Catania
e l'Etna nel Cinema
Catanesi
si nasce, è un dato di fatto. Qualcuno sostiene che anche scrittori si
nasce. Ma una cosa è certa: scrittori catanesi si diventa. Non basta
essere nati a Catania e scriverne per afferrarne l'essenza. Catania è una
città da sempre sfuggente, ama nascondersi, mascherarsi. Per togliere i
veli a questa città, per scoprirne i meccanismi bisogna guardarla da
lontano, starne a distanza sia pure per un periodo soltanto. Giovanni
Verga, Luigi Capuana, Federico De Roberto, Vitaliano Brancati, Ercole
Patti - nomi che basterebbero a far la gloria di una intera regione e non
di una città soltanto - sono tutti catanesi di nascita o d'adozione. Ma
nessuno di essi è rimasto abbarbicato alla "casa del nespolo",
per usare un'espressione dei Malavoglia.
Sono andati tutti via. Perché avevano voglia di altri frutti. Perché le
"nespole" non bastavano più o magari erano venute a noia.
(Chissà come mai Verga ha scelto un frutto che, per quanto frequente in
Sicilia, non può certo definirsi un simbolo di questa terra. Eppure aveva
le arance a disposizione...). Ma poi sono tornati, ed è stato un grande
ritorno.
Tornando in città - magari soltanto con il pensiero - si riprende ad
apprezzare la casa del nespolo che ci aveva affascinati da bambini, e
soprattutto finalmente si capisce attraverso quali meccanismi, contorti e
sapienti, si siano formati una mentalità e un atteggiamento che,
rimanendo nel luogo natale, ci erano sempre apparsi semplicissimi,
naturali. È tornando a Catania con il pensiero, mentre ne è fisicamente
lontano, che Verga riscopre quel mare amaro che "tutt'a un tratto si
fa scuro che non ci si vede più neanche a bestemmiare". È a Milano
che Capuana concepisce la cieca ossessione del Marchese di Roccaverdina.
È ancora a Milano che De Roberto inventa la saga dei Viceré, dove don
Blasco si "sciala" al convento di San Nicola. Al convento di San
Nicola, diventato sede scolastica, chi scrive ha trascorso i beati anni
del tormentato liceo; e gli sembrava colpa sua se nella descrizione di De
Roberto non riusciva a trovare nulla che combaciasse con il convento
effettivo.

E che dire di Ercole Patti che, lontano da Catania, viveva di cinema e si
abbandonava al ricordo di "un bellissimo novembre" nella città
natale? Anche Vitaliano Brancati inventava i personaggi catanesi del Don
Giovanni in Sicilia, il bell'Antonio, Paolo il caldo, mentre a Roma
scriveva per Alberto Sordi, Totò e Rossellini. La distanza, si dirà. Per
creare occorre il distacco emotivo dalla materia. Ma è anche vero che,
finché ci si trova presi nel groviglio, è impossibile dipanare il filo
della matassa. Si rischia di prendere cantonate, di scambiare - ad esempio
- per indolenza vera e propria quella che invece è soltanto la maschera
di una operosità ingegnosa.
Il catanese tipico sembra schiavo dell'ozio, indolente. Non è mai borioso
né spaccone. Finge di non ascoltare, di non capire. Finge anche di non
dire. Finge per una forma di understatement che è tutta catanese: è poco
fine mostrarsi troppo indaffarati, troppo zelanti, troppo preoccupati.
Poco fine e anche poco furbo. Perché se è vero che Palermo è una città
nobiliare, Catania è una città di commerci e un commerciante per
concludere affari non deve mai far capire quello che ha veramente in
testa. Ma questo simulare indolenza per dissimulare operosità è una cosa
che si capisce a distanza, non passeggiando alla villa Bellini.
E infatti Verga la comprese appieno a Milano, quando al suo capolavoro
diede come titolo I Malavoglia. Che altro non è se non un calembour. I
Toscano, la famiglia protagonista del romanzo, sono "tutti buona e
brava gente di mare", animati di voglia di lavorare, e proprio per
questo vengono chiamati, al contrario, "malavoglia". Non è
strano che proprio un milanese, Luchino Visconti, abbia voluto ricreare
nel film La terra trema il romanzo di Verga, ma lo ha solennizzato
trasformandolo in una bellissima cerimonia sacrale.

Dalla letteratura al cinema, dalla Catania scritta alla Catania vista, il
passo è breve. La terra trema però resta un caso isolato. Da quando gli
italiani hanno cominciato a leggere di meno e andare di più al cinema -
dagli anni del boom economico, all'incirca - raramente la città di
Catania si è presentata sugli schermi come paesaggio drammatico o
addirittura tragico. Ha prevalso il grottesco. Meglio ancora, il comico. E
all'origine della figura del catanese, finto indolente che pensa solo alle
femmine e ci pensa con tormento, ci sono loro: Ercole Patti e Vitaliano
Brancati. Sono stati questi due scrittori catanesi, con i loro libri e
talvolta con le loro sceneggiature, a dar vita a personaggi rimasti
proverbiali.
Tanti gli attori che sono diventati catanesi sugli schermi. Tra i più
improbabili Christian De Sica ai suoi esordi con Giovannino di Paolo Nuzzi,
tratto da un romanzo di iniziazione di Ercole Patti. Il più variopinto,
certamente Giancarlo Giannini in Mimì metallurgico di Lina Wertmuller:
sembra ancora di rivederlo mentre corteggia senza pietà la moglie del suo
rivale tra i banchi della pescheria. Marcello Mastroianni è stato il
prototipo del catanese emancipato e istruito, ma con il timore di non
essere all'altezza delle aspettative familiari e sociali: Il bell'Antonio
di Mauro Bolognini, ispirato da Brancati. Ma contemporaneamente
Mastroianni, in Divorzio all'italiana di Pietro Germi, dava vita a un
catanese della provincia, all'ingegnoso barone Fefè che si spostava nel
capoluogo per corteggiare la cugina adolescente e organizzare un
sofisticatissimo e complicato "divorzio". Mai si sarebbe
comportato come lui il più sanguigno e diretto Turi Ferro, catanese
autentico. Il grande attore ha dato vita in film come Un caso di
coscienza, Virilità, La governante, Malizia, Il lumacone - alcuni dei
quali ispirati a scrittori siciliani - alla maschera del catanese
arruffone, in lite con i tempi moderni, sempre più a disagio nel ruolo
traballante di pater familias. Lando Buzzanca ha rappresentato l'altra
faccia del personaggio di Turi Ferro: i tempi che avanzano, la
spregiudicatezza, la nuova volgarità, il senso degli affari. Ma anche il
gallismo che è ossessione mentale e fuga da ogni impegno. Un perfetto Don
Giovanni in Sicilia tratto da Brancati.
Oggi il nuovo catanese, cresciuto con le canzoni di Battiato, che non
passa tutta l'estate nei lidi della Plaja, che non fa più l'emigrante ma
il turista, impegnato produttivamente e socialmente, potrebbe avere
soltanto una faccia: quella di Luigi Lo Cascio.
E le donne? Spiace dirlo, ma personaggi femminili catanesi in letteratura
ce ne sono pochi. Galantuomini siciliani come Brancati e Patti scrivevano
di tormentose ossessioni erotiche, ma di donne fantasticavano soltanto.
Non le conoscevano. La donna nei loro romanzi è uno sguardo dietro una
persiana che si chiude, un passo svelto sul marciapiede, una testa che si
volta per sbirciare furtiva. Il resto è immaginazione. Ma anche quando
fossero stati al corrente dei segreti femminili, Brancati e Patti si
sarebbero ben guardati dal metterli su carta, in piazza. E così, quando
il cinema si è impadronito delle pagine dei due scrittori, si è dovuto
accontentare di cuginette, studentesse straniere, cameriere. Sempre
filtrate attraverso un'ottica maschile. Eppure - potenza delle donne - pur
partendo da una situazione di svantaggio, spesso sono loro ad imporsi.
Basta richiamare alla mente la giovanissima Stefania Sandrelli di Divorzio
all'italiana: apparentemente preda rassegnata e indolente del desiderio
maschile, in realtà motore di tutto, e pronta a ben altre imprese. Ancora
più determinata la scaltra Laura Antonelli in Malizia di Salvatore
Samperi: da sprovveduta cameriera, vittima di pesanti attenzioni da parte
di tutti i maschi della famiglia, a padrona di casa e dei destini di
tutti.
Ma i tempi cambiano, e oggi quando si pensa a un personaggio simbolo di
Catania, rivolto un pensiero deferente a Pippo Baudo e a Franco Battiato,
la mente corre proprio a una donna, minuta e decisa: Carmen Consoli.
Articolo tratto da Aldo Piro, giornalista e autore televisivo, Ulisse la
Rivista di bordo dell'Alitalia

Quando il 6 dicembre 1896, ad appena un anno
di distanza dalla prima proiezione mondiale cinematografica
pubblica a pagamento organizzata dai fratelli Lumière a Parigi,
Nino Martoglio dalle colonne del suo “D’Artagnan” (settimanale
serio-umoristico-illustrato, da lui stesso fondato nel 1889),
entusiasticamente annuncia ai catanesi l’arrivo del cinema in
città, malauguratamente il vulcanico Belpassese omette di citare
il nome dell’avventuroso pioniere che per primo impianta in via
Etnea n. 139 “dopo il Palazzo dei Tribunali…quella straordinaria
meraviglia che è il Cinematografo”. Per molte settimane un
estasiato Martoglio invoglia i concittadini ad ammirare “il
miracoloso spettacolo”, che forte del clamoroso e crescente
successo prolunga la permanenza a Catania fino al febbraio del
1897 (per poi tornarvi ancora a maggio), sbalordendo l’ingenuo
pubblico del tempo con un programma di brevi e brevissime
riprese.
I primi flani pubblicitari cominciano
tuttavia ad apparire, da lunedì 30 novembre 1896, sul “Corriere
di Catania” che annuncia gli spettacoli del Cinematografo e del
Grafofono (“Il Corriere di Catania”, 30 novembre 1896, v.
flano), dove tuttavia si specifica il nome di questo primo
avventuroso protoimpresario. Il giorno dopo compaiono anche i
primi titoli (v. flano pubblicitario), filmati brevissimi ognuno
della durata di 2-3 minuti, insieme agli “Intermezzi del
Grafofono”, mentre altro programma si svolge in contemporanea
anche nella Gran Sala del Palazzo Comunale, tutti i giorni dalle
17 alle 22. (v. il mio “La Sfinge dello Jonio”, Algra Editore,
2016).
Martoglio continua a tampinare amorevolmente
l’attività e l’accresciuta popolarità del cinematografo, ma
soltanto nel febbraio del 1898, cioè quando i precedenti
apparecchi di proiezione verranno sostituiti dal più moderno e
perfezionato “Cinématographe Lumière”, lo scrittore e
drammaturgo etneo - poi divenuto anch’egli regista
cinematografico - decide di rivelare il nome di Giuseppe
Lentini (“Il D’Artagnan”, 13 febbraio 1898). Ma chi è, dunque,
questo intraprendente antesignano dell’esercizio cinematografico
e da dove proviene?
Il giovane ammirato da Martoglio è
identificabile in Giuseppe Lentini Vento, figlio di Domenico e
Stefania Vento, nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 21 febbraio
1872, il quale insieme ai fratelli Rocco e Nicolò, risulta
essere uno dei componenti della famiglia Lentini ed in
particolare uno dei nipoti di Giuseppe Lentini (nato a
Barcellona nel 1820) che - durante la chiusura per lavori di
ristrutturazione del glorioso “Teatro Mandanici” (di cui egli
era custode e factotum) - costruì a sue spese un piccolo teatro,
appunto il “Teatro Lentini”, che nella cittadina peloritana
assolse il compito di tenere in vita l’attività teatrale e
quella musicale (cfr. S. Miano, “Il teatro Mandanici e teatri
minori di Barcellona Pozzo di Gotto”, Roma, 2011). Nel piccolo
teatro agì, tra le tante, anche la compagnia Menichelli, retta
dai genitori di Pina Menichelli, divenuta tra gli anni ’10 e gli
anni ’20 una delle più note e celebrate dive del cinema muto
italiano e mondiale.
Assunti dal “Mandanici” in qualità di
macchinisti e aiuto macchinisti, quindi già in possesso di
cognizioni tecniche, all’arrivo del cinema i fratelli Lentini -
passati dalla riapertura del “Mandanici” (1891) alla gestione
del teatro dello zio - probabilmente acquistate alcune macchine
(forse quelle costruite dall’inglese William Robert Paul) o
agendo in qualità di concessionari-operatori di più proiettori
Edison (il geniale inventore americano, infatti, vendeva le
pellicole solo a chi noleggiava le sue macchine), danno la stura
ad una frenetica attività di proiezioni cinematografiche
ambulanti, durate almeno dalla fine del 1896 al 1898.
La presenza dei Lentini si registra infatti a
Catania (1896-1897-1898), a Messina ed Acireale (1897) e
pressoché simultaneamente anche a Palermo (dove saranno sempre
i Lentini a far conoscere il “Lumière”) e forse anche in
località extraisolane (Napoli?). Nel frattempo, però, l’epoca
pionieristica inevitabilmente volge verso la fine. A parte la
concorrenza degli altri ambulanti, a partire dai primi anni del
secolo scorso comincia a diffondersi dapprima nelle città quindi
nei piccoli centri l’endemico espandersi delle prime sale
stabili. Tutt’altro che intimoriti i tre fratelli - infaticabili
pionieri del cinema in Sicilia - non esitano a gettarsi
nell’esercizio stabile, aggiungendo nel 1899 alla già avviata
attività teatrale del “Lentini” anche quella cinematografica.
“Mercè l’opera dei fratelli Lentini il teatro omonimo si è
aperto col Cinematografo Lumière e col Grafofon. Molta gente
accorre seralmente ad ammirare le nuove meraviglie del grande ed
immortale Edison” (“Gazzetta di Barcellona”, 22 gennaio 1899).
Il Teatro “Lentini” diviene così anche una delle primissime sale
stabili nazionali e forse addirittura in assoluto la prima
siciliana. (La Sicilia)
fonte:
https://www.piolatorre.it/public/r/1896-il-cinema-arriva-a-catania-1812/

Il
cinema muto della Hollywood nata sul Simeto
Tra il 1913 e il 1916, Catania
ospitò quattro case di produzione cinematografica. Una trentina i film
prodotti con regolare visto censura, purtroppo andati tutti perduti
Sabato 04 Agosto 2012OggiCultura,pagina 25e-mailprint
Il primo tentativo di creare a Catania una "fabbrica di
negativi" si deve all´attore ... Franco La Magna
Durante la fase del cinema muto, tra il 1913 e il 1916, a Catania agirono
ben quattro case di produzione cinematografica. Ancora più numerosi i
tentativi falliti, tra il 1908 e il 1929.
«Assalito però dal desiderio del commercio torna in Italia, ed alla sua
Catania, quindi, per fondarvi la "Trinacria-Film" (fabbrica di
negativi), assumendone la gerenza. Impreviste ed imprevedibili
circostanze, però, lo costringono a rinunciare al sogno sognato, e dopo
che ebbe liquidata l'ancor giovane azienda, egli torna a Milano…».
Così un cronista del tempo (U. Valenti) riferisce del primo tentativo
compiuto a Catania di creare una non ben definita "fabbrica di
negativi" ad opera di Gioacchino Vitale De Stefano (Acireale
1886-Milano 1959), attore dialettale e poi cinematografico, ingaggiato
negli anni '10 dalle più importanti produzioni nazionali (lavora anche
nel celeberrimo "Cabiria", nel ruolo di Massinissa), quindi
anche "metteur en scène" già dal 1913, fondatore nel 1919 di
una casa cinematografica a Milano (la "Proteus" poi
"Fulgor") e ancora regista di cinque popolarissimi lavori (1921)
della "serie corsara", prodotti dalla romana "Rosa
Film", tratti da Salgari e girati tra la Sicilia e la Spagna.
Tuttavia è Alfredo Alonzo (Catania 1858-1920) - il magnate catanese dello
zolfo - a creare nella città etnea, il 31 dicembre 1913, la prima vera
grande casa di produzione - la "Etna Film" - che allocata a
Cibali (dove ancora esistono, riattati, i grandiosi locali) avrà
purtroppo vita breve ed effimera (poco più di due anni) e costerà al suo
ideatore sangue, sudore e lacrime, provocandone alle fine il rapido
default e la morte.

Sulla scia della "Etna Film" in breve altre tre case di
produzione, attratte dalla rapida crescita del cinema, tenteranno la
fortuna investendo (nel periodo più sbagliato) uomini e capitali nel
nuovo "affaire". Quasi contemporaneamente nascono: la
"Sicula Film", la "Ionio Film" e la "Katana
Film", tutte annunciando programmi poi abbondantemente
ridimensionati, ma dando la stura ad una tumultuosa attività
imprenditoriale che scopre di colpo suggestive locations e spinge con
forza la città etnea nel circuito virtuoso del "policentrismo
produttivo", in Italia tratto peculiare dei primi decenni della
neonata "settima arte".
Poco avveduta, pencolante tra mecenatismo ed avventurismo, la nuova
industria etnea segna comunque, nel bene e nel male, il punto più alto
della "golden age" produttiva siciliana e farà gridare al
miracolo di quella che storici del cinema hanno in seguito definito la
"Hollywood sul Simeto".
Alonzo non esita addirittura a lanciarsi immediatamente nell'avventura del
kolossal, producendo l'agiografico-religioso "Christus" o
"La sfinge dell'Ionio" (1914) diretto dal conte Giuseppe De
Liguoro, noto ed esperto regista proveniente dalla "Milano Film"
e destinato a divenire il "metteur en scéne" (la parola
"regista" è di là da venire) numero uno della nutrita scuderia
artistica della casa di produzione catanese. "Christus" (girato
nel golfo di Ognina) impegna centinaia di comparse e punta alla conquista
del mercato internazionale, ma si rivela un flop. Lo sforzo economico
intacca gravemente le riserve finanziarie della "Etna Film" che
però prosegue l'attività, finché la crisi provocata dalla bufera
bellica, le errate scelte produttive, la partenza per il fronte delle
maestranze, sprechi faraonici e contrasti interni d'ogni tipo, affondano
definitivamente il sogno di Alonzo. Fallisce anche un timido tentativo di
ripresa compiuto dal "cavaliere" nel 1918. Oltre a
"Christus" sempre nel 191
4 escono: "L'appuntamento" e
"La danza del diavolo" di De Liguoro, "Paternità" di
Gian Orlando Vassallo e cinque comiche di breve durata tutte interpretate
da Cryzia Calcott, alias Maxismine Lanterne. In pieno conflitto bellico
(1915) arrivano sugli schermi: "La coppa avvelenata" di Enrico
Sangermano, "Il cavaliere senza paura", "Poveri figlioli!
", "Il nemico", "Patria mia! " tutti
dell'infaticabile De Liguoro; quindi "Pulcinella unica" regia
per l'"Etna" di Anton Maria Mucchi, mentre restano ignote le
regie degli ultimi "Idillio al fresco", "La perla
nera" e "La dama bianca". I grandiosi locali dell'
"Etna Film", vera e propria Cinecittà ante litteram in
sedicesimi, saranno poi venduti nel 1930 (dopo lunghissima trattativa) al
Comune di Catania per un importo di lire 780 mila.
Nata nel 1915, fondatori Giuseppe Coniglione ed Alfio Scalia, con sede in
via Lincon (oggi via Di Sangiuliano), regista di punta l'obliato Raffaele
Cosentino (Catania 1884 - Acireale 1957) e operatore il "barone"
catanese Gaetano Ventimiglia (passato poi con l'Hitchcock del periodo
inglese, indi divenuto direttore tecnico della Cines e infine docente del
Centro Sperimentale di Cinematografia), la "Katana Film" produce
appena cinque film: "Anime gemelle", "Per te amore! ",
"Il latitante", "La guerra e la moda" e "Il
signor Diotisalvi" tutti per le regia di Cosentino e tutti con visto
censura del 1916.
Ancor più modesto l'apporto della "Sicula Film", creata
dall'avvocato Gaetano Tedeschi dell'Annunziata sempre nel ‘15, con sede
in via Umberto 50 ("Alba di libertà",
"Presentat'arm", "Il vincolo segreto", tutte regie di
Gian Orlando Vassallo). Esiguo anche il contributo della "Jonio Film,
fondata da Francesco Benanti ancora nel ‘15, con sede in via Quartiere
Militare, impegnata soprattutto nel documentarismo. Due soli i film:
"Valeria" e "Gli irredenti", il primo rimasto inedito
e il secondo quasi non distribuito.
Con molti progetti rimasti nel libro dei sogni, chiude qui la rutilante
stagione della "Hollywood sul Simeto". Complessivamente una
trentina di film repertoriati con regolare visto censura (altri forse,
perso il marchio originario, sono divenuti irriconoscibili), quasi tutti
cascami tardo-romantici, film pseudo-storici, patriottici e qualche timido
accenno verista, dei quali nessuno - vittima dell'incuria,
dell'inconsapevolezza e d'una scriteriata furia iconoclasta - è
sopravvissuto fino ai nostri giorni.
Nessuna fortuna avrà a Catania la "Morgana Films" fondata da
Nino Martoglio, quasi immediatamente trasferita a Roma e con la quale il
vulcanico "moschettiere" di Belpasso produrrà, dirigendoli, il
mitico (e mitizzato) "Sperduti nel buio" (1914) "Capitan
Blanco" (1914), entrambi con Giovanni Grasso sr. e Virginia
Balistrieri, e "Teresa Raquin" (1915). Fallisce anche un
misterioso tentativo di creare ad Ognina nel 1916 un'altra "Trinacria
Films", dovuta «all'opportuna iniziativa di capitalisti siciliani»
(Cinemagraf, 1916), da non confondere con l'omonima palermitana e della
quale si conosce solo un titolo: "Parker il poliziotto" (mai
portato a termine). Tra gli altri tentativi fallimentari, compiuti
entrambi alla fine del muto, da ricordare la "Audax Film"
fondata nel 1928 dal comm. Cosmo Mollica Alagona, proprietario del grande
albergo "Paradiso dell'Etna" di S. Giovanni La Punta (che crea
anche una rivista omonima) e la "C. A. D. I. R. " (Cine Attori
Dilettanti Italiani Riuniti) fondata nel 1929 dal maestro Alfio Ottorino
Russo. Altri due capitoli di sogni irrealizzati all'ombra del vulcano.
La
Sicilia, 4/8/2012

Una
Cinecittà sotto l'Etna: il Cinema a Catania nei primi decenni del
Novecento
di
Ignazio Burgio.
Tra
il 1913 ed il 1916 a Catania non solo vennero girati
"kolossal" del cinema muto che fecero molto effetto all'epoca,
ma sorsero anche diverse case cinematografiche, come l'Etna Film, la
Katana Film, la Sicula Film, e la Jonio Film. Anche il commediografo
Nino Martoglio con una sua casa di produzione, la Morgana Film, insieme
al grande attore Giovanni Grasso, produsse pellicole che divennero delle
pietre miliari nella storia del cinema internazionale. Poi quella breve
stagione d'oro improvvisamente finì...
Al
tempo in cui i Fratelli Lumière a Parigi davano le prime proiezioni
pubbliche della loro straordinaria invenzione (la prima delle quali fu
tenuta il 28 dicembre 1895 al Salon Indien del Gran Cafè), la città di
Catania stava vivendo una prospera stagione, sia economica, ma ancor di
più culturale. L'industria di raffinazione dello zolfo (di notevoli
dimensioni, come ancora testimoniato dalle alte e numerose ciminiere che
ne rimangono), le molteplici industrie alimentari ed il commercio degli
agrumi, alimentavano il traffico di navi mercantili dell'attiguo porto,
complice anche il favorevole periodo di espansione economica
internazionale, ed il comodo accesso al Mediterraneo tramite il canale
di Suez.
Ma quelli erano anche gli anni in cui vivevano e scrivevano Giovanni
Verga, Luigi Capuana, Federico De Roberto ed il commediografo Nino
Martoglio, solo per citare gli autori meglio conosciuti. Tanto i salotti
quanto i teatri di Catania erano ben frequentati da personalità colte e
benestanti che si preoccupavano di tenersi ben informate su tutto quanto
accadeva di nuovo, non solo in città ma anche nel resto del mondo: e
ciò non solo per far bella figura in società ma anche per sfruttare
nuove occasioni di affari.
Non deve sorprendere pertanto se già nei primi mesi del 1896, appena
poco tempo dopo cioè le notizie sulle prime proiezioni parigine, un tal
“Salvatore Fichera di Catania” fece pervenire in Francia la
richiesta di “comprare il cinematografo o di essere informato
sull'apparecchio” (come per la verità fecero anche altri in Italia).
Ma in realtà nella città etnea dovevano già essere parecchi i primi
appassionati cinefili, dal momento che per l'anno successivo (il 1897)
sono già documentate non solo le prime proiezioni di ambulanti che
girovagando di piazza in piazza allestivano alla bella e meglio quello
strano spettacolo, ma anche le prime vere riprese amatoriali di Catania.
Al 1897 appartengono infatti degli spezzoni di “Vedute di Messina e
di Catania in movimento”, ad opera di appassionati di cui
purtroppo si è perso il nome, mentre contemporaneamente già il 24
gennaio dello stesso anno, Nino Martoglio sul “D'Artagnan”, giornale
satirico da lui fondato nel 1891, esprimeva i primi entusiastici
commenti sotto forma di dialogo: “Li civitoti a lu cinematografu”.
Sempre nel medesimo anno è documentato, nella notte tra il 31 marzo ed
il primo aprile, il furto di un apparecchio cinematografico ai danni di
un tedesco, (apparecchio poi ritrovato e riconsegnato al proprietario)
che come afferma Fra
nco La Magna “fa assurgere il cinema agli onori
della cronaca”. (La Magna, 1995).
Il crescente interesse dei catanesi per la nuova tecnologia (del 1898,
ad esempio, sono altre due riprese amatoriali: “Passeggio alla
Villa Bellini” e “Una ricreazione di bambini alla Villa Bellini”),
spingono al “business”, e così già pochi anni dopo il Teatro
Sangiorgi, appena inaugurato nell'anno 1900, ospita le prime proiezioni
dei Fratelli Lumière, immancabilmente pubblicizzate con sincero
entusiasmo da Martoglio sul suo giornale ("ingresso per pochi
baiocchi!"). Il medesimo teatro diviene nel 1905 la prima sala
cinematografica stabile di Catania, seguita poi dall'apertura di altre
oggi non più esistenti, come il Cinematografo Mondiale, la Sala Italia,
il Club Unione, ed il Cinematografo Moderno, distrutto da un incendio
nel giugno del 1906 (ma riaperto a tempo di record nel settembre dello
stesso anno con il nome di Lumière Moderno).
Le
pellicole proiettate in quei primi anni nelle sale catanesi o erano di
origine straniera (come i cortometraggi di George Mèliès, il primo
inventore dei trucchi cinematografici) o prodotte da altre società
cinematografiche sorte nel frattempo nelle maggiori città della
penisola, come la Cines di Roma o la Ambrosio di Torino, che
cominciarono a produrre le prime pellicole a soggetto storico o
letterario: ad esempio “La presa di Roma” (1905), “Gli ultimi
giorni di Pompei” (1908) o le due versioni dei Promessi Sposi che
uscirono sempre nel 1908, una delle quali diretta da Giuseppe De Liguoro.
La città di Catania comunque poteva già offrire se stessa ai primi
suoi concittadini spettatori in documentari quali “Catania e la
Circumetnea” delle Manifatture Cinematografiche Riunite di Napoli
(1907), “Sua Maestà il Re all'Esposizione”, sempre del 1907,
e la prima documentazione filmata - perlomeno a livello professionale
– di una “Eruzione dell'Etna”, del 1909 (ambedue della
Ambrosio).
Contemporaneamente però nello stesso periodo cominciavano ad essere
prodotti – sempre da società della penisola - i primi film tratti da
soggetti di autori catanesi: ad esempio, una prima versione di “Cavalleria
rusticana” per la regia di Mario Gallo, interpretata dal grande attore
catanese Giovanni Grasso (1908), una breve versione comica della
Sonnambula di Bellini (dal titolo “La sonnambula del villaggio”,
dei F.lli Pineschi di Roma, sempre del 1908), e due versioni della Norma
nel 1911 (una della Vesuvio Film di Napoli, e l'altra della Film d'Arte
Italiana). Anche Luigi Capuana venne messo in celluloide nel 1912 con il
film “Malìa”, tratto da un suo lavoro teatrale ed interpretato
dagli attori catanesi Attilio Rapisarda e Mariano Bottino. I medesimi
due interpretarono sempre nello stesso anno un altro film interamente
girato a Catania, “Feudalesimo o Terra Baixa”, (uno dei testi
teatrali più rappresentati all'epoca, dello spagnolo Angel Guimerà)
prodotto dalla Roma Film per la regia di Alfredo Robert.
Secondo alcuni inoltre già nel 1909 in un film girato anch'esso a
Catania da una società romana, dal titolo “Il divo”, fece la
sua prima apparizione il popolare attore catanese Angelo Musco, che fu
autore di un curioso episodio (ma molto significativo, secondo qualche
critico, delle nuove potenzialità comunicative del cinema). La scena,
ambientata nel centralissimo mercato di Piazza Carlo Alberto (che a
quanto pare al momento delle riprese non era stata trasformata in un “set”,
ma era normalmente aperta al pubblico), prevedeva come da copione una
finta lite con un mercante ambulante del posto, per poi essere
immediatamente sedata da altri interpreti. Ma il giovane Angelo Musco
malmenò talmente il malcapitato interprete che aveva di fronte da
provocare anche una vera e propria rissa generale in tutto il mercato,
cosa che lo costrinse ad una fuga così rocambolesca da danneggiare per
di più una gran quantità di merce esposta sulla strada. La società
romana per poco non finì in bancarotta a causa dei danni che fu
costretta a pagare per tutte le stoviglie, il vasellame ed i prodotti
alimentari distrutti durante la fuga, ma ciò che lasciò maggiormente
sconcertati i dirigenti della società fu la giustificazione che diede
loro il giovane Angelo Musco: voleva cioè rendere più realistica la
scena al di là della consueta recitazione teatrale, imponendo a se
stesso e all'attore che aveva di fronte di “vivere” la parte
anzichè recitarla come sul palcoscenico (anticipando così di parecchi
anni i teorici della differenza tra “recitazione cinematografica” e
“recitazione teatrale” - cfr. Saitta, U., 1981, p. 53 e sgg.).
Intorno
al 1912-13, insomma, i tempi sembravano ormai maturi perchè anche a
Catania – così come ad es. già avvenuto nel medesimo periodo a
Palermo – sorgessero le prime società cinematografiche locali, tanto
più che una delle maggiori società di Roma, la già citata Cines,
ospitava tra i suoi amministratori un rilevante numero di siciliani: il
vice-direttore Carlo Amato, Pietro Moncada, conte di Caltanissetta, ed
il principe di Paternò, che ovviamente non mancarono di orientare la
produzione della casa cinematografica verso soggetti ed ambienti
siciliani, nonchè catanesi.
La svolta avvenne nel 1913 per diversi motivi. Innanzitutto la medesima
Cines rivolse la sua attenzione a Nino Martoglio, introdotto nella
Società “siculo-romana” dall'attore catanese Attilio Rapisarda
(perlomeno a quanto dichiarato da quest'ultimo). In quell'anno veramente
d'oro per il commediografo di Belpasso vennero prodotti un buon numero
di film tratti da alcuni suoi soggetti di genere drammatico. Il primo,
dal titolo “Il romanzo”, la cui regia – secondo alcuni – sarebbe
stata dello stesso Martoglio, venne interpretato nel ruolo di
protagonista da Pina Menichelli, una bella attrice nata in provincia di
Messina, che per il suo tipo di recitazione troppo “passionale” in
questo ed in altri film incappò spesso nelle prime forme di censura da
parte dell'allora governo Giolitti (oltre che in quelle della Chiesa che
già dall'anno prima – perlomeno a Catania - aveva cominciato a far
sentire la sua voce). A questa prima pellicola, sempre nel medesimo anno
1913, ne seguirono altre, sempre tratte da soggetti di Martoglio, quali
ad esempio “Il gomitolo nero”, “Il tesoro di Fonteasciutta”, “Il
salto del lupo o La castellana di Ninfa”.
Ma mentre la Cines di Roma coinvolgeva sempre più autori, attori,
ambienti e naturalmente anche i sempre più appassionati spettatori di
quella Catania “belle epoque”, un'altra
casa cinematografica del
Nord-Italia, la Itala Film di Torino, iniziò proprio nel 1913 le
riprese di quello che rimane nella storia come il più grande kolossal
del cinema muto, ovvero Cabiria, i cui esterni vennero girati anche a
Catania. Diretto da Giovanni Pastrone e sceneggiato nientemeno che dal
grande vate Gabriele D'Annunzio (che ne curò le didascalie per la
considerevole cifra, per quei tempi, di cinquantamila lire), venne
terminato l'anno seguente, raggiungendo (originariamente) la lunghezza
di più di 4000 metri di pellicola ! (i film dell'epoca mediamente non
superavano i 750 metri), per una durata complessiva di più di 4 ore.
Ambientato tra la Catania dell'età greca e l'antica Cartagine, narrava
le vicende epiche di una bambina catanese - Cabiria appunto - che
nella confusione seguita ad una eruzione notturna dell'Etna (i cui
fotogrammi vennero colorati di rosso), subisce, nell'ordine, il
rapimento, la vendita come schiava a Cartagine, ed il salvataggio in
extremis da parte dell'eroe Maciste (nome inventato dallo stesso
D'annunzio) mentre sta per essere sacrificata alle divinità cartaginesi.
Alla fine, una volta cresciuta, sullo sfondo storico della lotta tra
Annibale e Roma, riesce a riabbracciare il padre sulla spiaggia di
Catania, rimediando nel frattempo anche un buon matrimonio con un ricco
patrizio.
Costato due milioni di lire dell'epoca, e frutto di innovazioni tecniche
che fecero scuola anche ad Hollywood (come la macchina da presa posta
sul carrello, le lampade elettriche per la direzione delle luci, e le
scenografie in legno, anzichè dipinte), “Cabiria” - uscito come
già detto nel 1914 - si dimostrò a livello internazionale un vero
evento per l'epoca, ed ebbe uno straordinario successo di critica e di
pubblico, persino in America. A Catania fu uno dei pochissimi film
proiettati al Teatro Massimo Bellini con l'ausilio dell'Orchestra
Sinfonica che eseguì la “sinfonia del fuoco” composta per il film
da Ildebrando Pizzetti.
Ma se nel 1914 il kolossal dell'Itala Film cominciava a mietere
successi, già sul finire del 1913 il febbrile Nino Martoglio aveva
tentato di dar vita ad una prima società cinematografica catanese, la
Morgana Film, per poi tuttavia trasferirsi di nuovo a Roma e fondarne
un'altra col medesimo nome. Mentre il 31 dicembre – quasi a voler
sfruttare fino all'ultimo la magia di quell'anno così propizio – era
già nata sotto il vulcano siciliano, la più importante società
cinematografica catanese, la Etna Film.
La
“Società Anonima Editrice di Films, Etna Films”, omologata dal
Tribunale di Catania il 21 Gennaio 1914, venne fondata con un capitale
sociale di 200.000 lire – divise in duemila azioni da 100 lire l'una
– dal cavalier Alfredo Alonzo, imprenditore nel campo dello zolfo e
nell'esportazione della frutta secca, nonchè azionista di una società
di navigazione. Suo amico e fidato consigliere era Pippo Marchese,
drammaturgo e critico teatrale. Deciso a non badare a spese pur di
sfondare nel panorama cinematografico mondiale, per prima cosa fece
venire da Milano una personalità già nota ed esperta, il già citato
Giuseppe De Liguoro, in qualità di direttore artistico, regista – e a
volte anche soggettista ed interprete – dei film di imminente
produzione. Raccolse inoltre dal Nord-Italia e dall'estero, interpreti
già famosi (come la francese Simone Sandrè), tecnici già esperti, e
apparecchi e attrezzature un po' da tutto il mondo.


Ma come afferma Giusy Nicolosi in un suo articolo “...Quello che fece
più effetto fu l’immenso stabilimento costruito in sei mesi seguendo
i più moderni criteri e nel quale lavorarono, secondo le cronache,
quasi 500 operai. "Sarà il più grande d’Italia !" scrisse
su un periodico un attore scritturato dall’Etna. Tutti i
corrispondenti visitarono quella "piccola città" e ne
scrissero. Lo stabilimento sorgeva a Cibali [un quartiere di Catania,
n.d.r.], su un perimetro di 23.000 mq e vi si accedeva da quattro
entrate (sappiamo che una era adiacente alla stazione della Circumetnea
tutt'ora esistente e un’altra in via Cibele). All’interno, oltre a
quattro villini che ospitavano i vari uffici, vi erano numerose
costruzioni. Un orgoglio per la Casa erano i due teatri di posa: il più
“piccolo” di m 20 x 18 e il più grande di 26 x 30 (cioè circa 900
mq di ampiezza, capace di ospitare le riprese di quattro diverse scene
in contemporanea !).

Poi i camerini ed i saloni per gli attori e le
comparse; un’officina per i fabbri, una per i falegnami e una per gli
scenografi; la sartoria; i depositi del legname, delle scenografie, del
“mobilio” e di tutto il necessario per la ricostruzione degli
ambienti, "in quantità straordinaria, di tutti gli stili, le
epoche, le qualità"; un garage, con cinque automobili ed un
autobus, e una scuderia con cavalli e carrozze. Ma non è finita.
"La capitale della pellicola siciliana", come la definì il
direttore di un periodico milanese, disponeva anche dei laboratori
tecnici per lo sviluppo, il lavaggio, la coloritura, la stampa, la
revisione e il collaudo delle pellicole, e di una sala di proiezione
"vasta ed elegante come quella di un gran cinematografo".
Addirittura un corrispondente scrisse di un castello a grandezza
naturale. Il tutto immerso nel verde, tra viali, pozzi, fontane, sedili,
laghetti e piattaforme all’aperto, naturalmente tutto da utilizzarsi
nei vari films...” (Giusy Nicolosi - "Etna Film, una Hollywood
siciliana" - vedi bibliografia).

Nel dicembre del medesimo anno 1914 quella vera e propria "città
del cinema" fece uscire i primi film: “Paternità” e “l'Appuntamento”
(o “Rendez-vous”), drammi strappalacrime diretti naturalmente dal De
Liguoro, e programmati anche nelle sale della penisola. A Catania essi
vennero proiettati nell'elegante e prestigioso Cinema Olympia, in piazza
Stesicoro, inaugurato l'anno precedente (il tanto promettente 1913 !)
con un altro “kolossal” dell'industria cinematografica continentale,
“Quo Vadis ?“ di Enrico Guazzoni.
Ma la possibilità di lavorare a più film contemporaneamente consentì
all'Etna Film la produzione e l'uscita nel breve arco di pochi mesi di
un numero considerevole di pellicole di tutti i generi, dalle comiche
brevi (L'Istitutrice, Notte d'amore, La sportwoman, ecc. tutti del '14),
ai film drammatici, come “La danza del diavolo” (forse già del
'14), “La coppa avvelenata”, “Poveri figlioli !” , fino alle
commedie (come ad es. Idillio al fresco) e a quelli di argomento
militare (La guerra, Il nemico) tutti del 1915. Tutti riscuotevano
grande successo e le loro proiezioni costituivano un vero evento. Le
cronache dell'epoca raccontano che quando il già citato cinema Olympia
proiettava pellicole dell'Etna Film, nell'antistante Piazza Stesicoro il
numero di macchine e di carrozze era tale da bloccare tutta la
circolazione. Alcuni titoli – Il cavaliere senza paura, Poveri
figlioli !, Idillio al fresco – ricevettero anche l'onore di venir
proiettati al Teatro Massimo Bellini (7 marzo 1915), durante una
manifestazione di beneficenza. La società prese accordi anche con Luigi
Capuana – che ricevette il compenso di ottocento lire – per la
produzione di pellicole tratte dai suoi testi, ma in realtà non sembra
siano mai stati girati i programmati film “Il Marchese di Roccaverdina”
ed il “Benefattore” citati invece da altre fonti (cfr. La
Magna, 1995, p. 27).
Ma la gigantesca società nel medesimo anno 1914 fece a quanto pare il
passo più lungo della gamba, impegnandosi nelle riprese di un “kolossal”
- Christus o la Sfinge d'Ionio - che nonostante il coinvolgim
ento di un
elevato numero di attori e comparse in costume, l'ambientazione in
esterni (nel mare di Ognina, alla periferia di Catania), e le ricche
scenografie (venne costruita anche una nave antica) non riscosse un
adeguato successo di pubblico. Questo, insieme contemporaneamente ad
altri gravosi investimenti – come per la produzione del film in
costume “Il cavaliere senza paura”, ambientato nel Medioevo –
furono certamente all'origine della crisi contabile che insieme a tutti
i problemi nazionali e internazionali provocati dalla Prima Guerra
Mondiale, avrebbe purtroppo condotto all'improvvisa chiusura degli
stabilimenti all'inizio del 1916.
Nello
stesso anno 1914, intanto Nino Martoglio per conto della sua Morgana
Film con sede a Roma, ebbe l'opportunità di girare le sue due prime
pellicole, di tono più verista e naturalista rispetto ai lavori dell'
Etna Film. Ambedue videro come protagonista il grande attore teatrale
catanese Giovanni Grasso. Ma mentre il primo titolo, Capitan Blanco,
girato ad Aci Trezza ed in Libia, non incontrò i favori del pubblico
(probabilmente perchè il finale “poco tragico” finiva per snaturare
la trama verista), il secondo, Sperduti nel buio, non solo riscosse
all'epoca un grande successo, ma nei manuali della storia del cinema
viene spesso definito una vera “pietra miliare”, in quanto
considerato il primo film neorealista della storia.
“Sperduti nel buio, dal lavoro di Roberto Bracco, (definito “l'Ibsen
di Piedigrotta”) impressionò talmente – con la sua tragica
contrapposizione di due classi sociali drammaticamente a confronto, la
dolente e tormentata figura del cieco Nunzio (simbolo del “buio
sociale”) e della povera Paolina figlia abbandonata d'uno spiantato e
nobile dongiovanni, la rappresentazione di una Napoli miserabile e
cenciosa, sordida e maleodorante – da indurre gli storici e critici
del cinema (primi fra tutti il severo acese Umberto Barbaro) a definire
l'opera di Martoglio antesignana del realismo cinematografico; di essa
si parlerà a lungo nel secondo dopoguerra quando, in piena stagione
neorealistica, si esploreranno le deboli tracce della tradizione
realistica. Tutto il cast ebbe una ovazione di consensi, sebbene,
schiacciato dal vincente dannunzianesimo e dai kolossal
storico-mitologici, il film viene presto dimenticato, godendo
paradossalmente d'una esaltante gloria postuma...” (da: Cento anni di
Cinema a Catania (1895-1995), di Franco La Magna, EDIPROM – P. 29. Si
confronti anche l'articolo di Sarah Zappulla Muscarà, ricco di notizie
circa i commenti della critica dell'epoca).
E' opportuno comunque ricordare che sia la protagonista femminile,
Virginia Balistrieri, che il protagonista maschile, Giovanni Grasso,
definito anche da molti critici internazionali come il più grande
attore drammatico della storia, avevano già una solida esperienza di
teatro verista alle spalle. In particolare la recitazione di Grasso,
precisa ed accurata, ma anche fortemente carica di espressività
drammatica, suscitava non solo le lodi della critica, ma anche
l'entusiasmo delle platee di tutto il mondo, che andavano letteralmente
in visibilio quando nelle parti di duello l'attore sembrava quasi “volare”
sulla scena prima di piombare sull'antagonista mordendolo alla gola o
piantandogli la coltellata finale. Celebre il commento del russo
Mejerchol’d: “Mi resi conto di numerose leggi della biomeccanica
vedendo recitare il magnifico attore tragico siciliano Grasso”. Il
film “Sperduti nel buio” tuttavia è andato perduto durante
la seconda guerra mondiale e di esso resta solo qualche raro fotogramma.
Al 1915 appartiene invece il terzo ed ultimo film di Martoglio, Teresa
Raquin, la cui trama, tratta da un romanzo di Emile Zola, verte su di un
tema poi divenuto classico nella successiva storia del cinema, quello
del drammatico triangolo moglie-amante-marito e la tragica fine di
quest'ultimo. Di lì a poco tuttavia il produttore della Morgana Films,
Roberto Danesi muore in guerra, sconvolgendo forse oltre che il morale
anche i progetti dello stesso Martoglio. I suoi intenti erano infatti
quelli di girare altri film a carattere drammatico e verista di autori
di un certo rilievo. Sin dall'inizio del '14 aveva invitato anche Verga
ad ideare un soggetto per "una film" dichiarandosi disposto a
sceneggiarlo lui stesso in maniera speciale. Anche Pirandello (intimo
amico di Martoglio) in una lettera piena di entusiasmo si era dichiarato
d'accordo circa le sue scelte rendendosi anche disponibile a partecipare
lui stesso ("...non potrei fare qualcosa anch'io ? Avrei tanti e
tanti argomenti di qualunque specie..."), e scrisse un soggetto che
però non venne mai convertito in celluloide. Andata già in crisi nel
1915, ufficialmente la Morgana Film verrà poi sciolta nel 1918.
Detto per inciso, l'unica nota dissonante nel panorama intellettuale
catanese era in quegli anni quella di Giovanni Verga al quale non erano
affatto piaciute le prime riduzioni cinematografiche della sua “Cavalleria
Rusticana” (alcune delle quali anche comiche). Ma in realtà le sue
riserve culturali nei riguardi del cinema non gli impedivano nei fatti
di collaborare con esso. Pressato infatti dalle insistenti richieste
della sua compagna, la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo (in crisi
finanziaria), già dal 1912 stava lavorando insieme a lei in gran
segreto per sottoporre alla cinepresa alcuni suoi testi, quali “Storia
di una capinera” e “Caccia al lupo”. Ma per strana ironia della
sorte, a nessuno di questi soggetti verrà dato un solo colpo di
manovella – tanto meno da una società cinematografica catanese - fino
al 1917.
Sull'onda
del successo dell'Etna Film vennero fondate in quel periodo altre tre
società cinematografiche catanesi: la Katana Film, la Jonio Film, e la
Sicula Film, dell'avvocato Gaetano Tedeschi dell'Annunziata. Tra il 1915
ed i primi mesi del '16 sfornarono un certo numero di pellicole di vario
genere – comico, satirico, militare, ecc. - coinvolgendo interpreti
già famosi nell'ambiente teatrale o che lo sarebbero diventati negli
anni successivi dopo la breve e gloriosa stagione del cinema etneo: ad
esempio i due “divi” di allora Mariano Rapisarda ed Attilio Bottino
che interpretarono alcune pellicole della Sicula Film (“Alba di
Libertà”, “Presentat-arm!”, ambedue del 1915, ed “Il
vincolo segreto”, del 1916); la moglie dell'attore Angelo Musco,
Desdemona Balistrieri, che fu tra gli interpreti del film “Il
latitante” della Katana Film (1915), e Rosina Anselmi in “Per te
amore” sempre della Katana Film (1915).
Ma
improvvisamente all'inizio del 1916 - come già accennato - quella breve
stagione d'oro per la cinematografia catanese svanì insieme a tutti i
sogni di gloria internazionale. Travolta dalla crisi finanziaria, e
forse (come suggerito da Giusy Nicolosi) anche da forti contrasti in
seno al suo consiglio d'amministrazione, la Etna Film prese la decisione
di chiudere la sua attività insieme a tutte le sue im
ponenti strutture
(forse già entro la fine del gennaio 1916). Questo certamente
significò anche per tutte le altre società più piccole
l'impossibilità di continuare a girare altre pellicole, poichè – a
quanto sembra – ad essa si appoggiavano per tutti i servizi di
sviluppo dei negativi e talvolta anche per le riprese nei suoi teatri di
posa. In una lettera datata 4 febbraio 1916 infatti l'amministratore
della Sicula Film, Gaetano Tedeschi dell'Annunziata si lamentò col
cavalier Alonzo medesimo della sua improvvisa decisione di chiudere gli
stabilimenti.
In realtà la crisi delle società cinematografiche catanesi – e la
fine definitiva di ogni ulteriore tentativo, anche dopo il 1918, di
riavviare una produzione cinematografica locale – era anche una crisi
a livello nazionale, determinata sì certamente dalle difficoltà
prodotte dallo scoppio della guerra, ma anche da una pessima gestione
amministrativa delle risorse e degli investimenti. Sull'onda
dell'entusiasmo delle platee che affollavano i nuovi cinematografi i
produttori si buttavano spesso a girare film costosissimi –
soprattutto dal punto di vista tecnico, dal momento che a quei tempi - a
parte i "divi" - attori e comparse non ricevevano alti
compensi – che però non davano il sufficiente ritorno economico. Gli
storici del cinema sottolineano come già nel 1914 tutte le maggiori
società cinematografiche italiane fossero in perdita. Così come viene
evidenziata anche la miopia dei politici di allora che vedevano nel
nuovo mezzo mediatico più un pericolo per la morale dell'epoca che una
risorsa culturale da sostenere, anche finanziariamente, nei periodi di
crisi.
Paradossalmente,
comunque, proprio mentre a Catania tramonta nel 1916 il sogno
hollywoodiano di sviluppare una “Cinecittà” ante litteram ai piedi
dell'Etna (Film), Giovanni Verga fa finalmente il suo ingresso ufficiale
nel mondo della “settima arte” (o “decima musa” che dir si
voglia). E' quanto vedremo prossimamente su questi monitor !
da
http://digilander.libero.it/cataniacultura


Oreste
Bilancia, singolare fenomeno del cinema muto
Franco La Magna (La Sicilia 19.11.2011)
Nato
a Catania nel 1881, esordisce nel 1915 ed è presente in oltre cento
film, fra i quali «Casta Diva» di Carmine Gallone e «San Giovanni
Decollato» di Amleto Palermi
Con
i suoi oltre cento film interpretati a partire dal 1915 e fino al 1944,
meno di un anno prima della morte prematura, il catanese Oreste Bilancia
è in assoluto l'attore siciliano più presente nel cinema nazionale ed
europeo. Nato a Catania il 24 settembre 1881, cresce in uno con
l'esplosione delle formazioni teatrali catanesi della fine dell'800, ma
stranamente il suo nome ne resta fuori, finché entra a far parte della
compagnia Calabresi-Severi, per poi passare a quella più famosa dei
Galli-Guasti-Bracci-Ciarli come «secondo brillante», dove rimane fino
al 1910. La breve parentesi (1910-1913) come direttore del Casinò di
Sanremo e poi del Kursaal di Montecatini (1914; cfr. C. Lo Presti,
"Sicilia teatro", Firenze, 1969), non basta a distoglierlo
dall'attività artistica con il cinema iniziata a partire dal 1915,
quando esordisce interpretando «La scintilla» di Eleuterio Rodolfi,
prodotto dall'Ambrosio di Torino e «Romanticismo» di Carlo
Campogalliani.
Da
allora lavora alacremente e senza soluzione di continuità con i più
noti registi italiani del cinema muto
(il messinese Febo Mari, Augusto Genina, Gero Zambuto, Giovanni Pastrone,
Gennaro Righelli, Mario Almirante, Guido Brignone, Eleuterio Rodolfi,
Mario Camerini, Mario Bonnard, Giulio Antamoro…), interpretando,
sebbene spesso in ruoli secondari, un'impressionante quantità di opere
cinematografiche, appartenenti ai generi più diversi ma soprattutto al
comico-leggero, rendendo eccezionalmente familiare la sua presenza agli
spettatori del tempo. I suoi partner sono le celebrate dive e i divi
degli avventurosi anni dell'arte del silenzio: la siciliana Italia
Almirante Manzini («Femmina», 1917, di Augusto Genina; «Hedda Gabler»,
1920, di Giovanni Pastrone; «La statua di carne», 1921 e
«L'arzigogolo», 1924, di Mario Almirante; «Sogno d'amore», 1922, di
Gennaro Righelli), Maria Jacobini e Amleto Novelli («La casa di
vetro», 1920, di Gennaro Righelli); Linda Pini e Lydia Quaranta
(«Voglio tradire mio marito», 1925, di Mario Camerini).
Nel 1923 interpreta «Maciste e il nipote d'America» di Eleuterio
Rodolfi, insieme a Bartolomeo Pagano (il famoso Maciste di
"Cabiria"), soggetto di Gioacchino Forzano, uno dei primissimi
film di produzione italiana realizzato negli Stati Uniti d'America. La
lunga crisi che colpisce al cuore il cinema italiano, soprattutto nella
seconda metà degli anni '20, lo costringe ad emigrare in Germania (una
ventina di film) e in Francia (un paio di interpretazioni). Nel paese
della Repubblica di Weimar, a Berlino (dove rimane fino al 1929) nel
1926 gira tra gli altri «Die lebende Maske-Heinrich der Vierte»
(versione tedesca dell' «Enrico V» di Pirandello) di Amleto Palermi e
«Man Spielt nicht mit der Liebe» («Il principe del mistero») di
George Wilhelm Pabst, mentre in Francia, ingaggiato dalla Paramount di
Joinville lavora in alcuni film nel triennio 1927-29. Rientrato in
patria, a seguito del robusto intervento legislativo sul cinema messo in
atto dal regime fascista, è a fianco di Francesca Bertini e Ruggero
Ruggeri ne «La donna di una notte» (1930) di A
mleto Palermi e, more
solito, della «crème» del cinema italiano degli anni '30 (Maria
Jacobini, Livio Pavanelli, Soava Gallone, Germana Paolieri, Carlo
Lombardi, Assia Noris, Nino Besozzi, Isa Miranda, Emma Gramatica,
Leonardo Cortese, Alida Valli…).
Partecipa ad una pattuglia di film
d'ambiente siciliano, a cominciare da «Zaganella e il cavaliere»
(1931, tratto dal "Cavalier Petagna" di Luigi Capuana),
iniziato da Amleto Palermi e completato da Gustavo Serena e Giorgio
Mannini; nel 1935, insieme a Martha Egger e Sandro Palmieri, prende
parte al film «Casta Diva» di Carmine Gallone, prima, fumosissima,
biografia romanzata di Vincenzo Bellini; in «San Giovanni decollato»
(1940) di Amleto Palermi (da Martoglio), eccolo con uno scatenato e già
originalissimo Totò, del quale era già stato antagonista in
"Fermo con le mani" (1937) di Gero Zambuto, esordio
cinematografico del "principe della risata" ed ancora nel
calcistico "Cinque a zero" (1932) di Mario Bonnard, primo film
sonoro interpretato dallo scoppiettante Angelo Musco, ritenuto smarrito
ma da qualche anno ritrovato incompleto in Francia.
Alterna all'intensa attività cinematografica (anche in qualità di
doppiatore) quella teatrale, apparendo in molte celebri compagnie del
teatro di rivista (Odoardo Spadaro, Riccioli-Primavera, Wunder Bar,
Milly, A.B.C. 1, Macario), dove tratteggia sapide e gustose
caratterizzazioni generalmente di contorno. Tra gli ultimi film
interpretati: «L'amante segreta» (1941) di Carmine Gallone, con Alida
valli e Fosco Giachetti; «Quattro passi tra le nuvole» (1942) di
Alessandro Blasetti, con Gino Cervi e Adriana Benetti; «Macario contro
Zagomar» (1944) di Giorgio Ferroni, con Macario e Nadia Fiorelli, «Il
fiore sotto gli occhi» (1944) di Guido Brignone, con Mariella Lotti e
Claudio Gora. Muore a Roma il 31 ottobre 1945.
Così descritto, con notevole efficacia figurativa, da un poeta
contemporaneo: «Bilancia roseo/panciuto e bello/col tuo monocolo/gaio
"pulzello"/col fresco incedere/vispo e galante/d'inappuntabile
taglio elegante…», Oreste Bilancia «con l'eterno monocolo
nell'orbita…», dal faccione simpatico e cordiale rappresenta l'idealtipo
di comico vecchia maniera, dal gusto facile e plateale, amabile e
fracassone. «…. la sua fama di attore e la sua
"comunicativa" durarono a lungo e costituirono uno dei
fenomeni più singolari del cinema italiano del "muto" e del
primo "sonoro" » (cfr. "Filmlexicon degli autori e delle
opere", B&N, Roma, 1958), fama oggi purtroppo sprofondata nel
più nero oblìo, del tutto rimossa perfino nella città che gli ha dato
i natali. Destino, purtroppo, comune a molti artisti.

