Il grande attore catanese Angelo
Musco era ancora celibe e viveva presso la sorella Anna, sposata con
Giuseppe Pandolfini. La coppia aveva due figli, il celebre attore Turi
Pandolfini e Janu, titolare
del negozio di articoli di
lusso sul lato sinistro dei Quattro Canti a Palazzo San Demetrio, in Via
Etnea. Ianu, che non ha mai recitato, era personaggio estroverso e disposto a regalare almeno una
cravatta a chi non acquistava nulla. Sull’altro lato dei Quattro Canti,
l’analogo negozio dell’altro fratello Turi, raramente presente per i
suoi impegni cinematografici.
In un giorno del 1920 in Catania, a casa Pandolfini in via Etnea, si svolse un pranzo che in futuro divenne
famoso. Quel giorno il grande Musco fu invitato a casa del nipote Iano, sposato con la signora
Rosaria D’Urso. Oltre al celebre zio, fra i commensali c’erano il fratello Turi e i noti commediografi e giornalisti Nino Martoglio, Pippo Marchese e Peppino Fazio.
Arrivò il momento in cui Donna
Saridda portò a tavola i fumanti spaghetti con la salsa di pomodoro,
basilico, melanzane fritte e ricotta salata grattugiata.
Era un piatto
già da tempo gustato sulle tavole catanesi, dalle classi meno abbienti a
quelle borghesi, preparato da sempre e rigorosamente con costoluto “Rizzo”
catanese, quello enorme che impieghi una mattinata a renderlo una crema
rossa più salutare di una medicina, la ricotta salata di Vizzini, la
melanzana turca tagliata per lungo, olio Nocellara dell’Etna, pasta di
grano siciliano al 100 %, aglio e basilico. Nient’altro.
Dopo le prime forchettate, Nino
Martoglio si complimento' con la padrona di casa: "Signora Saridda,
chista è ‘na vera Norma!". Naturalmente, considerata la presenza di
accreditati e qualificati "gazzettini", il complimento scese
immediatamente al pianoterra e si spalmò in un baleno in tutta la via
Etnea, da sempre salotto e "curtigghiu" dei catanesi. Dunque Nino
Martoglio venne definitivamente accreditato come l'artefice dello
pseudonimo "alla Norma" la popolare pasta catanese, anche se non fece
altro che ripetere una felice espressione del popolo per un rispettoso e
sentito omaggio a Vincenzo Bellini, perché "Norma" a Catania non
significa solo musica, ma anche il "non plus ultra" di ogni cosa:
infatti la riverenza al Cigno catanese, autore di Norma, è stata, è
ancora adesso e sarà sempre esclusiva. "Pari ‘na Norma", sembra una
Norma, era ed è l'attuale paragone per la mania all’esagerazione di cui
sono sempre stati affetti i catanesi.
Alcuni hanno scritto "Pasta ca norma"
termine che sarebbe stato pronunciato nel Settecento da un nobile
di passaggio a Catania ma sotto questo aspetto, “pasta ca Norma” non
significa niente. "Ca" o "cca" varrebbe come "pasta con la ricotta" o
con la salsa. Quindi, scrivere pasta ca Norma è errato, perché la Norma
diventerebbe un ingrediente. Qualcuno ha scritto pure che il piatto era
dedicato a una bella maestrina.
Su youtube ero iscritto a un canale
di gastronomia. A questo cuoco gli ho visto preparare la Norma. Dunque:
preferiva la melanzana Violetta detta Seta (che si sfalda alla frittura)
a pezzetti anzichè la Turca, quella tagliata religiosamente a fette
lunghe con le quali un tempo si faceva pure cena oppure merenda dentro
le mafaldine bollenti, mentre l’olio di quelle fette sublimi scolava
sulle mani.
Catania nel 1920.
Si vanta poi di lasciare la buccia nera. Dai, chi sarebbe
quel pazzo che penserebbe di eliminare quel po' di amaro che si sposa a
meraviglia col dolce del nostro pomodoro? Poi la sua salsa, preparata
con pomodoro Piccadilly (che ci potrebbe anche stare) ma frullato e
fatto diventare una cremina dal color biochetasi. Questo no! Per finire
lo scellerato scempio, ha buttato giù la pasta e ha detto: “ecco le
busiate, tipica pasta catanese!”. Errato! Le busiate sono di Trapani. A
Catania la Norma la facciamo con gli spaghetti, i rigatoni o le penne.
Quello che poi mi ha fatto cancellare dal suo canale è stato quando,
dopo averci elogiato per questo piatto straordinario, ha detto che la
sua migliore pasta alla Norma l’ha assaggiata a Roma. Ovviamente, CANC.
Un'onta per un catanese !
Oltre a questo signore, su internet
ho visto ricette di Pasta alla Norma scandalose: dal cacioricotta
spacciato per ricotta salata alle melanzane a pezzetti, dal pomodoro San
Marzano agli gnocchi! Sarebbe come dire che per fare la pizza Margherita
originale occorrono le sottilette Kraft al posto della mozzarella fior
di latte.
I testimonial della pizza napoletana
sono Pulcinella e una regina di casa Savoia. Noi non siamo così
titolati, abbiamo solo un musicista. Ma si chiamava Bellini, e di nome
Vincenzo!
M.R.
ALTRE (FANTASIOSE)
VERSIONI SULLA DENOMINAZIONE
1) Nel 1832 alla Scala di Milano ci fu la
presentazione dell'opera di Bellini,« La Norma », il pubblico applaudiva
con grande entusiasmo, ma i milananesi non
gradirono l'Opera. Dal palco dei coniugi Turina, ironicamente Bellini
disse: e milanisi cià duppau u risottu (ai
milanesi gli è rimasto il risotto nello stomaco). Questa frase venne ripetuta con ironia in tutta la Sicilia e per sgarbo al risotto milanese
si volle dare il nome ad un piatto tipico catanese.
2) Altre fonti poco la attribuiscono a
una maestrina;
3) Altre che fu dedicata all'amore che Bellini nutriva per il
soprano Giuditta "Pasta", Callas dell'Ottocento e amata da molti
compositori, modellando
la sua Norma sulla personalità e il timbro musicale della Pasta per
l'aria di "Casta Diva",
4) Per altri ancora, il nome sarebbe merito di un
cuoco catanese che, per omaggiare il celebre concittadino Vincenzo
Bellini, pensò di perfezionare una ricetta di pasta con le melanzane per
dedicargliela, dandole appunto il nome.
FIPE Confcommercio: la Pasta alla
Norma patrimonio dell'Unesco per rilanciare il settore della ristorazione
Questa è la nuova mission della FIPE
Confcommercio, un progetto che, in realtà, l’associazione dei ristoratori
accarezza da tempo e che adesso, più che mai, può contribuire al rilancio del
settore nel post pandemia - 08 febbraio 2021
Sostenere il riconoscimento della pasta alla Norma come
patrimonio culturale gastronomico dell’Unesco. Questa è la nuova mission della
FIPE Confcommercio, un progetto che, in realtà, l’associazione dei ristoratori
accarezza da tempo e che adesso, più che mai, può contribuire al rilancio del
settore nel post pandemia. “Grazie all'interesse sempre più diffuso per la
gastronomia siciliana da parte della clientela straniera - afferma il presidente
regionale della Fipe - Confcommercio Dario Pistorio -, la pasta alla Norma è
diventato il piatto più apprezzato del nostra terra e ha fatto si che la Sicilia
diventasse una delle mete più visitate nell’area del mediterraneo, dove il
legame fra cibo e luogo è forte, dove le tradizioni culturali e gastronomiche
tramandate da generazioni sono rimaste legate al territorio in maniera
indelebile.
E il visitatore scopre la nostra terra anche attraverso i
gusti e i sapori della sua cucina, scopre le contaminazioni che i popoli hanno
lasciato nel tempo e che ora caratterizzano la nostra isola baciata dal sole e
accarezzata dal mare rendendola unica e lasciando ai turisti un ricordo che si
porteranno dietro per sempre.
Per questo - conclude Pistorio - abbiamo il dovere di dare il giusto riconoscimento a ciò che di bello e di buono ci rappresenta”. Anche
Giovanni Trimboli, presidente dei ristoratori della FIPE (federazione italiana
pubblici esercizi) di Catania è convinto che la promozione del piatto tipico per
eccellenza della cucina mediterranea e i cinque elementi che la compongono siano
un richiamo importante ed utile per il nostro territorio. “Abbiamo bisogno di
fare sistema attorno ad un marchio di qualità che alzi il livello della
conoscenza della nostra ristorazione anche all’estero – dice Trimboli - e dia
valore all’impegno degli imprenditori e soprattutto alle tante maestranze, chef
e cuochi che operano nelle nostre cucine. Tutto questo potrebbe essere un buon
veicolo per dare più visibilità alle tipicità della nostra filiera gastronomica
in città. Per questo i ristoratori di FIPE Confcommercio, sostenuti da un
contesto socio politico e culturale con consensi anche trasversali tra loro ma
d’accordo nel remare nella stessa direzione, stanno facendo sistema attorno
all’iniziativa per valorizzare il piatto della Norma come simbolo della
tradizione, al fine che venga riconosciuto dall’Unesco come patrimonio
gastronomico della cucina siciliana da preservare”.
Tanti gli aneddoti tra storia e legenda che narrano di questo
piatto: uno dei tanti racconta la nascita dovuta ad una esclamazione dell’attore
e poeta Nino Martoglio; un altro l’addebita direttamente a Vincenzo Bellini che
insieme ad un suo amico cuoco siciliano a Milano hanno dato vita a questo piatto
di pasta, pomodoro, melanzane fritte e basilico, condito con generosa abbondante
ricotta salata. Impossibile risalire alla genealogia reale di questo piatto,
come spesso accade nella storia della gastronomia, ma è certo che la città di
Catania l’ha battezzato con il richiamo diretto all’opera di Bellini. “Il piatto
- continua il presidente Giovanni Trimboli - è così radicato nella cultura
siciliana che da anni è stata istituita la Giornata Nazionale della Pasta alla
Norma che si festeggia il 23 settembre.
Quest’anno, pandemia permettendo, insieme ai cuochi etnei
della FIC (federazione italiana cuochi) stiamo programmando una giornata
celebrativa itinerante presso i ristoranti e per le vie della città e provincia,
una festa di tutti dove la cultura, l’enogastronomia, l’arte, possano
coinvolgere tutto il tessuto produttivo dell’accoglienza e della ricettività. Il
progetto è già pronto e nelle prossime settimane sarà presentato alla città e al
sindaco di Catania Salvo Pogliese e a tutta la giunta cittadina. Miriamo a
trasformare il nostro progetto in un appuntamento fisso da riproporre negli anni
e magari spalmarlo in più giorni con appuntamenti di alto spessore”.
https://www.cataniatoday.it/
E'
n'capolavoru ccò micciu, fattu di semplici ngredienti ginuini, e propriu ppi chissu necessita ca
ognunu di iddi a essiri
....... cca' nocca! A
pasta è megghiu nustrali, provenienti da una terra ca na vota chiamavunu il
Granaio di Roma: Catania! Semu quattru, centu grammi a testa abbastanu, no? U furmatu
di chiddu ca vuliti, ma megghiu si calati spaghetti, maccaruni o pinni rigati. Ddu mulinciani,
megghiu a"Tucca" da zona di Aci, niura niura ca a pariri "Petru u
tuccu" quannu iucava 'o palluni. Casumai, na mulunciana Sita bedda ponchiolotta comu na
cuttigghiara da Civita
e viola comu i'mmiriusi. Appoi ci voluni tri chilati di pumarroru, ma no chiddi di San
Mazzanu o u Cilieginu di Pachinu ca addivintau cchiu peggiu ddo puddisino.... a quali! Cca ci voli u
Rizzu
Catanisi di Adernò: u
sapiti ddi belli
pumarori tunni tunni ca parunu u pupazzu da Miscilen, tutti scasciati ma duci
duci ca parunu fatti di pasta reali? Sì, avaia, chiddi russi n'da faccia ca
parunu affruntati dopu na carizza ca ci fici u suli da Chiana di Catania! A
ricotta salata chidda di Vizzini, ca si poi vi pari ancora modda
ammugghiatila intra a catta do pani e mittitila
n'do frigideri a sira prima. Da na testa d'agghiu russu da Nubbia scippatini ddu
spicchi e ppoi na cipudda nica, ogghiu bonu extraveggini di Malupassu e anticchia
di balicicò di Bedduviddi.
Ingredienti
per 4 persone. E'
un capolavoro splendente, fatto con semplici ingredienti genuini e per
questo motivo è necessario che ognuno di loro debba esserlo con tutti i
requisiti!
. E' quindi fondamentale,
per ottenere un risultato D.O.C., esaltare la materia
base di questo famoso piatto siciliano cercando di cucinarlo con prodotti esclusivamente
territoriali con marchi di origine protetti.
-
la pasta è meglio quella di
grando duro siciliano, proveniente da una zona che anni fa (2.000)
chiamavano il Granaio di Roma: Catania! Siamo in quattro e credo
che 400 grammi a testa dovrebbero bastare. Preferibilmente fra spaghetti, maccheroni rigati e penne rigate
-
due melanzane "turca" di Acireale, nere da sembrare Anastasi
nel suo periodo migliore; in alternativa della varietà
"Sita" tonde come una popolana catanese in un cortile
della città vecchia e viola come gli invidiosi
-
ricotta salata non troppo stagionata
di Vizzini (alcuni dicono che secondo tradizione debba essere quella
infornata. In verità, da quando sono nato questa l'ho vista all'opera in altre
provincie, ma mai sulle
tavole catanesi)
|
-
due chili e mezzo di pomodori,
ma che non siano i soliti San Marzano o il Ciliegino di Pachino: occorre
la varietà Beef costoluto ovvero il "Riccio
Catanese", preferibilmente della zona di Adrano, dall'aspetto deformato ma dolce e rosso di
vergogna per le carezze ricevute dal sole nella Piana di Catania;
-
due spicchi di aglio rosso di Nubia
-
un mazzo di basilico fresco di
Valverde;
-
olio extra vergine di
oliva di Belpasso
-
sale grosso q.b.
|
LA
PASTA
Circa
8.000 anni or sono, ancora in era neolitica, l’uomo iniziò a
coltivare cereali, apprese ben presto come macinarli, lavorarli,
e servirsene per la sua alimentazione.
I cereali macinati potevano essere poi essiccati, lavorati con
acqua, farina con salsa, sembra essere il significato associato
alla parola pasta.
Negli scritti di Cicerone, Orazio prima di Cristo, in quelli di
Apicio un paio di secoli d.C. fu possibile trovare le prime
valide documentazioni a proposito della pasta e dei metodi di
lavorazione impiegati per ottenerla.
Il De re coquinaria libri proprio di Apicio descrive infatti di
un timballo racchiuso in una schiacciata di farina, citata come
làgana.
La farina in forma di fili sembra sia originaria della Sicilia,
ed il nome che veniva attribuito a questi primordiali spaghetti
era itriyah, un nome di origine araba.
Qui sorge un dubbio: chi ha inventato gli spaghetti?!
Personalmente sono contento che siano stati inventati, frutto
comunque di lavoro dell’uomo, non necessariamente chi arriva
primo dona un contributo migliore di chi arriva dopo.
Senza togliere meriti a nessuno, sia chiaro, comunque sia i
Vermicelli di Tria in Sicilia, e non solo, sono ben noti anche
ai giorni nostri.
I maccheroni sono quelli divenuti forse più famosi, soprattutto
perchè dal 1200 in poi il loro consumo aumentò notevolmente:
diversi trafilati di pasta che vennero classificati proprio
sotto il nome di maccheroni.
Risulta curioso comunque anche come i Cinesi, circa 4.000 anni
fa, fossero anch’essi a conoscenza delgli spaghetti, sebbene
da loro il frumento non fosse ancora conosciuto.
Del resto, anche loro hanno dato il loro contributo alla storia
della pasta con cereali differenti dal grano: il miglio, o la
soia, i cui spaghetti sono apprezzabili e ben conosciuti, in
Occidente hanno riscosso un successo che forse non ci si
immaginava.
Nel Medioevo, la cottura, importantissima per la pasta, venne
contemplata anche con la bollitura, prima era molto in uso la
cottura in forno.
L’evoluzione dell’uomo nella coltivazione dei cereali,
quella relativa alla loro lavorazione, ha contribuito nel corso
degli anni nel far arrivare a noi un prodotto al quale, ben
difficilmente, potremmo rinunciare.
http://www.guida-acquisti.com/alimentari/pasta.html
E'
vero, cuocere la pasta in modo corretto non è poi così
difficile, è necessario però rispettare alcune indicazioni
fondamentali.
Incominciamo col scegliere la pentola giusta. Dovrebbe essere
grande abbastanza e più alta del suo diametro per contenere una
sufficiente quantità d'acqua. Come regola si consiglia 1 Litro
d'acqua per 100g di pasta. E' comunque opportuno usare una
quantità d'acqua superiore rispetto a questa indicazione,
perchè durante i tempi di cottura relativamente brevi la pasta
necessita di una temperatura costante e questa rimane più
facilmente costante con una grande quantità d'acqua. All'acqua
deve essere aggiunto il sale, circa 10 g. (un cucchiaino quasi
colmo) per 1 litro d'acqua. Non si possono stabilire i tempi
esatti di cottura della pasta, in quanto dipendono dal tipo di
formato e dal suo spessore. La pasta fresca è pronta molto
prima della pasta secca industriale. Per la pasta fresca il
tempo di cottura dipenda da quanto si è già asciugata. Quindi
c'è una notevole differenza se la pasta viene cotta subito dopo
essere stata tagliata o se verrà cotta dopo ore. Spesso non è
possibile stabilire il tempo esatto di cottura in minuti. Il
punto giusto di cottura è raggiunto quando la pasta diventa
tenera all'esterno, mentre la sua parte interna è ancora dura.
Questo punto di cottura è definito dai cuochi italiani con il
termine "al dente". Durante la cottura è necessario
assaggiare di tanto in tanto una piccola quantità di pasta per
controllare il punto di cottura. Ricordate anche che la pasta
non è da passare sotto l'acqua fredda, altrimenti perde il suo
strato di amido colloso necessario per legarsi bene con i sughi
e i ragù, unica eccezione viene fatta per la pasta che deve
essere servita fredda.
http://www.pasta.it/segreti.htm
ALCUNE
REGOLE FONDAMENTALI PER LA COTTURA
1
Occorre molta acqua. Come regola almeno 1 litro d'acqua per
100g. di pasta. Per le lasagne ne serve di più.
2 Aggiungere l'olio solo nei casi eccezionali. Solo per le
sfoglie di pasta più grandi come le lasagne o per la pasta
fresca che potrebbe incollarsi.
3 Buttare la pasta: la pasta lunga viene buttata tutta insieme,
la pasta corta invece versata nell'acqua un poco alla volta.
Portare l'acqua in ebollizione.
4 Mescolare con la forchetta di legno in modo che tutta la pasta
venga rigirata nell'acqua e non si incolli nella fase iniziale.
5 Appoggiare il coperchio e coprire la pentola per 2/3; il
vapore può fuoriuscire e la pasta cuoce in modo uniforme.
6 Prova di cottura per vedere se la pasta è "al
dente". E' necessario fare un assaggio ogni tanto.
7 Non appena è stato raggiunto il giusto grado di cottura
scolare la pasta tutta insieme. Far sgocciolare l'acqua e
procedere con la lavorazione.
8 La pasta si passa sotto l'acqua fredda solo quando la pasta
viene servita come contorno o per le insalate fredde.
Raffreddare con l'acqua significa fermare il processo di
cottura.
TAGLI CONSIGLIATI
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Tortiglioni |
Spaghetti |
Cataneselle
(casarecce) |
Fusilli
corti |
Penne lisce |
La pasta ideale per realizzare la “pasta alla
norma”, al netto del formato scelto, dovrebbe essere stata
prodotta a bassa temperatura (40°-45°C), con un tempo di
essiccazione di 24/48 ore, in modo tale da non inficiare le
caratteristiche organolettiche della semola utilizzata.
Nella zona della provincia di Catania, il
grano che veniva coltivato per produrre la semola apparteneva
alla varietà Margherito, che era il frumento più coltivato nella
Piana di Catania.
Il Margherito, insieme al "Senatore
Cappelli" ed al "Bidì", derivano da popolazioni
nordafricane e furono selezionati rispettivamente dal dr.
Santagati, dal Prof. Tucci e dal Prof. Strampelli. Le tre
varietà sono quasi indistinguibili botanicamente, ma in ordine
alla lunghezza del ciclo possiamo affermare che il catanese "Margherito"
è più precoce del "Bidì", che si adatta meglio alle zone
collinari. Le tre varietà hanno anche qualità tecnologiche
simili.
Il Margherito
risulta molto adatto alla pastificazione. Attualmente esistono
ancora alcuni pastifici nella zona del Catanese che producono
questo tipo di pasta,
|
GLI
ACCESSORI
In una "Natura Morta" catanese, di Norma
gli ingredienti sono questi.
IL POMODORO
Sebbene proveniente dalla regione francese che gli dà il nome,
anche il Marmande può essere considerato un ecotipo locale. Il
frutto è di
pezzatura
medio-grossa, schiacciato, con le tipiche costolature molto
evidenti e una collettatura verde molto marcata. La polpa è
spessa, poco acquosa e dolce. Vista la scarsa consistenza e la
limitata resistenza post-raccolta, i frutti vengono raccolti e
venduti a inizio invaiatura.Il Marmande è uno dei pomodori più
gustosi in assoluto. Ne esistono moltissime varietà, che vengono
commercializzate con nomi come Merinda, Marmandino e perfino
RAF. Le differenze fra le varietà sono poche nell’aspetto, ma
rilevantissime nel gusto. In tutto il mondo si cerca di
migliorare, ma il più saporito Marmande è tuttora quello
prodotto nel sud della Sicilia, in una stretta lingua di terra
fra Pachino, Marzameni, Portopalo. Qui la speciale composizione
del terreno vulcanico, ricco di sali minerali, il regime dei
venti, tipico di quella zona, permettono la produzione, da
febbraio fino all’inizio di maggio, di una vera prelibatezza. Ma
non è da meno la varietà Beef, assonanza per la sua grandezza
simile alla bistecca americana ovvero il Rizzo (Rizzu) Catanese,
che si coltiva in quasi tutta la Piana di Catania soprattutto
fra Adrano, Belpasso, Biancavilla e Bronte. Nei mercati popolari
catanesi abbonda in estate e questo prodotto orticolo è
riconoscibile dall'aspetto corpulento e rosso, con strane
costolature da farlo sembrare un rospo. Si fa perdonare per
l'eccellente sapore, così dolce da non farci pentire per
averlo scottato per quasi un'ora nella pentola.
Il Piccadilly è un
pomodorino di piccole dimensioni che trae origine dall’antico
pomodoro “Vesuviano”, coltivato nel sud Italia. I suoi grappoli
contengono dai 15 ai 20 frutti di forma ovale e dal peso di
30-50 grammi ciascuno.È un pomodoro ottimo per preparare salse
perché durante la cottura la buccia entra in amalgama con la
polpa, ma è ottimo anche in insalata per il suo gusto saporito e
dolce. Il colore è un bellissimo rosso vivo.
Il grappolo può essere conservato appeso in
luogo asciutto ed aerato per diverse settimane mantenendo
inalterato il gusto e il profumo.
Edicarpo liscio, di colore rosso molto acceso
- Forma sferica a grappoli a forma di lisca di pesce - Calibro
Calibro piccolo (20-25 gr) - Tenore zuccherino molto
elevato - Durezza media - Sapore dolcissimo - Proteine 0.8 -
Grassi 0.3 - Carboidrati 3.5 - Calorie 19
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LA
RICOTTA SALATA
Prodotta
con metodi tradizionali ed utensili storici, dopo la produzione, rimane nella
fiscella per circa 24 ore, in modo da permettere il necessario drenaggio del
siero e, nello stesso tempo, di farle assumere la giusta consistenza.
Resta
per 48 ore fuori dalla fiscella, per consentire un ulteriore asciugatura.
La
salatura viene effettuata tenendo ogni forma in mano e cospargendo accuratamente
tutta la superficie di sale; completata tale operazione, si procede, sempre in
maniera manuale, all’eliminazione del sale in eccesso.
Per
la salatura di ogni forma, occorrono circa 40/50 g di sale.
La
stagionatura avviene su scaffali di legno in ambienti ben areati; durante tale
fase, ogni 2/3 giorni le forme vengono capovolte e sottoposte ad un’attenta
pulizia della superficie esterna, al fine di eliminare sia le muffe, sia il sale
residuo.
La
ricotta Salata entra a far parte di diritto tra gli ingredienti piu’
importanti della cucina Siciliana, utilizzata soprattutto nel periodo estivo, la
troviamo nelle ricette di alcuni piatti simbolo della cucina tipica Isolana.
http://andreagraziano.com/2009/04/22/la-ricotta-salata/
La
ricotta salata, è ottenuta in seguito a salatura a secco e stagionatura per
circa due mesi. Deliziosa e gustosissima se grattugiata sui maccheroni o altre
pietanze.
Tipologia
latticino caseoso fresco, prodotto dal siero del latte di pecora, di capra e di
vacca (o misto).
Origine
del Nome
il termine "ricotta" conduce alla specifica tecnica di produzione, che
consiste nel ricuocere il siero di latte con aggiunta di altro latte fresco e di
sale: la ricotta si ottiene per affioramento.
Caratteristiche
del prodotto
La forma, generalmente tronco - conica, dipende da quella della fiscella dove
è posta la ricotta; la consistenza è morbida e cremosa, il colore è bianco. - Al naso risalta l'odore delicato del siero di latte.
- Al gusto è dolce e soave.
Storia.
La ricotta salata è un prodotto di antica tradizione, conosciuta notoriamente
come indispensabile ingrediente di alcune rinomate pietanze siciliane.
Tecniche e ambienti di produzione. Prodotta con metodi tradizionali e utensili storici; dopo la produzione rimane
nella fiscella per circa 24 ore in modo da permettere il drenaggio del siero e,
nello stesso tempo, assumere la giusta consistenza. Resta per 48 ore fuori dalla
fiscella per consentire un’ulteriore asciugatura. La salatura viene effettuata
a mano cospargendo accuratamente tutta la superficie di sale; completata tale
operazione si procede all’eliminazione del sale superfluo. La stagionatura
avviene su scaffali di legno in ambienti ben aerati.
Caratteristiche. Prodotto cremoso, compatto, di colore giallo-paglierino. Peso. Circa 1 Kg. Gusto. Sapore forte, gusto marcato, odore di grasso.
Origine. Tutto il territorio siciliano.
http://www.terramadre.it/
Carmelo Trasselli nel "Calmiere dei viveri al
minuto a Palermo" riporta la ricotta come uno dei generi alimentari
siciliani di più largo consumo.
E nel 1800 il sacerdote Gaetano Salamone scrive un trattato destinato
agli agricoltori e casari dove spiega con minuzia di particolari la
tecnica di fabbricazione della ricotta di pecora.
Ma la ricotta può essere sia di vacca che di pecora
che di capra.
Quest'ultima è la più buona in assoluto, mentre quella di pecora batte
per sapore la vaccina.
In Sicilia vi è anche la tradizione della ricotta
salata, senza la quale non si potrebbero preparare piatti tipici come la
pasta alla Norma.
Ma come viene realizzata la ricotta salata?
La ricotta si produce a partire dal siero del latte
al quale va addizionato il sale (la cui quantità varia a seconda della
tecnologia di produzione) ed il latte (proveniente sempre dallo stesso
genere di animale). Il tutto va riscaldato a circa 90 gradi fino a
quando non avviene l'affioramento della ricotta.
Quando è affiorata, si elimina la schiuma di
superficie e la si raccoglie in delle fiscelle, che vanno poste su di un
tavolo inclinato contenente dell'acqua fredda.
Attrezzature storiche: caldaia di rame stagnato "quarara",
bastone di legno "zubbu", contenitore di legno "tinieddu di l'agru" o "serratizzu",
fiscelle di giunco o di canne, fascere in legno (per la ricotta salata),
cucchiaio in legno "scumaricotta", mestolo, tavolo spersore. Fuoco
diretto legna-gas.
http://www.siciliafan.it/ricotta-salata-siciliana-come-si-prepara/
|
Le ricotte ancora fresche, meglio portare in
tavola con la grattugia a mulinello, in modo da evitare la forchetta
per “grattare” la ricotta. Se avete soltanto la classica grattugia
in metallo e non volete che la ricotta resti incollata a causa della
morbidezza, scaldate la grattugia sul fornello pochi attimi prima,
facendo attenzione alle scottature. |
|
LE
MELANZANE
consigliata
vivamente la TURCA
(tonda nera) Il periodo
della semina è assai dipendente dalla zona
in
cui si opera. Nel nord si semina sotto tunnel o in cassone ai primi di Marzo.
Bisogna insomma tener presente che, per svilupparsi, la piantina di melanzana
necessita di una temperatura piuttosto costante che si aggiri intorno ai 15°
centigradi. Si semina a spaglio, piuttosto rado per non dovere poi diradare
troppo, e su un substrato composto da terriccio fine mescolato con pari
quantità di torba concimata. Seminate preferibilmente sul bagnato con uno
strato di mezzo cm circa di sabbia. Tracciate dei solchetti nell’appezzamento
adibito allo scopo ed appoggiate i soggetti a distanza di 50 cm l’uno dall’altro
sulla fila. La distanza tra i solchi si aggirerà fra i 60-70 cm. Una volta che
sono poste tutte le piante in un solo solco colmatelo di terra premendo bene
intorno alle piantine stesse. La melanzana per ben produrre, necessita di
potatura: si devono asportare cioè i getti secondari che si sviluppano all’ascella
dei getti primari: su ogni pianta non ne devono restare più di 8-10. Il
raccolto è scalare ed il consumo deve essere immediato.
in
alternativa, SITA (Tonda violetta) -
PIANTA
DI ORIGINE Pianta erbacea annuale della famiglia delle Solanacee con
radice
fittonante e fusto eretto, rigido e ramificato, un po’ spinoso che raggiunge
circa 70-80 cm, foglie lobate, fiori solitari ascellari, violetti, anch’essi
un po’ spinosi. I frutti sono bacche, violacee, o bianche, di forma tonda,
oblunga od ovoidale, con la parte superiore avvolta in un calice. La superficie
è lucente, liscia o a costole. Grandezza, forma e colore si differenziano a
seconda della varietà.
UTILIZZAZIONE
ALIMENTARE La parte edibile è costituita dai frutti dotati di buccia spessa e
polpa carnosa di colore biancastro. Fra le varietà più diffuse ricordiamo la
Gigante bianca di New York, la Precoce di Barbentane, la Violetta lunga di
Napoli, la Violetta tonda. Le melanzane vengono consumate sia tagliate a fette
che a dadi, cotte, sia grigliate che fritte, impanate o lessate. Spesso questo
ortaggio entra in ricette elaborate come ad esempio melanzane alla parmigiana, o
melanzane ripiene.
COLTIVAZIONE
Predilige climi temperati o caldi, e soffre il gelo. Viene coltivata, in
semenzaio riscaldato, nel sud Italia in gennaio-febbraio, al centro-nord in
marzo. Quando le piantine hanno raggiunto 6-7 cm di altezza ed hanno emesso la
quinta foglia, si trapiantano in vivaio, in terreni poco profondi, di medio
impasto o sabbiosi, ricchi di sostanze organiche e dopo 2 mesi si piantano
nell'orto alla distanza di 50 cm sulle file e 70 cm tra le file. L’irrigazione
del terreno deve essere costante. La raccolta si effettua da giugno in quando i
frutti non sono del tutto maturi e si protrae fino a Settembre.
L'aglio
siciliano è tutto ottimo, particolare quello selvatico
dell'Etna presso Randazzo o Trecastagni e soprattutto quello dei
Nebrodi. Ma l'aglio
siciliano per eccellenza è a Nubia, piccola frazione di Paceco
(Trapani). Da sempre fonda la sua economia sulle saline e sulla
coltivazione dell’aglio rosso, tanto da far acquisire a Nubia
la denominazione dialettale di “u paisi di l’agghi”
cioè
il paese dell’aglio. Tale coltivazione viene ancora oggi
praticata con metodi tradizionali che si sono perpetuati nel
tempo che vanno dall’attenta selezione dei bulbilli, alla
tecnica di coltivazione rispettosa dell’ambiente, all’impianto
e raccolta manuale fino alla fase di asciugatura e
intrecciatura, sempre rigorosamente manuale. Un tempo le trizze
di aglio erano composte anche di centinaia di teste, erano
lunghissime, e si tenevano appese nelle abitazioni per
attingerne l’aglio necessario alla preparazione dei cibi.
Il
Basilico (Ocymum basilicum) è una erbacea annuale che
raggiunge anche i 60 cm d’altezza. Le foglie sono
differenziate a seconda della varietà. E’ un arbusto
profumato assai utilizzato come aroma in cucina, per sughi al
pomodoro, insalate fresche ovvero per il classico pesto.
La semina può essere effettuata direttamente in vaso o nell’orto,
avendo cura di proteggere la zona di semina con del tessuto non
tessuto, quando la temperatura non è ancora stabile. Il terreno
deve essere di medio impasto e ben drenato e per quanto riguarda
il terriccio il basilico non presenta particolari esigenze.
Ottimo quello coltivato a Valverde.
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L'olio
"Monte Etna" DOP è ottenuto dalla varietà Nocellara
etnea per almeno il 65% e da altre varietà presenti nella zona
(Moresca, Brandofino, Biancolilla, etc.). Al consumo ha un
colore giallo con riflessi verdi, odore fruttato leggero, sapore
fruttato con leggera sensazione di amaro e piccante.
L'olio extra vergine si ottiene da olive sane, raccolte entro il
periodo compreso tra l'invaiatura delle drupe fino alla seconda
decade di gennaio, variazione dettata dalla diversa altitudine
dei territori di produzione. Dopo la raccolta le olive vengono
conservate in recipienti areati fino alla molitura per la quale
sono ammessi solo processi meccanici e fisici, al fine di
ottenere un olio che sia il più possibile fedele alle
caratteristiche peculiari del frutto.
La
zona di produzione delle olive destinate alla produzione
dell'olio extravergine di oliva a denominazione di origine
protetta comprende, nell'ambito del territorio amministrativo
della regione Siciliana, i territori olivati dei comuni (atti a
conseguire le produzioni con le caratteristiche qualitative
previste nel disciplinare di produzione) che elenchiamo di
seguito:
Provincia
di Catania: Adrano, Belpasso, Biancavilla, Bronte, Camporotondo
Etneo, Castiglione di Sicilia, Maletto, Maniace, Motta S.
Anastasia, Paterno', Ragalna, Randazzo, Santa Maria di Licodia,
San Pietro Clarenza.
Provincia
di Enna: Centuripe.
Provincia
di Messina: Malvagna, Mojo Alcantara, Roccella Valdemone, Santa
Domenica Vittoria.
Che
vino abbiniamo? Il territorio dell’Etna si caratterizza per la presenza dei vini
“Doc Etna” nelle tipologie «Etna Bianco”, “Etna Bianco
Superiore” , Etna Rosso” e “Etna Rosato”.
L’ Etna Doc Bianco è un vino che si ottiene dalle varietà
Carricante (= 60%) e Catarratto bianco comune o lucido (40%=);
il disciplinare di produzione per i vini Doc “Etna Bianco”
prevede la possibilità di utilizzare le varietà Trebbiano,
Minella bianca ed altre a bacca bianca dal sapore non aromatico,
nella misura massima del 15% del totale.
L’ Etna Doc Bianco Superiore è un vino che si ottiene dalle
stesse varietà dell’Etna bianco ma solo con uve provenienti
dal territorio del comune di Milo” a condizione che nei
vigneti, da cui provengono le uve, il vitigno Carricante, a
modifica dell'art. 2, sia presente in misura non inferiore
all'80% ed il prodotto abbia una gradazione minima naturale
complessiva non inferiore a gradi 11,5”.
L’Etna rosso o rosato è un vino che si ottiene dalle varietà
Nerello Mascalese (= 80%) e Nerello Mantellato (Nerello
Cappuccio) (20%=); anche per questo vino, il disciplinare di
produzione per i vini Doc “Etna” rosso o rosato prevede l’utilizzo
di altre varietà dal sapore non aromatico, nella misura massima
del 10% del totale.
La produzione massima consentita per ettaro deve essere
inferiore a 90 q.li per la produzione dei vini « Doc Etna ».
La forma di allevamento più diffusa nell’area della “Doc
Etna” è quella ad alberello, seguita dalla spalliera e in
piccolissima percentuale dal tendone.
I comuni coinvolti nella Etna Doc sono 20:
Biancavilla, S. Maria di Licodia, Paternò, Belpasso, Nicolosi,
Pedara, Trecastagni, Viagrande, Aci S. Antonio, Acireale, S.
Venerina, Giarre, Mascali, Zafferana, Milo, Sant’Alfio,
Piedimonte, Linguaglossa, Castiglione e Randazzo.
Il disciplinare prevede che le operazioni di vinificazione
devono essere effettuate all'interno dei comuni delle zone di
produzione.
suggerisco
ERSE
'08, Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, un inno alla gioia
Siciliano.
Eccezionale
la sua finezza gia dal colore, un rubino brillante, fantastico.
Un naso speziato identifica già il calore delle terre che danno
questo vino.
In bocca è caldo, pieno ed equilibrato, una persistenza lugna
con un finale di bocca identificato da una punta amarognola
Prodotto
nella contrada di Rovettello in pieno Etna racchiude in se i due
uvaggi popolari di queste zone. Un vino del popolo potremmo
definirlo, che porta dentro di se tutto il peso di questo
territorio così magico e capace di rapire gli occhi ed il cuore
di Silvia Maestrelli e Federico Curtaz che da qualche anno
portano avanti questa splendida realtà ai piedi del vulcano
siciliano
http://www.federicocurtaz.it/blog/?tag=tenuta-di-fessina
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Pigghia a mulinciana e levici u
piripicchiu. Tagghiala a feddi larghi e iauti n'centimitru; cucchili assemi co
sali rossu, una sutta all'autra. Stannu scomodi? Mettici na petra pisanti,
pi n'ura. Accussì stanno ancora cchiu scomodi! |
Prendere
la melanzana ed
eliminare la parte erbacea. Tagliarla longitudinalmente
a fette larghe e spesse lasciando un centimetro di bordo nero, quindi
metterle a spurgare a strati alternati con sale
grosso, e con un
peso sopra, per circa 60'.
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Appoi mettili a friiri,
alleggiu alleggiu, falli sciddicari manu manu n'da fogghiu di
cattuni, ca troppu ogghiu poi ci fa mali! |
Friggere le grandi fette e adagiarle, man mano che si dorano,
su
fogli di carta
assorbente.
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Su pronti i pummaroru da
Chiana? Russi russi e ancora affruntati do suli..... e dacci na
lavata, prima d'ammazzalli! Ca cipudda e u sali rossu facci fari
a fini ddo puppu, finu a quannu ti riciunu "pietà!" Ma tu non t'arrimuddari!
N'do sculapasta, a sti cosi fitusa levici tuttu: ossa, peddi,
ugnia e baratteddi!
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Mettere in
pentola i pomodori tipici della Piana di Catania, privi della parte erbacea
e
ben lavati. Aggiungere
mezza cipolla rossa (*) tagliata in due,
ma solo per questa fase. Aggiungere acqua e poco
sale grosso; bollirli
fino a quando i pomodori si disfano; quindi privarli dei
semi e spellarli, con l'aiuto di un coltello, direttamente dentro un
colapasta..... (*) per i puristi:
mezza cipollina rossa è necessaria solo quando si sbollentano i
pomodori, solo due minuti, dopo si getta via. Chi ha lavorato in cucina lo sa,
chi legge solo facebook no.
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Mizzica quantu sangu ca
cula, nuzzunteddi! Ma u calvariu pi iddi nun finiu: prestu,
intra a n'focu ca pari u Mungibeddu, cu tutta a culatura do
sangu e l'agghiu. Appoi (ma non ti fannu pena?) dacci coppa co
vastuni di ligno mentri stanno ugghiennu, fino a squagghiarisi!
Facci ittari sangu. Mischini, chi brutta e amara morti! Ci
volissi almenu n'pocu i zuccuru pi sta mala sorti! |
.....
da cui si verserà il liquido in eccesso da riporre in un
mestolino. Sul fuoco aggiungere il pomodoro tagliato a pezzi, 2
spicchi d'aglio imbionditi, allungare col liquido in eccesso e
un cucchiaio di zucchero (*)
a fine cottura. Cuocere a fuoco moderato per 30 minuti pestando
col cucchiaio di legno fino a quando si raggiungerà la
consistenza di salsa.
(*) per i puristi: da via Palermo a Via Messina,
a Catania da
sempre si aggiunge un cucchiaino di zucchero nel caso in cui il
pomodoro risulti aspro o il sugo viene preparato (hai!,
succede!) con passate veraci, notoriamente acide.
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Intra a pignata mettici
tantu balicicò, comu si fussi u mari. Quanno su cotti, pigghia
sti sventurati, ca non sannu mancu natari, e falli anniari.
Cummogghia! Prima ca si potissiru salvari. Affugati falli moriri! |
Al
contempo, in una ciotola in ceramica preparate un letto di
basilico crudo sul fondo. Appena la salsa è quasi cotta aggiungere olio d'oliva,
amalgamare
il tutto e trasferirla nella ciotola; coprire per
alcuni minuti e spegnere, sempre coperto.
Dopo
aver preparato il piatto di portata finale, preparare la ricotta
salata a piccoli pezzettini.
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Cchi fa, nivica a Catania?
A quali, è a ricotta tappinara ca si sta n'cipriannu pi stasira!
Ora è ura di calarici u spaghettu e dopu deci minuti fallu
scinniri n'da piazza. E chi fa stu cosu longu, ca pari n'a
cimedda, fisteggia sulu sulu? Ma no, ci fannu cumpagnia ddi
poviri disgraziati intra a pignata, ca appena visturu a ricotta
tutti a vulevunu ppi zita!
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Grattugiare
abbondante ricotta salata e tenerla pronta, a portata di mano, in un piattino.
Portare
ad ebollizione gli spaghetti, preferibilmente al dente, per 10 minuti
circa. Scolate
la pasta
e versatela nel piatto di portata finale.
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A ricotta, buttanella, sta
taliannu a scena e ‘nsutta, ma tu dicci di starisi muta e si
continua, tagghiala a pizzuddi sta lingguta! Poi vai o Chianu di
sant'Aita e jetta vuci, vannìa a tutti ca a festa sta p'accuminciari!
N'facci a Sant'Aituzza abballunu tutti assemi, i cunnannati s'arriminunu
e a ricotta s'annàca e s'arricrìa.
Sveggognati, stu buddellu
faciti davanti a Santa? O chianu pareva Carnevali! Tutti
l'invitati vosuru assaggiari i mischineddi misi n'fila sutta a
fungia do Liotru, e cchi ssu beddi! C'è cu pigghia nenti, c'è cu
mangia tantu ni sta festa ca Martoglio fici addivintari u nostru
vantu!
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Di fronte alla patrona della città di questo piatto, senza
vergogna si riuniscono tutti gli ingredienti una festa, compresa
la spudorata ricotta salata. In piazza sembrava Carnevale, tutti
gli invitati volevano assaggiare i condannati tutti riuniti
sotto la statua dell'elefante (il
Liotru) . C'era chi prendeva niente, chi
troppo, in questo vanto che ci ha regalato Nino Martoglio.
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Ah,
mi tuppulianu n'da carina: "bedda matri, cu je?".
Era u maestru
Bellini in persona, ca mi dissi: "Babbu di l'ova,
chi cumpassa facisti? Ti scuddasti u balicicò,
te cca! Ora
sì ca è na vera "Norma!...."
Grazie
Cigno!
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