PLEASE PLEASE ME COMPIE CINQUANT'ANNI
Please Please Me è il primo album del
gruppo musicale britannico The Beatles, pubblicato all'inizio della
primavera del 1963 dalla Parlophone, grazie al lavoro del produttore
George Martin.
Prima di questo album, i quattro di Liverpool avevano pubblicato
solamente due singoli: Love Me Do nell'ottobre 1962 e Please Please Me
nel gennaio 1963. Il primo riscosse un discreto successo, mentre il
secondo fu la prima canzone dei Beatles a raggiungere la prima posizione
nelle classifiche di vendita del Regno Unito, come lo stesso Martin
aveva previsto.
Una cosa sorprendente è il fatto che l'album venne registrato in sole
quindici ore di lavoro l’11 febbraio 1963, ad eccezione dei singoli che
erano stati incisi nell’autunno precedente.
Originariamente, il produttore aveva pensato di intitolare l’album Off
The Beatle Track, ma quest’idea tramontò a favore di Please Please Me.
Quanto alla copertina, dopo aver scartato altre ipotesi, alcune
originali e altre “dozzinali” e “atroci”, Martin si rivolse al fotografo
Angus McBean che convocò i membri del gruppo presso la EMI in Manchester
Square e chiese loro di sporgersi dalla ringhiera delle tromba delle
scale dell’edificio.
In Italia l'album uscì nel novembre 1963, ma con titolo e copertina
diversi: era infatti chiamato semplicemente The Beatles, pur se le
canzoni contenute erano le stesse della versione britannica, mentre la
casa discografica era la Parlophon (etichetta distribuita dalla Carisch)
e il numero di catalogo era PMCQ 31502.
Il disco uscì con tre etichette di colore diverso, corrispondenti alle
diverse ristampe, la prima (oggi molto preziosa) in mono in rosso
indaco, poi rossa, quindi nera.
Nel 1970, (dopo il confluire della Parlophon nel gruppo EMI Italiana),
il disco fu ristampato ma con etichetta Parlophone nera.
Solo a fine 1976 anche in Italia l’album è stato stampato con titolo e
copertina uguali all'edizione britannica, con etichetta EMI-Parlophone
celeste.
L’album rappresenta una innovazione nel panorama della musica britannica
di quel periodo. All'epoca i 33 giri avevano in genere 12 canzoni, 6 per
parte. I Beatles, per la delizia dei loro fans di tutto il mondo,
pubblicarono un disco con ben 14 canzoni, sette per parte. Il disco
contiene sia canzoni già pubblicate su 45 giri che canzoni pubblicate
qui per la prima volta, e questa fu una novità per i tempi, quando i 33
giri non erano altro che raccolte di canzoni già pubblicate su 45 giri.
Inoltre i gruppi inglesi si limitavano in genere a eseguire cover di
canzoni d’oltreoceano, perciò Please Please Me, con gli otto pezzi
originali firmati dal duo Lennon McCartney, aprì la strada al futuro,
prolifico rock inglese.
Non tutte le canzoni hanno come autori John Lennon e Paul McCartney, ma
sono cover di altri autori: Anna (Go to Him) è una canzone scritta da
Arthur Alexander e cantata, nella versione originale, dallo stesso
autore; Chains è un brano scritto da Goffin e King; Boys, scritta da
Luter Dixon e da Farrell, e Baby It's You, scritta da Burt Bacharach,
sono due canzoni delle Shirelles, un quartetto vocale femminile
americano che piaceva molto a John Lennon e che ha inciso numerosi pezzi
davvero notevoli; A Taste of Honey è stata scritta da Scott e Marlow;
Twist and Shout è una canzone scritta da Medley e Russell e portata al
successo dagli Isley Brothers.
I Saw Her Standing There
«17» era un pezzo vigoroso costituito da progressioni blues che il
gruppo suonava già nel periodo di Amburgo[2] e che, grazie alla
struttura armonica, nei concerti live era prolungato con l’innesto di
più assolo di chitarre. I versi iniziali di Paul erano originariamente
“She was just seventeen/never been a beauty queen” (“Aveva solo
diciassette anni/non era mai stata una reginetta di bellezza”), ed erano
stati così concepiti in modo che le teenagers, che costituivano parte
rilevante del pubblico, si potessero immedesimare nelle parole del
testo. Ma quasi subito Paul e John si accorsero che la seconda strofa
era banale e non adatta allo scopo. In sostituzione, per non cadere nei
luoghi comuni zuccherosi allora in voga, Lennon tirò fuori l’ammiccante
allusione sessuale
You know what I mean (“sai che cosa intendo dire”)
Era una creazione targata Beatles
nelle sonorità, nel ritmo graffiante e nella grinta con cui veniva
eseguita, anche se Paul ammise in seguito di avere copiato il giro di
basso da I’m Talking About You di Chuck Berry.
Per rendere l’atmosfera calda “da palco” dei concerti dal vivo fu deciso
di premettere alla introduzione di chitarra il conteggio iniziale, e
questo contribuì a fare di I Saw Her Standing There il pezzo di rock’n’roll
energico e incalzante che apre l’album[5]. Inoltre l'assolo di Harrison
è il primo assolo in una canzone originale dei Beatles .
Misery
Questo assaggio di romantico vittimismo (“The world is treating me
bad, misery” è il significativo verso d’apertura) è per gran parte opera
di John Lennon e, come ricorda Tony Bramwell (che al tempo lavorava per
Brian Epstein), al resto contribuirono – oltre a Paul – Allan Clarke e
Graham Nash, componenti degli Hollies.
Una volta composta, la canzone venne proposta alla sedicenne Helen
Shapiro – detta “Vocione” per via della profondità della voce –, che già
due anni prima con Please Don’t Treat Me Like a Child era entrata nella
Top Ten e con cui i Beatles avrebbero suonato dal vivo come gruppo di
spalla nel febbraio successivo. Ma a causa di un equivoco, l’offerta di
Misery fu respinta e se ne appropriò il cantante Kenny Lynch che la
registrò, pur senza ottenere grande successo. Lynch sarà ricordato come
il primo artista fuori dalla cerchia dei Beatles a incidere una canzone
scritta dal duo Lennon-McCartney.
Registrata dal quartetto su undici nastri l’11 febbraio, fu ultimata con
una sovraincisione effettuata il 20 dello stesso mese. In quella
sessione George Martin eseguì e registrò una parte – chiamata dal
produttore “wind-up piano” – consistente nel suonare la sezione di
pianoforte a velocità dimezzata e in un’ottava più bassa rispetto
all’altezza del brano, per poi inserirla velocizzata e all’altezza
normale, tecnica a cui Martin avrebbe fatto ricorso in Rubber Soul col
suo assolo di sapore baroccheggiante di In My Life.
Anna
Era impensabile che a quell’epoca un gruppo musicale riuscisse a
riempire un album con materiale interamente prodotto in proprio.
Effettivamente i Beatles fecero ricorso a composizioni di altri autori,
collaudate nella propria carriera di concerti dal vivo e che per questo
essi erano in grado di riprodurre senza problemi. La sicurezza
nell’esibizione era richiesta anche dal fatto che al gruppo era stato
concesso di occupare gli studi di registrazione di Abbey Road per non
più di un giorno, diviso nella seduta antimeridiana e in quella
pomeridiana – mentre quella serale fu una concessione non programmata –
e così i quattro sostanzialmente fecero ricorso al rodato repertorio che
faceva parte delle loro esibizioni live.
La prima cover ad apparire sul nuovo LP fu Anna, che era già stata
portata al successo dall’affermato cantante statunitense Arthur
Alexander, noto agli estimatori inglesi di rhythm and blues. Questo
motivo ballabile, in cui John canta la propria arrendevolezza in un
contrastato rapporto sentimentale, venne registrata in tre take nella
sessione serale.
Chains
Quarta traccia e seconda cover, era una composizione di Gerry Goffin
e Carole King e aveva già raggiunto il successo in un’incisione dei
Cookies.
Già dall’inizio della carriera, Lennon e McCartney tenevano in grande
considerazione i due compositori americani. Come ebbe a dire John, «Paul
e io volevamo essere i Goffing e King d’Inghilterr. Perché Gerry Goffin
e Carole King all’epoca scrivevano materiale eccellente».
Gradevole ballabile, vede l’introduzione di John all’armonica e un buon
lavoro corale delle voci di John, Paul e George.
Boys
Si trattava di un rock’n'roll in dodici battute composto da Luther
Dixon e Wes Farrell ed eseguito dal gruppo delle Shirelles. Nel periodo
di Amburgo il quartetto suonava nei concerti dal vivo altri tre pezzi
delle Shirelles: Will You Love Me Tomorrow?, Mama Said e Baby It’s You;
e Boys era stato introdotto in scaletta in quanto ritenuto idoneo per
fare posto al batterista Pete Best.
Per rispettare la tradizione, il ruolo della linea vocalica principale
fu perciò assegnato a Ringo Starr, che canta in primo piano con i cori
degli altri tre sullo sfondo a sostenerlo, e che a circa metà del pezzo
introduce un assolo di chitarra secondo l’impronta di Chet Atkins
eseguito da George Harrison. E d'altra parte, per Ringo questo brano non
costituiva una novità: Starr lo cantava infatti quando militava nel
gruppo di Rory Storm and the Hurricanes.
Ask Me Why
Considerando la giovane età e la relativa inesperienza, i Beatles
degli esordi, nel loro stile strumentale e compositivo, non potevano non
subire l’influenza di musicisti contemporanei di successo. Nel caso di
Ask Me Why, composta in gran parte da John Lennon nella primavera del
1962, il pezzo risente dell’influsso del sound Motown e in particolare
di Smokey Robinson and The Miracles.
La prima registrazione di Ask Me Why risale al 6 giugno 1962. Si
trattava allora di grezze incisioni di prova che aspettavano ancora il
beneplacito di George Martin. Fu proprio il produttore che, al termine
di quella seduta, volle riunire i quattro musicisti e spiegare loro i
dettagli tecnici per migliorare le esecuzioni.
Successivamente il motivo fu ripreso ed eseguito in studio il 26
novembre 1962, e vennero incisi sei nastri di quello che sarebbe
diventato il lato B di Please Please Me.
Please Please Me
Il pezzo che dà il nome all'album era stato scritto da John quando
ancora abitava a Liverpool nella casa della zia Mimi. La composizione,
fiacca e lamentosa, si ispirava al Roy Orbison di Only the Lonely, e
nella seduta dell’11 settembre 1962 la versione del pezzo non soddisfece
Martin che, confidando nelle potenzialità del brano, intuiva che fosse
però necessario velocizzarlo e infondere maggiore brillantezza e
dinamismo nell’interpretazione.
Pertanto, dopo due settimane il pezzo venne eseguito su diciotto nastri
col tempo accelerato rispetto all’originale – secondo le istruzioni del
produttore –, con la sovraincisione dell’armonica di John, con un Ringo
rinfrancato e determinato rispetto all’umiliazione di quindici giorni
prima e complessivamente con un’esecuzione energica e aggressiva. Come
ricorda Paul a proposito dell’incisione, «improvvisamente ecco che
nacque il ritmo veloce alla Beatles».
È rimasta celebre la frase con cui George Martin, al compimento
dell’incisione del pezzo, si rivolse ai quattro attraverso l’interfono:
«Signori, avete appena finito di incidere il vostro Numero Uno!» Come
previsto da Martin, il brano ebbe grande successo, Radio Luxembourg
trasmise la canzone decretandola un trionfo e perfino la BBC mandò in
onda il pezzo dietro le richieste incessanti dei fans.
Love Me Do
Love Me Do ha avuto due versioni: quella su LP vede come batterista
Andy White, in quanto il produttore dei Beatles, George Martin, nel 1962
non aveva ancora piena fiducia in Ringo Starr, mentre la prima versione
del 45 giri britannico ha come batterista proprio Ringo Starr.
Quest'ultima versione è stata poi inclusa nei recenti CD antologici
pubblicati.
Armonica a bocca, suonata da Lennon nell’introduzione del brano. La
canzone era stata composta nel 1958[22] da Paul McCartney con l’aiuto di
Lennon. C’è chi ritiene che, assieme ad altri pezzi scritti da Paul e
John, Love Me Do non facesse parte del repertorio di composizioni che il
quartetto suonava dal vivo ad Amburgo, dato che (al pari di P.S. I Love
You e Please Please Me) avrebbe frenato i ritmi martellanti che quelle
esibizioni richiedevano. E lo stesso Lennon ammise in seguito che non fu
mai un successo, pur decantando le qualità del brano.
George Martin voleva arricchire il brano per fargli assumere un sound
distinguibile e caratterizzante; perciò, rifacendosi alle sonorità del
duo blues composto da Sonny Terry e Brownie McGhee, suggerì di inserire
fra gli strumenti anche l’armonica a bocca. Il compito spettò di diritto
a John, che aveva imparato i rudimenti dello strumento e ne aveva
perfezionato e raffinato la tecnica sotto la guida di Delbert McClinton,
armonicista americano che era in tournée in Gran Bretagna nella
primavera del 1962. Nei concerti dal vivo era di John la voce principale
del pezzo; ma in sala di incisione, al fine di permettere che la voce si
amalgamasse con il suono dell’armonica, Martin chiese che fosse Paul a
eseguire la linea vocalica principale e che l’armonica di John fungesse
da controcanto.
Senza considerare la registrazione di prova del 6 giugno, la canzone
venne incisa per la prima volta il 4 settembre. George Martin, però,
preferiva piuttosto How Do You Do It? considerandola più adatta al
gruppo e candidata al successo, perciò in quella seduta i Beatles
dovettero insistere a voler registrare anche il loro materiale e così
Love Me Do finì su 15 nastri. Quella sera Ringo non era in forma, e
risentendo il nastro Martin concluse che il batterista era il punto
debole del gruppo e che sarebbe stato necessario rifare la registrazione
sostituendo Starr con un sessionman. Così, dopo una settimana, il
quartetto si ritrovò in studio e lì Ringo scoprì con delusione che si
sarebbe limitato a suonare il tamburello, rimpiazzato da Andy White alla
batteria; e con questa formazione furono registrati 18 nastri del pezzo.
Tuttavia la versione della seduta del 4 settembre non venne scartata, fu
anzi pubblicata come il lato A del primo 45 giri del gruppo; la variante
dell’11 costituisce invece il pezzo d’apertura del lato B dell’album.
Pertanto la presenza o meno del tamburello permette a chi ascolta di
comprendere quale delle due versioni si stia riproducendo.
P.S. I Love You
Questa è la prima canzone dei Beatles impiegata come “messaggio”
dedicato alle proprie fidanzate – ve ne saranno ben tre in Rubber Soul.
Nel 1961, Paul conduceva una relazione sentimentale con una ragazza di
Liverpool, Dorothy (Dot) Rhone. Lontano perché impegnato nella
estenuante trasferta di Amburgo, Paul compose questa canzone-lettera con
l’intenzione di confermare a Dot il proprio amore e di prometterle un
veloce ritorno in Inghilterra.
Anch’essa eseguita nel provino del 6 giugno, P.S. I Love You venne
rifatta e completata in dieci nastri nella seduta dell’11 settembre.
Quella circostanza vide Andy White alla batteria, mentre a Ringo fu
chiesto di suonare le maracas. La canzone risultò convincente e divenne
il lato B del 45 giri Love Me Do.
Baby It’s You
È (oltre a Boys) l’altro pezzo dell’album precedentemente portato al
successo dalle Shirelles.
Composto da Mack David, Barney Williams e Burt Bacharach, Baby It’s You
dal 1961 faceva parte del repertorio dei Beatles in scaletta nelle
esibizioni live ed è una melodia lenta e ballabile in cui Lennon esegue
la parte vocale solista. In studio, oltre a quello dei quattro
musicisti, il pezzo vide il contributo di George Martin alla celesta.
Harrison, vocalist del pezzo
Do You Want to Know a Secret
È la voce di George Harrison a condurre la linea vocale principale,
sebbene la canzone sia stata composta da John Lennon che, a suo dire,
prese spunto da una filastrocca che la madre gli cantava quando era
molto piccolo. Con una certa altezzosità, l’autore la offrì a George in
quanto «sarebbe stata adatta alle sue capacità perché aveva solo tre
note e lui non era certo il miglior cantante al mondo».
Dopo che l’11 febbraio 1963 la canzone venne incisa, l’autore la cedette
a un altro gruppo della scuderia di Epstein, Billy J. Kramer and The
Dakotas, che nell’estate dello stesso anno con quel motivo
inaspettatamente scalò le vette della classifica inglese.
A Taste of Honey
La canzone si ispirava direttamente all’omonimo film del 1961. Paul
era rimasto colpito in special modo dal tema musicale, composto da Ric
Marlow e Bobby Scott che nel 1962 erano stati premiati in qualità di
compositori con un Grammy Award per il miglior tema strumentale[33].
L’impressione fu talmente viva che dopo più di quattro anni
dall’incisione da parte dei Beatles, Paul si sarebbe richiamato di nuovo
al film – in particolare a un frammento di dialogo – per comporre Your
Mother Should Know.
Appartenente al repertorio dei motivi ballabili del gruppo, A Taste of
Honey venne inciso su sette nastri l’11 febbraio e, primo caso di una
lunga e fortunata serie di espedienti tecnici, la voce solista di
McCartney dei nastri 5 e 7 fu oggetto di doubletracking[35].
There’s a Place
È un pezzo che per la prima volta cerca di discostarsi dal soggetto
ricorrente dell’amore per affrontare i temi della solitudine, delle
angustie quotidiane e della malinconia, e del rifugio in cui ripararsi
in queste circostanze[36]; e in questo senso anticipa motivi ben più
celebri ed elaborati, da In My Life a Strawberry Fields Forever.
Fu la prima canzone a essere registrata nella sessione dell’11 febbraio;
venne incisa su 10 nastri, e le due voci che procedono parallelamente
sono quelle di Paul, al registro più alto, mentre a quello basso è la
voce di John – che esegue anche le parti da solista.
Twist and Shout
Conclusione speculare a un’apertura altrettanto energica[38], Twist
and Shout – composta da Phil Medley e Bert Russell ed eseguita dagli
Isley Brothers – era il brano che più degli altri mandava in visibilio
il pubblico dei Beatles negli spettacoli dal vivo[39] e quello con cui
il gruppo era solito chiudere i concerti al Cavern.
Dopo la registrazione di tutti gli altri pezzi, il quartetto si trovò a
serata avanzata con ancora una canzone da eseguire per completare
l’album e poco tempo a disposizione da poter sfruttare in sala di
incisione. Perciò, radunate le forze residue, i Beatles – consapevoli di
non poter sbagliare – si lanciarono in una scatenata esecuzione del
pezzo, in particolare John, con la responsabilità della linea vocale
solista e con le corde vocali in fiamme a causa di dodici ore di
registrazione quasi continuate.
Ma nonostante la fatica accumulata, il primo nastro ci consegna un
rock’n’roll possente, aggressivo e aspro che suscitò perfino
l’entusiasmo dell’abitualmente controllato staff tecnico. Richard
Langham, secondo ingegnere del suono, affermò: «Mi sarei messo a saltare
su e giù, sentendoli cantare a quel modo. Fu un pezzo di bravura
stupefacente». E George Martin disse a conferma: «Non so come ce l’hanno
fatta. È tutto il giorno che registriamo, ma più vanno avanti e meglio
suonano!».
Dagli archivi della Emi risulta che fu fatto il tentativo di una seconda
incisione completa di Twist and Shout; ma ormai le ugole sforzate
avevano arrochito le voci, e comunque rimaneva il primo take di qualità
eccellente.
Formazione
John Lennon - voce, chitarra ritmica, armonica a bocca
Paul McCartney - voce, basso
George Harrison - chitarra solista, cori; voce in Chains e Do You Want
to Know a Secret
Ringo Starr - batteria, tamburello, maracas; voce in Boys
Altri musicisti
George Martin - pianoforte in Misery, celesta in Baby It's You
Andy White - batteria in Love Me Do e P.S. I Love You
http://it.wikipedia.org/wiki/Please_Please_Me_%28album%29
Aprile
1963
PLEASE PLEASE ME
Parlophone
PMC 1202; PCS 3042 - March 22, 1963 - (CD) Parlophone CDP 7 46435 2 -
February 26, 1987 - Capitol CLJ 46435 - July 21, 1987
I
saw her standing there/ Misery Anna (Go to him) Chains Boys Ask me why
Please please me Love me do Ps I love you Baby it's you Do you want to
know a secret A taste of honey There's a place Twist and shout
Con
l’uscita dell’ album scattò la prima operazione commerciale della
loro casa discografica. Da fenomeno prettamente londinese i quattro
cominciarono a farsi conoscere in tutto il Regno Unito.
Ad
agosto uscì , attesissimo, il nuovo singolo: "She loves you"/"I’ll
get you" anche questo primo nelle chart con la conseguente prima
vera tournee che toccò anche altre nazioni europee. Non eravamo ancora
alla Beatlesmania ma il loro nome cominciava a girare sempre più
velocemente in tutto il vecchio continente.
Alla
fine di novembre uscì il secondo 33 giri. Con le bellissime "All
my loving" e "Till there was you"
Nella
musica devi stupire, devi essere innovativo: tanto vale rischiare:la
nascita dei Beatles. Questo avrebbe comportato l'introduzione di un
nuovo target del pubblico discografico, i giovani. Quelli che finalmente
non dovevano aspettare di diventare grandi. Basta i vecchi vinili
polverosi di papa e mammà di musica da camera, jazz e be-bop: questa è
musica leggera, quella vera, quella allo stato primordiale.
Musica,
ma anche crociata : lo intuisce bene John Lennon che crea il suo ideale
di successo leggendo le pagine di On The Road di Jack Kerouac: ' perché
aspettare di essere grandi per darsi alla scrittura e alla musica? Un
adolescente ha un cervello così come lo può avere un uomo'
Liverpool
1960. John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, Stuart Sutcliffe e
Pete Best erano i componenti dei Silver Beatles.
Nell'estate di quell'anno si trasferiscono ad Amburgo suonando in un pub
a luci rosse e nel 1961 incidono il primo 45 giri come gruppo spalla del
cantante Tony Sheridan.
Ma l'incontro con Brian Epstein sarà una scintilla cruciale: da piccolo
venditore di dischi, Epstein si trasformerà nel loro manager storico
portandoli al successo dopo 9 mesi con la storica etichetta EMI Music
dopo aver subito varie audizioni negative, tra cui quella per La Decca….
Cambiato
il nome del gruppo da Silver Beatles a The Beatles ed eliminati Pete
Best e Stuart Sutcliffe, John, Paul e George sono pronti a partire nella
loro stratosferica avventura insieme al batterista acquisito Ringo Starr.
E
basteranno i colpi del singolo di Love Me Do per scatenare le follie di
una vera e propria mania musicale da teen agers.
Rispetto
a come la mente richiama i Beatles ' versione prima maniera' sul modello
di A Hard Days Night (1964)
Quella dell'esordio di Please Please Me (1962) presenta un'impostazione
molto diversa e più incline al rock'n roll da ballad e in questo
contesto il disco si divide tra Beatles cantautori e in maniera minore,
in Bealtles cover band sul sentiero del grande Elvis.
One,
two, three, for, five! Sono queste le prime parole pronunciate dai
Beatles sull'onda di uno dei primi pezzi firmati Lennon e McCartney che
inaugurano un album di 14 tracce (tra cui 5 cover) per circa mezz'ora di
musica: ecco l'inizio: I Saw Her Standing There: c'è la grinta,
l'orecchiabilità di un motivo semplice che rimane subito in testa tra
deliri e assoli di chitarra davvero ineccepibili per l'epoca.
Caschetto,
camicia, giacca e cravattino: l'evoluzione ha la faccia acqua e sapone,
un impegno immenso nel cuore e la dolcezza in superficie così come si
rispecchia nella tranquillità un po' da spiaggia di Misery che va
sfumando nella delicata Anna ( Go To Him) per poi ripartire pian piano
con il ritmo di Chains fino a cadere nel rock'n'roll più acuto di Boys,
si tratta però di canzoni scritte da altri paroliere, ma finalmente la
vera nota creativa dei testi dei Beatles si fa risentire con la canzone
d'amore Ask Me Why che ben si accorda con la successiva Please Please Me
al suono di un' armonica.
Tutto
scorre in un'atmosfera senza sbalzi e quasi acquerellata, ma basta
prepararsi ad un'esplosione da vulcano per far nascere il ritmo di Love
Me Do: il primo singolo estratto, secondo per efficacia solo alla
selvaggità della successiva hit Twist And Shout che ha l'incarico di
chiudere questa prima pagina beatlesiana che nella seconda parte regala
una piccola perla come Do You Want To Know A Secret e una cover di Baby
It's You di Bacharach.
Senz'altro
un album ancora giovane, ma con i signori Beatles, la musica deve essere
analizzata pian piano: bisogna tenere conto che tutto nasce dal nulla,
prima non esisteva assolutamente niente o quasi dell'intero genere
musicale che in pratica i Beatles si stanno inventando.
Quanti
album avranno potuto avere negli scaffali delle loro stanze per farsi
un'idea sulla musica da seguire? Qualche esempio ci sarà pure ma tolto
Elvis, la quantità è inconsistente , questo è il fatto. E allora,
lode e gloria ad un foglio bianco che tenta con successo di riempirsi.
La
strada è ancora lunga però i quattro scarafaggi dal pop-rock hanno
già un identitatà sonora caratteristica.
In
generale, Please Please Me dunque, non può che essere un album
essenziale non fosse altro per il simbolismo che conserva al giorno
d'oggi a cui la musica tanto deve.
Nella
fattispecie dei Beatles, pure si tratta di qualcosa da tenere a mente,
si tratta della loro prima tappa musicale, delle loro radici primordiali
che tanto saranno modellate ma che tanta rimarranno un po' nell'essenza
di tutti i loro lavori antecedenti a Rubber Soul (1965)
Groudy.Blue
PLEASE PLEASE ME
di Luca Biagini
L'11 febbraio del 1963, nessuno dei presenti nello studio 2 di Abbey
Road, Beatles compresi, poteva immaginare che ciò che stava facendo
sarebbe passato alla storia. Nel corso di quella giornata, i Beatles
registrarono tutti i brani di Please Please Me, esclusi i quattro che
erano già usciti come singolo: Love Me Do/P.S. I Love You e Please
Please Me/Ask Me Why. Considerando un costo stimato di circa 400
sterline, quella seduta di registrazione rappresenta anche uno degli
investimenti più fortunati della storia.
Oggi l'album è ricordato soprattutto per le varie leggende - in gran
parte vere - che lo circondano, come appunto il costo di realizzazione,
la registrazione di Twist And Shout in un solo nastro, le tonnellate di
caramelle e i litri di latte con cui Lennon cercava di fronteggiare il
suo raffreddore - davvero assai evidente in alcuni brani.
Il suo peso storico, tuttavia, non è soltanto quello di essere il primo
disco del gruppo che vanta la più grande discografia della storia della
musica pop, quanto quello di aver rivoluzionato il concetto stesso di
album. Nel 1963, era frequente che un artista reduce da un singolo di
successo si affrettasse a pubblicare un album dallo stesso titolo; ma
era un'operazione puramente commerciale, senza fini artistici, che
consisteva quasi sempre in una sequenza di cover e/o di standard del
genere.
I Beatles invece, che avevano già sfidato le regole dell'epoca con la
loro scelta di registrare materiale scritto da loro (vincendo
l'opposizione di George Martin, che avrebbe voluto utilizzare brani
scritti da autori professionisti) ora si apprestavano a stravolgere
anche tutti i preconcetti relativi agli LP. Questo percorso, iniziato
quasi inconsciamente, li porterà, quattro anni più tardi a consacrare
definitivamente il 33 giri come formato d'elezione, con la pubblicazione
di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band.
L'album è, almeno nelle intenzioni, la riproduzione su disco di un
concerto dei Beatles; addirittura Martin si era recato a Liverpool nel
dicembre '62, per valutare la possibilità di registrarlo dal vivo al
Cavern. Volendo capitalizzare più rapidamente possibile il successo del
singolo Please Please Me - tanto da non aspettare nemmeno che Lennon
guarisse - la Parlophone pose il veto, e il disco fu inciso ad Abbey
Road.
Valutato come disco e non come episodio fondamentale della musica del XX
secolo, Please Please Me ha i suoi momenti migliori agli estremi:
all'inizio, l'esplosiva apertura di I Saw Her Standing There, un pezzo
che non era stato preso in considerazione come singolo solo perchè non
era ancora stato scritto. Alla fine invece, la strepitosa
interpretazione di Twist And Shout: entrambi i brani rimangono tra le
più dirompenti esecuzioni dei Beatles in chiave rock and roll, in mezzo
ai quali si susseguono pezzi di alterna qualità, ma che ben di rado
tradiscono la fretta con cui furono registrati, il che è un evidente
segnale della professionalità di una band i cui membri non sommavano 90
anni in quattro.
Come accadrà anche nei successivi LP del gruppo, non si può però fare a
meno di notare che la qualità complessiva di Please Please Me è
nettamente superiore alla qualità dei brani presi singolarmente. In
questo caso, il valore aggiunto è evidente: come osservò Erlewine,
decenni dopo la sua uscita, l'album suona ancora freschissimo. Se i
meriti dei due singoli fin qui pubblicati dal gruppo possono in un certo
qual modo essere messi in discussione, la superiorità di questo 33 giri
rispetto alla concorrenza dell'epoca era lampante: il pubblico inglese
gli tributò una sensazionale accoglienza, mantenendolo al numero uno
delle classifiche per 30 settimane, prima che venisse scavalcato dal
nuovo LP del gruppo, With The Beatles.
http://www.pepperland.it/the-beatles/discografia/album/please-please-me
Novembre
1963
WITH THE BEATLES
Parlophone
PMC 1206; PCS 3045 - November 22, 1963 - (CD) Parlophone CDP 7 46436 2 -
February 26, 1987 - Capitol CLJ 46436 - July 21, 1987
It
won't be long All I've got to do All my loving Don't brother me Little
child Till there was you Please mr. Postman Roll over Beethoven Hold me
tight You really got a old on me I wanna be your man Devil in her heart
Not a second time Money (That's what I want)
WITH
THE BEATLES vendette oltre un milione di copie nella sola Gran Bretagna.
Ma la vera sorpresa fu, dopo solo una settimana dalla pubblicazione dell’album,
l’uscita di un altro singolo inedito: "I want to hold your hand"/"This
boy" con il quale si chiude questo anno fondamentale per la
crescita artistica del gruppo.
Il
1964 cominciò in tono minore. Del resto i Beatles in pochi mesi avevano
prodotto singoli e un album di successo. Nel mese di febbraio i Beatles
sbarcarono in America e furono 73milioni i telespettatori che li
guardarono all’Ed Sullivan Show. Oramai la beatlesmania cominciava a
dilagare e puntualmente nel mese di marzo uscì il loro nuovo singolo
"Can’t buy me love"/"You can’t do that".
Il
momento era l’ideale per tentare altre strade per pubblicizzarli
ulteriormente. Qualche mese dopo il gruppo cominciale riprese di A hard
day’s night (in Italia ribattezzato Tutti per uno), un film dove i
Beatles si autointerpretavano. E venne anche il primo tour mondiale. I
beatles toccarono anche Asia, Nuova Zelanda e Australia.
Dopo
Please Please Me i Beatles pubblicano il loro secondo LP nel secondo
semestre 1963, inaugurando quella che fu un'abitudine dei primi anni
della loro attività, e cioè pubblicare un LP ogni sei mesi. Nel Regno
Unito fu pubblicato sia in edizione mono che stereo.
In Italia uscì nel febbraio del 1964, ma con titolo e copertina
diversi, anche se con le stesse canzoni: il disco era I favolosi Beatles.
L'etichetta era allora sempre la Parlohpon, e in abse alla ristampa si
può distinguere una etichetta di colore rosso indaco, rosso oppure
nero.
Solo a fine 1976 anche da noi uscì con il titolo originale.
Ci sono 14 canzoni, alcune delle quali pubblicate su 45 altre no. Non
tutte sono ancora tutta farina del sacco del nostro quartetto, anche se
la loro particolare interpretazione si fa notare. C'è da aggiungere che
qui si trova anche qualche classico rock and roll, con cui i Beatles
iniziarono a farsi conoscere nei concerti dal vivo sia a Liverpool che
ad Amburgo.
Il disco si apre con It Won't Be Long scritta da Lennon e McCartney.
Stupendo è un assolo di chitarra di George Harrison.
C'è quindi All I've Go To Do scritta sempre dal nostro duo in cui
prevale la voce di John, e poi la classica e famosa All My Loving che,
con il suo ritmo travolgente, si fece amare anche nelle esecuzioni dal
vivo, di cui abbiamo un esempio nella loro prima apparizione all'Ed
Sullivan Show nel febbraio 2964, appena arrivati negli USA; anche qui un
mitico assolo di chitarra del grande George.
Poi la prima canzone scritta da George Harrison, Don't Bother Me
Successivamente possiamo ascoltare Little Child, in cui Paul suona anche
il pianoforte.
Poi una canzone già nota, anche se non in Italia, Till There Was you,
scritta da Willson, e sigla dello show The Music Man. Si ricorda anche
la interpretazione datane da Chet Atkins, chitarrista che hanno sempre
detto di ammirare George Harrison e Paul McCartney, tanto che era noto
come Mr Guitar.
Poi un hit del quartetto femminile The Marvelettes, Please Mister
Postman, scritta da Dobbin-Garrett-Garman-Brianbert. Qualcuno ricorda la
canzone originale usata nei titoli di testa del film C'è posta per te (You've
Got A Mail).
E finalmente un classico rock and roll del mitico CHuck Berry, Roll Over
Beethoven, suonato spesso dal vivo soprattutto agli esordi dei Beatles.
Poi una canzone del nostro duo, Hold Me Tight, cantata da Paul, che
invita appunto a "tenerlo stretto".
Poi una canzone del complesso americano The Miracles, You Really Got A
Hold On me di Robinson.
I Wanna Be Your Man è cantata qui dai Beatles, e scritta da Lennon e
McCartney, ma fu da loro concessa nientemeno che ai Rolling Stones,
allora ai loro inizi; possiamo sentire in questa canzone anche John
all'organo Hammond e la speciale voce di RIngo Starr.
Poi un altro classico, Devil In Her Heart di Drapkin, cantata in origine
da The Donays, altro gruppo femminile.
Il disco termina con una composizione del nostro duo, Not A Second Time
e con Money di Bradford-Gordy, quest'ultima da loro spesso eseguita dal
vivo al Cavern Club di Liverpool, ancora sconosciuti al mondo.
Se si guarda la copertina, si vedrà la qualità notevole della foto in
bianco e nero, opera di Robert Freeman.
Agosto
1964
A HARD DAY’S NIGHT
Parlophone
PMC 1230; PCS 3058 - July 10, 1964 - (CD) Parlophone CDP 7 46437 2 -
February 26, 1987 - Capitol CLJ 46437 - July 21, 1987
A
hard days night/ I should have known better/ If I feel/ I’m happy just
to dance with you/ And I love her/ Tell me why/ Can’t buy me love me/
Anytime at all/ I’ll cry instead/ Things we said today/ When I get
home/ You can’t do that/ I’ll be back
con
le bellissime "I feel fine" e "And I love her". Un
nuovo tour negli Stati Uniti consacrò ulteriormente la loro
popolarità. Per il gruppo non c’era un solo attimo di tregua. In
novembre era già pronto un nuovo singolo: "I feel
fine"/"She’s a woman" e, il giorno dopo, un nuovo 33
giri a solo cinque mesi dal precedente!
Edito
dalla parlophone nel 1964, il disco esce come colonna sonora per
l'omonimo film di Richard Lester, ormai John Lennon, Paul McCartney,
Ringo Starr e George Harrison godono di una fama mondiale e sfornano
successi su successi. Troviamo ancora una manciata di belle ballads
firmate tutte da Lennon e McCartney questa volta, tra le quali vale la
pena di ricordare And I love her, Can't buy me love e la title track A
Hard day's night.
Non e' un disco da avere a tutti i costi, a meno che non si sia un
collezionista del genere, ma comunque uno dei migliori tra quelli del
primo periodo, sempre che si possa parlare di dischi non buoni riguardo
ai beatles. 4 stelle.
Mentre
i Beatles erano in una fase di grande crescita si prospetta loro la
possibilità di fare un film, in cui glorificare la Beatlemania che
diventava sempre più un fenomeno inarrestabile.
E
il risultato fu davvero eloquente. Sia il disco che il film A HARD DAY’S
NIGHT possono considerarsi emblemi della Beatlemania stessa.
Il film fu girato dai Beatles affrontandolo con facilità e
divertimento, proprio ciò che generò nel pubblico quando usci nelle
sale.
Durante le riprese, poi, George Harrison conobbe la donna che in seguito
diventò sua moglie, Patty Boyd.
La produzione musicale dell’album, uscito nel Luglio del 1964, è la
più romantica innocente e naif dell’intera carriera dei Beatles.
I primi due pezzi “A hard day’s night” e “I should have known
better” sono due brani gemelli, il secondo la prosecuzione del primo
in relazione alla tonalità in sol maggiore, il tempo e la sensazione
che generano.
Tutti i brani, però, subiscono piacevolmente l’influenza del nuovo
strumento di George Harrison, una chitarra eletrica Rickenbacker a 12
corde, strumento rivoluzionario per il periodo che usavano davvero in
pochi (uno tra i più famosi era Roger McGuinn dei Byrds).
La vena romantica prosegue con “If I fell” in cui Lennon e McCartney
accarezzano la melodia del brano con profonda attenzione.
Harrison, che non aveva nessun pezzo di sua produzione da inserire nell’album,
canta “Tell me why” mentre McCartney , oltre alla famosa “Can’t
buy me love”, offre uno dei numerosi pezzi che non si scordano, “And
I love her” che come 45 giri superò il milione di copie vendute negli
Usa.
L’album A HARD DAY’S NIGHT creò un precedente importante nella
discografia : fu il primo album ad essere scritto durante una tournèe.
Questo perché, ormai affermatisi, i Beatles avevano bisogno di un
repertorio proprio, senza più affidarsi a brani di altri autori. E per
produrre il nuovo album i tempi erano davvero risicati, così che ci si
dovette lavorare durante la tournèe.
Tra questi brani, di cui sei appaiono sulla facciata B dell’album,
ricordiamo in particolare “Things we said today” e “I’ll be back”,
brani dalle melodie eccellenti.
“I’ll cry instead” invece anticipava il sapore leggermente country
che il gruppo avrebbe sviluppato nell’album successivo.
Un tono di distacco dalla vena romantico-melodica della produzione la
offre John Lennon con due brani, “Any time at all” e “When I get
home”.
Da sottolineare un’ultima cosa. L’intero LP è stato prodotto con
pezzi dei soli Lennon e McCartney e i giudizi della critica sul lavoro
furono davvero eccellenti. Si disse che i due geni musicali di Lennon e
McCartney erano i migliori in assoluto dal tempo di Schubert.
Novembre
1964
BEATLES FOR SALE
Parlophone
PMC 1240; PCS 3062 - December 4, 1964 - (CD) Parlophone CDP 7 46438 2 -
February 26, 1987 - Capitol CLJ 46438 - July 21, 1987
No
reply/ I’m loser/ Baby’s in black/ Rock and roll music/ I’ll
follow the sun/ Mr. Moonlight/ Kansas City/ Eight days a week/ Words of
love/ Honey don’t/ Every little thing/ I don’t want to spoil the
party/ What you’re doing/ Everybody’s trying to be my baby
Si
chiudeva così il 1964, ennesimo anno trionfale per il quartetto di
Londra.
Come
per gli altri anni, l’inizio del 1965 è all’insegna della
tranquillità. Tranquillità che dura, però, soltanto pochi mesi. Esce
il nuovo singolo: "Ticket to ride"/"Yes it is"; ma
soprattutto i Beatles furono al centro del più grande scandalo di
quegli anni. Vennero insigniti, infatti, dell’onoreficenza dell’
Ordine dell’Impero in omaggio alla grossa pubblicità resa, alla
nazione, in tutto il mondo. La cosa non andò giù al mondo
aristocratico inglese e ai tanti cittadini che avevano conquistato
quella onorificenza per meriti di guerra. Furono tanti coloro che la
restituirono per protesta. Nello stesso periodo i quattro furono di
nuovo sul set e cominciarono le riprese del loro secondo film Help! (in
Italia, Aiuto!). il film usci alla fine di luglio unitamente al nuovo 33
giri dal titolo omonimo.
Un
disco da sentire in autunno, quando l'estate lascia il posto ad una
piacevole pace malinconica autunnale.
L'atmosfera la si respira già guardandone la copertina, e la foto
all'interno, con le foglie secche che fungono da fondale. Una magnifica
immagine di Freeman che nobiliterà diverse copertine dei Beatles.
Malgrado qualche affossamento il disco è molto piacevole e pervaso di
una atmosfera tutta sua, diversa da ogni altro disco dei Beatles.
"No
Reply" - con la sorprendente potenza del suo middle sixteen in
progressione che parte a 1 minuto dopo l'inizio della canzone (non a
caso ma voluto e studiato con una professionalità compositiva adulta),
unico e volutamente non ripetuto, seguendo la filosofia del "meno
c'è meglio è". Trenta secondi di magia, una delle vette più alte
della espressività dei Beatles.
"I'm A Loser" - il primo frutto del "periodo Dylan"
di Lennon. "Baby's In Black" - scritta in una stanza
d'albergo, la registrazione non soddisfò i Beatles ma rimase a lungo
negli spettacoli dal vivo in quanto piaceva e piace tutt'ora ai fans.
"Rock And Roll Music" - una cover, incisa in una sola
registrazione in presa diretta (Martin aggiunse il piano in seguito)
dopo otto ore di studio dedicato ad altre canzoni, dimostra quanto
enorme fosse la professionalità dei Beatles e la loro bravura come
musicisti, impetuosa l'interpretazione di Lennon. "I'll Follow The
Sun" - composta nel 1960 ma ripescata ed usata un po' come
riempimento risulta deliziosa.
"Mr. Moonlight", il Medley seguente - "Honey Don't"
ed "Everybody's Trying To Be My Baby", non tengono il passo
dell'altissimo livello di tutta la produzione della band, anche se gli
innamorati dei Beatles li perdonano volentieri.
"Eight Days a Week" - trasmette tutto l'ottimismo solare della
metà degli anni sessanta, un capolavoro assoluto.
"Words Of Love" - una magnifica canzone di Holly, che i
Beatles interpretano con personalità e professionalità; da ascoltare
scambiandosi i regali accanto alle lucine dell'albero di Natale. "Every
Little Thing" - uno dei brani più emotivamente ricchi del disco.
"I Don't Want To Spoil The Party" - "What Are You Doing"
- sebbene nella media altissima dei Beatles, sanno un po' di
"lavoro da fare".
Non
dimentichiamoci che: è il 1964, Paul ha 22 anni, John 24; sono due
ragazzi, questo è il quarto LP in ventun mesi, senza contare i 45 giri.
Non come ora che un artista fa un disco ogni due anni dal quale estrae i
45 giri. Il disco fu assemblato per esigenze di mercato e messo su in
fretta e furia e le canzoni furono composte durante un massacrante tour
di concerti all'estero.
Nessuno può considerarlo scarso, come nessun album dei Beatles lo è,
ma tutti lo considerano il pezzo meno pregiato della loro collezione. E
così, come una mamma ama e difende maggiormente il suo figlio più
debole, così i fans ne sono inteneriti e lo ascoltano con affetto.
Fortunato chi si bagna nelle acque del fantastico mare musicale creato
dai Beatles. Un sentito rincrescimento per chi non riesce a sentirne e
capirne la magia.
http://debaser.it/recensionidb/ID_6533/Beatles_Beatles_For_Sale.htm
Luglio
1965
HELP!
Parlophone
PMC 1255; PCS 3071 - August 6, 1965 - (CD) Parlophone CDP 7 46439 2 -
April 30, 1987 - Capitol CLJ 46439 - July 21, 1987
Help!/
The night before/ You’ve got to hide your love away/ I need you/
Another girl/ You’re gonna lose that girl/ Ticket to ride/ Act
naturally/ It’s only love/ You like me too much/ Tell me what you see/
I’ve just seen a face/ Yesterday/ Dizzy miss Lizzie
Tante
le chicche. Ma una spanna sopra tutte la celeberrima "Yesterday".
Cominciò
una nuova tournee e, finalmente, i quattro sbarcarono in Italia.
Concerti a Milano, Genova e Roma e tutto esaurito.
Il
nuovo album fu posto in vendita alla fine del 1965 e, in contemporanea,
usci anche il singolo anticipatore: "Day Tripper"/"We can
work it out".
Il
1965 sembra ripercorre le tappe dell'anno precedente: tournée - dischi
- film - successo - beatlemania che negli USA toccò livelli d'isteria
del tutto esagerati.
Sono i Beatles a sentirsi diversi. Dopo due anni passati a cavalcare
l'onda ora si sentono soffocati. Così Help! acquista un significato che
va ben al di là del titolo del film/disco in programmazione.
Il film non poteva che essere diverso da A hard day's night: i quattro
ci avevano mostrato di preferire un processo creativo che li portasse a
sperimentare novità più che affrancare modelli (questo modo di fare
diventerà, col tempo, maniacale tanto che John pretendeva dai tecnici
di sala che la sua voce "suonasse" diversa ad ogni canzone).
Si passa dal genere documentario alla fiction di pura e semplice
fantasia. A parte qualche memorabile sequenza, vedi quella sulla neve in
Austria, il film, girato a colori, è pervaso di sincera ironia e di
giochi surreali (Harpo dei fratelli Marx) ma è debole, tende a perdersi
a livello narrativo tant'è che il finale alle Bahamas è più una
scelta dettata dal desiderio di una vacanza che da vere necessità di
copione. Sono i Beatles, chi poteva dire di no! L'esperienza non
piacque, infatti non girarono più film.
Il LP è costituito da 12 pezzi originali, due dei quali di Harrison (I
need you, una bellissima ballata acustica e You like me to much) e due
cover. Una di queste, Act naturally, un pezzo country, fu scelta da
Ringo poiché non aveva una canzone da cantare. Negli USA ebbe un
successo che va ben al di là del suo reale valore. L'altra, Dizzy Missy
Lizzy, un'esecuzione di maniera.
Le prime 7 canzoni costituirono la colonna sonora del film Help!
Secondo alcuni critici non tutto il materiale è di livello eccelso (R.Carr).
Forse è vero a posteriori se poniamo di fronte a noi tutta la
produzione della coppia Lennon-McCartney. Storicamente no. La fase è
interlocutoria ma si vede già la strada che porta alla futura ricerca
in sala di registrazione: evidente nell'uso sempre più frequente delle
sovraincisioni e nella ricerca timbrica, attraverso l'uso di strumenti
inusuali per la musica beat/pop (si pensi al quartetto d'archi usato per
Yesterday). Il sound è meno rock'n roll è più intimo. Frequente è
l'uso di strumenti acustici, inudibili durante un concerto!, in
particolare useranno una chitarra folk della Gibson che, in seguito,
verrà chiamata da tutti Beatles. Sette sono le ballate più o meno
acustiche del disco, da You've got to hide your love away, che con il
suo 12/8 fa il verso ad Another Side di Bob Dylan, a I've just seen a
face che Paul scrisse basandosi su una semplice progressione armonica.
Sembra un LP folk-rock lo stile avviato da Dylan e proseguito dai Byrds
che rappresentava la risposta USA alla "Britisch Invasion",
questo la dice lunga su come i quattro fossero attenti al panorama
musicale internazionale. Il disco uscì preceduto a febbraio dal singolo
Ticket ti ride cui seguì il 45 Help! Forse la prima canzone
autobiografica di John: si sentiva/vano soffocati dalla beatlemania, il
loro desiderio di fare musica veniva ignorato da un pubblico urlante che
assisteva ai loro concerti solo per vederli come se fossero animali da
esibire in pubblico e il loro grido fu HELP!. http://digilander.libero.it/massimoxsempre/Help!.htm
Dicembre
1965
RUBBER SOUL
Parlophone
PMC 1267; PCS 3075 - December 3, 1965 - (CD) Parlophone CDP 7 46440 2 -
April 30, 1987 - Capitol CLJ 46440 - July 21, 1987
Drive
my car/ Norwegian wood (This bird has flown)/ You won’t see me/
Nowhere man/ Think for yourself/ The word/ Michelle/ What goes on?/
Girl/ I’m looking through you/ In my life/ Wait/ if I needed someone/
Run for your life
La
chicca è Michelle. Senza però dimenticare successi come Girl e Nowhere
man.
Il
1966 fu l’anno dei primi cambiamenti. Gorge si sposa con Patty Boyd,
modella e attrice nota per aver partecipato come comparsa nel loro primo
film. I Beatles nel frattempo cominciarono una tournee in Gran Bretagna
con una serie di concerti memorabili che terminarono a Londra, a Wembley,
il 1° maggio. Fu il loro ultimo concerto, live, in Inghilterra! Il mese
successivo registrarono il loro ennesimo 45 giri. "Paperback writer/"Rain".
Il lato B fu il primo esperimento di psichedelia dei Quattro. La tournee
continuò toccando altri posti sconosciuti come il Giappone.
È
tale la sostanza del lavoro, che entriamo ormai in un territorio in cui
le note critiche hanno un valore quasi esclusivamente soggettivo. - [Roy
Carr / Tony Tyler]
Sedotti dal soul, affascinati dal folk americano, incuriositi (è
improprio parlare di “influenza”) da artisti come Dylan, Byrds e
Beach Boys, in realtà i Beatles stavano spiccando il volo verso vette
inaccessibili per chiunque altro. I vertiginosi saliscendi armonici, la
capricciosa pulsazione ritmica, i provocanti doppi sensi erotici
scanditi dal mitico “beep beep yeah” fanno di Drive My Car l’inno
della liberazione sessuale con tre anni di anticipo sul '68. Solo un
poeta come Lennon poteva usare titoli impegnativi come Love, Woman, Girl
senza inciampare nella retorica: incorniciato da un sobrio arrangiamento
acustico, il suo ritratto di “ragazza” è un ambiguo miscuglio di
misoginia e trasporto emotivo. Con Norwegian Wood (This Bird Has Flown)
John esorcizza il senso di colpa per un’avventura extra-coniugale,
sostenuto dal magico controcanto di Paul e dal sitar di George, che
proprio allora iniziava ad armeggiare con lo strumento indiano. L’incontenibile
ispirazione di Lennon trova sfogo nell’apatia esistenziale di un
cinico Nowhere Man, simbolo avvilente dell’uomo moderno, senza ideali,
senza sogni, senza progetti: 40 anni dopo, quel vuoto pneumatico è
diventato il tragico epitaffio dell’Occidente. La sfida di bravura tra
Paul e John culmina in classici come Michelle, sublime melodia carezzata
dall’etereo soffio del coro, e In My Life, con le sue toccanti
riflessioni sulla vita e il “finto” assolo di clavicembalo ottenuto
da George Martin raddoppiando la velocità del pianoforte. Oltre a
rifinire tutto l’album con superlativi interventi alla chitarra,
Harrison propone la sua migliore canzone fino a quel momento - If I
Needed Someone - il cui ingegnoso tema a tre voci è sorretto dallo
squillante arpeggio della Rickenbacker. Anche i brani meno noti come
Think For Yourself di George, Wait di John, You Won’t See Me e I’m
Looking Through You di Paul, evidenziano uno straordinario talento
musicale e uno spessore lirico sorprendente per ragazzi allora poco più
che ventenni. Proprio quel sereno distacco nei confronti di fama e
ricchezza consentirà ai Beatles di superare indenni gli eccessi degli
anni Sessanta. Come usava all’epoca, il singolo venne pubblicato
separatamente dal Long Playing, pur facendo parte a tutti gli effetti
delle session di Rubber Soul. “Sua Altezza” Otis Redding interpretò
Day Tripper sostituendo l’epico riff elettrico con una deflagrante
sezione fiati. Condotta dal suggestivo suono dell’armonium, We Can
Work It Out accostava la fiduciosa strofa di Paul a uno scettico
ritornello in ¾ di John, creando così un coinvolgente effetto
drammatico (Chaka Khan ne renderà una splendida versione nel suo What’cha
Gonna Do For Me). Giustamente etichettato con due lati “A”, Day
Tripper / We Can Work It Out rimane uno dei più grandi 45 giri della
storia. [P.S. - Sotto la guida di Todd Rundgren, gli Utopia hanno
ricreato in vitro cloni “geneticamente modificati” di Michelle e Day
Tripper (Deface The Music).] - B.A .http://www.peninsula.eu/beatles.htm
Agosto
1966
REVOLVER
Parlophone
PMC 7009; PCS 7009 - August 5, 1966 - (CD) Parlophone CDP 7 46441 2 -
April 30, 1987 - Capitol CLJ 46441 - July 21, 1987
Taxman/
Eleanor rigby/ I’m only sleeping/ Love you too/ Here, there and
everywhere/ Yellow submarine/ She said she said/ Good day sunshine/ And
your bird can sing/ For no one/ Dr. Robert/ I want to tell you/ Got to
get you into my life/ Tomorrow never knows
"Here,
there and everywhere" fu uno dei cavalli di battaglia unitamente a
"For no one". Dopo l’estate tutti sentirono il bisogno di
staccare un po’ la spina e si dedicarono ad alcuni progetti personali.
La casa discografica ne approfittò per regalare, a Natale, una raccolta
dei loro più grandi successi.
Dopo
aver ampliato i propri confini artistici con "Rubber Soul"
(1965) i Beatles conquistano la vetta del Rock.
"Revolver" è tinto di psichedelia, di ballate, di rhythm
& blues, di filastrocche... concorre un pò di tutto alla creazione
di questo capolavoro senza tempo.
I testi si fanno più incisivi, le tematiche adolescenziali del primo
periodo sono ormai sorpassate. Morte, droga e quant'altro delineano le
prospettive dell'album. La musica, grazie ad una ricerca sonora
estenuante, si muta in arte.
I Beatles si portano avanti anni luce rispetto ai loro concorrenti.
Nello stesso anno i Rolling Stones sono ancora alle prese con il loro
primo album di composizioni originali, "Aftermath". Gli Who
sono ben lontani dal successo futuro di "Tommy" e i Beach Boys
dopo aver pubblicato il magnifico "Pet Sounds" sprofonderanno
in una crisi creativa senza ritorno.
L'album
prende il via con una composizione di George Harrison, "Taxman".
Un pezzo di rock serrato dove il riff del basso è l'elemento di maggior
attrattiva del brano fino all'esplosione chitarristica di Paul McCartney.
Segue "Eleanor Rigby", prevalentemente di McCartney, pezzo
funebre orchestrato solamente da strumenti classici. Uno dei massimi
vertici dell'album.
"I'm Only Sleeping" è la prima avvisaglia psichedelica del
disco, con chitarre al contrario e la voce di John Lennon deformata.
"Love You To" è l'essenza orientale di George Harrison.
Cascate di suoni provengono dal sitar, suonato da un musicista esterno
al gruppo.
Ecco immancabilmente la dolce ballata di McCartney, "Here, There
and Everywhere", considerata dall'autore la sua miglior canzone in
assoluto.
Sempre dalla penna di Paul esce fuori "Yellow Submarine", una
filastrocca memorabile cantata da Ringo Starr con tanto di effetti
sonori.
"She Said She Said", di John, è l'ideale incontro tra rock e
psichedelia dove regna sovrana la chitarra di George Harrison.
"Good Day Sunshine" apre la seconda facciata dell'album con la
solare gioia di Sir. McCartney supportato al pianoforte dal produttore
del gruppo, George Martin. Ancora la chitarra di George la fa da padrona
in "And Your Bird Can Sing" di John Lennon... un pezzo
usa&getta come lo definirà, piu in là col tempo, lo stesso autore.
McCartney torna al suo massimo splendore con "For No One", una
ballata dai sapori antichi sull'amor perduto. Una delle più belle
canzoni dell'intero catalogo beatlesiano. "Doctor Robert" ci
riporta ad un rock senza fronzoli che tanto piace a Lennon.
"I Want To Tell You" è il brano minore tra i tre di Harrison.
Ritorno alle radici ryhthm & blues tra i strumenti a fiato di "Got
To Get You Into My Life" di Paul.
A calar il sipario ci pensa la gemma psichedelica di John Lennon. "Tomorrow
Never Knows" è il capolavoro nel capolavoro. Suoni che sembrano
provenire da chissà quali altre dimensioni per poi svanire
improvvisamente nel nulla. Un giro di batteria che ipnotizza il
subconscio. "Tomorrow Never Knows" precederà l'intera
esplosione psichedelica del 1967 capitanta da Velvet Underground, Doors
e Pink Floyd.
Dicembre
1966 A COLLECTION OF BEATLES OLDIES (OLDIES… BUT GOLDIES)
She
loves you/ From me to you/ we can work it out/ Help!/ Michelle/
Yesterday/ I feel fine/ Yellow submarine/ Can’t buy me love/ Bad boy/
Day tripper/ A hard day’s night/ Ticket to ride/ Paperback writer/
Eleanor Rigby/ I want to hold your hand
Nel
mese di febbraio del 1967 uscì il loro nuovo 45 giri. "Penny
lane"/"Strawberry field forever" e cominciarono la
lavorazione di quello che comunemente viene definito non solo il loro
capolavoro ma IL CAPOLAVORO della storia della musica pop/rock.
Giugno
1967
SGT. PEPPER’S LONELY HEART CLUB BAND
Parlophone
PMC 7027; PCS 7027 - June 1, 1967 (traditional date; actually rush
released May 26, 1967) - Capitol (S)MAS 2635 - June 2, 1967
(CD)
Parlophone CDP 7 46442 2 - June 1, 1987
Sgt.
Pepper’s lonely heart club band/ With a little help from my friends/
Lucy in the sky with diamonds/ Getting better/ Fixing a hole/ She’s
leaving home/ Being for the benefit of mr. Kite/ Within you without you/
When I’m sixty-four/ Lovely Rita/ Good morning good morning/ sgt.
Pepper’s lonely heart club band (reprise)/ A day in the life
Nell'estate
del 1967, la "Summer of Love", i Beatles si sciolgono
virtualmente per lasciare spazio ai loro alter ego artistici: La
Sergeant Pepper's Lonely Hearts Club Band.
La band esordisce con quest'album omonimo che esce in giugno , dopo
oltre 700 ore di lavorazione in studio.
Da molti considerato, a torto, un concept album, Sergeant Pepper e',
tuttavia, un disco di enorme portata per il valore dei pezzi, la cura
maniacale di ogni particolare in studio, per la copertina (un collage di
personaggi famosi realizzata da Peter Blake: un capolavoro nel
capolavoro) che testimonia la maturita' raggiunta dai beatles al loro
ottavo disco e la loro totale attenzione al lavoro in studio, dopo aver
abbandonato l'attivita live.
A dire il vero il primo e ultimo album della Banda del Sergente Pepe
sarebbe dovuto essere molto diverso nei contenuti: Dopo i primi tre
album (Please Please Me, With The Beatles e A Hard Day's Night) di beat
e R'n'R, l'evoluzione folk-rock di Beatles For Sale, Help e Rubber Soul,
e i primi approcci con il sitar e le manipolazioni in studio di Rubber
Soul e Revolver, i beatles avevano pensato ad un CONCEPT composto da
pezzi interamente dedicati a Liverpool e avevano cominciato a lavorare
in quella direzione incidendo Strawberry Fileds Forever (Lennon) e Penny
Lane (McCartney).
Poi, pressato dalla EMI che chiedeva un singolo, il gruppo fu costretto
a pubblicare i due pezzi in un incredibile 45 giri (forse il migliore
della storia del rock) a doppio lato A che paradossalmente si fermo' al
secondo posto in classifica; e siccome il "protocollo" inglese
dell'epoca non permetteva di inserire in un album canzoni pubblicate
come 45 gri nello stesso anno, i beatles ricominciarono daccapo e
abbandonarono il progetto iniziale.
Niente liverpool ne campi di fragole e spazio alla Sergeant Pepper's
Lonely Hearts Club Band che apre il disco con la title track,
iperprodotta e spinta da una strofa serratissima cantata da McCartney
con un riff di chitarra hendrixiano che spinge il pezzo tra applausi,
grida e contrappunti di corno francese verso un ritornello bandistico
che annuncia da subito quale sara' lo stile di tutto il disco e che
sfuma per lasciare spazio a With A Little Help From My Friends,
filastrocca psichedelica interpretata in maniera commovente da Ringo
Starr affiancato dalle armonie vocali, come sempre perfette, di Lennon.
Il pezzo sara', in seguito elevato a capolavoro da Joe Cocker con una
cover che fa sfigurare la pur splendida versione originale (con tanti
complimenti da parte degli stessi Beatles).
Il Disco prosegue senza interruzioni con Lucy In The Sky With Diamonds,
una delle canzoni piu chiacchierate della storia del rock per i presunti
riferimenti all'lsd confermati nelle iniziali del pezzo.
Lennon smentira' piu volte ma lo stesso testo, lisergico, anche se
artificioso, conferma il fatto che i Beatles facessero da tempo uso
dell'LSD. Con una strofa ipnotica, liquida, cantata da un Lennon
assonnato, quasi indifferente e lontano, il pezzo va...fino a quando
ringo starr, con 3 colpi "al posto giusto e al momento
giusto", annuncia un ritornello pessimo, approssimativo, che
rappresenta perfettamente i difetti (pochi) del Sgt. Pepper e rovina una
canzone partita con grandi ambizioni e salvata dalla sua splendida
strofa.
Terminati i primi tre pezzi tutti di un fiato, senza soste (forse e'
solo per questo che buona parte dei critici e' caduta nel tranello del
concept?) si arriva a Getting Better, sicuramente non uno dei picchi del
disco: un pezzo che ricorda molto i primi beatles e a cui e'stata
aggiunta una produzione pesantissima, caratteristica del gruppo da
Revolver in poi. L'esecuzione e' ottima, energica ma manca veramente il
pezzo. Con Fixing A Hole si torna ad alti livelli.
Anche su questo pezzo si insinuo' molto, parlando di riferimenti
all'eroina. "nei nostri pezzi i critici hanno trovato piu cose di
quante noi stessi sapessimo" dissero gli stessi Beatles
riferendosi, forse, a certa critica concentrata piu' a cercare prove
sull'uso di droghe che ad ascoltare i pezzi. In seguito i Beatles
inserirono spesso frasi ambigue per divertirsi con le interpretazioni
che gli sarebbero state date.
Comunque, eroina o no, il pezzo va, cantato in maniera esemplare dalla
voce effettata di McCartney che sale e scende su una delle tante
filastrocche lisergiche, spesso infantili, che costituiscono il vero
marchio di fabbrica della psichededelia inglese del periodo "il cui
vero argomento non fu ne la droga ne l'amore, ma la nostalgia per la
visione innocente che e'propria del bambino"(Ian McDonald). Fixing
A Hole lascia spazio a She's Leaving Home. Cantata sempre da Macca con
le armonie vocali di Lennon, She's Leaving Home e' uno dei capolavori di
Sgt. Pepper. Suonato in pratica solo con strumenti classici, il pezzo
vanta un arrangiamento d'archi che, nella discografia dei Beatles, ha
qualcosa da invidiare solamente a Eleanor Rigby e che e'arricchito dalle
splendide armonie vocali di Lennon e da un testo che affronta un tema
tipico del periodo: quello del gap generazionale del dopoguerra e che
per gli standard dei Beatles, e'di altissimo livello.
Dopo la parentesi semiseria di She's Leaving Home il lato A si chiude
con Being For The Benefit Of Mr. Kyte, il pezzo piu' lennoniano del
disco, strampalato e irregolare. Non e' un capolavoro ma e' uno di quei
pezzi che rimane in mente e che si canticchia in testa per un intera
giornata. Costruito da Lennon al piano con il testo composto da frasi
prese a caso da un poster di un circo di fine '800 che Lennon aveva
appeso nel suo studio casalingo, Being For The Benefit Of Mr. Kyte e'
l'emblema del modo di comporre dei Beatles, e di Lennon in particolar
modo, in questo periodo. E questo sistema produrra' ottimi risultati
almeno fino a quando i Beatles si faranno prendere la mano
dall'importanza della spontaneita' e della casualita' e cominceranno a
considerare arte qualsiasi idiozia venga loro in mente pubblicando
materiale che non valeva neanche i soldi spesi per il nastro. Comunque
non e' il caso di questo pezzo che scivola via stupendamente, cantato da
Lennon in maniera secca, "tra i denti", e arricchito (o
appesantito: dipende dai gusti) da mille strumenti come tamburini,
organo, nastri effettati: tutti artifici che in Sgt. Pepper potete
trovare in ogni angolo. Girato il disco sembra cambiare tutto: Il lato B
e' aperto da Within You Without You, unico contributo di George Harrison
in questo disco. E si sente. Praticamente un pezzo di musica indiana,
con un testo didascalico e retorico, che in questo disco ha solo il
pregio di essere estremamente diverso da qualsiasi altra cosa scritta
dai Beatles nella loro carriera. Non un pezzo mediocre, intendiamoci, ma
abbastanza noioso e meritevole di non piu di un paio di ascolti.
Harrison ha fatto di meglio nel momento in cui e' riuscito a proporre,
con successo, un perfetto crossover di musica indiana e pop/folk/rock e
non a limitarsi ad eseguire semplicemente musica classica indiana che,
per il pubblico rock, era quasi del tutto nuova e considerata
"sperimentale" ma che, per un pubblico piu colto, era poco piu
di una cover. Dopo la tediosa Within You Without You arriva When I'm 64,
il pezzo piu leggero e disimpegnato del disco ma anche il piu piacevole,
insieme a Being For The Benefit Of Mr Kyte. E, come Being For The
Benefit Of Mr Kyte poteva essere cantata solo da Lennon, When I'm 64 la
poteva cantare solo McCartney. Ne viene fuori un pezzo che richiama la
musica popolare inglese degli anni '30 e che McCartney esegue in maniera
esemplare, in tono scherzoso, compassato, tirando fuori una delle sue
migliori performances, con le armonie vocali di Lennon che entrano
sempre quando devono entrare e che sono, insieme alla voce di Macca, il
picco di questo pezzo, arrangiato in modo molto approssimativo (per
essere dei Beatles, si intende) e che, insieme alla successiva Lovely
Rita, funge da interludio scanzonato tra la seriosa Within You Without
You e il trittico finale del disco. Di Lovely Rita non vale la pena dire
molto. E' sicuramente il pezzo minore del disco, canzonetta divertente
scritta e cantata da McCartney, mai amata da Lennon che rimproverava a
Macca di scrivere "storie inutili di persone inutili che fanno cose
inutili". Sgt Pepper e' un disco in cui si vede, nel suo complesso,
piu la mano di McCartney, al massimo delle sua fantasia e delle sue
capacita' creative, che di Lennon, intrappolato in una fase critica
della sua vita, con gli eccessi dell'lsd che, probabilmente,
amplificavano i bruschi cambi di umore tipici della sua personalita'. I
due avevano sicuramente un background familiare molto diverso che
sarebbe difficile spiegare in poche righe ma che senza dubbio aveva
portato McCartney ad essere una persona piu equilibrata e Lennon ad
essere spesso intrattabile e volubile. E, sebbene il loro rapporto in
questo periodo fosse sicuramente ottimo, almeno in base alle
testimonianze di chi era vicino al gruppo, Lennon accusava, talvolta,
McCartney di scrivere pezzi insulsi come Lovely Rita appunto. Canzoni
scritte in terza persona, che avevano come protagonisti personaggi di
fantasia o "inutili", quando, al contrario, Lennon riteneva
che si dovesse parlare di se stessi, in prima persona perche "io
conosco me stesso". Da qui la poca simpatia che Lennon aveva nei
confronti di questo pezzo e che, senza dubbio, non possiamo non
condividere. Da qui in poi pero si fa sul serio. Apre Good Gorning Good
Morning di Lennon, forse l'unico pezzo "rock" di tutto il
disco. Lennon canta distaccato, lontano, noncurante, un testo molto
tagliente e ironico, con il ritmo serratissimo dettato da un Ringo Starr
in forma smagliante che mena colpi sulla batteria e dagli ottoni che
accompagnano tutto il pezzo fino alla fine quando il canto del gallo,
dei cani che abbaiano, e mille altri rumori, lasciano il posto a Sgt.
Pepper Lonely Hearts Club Band Reprise, simile, ovviamente, alla
precedente, ancora piu serrata che di per se non aggiunge nulla ma che,
senza interruzioni, apre la strada al capolavoro del disco e di tutta la
carriera dei Beatles: A Day In The Life.
Il pezzo parte piano, acustico, con la chitarra che viene presto
raggiunta dal piano fino all'entrata della voce di Lennon lontana
miglia, rassegnata e malinconica che canta le prime due strofe...poi
entrano gli archi e gli ottoni che lentamente si impadroniscono del
pezzo, diventano assordanti e infine... si fermano del tutto per lasciar
spazio ad una sveglia e alla voce di McCartney, accelerata, nervosa,
appena sveglia, accompagnata da un grande Starr e da un piano perfetto,
in totale contrapposizione con la parte lennoniana con la quale ne
condivide, tuttavia, la sorte quando l'orchestra la copre, sale a
"prendersi" tutto per fermarsi ancora e cedere il testimone di
nuovo a Lennon che riprende il tema iniziale fino al momento in cui una
voce inizia a contare, entra tutta l'orchestra che, come voluto da
McCartney, glissa dalla nota piu bassa a quella piu alta di ogni singolo
strumento (in maniera casuale e non sincronizzata) fino ad ottenere un
frasatuono che viene interrotto dall accordo finale di tre pianoforti
che chiudono in pompa magna quello che e', da molti punti di vista, il
vero testamento dei Beatles. Dopo poco tempo dall'uscita del disco
morira' Brian Epstein, manager, inventore, padre e fac-totum dei Beatles
che, senza di lui, lentamente perderanno la strada, tornando ad essere 4
persone disitnte e non una sola come era stato fino a quel momento.
Questo e' l'ultimo disco in cui tutti e quattro hanno partecipato alla
creazione di tutti i pezzi, insieme. Gia dal Doppio Bianco le cose
saranno diverse. Sgt. Pepper e' stato allo stesso tempo il manifesto di
un epoca, il disco che ha fatto prendere coscienza della nobilta' e
delle immense possibilita' della musica pop/rock e last but not least il
testamento artistico del gruppo piu importante della storia del rock.
Gli si possono trovare tutti i difetti che volete ma nessun disco e'
stato capace di cambiare la storia della Popular Music come il Sergeant
Pepper dei Beatles.
L’album
resterà in vetta alle classifiche di vendita americane e inglesi per
più di un anno. Venne anche pubblicato un 45 giri: "All you need
is love"/"Baby, you’re a rich man". Durante l’estate
avvenne anche l’incontro con lo Yogi Maharishi. Un week end insieme ad
altri esponenti della musica rock per rilassare corpo e spirito dai
disturbi causati dallo stress. Non si parlava d’altro, in Inghilterra.
Una notizia tragica, però, li costrinse a tornare a Londra. Il loro
manager e amico di tante battaglie, Brian Epstein, era stato trovato
morto. Non fu mai chiarita la causa del suo decesso ma per i quattro fu
un duro colpo. Quel contratto stipulato nel 1962 non era stato mai
rinnovato in quanto non ce n’era bisogno. Era considerato uno di loro
e mai si sarebbero separati.
Verso
la metà di novembre uscirono, contemporaneamente, il nuovo film (Magical
mistery tour) e il 45 giri ("Hello goodbye"/"I am the
walrus"). Un mese dopo il nuovo 33 giri che portava lo stesso
titolo del cortometraggio.
IL
QUARANTENNALE DI SGT. PEPPER'S LONELY HEART CLUB BAND
di
Massimiliano Leva
http://www.kwmusica.kataweb.it/kwmusica/index.jsp
Quarant'anni fa, il primo giugno 1967, i Beatles pubblicavano
Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band. Un disco epocale, un
capolavoro del rock che con le
sue tredici canzoni gettò nel vento idee e innovazioni che
avrebbero influenzato tutta la musica a venire. Non per niente,
a Roma, venerdì 1, è prevista una festa in grande stile per
celebrare proprio il quarantennale del disco. Con una maratona
musicale in vari luoghi della città e, presso l'Auditorium
Parco della Musica, con la consulenza di Ernesto Assante e Gino
Castaldo, con Mauro Pagani a dirigere una vera e propria tribute
band nel nome dei Beatles.
Ironia della sorte, Sgt. Pepper's, nacque in un momento di crisi
e sbandamento per i Fab Four. Verso la fine del 1966, stanchi
del ruolo di idoli pop usa e getta, i quattro di Liverpool erano
in cerca di nuove strade, non solo musicali ma anche d'immagine.
Così, dopo aver deciso di evitare i tour e di dedicarsi solo
alla musica di studio, con il vento in poppa della nascente
psichedelica, ciascuno di loro si impegnò in nuovi progetti.
George Harrison approfondì la sua passione per l'India e la
cultura orientale. John Lennon si improvvisò attore per Richard
Lester. Paul McCartney si appassionò alle musica di Berio e
Stockhausen, e dopo un viaggio in America, pensò a un nome
fittizio simile a quello di alcune nuove band californiane, come
Quicksilver Messenger Service o Strawberry Allarm Clock. Tra
tanta ispirazione e oro colato, nacque il Sergente Pepe, che con
la sua Banda di Cuori Solitari, si prestava bene a fornire un
alter ego ai quattro.
L'album, inizialmente, venne pensato come un omaggio, con
canzoni a tema, all'infanzia dei Beatles. Ma il bisogno di
pubblicare come 45 le due canzoni che più si prestavano a
questo progetto (Strawberry Fields Forever e Penny Lane)
accantonò l'idea. "Non fu nemmeno un vero concept album -
ha spiegato una volta George Martin, il loro produttore -. Io
feci giusto il possibile per legare senza stacchi un brano
all'altro". Le canzoni che però ne vennero fuori, dalla
title track a Lucy in the Sky with Diamonds, da She's leaving
home a A day in the life, rimangono gemme della musica rock. Per
ispirazione, per i testi scritti, per i suoni inventati usando e
ingegnandosi con semplici tecnologie di studio, sono tuttora uno
dei migliori esempi per creatività. Con Sgt. Pepper's il rock
divenne adulto e la musica pop arte. Per questo, vi proponiamo
un analisi di tutte le canzoni di quel disco imperdibile.
SGT. PEPPER'S LONELY HEARTS CLUB BAND
Fu a Paul che venne in mente che i Beatles avrebbero potuto
simulare di essere la banda del Sergente Pepe. Pare che
l'origine del nome Pepper sia da attribuire a Mal Evans, road
manager del gruppo, che suggerì l'idea come scherzoso sostituto
di salt'n'pepper. Alcuni sostengono però che il nome sia stato
ispirato da una bevanda americana, il Dr Pepper. Il brano venne
iniziato il primo febbario '67, negli studi di Abbey Road, dalle
19:30 fino alle 2 di notte, e proseguito il giorno seguente. Il
potente suono di basso venne ottenuto inserendo il suono dello
strumento direttamente nella consolle dello studio. Il 6 marzo,
invece, venne l'idea di inserire i rumori inziali con una band
che prova gli strumenti e i rumori di una sala concerti. Gli
effetti vennero presi dalle prove dell'orchestra per A day in
the Life.
WITH A LITTLE HELP FROM MY FRIENDS
Hunter Davies, giornalista e autore della prima biografia
autorizzata del gruppo, ebbe l'onore di presenziare a casa di
John per la scrittura di questo brano. Lennon e McCartney
volevano scrivere un brano semplice che fosse adatto allo stile
di Ringo. "Si misero alla chitarra. John ebbe l'idea di
scrivere ogni verso come se si trattasse di una domanda e
risposta - spiega Davies -. Cominciarono perciò con parole
semplici per trovare le rime. Quando erano privi di idee, si
fermavano e strimpellavano qualche vecchio brano rock. Poi,
ricominciavano subito a lavorare". Cynthia, la moglie di
John, suggerì la frase "I'm fine" (Sto bene). Ma a
Lennon non piacque e provò invece con "I know it's
mine" (So che è mio), costruendo così la rima "I
can't tell you, but I know It's mine". Nell'intro al brano,
Ringo viene presentato come Billy Shears.
LUCY IN THE SKY WITH DIAMONDS
Forse uno dei brani più famosi dei Beatles che, come ormai
quasi tutti sanno, venne ispirato da un disegno che Julian, il
figlio di Lennon, fece vedere al padre. Il ritratto mostrava
Lucy, una compagna di scuola di Julian, in un cielo di diamanti.
Lennon, che in quel periodo faceva uso di Lsd, trovò così la
chiave per un nuovo brano. Per questo, in molti, vuoi anche per
il testo molto surreale, videro nelle iniziali del titolo
proprio l'acronimo LSD. Lennon peraltro ha sempre smentito.
Piuttosto, John asserì che le immagini del testo gli furono
ispirate da un capitolo di Alice nel Paese delle Meraviglie. Il
brano venne inziato il 28 febbraio. Una parte delle prove, si
può ascoltare sul volume 2 delle Antohology.
GETTING BETTER
Questa fu una canzone di Paul, scritta con il suo solito
ottimismo tipico della working class. E' ancora Hunter Davies a
raccontare la genesi del brano: "Stavo passeggiando con
Paul e il suo cane a Primerose Hill. Era una bella giornata, una
delle prime di primavera. -Sta migliorando', disse Paul, che si
mise a ridere, perché la cosa gli aveva suggerito
un'idea". Si tratta anche di un brano con spunti e idee
suggerite in parte anche da John. Venne iniziata il 9 marzo e il
piano di Martin venne suonato colpendo direttamente le corde
anziché i tasti.
FIXING A HOLE
Un'altro brano di Paul e un'altra canzone con riferimenti
all'uso di droga. Almeno, così sostengono alcuni critici. In
realtà, la traduzione del titolo, "Tappando un buco",
non si riferisce all'uso di eroina, bensì alle riparazioni che
Paul dovette fare nel 1966 alla fattoria che aveva acquistato in
Scozia. La canzone venne iniziata il 9 febbraio, ma non a Abbey
Road, bensì ai Regent Studios: degli studi indipendenti in cui
facevano spesso prove anche i Rolling Stones. Il resto venne
comunque terminato ad Abbey Road. Lo strumento particolare di
questo brano è il clavicembalo.
SHE'S LEAVING HOME
Con John sempre più attratto dalle droghe e pigramente chiuso
nella sua casa fuori Londra, in un certo senso fu Paul a
prendere le redini del gruppo per Sgt. Pepper's. Anche questa
canzone, splendida, è frutto della sua immaginazione. McCartney,
leggendo un articolo nel febbraio '67 che parlava di una
studentessa 17enne scappata di casa, prese spunto da
un'affermazione del padre: "Aveva tutto ciò di cui poteva
aver bisogno". Creò quindi una storia d'amore romantica,
partendo dalla realtà (la ragazza di cui aveva letto si
chiamava Melanie Coe) e aggiungendoci di suo la fuga con un uomo
più maturo. John aiutò alla scrittura dei cori del ritornello,
che cantò con George. Per l'arrangiamento venne usata una
sezione d'archi. Da questi spunti, come già fatto per Yesterday,
il rock avrebbe via via preso ispirazione per i futuri lavori
del cosiddetto progressive.
BEING FOR THE BENEFIT OF MR KYTE!
Incredibile canzone di Lennon, con un'atmosfera psichedelica.
L'ispirazione gli venne comprando, nel Kent, il giorno in cui
con gli altri girò il clip di Strawberry Fields Forever, un
manifesto vittoriano di un circo. Il poster, del 1843, recitava
appunto che lo show sarebbe stato tenuto per gentile concessione
di Mr Kyte. Con la sua tipica fantasia, si presentò così da
Martin con la canzone, dicendo che voleva ottenere un suono che
ricordasse quello della segatura usata per i cavalli da circo.
Martin, che era abituato a simili uscite, lavorò sodo. L'orgia
di suoni nell'assolo e nel finale, venne costruita tagliando il
nastro usato per la registrazione in piccole parti, lanciandole
per aria, raccogliendole a caso e montando i frammenti. Anche di
questo brano è interessante ascoltare la parti rintracciabili
sulle Anthology
WITHIN YOU WITHOUT YOU
L'unico brano di Gorge, al sitar, e influenzato dalla sua ormai
recondita passione per l'India. Il testo della canzone esprime
il proprio disappunto per l'individualismo tipico della cultura
occidentale, secondo cui ognuno, seguendo il proprio ego,
incoraggia le divisioni e la separazione. Rivalutata nel tempo,
si può definire uno dei primi pezzi di musica etno. Secondo la
leggenda, le risa nel finale sarebbero opera di scherno da parte
degli altri Beatles.
WHEN I'M 64
Paul scrisse questo brano nel 1957, a quindici anni, sul
pianoforte del padre nella sua casa di Liverpool. Tenne il brano
nel cassetto e lo rispolverò quando, nell'ottobre 1966, i
Beatles iniziarono a registrare Strawberry Fields Forever e
Penny Lane. Nonostante il curioso arrangiamento in stile
vaudeville, venne considerato troppo debole per diventare la
facciata B di Strawberry Fields Forever, e così entrò in Sgt.
Pepper's. Anni dopo, un Lennon al vetriolo avrebbe indicato
questo e altri brani di Paul come "canzoni da
nonnina". Il riferimento era all'uso di ottoni, alla
melodia semplice e al racconto di un ottimismo quasi scontato.
LOVELY RITA
Uscendo dagli studi Abbey Road, un giorno McCartney scoprì che
la sua Mini era stata multata per divieto di sosta. Si
precipitò dal vigile e chiese se si chiamava davvero Meta
Davies come scritto sulla contravvenzione. "Un nome davvero
strano. Le dispiace se lo uso per una canzone?", chiese
Paul. Detto, fatto. Si mise a scrivere il brano e, pensando
anche al fatto che in America le addette ai parchimetri venivano
chiamate in slang "meter maid", arrivò alla
conclusione per il testo. Durante le registrazioni delle voci
del brano, per la prima volta i Beatles incontrarono i Pink
Floyd, anche loro a Abbey Road per registrare il primo disco del
gruppo.
GOOD MORNING GOOD MORNING
Un brano di Lennon, ispirato da una pubblicità di cornflakes
che recitava, appunto, "buon giorno, buon giorno". In
seguito, Lennon disse di non amare molto questo brano. In
realtà, fu registrato con un'idea clamorosa per il finale: una
serie di voci animali, presi dall'archivio di nastri sonori
della Emi, e montati in sequenza, con la regola che il seguente
doveva essere più grosso o in grado di mangiare il precedente.
SGT. PEPPER'S LONELY HEART CLUB BAND (REPRISE)
Vulcanici per creatività, i Beatles pensarono di riprendere il
brano iniziale verso la fine, come commiato della banda del
Sergente Pepe. Martin riuscì a far combaciare l'ultimo verso di
animale della canzone precedente con la prima nota di chitarra.
Mai, prima dei Beatles, un gruppo aveva pensato di riprendere un
tema come invece facevano alcuni compositori classici.
A DAY IN THE LIFE
Un brano fantastico, che meriterebbe un articolo a sé, più
volte segnalato come una delle registrazioni più avveniristiche
del rock. E in effetti fu davvero così. Iniziato il 19 gennaio,
con il titolo provvisorio di In the life of..., da un piccolo
germoglio nacque un brano composto da varie idee. La prima, di
Lennon, era la parte iniziale e finale della canzone. Lennon la
scrisse facendo riferimenti criptici ad avvenimenti e fatti
della sua vita privata di quei mesi. E la registrò con un forte
eco e una voce che pareva provenire dall'alto di una montagna.
Poi, Paul portò, con cambi di tempo e melodia, la parte
centrale. Si trattava di una canzone che aveva incominciato ma
non finito, e che parlava di una giornata tipica ai tempi della
scuola. Rimaneva il dubbio su come legare le due parti, che per
qualche giorno vennero lasciate staccate, con una pausa di
trentadue battute contate da una sveglia. Venerdì 10 febbraio,
arrivò l'idea. Nello studio 1 di Abbey Road, dalle 19:30 alle
2:30, i Beatles radunarono vari amici (tra cui i Rolling Stones)
e quaranta musicisti d'orchestra per riempire la parte vuota,
con quello che definirono "un'orgia di suoni". Dopo
aver obbligato i musicisti a indossare nasi finti, maschere e
zampe di gorilla, registrarono tutti gli strumenti, con un
glissato che doveva partire dalla nota più bassa per arrivare a
quella più alta. Malcom Davies, manager degli Hollies, uscì
dagli studi e, piangendo, confidò: "ora che cosa potremmo
fare di più avveniristico dei Baetles?". Il finale del
brano, fu l'ultima idea. I quattro lo registrarono colpendo
all'unisono gli stessi tasti di due pianoforti e
lasciando che il suono venisse catturato sino all'ultima nota
percepibile. In quel modo, chiusero un album. E cambiarono la
storia. |
Dicembre
1967
MAGICAL MISTERY TOUR
Capitol
(S)MAL 2835 - November 27, 1967 - PCTC 255 - November 19, 1976 -
Parlophone PCTC 255 (Yellow Vinyl) - May 1979
Magical
Mystery Tour was originally released in the UK as an Extended EP, (S)MMT
1
(CD)
Parlophone CDP 7 48062 2 - September 21, 1987
Magical
mistery tour/ The fool on the hill/ Flying/ Blue jay way/ Your mother
should know/ I am the walrus/ Hello goodbye/ strawberry fields forever/
Penny Lane/ Baby you’re a rich man/ All you need is love
Finì
l’anno e anche se altri successi dovevano ancora avvenire cominciò la
loro parabola discendente.
All’inizio
del 1968 uscì l’ennesimo 45 giri. "Lady Madonna"/"The
inner light". Il lato B fu registrato a Bombay con l’ausilio di
musicisti indiani. Seguì una tournee proprio in India dove alternarono
concerti con momenti di meditazione con il Maharishi. Nei mesi
successivi arrivò la vera svolta, in senso negativo. Quella che segnò
l’inizio della fine. John Lennon lasciò Chintya Powell e nella sua
vita entrò Yoko Ono. Dopo una notte di sesso & droga i due
registrarono Two virgins, un disco davvero indefinibile.. Fu il caos per
i fan e per gli altri componenti del gruppo.
Come
certo saprete, tutto avviene immancabilmente a caso. E il caso non è
per nulla idiota. Anzi, s’ingegna di lasciar trasparire una sua
intelligenza viziosa, spesso crudele. Di più: sovente cova una
insopprimibile propensione narrativa, tanto che le sue trame sanno
imporsi sul resto procurandoci docce di brividi, paure arcane, stupori
sublimi.
Per farla breve, il caso quella sera mi guidò gli occhi e le dita sul
Magical Mistery Tour, che si rivelò antidoto perfetto, elisir di
guarigione, quel che ci voleva per non sfracellarmi in un buco di nera
malinconia. Del resto, rigirando la frittata, quella depressione in
boccio seppe dimostrarsi propellente ideale per il decollo nel cinerama
acidulo e struggente imbastito dai Fab Four, disco che prima di allora
mi era piaciuto – ora lo so - per forza d’inerzia, per una sorta di
atto dovuto, genuflessione d’ordinanza al cospetto di siffatto
frammento di Storia.
E pensare che neanche è un disco vero e proprio. Vabbè, che ve lo dico
a fare, la storia è stranota: ancora inebriati dalla grazia visionaria
che li portò a quel totem & tabù che è il Sgt. Pepper, ai nostri
cari baronetti (soprattutto a Paul) venne in mente di tuffarsi da un
trampolino ancora più alto e flessuoso, piantare l’ennesimo paletto,
indicare altre vie, scattare in avanti su rotte perlopiù misteriose.
Quand’ecco, tra capo e collo, la tragica morte del manager Brian
Epstein: uno shock, una perdita umana e professionale incalcolabile. Ma
anche l’ennesima sfida. Il conato di strampalata onnipotenza
(soprattutto in Paul) oltrepassò gli argini, al punto che i quattro si
improvvisarono cineasti a tutto tondo, sbuzzarono un pugno di idee e ne
fecero un canovaccio, scelsero agresti location (il Devon e la
Cornovaglia, solo per il gusto di tornarci dopo una vacanza nel ’59!),
noleggiarono qualche cinepresa e un pullman, ingaggiarono tre
macchinisti e qualche attore, quindi si dichiararono pronti al salto nel
buio delle sale, a cavallo di un mistico fascio di proiettore. Allo
sbaraglio, su un flebile fascio di luce e colori. E di musica.
Come biasimarli? Avevano appena doppiato il passo più erto, abbattuto
il recinto dell’immaginario generazionale, non c’era velleità che
potesse esser loro preclusa, fosse anche un film estemporaneo e
sciagurato come Magical Mistery Tour. Liquidato dai più come il
puntuale passo falso di una carriera ineguagliabile, questo
fantasmagorico lungometraggio (59 min) adombra se non altro l’ennesima
presa di distanza, l’ennesimo “stacco”: offrendosi in guisa di
simulacro fantastico, i quattro scarafaggi celebravano il guscio di una
ormai definitiva alterità, come a dire non c’è più palco che possa
o debba contenerci, né il conforto di comodi format espressivi, siamo
sempre più in là, annusatori d’incantesimi, rabdomanti di studio,
architetti di futuro.
Comunque, la pellicola fu accolta da una fragorosa, calda, pressoché
unanime stroncatura, forse oltre i suoi stessi demeriti. Quanto a me, se
un tempo la consideravo cacca di pseudo-artista, oggi - l’occhio meno
avaro e amaro - mi sembra l’istantanea impazzita di un sogno. Anzi, di
un sogno irripetibile. Dopo un’indigestione. Prima della burrasca.
Ma veniamo a noi. Dalla colonna sonora fu estratto in origine un maxi ep,
sei tracce di varia estrazione formale: talora interlocutorie, come il
soul-RnB tra il sordido ed il beffardo della strumentale Flying o l’iniziale
profluvio di luccicanze umorali à la Kinks della title track (che
intende paventarsi quale straniante specchio liquido, per attrarci nel
delirio e rassicurarci sulla sua natura di mistero chiuso), talaltra
consueti esercizi di magistero melodico ad opera dell’insigne Macca (l’asprigno
vaudeville griffato dixie di Your Mother Should Know e l’ineffabile
affresco malinconico-esistenziale di The Fool On The Hill: in entrambe l’orchestrazione
stempera popolare e psichedelico senza alcun dissapore, con armoniosità
vivida e solenne).
I colpi d’ala sono l’ipnotica Blue Jay Way (il buon Harrison
assimila l’oriente e ghigna vortici centripeti distanti appena un
palmo di watt dai 13th Floor Elevator) e soprattutto un parto lennoniano
che ha dell’incredibile, quella I Am The Walrus di cui ancora oggi è
difficile dire, pochi accordi e visioni a go go, ordigno
autocitazionista dalle vibrazioni occulte e universali, oggetto scabro e
accattivante, monodico incedere opalino, ragli in liquido amniotico d’inesplicabili
didascalie e dadaismi antropomorfi. Un alieno. Un asteroide che ancora
sprofonda, fino al fondo di ogni cuore allucinato.
Già così, insomma, una cornucopia di piccole grandi meraviglie,
baciate dalla grazia scervellata di una band all’apice. Ma qualcuno
pensò di aggiungerci il resto, e chi altri poteva permettersi un “resto”
così? Ovvero le cinque schegge disseminate tra i singoli di quell’aureo
1967, da Hello Goodbye (una di quelle feste a cui tutti sono invitati) a
Baby You’re A Rich Man (esile RnB colluso d’incenso che non sai bene
perché ma funziona), quest’ultimo in origine retro del classicone All
You Need Is Love, alla cui speranzosa dabbenaggine poetica ripenseremo
non senza tristezza in occasione delle parole che chiudono Abbey Road (e
chiosano l’intera vicenda Beatles).
Infine, un’autentica celebrità, il 45 giri con più lati “A”
della storia, quello Strawberry Fields Forever/Penny Lane in cui
Lennon-McCartney si/ci riconducono lungo dendriti e sinapsi di passato,
per sentieri diversi e complementari, palpitanti e allegorici, in
equilibrio obliquo su canoni antichi e nuovissimi. Può bastare?
Che dirvi, sarà la naturale tendenza delle cose a trovare il proprio
posto nel Grande Caos: di questo disco sapevo l’importanza (bella
forza) e la raffazzonata meraviglia, ma non la capacità di corrodere l’aplomb
quotidiano, svellere il piedistallo delle certezze, palpeggiare il
midollo della percezione. Così, ormai uomo fatto e un po’ disfatto,
eccomi novello Alice beneficiato dall’ennesima chiave d’oro dell’ennesimo
Paese delle Meraviglie, che è poi lo stesso di sempre. Sia benedetto, e
mai lodato abbastanza, il Rock.
di
Stefano Solventi
09/09
- Mercoledì 26 settembre 2012, per un solo giorno, Magical Mistery
Tour, il più visionario film dei Beatles verrà presentato per la prima
volta sul grande schermo nella sua versione restaurata in alta
definizione con audio Dolby Digital 5.1 e con speciali materiali
inediti. L'occasione è la pubblicazione in Dvd e Blue-ray di Magical
Mistery tour a partira dal 9 ottobre, a distanza di 45 anni dall'uscita.
E’
il settembre del 1967 quando sull’onda dello straordinario successodi
Sgt. Pepper, i Beatles danno vita a un film interamente ideato e diretto
da loro. Caricano su un pullman una troupe cinematografica, amici,
familiari ecast (tra cui spiccano Ivor Cutler, Victor Spinetti, Jessie
Robins, Nat Jackley, Derek Royle e l'inimitabile Bonzo Dog Doo-Dah Band
oltre ai Beatles che interpretano se stessi) e lasciano Londra per
dirigersi verso ovest sulla A30, destinazione Cornovaglia: Magical
Mystery Tour sta prendendo vita.
Basato
su un racconto libero e improvvisato, secondo lo spirito sperimentale
del tempo, Magical Mystery Tour fu l’innovativa chiave di volta per
presentare sei nuove canzoni: “Magical Mystery Tour”, “The Fool On
The Hill”, “Flying”, “I Am The Walrus”, “Blue Jay Way” e
“Your Mother Should Know”. Ringo Starr ha spiegato "Paul disse
'Ho avuto questa idea' e noi ci siamo detti 'Grande!'. Tutto ciò che
aveva era il disegno di questo cerchio con un punto sopra: è lì che
abbiamo iniziato ", spiega Ringo Starr.
Una volta concluso Magical Mystery Tour venne trasmesso in bianco e nero
alle 20:35 su BBC1 il giorno di Santo Stefano del 1967 ad un pubblico di
famiglie in attesa di un intrattenimento leggero in stile natalizio.
Mentre la musica fu accolta con entusiasmo informa di un EP doppio, i
critici televisivi che si aspettavano qualcosa nello stile di A Hard
Days Night e Help!, diedero alla pellicola recensioni povere e in alcuni
casi al vetriolo. In seguito alle controversie il film non fu trasmesso
negli Stati Uniti ed ebbe solo una distribuzione limitata.
Forse
però, a quasi mezzo secolo di distanza, il giudizio del pubblico e
della critica potrebbecambiare... Anche perché Magical Mystery Tour è
diventato ormai un cult movie che arriva per la prima volta al cinema
dopo un restauro voluto dalla Apple Films supervisionato da Paul Rutan
Jr. dell’Eque Inc. (la stessa società che ha curato l’acclamatissimo
restauro di Yellow Submarine) e dopo uno scrupoloso lavoro sulla colonna
sonora eseguito presso agli Abbey Road Studios da Giles Martin e Sam
Okell.
I
fan lo hanno atteso per anni. Ma forse non immaginavano di poterlo
riscoprire anche su grande schermo proprio a cinquant’anni dall’esordio
discografico dei Fab Four.
Dal
9 ottobre Magical Mystery Tour (nella sua edizione restaurata e
sottotitolata in italiano con colonna sonora remixata) sarà reso
disponibile da EMI Music in DVD e Blu-ray oltre che in un’edizione
speciale 10"x10". L'edizione deluxe includerà sia il DVD che
ilBlu-ray, così come un libro di 60 pagine con curiosità, foto,
documentazione della produzione e una replica del doppio EP su vinile da
7” con le sei canzoni originariamente pubblicate in Inghilterra
proprio nel 1967. Tra i contenuti speciali interviste e materiali
inediti.
Ora,
solo per un giorno mercoledì 26 settembre, Magical Mystery Tour arriva
al cinema in una versione completamente restaurata in alta definizione,
remixata in Dolby Digital 5.1 e sottotitolata in italiano. Il film cult
dei Beatles esploderà con i suoi effettipsichedelici sul grande schermo
nelle sale italiane (a Milano, Roma, Firenze, Genova, Torino, Napoli,
Bologna, Bari, Palermo, Padova, Trieste e in molte altre città: elenco
delle sale a breve disponibile su www.nexodigital.it.
http://www.bielle.org/2012/news/0909MagicalMisteryTour.htm
Difficilmente
anche i fan più sfegatati dei Beatles metterebbero Magic Mistery Tour
tra i capolavori inarrivabili del gruppo di Liverpool. Eppure è un
lavoro che ha saputo unire tanti pregi ad altrettanti difetti.
Innanzitutto ci sono due versioni di Magical Mistery Tour. La prima (un
doppo Ep, ossia un 33 giri con le dimensioni di un 45 giri) conteneva
solo le canzoni del filmato: ossia, nell'ordine Magical Mistery Tour,
Your mother should know, I am the walrus, The fool on the hill, Flying e
Blue Jay Way. L'intero progetto è stato patricinato e partorito dalla
mente di Paul McCartney, tranne "Blue Jay Way" che è di
George Harrison e "I'm a walrus" che è un pezzo di John
Lennon e che è anche il vertice compositivo del mini album. Per gli
Stati Uniti invece i Beatles sfornarono un Lp, unendo ai pezzi già
detti anche Penny Lane, Stwberry fields forever, Hello Goodbye, Baby
you're a rich man e All you need is love. Il film, che usciva a
brevissima distanza di tempo da "Sgt Pepper's Lonely hearts club
band" fu un insuccesso clamoroso. Al contrario del film l'album
ebbe un successo clamoroso: disco d'oro e nomination per i Grammy Awards
come miglior album dell'anno, con otto settimane al primo posto in
America. Tra le curiosità dell'album si può annoverare anche
"Flying" che è uno dei rarissimi stumentali suonati dei
Beatles, l'unico inciso e l'unico brano firmato da tutti e quattro. Le
perle dell'Ep sono "I'm a walrus" e "The fool on the
hill", dell'album completo sono brani rimasti nella storia
"Strawberry fields forever" e "Penny Lane", i
ricordi rispettivamente di Lennon e McCartney sulla loro infanzia e
"All you need is love", che è celebre per essere stato il
primo brano in assoluto trasmesso in mondovisione. Riascoltato adesso
sembra splendido e pieno di idee. A questo punti aspettiamo di
riscoprire il film e di sorprenderci ancora.
http://www.bielle.org/2012/news/0909MagicalMisteryTour.htm
Novembre
1968
THE WHITE ALBUM
UK)
Apple PMC 7067-8; PCS 7067-8 - November 22, 1968 - (US) Apple SWBO
101 - November 25, 1968 - Capitol SEABX 11841 (White Vinyl) - August
1978 - Parlophone PCS7067/8 (White Vinyl) - 1979 (CD) Parlophone CDP 7
46443 2; CDP 7 46444 2 - August 24, 1987
Back
in the USSR/ Dear prudence/ Glass onion / Obladì obladà/ Wild honey
pie/ The continuoing story of Bungalow Bill/ While my guitar gently
weeps/ Happiness is a warm gun/ Martha my dear/ I’m so tired/
Blackbird/ Piggies/ Rocky raccoon/ Don’t pass me by/ Why don’t we do
in the road/ I will/ Julia/ Birthday/ Yer blues/ Mother nature’s son/
Everybody’s got something to hide except me and my monkey/ Sexy Sadie/
Helter skelter/ Long, long, long/ Revolution 1/ Honey pie/ Savoy truffle/
Cry baby cry/ Revolution 9/ Good night
A
novembre, dopo che anche Gorge Harrison, fortemente influenzato dalle
atmosfere indiane, ebbe pubblicato il suo primo album da solista (Wonderwall
music) uscì il nuovo lavoro del gruppo. Un disco doppio, senza titolo,
comunemente chiamato THE WHITE ALBUM.
In
molti hanno tentato di spiegare il mistero Beatles. Tra le tante ipotesi
formulate nel corso degli anni, una ci pare più equilibrata, sobria e
convincente delle altre: John, Paul, George e Ringo erano quattro
emissari di un’evolutissima civiltà aliena scesi sulla Terra a
portare la felicità. Il che ci risparmia l’onere di trovare un
barboso antefatto giornalistico al “Doppio Bianco”. Dunque, i
Beatles. Nel 1968. Le aspettative più caute lasciavano presagire una
pagina fondamentale della storia umana. Così fu. Accantonato il
rutilante cromatismo di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band e
Magical Mystery Tour, dietro l’austero involucro della copertina
candida si celava la quintessenza del rock come lo conosciamo oggi.
Forti dei mezzi economici messi a disposizione dalla EMI, sorretti dalla
perizia tecnica degli ingegneri di Abbey Road, liberi da vincoli
espressivi di sorta, i quattro erano pressoché onnipotenti e in grado
di trasformare in musica qualsiasi idea. A bordo del jet supersonico che
annuncia Back In The U.S.S.R., Paul e John si svincolano dalla paranoia
della “guerra fredda” levando una travolgente ode boogie-surf alle
gioie della vita in Unione Sovietica, vista dall’ottica privilegiata
di un “compagno” che se la spassa tra ucraine e moscovite. Nel 1979
Elton John ne fece il clou dei suoi celebri concerti oltre cortina
insieme a Ray Cooper. I ricordi del soggiorno in India affiorano su due
capolavori di Lennon: Dear Prudence, affettuosa dedica alla sorella di
Mia Farrow, Prudence, incorniciata in un suggestivo arpeggio elettrico
che ispirerà i 10cc per Feel The Benefit (Deceptive Bends); Sexy Sadie,
brillante refrain che dietro il pentagramma nasconde un ritratto al
vetriolo del Maharishi Mahesh Yogi, il “santone” conosciuto a
Ryshikesh per smascherare il quale a John bastarono pochi minuti. Glass
Onion alimenta le congetture sui testi dei Beatles con una serie di
enigmatiche auto-citazioni (Strawberry Fields Forever; I Am The Walrus;
Lady Madonna; The Fool On The Hill; Fixing A Hole). Con The Continuing
Story Of Bungalow Bill e Happiness Is A Warm Gun, l’indole pacifista
di Lennon inquadra due bersagli ideali: un cacciatore pusillanime e una
congrega di fanatici associati sotto le insegne dell’American Rifle
Association (il memorabile documentario di Michael Moore - Bowling For
Columbine - farà conoscere al mondo i principî morali di quei
gentiluomini). Soverchiato dalla coppia Lennon/McCartney, George
Harrison doveva sfruttare a fondo i pochi spazi a disposizione per
esprimere il proprio talento di autore: While My Guitar Gently Weeps si
impose immediatamente come una delle più belle canzoni di tutti i
tempi, ripresa nel corso degli anni da Kenny Rankin, Jeff Healey e Toto.
La versione originale vanta un epico assolo di Eric “Slow Hand”
Clapton, prossimo a cadere vittima della stessa donna - Patti “Layla”
Boyd - che proprio allora stava spezzando il cuore di George. Ancora di
Harrison, Piggies genera un efficace contrasto tra la misantropia delle
liriche e l’atmosfera cameristica suggerita dal clavicembalo.
Prodigiosa invenzione di McCartney, Martha My Dear si sviluppa su una
sequenza di note captata in qualche galassia remota, mentre nell’arco
di 2 minuti e 28 secondi accade di tutto: un impeccabile piano
vaudeville introduce le parole, a loro volta doppiate da una piccola
sezione archi; impostato il falsetto, Paul dialoga col timbro grave
della tuba, per poi abbandonarsi a una sorprendente fuga soul-swing; l’interludio
charleston tramuta lo stupore in ebbrezza, un attimo prima che la
sublime melodia ritorni sul finale. I’m So Tired ripropone l’indolenza
come antidoto ai problemi del mondo, tema caro a Lennon sin dai tempi di
I’m Only Sleeping (Revolver) e spinto alle estreme conseguenze col
clamoroso bed-in all’Hilton di Amsterdam (Marzo 1969). L’arte di
McCartney risalta su due geniali miniature acustiche: intesa da alcuni
come un omaggio al movimento delle Black Panthers, Blackbird verrà
interpretata da Crosby, Stills & Nash (Allies) e Bobby McFerrin (The
Voice); i versi bucolici di Mother Nature’s Son, sottolineati da una
fine partitura per ottoni, sembravano scritti apposta per il poeta del
Colorado, John Denver, che ne registrò un’incantevole cover su Rocky
Mountain High. Col suo profumo di reggae e un ritornello infallibile,
Ob-La-Di, Ob-La-Da si installerà nell’immaginario collettivo accanto
a motivetti di dominio universale come Yellow Submarine e Love Me Do.
Eseguita dal solo John con voce e chitarra, Julia è un’intensa
dichiarazione d’amore per la madre perduta troppo presto, una lacuna
affettiva appena colmata dalla forte personalità di Yoko Ono (… ocean
child …). Nella sua semplicità e concisione, I Will sintetizza l’innata
attitudine di McCartney a ottenere meraviglie anche col minimo
indispensabile: il ritmo scandito dai bonghi e il basso “onomatopeico”
(dum dum dum) ne fanno una serenata di incomparabile spontaneità,
nonostante le 67 take impiegate per raggiungere la perfezione. Il gusto
di Paul per il pastiche nostalgico, già confessato con When I’m
Sixty-Four (Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band), ritornava su Rocky
Raccoon, scanzonato racconto western, e su Honey Pie, stupenda parodia
dell’era del “muto” e dei 78 giri: nel 1975 You Gave Me The Answer
(Venus And Mars) avrebbe completato il poker. Squassata da deflagranti
riff elettrici, Birthday è una poderosa, irresistibile, attualissima
party-song. Con Yer Blues Lennon irrideva alla sua maniera personaggi
allora in voga come come Graham Bond e John Mayall. Cry Baby Cry è un’ambigua
filastrocca di John, in coda alla quale venne aggiunta, forse perché
altrettanto misteriosa, un’idea incompiuta di Paul (can you take me
back where I came from, can you take me back?). Momento storico e titolo
evocativo conferivano a Revolution un valore speciale, al punto che i
Beatles ne incisero due arrangiamenti diversi: il primo (Revolution 1),
presente nel disco, era un blues alquanto elaborato e mostrava Lennon
ancora indeciso sulla posizione da assumere (… don’t you know that
you can count me out … in …); il secondo (Revolution), più duro,
aggressivo e adatto al messaggio, verrà pubblicato sul retro del
singolo Hey Jude, ma quel “in” provocatorio nel frattempo era
sparito. Tre passaggi, in particolare - «if you want money for people
with minds that hate, all I can tell you is “brother, you have to wait“»,
«you say you got a real solution, well, you know we’d all love to see
the plan» e «if you go carrying pictures of Chairman Mao, you ain’t
going to make it with anyone anyhow» - indicavano un’istintiva
lucidità politica. I Beatles erano rinomati per concludere gli album
con una mossa a sorpresa (Tomorrow Never Knows; A Day In The Life; All
You Need Is Love): rifinita da George Martin con una sontuosa
orchestrazione degna di Gordon Jenkins, cantata in stile “crooner”
da Ringo e composta, a dispetto delle apparenze, da John invece che da
Paul, Good Night era una romantica ballad arricchita dal solenne coro
dei Mike Sammes Singers. Con l’intuito dello specialista, Johnny
Mandel ne colse il mood natalizio e la fece interpretare ai Manhattan
Transfer nel loro splendido The Christmas Album. [P.S. - HEY JUDE /
REVOLUTION - Fedeli a una prassi consueta all’epoca, i Beatles
escludevano dagli album ufficiali i brani pubblicati sui singoli. I casi
più eclatanti furono We Can Work It Out / Day Tripper (Rubber Soul),
Paperback Writer / Rain (Revolver) e Strawberry Fields Forever / Penny
Lane (Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band). Anche Hey Jude, sebbene
incisa durante le sofferte session di The Beatles, fin dal suo
concepimento era destinata al formato 45 r.p.m. - Pochi mesi prima,
Jimmy Webb aveva infranto il muro dei tre minuti “regolamentari” con
MacArthur Park, ambiziosa mini-suite che, affidata all’ugola
shakespeariana di Richard Harris (A Tramp Shining), volò in cima alla
classifica U.S.A. - I Beatles, antesignani nella violazione dei tabù
stilistici, risposero alla stimolante “sfida” dell’autore
americano con una ballad acustica, piano e chitarra, espansa fino alla
durata di 7’08” grazie alla lunga coda orchestrale su cui dilagava
il celeberrimo “nah, nah, nah, nah, nah, nah, nah”. Il successo
planetario, la purezza della melodia, l’intensità delle parole, la
sentita interpretazione di Paul, le soavi armonie gospel, il maestoso
coro finale e l’indimenticabile “video” girato da Michael
Lindsay-Hogg negli studi Twickenham fecero di Hey Jude qualcosa di più
di una semplice canzone: era la fine degli anni Sessanta trasfigurata in
un’opera d’arte, un inconsapevole addio ai sogni e all’innocenza,
un inno generazionale che preludeva all’impegno politico, ai conflitti
sociali, ai tormenti interiori, ai rimpianti e alla rabbia del decennio
successivo. Sul lato “B” (si fa per dire) la versione hard di
Revolution, anch’essa immortalata in uno splendido filmato dello
stesso regista.] - B.A.
Dicembre
1968
YELLOW SUBMARINE
(US)
Apple SW 153 - January 13, 1969 - (UK) Apple PMC 7070; PCS 7070 -
January 17, 1969 - (CD) Parlophone CDP 46445 2 - August 24, 1987
Yellow
submarine/ Only a northern son/ All together now/ Hey bulldog/ It’s
all too much/ All you need is love
dove
i Beatles erano presenti nella sola facciata A riservando il retro alla
colonna sonora del cartone animato (Yellow submarine) uscito qualche
mese prima a cura di George Martin e della sua orchestra.
Nonostante
il buon successo di questa annata era sempre più evidente il dissidio
all’interno del gruppo.
Il
1969 si aprì con l’avvento di Allen Klein. Doveva in qualche modo
prendere il posto di Brian Epstein ma fu la causa di tanti litigi. Nel
frattempo Paul aveva conosciuto Linda Eastman, bella fotografa, alla
quale si era sempre più legato. Nel mese di marzo John sposò Yoko e
Paul, Linda. Il mese successivo videro la luce due nuovi 45 giri.
"The ballad of John and Yoko"/"Old brown shoe" e
"Get back"/"Don’t let me down".
Uscirono
lavori solisti di George e, soprattutto, di Lennon. Infatti, dopo una
delle tante notti "battagliere" con Yoko, in una camera d’albergo
di Montreal fu partorita Give peace a chance.
Yellow
Submarine uscì nelle sale cinematografiche di Londra il 17 luglio del
1968. Traeva ispirazione dall'omonima canzone scritta da Paul McCartney,
uno dei più noti episodi di quello straordinario album dei Beatles
intitolato Revolver che, pubblicato esattamente due anni prima, aveva
rappresentato il cosciente passaggio del gruppo dalle arene stipate di
ragazzine strepitanti alla esplorazione di una musica frutto dello scavo
delle possibilità offerte dallo studio di registrazione, ricca di
invenzioni, di nuove influenze, di spunti filosofici.
Ma
nell'estate del '68 la situazione dei Beatles era molto cambiata. Morto
Brian Epstein, il manager che fungeva da collante tra le varie anime del
gruppo, metabolizzata la Summer of Love del '67, di cui i Fab Four erano
stati straordinari protagonisti col capolavoro psichedelico Sgt. Pepper,
i Beatles avevano fondato la loro etichetta, la Apple, e stavano
registrando The Beatles, più noto come "White Album",
enciclopedica summa dello scibile beatlesiano nelle cui trenta canzoni
era però molto più semplice distinguere, rispetto al passato, le cose
di Lennon da quelle di McCartney e di Harrison, che proprio a quell'album
diede un corposo contributo compositivo. Era questo il segno che i
Beatles, intesi come alchimia artistica fatta di cuori, anime e
cervelli, iniziavano a mostrare cedimenti.
I
Beatles contribuirono alla costruzione del film quasi esclusivamente
attraverso la loro straordinaria musica, senza la quale è lecito
chiedersi se Yellow Submarine avrebbe avuto lo stesso impatto sul mondo
dell'arte grafica e sul pubblico. Essi scrissero appositamente per il
progetto tre canzoni: Only A Northern Song, All Together Now e Hey
Bulldog. Forse perché insoddisfatti di una precedente serie televisiva
a cartoni animati che li vedeva come protagonisti, i Beatles
trascurarono Yellow Submarine. Tutto era già stato pianificato quando
il gruppo visionò lo storyboard per la prima volta e i Beatles non
riuscirono neanche a rendersi disponibili per il doppiaggio. Alla fine
furono usati dei doppiatori professionisti e sembra che nessuno dei Fab
Four fosse contento della voce scelta per rappresentarlo.
La
stampa fu evidentemente tenuta all'oscuro di questo aspetto, se Variety
prese un clamoroso granchio annunciando al mondo che le voci dei Beatles
erano "immediatamente riconoscibili". Nei titoli furono
riportati i nomi dei doppiatori Paul Angels, John Clive, Dick Emery,
Geoff Hughes e Lance Percival, senza specificare il loro ruolo. Si è
poi scoperto che Clive era la voce di John, Hughes quella di Paul, Peter
Batten interpretava George e Angels doppiava Ringo. Quando poi il gruppo
ebbe l'occasione di vedere iI risultato quasi ultimato, rimase talmente
sorpreso nel trovarsi di fronte a qualcosa di ben lontano dal filone
disneyano che accettò di recitare nell'epilogo del film.
All'epoca
la Disney dominava il mercato con i suoi classici prodotti (Il libro
della giungla uscì nel 1967). Yellow Submarine cambiò il modo di fare
cinema d'animazione, così come avvenne anche per la pubblicità. La
regia di George Dunning e il lavoro di Heinz Edelmann, artista grafico
ceco o jugoslavo di lingua tedesca, influenzarono il look dei
commercials, tanto è vero che grandi compagnie come 7 Up e General
Electric cominciarono a reclamizzarsi con spot a base di cartoons e
campagne ispirate dal film. Se prima di Yellow Submarine gli studios che
realizzavano pubblicità con cartoni animati vivevano quasi di stenti,
successivamente coloro che operavano nel campo e sposarono il nuovo
stile furono sommersi di lavoro, arricchendosi con la creazione di spot
ricchi di arcobaleni, farfalle e fiori.
Sebbene
Yellow Submarine sia da considerare quindi una pietra miliare del cinema
d'animazione, poco è stato scritto sulle persone che realmente crearono
questo classico. All'epoca molti apprezzamenti furono rivolti a Al
Brodax, executive producer della King Features, la compagnia che aveva
finanziato la produzione del film. Egli fu addirittura accreditato di
parte dello script con Lee Minoff, Jack Mendelsohn e Erich Seagal. Gran
parte dei testi era invece opera del poeta di Liverpool Roger McGough,
chiamato a infondere nei dialoghi il richiamo alla sua città, e
liquidato, senza apparire nei credits, con 500 sterline. I Beatles
ebbero naturalmente il merito per la musica e Heinz Edelmann fu
riconosciuto come il talentuoso disegnatore del film. John Coates, il
vero produttore della pellicola, fu inserito nei titoli come semplice
supervisore alla produzione. Se il film fosse uscito oggi, Brodax
sarebbe risultato come executive producer e Coates come produttore. Ma
le cose nel 1968 andarono diversamente.
Per
Coates e Dunning non fu di sicuro un'impresa facile. Nell'agosto del
1967, a produzione appena iniziata, fu loro annunciato che l'anteprima
di Yellow Submarine si sarebbe improrogabilmente tenuta a Londra nel
luglio del 1968. Avevano meno di un anno per portare a termine il film e
lo staff fu costretto a fare doppi turni in fase di inchiostratura e
colorazione. Edelmann supervisionava tutto e si aggirava nella notte
negli studi per correggere i disegni degli animatori che non
corrispondevano ai modelli da lui creati. Nonostante i riconoscimenti
ottenuti dal suo lavoro, egli non ha più realizzato un cartone animato.
Dunning
decise che la grafica del film sarebbe stata costruita attorno a 12
brani dei Beatles (tre dei quali inediti). Negli Usa la canzone Hey
Bulldog, riguardante un cane a tre teste, fu tagliata (la versione
americana del film dura 85 minuti anziché gli 89 di quella inglese e
anche il finale è più soft, con la "conversione" dei Blue
Meanies). A ogni canzone fu dedicato uno speciale look grafico, frutto
della sperimentazione di diverse innovazioni tecniche. Charles Jenkins,
supervisore agli effetti speciali, usò luci polarizzate, cellophane e
un filtro rotante utilizzato, ad esempio, per creare l'inusuale ciclo di
colore alla fine della sequenza dove per la prima volta compare George.
Uno
dei momenti visivamente più eccitanti è la donna che cavalca nel cielo
in Lucy in the Sky with Diamonds. I disegni furono colorati con libere
pennellate piuttosto che inserendo le tinte perfettamente entro i bordi
della figura. La vernice cambiava così continuamente forma e colore e
l'espressività visiva della canzone acquistava il suo bizzarro fascino
onirico. Solo in parte ci si ispirò alla Pop Art, più spesso si sfidò
ogni tentativo di classificazione. Come in When I'm Sixty-Four, dove il
numero appare in così tanti diversi design che è impossibile definire
lo stile grafico della sequenza.
I
fan dei film Disney si trovarono davvero in difficoltà. Erano abituati
a solidi plot narrativi con personaggi ben sviluppati e ben disegnati.
Difficile per loro accettare l'approccio estetico di Yellow Submarine,
che si concentrava sulla fantasia creativa e permetteva alle immagini di
cambiare costantemente. Dunning e Edelmann si assunsero molti rischi
scegliendo un così poco convenzionale uso di colori e forme. Ma proprio
per questo Yellow Submarine è ancora un film fresco e eccitante,
arricchito da brillanti e innovative intuizioni. Animali surreali,
invenzioni meccaniche, l'uso di parole e numeri "viventi" e
altri divertenti "tocchi", restano meravigliose e bizzarre
creazioni. Per quanto semplice, la storia è tuttora abbastanza
plausibile da trascinare lo spettatore nell'avventura del salvataggio di
Pepperland dai nemici della musica. E dopo la visione del film, le
canzoni dei Beatles tornano a risuonare per giorni nella mente.
Repubblica.it (paolo gallori)
(10
luglio 1999)
Settembre
1969
ABBEY ROAD
(UK)
Apple PCS 7088 - September 26, 1969 - (US) Apple SO 383 - October 1,
1969 - Parlophone PCS 7088 (Green Vinyl) - 1979 - (CD) Parlophone CDP 7
46446 2 - October 19, 1987
Come
together/ Something/ Maxwell’s silver hammer/ Oh! Darling/ Octopu’s
garden/ I want you (She’s so heavy)/ Here comes the sun/ Because/ You
never give me your money/ Sun king/ Mean mr. Mustard/ Polythene pam/ She
came in through the bathroom window/ Golden slumbers/ Carry the weight/
The end/ Her majesty
Nel
mese di ottobre si diffuse la notizia, ovviamente fasulla, della morte
di Paul. Lennon, intanto, continuava sempre più a far parlare di sé.
Usci un suo nuovo lavoro da solista, un altro album solista dal vivo e
alla fine dell’anno restituì l’onoreficenza ricevuta qualche anno
prima e che tanto discutere aveva fatto. Ormai John era di fatto un
ex-beatle.
All’inizio
del 1970 per tentare di risanare le sorti della APPLE, Klein decise di
pubblicare un disco utilizzando il vasto materiale giacente in studio e
mai utilizzato in quanto considerato scarto. Chiamò a produrre il disco
Phil Spector con la conseguente detronizzazione, dopo tanti anni, del
fido George Martin. Durante la lavorazione una lite furibonda tra Paul
(molto legato a Martin) e Spector segnò l’allontanamento dal gruppo
dello stesso Paul. Nella confusione più totale, uscirono: un 45 dei
Beatles ("Let it be"/"You know my name"), un album
solista (il primo) di Ringo e un album solista di Paul. Un mese dopo
usci il 33 giri.
di
Alessandro SessapluslessNon si può comprendere appieno il significato
di "Abbey Road" senza prima sapere che cosa si cela dietro
questo album, come è stato prodotto, in quali condizioni e soprattutto
in quali stati d'animo da parte dei quattro ragazzi di Liverpool. E'
l'ultimo lavoro dei Beatles, "Let it be", come tutti sapranno,
è uscito in seguito, ma proviene da registrazioni precedenti alle
session di "Abbey Road".
I
Beatles sono più che prossimi allo scioglimento: Lennon è ormai una
mina vagante, quasi completamente avulso dalla realtà del gruppo,
Harrison sta producendo dei dischi sperimentali ("Wanderwall
music" ed "Electronic Sound") e Starr è impegnato nel
suo nuovo amore, il cinema; l'unico a dimostrare ancora un po' di
spirito di coesione e iniziativa è Paul McCartney, che spinge gli altri
a riunirsi ancora una volta in sala d'incisione (anche perché avevano
un contratto da rispettare con la Emi); alla produzione, ci sarà ancora
una volta George Martin, che si preventiverà però di assicurarsi che
non sarebbero mai avvenuti i memorabili litigi che caratterizzarono le
session del "White Album" e di Twinckenham.
Le
premesse non sono buone, potrebbero essere il preludio per la
registrazione di un album stanco, ripetitivo, banale e senza idee, non
sarà così. Paradossalmente i Beatles saranno presenti
contemporaneamente durante le sedute di registrazione solamente poche
volte, più che altro per registrare le basi ritmiche; la maggior parte
del lavoro di "Abbey Road" è stato compiuto solisticamente,
sovraincidendo le singole parti. Per capire che tipo di atmosfera si
respirasse all'interno del gruppo sarà sufficiente dire che Lennon
avrebbe voluto mettere le sue canzoni nel lato A e quelle di McCartney
nel lato B. Nonostante ciò, sarà un album di gruppo, più di quanto lo
sia stato il Doppio Bianco: anche se fisicamente i Beatles hanno
lavorato da soli, infatti, il risultato finale non tradisce la
frammentarietà della conduzione del lavoro.
L'album
si apre con "Come Together", storico pezzo di Lennon che
proporrà dal vivo in tutti i suoi concerti negli anni a venire:
atmosfera cupa, bassi esaltati e toni alti del tutto assenti, ottimo
lavoro di Starr alla batteria; Lennon bisbiglia "shoot me" il
che ci fa rabbrividire se pensiamo a cosa sarebbe avvenuto 11 anni dopo;
il testo rappresenta una summa degli stili adottati da Lennon durante la
sua carriera, sovrappone aspetti biografici a non-sense, metafore e
giochi di parole. Segue "Something", forse il pezzo più bello
mai scritto da Harrison, e uno dei migliori dei Beatles: è una storia
d'amore, l'esecuzione è dolcissima e accurata; da sottolineare la linea
di basso di questa canzone da ricordare - a giudizio di chi scrive - tra
le più belle della storia della musica pop e rock.
"Maxwell's
Silver Hammer" fu motivo di aspre divergenze tra McCartney, che ne
era l'autore, e Lennon; il primo la riteneva degna di un singolo, il
secondo semplicemente la detestava. Un testo senza pretese, un pezzo
leggero anche se ben arrangiato, in cui fa la sua presenza il Moog
(sintetizzatore) inventato da pochi mesi, che caratterizza l'assolo. I
Beatles faranno un uso molto parsimonioso e intelligente del Moog
evitando così di cadere negli abusi perpetrati da quasi tutti i
musicisti di quel periodo. In "Oh! Darling" si riconoscono un
effetto parodistico e i riferimenti, nella musica e nel testo, alle
canzoni anni 50; molto meticoloso fu McCartney nella registrazione della
parte vocale, che fu sovraincisa svariate decine di volte.
La
seconda e ultima canzone dei Beatles firmata Richard Starkey è "Octopus's
garden": allegra e spensierata, racconta di un mondo sottomarino, e
sembra rifarsi alle atmosfere irreali (nothing is real) di "Yellow
Submarine", cantate sempre da Starr tre anni prima. Lo spunto per
questa canzone sembra che venne suggerito addirittura dai polipi della
Sardegna (!), che costruivano dei giardini raccogliendo oggetti
luccicanti sul fondo. "I Want You", con i suoi 7' e 51'', è
la canzone piu' lunga mai incisa dai Beatles (eccettuata
"Revolution 9"); fu mixata nell'agosto del 1969, l'ultima
volta in cui i Fab Four si incontrarono tutti insieme in sala
d'incisione; è una canzone d'amore, inequivocabilmente dedicata a Yoko
Ono. Basata su pochissimi versi, descrive il nuovo corso del Lennon
autore: è un blues, cupo e inquietante, la cui coda è costituita da un
arpeggio di chitarra ripetuto numerose volte, notevole difficoltà
richiese l'inserimento dell'"effetto vento" nella conclusione
del pezzo (non esistevano artifizi elettronici); il brano si interrompe
bruscamente tagliando la battuta e creando una sorta di effetto
black-out; fine del lato A (parliamo di 33 giri, naturalmente).
In
risposta a chi non riusciva e vedere più nulla di innovativo nella
musica dei Beatles, il lato B di "Abbey Road" presentava
elementi nuovi e rivoluzionari. E' composto quasi interamente da un
medley, ossia da una serie di canzoni tutte collegate una all'altra come
in un'unica traccia. Fu essenzialmente un'idea di McCartney e di George
Martin (che curò e diresse personalmente tutti gli arrangiamenti delle
parti orchestrali), mentre Lennon si disinteressò al progetto e non
nascose mai la sua avversione al medley ma, nonostante ciò, contribuì
con numerosi pezzi alla realizzazione di quest'ultimo.
Si
parte con "Here Comes The Sun", pezzo acustico dal testo
essenziale ma in piena sintonia con la musica, che rivela il periodo
d'oro di George Harrison, troppo spesso messo in secondo piano dalla
coppia magica Lennon/McCartney. Con "Because" inizia il medley
vero e proprio: è un pezzo di Lennon, è composto dagli stessi accordi
del Chiaro di Luna di Beethoven, ma a sequenza invertita; le liriche
sono stranamente chiare, niente metafore, nessun oscuro riferimento.
Segue "You never give me your money", di McCartney: il testo
è chiaramente autobiografico e riguarda la disastrosa situazione
economica in cui versava la Apple; il pezzo può considerarsi una suite,
composta da tre momenti, solo in apparenza autonomi; si intrecciano
storie e atmosfere diverse e si preannuncia una fuga da quella realtà.
"Sun King" e la successiva "Mean mr Mustard" sono
frutto invece della penna di Lennon: la prima ripresenta il classico
non-sense Lennoniano con frasi italiane e spagnole (compare anche un
"paparazzi" di felliniana memoria), mentre la seconda fu
ispirata da un personaggio realmente esistito. Sempre di Lennon è la
successiva "Polyethene Pam", sorella del "signor
Mostarda", anch'essa ispirata a un personaggio realmente esistito e
cantata con un marcato accento liverpooliano. Di McCartney segue "She
came in trough the bathroom window", ispirata probabilmente a
un'avventura vissuta dall'autore in seguito all'improvvisa intrusione di
una fan; il linguaggio adottato, ricco di immagini e di sapore vagamente
surreale, ci riporta alle atmosfere di "Sgt. Pepper". La
successiva "Golden Slumbers", tipica ballata McCartneyana al
pianoforte, è caratterizzata da splendidi arrangiamenti di archi e
fiati superbamente diretti da George Martin. "Carry that weight"
esplode senza preavviso, mescolandosi ai versi della precedente: il
testo rappresenta una metafora, l'autore descrive la sua condizione di
leader suo malgrado, mentre all'interno vi è una reprise dei versi di
"You never give me your money", che rafforzano il significato
delle liriche precedenti. "The End", sempre a cura di
McCartney, è idealmente l'ultimo brano dell'ultimo album dei Beatles:
presenta una prima parte strumentale, preceduta dall'unico assolo di
batteria di Ringo Starr della sua carriera (per evidenti motivi...); è
un rock'n'roll puro, con chitarre distorte e un ritmo veloce, sembra
quasi che i Beatles vogliano regalarci l'ultima prova tous ensemble
prima del commiato, che arriva accompagnato da un tappeto di archi e da
una splendida chitarra che sottolinea l'unico verso della canzone, il
loro testamento artistico, Lennon lo definì un verso cosmico,
filosofico: "...e alla fine l'amore che prendi è uguale all'amore
che fai".
Dopo
16 secondi di silenzio compare quella che noi oggi chiamiamo una
"ghost track", è "Her Majesty", un irriverente ma
garbato ritratto della regina d'Inghilterra, che dimostra come fossero
mutati gli atteggiamenti dei Beatles verso l'establishment politico,
rispetto a quando erano stati insigniti, nel 1965 dell'MBE. Si può
parlare di traccia fantasma perché quest'ultima traccia, che era
inizialmente parte integrante del medley e poi scartata, non era
segnalata nei titoli di copertina. Il titolo comparirà solo nelle
successive ristampe.
L'album
doveva inizialmente chiamarsi "Everest", in onore di una marca
di sigarette fumate dall'ingegnere del suono Geoff Emerick, ma come
noto, si era ormai del tutto esaurito lo stimolo di affrontare nuovi
progetti, così dal momento che nessuno aveva voglia e tempo di andare
sull'Himalaya per fare le fotografie della copertina, si decise molto
più economicamente di farle sulla strisce del passaggio pedonale della
Abbey Road, davanti agli studi in cui i Beatles avevano registrato per
otto anni, rendendola così popolarissima nel mondo.
A
detta di molti, "Abbey Road" è il miglior album dei Beatles,
o secondo soltanto a "Sgt. Pepper". E' inconfutabile che si
tratti di un album prodotto magnificamente: trasmette sensazioni e
atmosfere intense, ricercate, del tutto assenti nel "White
Album". E' un lavoro unitario nella sua frammentarietà. Anche se
fisicamente lontani, i Beatles abbandonano le loro prese di posizione
egoistiche e mettono a disposizione le loro peculiarità in favore di un
tutto unico. McCartney raggiunge la piena maturità di compositore e
arrangiatore; Lennon, nonostante si disinteressi del prodotto, regala
perle decisive per la riuscita dell'album; Harrison è in piena
esplosione creativa e firma due pezzi splendidi; Starr dimostra un
sensibile miglioramento, non tanto nella tecnica quanto negli
arrangiamenti, più vari ed articolati.
I
Beatles sono i Beatles, anche se non si incontrano si influenzano a
vicenda, sono una fucina di idee, di esperienze; il dualismo
Lennon-McCartney è condizione necessaria perché gli ingranaggi girino,
anche se porterà alla disgregazione del gruppo. "Abbey Road"
rappresenta l'apice di una parabola che ha portato i Beatles leggeri e
scanzonati dei primi anni a un acme di sperimentazione raggiunto negli
anni 1967/1968, e che li ha visti tornare a dare più importanza alla
melodia, senza rinunciare alle contaminazioni dall'esperienza passata e
creando così un autentico capolavoro.
I
BEATLES, O DELLA CAPACITA' SUBLIME DI SAPER SCOMPARIRE AL
MOMENTO GIUSTO
Il Foglio, 17 settembre 1999
Mauro Suttora
Trent'anni fa, il 26
settembre 1969, usciva nei negozi di tutto il mondo "Abbey
Road", l'ultimo disco dei Beatles. Sulla copertina, una foto di
loro quattro che attraversano in fila indiana le strisce
pedonali. Quelle di Abbey Road, appunto, una strada del
quartiere londinese chic di Saint John's Wood dove si trovano
ancor oggi gli studi della casa discografica Emi. E dove
tuttora, ogni giorno, centinaia di fans si esercitano nella
discutibile operazione di farsi fotografare sulle stesse strisce
pedonali, come souvenir. Risultato: code di macchine, perché in
Gran Bretagna le zebre vengono rispettate, e in teoria se il
flusso dei pedoni su di esse fosse continuo (come lo è quando ad
Abbey Road transitano mandrie di beatlemaniaci) il traffico si
bloccherebbe completamente.
Molti sono convinti che l'ultimo disco dei Beatles sia "Let it
be". Ciò è vero e falso assieme. Vero, perché effettivamente "Let
it be" fu pubblicato nel maggio 1970. Ma le sue canzoni erano
state registrate già nel gennaio '69, prima di "Abbey Road". Che
si può quindi fregiare del titolo di canto del cigno del
complesso più famoso del secolo.
Stesso dilemma per la vera data di scioglimento del gruppo. Gli
esegeti più rigorosi la fanno risalire al 10 aprile '70, quando
Paul McCartney annunciò pubblicamente di non voler più incidere
con i Beatles. Ma, come in tutte le coppie che scoppiano, il
dissidio fra lui e John Lennon era esploso assai prima. Già nel
1968 si poteva parlare di "separati in casa", visto che grazie
alle nuove tecniche di incisione ognuno dei membri del quartetto
andava in studio a registrare la propria parte di canzone
indipendentemente dagli altri.
Non è arbitrario, quindi, fissare al settembre '69 la data di
scioglimento dei Beatles, facendola coincidere con l'ultima
traccia della loro produzione artistica. Pochi giorni fa sono
stati ben 300 mila i fans accorsi a Liverpool per commemorare il
trentennale con la riedizione del cartone animato "Yellow
Submarine". Ma cosa facevano i Fab Four in quell'epoca? Intanto,
erano giovanissimi. George Harrison aveva 26 anni, McCartney 27,
Lennon 28 e Ringo Starr 29. È incredibile pensare che musicisti
paragonati a Bach e Mozart, o perlomeno a Duke Ellington e
George Gershwin (per restare nel Novecento), abbiano deciso di
sciogliere un sodalizio così proficuo a un'età così precoce. Se
poi si calcola che fino a metà 1963 erano degli sconosciuti, si
scopre che tutta la loro arte si è concentrata in appena sei
anni di attività: un prodigio anche questo. Ma, soprattutto, va
riconosciuta ai Beatles (e a loro soltanto) la capacità sublime
di saper scomparire al momento giusto.
Il 1969, infatti, rappresenta un anno cardine nella storia del
rock. Soltanto il 1967 può eguagliarlo come ricchezza musicale.
In quel periodo di grandi cambiamenti, la musica e il costume
evolvevano di mese in mese. Naturalmente erano i Beatles a
dettare il passo. Ma, in qualche modo, nel '69 si era spezzato
qualcosa. Era stato raggiunto un apice insuperabile, e tutti i
musicisti più avveduti se ne rendevano conto. In California
quell'estate con la strage di Charles Manson a Bel Air (vittima
Sharon Tate, bellissima moglie di Roman Polanski) era finita
l'era degli hippies peace&love.
I festival di Woodstock e
dell'isola di Wight (a quest'ultimo tutti i Beatles tranne Paul
parteciparono il 31 agosto '69, come spettatori dell'esibizione
di Bob Dylan) rappresentavano anch'essi uno zenit, seguìto a
poche settimane dal disastro di Altamont, dove a un concerto dei
Rolling Stones fu ucciso uno spettatore. Perfino l'uso della
droga fra i musicisti delineava una parabola fatale: innocua
marijuana nel '66, lsd nel '67, cocaina nel '68, eroina nel '69.
Come nella guerra del Vietnam, era un'escalation senza ritorno.
Lo stesso Lennon diventò eroinomane assieme alla sua Yoko Ono
nel '69, ma riuscì a disintossicarsi quasi subito e raccontò il
tremendo tunnel della crisi d'astinenza nel 45 giri "Cold Turkey",
che uscì in ottobre.
I Beatles fiutarono la fine del periodo d'oro dei favolosi anni
Sessanta e chiusero bottega in bellezza, evitando l'agonia di
tutti gli altri complessi, compreso l'attuale gerontorock degli
Stones. Non hanno mai accettato le offerte favolose per riunirsi
anche solo una volta, e ciò ha reso eterno il loro mito. "Meglio
bruciare che arrugginire/ma il rock&roll non morirà mai",
canterà Neil Young. I Beatles non sono né bruciati né
arrugginiti: grazie ad "Abbey Road", si sono semplicemente
congedati con un coloratissimo capolavoro. Nel quale, pochissimi
lo sanno, c'è lo zampino della nostra Sardegna. In Costa
Smeralda, infatti, era scappato Ringo Starr dopo una lite con
McCartney che pretendeva di costringerlo a suonare la batteria
in un certo modo. Lì, folgorato dalla bellezza dei fondali
durante un'immersione, compose il suo unico capolavoro: "Octopus's
Garden" ("Il giardino delle piovre"). Ringo raccontò a George
quant'era bella Porto Cervo, e così anche Harrison ci passò tre
settimane nel giugno '69 con la moglie Patty.
Al suo ritorno cominciarono le sedute di registrazione ad Abbey
Road. Andarono avanti per due mesi, ma per gli inglesi è
naturale lavorare d'estate. Tanto, a Londra piove anche in
agosto. La prima canzone a essere registrata fu "Something" di
Harrison. Il povero George era sempre stato snobbato dal duo
Lennon-McCartney: era considerato il cucciolo del gruppo, e in
ogni disco gli lasciavano spazio per un suo solo brano. Questa
volta però Harrison si presentò negli studi Emi con due
capolavori: "Something" e "Here comes the sun". ""Something" è
la più grande canzone d'amore degli ultimi cinquant'anni",
sentenziò nientemeno che Frank Sinatra, e in effetti è stata
superata soltanto da "Yesterday", fra tutte le canzoni
beatlesiane, come numero di versioni registrate da altri
cantanti.
"Here comes the sun" ("Ecco che torna il sole") ha invece una
genesi piccante. Harrison la compose, estasiato per il ritorno
della primavera in un pomeriggio di pallido sole britannico, nel
giardino della villa del suo grande amico Eric Clapton. Il quale
però nel frattempo seduceva e gli rubava sua moglie Patty, alla
quale l'anno dopo avrebbe dedicato il proprio capolavoro "Layla".
George, obnubilato dalla filosofia indiana, commentò rassegnato:
"Meglio che Patty stia con un ubriacone come Eric, piuttosto che
con qualche eroinomane". E gliela lasciò volentieri,
rimanendogli amico (i due suonarono assieme nel memorabile
Concerto per il Bangladesh dell'agosto '71, padre di tutti i
Live Aid della futura carità rock).
sugli scalini dell'ingresso
degli Apple Studios
Situata nel distretto
amministrativo di Camden e di Westminster, nel quartiere tra St
John's Wood e Kilburn, Abbey Road inizia a costruire la propria
fama grazie agli studi di registrazione della EMI situati presso
il 3 di Abbey Road. Lo studio di registrazione di Abbey Road,
situato in un palazzo ottocentesco dallo stile georgiano con i
classici mattoni rossi, venne creato dall'allora casa di
registrazione Gramophone Company nel 1931, che più tardi sarebbe
divenuto parte della EMI. Negli anni settanta, vista la grande
popolarità ricevuta, il nome degli studios venne esteso a
comprendere EMI Abbey Road Studios.
I Beatles furono preceduti e seguiti da altri noti cantanti e
musicisti inglesi, come Cliff Richard, o internazionali come i
Pink Flyod, i Queen, i Police, gli U2, gli Oasis, i Radiohead.
Diverse inoltre anche le colonne sonore qui prodotte, tra le
tane Guerre Stellari e il Signore degli Anelli e il recentissimo
episodio Le Cronache di Narnia: il Principe Caspian.
I Beatles vi registrarono il loro undicesimo album nel 1969,
quello contenente le famose 'Something' , 'Come together', e "Here
cames the sun", che decisero d'intitolare appunto Abbey Road,
dal nome della strada e dello studio, la foto in alto è la
copertina del disco (al gruppo era stato proposto il titolo di
"Everest").
La foto dell'album
venne scattata verso le 11 del mattino dell'8 agosto del 1969,
durante una breve pausa di 10 minuti, dal fotografo Iain
Macmillan. Nasceva la copertina dell'album più famoso della
storia della musica di tutto il mondo, quella che avrebbe dato
nome a tanti altri prodotti commerciali.
La
canzone più famosa di "Abbey Road" è "Come together" di John
Lennon. Il ritornello sporcaccione ("Vieni assieme/proprio
adesso/su di me") è un inno all'orgasmo simultaneo, ma i fans
più politici andarono in visibilio per la frase "One thing I can
tell you is you got to be free" ("L'unica cosa che posso dirti è
che devi essere libero"). Purtroppo la musica è completamente
copiata da "You can't catch me" di Chuck Berry, i cui avvocati
citarono Lennon e lo obbligarono, per risarcirlo, a incidere tre
sue canzoni - pagando i relativi diritti d'autore - nell'album
"Rock'n'roll" del '75. Ma John in quel periodo era così preso
dall'eroina e da Yoko (due droghe per lui egualmente letali) che
non si peritò neppure di celare il plagio, e anzi lasciò proprio
all'inizio della canzone una frase del testo di Berry ("Here
comes old flat-top, he come"). Lennon come Mauro Pili, il
forzista sardo "ispirato" da Roberto Formigoni?
Il particolare più inquietante di "Come together", però, risiede
nel sussurro di John dopo i battiti di mani nelle prime quattro
battute: "Shoot me" ("Sparami"), dice, consiglio preso alla
lettera dal suo assassino pazzo Mark Chapman nel 1980.
"Abbey Road" nasconde dentro sé una miriade di gioielli
semisconosciuti, canzoncine lunghe neanche un minuto cucite
assieme in un "medley" confezionato sapientemente da McCartney e
dal produttore George Martin. Sul modello di "A day in the life"
del 1967, in cui 40 secondi composti da Paul erano incastonati
in un brano di John, questa volta alla notevole "Because" di
Lennon segue "You never give me your money" di McCartney
(allusione acida contro il manager Allen Klein accusato di
lucrare sui proventi miliardari del gruppo), e poi tre frammenti
bizzarri di Lennon ("Sun king", "Mean Mr. Mustard", "Polythene
Pam", che esibiscono raffinati coretti con sovrapposizioni di
voci in quarta, quinta e undicesima tonalità), per poi sfociare
nella "She came in through the bathrooom window" ("Entrò dalla
finestra del bagno") di McCartney, che racconta un episodio
realmente accaduto di una fan penetrata a casa sua, canzone resa
celeberrima dalla versione di Joe Cocker.
Rauco come Cocker Paul volle diventarlo per esibirsi in "Oh!
Darling", una parodia di canzone anni Cinquanta splendidamente
riuscita. Poiché da tre anni non si esibiva più in pubblico
(tranne il concerto sul tetto dell'edificio Apple nel gennaio
'69), dovette arrivare in studio il mattino presto e urlare come
un ossesso, finché la sua ugola non fu riallenata allo stile
Little Richard. Un'altra chicca è la brevissima canzone "Her
majesty", sottile presa in giro di qualche misteriosa
principessa reale un po' stupidina. Dice il testo: "Sua maestà è
una ragazza proprio carina/ ma non ha molto da dire/ Sua maestà
è proprio carina, ma cambia da un giorno all'altro..." Nessuna
reazione dalle parti di Buckingham Palace, ma i sudditi
britannici trovarono il brano deliziosamente "naughty",
impertinente.
Anche "Abbey Road", come tutti gli Lp dei Beatles, contiene
delle vere e proprie schifezze. È il caso di "Maxwell's silver
hammer", imputabile
a Paul, e di "I want you", rumoroso obbrobrio di John dedicato
alla nociva Yoko. Lennon e McCartney continuavano a firmare
assieme i loro brani per forza d'inerzia, ma ciascuno detestava
queste due canzoni: John si rifiutò perfino di incidere la sua
chitarra su "Maxwell's..."
La fine di "Abbey Road", invece, è entusiasmante. Perfettamente
consci di essere giunti al capolinea della loro carriera di
complesso, i Beatles titolarono la loro ultima canzone "The
end". E il loro verso conclusivo è scolpibile nel marmo o
incartabile in un bacio Perugina, a seconda dei gusti: "And in
the end/the love you take/ is equal to the love you make" ("Alla
fine l'amore che prendi è uguale all'amore che dai"). Per i
cantori del decennio della libertà, della gioventù, della pace e
dell'amore, l'unico sorridente epitaffio possibile. Il sogno era
finito. Addio anni Sessanta. Addio, Beatles.
Quanti di voi si sono fatti
scattare una foto sulle famose strisce pedonali di Abbey Road?
Se ancora non lo avete fatto, non aspettate! Questo
luogo-simbolo del passato e del presente musicale inglese è oggi
patrimonio culturale della nazione, preservato come i tanti
musei e monumenti storici della capitale. Impossibile da perdere
e non solo per i fan del pop e rock made in England.
Direzioni:
Abbey Road Studios - 3 Abbey Road
St. John's Wood London UK NW8 9AY
Tel: +44 (0)20 7266 7000fax: +44 (0)20 7266 7250
Metropolitana: St John's Wood
*Gli studios non sono aperti in generale al pubblico.
Abbey Road la trovate tra le strade di Kilburn High Road-Maida
Vale e la Finchley Road, raggiungibili rispettivamente con la
linea Bakerloo Line (stazione metro: Kilburn Park o Maida Vale)
e la linea Jubilee Line (stazione metro: St John's Wood).
Maggio
1970
LET IT BE
(UK)
Apple PXS 1 (with book) - May 8, 1970 - (US) Apple AR 34001 - May 18,
1970 - (UK) Apple PCS 7096 (without book) - November 6, 1970 -
Parlophone PCS 7096 (White Vinyl) - 1979 - (CD) Parlophone CDP 7 46447 2
- October 19, 1987
Two
of us/ Dia a pony/ Across the universe/ I me mine/ Dig it/ Let it be/
Maggie mae/ I’ve got a feeling/ One after 909/ The long and winding
road/ For you blue/ Get back
L'ultimo
album dei Beatles è in realtà il penultimo: sì, perchè “Let it be”,
pubblicato in Inghilterra nel maggio del 1970, è stato inciso quasi
interamente oltre un anno prima, dunque precedente ad “Abbey Road”,
uscito nel settembre del 1969. Alla base di questo disco che è comunque
da considerarsi la testimonianza sonora della fine dei Beatles, c'era,
in realtà, un progetto di più ampio respiro che prevedeva la
realizzazione di un documentario per la televisione incentrato sul
lavoro di una band in sala di incisione. Il progetto in questione
avrebbe dovuto intitolarsi “Get Back” a significare l'idea di un
ritorno al passato, alle origini musicali dei Beatles; il titolo mutò
poi significativamente in “Let it be” quando durante la lavorazione
del disco tutti capirono che nulla avrebbe più potuto arrestare il
processo di disgregazione del quartetto e, con esso, di uno dei periodi
più straordinari ed irripetibili della musica e di tutti i tempi. Alla
fine fu realizzato un film (premio Oscar, guarda caso, per la miglior
colonna sonora nel 1970 - tra le sequenze più famose quella
dell'esibizione del vivo del brano “Get back” realizzata sul tetto
dell'edificio che ospitava gli studi della Apple-) ed un disco che uscì
solo quando ormai McCartney aveva già pubblicato il suo primo lavoro da
solista, ad un mese soltanto dalla notizia ufficiale dello scioglimento
della band, e pesantemente rimaneggiato dalla post-produzione del
famigerato tecnico del suono Phil Spector senza che ormai nessun
componente del gruppo avesse più il controllo artistico sul proprio
lavoro. In copertina, sulla quale, in origine, avrebbe dovuto
campeggiare la foto dei quattro affacciati dalle scale degli studi della
Emi esattamente come per il loro primo album “Please, please me”
(foto realmente realizzata e poi utilizzata per la compilation postuma
“The Beatles 1967/1970”), i volti dei quattro ex ragazzi di
Liverpool sono ritratti incorniciati da un funereo sfondo nero e
guardano ciascuno in una direzione diversa. L'immagine rappresenta
emblematicamente quello che è fondamentalmente questo album: il
ritratto di una band in disfacimento, un disco frammentario,
disomogeneo, sforzato, un progetto abortito dove il marchio di fabbrica
dei Beatles è spesso quasi irriconoscibile, strappatogli di mano dalla
soffocante post-produzione di Spector. Solo alcuni brani, restando
fedeli allo spirito originario del progetto, mirano a ricreare
l'atmosfera della sala d'incisione con voci, rumori, suoni sporchi,
senso di immediatezza e spontaneità mentre altri appaiono più
forzatamente inseriti in un contesto dal quale restano sostanzialemente
estranei (anche se qualcosa delle iniziali buone intenzioni deve tuttora
trasparire, oltre 30 anni dopo, se Delfinabizantina ascoltando il disco
per la prima volta si è chiesta se questo fosse uno dei primi album dei
Beatles).
Ma
ecco come suonò l'album sui piatti dei giradischi nella primavera del
1970...
Apre
il disco “Two of us”, un bel motivo, forse un po' esile ma ben
caratterizzato dal suono delle chitarre acustiche, che parla di una
coppia (John e Paul? Paul e la moglie Linda?) in un'atmosfera tra il
nostalgico e lo scanzonato, in bilico tra il racconto di una amicizia e
di una storia d'amore. “Dig a pony”, il primo brano che i Beatles
incisero per il poi naufragato progetto “Get back”, è un piacevole
brano rock dal testo pieno di nonsense linguistici così tipici dello
stile di Lennon così come la successiva “Across the universe” è un
altrettanto tipico “viaggio” musicale di John, scritto sotto la
benefica l'influenza orientaleggiante del Maharishi Yogi, in una
atmosfera sognante e con un testo tra i più belli dell'intera
produzione dei Beatles, una sorta di dichiarazione d'amore universale.
Questo, però, è anche uno dei brani che ha risentito in maniera più
pesante degli arrangiamenti aggiunti dopo l'incisione, con la musica
originaria che rimane quasi completamente soffocata dagli archi e dal
coro. “I me mine”, scritta e interpretata da Harrison, è quasi un
valtzer con un brutto ritornello ed è anche, in assoluto, l'ultimo
brano in ordine di tempo registrato in studio dai Beatles e, forse non a
caso, è sostanzialmente una riflessione sulla prevalenza dell'ego. “Dig
it”, 50 secondi senza senso per collegare una canzone con la
successiva nel vano tentativo di restituire all'ascoltatore l'atmosfera
di una seduta di registrazione, porta addirittura le firme dell'intera
band caso, mi pare, unico nell'intera discografia dei Beatles; il suo
grande merito è quello di abbandonare rapidamente i solchi del vinile e
di introdurre indegnamente quello che è uno dei più famosi attacchi
dell'intera storia della musica: sono gli accordi iniziali di pianoforte
di “Let it be”, brano che per quanto spesso sopravvalutato,
incensato, reinterpretato rimane comunque una delle cose migliori incise
dei Beatles ed una delle migliori prove del McCartenty autore, con quel
suo andamento quasi gospel, da inno religioso, con il suo testo che
parla di dolore, di abbandono, di separazione, di rassegnazione ma anche
di speranza, di risposte, di opportunità: coinvolgente senza
sdolcinature, emozionante senza forzature. Il perfido sarcasmo di John
Lennon ha voluto che al misticismo di “Let it be” (introdota dalla
sua voce in falsetto che dice irriverente “Ascolta, arrivano gli
angeli”) dovesse far seguito la storia molto più profana di “Maggie
mae”, 40 secondi di un canto da osteria tradizionale della marineria
brittanica, già nel repertorio dei Quarryman, la band progenitrice dei
Beatles (in realtà se stessimo ascoltando il disco in vinile, dopo “Let
it be” avremmo dovuto girarlo sul lato B ma la moderna versione in Cd
crea questo inconsueto accostamento). “I've got a feeling”, nata
come spesso è accaduto dalla fusione di due abbozzi di canzone, è
l'eccezione che conferma la regola per quanto riguarda il lavoro
effettuato sull'album da Spector: in questo caso il suo missaggio sui
due tronconi mi sembra ottimo e conferisce al brano una buona
unitarietà stilistica. “One after 909” è un pezzo scritto dalla
premiata ditta Lennon-McCartney negli anni dell'adolescenza, provato
anni prima in sala di incisione ma mai realizzato appartenente anch'esso
al repertorio dei Beatles delle origini. “The long and winding road”
è la canzone che con “Across the universe” risente maggiormente
della mano pesante di Spector che affidò ad oltre cinquanta musicisti
una partitura che si sovrappone, distruggendola, alla linea melodica
originale. Narra la leggenda che McCartney non abbia mai voluto
ascoltare la versione pubblicata su “Let it be” di questa sua
canzone soffocata dai violini, c'è chi sostiene che lo abbia fatto una
sola volta prima di portare il nastro davanti all'Alta Corte di
giustizia come prova per sollecitarne il pronunciamento sulla sua
richiesta di scioglimento del sodalizio, certo è che la versione
pubblicata sull'album è pesantemente compromessa da un arrangiamento
caramelloso ed invadente. “La lunga strada tortuosa” dell'album
prosegue con “For you blue”, un brano ibrido country/blues senza
grandi pretese, scritto e cantato da Harrison prima del gran finale di
“Get back “; il brano è quello che meglio esemplifica ciò che il
disco avrebbe dovuto essere: atmosfera live, niente sovrastrutture, solo
vecchio, sano e anche un po' sconclusionato (come è il testo di questa
canzone) Rock'n Roll. Si arriva così alla fine di un disco che doveva
segnare un ritorno alle origini, alla semplicità, alla immediatezza ed
alla freschezza degli inizi del gruppo e che ne testimonia, invece, la
fine; non ci resta che aspettare il 17 novembre quanto uscirà in tutto
il mondo “Let it be...naked” ossia il disco così come lo avevano
pensato e realizzato i Beatles in sala d'incisione nel 1969, senza
rimaneggiamenti e sovrapposizioni, nudo appunto...ma questa è un'altra
opinione.
2001
ONE
Perché
la compilation 1 dei Beatles sta diventando uno degli album più venduti
della storia? Un giornalista e beatlesiano doc risponde per noi a questi
e ad altri quesiti legati alla beatlemania.
Sei
copie di 1 vendute ogni secondo in tutto il mondo. Questo il record con
cui si sono crogiolati i vertici della Apple nei giorni a ridosso dello
scorso Natale. Ancora: 3 milioni e 600mila copie vendute nei primi sette
giorni di pubblicazione, 12 milioni nelle prime tre settimane. Numero
uno in classifica in 35 Paesi, in 19 dei quali la vetta è stata
raggiunta nella prima settimana di pubblicazione. I dati, aggiornati
alla prima quindicina di febbraio, parlano di 23 milioni di copie
vendute in tutto il mondo, di cui oltre 900mila in Italia. Un bel record
per un disco che non include nessun brano inedito o raro, ma solo
ventisette canzoni facilmente rintracciabili negli album dei Beatles
regolarmente in commercio. Il travolgente successo ha stupito gli stessi
protagonisti: "Pensavo che sarebbe andata bene", ha commentato
un sorpreso George Harrison, "ma non così bene. E’ come una
nuova beatlemania." Se la beatlemania è stata una follia
collettiva che ha travolto il mondo a metà degli anni 60, 1 l’ha
riportata in vita. L’Hmv a Londra e Liverpool hanno aperto alla
mezzanotte del 12 novembre per vendere le prime copie ai fan da alcune
ore in fila. Tra questi anche Elvis Costello, che è stato tra i primi
dieci acquirenti di 1 nella città natale dei Fab 4. Perché attendere
ore al freddo per comprare un disco che include alcuni dei brani più
noti dei Beatles? Sfugge una spiegazione logica. Ecco allora
riecheggiare la beatlemania, basata su una risposta irrazionale alla
musica di quattro affascinanti inglesi. Eppure quel gruppo si è sciolto
nel 1970, più di trent’anni fa. Questa è la realtà. Per la
percezione della realtà invece è come se i Beatles non si fossero mai
detti addio. Ogni notizia che li riguarda viene accolta dalla critica e
dai fan come un evento. L’amore, la passione e l’interesse per John,
Paul, George e Ringo devono ancora tramontare.1 sembra però arrivato
solo per tramutare queste esigenze del pubblico in entrate fresche per
la casa discografica. La reazione dei fan fedelissimi è stata fredda:
tutti si sono sentiti ‘obbligati’ a comprare il cd (e magari anche
la versione in vinile), ma in pochi hanno approvato l’operazione.
"Mi lascia del tutto indifferente", sentenzia Antonio Taormina
autore, con Donatella Franzoni, della traduzione con commento di tutti i
testi dei Beatles. "Mi sembra un ennesimo sfruttamento del mercato
Beatles, ed è prettamente un’operazione di marketing." Rincara
la dose Franco Zanetti, giornalista e autore di una biografia su Paul
McCartney: "Si è trattato solo di un’iniziativa commerciale,
priva di ogni significato artistico". I numeri uno in classifica
dei Beatles in un unico cd pareva però un buono spunto per realizzare
un raccolta. Un’attenta analisi dimostra al contrario quanto siano
deboli le fondamenta di 1. La prima critica riguarda la scelta di
selezionare i brani in base alle classifiche inglesi e americane.
Artisticamente fino al 1967 fanno testo solo i 45 giri inglesi. Prima di
quella data i Beatles riuscivano a controllare solamente i dischi che
pubblicavano in patria, mentre negli altri Paesi (Stati Uniti inclusi)
le scelte erano in mano alle locali case discografiche. La Capitol
statunitense rimescolava gli album a proprio piacere (Beatles VI del
1965 è l’unione di estratti di Beatles For Sale e Help!) e
programmava i 45 giri. Il caso più clamoroso riguarda Yesterday, che
Paul McCartney non volle espressamente pubblicare come singolo perché,
come ricorda in Anthology, "in fondo eravamo un complesso rock’n’roll",
ma che arrivò puntuale nei negozi statunitensi. Non a caso in ogni
biografia del gruppo, la discografia di riferimento è quella inglese,
mentre quella americana viene confinata nel folkore anni 60. I numeri
uno raccolti in un unico cd paiono quindi una motivazione nobile per
dare alle stampe un greatest hits dei Beatles. Franco Zanetti non ha
dubbi: "Hanno trovato una giustificazione per una nuova collezione
e l’hanno fatta volutamente come cd singolo. Se pubblicavano un doppio
non si sarebbero registrate le vendite strabilianti a cui stiamo
assistendo". La "giustificazione" cade immediatamente:
manca Please Please Me, il primo numero uno. Un’assenza
ingiustificabile, come appare forzata la presenza di Love Me Do,
arrivata al numero uno in America nel 1964, due anni dopo la sua
pubblicazione, e per una sola settimana sull’onda della beatlemania.
Altre critiche sono piovute per l’inclusione di Penny Lane e la
mancanza di Strawberry Fields Forever: i brani sono stati entrambi lato
A di uno dei 45 giri più famosi della storia del rock. In questo caso
gli uomini della Emi non hanno sbagliato: il doppio lato A non è mai
arrivato in testa alle classifiche in Inghilterra, mentre lo ha fatto in
Usa, dove però è stato pubblicato con Penny Lane come lato principale.
Un tale rigore non fa che rendere ancora più stridente l’assenza di
Please Please Me. Inoltre, è criticabile il metodo con cui sono state
selezionate le canzoni. "Trovo perversa", spiega Taormina,
"la scelta di includere i pezzi che sono stati primi in classifica.
Questo criterio ha portato all’esclusione del Lennon maggiore, quello
di Strawberry Fields Forever, I Am The Walrus, In My Life, Across The
Universe. E, per lo stesso motivo, non c’è alcun brano da Sgt Pepper’s
Lonely Hearts Club Band e dal White Album, le due opere maggiori del
gruppo". Sulla stessa onda Zanetti: "La scelta di mettere solo
i lati A autorizza a pensare che da un certo punto in avanti una buona
parte dei Beatles siano McCartney, perché nei tardi anni 60 era
diventato il titolare dei lati A. Un’operazione del genere è molto
squilibrata. Non vorrei che qualcuno lo compri e pensi di avere i loro
brani fondamentali: non è così". Sentenze senza appello. Eppure
il disco è vendutissimo. Regalo ideale per il Natale 2000? Troppo
limitativo. Allora, come spiegare un tale successo? "Se la gente va
a comperare 1, pur sapendo che sono pezzi che hanno trent’anni e che
in molti hanno già, vuol dire che la forza e l’importanza dei Beatles
sono ancora notevoli" afferma Rolando Giambelli, presidente dei
Beatlesiani d’Italia Associati, il fan club italiano. Allora si apre
uno scenario che trascende il marketing: 1 ha venduto così tanto
perché le canzoni dei Beatles sono eccezionali, perché la loro
immagine di giovani che hanno regalato tante emozioni positive al mondo
è ancora intatta. Risposta stupida e semplicistica? Non crediamo: a
volte le cose sono più lineari di quanto sembrino. I Beatles sono
ancora in testa alle classifiche perché hanno scritto alcune delle più
belle canzoni della storia del rock. Poi, poco importa se uno di loro è
stato barbaramente assassinato, e se gli altri tre hanno ormai il viso
solcato dalle rughe. Per la percezione della realtà, John, Paul, George
e Ringo sono ancora chiusi ad Abbey Road ad incidere ottime canzoni. Per
sostenere 1 la Emi ha comunque dato vita a un’imponente operazione di
marketing.
Secondo la stampa inglese sono stati investiti oltre dieci
milioni di sterline. Dalla Emi italiana non trapelano dati, ma fanno
sapere di non aver allestito nulla di particolare. La solita routine
promozionale (anche se un mega schermo installato nella centralissima
piazza San Babila di Milano trasmette senza sosta i videoclip di 1). Poi
tutto è successo da sé: le radio hanno iniziato a mandare in onda
brani di 1, la contemporanea uscita dall’autobiografia Anthology e la
prima posizione raggiunta dall’album in molte classifiche hanno
portato i giornali a occuparsi del fenomeno beatlemania 2000. I mass
media sono però incappati in una brutta figura, come spiega Zanetti:
"Il fatto che la stampa italiana non abbia verificato se si
trattava veramente dei numeri uno è triste: si sono bevuti il
comunicato stampa. I giornali hanno diffuso questa falsa notizia,
trasformandola in verità". Rimane un dato incontestabile: si
tratta di un ottimo disco. Certo, siamo al cospetto di una collezione
incompleta che non riesce a tratteggiare nemmeno superficialmente l’arte
dei Beatles. Però non poteva che essere un album eccezionale. Questo
per un semplicissimo motivo. Provate a pescare 27 canzoni a caso dai
dischi dei Beatles e incidetele su un unico cd: la probabilità che ne
esca una raccolta straordinaria è altissima!
La
collezione definitiva dei Fab 4 risale comunque al 1973, anno di uscita
dei doppi The Beatles 1962/66 e The Beatles 1967/70. Pubblicati in tutta
fretta per contrastare le straordinarie vendite di una raccolta illegale
(il quadruplo lp The Beatles Alpha Omega) sono i greatest hits più
articolati e completi dei Beatles, e gli unici consigliabili per chi
vuole avvicinarsi all’arte dei Fab 4 senza avventurarsi in tutti i
loro album. Notevoli anche le due copertine, che ritraggono i Beatles
nello stesso luogo (le scale della Emi House di Londra) a distanza di
sei anni. La prima foto è stata scattata per l’album d’esordio (Please
Please Me), mentre la seconda è stata realizzata per precisa volontà
di John Lennon, che voleva utilizzarla per l’ultimo disco del gruppo.
La discografia dei Beatles include altre raccolte, tutte di qualità
mediocre, sia per i brani selezionati sia per le copertine, aspetto al
quale McCartney e compagni dedicavano le stesse cure che riservavano
alle canzoni. Rock’n’Roll (1976) e Love Songs (1977) hanno il
difetto d’origine di voler mettere in evidenza un solo aspetto della
musica dei Quattro (come si evince dai titoli). Altrettanto
sconclusionata Reel Music (1982), che raccoglie i brani apparsi nei
cinque film del gruppo. Un motivo debole per realizzare un’antologia,
ma tant’è. Infine 20 Greatest Hits (1982), antenato di 1, raccoglie i
singoli arrivati in testa alla classifica stilata dal British Market
Research Bureau (che veniva ripresa dalla Bbc). Come il suo nipote del
2000, anche 20 Greatest Hits non include Please Please Me, numero uno
nelle charts di New Musical Express e Melody Maker, ma non in quella del
British Market Research Bureau. In compenso troviamo Love Me Do, inclusa
solo per celebrare il ventennale dell’incisione. Tutte queste
antologie sono ormai più rare dei bootleg: un segno dello scarso
interesse che hanno raccolto presso il pubblico. C’è da chiedersi se
1, dopo tutto lo scompiglio che ha creato, avrà identica sorte: il
dimenticatoio. Intanto è accomunato ai suoi predecessori dalla scadente
copertina, "indegna della loro tradizione" come sottolinea
Antonio Taormina. Un pregio di 1 potrebbe essere quello di conquistare
nuovi fan: "Può essere utile", afferma fiducioso Giambelli,
"per raccogliere nuovi proseliti beatlesiani: se un adolescente
scopre la musica dei Beatles nel bailamme delle mediocri proposte
attuali, non la abbandonerà mai". Altro pregio va ricercato nel
booklet interno, che riproduce molte immagini dei vari 45 giri
pubblicati in ogni angolo della terra. Al proposito Giambelli svela, con
orgoglio, che alcune copertine italiane potrebbero essere state tratte
dal suo poster che riproduce tutte i singoli pubblicati in Italia (vedi
immagine in alto a sinistra). "Ho consegnato alla Apple, che me le
aveva espressamente richieste, tutte le foto che ho scattato per il mio
manifesto. Quindi è verosimile che qualcuna sia stata utilizzata per il
libretto di 1." Il successo raccolto da ogni pubblicazione
beatlesiana negli anni 90 (le ristampe in cd delle raccolte The Beatles
1962/66 e 1967/70, Live At The Bbc, i tre volumi di Anthology, Yellow
Submarine) lascia ipotizzare che gli archivi di Abbey Road avranno altro
da svelare nei prossimi anni. Indiscrezioni indicano la prima versione
di Let It Be (assemblata da Glyn Johns) come prossima candidata a
invadere i negozi di dischi, magari affiancata dall’omonimo film,
tuttora inedito come home video. "Pubblicare la prima versione di
Let It Be sarebbe come ripubblicare Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni",
sostiene Zanetti. "Avrebbe senso per collezionisti e studiosi dei
Beatles, non per il grande pubblico. La Emi farebbe un’azione
meritoria se decidesse di rendere disponibile tutto il materiale
registrato dai Beatles. Potrebbero comprare un enorme spazio Web e
mettere tutto lì. Chi è interessato se li va a sentire." Più
drastico il parere di Antonio Taormina: "Non ho nessun entusiasmo
per queste operazioni. Vorrei un Wwf per i Beatles, che stabilisse: d’ora
in poi non si rimescolano le stesse cose all’infinito. Si rischia la
saturazione mentale". Intanto, i collezionisti fanno sapere che 1
contiene anche un ‘inedito’ su cd: la versione stereo di Can’t Buy
Me Love, altrimenti reperibile solo su 45 giri o sugli album in vinile.
Vale il prezzo del cd? Fate voi.
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