assoluto vinto in Sicilia per gli sport di squadra (dopo
quello della Paoletti di pochissimi mesi prima).
“Il cielo è rosa sopra il
Cibali” è il primo libro sul movimento del calcio femminile a Catania,
scritto e pubblicato dai nostri Sergio Capizzi e Roberto Quartarone, e
recante il marchio Quelli del '46.
Un volume di 364 pagine,
pubblicato su Amazon, che ripercorre una per una tutte le stagioni delle
squadre etnee, dalla rappresentativa di ballerine che sfidò il Catania
Calcio nel 1946 alla Jolly che vinse lo scudetto nel 1978, toccando poi
l’epoca d’oro del Gravina, infine per terminare con gli anni più recenti
della Femminile Catania.
Con oltre 350 fotografie e
il risultato o i tabellini di oltre 750 partite, si ripercorrono le imprese
delle principali squadre catanesi, anche attraverso le interviste alle
principali protagoniste della Jolly dello scudetto e di molti altri addetti
ai lavori.
La prefazione è firmata da Franz Lajacona, già caporedattore
della “Gazzetta dello Sport” e narratore delle imprese della formazione
femminile presieduta da Angelo Cutispoti su “La Sicilia”.
https://www.quellidel46.it/2020/05/14/catania-e-il-calcio-femminile-50-anni-di-pallone-rosa-sotto-letna/
foto Turi Di Stefano
L'Associazione Sportiva Acireale, o più
semplicemente Acireale, è una società calcistica italiana che, fondata nel
1946 e costituitasi in società a responsabilità limitata nel 1989, ha sede
nella città di Acireale. Nella seconda metà degli anni cinquanta (1957-1958)
e sino al 1972 la squadra venne denominata Acquapozzillo, in virtù della
sponsorizzazione da parte della società delle acque minerali.
A luglio del 2006, a causa di difficoltà
finanziarie, non riuscì ad iscriversi al campionato di Serie C2, nella quale
era retrocessa dopo i play-out di Serie C1 Girone B disputati contro la Juve
Stabia. Nello stesso mese, l'imprenditore Santo Massimino fondò una nuova
società con denominazione sociale molto simile alla precedente: la Società
Sportiva Dilettantistica Acireale Calcio, iscritta al campionato di
Promozione nell'annata 2006-2007 e promossa nel campionato di Eccellenza al
termine della stagione. L' Associazione Sportiva Acireale S.r.l. fu
dichiarata fallita nel dicembre del 2006. La S.S.D. Acireale Calcio può
essere considerata la naturale continuazione dell' Associazione Sportiva
Acireale. I colori sociali della squadra sono il granata ed il bianco. I
migliori risultati della sua storia calcistica sono la promozione e la
permanenza per due anni in Serie B nelle stagioni 1993-1994 e 1994-1995.
Dal 1993 disputa le proprie gare interne
allo Stadio Tupparello il quale può ospitare fino a 8.000 spettatori.
L'Associazione Sportiva Acireale venne
fondata l'11 giugno 1946 sulle ceneri di un più antico progetto, anch'esso
denominato Acireale, una squadra che partecipò a vari campionati agonistici
fra il 1928 ed il 1934 per poi sciogliersi definitivamente.
Il campo di gioco era allora il
"Comunale" della centrale piazza dei Padri Cappuccini, in terra battuta e
capace di ospitare fino a 3.500 spettatori.
La prima formazione della stagione
1946-1947 fu: Core, Maccarrone, Cantarella, Dereani, Barattucci, Conti,
Signorelli, Raciti, Grasso, Creziato, Cusumano. Allenatore è Luigi
Bertolini.
La prima Serie C
Il primo traguardo di un certo rilievo,
dopo la Quarta serie conquistata nell'annata 1957-1958, fu la promozione in
Serie C ottenuta nella stagione 1968-1969, categoria nella quale l'Acireale
aveva già militato nell'immediato dopoguerra.
L'Acireale ritornò in Serie D nella
stagione 1975-1976, partecipò quindi a varie edizioni del campionato
Interregionale, istituito nella stagione 1981-1982.
Nella seconda metà degli anni ottanta si
ebbe una nuova rinascita, con una serie di promozioni che porterà in alcune
stagioni la squadrà dal campionato Interregionale alla Serie B, nella
stagione 1992-93.
La Serie B
Il raggiungimento della seconda divisione
nazionale è il massimo risultato ottenuto dalla società granata e si ebbe
grazie alla revoca della promozione del Perugia, che aveva battuto
l'Acireale in uno spareggio, a causa di un illecito sportivo con la presunta
corruzione dell'arbitro Senzacqua di Fermo, prima dell'incontro
Perugia-Siracusa.
L'Acireale militò in Serie B per due
stagioni (1993-1994 e 1994-1995). In occasione della promozione nella serie
cadetta si inaugurò il nuovo Stadio Tupparello, che sostituì il vecchio
Comunale, inidoneo per la disputa delle partite della Serie B. Nel primo
campionato ottenne la salvezza con uno spareggio con il Pisa disputato nel
neutro di Salerno davanti a circa 6.000 tifosi acesi e vinto ai calci di
rigore[1]; nella seconda stagione, invece, retrocesse per un solo punto
(classifica finale).
Il declino e la rifondazione
La retrocessione determinò per la società
acese un periodo di forte crisi e dopo quattro anni di Serie C1 retrocedette
in Serie C2, nell'anno in cui venne acquistata dall'imprenditore catanese
Antonino Pulvirenti che ne evitò la cancellazione dal panorama
professionistico. Dopo quattro stagioni in C2 l'Acireale venne di nuovo
promossa in Serie C1 e sfiorò il ritorno in Serie B partecipando ai play-off
nella stagione 2003-04, venendo eliminata in semifinale dalla Viterbese[2].
L'anno successivo Pulvirenti, dopo aver assunto la proprietà del Calcio
Catania, cedette la società. L'Acireale per le due stagioni seguenti si
trovò ad affrontare problemi finanziari, che culminarono, nel giugno del
2006 con la retrocessione in Serie C2 e nel mese di luglio con la mancata
iscrizione al campionato. La situazione di quell'estate travagliata sembrò
più volte in procinto di trovare una soluzione che permettesse il
mantenimento almeno della categoria, con un progetto presentato da alcuni
imprenditori che, tuttavia, ritirarono la propria disponibilità in
prossimità della scadenza dei termini per l'iscrizione decretando il
fallimento dell'Acireale. Cancellata la società originaria, l'imprenditore
locale Santo Massimino, avviò nella stessa estate un nuovo progetto
calcistico denominandolo «Società Sportiva Dilettantistica Acireale
Calcio»[3]. La nuova società venne ammessa dal comitato regionale della Lega
Nazionale Dilettanti al campionato di Promozione girone C (settima
divisione). Nella sua prima stagione nel calcio dilettantistico conquistò la
promozione in Eccellenza per la stagione 2007-08, mentre nella seconda
stagione tra i dilettanti, in Eccellenza, si è classificata quarta e ha
perso i playoff contro il Palazzolo Calcio. L'8 luglio 2008 è stato
ufficializzato il cambio di proprietà, il nuovo patron è Ralf Schwarz,
proprietario del gruppo Softecno, il presidente è Rosario Pennisi.
L'allenatore di inizio stagione è stato Mauro Zampollini, sostituito a metà
campionato da Santino Bellinvia. La stagione 2009-2010 vede il ritorno in
società del Direttore Mario Marino[4] già presente nell'era Pulvirenti dove
si sfiorò la Serie B ai play off, fin dall'inizio la società, la squadra e
quadri tecnici vengono riassettati, con alla guida della squadra Carlo
Breve. Alla tredicesima giornata di ritorno del campionato di Eccellenza
girone B, l'Acireale batte il Vittoria per 2-1[5], e in virtù dei 7 punti di
vantaggio dalle inseguitrici, conquista la promozione in Serie D con 2
giornate d'anticipo, col record di 76 punti nel girone B dell'Eccellenza
Siciliana, un record (74 punti) che apparteneva al Paternò. A gennaio, dopo
l'ennesima sconfitta casalinga contro il Cittanova, la dirigenza decide di
sostituire l'allenatore Carlo Breve[6] con mister Piero Infantino[7], già
giocatore della squadra granata negli anni antecedenti alla Serie B. Per la
stagione 2011-12, con i granata impegnati ancora una volta nel campionato di
Serie D, il nuovo allenatore è Massimo Gardano. Il 13 febbraio 2012, Mario
Marino si dimette dall'incarico di direttore generale. Termina il campionato
al 14º posto e andando a disputare i play out contro il Marsala, ma la
squadra granata si salva in virtù del miglior piazzamento in classifica (0-0
il risultato di entrambi gli incontri)
fonte Wikipedia
Non è stata verificata la data del 1908,
ma generalmente s’intende questo l’anno in cui si mossero i primi calci
nella cittadina etnea. C’è qualche documento della stagione 1938/39, quando
con la denominazione di Ibla una squadra paternese partecipava al Campionato
di Prima Divisione. Solo nel dopoguerra però si organizzò il movimento
calcistico paternese con la nascita di diverse associazioni come la Pro
Italia, Pro Paternò, la Fiamma Paternò e la Polisportiva Paternò. Nella
prima metà degli anni cinquanta il Paternò disputa campionati dilettanti,
che Proprio quest’ultima grazie ad una dirigenza molto qualificata guidata
da Pippo Gennaro, ebbe una rapida ascesa, che culminò nella promozione in D
nel campionato 1961/62. Vinto il Campionato di Promozione con la nuova
denominazione Polisportiva Paternò, i rossazzurri affrontarono la IV serie
in maniera molto dignitosa, raggiungendo degli apici eccezionale, purtroppo
questa squadra non ebbe mai tanta fortuna e per ben 3 volte si fece soffiare
la vittoria del campionato giungendo seconda.Il Paternò allestisce già una
buona formazione nel campionato 1963/64, portando alle falde dell’Etna un
giovane palermitano molto promettente come Tanino Troja futuro centravanti
del Brescia e del Palermo in A, però nonostante Troja mise a segno molti
gol, non si andò oltre un buon quarto posto.
Nella stagione 1964/65 provò la prima
scalata alla Serie C, allora tra le fila rossazzurre giocavano grandi
giocatori come Mario Corti, ex mezzala del Catania in A, ma nonostante i 7
punti di vantaggio sul Savoia di Torre Annunziata dopo 14 giornate,
all’interno dello spogliatoio subentrò un dualismo che destinò il Paternò ad
un amaro secondo posto. Infatti lo spogliatoio si schierò da una parte con
l’allenatore Aldo Riva e dall’altra con il giocatore Corti, il quale non fu
sostenuto dalla società e per lui ci fu il ben servito, situazione che fece
tracollare quel campionato, L’anno successivo nel 1965/66, il Paternò ha
forse la più forte formazione di tutti i tempi, con Marcello Trevisan in
porta (andrà in A col Napoli), difesa con Codraro a destra e Ferrante a
sinistra, centrali palazzo e Ortolani. Il centrocampo vede due ali
velocissime come Schettino a destra e Tedesco a sinistra, con Alberti e
Sartori mediani, mentre in avanti De Pierro e Busetta sono gli implacabili
cecchini.
Il Paternò conduce un campionato di testa
con la Massiminiana al secondo posto ad un punto, purtroppo a due giornate
dalla fine, i rossazzurri perdono immeritatamente a Scafati, mentre la
Massiminiana vince a Palermo contro i cantieri Navali, per cui c’è il
definitivo e beffardo sorpasso che si conferma anche nell’ultima giornata.
Purtroppo i beniamini paternesi non furono aiutati dalla fortuna, anche se i
ragazzi di Maluta portarono in campo il miglior calcio. Due campionati di
transizione e poi nella stagione 1968/69 con il nuovo presidente Buscemi, i
rossazzurri disputano un altro torneo di vertice ma questa volta il testa a
testa è contro i rivali di sempre dell’Acqua Pozzillo Acireale. Il Paternò
doveva affrontare fuori casa il Siracusa che con il suo orgoglio di nobile
decaduta vinse condannando i paternesi alla debacle. così l'Acireale
s'involò solitario al comando battendo in casa il Terranova, vincendo poi
l’ultima gara in trasferta a Mazara.
Negli anni settanta il Paternò allestisce
delle formazioni con dei giovani promettenti, ma non c’è la capacità
economica per poter affrontare campiaonto di vertice, per cui bisogna spezzo
accontentarsi dei piazzamenti. Arriva purtroppo al retrocessione nella
stagione 1976/77, ma il riscatto è immediato ed i rossazzurri sono
nuovamente in D anche grazie alle prodezze di Giovanni Cardella, dei
fratelli Salvatore e Luigi Fazio e di Orazio Laudani. Vennero altri
campionati in chiaroscuro, questa volta con atleti locali che danno bella
mostra di sé, ma gli exploit furono pochi. Negli anni ottanta, il Paternò
disputa l’Interregionale con alterne fortune, anzi quasi mai con compagini
competitive, così nel torneo 1985/86 c’è la retrocessione in Promozione.
Dopo due anni nel 1988/89 i rossazzurri sotto la presidenza Mirenna,
allestiscono una formazione all’altezza della situazione, ma lo strapotere
di Juventina Gela ed Acireale, li estromette dai giochi finali.
L’anno successivo è l’inizio della fine,
la società non sta bene economicamente e manda in campo la formazione
juniores, retrocessione in Promozione e fallimento della gloriosa
polisportiva Paternò. Il calcio rinasce l’anno dopo in Promozione grazie al
contributo di un giovane imprenditore locale, Enrico Caponnetto ed il
suocero Agostino Garraffo, i rossazzurri approdano nella stagione 1993/94 in
eccellenza ed è subito derby con il Catania ‘46, appena radiato. 0-0 al
Cibali e 2-1 per il Paternò tra le mura amiche, ma con i catanesi non c’è
nessuna rivalità, anzi molto rispetto reciproco. Dopo un buon girone
d’andata, avviene l’ennesima spaccature nello spogliatoio e le ambizioni di
vittoria vengono immediatamente frenate.
Qualche anno dopo Caponnetto lascia la
mano alla cordata di imprenditori capeggiata da Consolato Papino e Turi
Puglisi, si cerca di fare bene ma non tutto va per il meglio e per il
Paternò c’è ancora solo l’eccellenza. Nel 1997/98, la squadra è sull’orlo
del baratro, quando un gruppo di imprenditori catanesi nel settore degli
autotrasporti rileva la squadra, conducendola alla salvezza. I fratelli
Marcello, Franco e Maurizio Lo Bue programmano una stagione di vertice ma
nel 1998/99, c’è un problema con al guida tecnica e ci si deve accontentare
del secondo posto con i relativi spareggi, poi persi con due pareggi a
favore dell’Orlandina. Marcello Lo Bue vuole far sul serio ed ingaggia un
tecnico di categoria come Giovanni Campanella, il quale centra al primo
colpo la promozione in serie D, anche perché può disporre nelle proprie fila
di giocatori del calibro di Pagana, Del Vecchio, Viola, Bosco, Scalia,
Scuderi e del giovane portiere D’Antone, 76 punti 80 gol(un record).
l torneo di serie D 2000/01 comincia con
auspici di salvezza, ma la compagine del nuovo allenatore Pasquale Marino
dimostra sul campo dia vere le carte in regola per osare in classifica.
Viene ingaggiato il più forte giocatore paternese del dopoguerra, cioè il
bomber Franco “Cicciogol” Pannitteri, il quale nonostante i 35 anni mette a
segno 28 gol. Al bomber si aggiunge Pagana, Marchese, Di Dio, Del Giudice e
Del Vecchio, ma a dicembre con gli acquisti di Italiano, Sorce e Fimiani si
raggiunge la definitiva formazione. L’inizio del torneo vede uno sprint
della Vibonese, alla fine del girone di ritorno i punti di svantaggio sono
3, ma erano stati anche 8. A questo punto c’è la rimonta del Paternò, si
centrano 8 vittorie consecutive, il sorpasso giunge quando i rossazzurri
espugnano Sciacca, ma il trionfo si concretizza con le vittorie di Milazzo e
soprattutto nello scontro diretto con la Vibonese, finito 1-0 rete di Saro
Italiano. Per i paternesi è la fine di un incubo e l’inizio di un sogno(i
punti sono 80 le reti 79), materializzatosi sul campo il 6 maggio in
occasione di Paternò - Locri 4-1, dove ha inizio la festa rossazzurra.
Nel suo primo campionato di serie C2 il
Paternò si classifica terzo dietro il Martina e l' Igea Virus, giocando i
play off contro il Giugliano. Le due gare contro il Giugliano sono state
forse le due vere finali di questi playoff, i campani insieme ai rossazzurri
meritavano di approdare in una categoria superiore.
http://digilander.libero.it/ultraspaternesi/storia.html
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