da "Cavalleria rusticana", di Giovanni Verga

Turiddu Macca, il figlio della gnà Nunzia, come tornò da fare il soldato, ogni domenica si pavoneggiava in piazza coll'uniforme da bersagliere e il berretto rosso, che sembrava quella della buona ventura, quando mette su banco colla gabbia dei canarini. Le ragazze se lo rubavano cogli occhi, mentre andavano a messa col naso dentro la mantellina, e i monelli gli ronzavano attorno come le mosche. Egli aveva portato anche una pipa col re a cavallo che pareva vivo, e accendeva gli zolfanelli sul dietro dei calzoni, levando la gamba, come se desse una pedata.

Ma con tutto ciò Lola di massaro Angelo non si era fatta vedere né alla messa, né sul ballatoio, ché si era fatta sposa con uno di Licodia, il quale faceva il carrettiere e aveva quattro muli di Sortino in stalla. Dapprima Turiddu come lo seppe, santo diavolone! voleva trargli fuori le budella della pancia, voleva trargli, a quel di Licodia! Però non ne fece nulla, e si sfogò coll'andare a cantare tutte le canzoni di sdegno che sapeva sotto la finestra della bella.

- Che non ha nulla da fare Turiddu della gnà Nunzia, - dicevano i vicini, - che passa la notte a cantare come una passera solitaria?

Finalmente s'imbattè in Lola che tornava dal viaggio alla Madonna del Pericolo, e al vederlo, non si fece né bianca né rossa quasi non fosse stato fatto suo.

- Beato chi vi vede! - le disse.

- Oh, compare Turiddu, me l'avevano detto che siete tornato al primo del mese.

- A me mi hanno detto delle altre cose ancora! - rispose lui. - Che è vero che vi maritate con compare Alfio, il carrettiere?

- Se c'è la volontà di Dio! - rispose Lola tirandosi sul mento le due cocche del fazzoletto.

- La volontà di Dio la fate col tira e molla come vi torna conto! E la volontà di Dio fu che dovevo tornare da tanto lontano per trovare ste belle notizie, gnà Lola! -

Il poveraccio tentava di fare ancora il bravo, ma la voce gli si era fatta roca; ed egli andava dietro alla ragazza dondolandosi colla nappa del berretto che gli ballava di qua e di là sulle spalle. A lei, in coscienza, rincresceva di vederlo così col viso lungo, però non aveva cuore di lusingarlo con belle parole.

- Sentite, compare Turiddu, - gli disse alfine, - lasciatemi raggiungere le mie compagne. Che direbbero in paese se mi vedessero con voi?...

- È giusto, - rispose Turiddu; - ora che sposate compare Alfio, che ci ha quattro muli in stalla, non bisogna farla chiacchierare la gente. Mia madre invece, poveretta, la dovette vendere la nostra mula baia, e quel pezzetto di vigna sullo stradone, nel tempo ch'ero soldato. Passò quel tempo che Berta filava, e voi non ci pensate più al tempo in cui ci parlavamo dalla finestra sul cortile, e mi regalaste quel fazzoletto, prima d'andarmene, che Dio sa quante lacrime ci ho pianto dentro nell'andar via lontano tanto che si perdeva persino il nome del nostro paese. Ora addio, gnà Lola, facemu cuntu ca chioppi e scampau, e la nostra amicizia finiu -.

La gnà Lola si maritò col carrettiere; e la domenica si metteva sul ballatoio, colle mani sul ventre per far vedere tutti i grossi anelli d'oro che le aveva regalati suo marito. Turiddu seguitava a passare e ripassare per la stradicciuola, colla pipa in bocca e le mani in tasca, in aria d'indifferenza, e occhieggiando le ragazze; ma dentro ci si rodeva che il marito di Lola avesse tutto quell'oro, e che ella fingesse di non accorgersi di lui quando passava.

- Voglio fargliela proprio sotto gli occhi a quella cagnaccia! - borbottava.

Di faccia a compare Alfio ci stava massaro Cola, il vignaiuolo, il quale era ricco come un maiale, dicevano, e aveva una figliuola in casa. Turiddu tanto disse e tanto fece che entrò camparo da massaro Cola, e cominciò a bazzicare per la casa e a dire le paroline dolci alla ragazza.

- Perché non andate a dirle alla gnà Lola ste belle cose? - rispondeva Santa.

- La gnà Lola è una signorona! La gnà Lola ha sposato un re di corona, ora!

- Io non me li merito i re di corona.

- Voi ne valete cento delle Lole, e conosco uno che non guarderebbe la gnà Lola, né il suo santo, quando ci siete voi, ché la gnà Lola, non è degna di portarvi le scarpe, non è degna.

- La volpe quando all'uva non potè arrivare...

- Disse: come sei bella, racinedda mia!

- Ohè! quelle mani, compare Turiddu.

- Avete paura che vi mangi?

- Paura non ho né di voi, né del vostro Dio.

- Eh! vostra madre era di Licodia, lo sappiamo! Avete il sangue rissoso! Uh! che vi mangerei cogli occhi.

- Mangiatemi pure cogli occhi, che briciole non ne faremo; ma intanto tiratemi su quel fascio.

- Per voi tirerei su tutta la casa, tirerei!

Ella, per non farsi rossa, gli tirò un ceppo che aveva sottomano, e non lo colse per miracolo.

- Spicciamoci, che le chiacchiere non ne affastellano sarmenti.

- Se fossi ricco, vorrei cercarmi una moglie come voi, gnà Santa.

- Io non sposerò un re di corona come la gnà Lola, ma la mia dote ce l'ho anch'io, quando il Signore mi manderà qualcheduno.

- Lo sappiamo che siete ricca, lo sappiamo!

- Se lo sapete allora spicciatevi, ché il babbo sta per venire, e non vorrei farmi trovare nel cortile -.

Il babbo cominciava a torcere il muso, ma la ragazza fingeva di non accorgersi, poiché la nappa del berretto del bersagliere gli aveva fatto il solletico dentro il cuore, e le ballava sempre dinanzi gli occhi. Come il babbo mise Turiddu fuori dell'uscio, la figliuola gli aprì la finestra, e stava a chiacchierare con lui ogni sera, che tutto il vicinato non parlava d'altro.

- Per te impazzisco, - diceva Turiddu, - e perdo il sonno e l'appetito.

- Chiacchiere.

- Vorrei essere il figlio di Vittorio Emanuele per sposarti!

- Chiacchiere.

- Per la Madonna che ti mangerei come il pane!

- Chiacchiere!

- Ah! sull'onor mio!

- Ah! mamma mia! -

Lola che ascoltava ogni sera, nascosta dietro il vaso di basilisco, e si faceva pallida e rossa, un giorno chiamò Turiddu.

- E così, compare Turiddu, gli amici vecchi non si salutano più?

- Ma! - sospirò il giovinotto, - beato chi può salutarvi!

- Se avete intenzione di salutarmi, lo sapete dove sto di casa! - rispose Lola.

Turiddu tornò a salutarla così spesso che Santa se ne avvide, e gli battè la finestra sul muso. I vicini se lo mostravano con un sorriso, o con un moto del capo, quando passava il bersagliere. Il marito di Lola era in giro per le fiere con le sue mule.

- Domenica voglio andare a confessarmi, ché stanotte ho sognato dell'uva nera! - disse Lola.

- Lascia stare! lascia stare! - supplicava Turiddu.

- No, ora che s'avvicina la Pasqua, mio marito lo vorrebbe sapere il perché non sono andata a confessarmi.

- Ah! - mormorava Santa di massaro Cola, aspettando ginocchioni il suo turno dinanzi al confessionario dove Lola stava facendo il bucato dei suoi peccati. - Sull'anima mia non voglio mandarti a Roma per la penitenza! -

Compare Alfio tornò colle sue mule, carico di soldoni, e portò in regalo alla moglie una bella veste nuova per le feste.

- Avete ragione di portarle dei regali, - gli disse la vicina Santa, - perché mentre voi siete via vostra moglie vi adorna la casa! -

Compare Alfio era di quei carrettieri che portano il berretto sull'orecchio, e a sentir parlare in tal modo di sua moglie cambiò di colore come se l'avessero accoltellato. - Santo diavolone! - esclamò, - se non avete visto bene, non vi lascierò gli occhi per piangere! a voi e a tutto il vostro parentado!

- Non son usa a piangere! - rispose Santa, - non ho pianto nemmeno quando ho visto con questi occhi Turiddu della gnà Nunzia entrare di notte in casa di vostra moglie.

- Va bene, - rispose compare Alfio, - grazie tante -.

Turiddu, adesso che era tornato il gatto, non bazzicava più di giorno per la stradicciuola, e smaltiva l'uggia all'osteria, cogli amici. La vigilia di Pasqua avevano sul desco un piatto di salsiccia. Come entrò compare Alfio, soltanto dal modo in cui gli piantò gli occhi addosso, Turiddu comprese che era venuto per quell'affare e posò la forchetta sul piatto.

- Avete comandi da darmi, compare Alfio? - gli disse.

- Nessuna preghiera, compare Turiddu, era un pezzo che non vi vedevo, e voleva parlarvi di quella cosa che sapete voi -.

Turiddu da prima gli aveva presentato un bicchiere, ma compare Alfio lo scansò colla mano. Allora Turiddu si alzò e gli disse:

- Son qui, compar Alfio -.

Il carrettiere gli buttò le braccia al collo.

- Se domattina volete venire nei fichidindia della Canziria potremo parlare di quell'affare, compare.

- Aspettatemi sullo stradone allo spuntar del sole, e ci andremo insieme -.

Con queste parole si scambiarono il bacio della sfida. Turiddu strinse fra i denti l'orecchio del carrettiere, e così gli fece promessa solenne di non mancare.

Gli amici avevano lasciato la salsiccia zitti zitti, e accompagnarono Turiddu sino a casa. La gnà Nunzia, poveretta, l'aspettava sin tardi ogni sera.

- Mamma, - le disse Turiddu, - vi rammentate quando sono andato soldato, che credevate non avessi a tornar più? Datemi un bel bacio come allora, perché domattina andrò lontano -.

Prima di giorno si prese il suo coltello a molla, che aveva nascosto sotto il fieno, quando era andato coscritto, e si mise in cammino pei fichidindia della Canziria.

- Oh! Gesummaria! dove andate con quella furia? - piagnucolava Lola sgomenta, mentre suo marito stava per uscire.

- Vado qui vicino, - rispose compar Alfio, - ma per te sarebbe meglio che io non tornassi più -.

Lola, in camicia, pregava ai piedi del letto, premendosi sulle labbra il rosario che le aveva portato fra Bernardino dai Luoghi Santi, e recitava tutte le avemarie che potevano capirvi.

- Compare Alfio, - cominciò Turiddu dopo che ebbe fatto un pezzo di strada accanto al suo compagno, il quale stava zitto, e col berretto sugli occhi, - come è vero Iddio so che ho torto e mi lascierei ammazzare. Ma prima di venir qui ho visto la mia vecchia che si era alzata per vedermi partire, col pretesto di governare il pollaio, quasi il cuore le parlasse, e quant'è vero Iddio vi ammazzerò come un cane per non far piangere la mia vecchierella.

- Così va bene, - rispose compare Alfio, spogliandosi del farsetto, - e picchieremo sodo tutt'e due -.

Entrambi erano bravi tiratori; Turiddu toccò la prima botta, e fu a tempo a prenderla nel braccio; come la rese, la rese buona, e tirò all'anguinaia.

- Ah! compare Turiddu! avete proprio intenzione di ammazzarmi!

- Sì, ve l'ho detto; ora che ho visto la mia vecchia nel pollaio, mi pare di averla sempre dinanzi agli occhi.

- Apriteli bene, gli occhi! - gli gridò compar Alfio, - che sto per rendervi la buona misura -.

Come egli stava in guardia tutto raccolto per tenersi la sinistra sulla ferita, che gli doleva, e quasi strisciava per terra col gomito, acchiappò rapidamente una manata di polvere e la gettò negli occhi all'avversario.

- Ah! - urlò Turiddu accecato, - son morto -.

Ei cercava di salvarsi, facendo salti disperati all'indietro; ma compar Alfio lo raggiunse con un'altra botta nello stomaco e una terza alla gola.

- E tre! questa è per la casa che tu m'hai adornato. Ora tua madre lascerà stare le galline -.

Turiddu annaspò un pezzo di qua e di là tra i fichidindia e poi cadde come un masso. Il sangue gli gorgogliava spumeggiando nella gola e non potè profferire nemmeno: - Ah, mamma mia! -

Dramma amoroso e struggente, la Cavalleria Rusticana racconta in musica una storia siciliana che, come in un quadro, rappresenta la vita di alcuni decenni addietro, tra scialli neri, coppole e coltelli.

Il genio lirico e teatrale di Pietro Mascagni si manifesta in questa mirabile opera che nella sua brevità assurge a capolavoro del melodramma italiano. La Cavalleria Rusticana fu il successo iniziale del grande compositore che nel 1889 riuscì a imporsi, tra 73 partecipanti, nel concorso indetto dall’editore Sonzogno.

La Cavalleria Rusticana è composta da due parti di lunghezza disuguale, divise dal celebre Intermezzo eseguito dalla sola orchestra. Il preludio dà inizio al dramma teatrale, seguito immediatamente dopo dalla "Siciliana", una serenata che il protagonista rivolge alla sua amata, la quale introduce l’ascoltatore nell’ambiente dell’opera.

La storia della Cavalleria Rusticana è la memoria nostalgica della passione siciliana, espressione naturale dei caratteri forti della nostra terra: l’amore, la gelosia, il potere, la violenza, che si intrecciano sullo sfondo delle celebrazioni pasquali.

Turiddu, di ritorno dal servizio militare, scopre che la sua amata Lola, in sua assenza, era andata in sposa a compare Alfio. Per disperazione cerca di ritrovare conforto tra le braccia di Santuzza che promette di sposare. Ma la sua ardente passione, sospinta dai desideri di Lola che non riesce ad allontanare e dimenticare il suo antico amore, sconfina in una relazione infedele che è all’origine della tragedia.

Santuzza, perduta nella gelosia, svela a compare Alfio l’infedeltà della moglie, che, accecato dall’ira, sfida Turiddu a duello. Turiddu, prima di recarsi all’appuntamento, forse prevedendo la sua fine, chiede alla madre la sua benedizione e le fa promettere di aver cura di Santuzza, quale pegno della sua promessa di matrimonio.

I coltelli sfilano veloci cercando di infliggere una ferita mortale. Gli occhi di Alfio, rossi di rabbia, incrociano quelli dello sfidante, mentre il suo braccio preme con violenza il coltello nel ventre di Turiddu. Le grida di morte si sentono tra la folla, la disperazione sconvolge gli abitanti del piccolo paese che hanno assistito impotenti al dramma passionale: "Hanno ammazzato compare Turiddu!".

Una grande opera lirica in cui il Mascagni è riuscito, nei limiti della durata imposta dal concorso, ad eliminare le parti ridondanti e esplicative (non essenziali alla struttura del melodramma) esaltando l’armonia e la sovrapposizione dei piani sonori, rispecchiando il carattere ardente e passionale dei Siciliani.

(Maurizio Sapienza)

Per saperne di più: Il libretto dell'opera

Gli Attori Siciliani

 

La rappresentazione ha ragione d'esistere solo grazie ad un trittico inscindibile, il teatro, il genio creativo degli scrittori e la bravura degli attori, elementi fortunatamente presenti in Sicilia.

Il teatro siciliano vanta di scrittori ed attori illustri che hanno contribuito a dare alla Sicilia una connotazione culturalmente valida.

Tra le prime compagnie stabili del teatro si ricorda la "Compagnia Drammatica Dialettale Siciliana" fondata nel 1903 e che ebbe due riformulazioni, nel 1904 e nel 1907.

Tra gli artisti teatrali e cinematografici siciliani si ricordano, tra gli altri, Saro Urzì, Turi Pandolfini, Nino Zuccarello, Tommaso Marcellini, Oreste Bilancia, Totò Majorana, Franco Corsaro, Marinella Ragaglia, Mimì Aguglia.

Michele Abruzzo, originario di Sciacca (Ag), inizia la sua carriera alla Guitteria e poi con Giovanni Grasso che lo scrittura come primo attore a soli 18 anni. Anche se inizia la sua carriera interpretando ruoli tragici, si rende presto conto della sua predisposizione ad esser capocomico. Va ricordato come un amante della commedia brillante e sentimentale, abile rappresentante dei personaggi di Pirandello, attore misurato ed abile ed uno dei fondatori dell'Ente Teatro Sicilia, le fondamenta del Teatro Stabile di Catania.

 

Rosina Anselmi, (1880-1965), catanese e membro di una famiglia d'arte, inizia la sua carriera presso il Teatro Sancarlino e fa parte del Teatro Machiavelli. Fa parte anche delle compagnie teatrali di Nino Martoglio, Giovanni ed Angelo Grasso. Attrice dallo sguardo della "popolana" pettegola, trova la sua collocazione teatrale ideale a fianco di Angelo Musco del quale diventa la perfetta antagonista. Alla morte del celebre attore, Rosina riunisce i membri della antica Compagnia ed insieme a Giovanni Grasso junior e Turi Pandolfini crea una nuova formazione teatrale. Anche se sofferente per problemi circolatori, dopo qualche anno di assenza e grazie all'intervento di Turi Ferro riappare al teatro e fa parte per tre stagioni dell'Ente Teatro di Sicilia.

 

Virginia Balestrieri, trapanese e figlia d'arte, entra nella Compagnia di Giovanni Grasso e Mimì Aguglia a soli 17 anni. Si ricordano soprattutto le sue rappresentazioni di Elsa Moro (in "Lu cavaleri Pedagna" di Capuana), di Santuzza (in "La cavalleria Rusticana) e della Gnà Pina de "La Lupa" di Verga. Nel 1914 ha un contratto per la Compagnia di Giovanni Grasso junior che diventerà suo marito l'anno dopo. Recita anche in film muti. L'attrice siciliana va ricordata per la sua abilità, per la sua forza interpretativa e per i suoi ruoli presso la Compagnia "Teatro Stabile" di Catania.

 

La famiglia Carrara è una nota famiglia siciliana di attori. Le prime notizie documentate su di essa risalgono al 1866, anno in cui nasce Giuseppe, padre di Salvatore e nonno di Tommaso detto Masi. Salvatore rappresenta l'ottava generazione di tale famiglia. La nona generazione è quella di Masi. Il nuovo ramo si distacca da quello paterno e si fonde con i Laurini, facendo nascere la decima generazione, quella di Armando (1949), Tino (1951) e Annalisa (1955). Questi ultimi, nel 1975, fondano il Teatro La Piccionaia, portando le tradizioni della commedia dell'arte siciliana nel ramo veneto. Tra le varie attività si ricordano la fondazione del Centro di formazione teatrale nel 1984, la rappresentazione di "La buffa beffa del beffardo beffato" del 1989 e per la regia di Armando C.

 

leo gullotta

L'attore Leo Gullotta (Catania, 1946) inizia la sua carriera presso "Il teatro stabile" seguendo gli insegnamenti di Turi Ferro e Salvo Randone e prendendo parte a numerose interpretazioni come "L'isola dei pupi" del 1965, "Zio Vanja" del 1965 e "Sei personaggi in cerca d'autore" del 1966. Amato per il suo carattere comico e poliedrico, ottiene la fama grazie alle sue caricature e travestimenti per alcuni programmi televisivi. È anche grazie a grandi registi come Nanni Loy, che lo vuole per il suo film "Il camorrista" del 1986, e Giuseppe Tornatore, che lo ingaggia per "Nuovo cinema paradiso" nel 1988, che l'attore dimostra pienamente le sue capacità artistiche.

 

angelo muscoAngelo Musco. (Catania 1872 - Milano 1937). Geniale attore comico siciliano. Da ragazzo macchiettista e burattinaio; quindi, per i suoi successi nei teatri di varietà, con parti comiche, entrò a collaborare con Giovanni Grasso (altro celebre attore). Nino Martoglie scrisse per lui "San Giovanni decollato", che mise in evidenza le grandi qualità comiche del Musco. Poi "L’aria del continente" consolidò la sua fama e si rese popolare in Italia e nell’America meridionale. Interpretò altri drammi dello stesso autore. Scrissero per lui interessanti lavori Pirandello Capuana, Francesco Paolo Mulè. Interpretò lavori di Giacinto Gallina, Roberto Bracco, F.M. Martini. Raggiunse accenti di alta Umanità anche nel repertorio drammatico

La magnifica stagione milanese culmina nei successi, non meno trionfali, di Roma. Accadde un fatto assolutamente inaspettato: i Sovrani d'Italia chiamano Angelo Musco al Quirinale. E come ci dobbiamo vestire? si chiedono, sbalorditi, i comici della Compagnia. Musco con sano senso professionale, spiega ai suoi collaboratori che non si tratta di fare sfoggio di bel vestire, bensì di offrire un saggio della propria arte di attori. Viene scelta la commedia Rondinella di Francesca Agnetta. La compagnia si inchina ai Sovrani, poi inizia a recitare come in un normale teatro. Dei miei comici ero sicuro - annota Musco - una volta presi dall'azione scenica e investiti delle loro parti, non ebbero nemmeno un momento di distrazione e spiegarono il massimo impegno. Ma di me stesso, in verità, io non mi sentivo sicuro. L'episodio merita di essere raccolto, a distanza di tanti anni, perché testimonia la spiccata professionalità di Musco. "Abituato a recitare nei teatri pieni di pubblico ed a sentire le continue risate o i mormorii di approvazione e gli applausi, quell'ambiente regale e quel solenne silenzio mi mettevano attorno un senso di freddo che mi avviliva e mi sgomentava. I miei occhi si posavano spesso sul volto di S. M. il Re, impenetrabile. E mi chiedevo: Si diverte, o si annoia? E' soddisfatto dello spettacolo, o s'è pentito di avermi fatto venire?... A un tratto mi colpì qualche risata sommessa che proveniva da un gruppo di dame sedute più indietro: stavo per consolarmi un poco, ma ecco che Sua Maestà si volta a guardare le dame che ridono. Allora mi scoraggiai del tutto. Càspita, pensai, non ride e non vuole nemmeno che ridano gli altri... Ma è Re e si capisce che comanda lui..." Il dubbioso stato d'animo non dirada, sino alla fine della rappresentazione, quando il cerimoniere viene a chiamare l'attore per condurlo al cospetto di Vittorio Emanuele III.

Angelo Musco nacque a Catania nel 1871. Quattordicesimo figlio di un bottegaio, fu costretto a lavorare in giovanissima età. Fece, male ed insofferente, il barbiere, il calzolaio e il muratore. Manifestava già le attitudini istrioniche cantando canzonette per le strade della città. A 12 anni compì la sua prima esperienza di attore in una compagnia napoletana, tutta di siciliani, che fallì poco dopo.https://www.mimmorapisarda.it/2023/277.JPG

Nel 1899 entrò nella compagnia di Giovanni Grasso senior, attore tragico di straordinaria efficacia. Alla fine dello spettacolo egli parodiava la tragedia interpretata da Grasso e con due piroette e pochi lazzi asciugava le lacrime, secondo le antiche tradizioni delle Atellane e dei Mimi. Riuscì a conquistare il pubblico, che immancabilmente gli gridava dal loggione: Angilu! 'A musca. Era una canzoncina che eseguiva più che con la voce, con smorfie e gioco di gambe, sfruttando l'assonanza del titolo e del contenuto della stessa con il suo cognome.

Nacque progressivamente, però, una rivalità professionale tra i due attori, anche se non intaccò i rapporti personali. Musco si staccò da Grasso e passò alla compagnia di Marinella Bragaglia. Nel 1914, finalmente capocomico, presentò a Napoli la Comica compagnia siciliana del Cav. Angelo Musco.

Facevano parte della compagnia le due sorelle Anselmi, una delle quali, Rosina, divenne la sua fedelissima compagna d'arte. Per circa un anno furono tempi bui e Musco ed i suoi attori dovettero arrangiarsi per sopravvivere. Nell'aprile del 1915 decisero di giocare l'ultima carta ai Filodrammatici di Milano, dando Paraninfu di Capuana. L'indomani, il noto critico Simoni, fornendo forse la più efficace descrizione di Musco, scriveva sul Corriere della Sera: Egli è un comico irresistibile...

E' un comico tutto istinto, dagli occhi accesi, dalla faccia bruciata, bizzarro, indiavolato, colorito come una maschera del tempo fecondo. Due anni dopo, sull'Illustrazione italiana, ancora un lusinghiero ritratto dello stesso Simoni, che rileva la raggiunta notorietà dell'attore nella città di Milano. Fra il 1915 e il 1917 cominciò, infatti, la sua fortuna e divenne un attore popolarissimo, molto apprezzato dalla critica al punto che i maggiori scrittori siciliani, come Pirandello, Capuana e Martoglio, scrissero per lui. La commedia è la stoffa e l'attore è il sarto, che la taglia, la trasforma, la ricompone: questa era la teoria dell'intrepretazione teatrale di Musco. Egli aveva un grande talento di osservatore dell'umanità, spontaneità e gioia di vivere, che riversava sul suo lavoro di attore, spingendosi a trasformare il testo dell'autore, intrecciando ad esso battute originali ed estemporanee.

Narrano gli annali che il primo film di Musco è la registrazione di San Giovanni decollato (1917-18). Seguono, dopo quattordici anni di pausa, dieci titoli, molti dei quali campioni d'incasso nei quattro anni che precedono la morte: Cinque a zero di Mario Bonnard; Paraninfo (1934), di Amleto Palermi, con Rosina Anselmi ed Enrica Fantis; L'eredità dello zio buon'anima (1934), di Palermi, con la Anselmi ed EWlsa De Giorgi; Fiat voluntas dei (1935), pure di Palermi, con Nerio Bernardi e Maria Denis; L'aria del continente (1935), di Gennaro Righelli, con Leda Gloria; Re di denari (1936), di Enrico Guazzoni, con Leda Gloria, Mario Ferrari e Nerio Bernardi; Lo smemorato (1936), di Righelli, con Paola Borboni e Franco Coop; Pensaci, Giacomino! (1936), ancora di Righelli, con Dria Pola ed Elio Steiner; Il feroce Saladino (di Mario Bonnard, con Rosina Anselmi ed Alida Valli; Gatta ci cova (1937), di Righelli, con Rosina Anselmi, Elli Parvo e Silvana Jachino. Sono film che non spiccano, nel panorama certamente minore di un cinema dominato dai telefoni bianchi ed imbrigliato dalla censura di Luigi Freddi. Eppure, hanno contribuito a fissare, nella memoria di tutti noi, l'immagine vivissima del grande attore, dell'umorista colorito, del conoscitore profondo della Sicilia e della sua complessa spiritualità. Sono la testimonianza di un fenomeno che ha pochi riscontri nella storia del nostro teatro popolare: una vita d'attore che resta incisa a bulino nel ricordo e financo nella gestualità, nei tic verbali e gergali di intere generazioni. Per trovare un confronto al mito di Angelo Musco bisogna scomodare un'altra memorabile leggenda del nostro teatro fra le due guerre, quella di Ettore Petrolini. Ancora oggi, infatti, sussurriamo Gastone... con lo stesso allusivo e birichino con cui, davanti ad un burocrate impettito e spocchioso, facciamo il gesto di intingere la penna ripetendo l'irriverente "Cavaliere, abbagno?". Tra i suoi grandi successi teatrali, San Giovanni decollato e l'Aria del continente di Martoglio, La Patente, Pensaci Giacomino, Il berretto a sonagli, Liolà di Pirandello, Cavaliere Pedagna di Capuana.

Musco morì improvvisamente a Milano il 6 ottobre 1937. Quando la sua salma venne restituita a Catania, il 14 ottobre, ad attenderla alla stazione vi era una sterminata folla, presenti tutte le autorità.

 

tuccio musumeciTuccio Musumeci nasce a Catania nel 1935. Inizia la sua carriera teatrale lavorando nel varietà e nell'avanspettacolo ed ha come compagno di lavoro Pippo Baudo. Gli anni difficili della gavetta terminano quando Mario Giusti lo recluta per l'Ente Teatro di Sicilia e con la partecipazione al Teatro Stabile di Catania. Tra i suoi primi successi si ricordano le sue partecipazioni a "Il berretto a sonagli" di Pirandello e "Il controveleno" di Martoglio. Tra i suoi maggiori successi si ricorda la rappresentazione di "Cronaca di un uomo" di Pippo Fava e "Il Consiglio d'Egitto" di Sciascia. La sua teatralità si ricorda soprattutto per la gestualità tipica di una marionetta e per la sua comicità.

 

Turi Ferro, (Catania, 1920-2001), acquisisce la sua formazione teatrale dai classici e studiando la realtà che lo circonda. Inizia giovanissimo a calcare i teatrini salesiani ed entra a far parte della Compagnia teatrale "Brigata D' Arte Di Catania". Successivamente è reclutato nella Compagnia Anselmi-Abruzzo. Recita a livello professionistico alla fine degli anni 40 insieme alla moglie Ida Carrara e alla "Compagnia Rosso Di San Secondo Roma". Il suo primo grande successo fu il "Liolà" di Pirandello interpretato nel 1957, spettacolo che portò alla nascita dell'Ente Teatro di Sicilia. Egli creò tale Ente insieme alla moglie ed unendo i migliori attori teatrali siciliani del momento come Michele Abruzzo, Rosina Anselmi e Umberto Spadaro. E' tra i fondatori del Teatro Stabile di Catania insieme a Michele Abruzzo, Mario Giusti e Umberto Spadaio. Magistrale interprete delle opere di Pirandello, Sciascia, Fava, Verga, Martoglio, Brancati, Camilleri e Rosso di San Secondo, dimostra sempre le sue capacità di attore camaleontico. Fu uno dei pochissimi attori teatrali ad essere diretto in palcoscenico per la rappresentazione di "Carabinieri" da Roberto Rossellini al Festival di Spoleto. Ha recitato anche in alcuni film come "Io la conoscevo bene" del 1965 insieme a Ugo Tognazzi, Stefania Sandrelli e Nino Manfredi, film diretto da Antonio Pietrangeli. Nel 1961 è a fianco di Gian Maria Volonté nel film "Un Uomo da Bruciare" diretto da Paolo e Vittorio Taviani. I suoi colleghi, i suoi amici più cari ed i familiari lo ricordano come un attore abilissimo che riusciva a catturare l'attenzione del pubblico anche con piccoli gesti, come un professionista esigente e competente e dal forte senso del teatro, qualità innate che si sono raffinate durante la sua lunga carriera.

 

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Guia Jelo si ricorda come attrice versatile ed emozionante e come interprete di film di impegno civile come "Ragazzi fuori" di Marco Risi e "La scorta" di Ricky Tognazzi e di fiction come "La Piovra 9" e "Il Commissario Montalbano". Da artista completa che è, la si ricorda come splendida interprete teatrale dei testi di Pirandello, Verga, Martoglio, Rosso di San Secondo ed altri ed anche come un'interprete apprezzata da registi del calibro di Strehler, Suggelli e Manfrè.

 

Pippo Pattavina (Siracusa, 1938), attore poliedrico ed espressivo, inizia la sua carriera a soli 15 anni insieme a Tuccio Musumeci e Pippo Baudo e come cantante ed imitatore dei personaggi famosi. Il suo primo lavoro con la compagnia catanese "Teatro Stabile" è lo spettacolo "L'isola dei pupi", un testo scritto da Turi Ferro, Gerardo Farkas e R. Barbera. Tra i suoi maggiori successi teatrali si ricordano "La violenza", "Dal tuo al mio" e "I carabinieri".

 

Salvo Randone inizia la sua carriera presso il Circolo Artistico di Catania. Si afferma come attore con la Compagnia della Commedia diretta da Cominetti. Fedele agli autori teatrali classici del calibro di Shakespeare e Pirandello, incanta le platee grazie alla sua capacità d'esaltare il mondo culturale siciliano, per la sua fedele ricostruzione psicologica e l'ambiguità che gli permette di rappresentare al meglio gli eroi pirandelliani. Tra questi ultimi si ricorda soprattutto la sua rappresentazione de "Il berretto a sonagli". Tra le sue rappresentazioni teatrali più celebri si ricorda soprattutto quella dell'Otello di Shakespeare insieme a Vittorio Gasmann. Egli fu un attore che riusciva a vivere i suoi protagonisti, come un artista dal repertorio vastissimo che spazia dai classici greci alla drammaturgia contemporanea. Ciccino Sineri, discendente da una dinastia di pupari e reale conservatore del teatro dialettale, è uno degli attori storici catanesi. Conosciuto come "zio Ciccino", interprete dell'episodio "La gita a Tindari" della serie televisiva "Il commissario Montalbano" e del film di Paolo Virzì girato a Toronto "Il mio nome è Tanino", ha rappresentato quasi tutti i lavori teatrali degli autori siciliani. E' anche un attore di sceneggiate napoletane come "Signora perdonatemi". Da giovane ha recitato accanto a Giovanni Grasso Senior ed è stato membro della compagnia di Giovanni Grasso Junior e Virginia Balestrieri e di Michele lnsanguine. Sua compagna di vita e sul palcoscenico è stata la compianta Sara Micalizzi.

 

Umberto Spadaro, anche se nacque ad Ancona, è da considerarsi siciliano perché proviene da una famiglia catanese. E' figlio d'arte visto che i genitori recitavano con Giovanni Grasso senior. Cresciuto con Turi Ferro, ha realizzato anche numerosi film, anche se il teatro restò sempre la sua vera passione. Risiedette parecchio tempo a Roma, ma rimase - egli stesso lo ripeteva - catanese nel sangue. Alla sua morte, il Teatro Stabile di Catania gli ha intitolato una scuola di recitazione.

 

Saro Urzì, nome d'arte di Rosario Urzì (Catania, 24 febbraio 1913 - San Giuseppe Vesuviano (NA), 1 novembre 1979) è stato un attore italiano del cinema e della televisione.

Lasciata la nativa Sicilia in cerca di fortuna, dopo aver svolto in gioventù varie attività, approda a Roma, dove comincia a lavorare nel cinema, dapprima come comparsa e poi come attore in particine marginali in diversi film degli anni trenta e quaranta, affinando il suo personaggio di caratterista siciliano, talvolta sanguigno e collerico, ma dotato di una grande carica umana.

L'incontro con Pietro Germi. Nel 1949 Saro Urzì viene scelto per interpretare il personaggio del brigadiere nel suo film In nome della legge, e sul set si crea tra il regista e l'attore un'intesa che porterà Urzì ad essere presente in molte delle pellicole girate da Pietro Germi, in cui sosterrà ruoli sempre più importanti, fino ad interpretare in Sedotta e abbandonata il personaggio del collerico e autoritario patriarca don Ascalone.

La sua interpretazione nel film In nome della legge gli consentirà di vincere il Nastro d'Argento nel 1948 quale miglior attore non protagonista. Successivamente il suo ruolo nel film Sedotta e abbandonata gli frutterà il premio come migliore attore al Festival del Cinema di Cannes del 1964, nonché un secondo Nastro d'Argento nel 1965.

Negli anni sessanta e settanta presterà il suo volto e le sue inconfondibili caratterizzazioni in numerosi film, di cui però ben pochi sono degni di nota. E' stato tra l'altro l'unico attore ad apparire nel film Il Padrino del 1972, diretto da Francis Ford Coppola e tratto dall'omonimo romanzo di Mario Puzo, e nella parodia dello stesso film Il figlioccio del Padrino, girato nel 1973 da Mariano Laurenti, al fianco di Franco Franchi.

Oltre alle sue numerose apparizioni nel cinema, Saro Urzì ha anche preso parte a programmi televisivi. Nel 1968 apparì nella commedia Johnny Belinda diretta da Piero Schivazappa, e nell'episodio L'altra faccia della giustizia, tratto da una serie ispirata ai racconti di Luigi Pirandello, per la regia di Luigi Filippo d'Amico .  

 

Turi Scallia

Un avvocato col teatro nel sangue (www.cataniaperte.com)

Dopo Turi Ferro, un altro pilastro del Teatro Stabile di Catania, del teatro popolare, ci ha lasciati. Si è spento, infatti, all’età di 80 anni l’attore catanese, l’avvocato Turi Scalia, protagonista da oltre cinquant’anni della scena catanese e non solo.

Compagno allegro, che si distingueva sempre e dovunque per il suo stile, per la sua signorilità, Scalia era uno di quegli attori che aveva il teatro nel sangue, che non poteva stare lontano dalle tavole del palcoscenico, tanto che attualmente, pur minato dagli acciacchi dei suoi 80 anni, era da due anni a questa parte direttore artistico del rinnovato Teatro Comunale di Trecastagni dove era riuscito a portare fior di attori (Paola Gassman, Ugo Pagliai, Johnny Dorelli, Pippo Franco ed altri), grazie alla sua lunga esperienza nel settore.

Ricordiamo la sua partecipazione allo "Stabile" di Catania, alle due edizioni de "I Malavoglia", dell’82 - ’83 e del ’98 dove interpretò il ruolo di zio Crocifisso e ad altri successi quali "L’aria del continente", "San Giovanni decollato", "Il giorno della civetta", "L’avaro", "Annata ricca massaru cuntentu", "A ciascuno il suo", "La governante".

Si era fatto apprezzare anche in tv, nello sceneggiato "Mastro don Gesualdo", nella fiction "La Piovra", mentre nel grande schermo aveva recitato nei film "Il giudice ragazzino" ed in "Johnny Stecchino" con Roberto Benigni.

E’ stato il primo ad importare da Torino l’idea del Centro universitario teatrale, fondandone uno a Catania e riuscendo nel ’48 a portare il centro etneo a Torino con due commedie in dialetto siciliano. Ha ideato la rassegna del teatro dialettale siciliano a Zafferana Etnea, con l’assegnazione del Premio Angelo Musco. Sicuramente, come hanno sottolineato molti suoi colleghi attori come Mimmo Mignemi, Tuccio Musumeci o i registi che hanno lavorato con lui, di Turi Scalia resterà sempre il ricordo di un uomo di grande temperamento e signorilità e verrà ricordato soprattutto come maestro di vita che ha dispensato sempre ai più giovani saggi consigli per ben proseguire in una professione tutt’altro che facile.

Maurizio Giordano

 

Jano Jacobello è nato a Catania nel 1921. Impiegato del Comune di Catania dal 1945 al 1952 e successivamente delle imposte di consumo, dal 1956 al 1975 ha lavorato al Rosina Anselmi (ex CRAL comunale, intitolato poi alla grande “spalla” di Angelo Musco) dove esordì come filodrammatico con “Fiat voluntas Dei”, nel ruolo di don Vincenzino (il sindaco). Dotato d’una buona mimica, d’una comicità istintiva e plateale, resa più incisiva dal contrasto con l’atteggiamento serioso della persona, fondò nel 1976 (dopo essere stato collocato in pensione) il teatro Piccadilly (distrutto da un incendio nel gennaio del 1981), ottenendo per qualche tempo un notevole successo di pubblico, rafforzato dalla gustosa e incisiva caratterizzazione di Frate Bastiano (fustigatore popolare dei mali di Catania) più volte mandata in onda da una emittente locale.

Dopo essersi temporaneamente ritirato dalle scene ha ripreso nella stagione 1985-’86 l’attività teatrale con la Compagnia Stabile siciliana, della quale è sempre stato il direttore artistico. Ha preso parte allo sceneggiato televisivo “Il delitto Notarbartolo” (1979) regia di Alberto Negrin e al film “Lo voglio maschio” (1970) di Ugo Saitta. Del figlio Fabio più volte ha portato in teatro la commedia “Casa Campagna”. Un altro figlio, Claudio, da anni lo segue sulle scene. Jano Jacobello costituisce un esemplare riferimento per tanti attori. Nella tipologia attorile fa prevalere una incisiva presenza secondo le tradizioni del teatro “all’antica siciliana” e non rifugge dall’ammicco e dalla sottolineatura fuori testo pur senza arrivare all’arbitrarietà ed al farsesco. (www.cataniaperte.com)

 

 

Ciccino Sineri
il teatro, la sua vita
Lo storico attore del teatro popolare catanese festeggia i 90 anni

E’ uno degli attori storici catanesi che, in 90 anni di vita, quasi tutta spesa per il teatro, si è destreggiato in mille campi, sempre con lusinghieri e grandi risultati, dalla prosa al cinema, dalla sceneggiata napoletana alla commedia brillante.
Stiamo parlando di Ciccino Sineri, meglio conosciuto nell’ambiente dello spettacolo come "zio Ciccino". Ancora attento e bonario, Sineri festeggia i suoi 90 anni da mattatore, raccontando aneddoti e barzellette con gli amici di sempre, con la sua famiglia, con quei teatranti catanesi che lo hanno sempre apprezzato e stimato.
Lo scorso anno è stato a Toronto, in Canada, per girare una parte nel nuovo film di Paolo Virzì, "Il mio nome è Tanino". Al regista era bastato vederlo nella fiction tv sul Commissario Montalbano, "La gita a Tindari", per sceglierlo per il suo film.

Di adozione catanese, benché il destino lo ha fatto nascere, il 24 giugno del 1912, a Biancavilla, in quanto la sua famiglia, compresi i suoi nonni, si portavano di paese in paese a proporre spettacoli teatrali che il pubblico accettava volentieri e che applaudiva calorosamente. Sineri, che proviene da una dinastia di pupari, è un personaggio notissimo per essere il più autentico conservatore del teatro dialettale; ha vissuto tutta la sua vita sul palcoscenico proponendo, sera per sera, al suo pubblico, il repertorio del teatro siciliano, toccando quasi tutti i lavori teatrali degli autori siciliani, Verga, Capuana, Pirandello.
Chi non conosce poi Ciccino Sineri nelle sceneggiate napoletane "Signora perdonatemi", "A Zingara", "Scusate ‘na preghiera", "Zi Munacella" tanto per citarne alcune.

Sarto di professione, ma per poco tempo, figlio d’arte, diede anima e core al teatro, la sua passione. Spirito indipendente, ancor giovane formò una compagnia diventandone il capo comico. Giovanissimo ha recitato accanto a Giovanni Grasso Senior ed ha fatto parte della compagnia di Giovanni Grasso Junior e Virginia Balestrieri e di Michele lnsanguine che lui ritiene il suo primo grande maestro.
Sua compagna nella vita e sul palcoscenico per ben 64 anni è stata la compianta Sara Micalizzi, chiamata la "Signora del palcoscenico", figlia d’arte anch’essa, con la quale Sineri costituì quel binomio indissolubile e con la quale ha diviso sempre applausi e glorie. Ciccino Sineri ha svolto anche attività cinematografica, prendendo parte in quasi tutti i film girati a Catania, rivelandosi ottimo attore.
Negli anni Sessanta approdò al Teatro Stabile di Catania dove interpretò lavori come "Liolà", "I Mafiusi della Vicaria", "Il berretto a sonagli", "U malandrinu", "I Vicerè", "Micio Tempio" ecc.

Ha dato l’addio al palcoscenico da quasi quattro anni, al Metropolitan di Catania. "L’ho fatto a malincuore, perché il teatro è sempre dentro di me - commenta Ciccino Sineri - con il dramma passionale e mio cavallo di battaglia I Navarra di Vanni Pucci. Come lavori sento molto anche Amuri Rusticanu di Achille Serra, dove do una interpretazione sanguigna, la sceneggiata Signora perdonatemi e gli spettacoli che spesso nascevano a soggetto".

Cosa ricorda della Catania teatrale d’allora?

"Ricordo le feste di paese, le sceneggiate e i grandi palcoscenici. La Catania di quel tempo pullulava di teatri rionali, c’erano 42 arene: l’arena Borgo, il bellissimo anfiteatro Gangi, dietro via Etnea. Recitavo in un teatro vicino via Archimede, attaccavo a ottobre e finivo a maggio. E poi c’era il Sangiorgi, un teatro bellissimo, guidato da un vero signore".

Il teatro, gli attori di ieri e la realtà di oggi…

"Tutta un’altra cosa. Allora con gli attori ci vedevamo nel pomeriggio, ci mettevamo "a conca" e concertavo cosa dire. Erano attori veri, come le mie cognate, Nina e Iole. Attrici che hanno sempre recitato con naturalezza. Allora si lavorava e si sudava tanto e poi il pubblico pretendeva. Adesso basta che appari in tv un quarto d’ora e diventi famoso. Tutto ciò non è bello per chi lavora e suda a teatro".

Nelle parole di Ciccino Sineri, storico attore del teatro popolare catanese, si intravede un pezzo di storia della Catania di una volta in cui si contavano le arene ed i teatri, si assapora una atmosfera genuina, autentica che, purtroppo, oggi troviamo con più difficoltà nella nostra vacua società dell’immagine e dell’apparire.

Maurizio Giordano (www.cataniaperte.com)

 

Giovanni Grasso senior nacque a Catania nel 1873 e ivi mori nel 1930. E’ considerato il più grande attore tragico del Teatro Siciliano e il suo creatore.
Egli giganteggiò in tutte le platee per la sua potenza artistica. Qualcuno lo osteggiò accusandolo di diffamare la Sicilia, che rappresentava come primitiva, ribollente d’odio e di vendetta, in cui la giustizia si faceva con il coltello a serramanico. L’accusa gratuita spezzò il cuore di Giovanni Grasso, in quanto il suo amore per la terra natale era profondo come quello per sua madre "Donna Ciccia" , da lui venerata come creatura sovrumana.

Cominciò a lavorare con il padre, un puparo molto famoso per quei tempi, dando la voce ai paladini sulla scena: egli seguiva il movimento di Orlando, Rinaldo, Gano, Carlo Magno, con una intensità tale che il pubblico presente ne era ammaliato. Si cimentò sotto la scuola del padre ad apprendere l’arte del puparo, che fece sua abbastanza bene, ma la sua vera inclinazione fu quella dell’attore tragico .
Fu scoperto dal grande Martoglio ed esordì nella commedia "La zolfara". Raccolse enormi successi con il lavoro di Pirandello "Il Berretto a sonagli", con "La morte Civile" di Giacometti , quindi la consacrazione finale l'ebbe con la "Figlia di Jorio" commedia di G. D’Annunzio , tradotta in siciliano da Borgese.

Toccò vette di grande lirismo con la "Cavalleria Rusticana" dove impersonava compare Alfio, uomo violento, ribollente d’ira, drammatico: proprio il personaggio che gli era più congeniale.
Egli era grasso, alto con baffetti radi, un carattere passionale a volte scomposto.La sua legge gli sgorgava dal cuore. Per Lui erano fondamentali tre cose intorno alle quali si basava la sua vita: l’amore per la propria donna , il culto per sua madre e il rispetto dell’amicizia.Questi tre elementi diventano l’essenza del suo fare teatro. Egli era fermamente convinto che questi tre elementi non hanno confini, chi tradisce uno di questi è degno di essere punito.Non esistevano mezze misure ma non perché la logica vuole cosi, ma perché il cuore, l’istinto lo comanda.

Tentò senza molto successo alcune esperienze cinematografiche,a quei tempi era in voga il cinema muto e siccome durante le riprese del film il regista soleva spezzettare le riprese, l’ardore che Grasso metteva sulla scena gli si smorzava,a scapito della qualità del film. Per questo motivo non continuò quest’esperienza.

Si cimentò, invece, in tutto il repertorio repertorio tragico del teatro Siciliano. Ebbe vibranti acclamazioni in "Pietra fra pietre" di Suderman e nel "Cavaliere Pedagna" di Capuana, nonché nel lavoro teatrale "In nome della Legge" di Leoni.
La gloria e la ricchezza non scalfirono la sua semplicità e la sua schiettezza, volle affermare la sua personalità artistica in patria e all’estero, nei più grandi teatri del mondo. Eccolo a Londra, dove con la sua passionalità sconvolse gli inglesi.

In America, i nostri emigranti lo accolsero trionfalmente: attraverso lui ascoltarono il cuore pulsante della Sicilia e di Catania.
In Uruguay il Presidente della Repubblica lo accolse come un capo di stato, con una coreografia fatta da trecento fanciulle avvolte nella nostra bandiera a dargli il benvenuto.

A Buenos Aires, dove rappresentò la commedia "Il Feudalesimo", suscitò nel pubblico Italo-Argentino grande calore e voglia della terra natia. Gugliemo Marconi, che assisteva allo spettacolo,gli fece dono di una di una spilla con un brillante che Grasso non tolse mai dal petto.
In Argentina incontrò un impresario francese che lo scritturò a Parigi per un corso di recite e ne profetizzo il successo. Difatti nel 1908, il Teatro Marigny a Parigi lo consacrò un grande attore di successo ,con le sue rappresentazioni di personaggi tipici Siciliani,Catanesi nella fattispecie.

Nessun attore ebbe onori come quelli tributatigli. La sua arte suscitava una emozione immensa dovunque andasse.

Il grande Giornalista del Corriere della Sera, Luigi Barzini , lo esaltò in suo fondo, dopo la recita di "Malia".

Va riconosciuto a Giovanni Grasso Senior la peculiarità del suo stile con cui ha saputo dare un'impronta di tragicità e di passionalità al teatro catanese.

Raffaello Brullo (www.cataniaperte.com)

 

Il Teatro stabile di Catania nasce alla scomparsa di Angelo Musco, Nino Martoglio e Giovanni Grasso. La sua costituzione ha alle spalle il famoso "Circolo d'Arte" costituito da uomini illustri del calibro di Mario Giusti, Turi Ferro, Ida Carrara e Umberto Spadaro. Fu istituito da uomini illustri del calibro di Tanino Musumeci, Pietro Platania, Piero Corigliano, Umberto Spadaro, Michele Abbruzzo. Col passare degli anni si aggiunsero attori come Rosina Anselmi, Lindoro Colombo e la famiglia Carrara. Tale circolo fu aiutato dal patrocinio dell'Ente provinciale per il Turismo di Catania e dal sostegno economico di alcuni enti pubblici come l'Assessorato Regionale per il Turismo e l'Ente Teatro di Sicilia. Un felice connubio è determinato dall'unione tra tale Compagnia e le opere di Leonardo Sciascia. Si ricordano a tal proposito gli adattamenti teatrali dell'opera "Il giorno della civetta" e "A ciascuno il suo" e la rappresentazione della "Recitazione della controversia lipariana dedicata ad A. D." La compagnia ha anche rappresentato le opere di Pippo Fava. Due periodi di crisi per tale Teatro furono l'incendio che distrusse il Teatro Musco nel dicembre 1972 e l'incendio che distrusse il Teatro delle Muse nel 1981. La ripresa si ebbe con l'inaugurazione del Teatro Verga il 3 dicembre 1981 e soprattutto grazie alla forte volontà dei componenti della compagnia. I vari periodi di crisi del Teatro Stabile sono ricompensati notevolmente dai numerosi riconoscimenti e premi ricevuti in Italia e all'estero come il Premio Observer ricevuto nel 1970 a Londra. Lo Stabile è un teatro impegnato e allo stesso tempo popolare che non tralascia neanche i nuovi artisti e le attività di ricerca e formazione garantita dalla Scuola d'Arte drammatica Umberto Spadaio che si occupa di corsi triennali gratuiti per i giovani fra i 18 e i 25 anni.

La Compagnia "Teatrino Ditirammu" del canto e tradizione popolare di Palermo ha il sostegno della Comunità Europea. E' stata inaugurata nello storico quartiere della Kalsa nel 1998. Tra i suoi fondatori e direttori ci sono Vito Parrinello e Rosa Ristretta. Tra le maggiori rappresentazioni attuate si ricordano "Nimmarò, il presepe raccontat", "Martorio, la passione di Cristo" e "Smoking, fantasie di Viviani". I suoi componenti hanno anche attuato dei laboratori per le scuole riguardanti, ad esempio, il teatro d'improvvisazione.

La Cooperativa Teatro Nuovo nasce nel 1980 come tentativo di recuperare delle tradizioni culturali siciliane. Inizia con rappresentazioni teatrali di opere come "L'aria del continente" di Martoglio, "Fiat Voluntas Dei" Di Macrì, "L'eredità dello zio buonanima" di R. Giusti, "L'avvocato difensore" di A. Morais. Rappresenta anche "Pensaci Giacomino" di Pirandello e il dramma "La nemica" di D. Niccodemi. Dal 1985 organizza la Rassegna Nazionale "Giovanetto di Mothia". Compagnia dalla lunga produzione teatrale, partecipa a vari concorsi e rappresenta numerosi spettacoli come "Il tacchino" di G. Feydeau, "La Fortuna con la F maiuscola" di A. Curcio e E. De Filippo, "Così è, se vi pare..." di L. Pirandello rappresentato nel 1992, "Chi è più felice de me?" di E. De Filippo nel 1993, il lavoro di P. Riccora "Angelina mia" nel 1997, "La corda pazza e la chiave civile, "Questo matrimonio non s'ha da fare" di T. Spadaro

 

 

 

 

Enrico Guarneri in arte Litterio

Servizio e foto: Angela Platania

Uno degli artisti di maggior richiamo, spesso ospite della trasmissione televisiva Insieme, è senza dubbio Litterio Scalisi in arte Enrico Guarneri; scusate ci siamo confusi, in effetti è il contrario ma, mai come in questo caso, il personaggio si fonde con l’autore e quasi si appropria, del tutto, del suo spessore artistico, umano e carismatico. Enrico è consapevole del fascino di “Litterio” ma, in fin dei conti, è proprio quel protagonista coadiuvato dall’ottima spalla di Salvo La Rosa ad essere un richiamo irresistibile per il salotto di “Insieme”. Quest’anno, infatti, una delle innovazioni di Insieme è proprio l’appuntamento quindicinale, nel quale si svolge  la fiction “Casa Litterio”, dove l’esilarante attore ci racconta le vicende della sua “particolarissima” famiglia. Ma questa è poca cosa rispetto l’enorme carriera artistica di questo grande attore, tanta televisione, ma anche tanto teatro con il quale ha girato gran parte della Sicilia, toccando palcoscenici prestigiosi come il teatro “Al massimo” di Palermo, nel quale, fino a qualche giorno fa, ha replicato per ben dieci giorni la commedia del “Paraninfo”, inoltre  il suo curriculum annovera anche la divertente pubblicità di un noto caffè e la partecipazione ad un film, ma cediamo ad Enrico la parola.

“Ho iniziato a fare teatro nel 1976 a livello amatoriale –si racconta Enrico, con tono confidenziale- e l’ho fatto fino ai giorni nostri in modo molto intenso. Ho avuto l’onore e il piacere di calcare alcuni tra i palcoscenici più famosi ed importanti, come il Teatro Stabile e il Metropolitan di Catania, il teatro Al Massimo di Palermo e tanti altri teatri. Il mio repertorio è sicuramente comico e brillante. Ho fatto anche un ruolo, in parte, drammatico in “Cronaca di un uomo” ed ho partecipato anche ad un film dal titolo “T’amo e t’amerò”. Nel 1996 avevo costruito uno spettacolo dove per la prima volta ero solo in scena e durava circa un’ora e venti, con Gianfranco Jannuzzo lo “turnammo” per due estati consecutive: io aprivo con il mio spettacolo e Gianfranco chiudeva con il suo. All’interno di questo spettacolo c’era il personaggio di Litterio, grazie a questo spettacolo vinsi il premio “Il Polifemo d’argento”, il conduttore era Salvo La Rosa che mi chiese di intrattenere il pubblico con questo personaggio, in seguito mi fu chiesto di tentare di portarlo in televisione ed il resto è storia”.

“Insieme” non ti ha dato il successo ma senza dubbio la notorietà…possiamo asserire questo?

“Io direi entrambe le cose. Indubbiamente la notorietà. Qualunque attore teatrale d’Italia o del mondo non ha, assolutamente, neanche il venti per cento di notorietà che ha un personaggio altrettanto affermato, però televisivo. Oggi la televisione è, senza dubbio, l’asso pigliatutto”.

C’è un attore che t’ispira maggiormente?

“Ritengo uno dei più grandi attori in generale, secondo il mio parere, Peppino De Filippo; del nostro teatro siciliano, invece, Salvo Randone e Turi Ferro che hanno rappresentato cose irraggiungibili”.

Fra le tante cose che hai fatto, cosa ti ha dato più soddisfazione?

“innegabilmente Insieme. Sotto l’aspetto teatrale credo, invece, di fare un grande “Paraninfo” e un grande “Avaro”. Mi cimento sia nella commedia brillante in lingua e commedia comica grottesca in siciliano”.  

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta a Catania il Teatro CASTAGNOLA .......INCENDIATO

 

Sorgeva a fine Ottocento un teatro nell'attuale piazza Carlo Alberto ad angolo con via Pacini proprio di fronte il Santuario Maria SS.del Carmelo .

Era stato costruito intorno al 1880 da un impresario il signor Castagnola da cui prese il nome .Si trattava di un teatro scenico polivalente, dove cioè si rappresentavano spettacoli di vario genere, persino circensi .

Il teatro aveva quattro file di palchi ed artisti famosi si susseguirono con i loro spettacoli sul palco come ad esempio nel 1889 la nota attrice-cinematogra francese Sarah Bernhardt che portò in scena "La signora delle camelie".

Il teatro prestigioso che nel 1881 aveva ospitato la famiglia reale,fu distrutto purtroppo da un incendio la notte del 23 febbraio 1901,l'avvenimento fece scalpore in tutta Italia.

Nella foto una sequela di disegni di C.Linzaghi raffigurante l'incendio del Teatro CASTAGNOLA

Nel primo disegno il lato ovest del teatro incendiato, nel secondo lo scenario dell'abitato mentre nel terzo la demolizione dei muri pericolanti

 

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Via Rocca Del Vento (1950) Vecchio quartiere San Berillo, sparito negli anni '50

 

In questa strada nel 1888 il signor D'Urso Domenico aprì un teatrino di "giovani dilettanti" denominato UMBERTO PRIMO, il teatrino poi nel 1889 venne trasferito in Via Stesicorea- Etnea n. 484 dal nuovo proprietario che si chiamava Francesco Caracciolo. Nei commenti pubblico la pianta del teatrino.

(testi e foto di Turi Giordano)

 

 

 

 

Tuccio e Pippo, artisti diversi e amici

Doppia intervista a una coppia di successo in numerosi spettacoli, da alcuni anni "separati" in scena

La Sicilia, 30 Settembre 2014

Sergio Sciacca

 

Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina: due tipi artistici assai diversi: Pippo, dalla figura nobilmente elegante e dalla voce caldamente tenorile anche quando non canta, impersona con signorilità le figure fascinose del teatro, ma con interiori notazioni rivelatrici delle debolezze nascoste; Tuccio riesce perfettamente a impersonare il popolano arguto e scaltro. Sa riportare a questa umanità essenziale anche le figure regali di cui ha reso indimenticabili interpretazioni sulle scene.

Sono artisti che dipingono così attentamente gli elementi essenziali della tipologia umana che, quando agiscono assieme in teatro, l'attenzione del pubblico viene calamitata dai loro dialoghi, dalle battute, dalle gag che per forza naturale si sviluppano anche oltre il copione. Perché vivono il teatro umano, sanno portarlo con stile alla risata irresistibile e per questo hanno portato al successo testi che senza di loro sarebbero rimasti nell'ordinaria amministrazione scenica e che nella loro caratterizzazione sono diventati capolavori. Diciamolo pure, sono talora più autori dei drammaturghi.

Dunque è stata assolutamente indovinata l'idea di proporli - domenica scorsa al cortile Platamone - come esempio iniziale di quell'alfabeto della memoria che parte dalla "A" di Amicizia e nelle intenzioni degli organizzatori (il Teatro Stabile di Catania in collaborazione con l'Università di Catania e l'assessorato ai Saperi e alla Bellezza condivisa del Comune di Catania) dovrà sintetizzare, in 21 puntate, il vademecum per il futuro riconoscendo il passato e valorizzandolo nel presente.

Questi concetti sono stati sottolineati da Nino Milazzo, presidente dello Stabile, dal suo direttore Giuseppe Dipasquale, dall'assessore ai Saperi e alla Bellezza condivisa Orazio Licandro, davanti a un pubblico numerosissimo che ha affollato gli stand dell'editoria locale, notoriamente ricca di pubblicazioni miranti a diffondere una cultura meditata e non solo a far girare le rotative.

 

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E su questi temi si è annodata la discussione condotta con incisive notazioni dal giornalista Nicola Savoca: Quale sarà il futuro dei teatri "nazionali" che dovrebbero sostituire gli attuali "stabili"? Con quale criterio le compagnie saranno ammesse nella serie A che sembra sarà limitata a sette compagini?

Risposta: «Si affermeranno i teatri che hanno dietro di sé una città, non nel senso elettorale, ma in quello di partecipazione attiva alla vita civile che da Eschilo a Eduardo, da Aristofane a Ionesco, nasce sulle scene e poi si sviluppa nella vita civile».

E siccome teorizzare è facile ma mettere in pratica è difficile gli artisti, tra le monumentali scartoffie della Concessione del telefono di Camilleri, hanno dato saggio di questa funzione schiettamente democratica della teatralità. Senza recitare alcun copione, discutendo di temi veri, ma con l'acume dello spirito.

Viene chiesto a Tuccio Musumeci che, assieme a Pippo Pattavina poco prima ha riportato una scena irresistibile del loro repertorio, se si può sperare un suo ritorno sotto l'egida dello Stabile. (Come è noto ha creato un proprio teatro le cui locandine sono stato accolte da caloroso successo di pubblico e abbonamenti).

La risposta consueta a questo tipo di domande è una frase convenzionale piena di aggettivi e avverbi e vuotissima di sostanza. Tuccio non ne ha usato. Stropicciando ripetutamente indice e pollice ha solo detto: «E i soldi? ». Cioè senza impegno finanziario vero la cultura degli avverbi e degli aggettivi va alla malora. Come ai tempi di Goldoni e Bellini il teatro si regge sul pubblico che mette mano al portafogli. Il resto è retorica, come si vede dall'esito attuale di disquisizioni di politica finanziaria che non ha sanato nessuno dei disastri che oggi imperversano sull'economia nazionale.

E anche le battute tra Pippo e Tuccio (a proposito di cinema) non sono state prive di contrasti e contrapposizioni: esposte lì in pubblico, mentre si celebrava la A di Amicizia. E hanno proprio ragione. Il consenso melenso, l'unanimismo di facciata, non serve a niente. Gli amici veri possono essere diversi, possono avere punti di vista contrapposti. Ma devono essere sinceri e mirare allo stesso scopo. Che è quello che l'ultimo ventennio ci dovrebbe avere insegnato e la cui mancanza portò alla catastrofe regimi apparentemente monolitici.

Dal teatro di intrattenimento si è passati all'impegno ampiamente politico. Non di indottrinamento perché ognuno può giudicare come vuole. Il problema di fondo però è reale. Ecco una battura di calma ferocia che offre di che meditare (l'ha pronunciata Tuccio e potrebbe degnamente sostituire parecchi epifonemi enunciati da sapientoni e sapientini assisi sui Sette Colli): «Una volta i politici mangiavano a spese del pubblico. Ma sapevano mangiare con stile. Ora sbafano peggio dei politicanti antichi e per giunta sono ignoranti».

Sa di Aristofane miscelato con Trilussa. E' l'osservazione in diretta della vita. Senza sofismi.

 

 

 

 

 

In ricordo di Roberto Laganà

Più d'una volta ho avuto il privilegio di vedere Roberto Laganà Manoli tracciare degli schizzi: per una scenografia, un disegno, un manifesto.

Restavo sempre a bocca aperta per quel movimento ampio, per la semplicità, la naturalezza del gesto che determinava la forza del tratto.

Era come trovarsi d'improvviso proiettato dentro a una favola disegnata.

Un geniale affabulatore era, Roberto: raffinatissimo e popolare insieme.

E soprattutto amava stupire.

Per questo era teatrale in tutto, a cominciare dall'abbigliamento.

Lo ricordo da sempre con, sul naso, occhiali stravaganti, al collo raffinatissimi foulard, in testa sempre eleganti cappelli a larghe falde.

Ma a caratterizzarlo erano soprattutto le sciarpe di seta nella bella stagione e, nell'inverno, i suoi incredibili scialli, esageratamente ampi e pieni di fantasia.

Se ne avvolgeva come un pipistrello nelle sue ali, e svolazzava per le strade delle capitali del mondo, per teatri di lirica e di prosa, per ristoranti e salotti spandendo buonumore e allegria grazie alla sua ironia placida, mai cattiva.

“Amava il teatro più di sé stesso”, mi ha detto ieri sua moglie.

Ne sono convinto.

Ma credo che amasse anche chiunque facesse parte dell'ambiente del teatro: conosceva le storie personali di attrezzisti, scenotecnici, sarte, diventati la sua famiglia.

Persino gli attori riusciva ad amare, quell'ambiente di perfidi bambini d'ogni età in cerca soltanto dell'applauso: grandi cuori avvelenati dall'ansia di primeggiare.

Lui, Roberto, pur conoscendo i difetti di tutti, era tollerante, accomodante, affettuoso.

E, soprattutto con i ragazzi, aveva, in un certo senso, la vocazione della chioccia.

Tanto che, a un certo punto del suo percorso umano e professionale, volle diventare capocomico.

Non era perfetto, badate, ma umanità e ironia sono sempre stati le sue caratteristiche: le stesse che ricordo in Mariella Lo Giudice, sua grande amica.

A una cena a casa di Mariella e Angelo Giordano è legato il mio più curioso ricordo di Roberto Laganà: la scoperta che portava al collo una piccola catena con attaccato non l'immagine di un santo protettore o un amuleto, ma una fiala di vetro chiusa da un cappuccio d'oro bianco.

La fiala custodiva un ingrediente meraviglioso: della rossa polvere di peperoncino, che Roberto amava spandere - teatralmente - sulle pietanze, quand'era a tavola con amici.

E mentre lo spargeva, raccontava: sapeva cogliere con straordinaria arguzia pregi e difetti celati nelle grandi personalità del mondo del teatro con cui aveva lavorato.

La sua galleria di ritratti si animava.

Perché sapeva narrare, Roberto, con quella voce curiosa, a volte afona, punteggiata da catanesissimi "ah?"

Così voglio ricordarlo, Roberto Laganà Manoli: con quella fiala in mano piena di magica polvere rossa.

Sempre pronto a spargere, ovunque, il pepe della sua ironia.

Giuseppe Lazzaro Danzuso

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

Teatro Della Città
via Sabotino, 4 - 95129 Catania tel. 095 530044 / 095 530153

 

Dopo anni di attesa si alza il sipario del Teatro Brancati
Il 20 ottobre verrà inaugurata la struttura dedicata allo scrittore siciliano. Ospiti della serata Anna Proclemer, Antonia Brancati, il direttore artistico del teatro Tuccio Musumeci e Pippo Baudo. Dal 23 ottobre "Fiat Voluntas Dei", primo spettacolo della stagione 2008/2009
C’è grande attesa per la serata di inaugurazione del Teatro Brancati, l’ex cinema Spadaro, sede storica del Teatro della Città, che verrà consegnato al pubblico catanese lunedì 20 ottobre alle 20,30. La struttura dedicata al grande scrittore siciliano alzerà il sipario dopo anni di attesa con una stagione inaugurale che si avvarrà della direzione artistica di Tuccio Musumeci che così commenta l'inizio di questa nuova avventura: «Finalmente si apre! L’idea di un nuovo spazio teatrale che proponesse un teatro sì di "tradizione" ma aperto anche a stimoli nuovi, a nuovi linguaggi, è stata un esigenza nata molti anni fa; un desiderio, che col passare del tempo, assumeva i contorni di un sogno ma che oggi diventa realtà...e così mentre tutte le banche chiudono, io che faccio? Apro un teatro!».
Al taglio del nastro saranno presenti due ospiti d’onore: Anna Proclemer e Antonia Brancati, rispettivamente compagna di vita e figlia di Vitaliano Brancati. Una serata dedicata al teatro e alla memoria che riunirà sullo stesso palco due personaggi legati dai ricordi del comune esordio artistico: il direttore artistico del Teatro Brancati Tuccio Musumeci e un ospite d'eccezione, Pippo Baudo. Presenterà la serata Salvo La Rosa accompagnato dalla musica dal vivo del pianoforte del maestro Nino Lombardo.
L’inaugurazione del Teatro Brancati sarà un’occasione di ritrovo per tanti personaggi noti del panorama artistico e culturale catanese, che per anni hanno confidato che quella loro sala prove di inizio carriera, diventasse un vero Teatro. Un sogno che diventerà realtà giovedì 23 ottobre quando verrà messa in scena “Fiat Voluntas Dei” con Tuccio Musumeci, il primo spettacolo della stagione inaugurale del Teatro Brancati 2008/09 , “La Memoria delle Radici - Le Radici della Memoria”, un cartellone di sette spettacoli all'insegna della tradizione tra commedie brillanti e un omaggio al genere del varietà
La stagione al Teatro Brancati proseguirà poi dal 6 al 9 novembre con “Preferirei di no” di Antonia Brancati, regia Romano Bernardi, con Alessandra Cacialli e Debora Bernardi; dal 20 al 23 novembre “Lo sbaglio di essere vivo” di Aldo De Benedetti, regia di Romano Bernardi, con Filippo Brazzaventre e Debora Bernardi; dal 22 al 25 gennaio 2009 “Piccolo Grande Varietà” di Marot's, regia Mario Mangani, con Tuccio Musumeci; dal 19 al 22 febbraio “Le Impiegate” di Claudio Carafoli, regia Gabriella Saitta, con Gabriella Saitta; dal 19 al 22 marzo “L'Uomo che incontrò se stesso” di Luigi Lunari, regia di Antonello Capodici, con Romano Bernardi, Filippo Brazzaventre, Alessandra Palladino; dal 16 al 20 aprile “Gli industriali del ficodindia” di Massimo Simili, regia Giuseppe Romani, con Tuccio Musumeci.

 

"Poi se venga il trionfo, per fortuna o per arte, non dover darne a Cesare la più piccola parte, aver tutta la palma della meta compita e , disdegnando d'essere l'ellera parassita, pur non la quercia essendo, o il gran tiglio fronzuto, salir anche non alto, ma salir senza aiuto"
Edmond Rostand, 'Cyrano de Bergerac'

 

Catania.
Egle è il nome di una delle Esperidi e, seguendo la mitologia ellenica, indica la luce. Deriva da un termine medievale e denota beltà il cognome di origini genovesi Doria. Incantevole e luminosa, qui, ora, dell'importanza di esser se stessi in un mondo colmo di sotterfugi, Egle Doria mi riferisce.
"Coraggio, libertà e correttezza -parola di Egle- sono realtà per cui val la pena lottare dal momento che restare fedeli ai propri principi non è impresa ardua. Anche nella finzione scenica d'altronde si deve essere veri. L'attore indossa costumi d'altri tempi, interpreta personaggi con un carattere opposto al suo, arricchisce il suo io di esperienze mutuate dalle trame drammaturgiche ma mantiene integra l'identità. Io ho scelto questa strada non per diventare famosa ma perché il teatro consente al sapere e all'arte di perpetuarsi. Da anni mi dedico ai laboratori per gli studenti delle scuole medie superiori; li incoraggio ad esser se stessi anche nella simulazione, ad aver fiducia nei propri mezzi e ad entusiasmarsi al teatro. Mi piace pensare ad un'arena sociale che utilizzi lo spazio scenico per raccontare storie capaci di far riflettere. Il teatro è uno dei luoghi di comunicazione più diretti ed efficaci che ci siano e mi consente di vivere vite ed epoche diverse, il tutto al servizio della cultura.
Non può esser un caso se vengo alla luce da una mamma poetessa, musicista e figlia del celebre atleta (ma anche attore con Turi Ferro in tempi non sospetti) Cocò Nicolosi e papà Nicola Doria, concertista di pianobar. Il debutto giunge al Teatro Antico di Taormina sotto la direzione artistica di Albertazzi. Nel '97 a Roma frequento il Duse Studio e interpreto Mara ne 'La Lupa' per una tournèe nazionale. Quando ritorno alle pendici dell'Etna collaboro con lo Stabile e nel 2005 dalla mia città arriva un bel riconoscimento: il Premio Speciale 'Domenico Danzuso'. Lavoro quindi a fianco di Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Mariella Lo Giudice e Sebastiano Tringali. Per rendere omaggio a mia madre Marina Doria, dopo la sua prematura scomparsa, nel 2008 curo l'adattamento teatrale del suo romanzo "Il conto delle lune", che ottiene entusiastici consensi di critica. È la storia di una 'carusa' che, avvilita dal lavoro in miniera, decide di evadere da quel mondo penoso inseguendo un sogno. Vestita da uomo, Mimì percorre a piedi l'isola e attraversa un itinerario che è metafora di una trasformazione della condizione femminile. Dal buio delle viscere della terra si porta alla luce, ad una rinascita, restituendosi alla vita.
L'anno scorso al Piccolo Teatro sono stata Peter Pan nell'omonima fiaba dedicata a un pubblico di giovanissimi, la strega Curcumina ne 'Il Principe Ranocchio' e Lisetta ne 'Il mondo della luna' di Goldoni. Al Teatro Brancati ero Sofia ne 'Un siciliano a Parigi' e Natasha ne 'L'incidente' al fianco di Tuccio Musumeci ed infine allo Stabile ho interpretato Eva ne "La brocca rotta' di H.v.Kleist per la regia di Nino Mangano. Quest'autunno sarò in scena al Brancati con 'Miseria e Nobiltà' ancora accanto al grande Tuccio Musumeci. In cantiere ho altri progetti che mi vedranno impegnata nella stagione di teatro per ragazzi al Piccolo Teatro e in tournée in tutta la Sicilia con "100 Euro tutto compreso" per la regia di Riccardo Maria Tarci, una commedia ultra brillante per il trio Giovanna Criscuolo, Egle Doria e Valentina Ferrante.
Considerando l'importanza data alla mia bizzarra richiesta infantile d'iniziazione teatrale, ripenso a quanto sia stato particolare il legame con mia mamma. Con semplicità assoluta, addirittura ella organizzò per me una piccola compagnia amatoriale che si dilettava con il teatro di ricerca. È sempre stata una complice, un'amica e una guida capace di farmi capire che non esistono desideri irrealizzabili ma cose in cui non crediamo a tal punto da impegnare la nostra forza per realizzarle. È lei la persona che mi ha dato forza e coraggio, insegnandomi a non aver mai paura."
Alessandro Russo



 

CATANIA. Il testo dell’intervista video raccolta da Daniele Gangemi.

– Lei è nato a Catania nel ’34. Com’era la città in quegli anni?

Catania è stata distrutta. Molti dicono da noi catanesi, va bene, questo è vero. Ma ora è distrutta. Distrutta nel senso che secondo me non si riprenderà più. Non abbiamo più vigili e non vedo un vigile da quasi quindici anni a Catania. Io mi ricordo bene che cos’era la festa del vigile per l’Epifania, che stava sul podio. Poi noi ragazzi, bambini, ma tutti, anche agli adulti, gli portavamo tutti idoni. Avevano una divisa bianca bella. Allora mi ricordo c’era il  Comandante Adizzone che ci teneva molto. Era diverso, si vedevo in giro. Io lo vedo nelle altre città, ma anche in Sicilia, vedo i vigili.

Ci sono semafori a Catania che non funzionano al corso Italia, in via Umberto, da parecchio tempo. Io dico mettete almeno un vigile per strada! E’ invece no, solo se c’è la partita del Catania lo mettono. E’ una città disordinata. Peccato, perchè il catanese era simpatico. Ora è annoiato, arrabbiato, ed ha ragione!

– Com’è nato quest’incontro speciale con il mondo del teatro?

Ero iscritto in Medicina a Modena, assieme a mio cugino De Gaetani, la mia famiglia, da parte di mia madre sono De Gaetani. Sono venuto un gruppo di attori che dicevano di essere universitari. Era una compagnia composta da Dario Fo, Giustino Durano e Franco Parenti, e portavano in scena “Sani da legare” ed “Il dito nell’occhio”. Dario Fo non era ancora sposato con Franca Rame e c’era un attore, Camillo Milli, morto da poco, figlio di un Ministro della Cultura del periodo fascistae, che era il fratello di un  assistente di mio zio. Una sera, durante lo spettacolo, dovevano fare impaurire Franca Rame e sono andati in Istituto da mio zioa prendere un topolino, una cavia, di quelle bianche e l’hanno messo in palcoscenico. Durante lo spettacolo ci fu l’inferno!

Da lì mi è nata la passione. Ritornando poi d’estate a Catania da un mio professore di lettere, il Professore Ruggeri, ho incontrato un altro giovane: Pippo Baudo! Io e Pippo Baudo ci siamo legati subito ed abbiamo iniziato quasi assieme.

Facevamo le serate nei locali, al Lido dei Ciclopi, Villa Cardì, che era importante,  abbiamo poi partecipato alla “Capannina d’Oro” a Palermo,  al “Chiostro d’Oro”, ed il regista a Palermo che organizzava questi eventi era quello che sarebbe diventato un grande regista: Antonello Falqui! Poi c’è stato un cantante che ci prese a simpatia, si chiamava Aldo Alvi ed era quello che la mattina in Rai cantava “Cento di questi giorni”. Ogni mattina c’era la sua voce e lui fu quello che ci instradò in questo percorso.

– Nel 1985 ha ricevuto, per la sua interpretazione nel ruolo di Pipino il Breve, il premio Italian – American Forum al Mark Hellinger Theatre. E’ ancora così “distante” l’America dalla nostra realtà?

All’estero, a New York,  quello che è successo per “Pipino il Breve” è una cosa pazzesca. La definivano “Commedia Medievale”, e l’affluenza fu bestiale. Giro veramente il mondo! Fu un successo dappertutto e pensare che la prima volta nessuno ci credeva. Infatti non debuttò a Catania, ma al teatro “Vasquez” di Siracusa, nel 78/79, e c’erano milleduecento persone ad assistere. Fu un trionfo e noi stessi non ci credevamo. Ma non ci credeva forse neanche Tony Cucchiara. Tra l’altro fu Renzino Barbera a dare respiro al personaggio di Pipino, quando l’ha scritta Tony Cucchiara non era così. 

Mi ricordo che Paolo Grassi, grande direttore della Rai e Direttore del Piccolo di Milano, a Venezia, quando l’abbiamo fatto la prima volta, è venuto ogni sera a vederlo.  L’anno dopo io sono andato in America con Turi Ferro a fare “Il berretto a sonagli”, e lì mi hanno premiato per “Pipino il Breve”.

– Ad oggi ha all’attivo più di 20 pellicole cinematografiche. E’ stata dura riuscire a fare cinema partendo da Catania?

Iniziai con un film da protagonista nel ‘70 , “Lo voglio maschio” di Ugo Saitta, un regista premiato a Venezia tante volte. Questo film ebbe tanto successo e  vedeva nel cast anche  un’attrice israeliana, Aliza Adar, oltre ad Umberto Spadaro, Franca Manetti e tanti altri. Mi ricordo che questo film in Toscana incassò più che in Sicilia. Poi da lì cominciai a lavorare in tanti film, grazie anche all’aiuto di un grande agente cinematografico: Perrone, il Conte Perrone.

– Il 27 dicembre del 2021 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’ha nominata Commendatore dell’Ordine della Repubblica Italiana. Che senzasione ha provato? Come l’ha vissuta questa nomina così’ prestigiosa?

Si, mi ha nominato Commendatore, però io ho immagninato sempre i “Commendatori” come uomini robusti, con la pancia, e quindi quando mi chiamano Commendatore ho come l’impressione che mi prendano in giro, anche perchè, quando eravamo ragazzi, stavano girando un film a Catania, a piazza Dante, con Alberto Sordi, e siamo andati a conoscerlo. Qnado però lo abbiamo chimato “Commednatore”, lui quasi offeso ci ha risposto: “Commendatore? Io? Perchè ho la pancia?”. Allora lì è stato chiaro: i “Commendatori” devono avere per forza la pancia!

– Dal 2008 è Direttore Artistico del Teatro Vitaliano Brancati di Catania. Cosa significa farsi carico di una responsabilità simile, anche verso le givani leve?

I tempi sono cambiati. Pippo Baudo ed io facevamo veramente sacrifici all’inizio, ci siamo persino fatti raccomandare alla Rai  da Nino Lombardo, che era stabile  presso la sede di Catania dellla Rai. A noi non ci volevano!Quando ci siamo presentati al concorso nazionale a Roma, ci hanno bocciato per ben due volte a me ed a Pippo Baudo!Avremmo potuto avvilirci chiaramente, invece noi imperterriti abbiamo insistito. Quando è nato il Teatro Stabile di Catania mi contattarono dall’Amministrazione chiedendomi se mi potevano presentare per “Malìa”. Facevo una comparsata, dicevo soltanto Attento Nino!”, a Turi Fero, e Pippo Baudo mi aspettava fuori tutte le sera, dopo le prove, chiedendomi se potevo fare in modo che entrasse anche lui. Poi, dopo tanti anni, è diventato Direttore e Presidente del Teatro Stabile!

– Pirandello diceva che un palcoscenico è un luogo dove si giuoca a far sul serio. Le piace ancora giocare?

La cosa bella e che, forse per via dell’età, appena entro in teatro per preparare uno spettacolo inizio a sbadigliare! Una cosa tremenda. Anche durante le prove. Poi appena salgo sul palcoscenico e vedo che c’è il pubblico che ti dà la carica, l’energia, cambia tutto. E poi comunque devo dire qualche cosa a quel punto.  Mi ricordo una cosa bellissima, un aneddoto stupendo! Io sono nato nel periodo del Fascismo ed allora c’erano le Compagnie di Stato, che erano le compagnie delle fiabe. Un anno fecero “Biancaneve ed i sette nani”, al Teatro Sangiorgi, e tutti i bambini eravamo innamorati di Biancaneve. Questa ragazza aveva 24/25 anni, giovanisssima, ed era di una bellezza incredibile.

Nel ‘60 poi mi ritrovai a lavorare al Quirino, a Roma, e cercando una pensioncina per accomodare, mi imbattei in una proprietaraia che sulle pareti di un corridoio buoi aveva appeso tutte le fotografie di quello spettacolo con Biancaneve. Incuriosito chiesi alla signora come mai avesse tutte le fotografie di quello spettacolo e la risposta fu che Biancaneve era lei. Solo che era cambiata molto, grossa, anziana: era la fine di un mito!

 

 

 

Piccolo Teatro Di Catania
via Ciccaglione, 29 - 95125 Catania
tel. 095 095 447603 - Fax 095 447603


Teatri Gruppo Iarba
piazza dei Martiri, 8 - 95131 Catania
tel. 095 535453 / 095 538364


Teatro Brancati
via Sabotino, 2/4 - 95100 Catania
tel. 095 530153 / 095 530118 Fax 095 530044


Teatro Club
piazza S. Placido, 10 - 95131 Catania
tel. 095 312146


Teatro Comunale Nino Martoglio
via XII Traversa - 95032 Belpasso (Catania)
tel. 095 917609


Teatro Degli Specchi
via Donizetti Gaetano, 103 - 95126 Catania
tel. 095 377630


Teatro Della Città
via Sabotino, 4 - 95129 Catania
tel. 095 530044 / 095 530153



Teatro Metropolitan
via San Euplio, 21 - 95100 Catania
tel. 095 322323 / 095 316596 - Fax 095 316596

 

Teatro Massimo Bellini
95100 Catania

Teatro Musco
via Umberto, 312 - 95100 Catania
Tel. 095 535514


Teatro delle Nevi

Grotta Smerlada di Acicastello

 

 

Teatro S. Anna
viale P.pe Umberto, 73 - 95041 Caltagirone (Catania)
e-mail: ludotecacaltag@ctonline.it


Teatro Sa.Ba
piazza Indirizzo, 8 - 95024 Acireale (Catania)
tel. 095 7649710


Teatro Stabile di Catania
via Giuseppe Fava, 39 - 95100 Catania
tel. 095 354466 - Fax 095 365135 / 095 351919


Teatro Vitaliano Brancati
via SS. Salvatore, 12 - 95041 Caltagirone (Catania)
tel. 0933 22436 - Fax 0933 58476
e-mail: argo.f@calatino

 

Teatro Delle Arti
via porta di Ferro, 57 - 95131 Catania
tel. 095 313071


Teatro Grotta Smeralda
via Antonello da Messina,11 - 95020 Cannizzaro (Catania)


Teatro Magma
tel. 095 441728 / 095 444312 - Fax 095 441728 / 095 444312
e-mail: info@centromagma.it


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CASTA DIVA - da Norma di Vincezo Bellini