https://www.mimmorapisarda.it/2025/SICILIASOPRA2.GIF
https://www.mimmorapisarda.it/2025/siciliasinistra.jpg

https://www.mimmorapisarda.it/2025/siciliafilm.gif

https://www.mimmorapisarda.it/2025/siciliadestra.jpg
https://www.mimmorapisarda.it/2025/siciliasotto.jpg

Raffaello Lucarelli, il pioniere del cinema siciliano.

Antonio La Torre Giordano riflette sulla figura di un pioniere del cinema italiano.

 

È noto quanta confusione regni nei settori della storiografia, della thttps://www.mimmorapisarda.it/2025/se2.jpgeoria e della critica cinematografica. Le origini del cinema e l’attribuzione cronologica delle scoperte e dei meriti, per molti, rimane una materia controversa. A tale disordine contribuisce anche un certo unilateralismo metodologico delle ricerche che non si è mai uniformato ad uno standard condiviso, soprattutto per le ricerche di prima mano. Non esistono convenzioni uniformi compartecipate a livello internazionale per la ricerca nel campo della storiografia del cinema. La difficoltà di accesso a fonti primarie autentiche e la mancanza di una metodologia standardizzata per la loro analisi complicano ulteriormente il quadro. Le fonti primarie possono essere incomplete, frammentarie o difficili da interpretare, e senza un approccio condiviso alla loro analisi, i risultati delle ricerche possono differire tra loro. Il cinema è un campo intrinsecamente multilaterale; coinvolge aspetti tecnici, artistici, culturali e sociali e, paradossalmente, ciò complica ulteriormente le indagini poiché private di un approccio integrato e multidisciplinare. Questo tema è quanto mai confacente alla trattazione biografica sul pioniere del cinema italiano Raffaello Lucarelli, sul quale in passato – anche recente – sono state elaborate deduzioni inesatte.

Agli albori, i precursori del cinema si ergevano come dei moderni profeti, diffondendo l’evangelio della nuova forma espressiva dell’immagine, proprio come fecero in precedenza i lanternisti itineranti. Tra i primi cineasti italiani di rilievo storico vi è Vittorio Calcina, precursore nella realizzazione di cortometraggi documentaristici e narrativi. In breve tempo, altri antesignani emergono sulla scena cinematografica. Tra questi spicca il regista e inventore Filoteo Alberini che già dal 1895 perfeziona un dispositivo di ripresa simile e contestuale a quello dei fratelli Lumière. Operano in più direzioni anche figure di rilievo come Italo Pacchioni, Arturo Ambrosio, Luca Comerio, Giovanni Vitrotti, Roberto Omegna e molti altri, con contributi significativi e diseguali, ma sempre volti allo sviluppo del cinema italiano delle origini. Sono tutte personalità con storie emerse dall’oblio nel corso dei decenni, grazie ad indagini approfondite che hanno in parte colmato gli aspetti più lacunosi dell’epopea cinematografica. A questi apostoli del cinema va assegnato il nobile merito di aver contribuito all’evoluzione del film, arricchendo il panorama storico del cinema con opere e sperimentazioni rinnovatrici e progressiste. Tuttavia, non tutti hanno ricevuto il riconoscimento che avrebbero meritato, soprattutto se si considera il loro contributo effettivo alla cinematografia sia regionale che nazionale. Nonostante il loro impatto significativo e le innovazioni introdotte, molti precursori del cinema sono rimasti nell’ombra come dei fantasmi, immolati ad un mancato tributo per il loro ruolo così fondamentale a causa di una certa approssimazione storica, oppure – ed è l’ipotesi più plausibile – per una semplificazione metodologica di ricerca. Raffaello Lucarelli – fotografo, esercente, documentarista, regista, produttore, distributore, impegnato nel cinema per oltre vent’anni – ne è un esempio preclaro. Molti degli studi sul pioniere umbro compiuti da ricercatori e storici del cinema – su tutti, i lavori imprescindibili di Nino Genovese, Franco La Magna, Nila Noto e Sebastiano Gesù – impongono una revisione – poiché presentano alcune lacune e inesattezze dovute al mancato accesso alle fonti documentali originali che recentemente sono emerse.

Reputato erroneamente fiorentino – o semplicemente toscano e talvolta romano (sic!) –, Raffaello Lucarelli (all’anagrafe Raffaele, Gabriele, Pietro) nasce in Umbria l’11 ottobre 1879 , a Gualdo Tadino (Perugia), l’antica Tarsina, e poi Tadinum, storica città situata nel nordest della Regione. In piazza Vittorio Emanuele, nel cuore dell’abitato, vi era il negozio «Fotografia Lucarelli», ovvero, il luogo familiare ispiratore che ha agito come una placenta, nutrendo e modellando le future inclinazioni del futuro cineasta. Esaminare la vita e l’opera di Lucarelli, proveniente da una modesta famiglia e precoce fuggitivo dalle strette provinciali, implica un viaggio attraverso la nascita del mondo della celluloide. Questa è un’indagine che attinge alle radici dello stesso, esplorando il suo concepimento, il suo sviluppo, e l’affermazione come rituale profano e universale, che va oltre la mera biografia individuale.

Il Cinematografo seduce ed incanta il giovane Lucarelli da Gualdo Tadino, sebbene il cinema non sia ancora accompagnato da una particolare rilevanza popolare né cultuhttps://www.mimmorapisarda.it/2025/luc4.jpgrale. Egli viene chiamato alle armi in quel di Spoleto il 18 ottobre 1899, ma ciò non frammenterà il desiderio che lo abita: investire la propria vita nel cinema. Sceglie Palermo come sfondo al suo progetto, la sua città d’adozione in cui si trasferirà il 28 luglio del 1905, quando concluderà il servizio di leva nel personale ferroviario d’armi. Nell’ottobre del 1905, i fratelli Lucarelli fonderanno la Lucarelli-Film – tra questi, solo Lorenzo raggiunse Raffaello a Palermo e collaborò costantemente con lui fino al 1911, mentre Barbara guidò le sale in Gualdo Tadino –, nonché il cinema di pregio Edison Saal, poi assumerà l’antroponimo rinascimentale di «Raffaello» ché gli parve più consono al suo ruolo pubblico, nel brioso contesto della Belle Époque; girerà i primi cinegiornali e fonderà a Palermo uno dei primi multisala europei, ovvero il Cinema-Teatro Lucarelli in via Cavour, la struttura cinematografica più lussuosa e performante in Sicilia; si consorzierà con la francese Pathé Frères e prenderà lezioni di ripresa presso «Le Studio Éclipse (Société Générale des Cinématographes Eclipse)»; fonderà il Giornale Cinematografico Lucarelli – GCL , quindicinale realizzato sul modello del Pathé Journal, e poi diffuso in tutto il mondo. Lucarelli e la sua troupe filmeranno gran parte degli eventi sociali, culturali, sportivi e di costume a Palermo ed in Sicilia, diventando l’uomo dei primati e il cineoperatore di riferimento della famiglia Florio, incluse, ovviamente, tutte le edizioni della Targa e i numerosi eventi patrocinati dal Casato. Supportato dalla famiglia Florio e dopo aver realizzato Festa a Villa Igiea (1906), il tycoon umbro  filmerà moltissimi eventi notiziabili a Palermo e in Sicilia, mentre nel maggio del 1908 introdurrà in Sicilia il «Cinemateathrophon», un innovativo dispositivo che rappresentava il precursore del cinematografo parlante e già in uso nelle sale parigine. Fornirà un sostegno fattivo a Filippo Tommaso Marinetti che nel 1911 effettuerà una serie di conferenze sul futurismo al Cinema-Teatro Lucarelli. Inoltre, il cineasta riceverà prestigiosissime onorificenze per l’impegno cinematografico come le medaglie d’oro conferite da Vittorio Emanuele III Re d’Italia, che lo nomina Cavaliere della Corona d’Italia, e quella del Kaiser di Germania e Prussia Guglielmo II, per le riprese cinematografiche in occasione della sua visita a Palermo; prolifico e stakanovista – nel dossier monografico di prossima pubblicazione a lui rivolto sono stati catalogati oltre 70 titoli, ma il numero è di fatto parziale – girerà i primi lungometraggi a soggetto in Sicilia, alcuni dei quali co-prodotti con la Pathé , come La bufera (1913), Più forte dell’odio (1913), Il silenzio del cuore (1914), Ondina (1914), Occultismo (1914), Liquor somniferus (1914), ecc. e La regina della notte (1915), realizzato dalla Azzurri Film del titolare dell’omonima Scuola di recitazione, ovvero Paolo Azzurri, con la supervisione dello stesso Lucarelli; gestirà contemporaneamente sette sale e un’arena nella città di Palermo e due in Gualdo Tadino; all’Esposizione Internazionale di Genova del 1914 verrà insignito di una medaglia d’oro al valore artistico; dopo la collaborazione con la Pathé, darà vita a un secondo ciclo co-produttivo con una Casa straniera, partecipando alla realizzazione dei due gialli dell’elvetica Lumen-Film di Losanna, retta dal precursore svizzero Albert Roth De Markus – Profumo mortale (1915) e Il romanzo fantastico del dott. Mercanton o il giustiziere invisibile (1915) – entrambi girati a Palermo nel 1915, riutilizzando in gran parte le stesse scenografie della Lucarelli-Film. Il contributo di Raffaello Lucarelli, a buon merito il “Capostipite del cinema in Sicilia”, è annoverato tra i pionieri del cinema italiano e va ben oltre un semplice profilo regionale. Il 30 settembre 2024, l’Università di Milano-Bicocca ha organizzato una conferenza dal titolo Il pioniere del cinema: Raffaello Lucarelli – Repertorio cinematografico italiano tra passato e futuro, nell’ambito della XV ª edizione del Gran Festival de Cinema Muto di Milano e in collaborazione con l’Archivio Siciliano del Cinema di Palermo. Nel 2025, anno in cui ricorre il 120° anniversario della fondazione della Lucarelli-Film, il Comune di Gualdo Tadino, cittadina natìa del cineasta, celebrerà adeguatamente l’illustre figura, riscoprendo e onorando un suo nobile cittadino, il cui impatto nel mondo del cinema ha segnato profondamente la storia culturale del Paese.

https://www.antoniolatorregiordano.it/libro/raffaello-lucarelli-il-lumiere-di-sicilia/

https://www.mimmorapisarda.it/2025/SALA44.GIF

 

 

Il cinema in Sicilia

La Sicilia, con le sue tradizioni, la sua storia millenaria, i suoi paesaggi sconfinati in cui già si trovano le prime contraddizioni isolane costituite dall'alternanza tra speroni rocciosi e distese pianeggianti, i suoi abitanti che tendono più che mai ad esser in simbiosi con la propria terra, è tutto un mondo da scoprire. Un buon metodo di lettura e di conoscenza dell'isola è senza ombra di dubbio il cinema.

In effetti, la Sicilia è una fonte inesauribile di storie nuove ed atmosfere sempre suggestive e coinvolgenti che interessano non solo il cinema, ma anche la letteratura, due forme espressive che spesso si uniscono, pur mantenendo sempre la propria identità, nel tentativo di offrire delle piacevoli rappresentazioni dell'isola stessa.

Parlare di cinematografia in relazione alla Sicilia vuol dire ricordare una serie di film spesso ineguagliabili, dei capolavori realizzati grazie alla partecipazione di grandi interpreti italiani e stranieri e che hanno trattato varie tematiche, da quelle comiche a quelle d'amore, da quelle storiche a quelle mafiose.

La cinematografia italiana e straniera si è molto interessata alla Sicilia ed i nomi ricorrenti e celebri che hanno rappresentato l'isola sono Visconti, Germi, Rosi, Taviani, ai quali si aggiungono quelli di artisti più "giovani" del calibro dei "Premi Oscar" Tornatore e Benigni e di Gianni Amelio.

Affrontare il binomio Sicilia-Cinema vuol dire anche adottare criteri di scelta nel ricordare i numerosissimi film ed interpreti che hanno contribuito a rendere molto ricco tale settore.

Il ilm di Francesco Rosi "Salvatore Giuliano", realizzato nel 1962 con gli attori Salvo Randone, Frank Wolff e Pietro Cammarata, è completamente girato in Sicilia e precisamente nei luoghi legati al famoso bandito (Montelepre - Pa -, dove il bandito nacque, e l'ambiente circostante costituito in prevalenza da montagne, a partire da Montedoro dove spesso il bandito si rifugiava, e Castelvetrano - Tp - dove egli visse l'ultimo periodo della sua vita e dove fu trovato morto). La scelta dei luoghi fu determinata, come ammise lo stesso regista, per ottenere un maggiore coinvolgimento emotivo alla vicenda che si stava narrando.

Lo stesso tema è stato successivamente ripreso dal regista Michael Cimino nel 1987 per la realizzazione de "Il Siciliano". In questo caso la storia del famoso bandito siciliano, qui interpretato da Cristopher Lambert, ebbe una diversa ambientazione cinematografica, cioè Sutera - Cl -. La città fu scelta perché molto somigliante, per struttura, a quella originaria del bandito e per mantenere un certo alone di riservatezza attorno alla produzione.

Il regista genovese Pietro Germi (1914-1974) ha scelto di ambientare alcuni dei suoi film a Sciacca - Ag - e precisamente per realizzare "In nome della legge" nel 1949 e "Sedotta ed abbandonata" nel 1964.

I vari luoghi della cittadina sono stati ripresi nei due film per intrecciarsi meravigliosamente con le vicende narrate tanto da confondersi con esse. Pensare di rivedere oggi gli stessi luoghi è un'impresa ardua perché il tempo e soprattutto l'azione dell'uomo li ha notevolmente modificati.

 "Nuovo Cinema Paradiso" realizzato nel 1988 da Giuseppe Tornatore, film premiato con l'Oscar. Il film va ricordato come una testimonianza d'affetto nei confronti del cinema.

In questo film si hanno numerosi riferimenti a film celebri, a partire da "La terra Trema", i cui titoli di coda scorrono nel cinema colpendo gli analfabeti e curiosi clienti, e "Catene". Il film va ricordato come uno squarcio della storia del costume, cioè di come il cinema ha saputo coinvolgere e far sognare chi vi si accostava e come un buon strumento di aggregazione. Alcune scene del film furono girate a Cefalù - Pa -, ed esattamente quelle riguardanti il porticciolo e le distese di case abbandonate, riprese che riguardano alcune fasi della crescita del protagonista del film.

Il film "L'avventura", realizzato da Michelangelo Antonioni nel 1960, fu girato nelle Isole Eolie, ed esattamente a Lisca Bianca. Inizialmente l'isola è il teatro per l'incontro dei protagonisti del film che la scelgono per raggiungere i loro amici, ma ben presto essa si tramuta nel luogo della perdita. In effetti, durante una sosta, "Anna" (Lea Massari) scompare e "Sandro" (Gabriele Ferzertti) e "Claudia" (Monica Vitti) iniziano a cercarla. Nel frattempo tra i due nasce un sentimento, che però si rivelerà effimero quando, raggiunta Taormina, Claudia scoprirà Sandro tra le braccia di una prostituta.

Molti film sono stati girati nella provincia di Ragusa. Un primo esempio è sicuramente "Marianna Ucria", film tratto dall'omonimo romanzo scritto da Dacia Maraini e girato da Roberto Faenza nel 1996 in buona parte a Villa Fegotto, nelle vicinanze di Chiaramonte Gulfi. Il regista Gianni Amelio realizzò nel 1993 il film "Ladro di bambini" per la Erre Produzioni e Alia Film con gli interpreti Enrico Lo Verso, Valentina Scalisi e Giuseppe Ieracitano.

 

 

Le scene sulla spiaggia e col mare furono girate sempre nella provincia di Ragusa. Da ricordare il film "La stanza dello scirocco" tratto dal romanzo di Domenico Campana, realizzato dal regista Maurizio Sciarra ed interpretato da Giancarlo Giannini e dalla catanese Tiziana Lodato. Gli "interni" del film furono girati nel Castello di Donnafugata ed altre scene sono state girate a Monterosso Almo. Un successivo aspetto della cinematografia isolana riguarda gli attori nati in Sicilia e che hanno contribuito ad accrescerne la popolarità.

Un altro grande attore siciliano è Giovanni Grasso (1873-1930), discendente da una famiglia di marionettisti e ricordato soprattutto per la sua recitazione estremamente dura e verista. Tra i film da lui interpretati occorre decisamente ricordare "Sperduti nel buio", un film muto del 1914 realizzato da Nino Martoglio e tratto dal dramma di Bracco.

Il film tratta di due derelitti, il cieco Nunzio (interpretato da Grasso) e Paolina (interpretata da Virginia Balistrieri), diseredata dal padre naturale, il duca di Valenza, e sfruttata dalla malavita. "Nunzio" riesce a liberare la ragazza dalla sua schiavitù ed i due conducono insieme una vita misera mendicando.

Turi Ferro (1921) è un altro attore siciliano molto famoso. Il suo impegno lavorativo maggiore è rappresentato dal teatro, ma ha lavorato spessissimo anche per il cinema. Si possono citare, infatti, film come "Un uomo da bruciare" (realizzato dai fratelli Taviani e da Valentino Orsini nel 1965), "Malizia" (film del 1973 realizzato dal regista Salvatore Samperi), "Il lumacone" (film del 1975 realizzato da Paolo Cavara e con gli attori Agostina Belli e Ninetto Davoli), "Il Turno" (realizzato da Tonino Cervi nel 1981 e con gli attori Laura Antonelli, Vittorio Gassman e Paolo Villaggio) e "Novella Siciliana" (opera realizzata da Wolf Gaudlitz nel 1988 per la Salafilm & Duofilm Munchen e con gli attori Hilmar Thate e Massimo Bonetti).

Indimenticabile è la coppia di attori comici palermitani Franco Franchi (all'anagrafe Francesco Benenato) e Ciccio Ingrassia che realizzarono insieme più di cento film. Tra essi si può citare "L'Onorata Società" di Riccardo Pazzaglia girato nel 1962 insieme ad attori del calibro di Vittorio De Sica, Domenico Modugno e Rosanna Schiaffino.

Indimenticabili sono anche le trasposizioni di alcuni testi letterari in opere cinematografiche.

Tra le trasposizioni cinematografiche delle sue opere si possono citare, ad esempio, quelle riguardanti "Storia di una capinera" realizzata nel 1917 per la regia di Giuseppe Sterni per la Silentium Film e quella del 1945 realizzata per la regia di Gennaro Righelli con gli attori Marina Berti, Claudio Gora e Tina Lattanzi per la Titanius.

Indimenticabili sono, inoltre, le trasposizioni cinematografiche de "La cavalleria Rusticana". L'opera verghiana è ricordata soprattutto per la sua drammaticità. Santuzza, compromessa per la sua relazione con Turiddu Macca, scopre d'esser stata tradita dal compagno che ha avuto un incontro amoroso con Lola, la moglie di Alfio di Licodiano. Lo stesso Turiddu, in realtà, era stato a sua volta tradito perché era innamorato di Lola, ma, quando ritorna dal servizio militare, scopre che la donna si era già sposata. Mentre tutta la cittadinanza sta seguendo la messa della mattina di Pasqua, Santuzza rivela tutto ad Alfio ed i due uomini si scontrano in un duello che decreterà la morte di Turiddu.

L'opera letteraria divenne un film per ben due volte nel 1916, la prima per la regia di Ubaldo Maria del Colle per la Flegrea Film e la seconda per la regia di Ugo Falena per la Tespi Film. Ci furono altre rappresentazioni di tale opera, a partire da quella realizzata nel 1924 per la regia di Mario Gargiuolo per la Film d'Arte Italiana/Lombardo Film e quella del 1939 per la regia di Amleto Palermi, per la Scalera Film e con gli attori Isa Pola, Carlo Ninchi, Doris Duranti e Leonardo Cortese.

L'agrigentino Luigi Pirandello si interessò al cinema in maniera sempre crescente. L'autore collaborò attivamente dando spunti originali per la realizzazione di vari film come "Acciaio" del 1933 realizzato da Walter Ruttmann, con articoli e conferenze aventi come soggetto sempre il cinema e con la messa in scena di sue numerose opere e novelle.

Da citare, in quest'ultimo caso, sono le trasposizioni cinematografiche di "Liolà" - celebre commedia che narra delle alterne vicende amorose dell'anziano Zio Simone Palumbo e del gaio Liolà rappresentato nel 1964 per la regia di Alessandro Blasetti con gli attori del calibro di Ugo Tognazzi, Pierre Brasseur e Giovanna Ralli - e "Kaos" - realizzato nel 1984 per la regia di Paolo e Vittorio Taviani con gli attori Margarita Lozano, Claudio Bigagli e Massimo Bonetti -.

 

 

Non si possono trascurare, inoltre, film come "L'uomo, la bestia e la virtù" tratto dalla commedia omonima di Pirandello e realizzato per la regia di Steno, film che riunisce attori del calibro di Totò, Orson Welles, Viviane Romance, Franca Faldini, Mario Castellani, Giancarlo Nicotra e Clelia Matania, ed ancora le varie rappresentazioni de "Il fu Mattia Pascal", come quella realizzata nel 1925 da Marcel L'Herbier e quella più recente realizzata da Mario Monicelli dal titolo "Le due vite di Mattia Pascal".Successivo esempio del felice connubio tra scrittori siciliani e cinema è rappresentato dalle trasposizioni cinematografiche di alcune opere di Leonardo Sciascia, a partire da "A ciascuno il suo" - realizzato nel 1967 per la regia di Elio Petri, per la casa Cemo Film e con gli attori Gian Maria Volontè, Irene Papas e Gabriele Ferzetti - e "Il giorno della civetta" - realizzato nel 1968 per la regia di Damiano Damiani per la Panda Cinematografica e con gli attori Franco Nero, Claudia Cardinale e Lee J. Cobb -.

L'incontro tra Sciascia ed il cinema si ha anche con il film di Gianni Amelio "Porte Aperte" - realizzato nel 1990 per l'Istituto Luce Ucrania Film e con gli attori Gian Maria Volontè, Ennio Fantaschini e Vitalba Andrea - e con il film di Emidio Greco "Una storia semplice" - realizzato nel 1991 per la BBE Internatinal-Claudio Bonivento Production e con gli attori Gian Maria Volontè, Ennio Fantaschini, Ricky Tognazzi e Massimo Ghini . Lo stesso Sciascia ammise di sentirsi molto debitore nei confronti del cinema grazie al caratteristico modo di raccontare che ha tale strumento di comunicazione, così come il cinema, del resto, è debitore nei confronti di questo genio letterario siciliano dal quale attinse molto quando si voleva parlare di mafia, politica, giustizia, di intrighi dal chiaro riferimento a tematiche civili e sociali.

Vitaliano Brancati può esser degnamente ricordato come un illustre figlio della Sicilia e come un intellettuale che si distinse per le sue attività di letterato, critico cinematografico, commediografo e sceneggiatore. Come autore teatrale, soprattutto nella maturità, si distinse per la trattazione di alcuni temi ricorrenti come l'osservazione dei costumi e la trasposizione, spesso esagerata, dei vizi della provincia. Lo scrittore nativo di Pachino  aveva pubblicato il racconto "Il vecchio con gli stivali" da quale si ottenne l'idea per la sceneggiatura del famoso film "Anni Difficili" realizzato nel 1948 dal regista Luigi Zampa, girato a Modica - Rg -ed interpretato dagli attori Ave Ninchi, Umberto Spadaro e Massimo Girrotti.

Tale lavoro è l'esempio classico della massima fedeltà tra cinema ed opera letteraria, è la testimonianza di come il protagonista Aldo Pisciatello è un antieroe, un uomo destinato a sottostare alla mentalità della sua Modica per esser successivamente e nuovamente sconfitto quando i tempi cambiano sotto il vento del fascismo e della democrazia.

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/2025/savoca.gif

 

 

Il binomio Brancati-Zampa merita d'esser ricordato non solo per questo film, ma anche per "Anni Facili" del 1953 e "L'arte di arrangiarsi" del 1955, film che costituiscono una chiara testimonianza della forza della Sicilia e primi esempi di satira sociale e politica.

Tra le altre trasposizioni cinematografiche di opere letterarie occorre citare quella del romanzo di Luigi Capuana "Il Marchese di Roccaverdina" realizzata da Fernardo M. Poggioli nel 1943; il film è intitolato "Gelosia", ha come interpreti Luisa Ferida, Ronaldo Lupi ed Elena Zareschi e fu prodotto da Cines-Universalcine.

"Il Gattopardo", film del regista milanese Luchino Visconti (1906 -1976), è tratto dal classico di Tommasi Di Lampedusa e fu realizzato nel 1963 per la Titanius e con gli attori Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale.

Il film va ricordato come uno spaccato della società siciliana al tempo dell'impresa dei garibaldini, dell'avvicinamento di due differenti classi sociali attraverso una proposta di matrimonio (da una parte c'è Tancredi-Alain Delon, esponente della vecchia classe nobiliare siciliana che dalla sua parte ha solamente il buon nome ed il rango e Angelica - Claudia Cardinale, esponente della nuova classe media emergente che non possiede cultura ma che può contare su un ingente patrimonio. Il film è un tipico specchio dei travolgimenti sociali che riguardarono la Sicilia in quegli anni ed il tutto è reso ancora più vivo dai discorsi disincantati del Principe di Salina che denunciano, con il loro pessimismo, la fine di un'epoca con la dissoluzione che il ceto nobiliare si appresta a vivere.

Infine, occorre citare "Diceria dell'untore", opera realizzata nel 1990 da Beppe Cino e tratta da un romanzo di Gesualdo Bufalino con gli attori Franco Nero, Lucrezia Lante Della Rovere, Fernando Rey, Remo Girone, Salvatore Cascio, Dalila Di Lazzaro, Gianluca Favilla, Nando Murolo, Egidio Termine e Vanessa Redgrave.

Il film va ricordato per l'estrema fedeltà data allo spirito del testo letterario, per l'intensa interpretazione degli attori e per l'attenta rappresentazione della cruda ed estrema realtà del sanatorio. Il contatto tra la Sicilia ed il cinema si può vedere sotto una diversa angolazione, cioè quella che unisce i grandi registi alle tematiche siciliane.

Un primo esempio è dato dalla forte presenza del regista genovese Pietro Germi (1914-1974). Sorvolando sui già citati "In nome della legge" (film di mafia del 1949 per la Lux Film e con gli attori Massimo Girotti, Jone Salinas, Charles Vanel e Saro Urzì tratto dal romanzo dell'ex magistrato Giuseppe Lo Schiavo) e "Sedotta e abbandonata" (film realizzato nel 1964 con gli attori Stefania Sandrelli, Saro  Urzì e Aldo Puglisi per la Ultra-Vides-Lux Film), il binomio Germi-Sicilia si ricorda degnamente per lo splendido film "Divorzio all'italiana" e "Il cammino della speranza". "Divorzio all'italiana" fu girato nel 1962 con gli attori Marcello Mastroianni, Daniela Rocca e Stefania Sandrelli.

Ad Agramante, un paesino disperso nella provincia siciliana, il barone Fefè Cefalù (Mastroianni) ha per moglie una donna gelosa e trascurata, rappresentata dalla Rocca, e nel contempo è innamorato, e ricambiato, dalla cugina (rappresentata dalla Sandrelli). Il barone, per coronare il suo sogno d'amore, ha come sola via d'uscita quella data dal "delitto d'onore". Spinge la moglie nelle braccia dell'ex spasimante per poterli così cogliere in flagranza di reato, cosa che però non accade perché i due amanti riescono a fuggire prima dell'arrivo del barone. Così egli diventa lo zimbello del paese e la vendetta diventa quasi un obbligo: quando Fefè trova ed uccide i due amanti ottiene un processo trionfale che si chiude con la condanna al minimo della pena, tre anni di reclusione. Quando Fefè torna ad esser un uomo libero, può finalmente sposare l'amata cugina, non sapendo che la donna incomincerà a tradirlo già dal viaggio di nozze. "Il cammino della speranza" fu girato nel 1950 con gli attori Raf Vallone, Elena Varzi, Saro Urzì e Franco Navarra. La tematica affrontata è sociale e riguarda le vicende di un gruppo di minatori dopo la chiusura delle miniere e la loro conseguente emigrazione.

Da non dimenticare è decisamente l'ingente produzione del regista napoletano Francesco Rosi. Il suo legame con la Sicilia si vede già dall'esordio della sua carriera, quando lavorò come aiuto-regista per Luchino Visconti per la realizzazione de "La terra trema". I suoi primi film si ricordano come una sorta di denuncia sociale e danno una chiara idea di come il regista elaborò https://www.mimmorapisarda.it/2025/co1.jpgun suo codice linguistico-cinematografico del neorealismo. Se il suo capolavoro eccellente è il già ricordato "Salvatore Giuliano", indimenticabili restano altri film, dalle chiare tematiche sociali.

Da citare, innanzitutto, è il film "Il caso Mattei" girato nel 1972 ed interpretato magistralmente da Gian Maria Volontè, Franco Graziosi e Luigi Squarzina. Il film-inchiesta tratta dell'attività di Enrico Mattei e del contesto storico in cui essa si svolse ed anche della scomparsa del giornalista Mauro De Mauro che lavorava per il quotidiano "L'Ora" di Palermo.

Un film dalla chiara tematica mafiosa realizzato da Rosi è "Lucky Luciano" realizzato nel 1973, prodotto da Franco Cristaldi per la Titanius ed interpretato in maniera magistrale da Gian Maria Volontè, Edmund ÒBrien, Vincent Gardenia, Silverio Blasi, Charles Cioffi, Larry Gates e Rod Steiger. Il film è una sorta di biografia del gangster che evitò l'ergastolo grazie all'aiuto che diede agli Alleati durante lo sbarco in Sicilia e che, ritornato in Italia, continuò le sue attività illegali di controllo sulla mafia italo-americana finché non morì a causa di un infarto.

Occorre citare il film "Cadaveri eccellenti", opera tratta dal lavoro di Leonardo Sciascia "Il contesto" e realizzata nel 1976 con gli attori Lino Ventura, Alain Cuny e Tino Carraro. Il film ha una doppia ambientazione (Sicilia-Roma) e dimostra ancora una volta che il connubio Sciascia-cinematografìa permette di creare delle opere dagli intrighi sociali e politici davvero corposi e dai chiari richiami sociali e politici. In questo caso il protagonista è l'ispettore Rogas che indaga sulle morti sospette di alcuni procuratori e giudici, cioè delle personalità importanti, "eccellenti", finché non scopre un contesto eversivo particolare, una sorta di potere negativo che si è fortificato creandosi una discreta rete di interessi economici ed intrecciando legami sociali. Il film non ha un lieto fine poiché si conclude con la morte dell'ispettore.

 

https://www.mimmorapisarda.it/cine/36.jpg

 

 

Un affresco corale sulla memoria collettiva che diventa un omaggio al cinema del passato
Giancarlo Zappoli

La storia di una famiglia siciliana che prende le mosse dal ventennio fascista in cui Cicco, sin da bambino apertamente contestatore, è un pastore che ha la passione per la letteratura epica. Suo figlio Peppino, cresciuto durante la guerra, entrerà nelle file del Partito Comunista divenendone un esponente di spicco sul piano locale e riuscendo a sposare, nonostante la più assoluta opposizione della famiglia di lei, Mannina che diventerà madre dei loro numerosi figli che saranno comunque considerati da alcuni sempre e comunque ‘figli del comunista'.
Tornatore riprende a narrare della terra che ama, la Sicilia, e lo fa con un affresco collettivo che abbraccia numerosi decenni della storia del secolo scorso. Lo fa con quel piglio che a tratti travalica nell'enfasi che ormai gli è proprio quando torna cinematograficamente a varcare lo Stretto di Messina (e che gli procura tante critiche) ma anche con la sincera voglia di fare cinema a tutto campo. Fare cinema si traduce per lui in un omaggio consapevole e dichiarato a quanti lo hanno preceduto (qui in modo particolare a Sergio Leone ma non solo) senza però rinunciare a un proprio stile narrativo che procede per accumulo di immagini e di situazioni. È una corsa contro il tempo quella che ci viene proposta sin dall'inizio con la figura del bambino che apre il film. Corsa contro il tempo che cancella una memoria collettiva che sembra progressivamente non esistere più e che Tornatore vuole restituirci scegliendo la via della spettacolarità rivolta al pubblico più vasto possibile. C'è una scena in cui Peppino torna a Bagheria dopo essere emigrato per lavoro a Parigi. Ha ancora in mano la valigia e un gruppo di suoi conoscenti, incontrandolo, gli chiede per dove stia partendo. Nessuno di loro si è accorto della sua assenza.

 


 

Oggi ben pochi sembrano accorgersi della perdita della conoscenza di un passato recente in cui umiliazioni, lotte e parziali vittorie lasciavano segni profondi nella collettività. Segni che, come l'affresco sulla volta della chiesa, 'dovevano' essere cancellati. Ma ciò che al regista sembra premere ancor di più è il mostrare come il retaggio di un passato di tradizioni ormai incancrenite nella società non sia stato ancora superato nella realtà sociale siciliana e non solo. La sequenza dell'assessore all'urbanistica non vedente che si fa portare i piani regolatori in plastico e li apprezza solo dopo aver intascato l'ineludibile mazzetta è di quelle che si ricordano. Così come (pur nel caleidoscopio a tratti pensoso e a tratti decisamente macchiettistico della miriade di personaggi che attraversano la scena) resta presente, nello scorrere degli anni e delle vicende, la pessimistica sensazione di una sorta di atavica maledizione a causa della quale le uova rotte e i serpenti neri finiscono col far parte del passato, del presente e del futuro di una terra che ha bisogno di una frattura traumatica per poter liberare una volta per tutte una vitalità creativa che certo non le manca.

http://it.wikipedia.org/wiki/Baar%C3%ACa

http://www.mymovies.it/film/2009/baarialaportadelvento/

 

 

Un catanese DOC al servizio del Cinema Siciliano

 

 

Nuovo Cinema Paradiso, ecco cosa fa il piccolo Totò 30 anni dopo

Martedì 18 Dicembre 2018 di James Perugia

 Trent'anni fa esatti, nel 1988, usciva uno di quei film che non si dimenticano e che un po' ti cambiano: Nuovo cinema Paradiso. In tanti si ricordano gli occhi pieni di meraviglia del piccolo Totò, il protagonista di 9 anni, davanti al cinematografo. In molti, forse, si sono innamorati del cinema proprio grazie a questo film.https://www.mimmorapisarda.it/cine/29.jpg

Il piccolo Totò, all'anagrafe Salvatore Cascio, è cresciuto, oggi è un uomo. Ma non smette di sognare.

Salvatore Cascio, il Totò adulto cosa fa nella vita?

«Ho un ristorante in Sicilia con i miei genitori; sono tanti i turisti che vengono a trovarmi».

Ma non sogna Hollywood?

«Ho altri sogni: avere una famiglia tutta mia, stare bene con le persone a cui voglio bene. Il mio obiettivo non è mai stato Hollywood».

Come ricorda i giorni delle riprese?

«Tornatore riusciva a tirare fuori il meglio di me».

Cioè?

«Anche se ero un bambino, mi responsabilizzava, si arrabbiava anche davanti a tutti quando facevo i capricci, ma poi mi coccolava».

Tornatore vide qualcosa in lei quando la scelse.

«Dopo 30 anni posso dire che lui, insieme a mio padre, è stato l'unico ad avermi capito veramente».

E Philip Noiret, com'è stato lavorare con lui?

«È stato un atto d'amore, c'era un affetto profondo, era come se fosse un nonno. Un legame bellissimo».

Che impatto ebbe sulla sua vita di bambino tutta questa notorietà?

«Non fu semplice. Ero un bambino timido, schivo, tutto il contrario di Totò che era una peste».

Anche se ora si occupa di altro, esclude un eventuale ritorno al cinema?

«Sarebbe bellissimo».

Con chi le piacerebbe lavorare?

«Amo le commedie, mi piacerebbe lavorare con Pieraccioni o Salemme».

Un altro film in cui ha recitato che le è rimasto nel cuore?

«Jackpot, un fallimento totale al botteghino ma ne ho un ricordo bellissimo, con il grande Adriano Celentano».

Come spiega la magia di Nuovo cinema paradiso?

«Parlarne così come se ne parla dopo 30 anni in tutto il mondo è qualcosa di incredibile. Il segreto, per me, sta nel grande messaggio d'amore che il film trasmette».

https://www.ilmessaggero.it/persone/nuovo_cinema_paradiso_salvatore_cascio_oggi-4180251.html?fbclid=IwAR3gGmfqoQ7NUptQuIVVJWLi5ws5SReRaCf48lJ7bqLeoXoZHlZRFZlIX9Q

 

 

 

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/cine/29.jpg

 

 

 

Sul set con Burt Lancaster tra ville, feste e tante gelosie

Un despota rinascimentale trapiantato in epoca dannunziana. Questo era Luchino Visconti.

Lo conobbi a Roma, nella casa di Fedele d' Amico, di cui ero stato allievo, e della moglie Suso Cecchi che sceneggiò poi "Il Gattopardo". Io fui coinvolto appieno, seppur in forma non ufficiale, come «consigliere». La lavorazione durò da maggio a ottobre; tutte le scene sono state girate in Sicilia, salvo gli interni di Donnafugata per i quali fu utilizzata villa Chigi di Ariccia e qualche scena a Cinecittà.

Durante la lunga estate siciliana, facemmo una vita molto particolare. L' idea era quella di un gruppo di gran signori che fanno una vacanza in Sicilia: Visconti prese in affitto la Tonnara Bardonaro vicino Palermo e la addobbò a meraviglia, Burt Lancaster prese Villa Scalea, e di sera c' erano sempre feste e ricevimenti. Del resto, si sa, Luchino viveva come un sovrano. Un' atmosfera ricca, fastosa... Un set fondamentalmente tranquillo.

Se problemi c'erano, investivano non il mondo professionale, ma quello personale, privato. Soprattutto per gelosie, nell' harem che Luchino si portava dietro. Suso Cecchi e Romolo Valli facevano da mediatori. è stata un' esperienza unica. E quando mi chiedono se il film ha tradito il romanzo, dico no. Non in questo caso. E per un motivo: Visconti e Tomasi di Lampedusa erano due persone simili, due aristocratici che avevano memoria del secolo precedente attraverso la tradizione orale familiare, i racconti dei nonni. Il sentimento nei confronti della storia era in entrambi di reminiscenza e nostalgia. Anche l' attrazione per certi luoghi, come i palazzi di famiglia... se sei cresciuto in posti così sei segnato, gli spazi in quel caso sono più forti dell' individuo. Insomma, erano due uomini della stessa classe sociale, separati però da un punto di vista: Tomasi di Lampedusa aveva quello dei vinti, Visconti quello dei vincitori.

 

https://www.mimmorapisarda.it/CINE/17.JPG

 

Insomma due esponenti dell' aristocrazia separati "filosoficamente" dalla storia, e dalle storie, dell' Italia. E credo sia questo il motivo per cui Luchino portò qualche piccola alterazione al testo. Fu una estate affascinante. Conobbi Claudia Cardinale e Burt Lancaster. Quest' ultimo era di spettacolare intelligenza. E poi c' era il gruppo che faceva teatro con Visconti, da Paolo Stoppa a Romolo Valli. E proprio su Stoppa Luchino esercitò una delle sue consuete cattiverie: chiamò nel cast sua moglie, Lola Braccini, che lui aveva lasciato per Rina Morelli, anche lei nel film. E passammo qualche momento molto imbarazzante. Luchino, sebbene artista dotato di colossale autorità, aveva con gli attori lunghissime conversazioni.

Se dovessi esprimere in due parole il tratto che distingue lo storicismo romantico di Visconti da quello corrente lo individuerei nell' assenza di ogni sentimentalità. Gli attori dovevano trasmettere l' immagine della perfezione di cui è capace un attore, non dovevano confondersi con la mimesi della realtà. Gli attori de "Il Gattopardo" risposero a queste aspettative e lasciarono un segno nella sua vita.

 

https://www.mimmorapisarda.it/2025/burt.jpg

 

Da non sottovalutare Visconti come regista d'opera. Nel mio lavoro di sovrintendente penso spesso a Visconti perché ebbe grande influenza sulla regia lirica italiana e ritengo che il suo genio l' abbia in un certo senso annientata. A rivedere oggi le riprese dei suoi allestimenti essi possono sembrare superati, invece Visconti è stato un regista altamente innovativo.

Ricordo "Le nozze di Figaro" del '66, così anti-salisburghese. Erano di moda fino ad allora le messinscene incipriate, settecentesche, invece lui ambientò l' azione in una casa di campagna in Spagna a fine Seicento; tutto molto campestre e meno imparruccato. Visconti ha trasformato l' opera da mascherata a storia degli affetti. Un cambiamento affascinante. * sovrintendente del teatro San Carlo di Napoli

GIOACCHINO LANZA TOMASI  -  02 novembre 2006

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/11/02/sul-set-con-burt-lancaster-tra-ville.html

 

 

  https://www.mimmorapisarda.it/cine/31.jpg

Considerato da Martin Scorsese uno dei suoi gangster-movie preferiti, Mafioso è una ulteriore testimonianza del talento del sottovalutato Lattuada, capace di raccontare una storia lineare con diverse sottotrame scottanti senza cadere in banalità, merito anche della calibratissima sceneggiatura di Rafael Azcon, Marco Ferreri, Age&Scarpelli. Il regista milanese conduce una efficace riflessione sul libero arbitrio e la coscienza individuale, arrivando a un finale amaro e cupo (se Cosa Nostra riscuote tanto successo è sicuramente un po' colpa di tutti noi). Alberto Sordi, all'apice della sua carriera, è bravissimo nella parte di un uomo onesto messo alle strette da un sistema più grande di lui. E non manca uno sguardo critico verso il mezzogiorno, che non riesce a emanciparsi dalla zavorra dell'onore malavitoso.

Girato tra Belmonte Mezzagno, Bagheria, Capaci, New York e il New Jersey.

 

 

 

 

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/2025/mosca.jpg

 

IL PADRINO PARTE II

 

 

 

 

 

Leopoldo Trieste, un calabrese che seppe interpretare la Sicilia in modo sublime.

 

 

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/2025/paolo41.jpgVitaliano Brancati, lo scrittore che non ho mai conosciuto di persona perché quando di venne famoso se ne andò a Roma dove conobbe e sposa la bellissima attrice di teatro Anna Proclemer. Mussolini avrebbe voluto arruolare Vitaliano Brancati tra gli scrittori del fascismo, ma lui era un indipendente e i dittatori non gli piacevano.

Dopo la guerra tornò per un certo periodo a Catania, fonte della sua ispirazione, e scrisse uno dei suoi migliori romanzi, "Paolo il caldo", dal quale venne tratto un film diretto da Marco Vicario. Protagonisti del film erane Giancarlo Giannini e Gastone Moschin. Li incontrai casualmente in un ristorante della vecchia Catania e ci siamo messi a parlare del romanzo e del film che stavano interpretando. Film che poi sbancò il botteghino (ricordate la scena di un funerale davanti alla chiesa di San Nicolo in piazza Dante?)

Giannini e Moschin mi raccontarono di un episodio che avevano appreso su Brancati e che io non conoscevo.  Lo scrittore durante il festival del cinema di Taormina era stato ospitato al San Domenico assieme ad unaltro scrittore catanese, Ercole Patti. Il Comune invitava scrittori che tu li vedevi nel chiostro del San Domenico mentre si divertivano tra di loro. A tenergli compagnia c'erano Carlo Laurenzi, Sandro De Feo e il giornalista Maurizio Liverani. Ogni tanto ci passavamo Pippo Fava ed io ma non eravamo lì per lavorare, non per fare vacanza a 5 stelle.

Dunque questa combriccola di scrittori italiani famosi si divertiva a contare battute su chi commentava battute su chi passava in quel piccolo spiazzo. Ad esempio, Guglielmo Biraghi, che fu direttore artistico del festival di Taormina, aveva il soprannome di Inversio Dolcemare, protagonista di un vecchio romanzo francese del 1700 che forse soltanto loro conoscevano. Giannini e Moschin mi raccontarono che, nel fare scherzi anche pesanti, Brancati e Patti prendevano di mira pure la mezza dozzina di aspiranti attrici che la "signora Anna" portava ogni anno da Roma per lanciarle sul mercato. Un giorno i due celebri scrittori catanesi telefonarono in camera ad una di queste stelline. E Vitaliano Brancati le disse: «Signorina, abbiamo notato che recita bene e le volevamo fare le nostre congratulazioni». E lei confusa: «Grazie, maestro, detto da lei è un gran complimento». E Brancati: «Dovrebbe fare un bel lavoro di Verga...». «Ah, magari!». «Ma che ha capito, Verga 'sta min....». E giù risate grasse.

Erano tempi cosi, anche un po' licenziosi (sempre meno di adesso). Loro, i rappresentanti della cultura dell'epoca, se lo potevano permettere. Erano gli effetti della dolce vita che di li a poco sarebbe stata raccontata in un film memorabile.

_____________________________ 

estratto da “Catania. C’era una volta” di Tony Zermo – Domenico Sanfilippo Autore 2018

 

 

 

 

Battiato non ha girato un film ma ha scritto una canzone montandoci delle immagini al posto delle note. Ha preso il pentagramma e come un album di ricordi ci ha incollato sopra le fotografie della sua infanzia a Riposto negli anni Cinquanta. 

Però, come dichiarato da lui stesso, non è un film autobiografico, infatti i ricordi della sua infanzia si limitano soltanto ai luoghi, agli oggetti e alle usanze che fanno da contorno alla storia dell’immaginario Ettore Corvaia. Ha usato i sogni e l’emancipazione del protagonista come un binario che ci porta attraverso tanti flash di rimembranze sul percorso Catania-Milano; e i cambi improvvisi fra la trama e le altre inquadrature non sono altro che introduzione, ritornello, refrain, ritornello, refrain, ritornello, finale, proprio come in una canzone, una canzone di quelle buone, di quelle che ti raccontano una storia invitandoti, per vederla, ad entrarci dalla porta di servizio e non da quella principale. La Madonna nera di Fossati parla di una processione religiosa, di una statua nera che si inclina, di un uomo che la sorregge e la paragona alla donna amata. Eppure è una canzone d’amore. Chi l’avrebbe mai immaginato se non l’avesse detto lo stesso Fossati? Questo è il bello di entrare dalla porta di servizio.

Non pensavo che Battiato, cimentandosi al cinema quasi per gioco, riuscisse ad ottenere una fotografia degna di un regista con quattro oscar in bacheca. Ogni fotogramma è quasi un quadro. E poi i luoghi: Ragusa, Acicastello, Acitrezza, Catania e Palazzolo Acreide con i loro colori fanno già sceneggiatura; le suore con le tonache nere che si stagliano sulle facciate barocche di chiese costruite col tufo giallo, con lo sfondo del cielo azzurro… e poi la luce, l’immensa luce che c’è qui. Ungaretti deve essere passato da queste parti. Geniale la scena al macello, quando la cinepresa si sposta dalla mano armata di coltello - pronta ad uccidere l’animale – fino a salire sopra quel muretto affacciato sul mare dove shttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/09.JPGi vede di spalle il piccolo Ettore, che non vuole più accettare quel mondo e sogna di veder passare il Rex dei suoi desideri e della sua fantasia, perché dentro di noi c’è sempre stato un Rex, simbolo di una partenza liberatoria che ti porta via.Gli oggetti, le situazioni, le battute necessarie per riportare lo spettatore indietro nel tempo sono tutti molto curati e, come uno storico consumato, Battiato non ha mai lasciato niente al caso. Nel bagno di casa Corvaia il padre con la brillantina in pomata davanti a un autentico specchio che si usava negli anni Cinquanta e dieci anni dopo il figlio con altro tipo di gel, altri pettini, altri specchi, altre canottiere, altro tutto (ma dove li ha trovati?). Tutto è stato messo al suo posto, minuziosamente, come in un museo di modernariato.

Ho letto della visione metafisica di Battiato riportata in questo film. Mah…io non ne capisco niente di metafisica, forse sto parlando di metafisica e nemmeno me ne rendo conto. Comunque, le immagini presentano con dovizia di particolari una generazione e un mondo che non c’è più. Alcune cose me le ricordo e sono arrivato in tempo a vederle, anche se sono più giovane di Battiato: il mangiadischi, le seicento, quelle lampade sulle scrivanie, i complessini che suonavano su un palchetto con tastiere Farfisa traballanti e con improvvisati impianti di amplificazione, le uova acquistate in campagna, ecc. E anche i modi di dire e di fare: con calma, senza fretta, senza stress; ritmi molto cadenzati, perché allora di tempo ce n’era tanto e di cose, a differenza di oggi, se ne facevano poche ma buone. Le ventiquattro ore di un giorno sembravano non finire mai e, a volte, la salutare partita a briscola nel film serviva ad esoricizzare certe situazioni. 

Oggi sembrerebbe una cosa inutile e noiosissima e si scapperebbe subito presso lo studio di un consulente familiare, per non perdere tempo. Sempre per non perdere tempo.https://www.mimmorapisarda.it/CINE/10.JPG

Perché non lo fermiamo questo tempo? Dalle parti di Acireale, in una frazione incastonata fra giardini di limoni e il mare, c’è un bar a conduzione familiare che produce una granita di mandorla buonissima, ma il servizio è pessimo. Può capitare di ordinarla e sentirsi rispondere "Ora a voli? Si facissi du passi ca poi a facemu!". Magari poi te la preparano subito, anche a mezzanotte, ma quelle lamentele sprigionano tutto il folclore e la sottile ironia che circolano da queste parti. I catanesi lo sanno, ci vanno apposta e stando al gioco si divertono a ricevere le risposte più colorite alle loro richieste. E fanno questo anche per passare tempo, e questo da noi si chiama "sbaddu" (spiego altrove cosa significa). 

Il bello viene quando capita da quelle parti una famigliola del Nord che si incazza quando riceve quelle risposte, risposte che non comprendono, perché la loro vacanza è tutta programmata e il tempo destinato all’assaggio di quella prelibatezza era soltanto di venti minuti, sempre per non perdere tempo. E invece non sanno che il divertimento è proprio lì, cogliere l’attimo di certe situazioni occasionali, sfruttarne tutti i suoi aspetti positivi e spassosi, senza guardare l’orologio o il telefonino.

Devo dire che il film mi ha affascinato fin dall’inizio. Tanto ne ero preso che nel finale vengo pure colto di sorpresa: "Oh, guarda chi c’è… che ci fa De Gregori qui?", quasi dimenticando il motivo della mia presenza in quel cinema. Subito dopo, però, ho sollevato istintivamente la mia mano destra quasi a cercare il testo "rewind" del telecomando. Devo dire che nella parte del musicologo che parla di catarsi e sciamani si è comportato davvero bene, complimenti.https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPG

La Sicilia, chiaramente, non è più come quella descritta nel film, anche qui la gente corre e pigramente si affida alla tecnologia perché è più comodo e non fa perdere tempo. Il cucito non si fa più come in quel bellissimo cortile circondato da banani, dove le donne, fra l’ago, la lingua e il ditale (facendo finta di essere sottomesse) regolavano il destino dei loro uomini. 

E’ sempre stato così, in Sicilia hanno sempre comandaro loro.La battuta finale di Sgalambro, seduto al tavolino di un bar in una piazza assolata, simboleggia tutto il nostro modo di essere: "La Sicilia esercita un diritto di appartenenza. Per favore, una granita alla mandorla".

E’ vero, siamo fatti così. Seduti a un tavolino, con una granita di mandorla davanti e stavolta PER perdere tempo, volutamente, quaggiù siamo ancora capaci di consumarla impiegandoci anche due ore filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando …

(Mimmo Rapisarda)

 

 

 

 

 

 

Domenico Modugno era siciliano d’adozione: l’omaggio al cantautore a 30 anni dalla sua scomparsa

Il 6 agosto 1994 il cantautore pugliese ma siciliano d'adozione Domenico Modugno ci ha lasciati, https://www.mimmorapisarda.it/dongiovanni/m14.jpgproprio nella sua amata Lampedusa: non sono mancate nel tempo le storie sul suo legame con la Sicilia.

Oggi, 6 agosto 2024, ricorrono trent’anni dalla scomparsa di Domenico Modugno, un artista che ha lasciato un’impronta indelebile nella musica italiana e che ha sempre avuto un legame speciale con la Sicilia. Nonostante fosse nato a Polignano a Mare, in provincia di Bari, nutriva infatti un profondo affetto per la nostra Isola, al punto da farsi percepire siciliano di adozione. È proprio nella sua amata terra morì nel ’94. In particolare, nella villa che aveva acquistato negli anni ’70 a Lampedusa che si affaccia sulla nota Spiaggia dei Conigli. Quest’ultima è stata venduta nel 2020 e ad oggi appartiene a un resort.

Il legame tra Domenico Modugno e la Sicilia non si limita tuttavia esclusivamente a Lampedusa. Sua moglie, Franca Gandolfi, era infatti messinese di origine, nata a Montalbano Elicona. La famiglia Gandolfi gestiva una lavanderia nel villaggio Regina Elena e la donna frequentò il liceo classico Giuseppe La Farina. La coppia spesso tornava in questi luoghi, soprattutto per le vacanze estive. Il cantautore amava passeggiare nella zona del Ringo, affacciata sullo Stretto, e suonare la chitarra presso villa Mazzini, come ricordano alcuni testimoni. Negli anni ’50 e ’60, frequentò spesso anche Taormina, dove cantò la celebre “Resta cu’ me” in un giardino del Casinò. Negli anni ’80, Modugno si impegnò attivamente nelle battaglie sociali in Sicilia, come quella per il miglioramento delle condizioni dell’Ospedale Psichiatrico di Agrigento. Questo impegno, insieme alla sua carriera musicale e politica, consolidò il suo legame con l’Isola.

Il suo sentirsi “siciliano per adozione” rifletteva dunque un legame profondo e sincero con la nostra Isola. Per molto tempo, si diffuse persino una leggenda sulle origini siciliane di Modugno. Questa convinzione popolare nacque negli anni ’50, quando interpretò un soldato siciliano nel film “Carica eroica” e continuò con le sue prime canzoni, che mescolavano dialetto pugliese e siciliano. Il cantautore stesso non smentì immediatamente questa voce, il che causò non pochi disappunti tra i suoi concittadini. Nel 1993, durante un concerto a Polignano a Mare, mise una pietra sulle questione, ironizzando: “Chiedo scusa, ma per la fame avrei anche dhttps://www.mimmorapisarda.it/2024/casa2.jpgetto di essere giapponese!“. Nonostante ciò, la Sicilia rimase una presenza costante nella sua vita e nella sua arte, influenzando profondamente la sua produzione musicale.

Domenico Modugno attinse spesso alla tradizione siciliana per la sua musica. La canzone “Malarazza“, pubblicata nel 1976, fu ispirata da una poesia siciliana del 1857. Anche “Vecchio Frac“, una delle sue canzoni più conosciute, ebbe eco siciliano, in quanto ispirata dalla figura del principe Raimondo Lanza di Trabia, presidente del Palermo Tra le numerose canzoni di Modugno, “Lu Pisci Spada“ occupa un posto di rilievo per il suo forte legame con la Sicilia e, in particolare, con Messina. Questa canzone, intrisa di pathos drammatico e romantico, racconta la storia di due pesci spada innamorati, separati tragicamente dai pescatori. Il brano, cantato in siciliano con voce accorata, è accompagnato da un suggestivo video girato in una feluca nello Stretto di Messina, che immortala la caccia a questa specie. Il cantautore fu ispirato dai racconti dei pescatori locali e creò una narrazione che celebra l’amore e il sacrificio.

“Lu Pisci Spada” non solo ebbe un grande successo, ma contribuì anche a rilanciare la tradizione della pesca del pesce spada. La canzone divenne il centro di documentari storici come “Tra Scilla e Cariddi” e “Lu tempu di lu piscispada“, diretti da Vittorio De Seta, che evidenziarono il legame profondo di Modugno con le tradizioni marinare di Messina.

A trent’anni dalla sua scomparsa, Domenico Modugno continua a vivere nei cuori dei siciliani e non solo. Le sue canzoni, intrise di passione e sentimento, risuonano ancora oggi.

 https://www.besicilymag.it/2024/08/arte-e-cultura/domenico-modugno-era-siciliano-dadozione-lomaggio-al-cantautore-a-30-anni-dalla-sua-scomparsa/

 

 

 

 

 

Lina Wertmüller - Catania nel cuore

 

ORNELLA SGROI - La Sicilia 26.7.2012

Lo scrittore Henry Miller l'ha definita la migliore regista sul campo, migliore di qualsiasi collega uomo. E in effetti, nel panorama della regia al femminile, Lina Wertmüller ha scritto e diretto film che - è il caso di Pasqualino Settebellezze (1975) con l'immancabile Giancarlo Giannini - l'hanno portata ad essere la prima donna regista candidata a ben quattro premi Oscar. Non solo per il miglior film straniero, ma anche nelle sezioni principali: regia, sceneggiatura, attore protagonista. Il prossimo 14 agosto compirà 86 anni ed è pronta a festeggiare le sue nozze d'oro con il mestiere del cinema, anche grazie ad un documentario diretto dal suo giovane assistente, Valerio Ruiz, che per il film ha scelto un titolo già significativo: Dietro gli occhiali bianchi. Il riferimento è all'accessorio che più è caro alla signora Wertmüller, che dei suoi occhiali da vista ha fatto praticamente un segno particolare da indicare nell'apposita voce della carta d'identità.
"Sarà anche un viaggio attraverso i luoghi in cui Lina ha girato i suoi film - racconta Ruiz - un'immersione nella storia del suo cinema. E sarà un itinerario che in parte percorremo insieme, anche se non voglio anticipare nulla sulle tappe. Posso dire, però, che stiamo lavorando per venire anche in Sicilia".
Inconfondibile con i suoi capelli sempre cortissimi, oltre che per le lenti sempre sul naso, voce graffiante e volto austero, sguardo vivace e sorriso pieno, la regista romana ha anche un nome impossibile da pronunciare per intero - Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich in Job - lungo quasi quanto i titoli proverbiali dei suoi film. "Il mio nome - ci spiega al telefono la signora Wertmüller - unisce le mie origini paterne meridionali, divise tra Napoli, Puglia e Basilicata, con quelle svizzere di mia madre legate a Zurigo. Io sono molto romana, però".
Può essere, questo, uno dei motivi del suo interesse per il Sud, argomento portante della sua cinematografia, dall'esordio de I Basilischi a Mimì Metallurgico ferito nell'onore, Pasqualino Settebellezze e via dicendo?
"Può darsi. La Sicilia è molto cara al mio cuore, è una terra che amo particolarmente e mi piacciono molto i siciliani. In verità il Meridione mi è caro tutto, non gli manca niente. Nei miei film ho sempre legato il Sud al Nord, Catania e Napoli a Milano e Torino. È questo incontro italiano che mi ha sempre interessato".
Cosa racconterebbe, oggi, dell'Italia?
"Non lo so davvero. L'Italia è sempre così tanto piena di cose, che qualcosa mi inventerei. Aspettiamo un'idea, non appena l'avrò gliela dirò (ride) ".
Lei ha un forte legame con Catania, dove ha girato Mimì metallurgico, e conosce bene la tradizione tealtrale della città visto che ha lavorato anche con attori del calibro di Turi Ferro. Che ricordo ha?
"Catania è il cuore teatrale della Sicilia. Penso ai grandi attori che ha partorito, da Angelo Musco a Turi Ferro, Ida Carrara, Tuccio Musumeci. È la patria degli attori e mi è tanto cara per questo. E poi ci sono delle case bellissime e si parla una lingua straordinaria. Parlo proprio del catanese, visto che in Italia i dialetti cambiano ogni 3 chilometri. Quanto a Turi Ferro, ne sento molto la mancanza".
Nella sua carriera ha fatto teatro, televisione - con Canzonissima, ad esempio, di cui è stata autrice - radio, cinema, ha anche scritto dei libri. Ha un linguaggio che predilige?
"Direi nessuno in particolare. In fondo sono la stessa cosa. L'importante è avere qualcosa da raccontare, per il resto non importa come la si racconta. Io devo molto a Enrico Job, che è stato mio marito per quarant'anni e uno splendido compagno di lavoro (scenografo e costumista di tutti i suoi film, ndr). Lui era nato per caso a Napoli, ma era praticamente lombardo. Ed era un uomo di grande cultura, un artista molto raffinato. Attraverso di lui ho imparato tanto, soprattutto quella lunga linea che attraversa l'Italia di cui parlavo. Tanto vicina all'Africa, a Sud. Tanto vicina alla Svizzera e alla Francia,a Nord".
C'è, nella sua filmografia, un'opera a cui è più affezionata?
"Lei ha figli? Quando ne avrà, se qualcuno le chiederà qual è il suo preferito, capirà che è una domanda cui non si può rispondere. Per me è così con i miei film".
E di Mariangela Melato e Giancarlo Giannini, coppia strepitosa che Lei ha regalato alla commedia grottesca italiana, tra lotte di classe proletariato/borghesia e stereotipireinventati, cosa ci dice?
"Quello dello stereotipo è un concetto vago, tutto da riscrivere. Quanto a Giancarlo e Mariangela, mi sono carissimi. Li amo profondamente e spero di rilavorarci presto".
In questi cinquant'anni di carriera, c'è qualcosa che vorrebbe fare e non ha ancora fatto?
"Almeno altri cinquanta film. E spero di continuare a fare questo mestiere per altri cinquanta

 

https://www.mimmorapisarda.it/2023/tuccio.jpg

 

Tuccio Musumeci: «Con Mariangela  fu un divertimento girare a Catania»
IL RICORDO DELL’ATTORE
CATANIA. Ognina, il santuario della Bambina, i balconi terrazzati che si affacciano sul golfo. Le strade nere di basalto lavico e poi il mare, azzurrissimo. Scorci di una città del 1972 che raccontano una delle più straordinarie pagine cinematografiche di Mariangela Melato (Fiore) in Mimì Metallurgico, ferito nell’onore, con Marcello Giannini per la regia di Lina Wertmuller. Nel cast c’era un giovanissimo e baffuto Tuccio Musumeci, che interpretava Pasquale, uno dei due amici comunisti di Mimì, che oggi, a distanza di 40 anni, ricorda con nostalgia quegli anni e la scomparsa prematura di Mariangela Melato.
«Ci divertimmo tantissimo. Era un altro cinema con veri registi e attori autentici, che venivano dal teatro e recitavano con piglio e sicurezza – ricorda Musumeci – A Catania girammo poche scene, allora non si poteva lavorare bene sul montaggio ed era persino difficile rivedere il girato, perché non c’erano strutture adeguate. Tutto il materiale si andava a vedere da Ugo Saitta, che allora era l’unico a Catania ad avere la saletta di doppiaggio. Tutto il resto si doveva completare a Cinecittà».

Mariangela Melato lo colpì subito, a prima vista: «Era una donna simpaticissima, dotata di grande senso dell’umorismo. Quando arrivò in Sicilia vidi una ragazzina esile, minuta e neppure tanto bella, ma la macchina da presa la trasformava. Era una vera e propria bellezza cinematografica, che rendeva molto di più sul grande schermo che nella vita privata». Per tutti, poi, c’era l’ostacolo del dialetto. «Nessuno capiva bene le parole e Giannini, grandissimo nel suo ruolo, alla fine riuscì a parlare perfettamente il catanese grazie alle lezioni di Turi Ferro e all’ascolto dei dischi con le mie canzoni». Le parole di Tuccio Musumeci lasciano trasparire un po’ di malinconia: «Quel cinema non esiste più, mancano attori preparati e i registi, forse è proprio per questo che Mariangela scelse di dedicarsi al teatro».
Mariangela Melato avrebbe dovuto recitare al Teatro Verga di Catania nel 2009, con L’anima buona del Sezuan di Brecht, spettacolo inserito nel cartellone artistico dello Stabile. Ma il destino le fu avverso. «Ci avvertirono della terribile malattia dell’attrice proprio in quell’occasione – racconta il direttore artistico Giuseppe Di Pasquale – nelle settimane successive le sue condizioni migliorarono, ma lei non riuscì più a riprendere la tournée. Oggi anche il nostro teatro piange la scomparsa di una grandissima artista».

mariangela a Catania - «Con questo sole - diceva - sembra d'essere a Miami»
Sabato 12 Gennaio 2013 Mario Bruno (La Sicilia)

Prima di essere la "brutta bottana industriale" di "Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare di agosto", Mariangela Melato era stata una splendida Fiore, amante di Giannnini-Maddocheo, nell'ottimo film "Mimì metallurgico ferito nell'onore", sempre diretto da Lina Wertmuller e in gran parte, era il 1972, girato a Catania.

Esilarante la scena che vedeva Mimì, Fiore e il loro figlioletto, arrivare a Catania in gran segreto per non essere scoperti dalla moglie di lui (Agostina Belli) e dal parentado. Per evitare di farsi riconoscere, i tre "clandestini" attraversavano via Etnea a bordo di un'auto con tendine coprivetri e tutti armati di occhialoni neri (da ciechi più che da sole) compreso il pupo di pochi mesi. Incontrammo Mariangela sul set catanese, durante una pausa e ci colpirono subito il sorriso cordiale e l'allegria. Era giovane, poco più che trentenne, bella ed esuberante.

Niente pose da diva, niente supponenza, ma tanta spontanea cordialità verso tutti, dalla Wertmuller al "ciakkista". «Per me che vengo dalle nebbie milanesi - ci disse - Catania mi sembra Miami, con il sole e il mare caraibico che vi ritrovate. E poi, i cannoli… me ne porterei, se potessi, un camion su a casa mia! » https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPG

Altra scena memorabile è quella girata davanti alla chiesa di Ognina, quando Mimì rivela pubblicamente che sua moglie aspetta un figlio dall'amante-finanziere e che anche quest'ultimo è cornuto perché la sua grassa signora (l'attrice napoletana Elena Fiore) è incinta di Mimì. «Questa è una scena molto teatrale - sottolineava la Melato - che mischia il melodrammatico al comico specie con l'arrivo inaspettato di Turi Ferro dal cipiglio minaccioso». E ci confessò, Mariangela, di essere più attratta dal cinema: «Perché sul set mi diverto, è tutto un gioco, una favola, mentre a teatro lo sforzo, la concentrazione, l'impegno sono maggiori, devi soffrire ogni sera e non puoi sbagliare perché sei nel mirino del pubblico. Davanti alla macchina da presa invece sei più libero: se sbagli ripeti il ciak e si accomoda tutto». Oltre che per i cannoli stravedeva per i rigatoni alla Norma e per le fritturine di pesce. Parlava velocemente, sempre spigliata, briosa, scherzava coi colleghi e i tecnici, ovunque portava una ventata di buonumore alternando il suo dialetto meneghino (con tanto di "pirla" e "pistola") a un catanese maccheronico pieno di "mizzica" e "ciao ‘mpare".


 

 

 

Amarcord ciak alle Terme, la "Palombella rossa" partì da Acireale

La Sicilia, 11/12/2016 - di Gaetano Rizzo

Ricordi indelebili per centinaia di acesi coinvolti sul set, in prevalenza come comparse

Acireale (Catania) - Il recente restauro del film “Palombella rossa”, presentato all’ultima edizione del “Torino Film Festival”, ha fatto riavvolgere il nastro dei ricordi a molti, in particolare agli acesi, considerato che il set principale dell’opera, quasi per intero, fu la piscina delle Terme “Santa Venera”.

https://www.mimmorapisarda.it/CINE/19.JPGUn aspetto, questo, che parecchi - anche nella città di Aci e Galatea - sconoscono e che vale la pena di ricordare partendo dall’antefatto. Primavera del 1988. La Federazione italiana nuoto, interpellata da Nanni Moretti, chiede a Pietro Nicolosi, presidente della Pozzillo, gloriosa società pallanostica di Acireale, di mettere a disposizione del regista la propria piscina. «In prima battuta - ricorda Nicolosi - avevano “bussato” alla porta del Nervi (storica squadra genovese, n.d.c.), ma l’operazione non era andata in porto; quindi, dirottarono su Acireale».

 Moretti, accompagnato dal produttore Angelo Barbagallo, suo socio nella “Sacher film”, effettua un sopralluogo alle Terme “Santa Venera” e resta favorevolmente impressionato, al punto da chiedere di mettere subito “nero su bianco” ovvero di ottenere il via libera. «Che, ovviamente, non esitiamo a concedergli - prosegue Nicolosi - consapevoli del ritorno di immagine per Acireale». L’estate sta per fare capolino quando nel parco delle Terme “Santa Venera” si riversano centinaia di persone, in prevalenza giovani, che aspirano a fare da comparsa. Trascorrono ore ed ore tra i viali alberati, in attesa del ciak. Moretti è noto per essere un perfezionista e, quindi, capita che le scene si ripetano anche decine di volte. «Non a caso - osserva Pietro Nicolosi - le riprese durarono sino a novembre, sebbene fosse previsto si dovessero concludere un mese e mezzo prima». Tra gli attori anche un acese che già si è fatto apprezzare su altri tra palcoscenici e set. Mario Phttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPGatanè vive da circa quattro anni a Roma quando Moretti lo chiama per interpretare Simone, un giovane appartenente al movimento di “Comunione e liberazione”, al suo primo lungometraggio. «Un’esperienza bellissima - ricorda - ed anche faticosa. Moretti era molto esigente e, dunque, i ritmi di lavoro erano davvero sostenuti».

 Un rigore che, probabilmente, sarà servito a Mario Patanè, poi capace di recitare persino con Vittorio Gassman nel film “La cena”, di Ettore Scola, che gli valse il nastro d’argento come migliore attore non protagonista.

 Nel corso degli ultimi 30 anni ha lavorato per produzioni di rilievo, ma quel “rigore” vissuto sul set di “Palombella rossa” non lo dimenticherà mai, assieme alle emozioni.

Che, in parte, erano le stesse delle comparse, quasi tutte acesi, in prevalenza ingaggiate per indossare i panni dei tifosi presenti sulla tribuna della piscina delle Terme, per l’occasione ridotta nelle dimensioni attraverso una serie di accorgimenti scenografici, così da non richiedere la presenza di almeno 700 persone per gremirla. Dalla tribuna alla vasca.

 Nella foto soprahttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/20.JPG, Moretti è raffigurato tra due pallanotisti di fazioni opposte, entrambi “pilastri” della Pozzillo dell’epoca e oggi entrambi ingegneri, come il loro “patron” Pietro Nicolosi: a sinistra del regista c’è Concetto Bosco, poi anche imprenditore, a destra Sandro Paternò. E mentre la pellicola veniva impressa, ai margini della piscina c’era il compianto Carlo Testa, trascorsi apprezzabili da pallanonista, ma già medico affermato e riferimento sanitario per tutta la produzione. Un ruolo di rilievo, dal punto di vista scenico, venne affidato al castellese Mauro Maugeri (accreditato tra gli attori), allenatore della Pallanuoto Acireale, avversaria della Monteverde, nella quale militava lo stesso Moretti, Michele Apicella nel film. Per alcuni mesi la piscina delle Terme di Acireale fu il quartiere generale del regista romano, in gioventù anche apprezzato pallanotista, con il “factotum” Nino D’Anna, dipendente della Polisportiva Pozzillo “prestato” alla produzione, pronto a risolvere ogni problema e a confrontarsi con le esigenze del cast e delle centinaia di comparse.

 Qualcuna tra loro fu anche “parlante”, come nel caso di Giuseppe Costarelli, oggi stimato avvocato, all’epoca studente in Giurisprudenza. «Volevamo sapere come sta» la richiesta formulata da Costarelli ad un dirigente della Monteverde in relazione ad un infortunio patito da Moretti. «Per il ruolo di comparsa - ricorda l’avvocato Costarelli - si registrò un’autentica mobilitazione, anche per via dei compensi che erano apprezzabili. Faticavamo parecchio, comunque, perché si lavorava molto di notte. Furono momenti indimenticabili perché tra molti, trascorrendo parecchie ore assieme, si cementarono anche rapporti di amicizia che ancora durano nel tempo». E di certo non è poco.

 

 

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG
https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG
https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG
https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG
https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG  https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPG

 

https://www.mimmorapisarda.it/2024/044.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL PADRINO - Original Soundtrack - Nino Rota

https://www.mimmorapisarda.it/2022/235.JPG