No, non si tratta della musica catanese. Questa pagina è dedicata alla musica che preferisce il sottoscritto, senza nulla togliere alla canzone etnea, alla sua tradizione e a tutti i suoi nuovi esponenti che l'hanno fatta diventare quella che è oggi.
Allora... era inevitabile che nel mio sito, arrivando a parlare di musica, si arrivasse a lui: Francesco De Gregori. Era
il 1975. Nella sua stanza il mio amico,
tra un panino con la mortadella, qualche sigaretta fumata di nascosto e un
complicato problema algebrico, mette sul piatto del famoso stereo Readest Digest
un lp con l'etichetta azzurra.
Ascoltai tutto Rimmel almeno una ventina di volte. Se quel giorno non avessi ascoltato per caso "Pezzi di vetro" questa pagina non sarebbe mai esistita. Dal quel momento in poi sono stato "illuminato" da una luce abbagliante che ha stravolto il mio pessimo scibile musicale, limitato all'ascolto di hits estivi suonati nei juke box della spiaggia. Già "stregato", chiesi ad un mio amico barbiere di insegnarmi a suonare la chitarra. La voglia, la curiosità e la bramosia di sapere che da quello strumento poteva uscire qualcosa che desideravo ma che non potevo ottenere mi faceva star male, a tal punto da soffrire nel canticchiare Buonanotte fiorellino tambureggiando soltanto sulla "passiva" tastiera di legno. Io dovevo suonarla! l mio amico mi insegnò il giro di Do e poi , da solo, imparai tutti gli altri accordi strimpellandoli nel suo Salone con la sua chitarra, con i clienti che dapprima mi imploravano di smettere e poi mi chiedevano di suonare. Poi ne comprai una mia, e la forte volontà che ebbi nell'acquistarla dimostra come un disco o un cantante può trasformare gli interessi di una persona. Pezzi di vetro è stata la chiave che ha aperto qualcosa che avevo nascosta incosapevolmente dentro di me; ha scardinato con forza quella porta chiusa ed entrando nelle altre stanze mi ha fatto accorgere della presenza di altri inaspettati ma graditi ospiti, che non sapevo dimorassero a casa mia: i signori elencati più sotto. Da quel giorno vivono con me. La mia passione per De Gregori è ormai diventata leggendaria e questo, ormai, lo sa bene anche lui. In rete ho raccontato del Principe fin dagli albori di internet, guadagnandomi i nomignoli che mi hanno appioppato sul campo gli appassionati della casa di Alice: Pioniere degregoriano del web, Capostipite, Sior Capitano, Zio Mimmo, Sellerone, Mimmotte ecc. Giaime Pintor, nel 1975, scrisse "De Gregori non è Nobel, è Rimmel". E’ il contrario, l’ho gia scritto in passato e lo ribadisco. Credendolo mendace come un trucco, Francesco non si fidò di uno zingaro che gli fece le carte e lo chiamò vincente. Invece mai profezia fu più azzeccata. Mai come quella volta De Gregori sbagliò le sue previsioni, perché quel futuro invadente non l’ha distrutto e stracciato come avrebbe voluto ma l’ha preso per mano convivendoci fin dal primo momento, fin da quando creò un capolavoro come Alice, a soli vent’anni. Ecco perché la sua carriera non è stato un trucco ingannevole ma una meravigliosa realtà, perché tutto quello che ha scritto e prodotto l’ha fatto in buona fede e per amore dell’arte. Ecco perché Francesco è Nobel, e non Rimmel. Ecco perchè gli dico grazie. Di lui è già tutto scritto nel sito di un mio amico . Però mi sembra doveroso ricordarlo qui attraverso un giro "in prima classe" che, se vi fa piacere, voglio farvi fare. Ci vediamo ... all'imbarcadèro a destra.
|
Non sono soltanto degregopatico. Come detto prima, la passione per De Gregori mi ha portato a conoscere anche altri mondi musicali, così sul piatto arrivavano i dischi della West Coast, del Folk e del Country Rock americano. Per me After the gold rush è il disco più bello di Neil Young, più di Harvest che già conoscevo. L’ho scoperto grazie a un marinaio napoletano che era in servizio in Capitaneria a Catania, tanti di quei tanti anni fa. Si chiamava Francesco ed era studente in Architettura a Napoli; sui generis, anticonformista, un personaggio particolare. Aveva già suonato il basso con Eugenio Bennato e Gigi De Rienzo, ma era polistrumentista e suonava da Dio. In quel periodo, a forza di ascoltare le ballate del folksinger canadese, eravamo diventati due Crazy Horse: giravamo tutti i negozi di strumenti musicali catanesi e con la scusa di provarli, Ciccio si metteva al pianoforte suonando magistralmente "Till the morning comes" ed io gli andavo dietro con la chitarra acchiappata al volo nel negozio (due pazzi), con il negoziante che non sapeva se guardarci male o bene, perchè quel duetto attirava gente. Le nostre guardie notturne al porto di Catania erano particolari: sui block notes delle contravvenzioni c'erano scritti tutti gli accordi di Harvest e quindi "schitarrate a due" seduti su umide bitte con 24 corde che facevano tutt'uno con le stelle, l'odore del mare e "Needle and the damage done", il cui attacco era un importante banco di prova per chi cominciava a suonare la chitarra acustica. Ogni tanto passavano i pescatori con le reti sulle spalle e mi riconoscevano “Buonasera Cumannanti, chi fa… sa canta e sa sona?”. Poi Ciccio si comprò un'Aria nuova nuova e per festeggiarne l'acquisto organizzò un piccolo concerto in caserma invitando truppa, sottufficiali ed ufficiali. Si presentò sopra tre-quattro armadietti uniti, con le canzoni di Neil Young, l'armonica, la chitarra a tracolla ....e nient'altro... proprio come mamma l'aveva fatto! Che pazzo che eri Ciccio! Non ti ho rivisto più, non ho nemmeno una tua fotografia. Chissà dove sei e che fai, ma ti ringrazio per avermi fatto conoscere Neil. Da Young a Crosby, Stills e Nash, Denver, Simon & Garfunkel e Dylan il passo è stato breve, anzi brevissimo. Non c'era posto sul palco, ma li avrei fatti salire volentieri: i Genesis! Altrettanto breve è stato il passo per conoscere gli Eagles, i Little Feat con il loro inconfondibile rock-blues e i Beatles, i più grandi compositori del secolo scorso, che per me meritano una pagina a parte.
|
Una Eko classica a sei corde di nylon, acquistata in questo negozio, fu il regalo dei miei genitori per i 18 anni. Dopo qualche tempo, lo strumento subì un trauma al manico che si delineò. Preoccupatissimo come se fosse stata mia figlia, mi feci accompagnare da mio padre in auto (non ero ancora patentato), raccomandandogli di poggiarla piano nel portabagagli, perchè ... "poveretta soffre, è ferita". Una situazione quasi da pronto soccorso. La portai in via Pacini dal liutaio Rapisarda, allora ancora operante e fra gli ultimi artisti catanesi (grande Scuola) rimasti in vita. Quella chitarra ce l'ho ancora, dopo più di 40 anni, perfetta. Un vero Maestro. E con tutto questo po' po' di roba potevo non amare le chitarre? Per me le chitarre sono come figlie o persone care. Se le ami è una cosa su cui si può giurare. E’ bello accordarle, pulirle, cambiar loro le corde, esserne gelosi, custodirle. E poi vuoi mettere il piacere che provi quando ne compri una nuova? Quando si esce per lo shopping io prendo spesso strade diverse da quelle "istituzionali" che portano ad abbigliamento, profumi e gioielli. Dentro il negozio di strumenti musicali mi perdo nelle sue pareti dove sono appese le Guild, le Martin, le Gibson, le Ibanez, le Taylor, le Fender, con i cartellini penzolanti che ogni volta mi fanno la stessa domanda "la chitarra o quell'altra cosa?" Ed io rimango lì, ad annusare il loro odore di legno, a fantasticare con la prospettiva che producono le corde dal ponticello alla meccanica, a sfiorarle con le dita per sentirne il suono come se stessi accarezzando il volante di una Ferrari. E poi, alla fine, discuto col rivenditore come se parlassimo di belle donne, di curve flessuose, di fedeltà negli anni, di corde che sembrano capelli, dell’importanza del tocco quando le fai vibrare. Mi piace andar per chitarre.
|
|
||