I
Beatles al Velodromo Vigorelli
“Allacciatevi le cinture di sicurezza perché questo è un aereo. Ora
decolla!”. Nei ricordi della giovane protagonista, allora
quattordicenne, Donatella Damiani, il viaggio da Firenze a Milano alla
volta di uno dei concerti dell’unico tour in Italia dei Beatles, 1965,
comincia così, a bordo di una vecchia Giulia Super bianca. “Era
giugno, e quello era il regalo per il nostro esame di terza media appena
superato. Ci accompagnava al concerto il padre di una mia cara amica,
che era spesso a Milano per lavoro perché aveva fatto fortuna, nei
primi anni ’60, come grafico pubblicitario. Ancora la professione era
poco diffusa, e chi era competente in materia si era creato in quegli
anni una discreta stabilità economica. Fu tramite lui che riuscimmo ad
avere i biglietti. Il costo era di 3000 lire. Non poco per quei tempi
!”
Del concerto di per sé, dell’evento musicale, a distanza di così
tanti anni non le è rimasto un grande ricordo. I particolari, la
strumentazione, i pezzi suonati sono dettagli su cui l’attenzione non
si è forse mai soffermata. “Non avevo una profonda conoscenza della
musica, né coltivavo questo tipo di interesse. A quei tempi, del resto,
non era semplice. Non era per tutti andare ai concerti e seguire la
musica, e la passione doveva essere affiancata da una certa disponibilità
economica. Tutto quello che sapevo era che mi piacevano i Beatles.
Conoscevo più o meno bene i pezzi del gruppo, li avevo ascoltati sui
loro dischi, gli unici dischi che conoscevo. Io e l’amica che mi
accompagnava al concerto li avevamo comprati a metà e li ascoltavamo
insieme”. Cosa c’è allora di speciale nel racconto di questo
concerto? C’è intanto la allora giovane età della protagonista a
caratterizzarlo, ma soprattutto c’è la sua passione per la
fotografia. A quel concerto Donatella andò equipaggiata di macchina
fotografica, una Voighlander degli anni Cinquanta, e scattò sedici
fotografie. Il tempo e la complicità della scarsa passione per la
musica hanno fatto sì che poi le foto finissero, anche se conservate
con la massima cura, in fondo ad un cassetto, e che per tutti questi
anni non ricevessero la dovuta considerazione.Questo fino al giorno in
cui l’attenzione, casualmente, non si è soffermata di nuovo su di
esse. I negativi, che erano stati ordinatamente messi da parte, sono
stati ritrovati e restaurati.
“La passione per la fotografia me la aveva trasmessa mio padre,
fotografo per passione fin dagli anni Quaranta. Per me in quegli anni
era normale fare fotografie. Scattai le prime rimanendo distante dal
palco, poi mi feci coraggio e mi avvicinai. Riuscivo a vederli bene
nella posizione in cui ero, così che in un paio di scatti riuscii ad
immortalare in primo piano il gruppo al completo”.
Ciò che Donatella si ricorda bene è che tutti in quel periodo erano
pazzi per i Beatles, ma che lei del fenomeno musicale si rendeva ancora
poco conto, e che gli aspetti di questa esperienza che, dopo tutto
questo tempo, le sono ancora maggiormente vicini sono quelli legati alla
quotidianità e all’emozione concreta: la prima volta a Milano, la
curiosità della spedizione, quel po’ di influenza che la Beatles
mania aveva anche su di lei e sulla sua giovane amica. “Il viaggio
passò più velocemente di quanto avremmo mai potuto immaginare e, fra
l’emozione per la novità e quella per il concerto, ci trovammo a
Milano in un attimo. Il traffico sulle autostrade non era certo quello
di adesso, e in più al nostro accompagnatore correre piaceva un bel
po’… ”. La città che si trovarono davanti era molto diversa da
come l’avrebbero rivista negli anni successivi. “ Me la ricordo,
innanzi tutto, molto meno affollata. Mi sembrava che tutto avesse più
respiro e la città non era ancora il polo industriale che sarebbe
diventata. Anche se tutto è, chiaramente, in relazione a quello che
allora era il mio modo di percepire la realtà! ” Si ricorda di una
città già ricca e nella quale la gente identificava la capitale del
benessere, ma tutto questo diluito in tempi e modi diversi da quelli di
adesso. “Appena arrivati, il padre della mia amica ci portò a fare un
giro a La Rinascente. Allora La Rinascente c’era solo a Milano ed era
considerata veramente la frontiera dei grandi magazzini. Erano un po’
gli Harrods di casa nostra. Comprammo degli strani vestiti, che mi
ricordo ancora bene! E poi da lì a fare un giro in Galleria”. Come
per ogni evento di questo tipo, i dettagli caratteristici hanno retto al
trascorrere del tempo meglio di tutto il resto. “Mi ricordo che
andammo a mangiare da Biffi, e io non ero mai stata in un self-service.
Mangiai il prosciutto arrosto con i piselli.
Una bella fetta alta di
prosciutto buonissimo e una montagna di piselli”.
Da lì il pomeriggio si spostò verso il Velodromo Vigorelli, in Via
Arona, in attesa dell’inizio del concerto. Le esibizioni che i Beatles
tennero, il 24 giugno del ’65, furono due, una nel pomeriggio e una la
sera. Nessuna delle due fece registrare il tutto esaurito. Quella del
pomeriggio attirò circa 7000 persone, non un numero esorbitante per la
disponibilità di posti, ma la sensazione era quella della presenza di
tante persone intorno. “ Era stato mobilitato un bel numero di forze
per il servizio d’ordine. I militari erano tutti in divisa,
ordinatamente disposti sotto il palco. I nostri biglietti erano per il
prato. La gente era tanta, e all’inizio del concerto non mancavano
quelli, e soprattutto quelle, che si strappavano i capelli. Che altro
fare, del resto: infuriava la Beatles mania!” Il ricordo della
performance del gruppo si limita alle sensazioni. “ Non ricordo bene
per quanto tempo suonarono, ma sicuramente suonarono Love Me Do e A Hard
Day’s Night. Nell’aria c’era grande fermento. Loro erano forse il
primo gruppo rock che arrivava in Italia provocando un impatto del
genere. Personalmente, prima dei Beatles, non ho il ricordo di
nient’altro di simile. Io, addirittura, non ho il ricordo musicale di
niente altro. Nessuna delle influenze precedenti mi aveva sfiorato.
Credo, comunque, fossimo tutti molto affascinati dai Beatles” Riflette
poi: “Ci siamo passati in mezzo assolutamente senza consapevolezza, ma
quello era lo spirito e quella era la gente. Chissà se perfino i
Beatles sapevano, quando si incamminarono sulla strada per il successo,
che percorrerla li avrebbe definitivamente consacrati alla storia”
Giulia Nuti
The
Beatles in Italy
E’
notte fonda e regna il silenzio nella grande hall dell’Hotel Duomo di
Milano.
Il Duomo è un ottocentesco immobile posto imperioso sul primo anello
che cinge il centro storico della capitale lombarda. Oggi, siamo nel
1965, non è più il miglior albergo della capitale ambrogina ma
fermarvisi significa ancora qualcosa. Ecco perché Leo Wachter,
triestino con radici ungheresi di professione “ agente dello
spettacolo “, ha prenotato qui, per tre notti ben dieci camere doppie
e la “suite degli imperatori” tanto cara ai comandanti austrungarici
che la rallegravano con donnine fatte venire in carrozza dall’
adiacente zona della stazione.
Sulla destinazione delle stanze regna il riserbo più completo. Le
consegne ai portieri notturni sono perentorie: rispettare la privacy
degli ospiti, rendere il loro soggiorno piacevole. L’Hotel Duomo è
l’unico a Milano, fra le altre cose, capace di servirti una cena
completa a qualsiasi ora della notte. Un cuoco e uno chef vivono
perennemente lì, presso le spaziose stanze di una dependance che è
oggi, quaranta anni dopo, un celebre studio d’ architetti associati
specializzati, guarda un pò!, in cucine.
Per Leo questi di giugno sono giorni cruciali alla sua attività futura
e il triestino, sfollato dalla guerra e venuto su dal nulla, lo sa bene:
la gloria che sta accumulando potrebbe rivoltarsi contro se non saprà
dimostrare a tutti, colleghi stranieri in primo luogo, di saper gestire
impeccabilmente le logistiche di un’organizzazione per l’epoca
complessa. Intanto, il baffuto e colorito Wachetr, cela il suo
nervosismo con uno stile di vita splendido, da bravo godurioso, tipico
di colui che non ha niente da perdere.
Con una mossa rapida e scaltra Wachter è riuscito a sfilare da sotto la
penna del più grande agente italiano, il versiliese Sergio Bernardini,
quello de “ La Bussola ” di Focette, locale celebre in tutto il
mondo, un contratto praticamente già firmato dall’altro con i Beatles,
con i “ favolosi Beatles “, come il giornalista Gianni Bisiach li
avevi fatti conoscere a tutta Italia in un memorabile servizio
dell’immarcescibile TV7 nel novembre 1963, quando i quattro erano
oramai sulla bocca di tutti i teen agers del mondo.
Con un solo volo in Inghilterra – Bernardini era troppo impegnato a
chiudere la stagione estiva 1965 per potersi concedere due giorni
oltremanica e aveva affidato tutto a un suo dipendente – Wachter,
contanti alla mano, aveva portato così a casa un contratto che teneva
impegnati per un’intera settimana John, Paul, George e Ringo in
Italia, alla fine del mese di giugno di quel 1965.
Tutto era avvenuto velocemente nei mesi immediatamente precedenti e Leo
aveva dovuto correre per organizzare in prima persona la data milanese
del tour e sub appaltare i servizi per le date di Roma e Genova a
persone sicure, che lo tutelassero sui propri personali interessi il più
possibile, persone con le quali dividere poi un guadagno che Leo
considerava comunque esiguo visto le richieste di Brian Epstein, manager
supremo e assoluto dei quattro.
Ad essere sinceri Wachter era riuscito a limitare moltissimo il
personale rischio: per l’organizzazione delle due date milanesi presso
il moto velodromo Vigorelli, sito in zona fiera, poteva contare su un
partner o meglio, su una serie di partner sicuri che ebbero qualche
merito nel convincere Wachter a intraprendere il grande passo.
Accadeva infatti già da un pò che uno dei più celebri gruppi della
prima onda beat milanese, i sanbabilini New Dada, guidati dal bell’ombroso
Maurizio Arcieri, tampinava l’ufficio di Wachter in Galleria del Corso
per convincere l’agente a far qualcosa di tangibile per la “Nuova
Onda “ giovanile in chiara e decisa ascesa.
Leo, reticente sulle prime alle richieste dei New Dada di tentare –
almeno tentare – a portare i Beatles in Italia , iniziò a pensare
seriamente a proporsi a Brian Epstein solo quando alla sua porta
bussarono però i conti Monti Arduini e l’architetto Caccia Dominioni.
Chi erano costoro ? nessun altro se i genitori di due dei componenti dei
New Dada (il primo sarebbe divenuto celebre negli anni settanta come
“Il Guardiano del Faro “ ed è oggi un potente editore, mentre il
secondo è presidente della Warner europea…) ma soprattutto
rappresentavano due delle più celebri famiglie ambrogine di antiche
generazioni.
I loro cognomi influenti e una promessa a sostenere e a contribuire alle
spese della data milanese dei Beatles, con denaro contante, in cambio
dell’esibizione del gruppo beat dei propri figli come “spalla “,
convinsero perciò Leo Wachter a partire all’attacco dell’impero dei
favolosi quattro.
Un po’ tutti trassero giovamento dai concerti italiani dei Beatles.
Tutti meno che i Beatles stessi in fin dei conti che non aggiunsero
certo popolarità a popolarità
I New Dada furono i primi a trarre frutti dalla loro esibizione di
spalla ai Beatles. Incisero un buon album, Maurizio e soci si fecero
biondo platino, l’anno dopo si esibirono al Cantagiro 1966, pur senza
riuscire a scalzare i più bravi Equipe 84 dalla prima posizione, e nel
breve tempo di un altro anno si sarebbero sciolti. Il cantante Guidone,
uno dei primi a cantare rock & roll in Italia, invece sarebbe stato
l’unico a stringere amicizia con i quattro. Guido Crapanzano, oggi
consulente numismatico del Ministero delle Finanze, stanco del mondo
della musica in Italia, avrebbe aperto nel 1966 un ristorante su
un’isola greca presso cui George e John spesso soggiornarono. Peppino
di Capri, fra i più celebri artisti italiani ad esibirsi nella
“revue” che precedeva i 35 minuti dei nostri, sarebbe rimasto il
Peppino che tutti conosciamo. Quando nel 2001 tentò lo scoop di
regalare a Sir Paul il filmino del Vigorelli, che girò con la sua
macchina da presa in super otto, solo per farsi ritrarre e orchestrare
così una notizia per il TG1 ( Vincenzone Mollica era il suo pass
partout ), venne gentilmente rimbalzato. I presentatori dello show,
Gisella Sofio e Silvio Noto avrebbero continuato la propria attività,
quest’ultimo diventando molto “ noto ” presso i teen ager dei
primi settanta con lo spettacolo televisivo del sabato pomeriggio
”Chissà chi lo sà?”, uno dei primi ad aprirsi ai gruppi rock come
ospiti. Per la data romana tutto il jet set apparve almeno un attimo al
Teatro Adriano, magari per scomparire solo un attimo dopo. Anna Magnani,
Giorgio Albertazzi, Luchino Visconti sono alcuni degli
“avvistamenti” celebri confermati.
Fra gli artisti italiani solo Ricky Gianco venne fatto accedere alla
loro ristretta corte ( Ricky li aveva conosciuti due anni prima, quando
era andato registrare a Londra).
Fra i giornalisti italiani che chiesero una intervista esclusiva con i
quattro solo Gianni Minà n’ottenne una, mentre, a Roma Brian Epstein
fece invitare personalmente Gianni Bisiach.
Certo è che se tutti quelli che dicono di aver visto i Beatles in
Italia fossero veramente stati presenti alle date della loro breve tournée
di quel tardo giugno 1965, i nostri avrebbero suonato nei seguenti
luoghi: allo Stadio Olimpico ( a Roma ), allo Stadio Marassi ( a Genova
), a San Siro ( a Milano ). E’ prevista la costruzione di nuovi stadi
per ospitare quelli che ancora non si sono espressi, ma hanno una gran
voglia di affermare di esserci stati…
A Genova Brian Epstein scomparve per due giorni per ripresentarsi
puntuale a Milano la sera prima del concerto. John Lennon e Paul Mc
Cartney ebbero piccole e fugaci storie con questa o quell’attrice ma
la lista dei nomi che affermano di aver avuto “ Quella” storia è
oggi troppo lunga per corrispondere a verità ed essere presa in
considerazione.
Per i quattro Beatles e il loro piccolo entourage (Brian Epstein e
segretaria, Male Evans, Tony Barrow e altri) la settimana italiana fu
una settimana di disagi, comunque. Non abituati alle inadeguatezze
locali, alla disorganizzazione generale concertistica cui Leo supplì
nei limiti del possibile, non abituati alle abitudini alimentari degli
italiani, il gruppo si spostò in treno da una città all’altra. A
Milano, oltretutto, ebbe i New Dada sempre fra i coglioni! Wachter, da
parte sua, si guardò bene di spiegare a Epstein perché quei quattro
“dovevano “ star lì.
Nella loro storia a venire, i baronetti non hanno mai citato né
ricordato apertamente le date italiane, se non a fronte di precise
domande e in quel caso sfoggiando il loro proverbiale savoir faire.
Eppure le date italiane dei Beatles corrispondono a un momento di grande
crescita artistica dei ragazzi di Liverpool ( il dvd dal vivo all’Ed
Sullivan Show comprende tutte le loro quattro performance presos il
celebre show americano e l’ultima – quella del 12 settembre 1965 –
non è molto dissimile dai concerti italiani! ).
Leo Wachter, però, è doveroso dirlo, lavorò obbiettivamente bene.
All’entourage dei nostri non fece mancare nulla, di più non poteva
fare per i mezzi che esistevano all’epoca in Italia. I concerti dei
Beatles gli aprirono la strada agli Who, ai Pink Floyd, a Jimi Hendrix,
ai Rolling Stones. L’agente aveva superato l’esame.
Da bon viveur quale fu, il triestino con i soldi guadagnati in quella
settimana si comprò una macchina sportiva e, per quattro soldi, un
teatro dismesso nella zona universitaria della capitale lombarda.
In omaggio al suo amore per il grande schermo, Leo Wachter inaugurò il
nuovo teatro in piena contestazione giovanile, chiamandolo semplicemente
Ciak.
anche di quella che aveva già bevuto e si era pure ubriacata al suono
dei Beatles, dei favolosi Beatles .
Negli anni novanta il teatro venne venduto una società che faceva capo
a Maurizio Costanzo.
Anche lui, d’altronde, era stato spettatore dei concerti italiani dei
Beatles, dei favolosi Beatles.
Ernesto de Pascale
Palazzo
dello Sport di Genova
Giulia
Nuti ha intervistato per il Popolo del Blues il chitarrista fiorentino
Luigi Fiumicelli, uno dei primi chitarristi di rock a Firenze, un
pioniere della pedal steel guitar e uno dei più grandi appassionati di
musica locali. Attraverso le sue parole, il racconto del concerto dei
Beatles al Palazzo dello Sport di Genova
Cominciamo col raccontare la tua percezione del “fenomeno Beatles”.
Che cosa rappresentavano i Beatles per te allora, da giovane fan
italiano in primo luogo e in secondo da musicista?
Il fenomeno Beatles fu molto importante per me perché segno un
cambiamento sia musicale che di costume dopo il Rock di Elvis Presley ,
Gene Vincent e molti altri.
Luigi Fiumicelli nel 1965: che cosa stavi facendo musicalmente in quel
periodo ? Già suonavi, avevi un gruppo, scrivevi…?
Nel “65 suonavo sia con il mio gruppo ma anche con altri, nei vari
locali dove venivo scritturato.
Ti ricordi come hai saputo che i Beatles venivano a suonare in Italia ?
Quale è stata la reazione ?
Lo seppi dalla Radio, perché la TV ignorò totalmente l’evento tanto
è vero che non fu neanche ripreso uno dei concerti. L’unico filmato
esistente è quello effettuato da Peppino Di Capri che con il suo gruppo
apriva i loro concerti. La mia reazione fu di gioia immensa anche se non
mi sembrava vero, poiché i Miti prima dei Baetles non si sono mai
esibiti in Italia eccetto Vincent che fu una “mosca bianca” .
Come è nata la decisione di andare proprio al concerto di Genova tra le
date italiane ?
Le date Italiane erano solo tre: Milano, Genova e Roma. Scelsi Genova
perché preferii una città di mare.
Entriamo nei dettagli del viaggio… Mi racconti tutto quel che ti
ricordi ? Quando siete partiti, con che mezzo, con chi eri… un pò di
diario di bordo…
Era una giornata bellissima. Partii solo e in treno. Durante il viaggio
trovai molti fans. Ero elettrizzato e incredulo di ciò che stava
avvenendo. Fui sicuro che l’evento esisteva veramente quando, dopo
l’esibizione di P. Di Capri, portarono sul palco la batteria di Ringo
con su scritto “The Beatles” . Fu un’esplosione di gioia da parte
di tutto il pubblico, assai numeroso.
L’arrivo sul luogo del concerto. Eri mai stato al Palazzo dello Sport
di Genova prima di allora? Quale fu l’impressione arrivando lì ?
Non ero mai stato al Palazzo dello Sporto di Genova prima. La mia
impressione fu di una gran festa per le numerose bancarelle che
vendevano tutti i gadgets (era la prima volta).
Le cronache dell’epoca raccontano che l’affluenza agli spettacoli
non fu molta in proporzione ad una capienza, quella del Palazzo dello
Sport, di circa 25.000 persone (per lo spettacolo del pomeriggio 5000
persone di cui 1000 del servizio d’ordine, ndr ) , ma non è detto che
ciò coincida con la tua percezione dell’affluenza in quel momento…
Ti sembrava che ci fosse tanta gente, poca, tantissima….?
Non mi ricordo se il Palazzo era al completo, perché la mia attenzione
era proiettata verso il palco. Ma una cosa è certa che di persone ce ne
erano tantissime e non potrei, ora, stimare la quantità.
Presentatore e gruppi spalla: ti ricordi qualcosa a riguardo ?
Del presentatore non ricordo il nome ma solo il momento che in cui fece
entrare i Baetles, fu un boato! Il gruppo spalla fu quello di Peppino Di
Capri, e devo dire che il pubblico, ansioso di ascoltare i protagonisti,
non si comportò civilmente nei suoi confronti chiedendo di smettere la
sua esibizione. Di Capri capì e fu molto cortese e comprensivo. A suo
favore, devo dire, che suonò molto bene e professionalità.
Arriviamo al punto topico della giornata: il concerto. Racconta tutto a
ruota libera…
L’inizio fu bellissimo e coreografico: arrivarono in fila con i loro
strumenti, si voltarono verso il pubblico con un profondo inchino e
subito dopo iniziarono “a cappella” I’m a loser seguita da Baby’
s in black e She is a woman che non avevo mai sentito e mi colpì per
l’introduzione della chitarra elettrica di Geoge tutta in
“levare”. Il concerto sprizzava di energia e simpatia da parte di
tutti. I brani erano perfetti sotto ogni punto di vista e sarebbe stato
favoloso se registrato dal vivo.
John aveva davanti un folto gruppo di ragazzine urlanti e fra una
canzone e l’altra scherzava con loro. Paul si divertiva ad avvitarsi
su se stesso attorcigliandosi intorno al cavo e risciogliendosi a tempo
con i vari break dei brani. Gorge era molto preso dai brani per il
difficile lavoro sulla sua chitarra. Ringo sempre sorridente dando
l’impressione di divertirsi un mondo.
So che sai degli aneddoti interessanti sulla strumentazione e sopratutto
sulle casse e l’impianto Davoli…
Entrando nel Palazzo e guardando verso il palco fui un po’ sorpreso
nel vedere che l’impianto sonoro era della Davoli che, a mio avviso, a
quei tempi, non era al top per l’alta fedeltà. Ma dovetti ricredermi:
il suono era perfetto e vidi, per la prima volta delle enormi casse in
sospensione nei vari angoli del Palazzo.
Quali erano prima di vedere I Beatles le tue aspettative riguardo al
loro concerto ? Furono poi soddisfatte ?
Le mie aspettative sono state superate dalla perfezione e
professionalità dell’evento!
Ormai la “Beatles mania” è un vero e proprio fatto di costume
storico nazionale e internazionale, e le immagini dei giovanissimi fans
impazziti per I Beatles sono immortalate in tutte le cronache
dell’epoca . Molti andarono al concerto più trascinati dall’onda
che investiva l’universo giovanile in quel momento che musicalmente
consapevoli del concerto che avevano davanti. Quale fu il tuo personale
approccio a questo evento ? Ti rendevi conto di essere di fronte ad un
evento che sarebbe passato alla storia ? Ti sentivi più fan oppure più
attento appassionato di musica ?
Il mio approccio fu un atto di umiltà dal quale imparai molto sotto
ogni punto di vista. Mi resi conto di essere davanti a qualcosa di nuovo
ed importante nella storia e nella cultura musicale. Non mi sono mai
sentito fan nel senso di mania ma, un appassionato ammiratore e
stimatore dal punto di vista artistico, un’ arte che sfocia nella
genialità. Il tempo mi ha dato ragione!
Un giudizio spassionato: come suonarono I Beatles ?
Come ho già detto la loro esibizione fu un compendio di bravura,
estrosità, versatilità e simpatia. Il tutto condito con una tecnica
perfetta sia vocale che strumentale.
Le cronache dell’epoca, specialmente Il Messagero e Il Tempo per la
data di Roma, tesero a minimizzare il valore personale dei quattro
musicisti, quasi a prendere sotto gamba questi quattro ragazzi che
sconvolgevano il mondo ma che restavano pur sempre dei capelloni (Il
Liverpoll Echo riportò di quella tournee: “Rome newspapers today
showed mixed reactions to The Beatles’ concert there last night. Il
Messaggero said(…) : “No more than four ugly faces, four long heads
of hair, four sublime idiots (…) but they succeeded in creating a
spettacle that one can only admire” – Trad: “I giornali romani
hanno mostrato pareri discordanti riguardo ai concerti dei Beatles a
Roma ieri sera. Il Messaggero ha dichiarato (…) : “Nient’altro che
quattro brutte facce, quattro capelloni, quattro perfetti idioti (…)
ma sono riusciti a creare uno spettacolo che si può solo ammirare” )
Si meritavano i Beatles tutto ciò ?… Che cosa ti ricordi di questa
immagine immutabile di capelloni che parte del mondo adulto italiano
continuava ad associare ai Beatles ? Riscontravi il fenomeno nelle
persone intorno a te ?
Purtroppo davanti ai cambiamenti culturali molte persone tendono a dare
giudizi negativi, dettati forse dalla paura del cambiamento stesso.
Talvolta senza essere minimamente competenti in materia. Queste
citazioni non mi meravigliano, anzi anch’io le ho lette. Lo stesso
accadde a suo tempo per Elvis Presley. I cambiamenti di rottura spesso
sconcertano chi si affida solo all’esteriorità e non va alla sostanza
del fatto, non si accorge del contenuto artistico e del valore che prima
o poi verrà fuori. In conclusione i Beatles non si meritavano certi
articoli di stampa e posso dirti che le persone intorno a me erano
entusiaste dell’avvenimento.
Se non sono già venuti fuori, mi racconti gli aneddoti più divertenti
e curiosi della giornata ?
Al momento non ricordo un particolare episodio. Una delle cose che mi
rimase impressa fu nel notare che dietro gli amplificatori ogni
componente del gruppo si era portato un duplicato della chitarra e del
basso, capii che ciò serviva ad un immediato scambio in caso di rottura
di una corda.
Che cosa ti ha lasciato quell’esperienza ? C’è qualcosa che ancora
oggi ti porti dietro di quel concerto ?
Ho appreso un modo simpatico di stare sul palco, la comunicativa col
pubblico, la preparazione dei brani, la cura del suono, il non
sovrastarsi a vicenda ma fare in modo che ognuno possa dare il meglio di
sé nell’armonia del gruppo.In fondo: suonare con grande passione
divertendosi.
Tutto questo mi è rimasto da quella esperienza.
MEMORIE
BEATLESIANE E DINTORNI
Genova, Liguria, 1965, Londra..
Liverpool... Una ragazzina "innamorata" dei Beatles, suoi idoli
musicali. Un fenomeno sempre attuale, ma se oggi e' solo una notizia dei
media, tanti anni fa fu un grande fenomeno che porto' ad una vera e
propria rivoluzione nella musica e nei costumi. La nota dominante della
vita della co-autrice e' sempre stata, fin dall'eta' di 13 anni, la sua
passione per i Beatles, nata durante il loro concerto nell'unico tour
italiano del 1965, che ella racconta in questo libro con passione ed
emozione. Questo amore per quegli anni non si e' mai spento, portandola
a vivere e lavorare a Londra diversi anni nel decennio '70/'80, anche
insieme al co-autore e assorbendone la cultura di cui descrivono
l'atmosfera, la vita quotidiana, l'ambiente musicale, ricordi,
impressioni ed esperienze che sono anche la testimoninanza diretta di
un'epoca. Fino alle attualita' dei giorni nostri. All'approssimarsi del
50enario (l'anno prossimo, 2015), della venuta in Italia dei Fab-Four,
ecco la pubblicazione di quello che non e' un saggio storico, ma sono
racconti in prima persona da chi in quegli anni c'era e li ha vissuti,
con foto originali scattate ai concerti di gruppi della scena rock
dell'epoca che sono famosi ancora oggi come i Pink Floyd, i Black
Sabbath (definita la the "Greatest Metal Band" of all time) i Rolling
Stones, i Kraftwerk (tra i fondatori della musica elettronica insieme ai
i Tangerine Dream), Crosby & Nash, alcune mai pubblicate alcune delle
quali rarita' in quanto non hanno qausi nessuna foto rilasciata
ufficialmente come nel caso dei Kraftwerk, (all'epoca quasi sconosciuti
in Italia e diventati poi famosissimi) insieme a cartine esplicative dei
luoghi beatlesiani piu' importanti, ad articoli di memorabilia quali
biglietti dei concerti, copertine di programmi ufficiali etc. che gli
autori acquistarono durante la loro permanenza in Inghilterra.
Questo libro e' dedicato a tutti i fans dei Beatles. Ma non solo.
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I
Beatles all’Adriano: pura energia!
di
Luciano Ceri
Caldo. Molto caldo. Faceva molto caldo sotto le palme di Piazza Cavour
dove il mio amico Maurizio ed io aspettavamo che aprissero le porte del
Teatro Adriano. Il mio amico Maurizio era anche il mio compagno di banco
in quel primo anno di liceo classico ed io lo invidiavo molto perché i
suoi genitori (sua madre suppongo) gli pagava la camiciaia per farsi le
camice su misura. Strettissime, a quadretti piccoli, con il cannello
sulla schiena e soprattutto con quella strana fettuccia di stoffa che
partiva dal fondo posteriore della
camicia, passava sotto, in mezzo alle
gambe, per rispuntare sul davanti ad agganciare di nuovo la camicia con
un bottone speciale posizionato alla fine dell’attaccatura dei bottoni
normali. Un prodigioso marchingegno che impediva alla camicia di
fuoriuscire dai pantaloni. Doveva essere anche molto scomodo avere una
camicia così, però vuoi mettere essere tutto attillato dalla testa ai
piedi, con i pantaloni a vita bassa ed una cintura bella grossa? Davvero
lo invidiavo, anche se poi non so se me la sarei mai messa una camicia
così. Io ripiegavo su quelle comprate a via Sannio, magari il
pomeriggio del sabato alle tre per poi indossarle alle cinque in qualche
festa rimediata all’ultimo momento. Dove non sempre c’era anche
Maurizio, perché lui aveva un giro di amici diverso, ma quando ci
incontravamo mi accorgevo che non ballava molto e che spesso si piazzava
accanto al giradischi a mettere il più possibile dischi dei Beatles,
dell’Equipe 84 e dei Rokes. Era stato lui, visto che abitava in Prati,
vicino a scuola, ad informarci che al nostro juke-box preferito (accanto
ad un chiosco-bar sul lungotevere) era arrivato Ticket To Ride e negli
ultimi giorni di scuola ai primi di giugno – quei giorni che si riesce
sempre ad uscire prima perché ci sono gli scrutini o perché qualche
professore manca all’ultima ora – spesso ci andavamo a sentire i
dischi. Le magiche note del riff iniziale di Ticket To Ride si
diffondevano sul marciapiede mentre noi guardavamo raggianti i biglietti
che Maurizio aveva comprato al botteghino dell’Adriano: lunedì 28
giungo, ore 16,30, diurna, balconata, lire 1500.
Avevamo scelto il lunedì un po’ perché Maurizio sarebbe andato al
mare la domenica, il giorno del primo concerto dei Beatles, e un po’
perché i biglietti per la domenica erano finiti, o meglio, erano finiti
i biglietti delle balconate, e quelli di platea erano veramente troppo
alti per le nostre tasche, e a Maurizio, che se li sarebbe potuti
permettere, non gli andava di andare da solo in platea. Io amavo molto
l’Adriano perché mio padre mi ci portava sempre a vedere i film di
James Bond appena uscivano, visto che a lui piacevano quanto a me, ed io
aspettavo con ansia di leggere il titolo del nuovo film proposto in
lettere nere su fondo bianco in quel riquadro lungo e stretto piazzato
sopra le porte dell’Adriano e che di sera si illuminava di luce al
neon. In più ero incantato da quella frase di chitarra elettrica che
compariva sempre sui titoli di testa, che a loro volta mi provocavano
non pochi turbamenti con le immagini di donne seminude appena visibili
nella penombra di veli, luci offuscate ed effetti speciali. E fu proprio
in quell’occasione, mentre guardavo il riquadro lungo e stretto sopra
le porte del Teatro Adriano con su scritto “The Beatles”, che ebbi
una strana sensazione, una percezione confusa ma allo stesso tempo molto
definita, che quei due nomi, Bond e Beatles, difficilmente li avrei
dimenticati e che sarebbero diventati oggetto di ammirazione ed affetto,
e che sicuramente sarei andato, prima o poi, a Londra, dove immaginavo
che i Beatles e Sean Connery si frequentassero, magari andando a cena
insieme.
C’era un sacco di gente sotto le palme di Piazza Cavour, soprattutto
c’erano un sacco di ragazze molto carine, vestite molto colorate e con
i quarantacinque giri dei Beatles in mano, e c’erano anche alcune
mamme, venute lì a controllare cosa stesse succedendo e perché per la
prima volta a Roma si creava tanta confusione per uno spettacolo di
canzoni in un teatro. Molti ragazzi avevano i capelli moderatamente
lunghi, a coprire le orecchie ed appena il collo, e molti avevano gli
occhiali da sole con le lenti a goccia, ed anche io ce li avevo, anche
se non sapevo che si chiamavano Ray-Ban perché li avevo comprati a via
Sannio e non c’era nessuna scritta sulla montatura o sulle stanghette.
Ad un certo punto cominciammo tutti ad attraversare la piazza e quasi
automaticamente ci trovammo di fronte alle porte, e poi entrammo dentro
e poi su per le scale – ormai di corsa – ed alla fine entrammo nel
nostro palchetto di balconata, forse insieme ad altri cinque o sei, non
ricordo bene, ma di colpo il teatro fu pieno. O meglio, le balconate
furono piene, perché in platea le persone arrivavano un po’ alla
volta, con molta calma, a parte quelle cinquanta o sessanta ragazze che
avevano occupato in un baleno le prime sei-sette file di posti.
L’Adriano era ancora più bello visto dall’alto, e noi eravamo
sistemati sul lato di destra guardando il palco, forse sul terzo ordine
di balconate, comunque nel punto più alto e praticamente a picco sul
palcoscenico. Maurizio mi indicò che in platea stava prendendo posto il
cantante dell’Equipe 84, quello alto e secco che avevamo visto solo in
fotografia, e mi fece notare – finalmente c’era qualcosa che
invidiava anche lui – che aveva una camicia ed un paio di pantaloni
esageratamente stretti, ed i pantaloni erano per di più a righe e
quindi sembravano ancora più stretti. C’erano anche gli altri tre
dell’Equipe ed io dissi a Maurizio che sapevo che stavano a Roma perché
guardando la pagina degli spettacoli del giornale qualche giorno prima
mi era capitato l’occhio su di un annuncio che diceva “Stasera il
complesso Equipe 84”, ma non mi ricordavo a quale posto si riferisse,
forse era il Piper Club, questo nuovo locale di cui molti parlavano e di
cui avevamo letto sulla rivista “Big”. Maurizio mi disse che secondo
lui il Piper aveva ormai chiuso la stagione, e che a giugno la gente
voleva ballare all’aperto. Lui aveva due amici che erano stati al
Piper e gli avevano detto che era bellissimo, e che si poteva ballare -
invece che con i dischi - con i complessi che suonavano sul palcoscenico
le canzoni dei Beatles, che c’erano delle pedane luminose sulle quali
si poteva salire per ballare, che dietro ai complessi c’era una cosa
strana, tipo un quadro, ma fatto con delle foto ingrandite di labbra e
occhi di ragazza con pezzi di ferro e di legno e anche parafanghi di
automobili e tubi strani, che le luci si accendevano e si spengevano,
che la musica era a volume altissimo e che tutte le ragazze avevano le
gonne cortissime. Maurizio diceva che questi suoi amici, secondo lui,
erano un po’ pallonari, cioe’ raccontavano cose non vere, però
eravamo tutti e due incuriositi, e decidemmo che quando avrebbe riaperto
la scuola ci saremmo andati un pomeriggio con i compagni di classe.
Mentre parlavamo del Piper le luci in sala si spensero e cominciò lo
spettacolo. Sapevamo che prima dei Beatles ci sarebbero stati altri
cantanti, ma non mi ricordo bene chi ci fosse, forse i New Dada, che
erano simpatici e avevano il cantante con i capelli biondi, ma noi
eravamo tutti impazienti di sentire loro e quando arrivò Peppino Di
Capri ci furono pure diversi fischi, anche se Peppino a me stava
simpatico, perché si muoveva come se avesse un tremito spastico nella
parte superiore del corpo e si teneva stretto in mano e vicino alla
bocca quel grosso microfono quadrangolare come se fosse un grosso pezzo
di torta da addentare. Poi il palco rimase vuoto e venne qualcuno ad
annunciare: “Signore e signori, The Beatles!”. E lì venne giù il
teatro.
Le ragazze cominciarono a strillare, ed il loro strillo era uno strillo
di ragazze, aveva cioè un suono (un timbro, avrei detto qualche anno più
tardi) molto acuto, come se fosse un fischio elettrico, a volume
altissimo. Anche io e Maurizio cominciammo a strillare, ma ci veniva
male, ero uno strillo da maschi, con un suono un po’ ridicolo, e ci
stancammo subito perché poi cercavamo di ottenere un suono (un timbro,
avrei detto qualche anno più tardi) simile a quello delle ragazze, ed
era chiaramente impossibile, e subito ci andò via la voce. John Lennon
era proprio sotto di noi, aveva il cappelletto scuro che Maurizio aveva
comprato a via Sannio a Febbraio ed una faccia molto simpatica, come se
dovesse farti uno scherzo da un momento all’altro, mentre Paul
McCartney stava all’altra estremità, con quel suo basso strano che
sembrava un violino un po’ allungato e che non capivo come facesse a
suonarlo al contrario, nel senso che io le dita sulla tastiera della
chitarra Eko che mi padre mi aveva regalato a Marzo per il mio
compleanno le mettevo con la sinistra, anche quando cercavo di fare le
note del basso di And I Love Her , mentre lui ci metteva le dita della
mano destra, e per me era inspiegabile, non concepivo il fatto che
esistessero i mancini anche sulla chitarra. George Harrison stava più o
meno al centro, qualche volta andava vicino a Paul a fare il coro, aveva
un’altra chitarra appoggiata su una specie di trespolo vicino alla
batteria e mi sembrava molto elegante mentre suonava, e lo amai molto
soprattutto quando attaccò l’inizio di Ticket To Ride : una vera
magia! In mezzo a tutti e incastrato quasi tra gli enormi amplificatori
ai quali erano attaccati i fili delle chitarre e del basso c’era Ringo
Starr, con i suoi splendidi capelli quasi biondi che si agitavano in
continuazione e con un sorriso molto accattivante, che picchiava con le
bacchette sui piatti e sui vari tamburi della batteria, compreso quello
più grosso (quello che si suonava con il piede destro, e non tutti lo
sapevano e quando lo dicevi, soprattutto alle ragazze, facevi un gran
figurone) dove c’era questa scritta misteriosa: “Ludwig The Beatles”,
e né io né Maurizio sapevamo chi fosse mai questo Ludwig, perché né
io né lui conoscevamo qualcuno che suonava la batteria, in grado quindi
di spiegarci che il signor Ludwig era quello che fabbricava le batterie,
ne più ne meno come il signor Eko fabbricava le chitarre.
Insomma, finalmente erano lì. Era quasi incredibile, e anche senza voce
Maurizio ed io continuavamo a strillare ogni volta che incominciavano
una nuova canzone: Please Please Me, She Loves You, A Hard Day’s
Night, I Feel Fine, Baby’s In Black . Poi fecero quella che canzone
che amavo tantissimo, ed iniziarono John and Paul, questa volta vicini,
allo stesso microfono a cantare: “Am a luuuuser, am a luuuuser…….”.
Era I’m A Loser , ed io l’amavo perché oltre ad essere bella era
anche una canzone che i giornalisti avevano detto che per le parole
avevano subito l’influenza di Bob Dylan, il quale aveva scritto delle
canzoni bellissime che noi amavamo molto, anche perché avevo letto la
traduzione delle parole delle sue canzoni ed erano fantastiche, e avevo
visto su una rivista la riproduzione di un ritaglio di un giornale
inglese che diceva: “Beatles say: Dylan shows the way” e per me
questi due nomi accostati era una cosa bellissima, perfetta, come
inzuppare il ciambellone nel caffellatte o mangiare pane e frittata alle
undici del mattino.
I Beatles erano vestiti di nero, con l’abbottonatura delle giacche
altissima, come se fosse un maglione a V, camicia bianca e cravatta
nera, avevano gli stivaletti come ci aspettavamo che avessero e facevano
veramente una bella figura, insomma, erano molto belli visti tutti
insieme e sembravano comunque divertirsi molto nel suonare, si
guardavano spesso, guardavano spesso Ringo, e ad un certo punto gli
fecero cantare una canzone tutta a lui, I Wanna Be Your Man, e ogni
volta che finivano si inchinavano profondamente rivolti verso la platea,
come per ringraziare il pubblico. Ma eravamo noi che li dovevamo
ringraziare per essere lì, e lo facevamo nell’unico modo possibile,
urlando ed applaudendo in continuazione. Maurizio ed io ci guardavamo e
ridevamo, agitando le braccia e tutto il corpo in generale, e ad un
certo punto ci fissammo sbigottiti perché cantarono una canzone che non
conoscevamo, tutta strana con un inizio di accordi di chitarra
saltellanti (in levare, avrei detto qualche anno più tardi), la cantava
Paul e solo qualche settimana dopo scoprimmo che era She’s A Woman ,
il nuovo quarantacinque giri dei Beatles, che sarebbe uscito con in
copertina una loro foto in cima al Duomo di Milano.
Poi lo spettacolo finì, dopo soltanto mezz’ora dall’inizio, i
Beatles si inchinarono per l’ultima volta in un rumore assordante ed
abbandonarono il palcoscenico dell’Adriano. Eravamo tutti sudati, le
ragazze nel nostro palchetto e in quello vicino piangevano, io pensavo
che piangevano di gioia perché gioia era quello che avevamo provato
ascoltandoli. E anche quando scendemmo le scale tutti insieme, anche
quando uscimmo sfiniti ed afoni su Piazza Cavour ancora piena di sole,
anche quando salimmo sull’autobus per tornare a casa con ancora nelle
orecchie il fischio elettrico delle ragazze e le urla di Twist And Shout
, eravamo pieni di gioia. E negli anni a venire, per tutte le volte che
avrei ascoltato i Beatles, da una radio accesa nel porto di Corfù o
nella stazione della metropolitana di Parigi, in un bar di Tirana o in
un negozio di Dubrovnik, sul taxi turco che mi portava ad Efeso o
facendo colazione in un albergo di Vienna, o semplicemente a casa, in un
giorno di pioggia o in una notte stellata d’estate, avrei provato
sempre la stessa sensazione: gioia. Non felicità, ma gioia, una gioia
che si diffonde immediatamente in tutto il corpo. Pura gioia.
Luciano Ceri
Piazza
Cavour: 40
anni fa su un Motom 48
Intervista a Paolo Zaccagnini
Quando incontro Paolo sono sempre contento e un pò emozionato perchè
so che si parlerà di cose vere e se ne parlerà in maniera semplice e
diretta. Sarà un piacere ricordare con lui il quarantennale dei
concerti dei Beatles in Italia. Mi inoltro nella cagnara del Tritone per
raggiungere la redazione del Messaggero dove troverò il mio barbuto
amico al lavoro in un assolato pomeriggio di inizio maggio e, se Dio
vuole speriamo che proprio il suo competitor Giove Pluvio la pianti di
romperci le tasche. Io comunque sono bravissimo a rompermele da solo
dato che entrando al giornale mi accorgo di aver dimenticato a casa la
mia superpiccolamacchinafotograficadigitale e solo dopo cinque minuti di
foschi pensieri e nuvole nere penso al mio
supermodernotelefoninocameravideomp3enonsopiùcosa e mi dico che è
l'occasione buona per vedere se la baracca funziona e dati i risultati
che vedete in queste pagine direi di sì. Il pomeriggio ritorna
languido. Entro. Vedo una lunga barba, l’ho trovato.
D. Caro Paolo buon giorno , sono venuto a trovarti per ricordare i
concerti dei Beatles in Italia. A Roma si esibirono pomeriggio e sera al
Cinema Teatro Adriano in piazza Cavour, proprio di fronte al Tribunale.
Sono certo che c'eri...
R. C'ero ma in realtà arrivai un pò per caso. Era il 1965 e da due
anni erano esplosi ma ancora non c'era la vera e propria beatlemania,
almeno a Roma. Certo se andavi al cinema a vedere i loro film trovavi le
ragazzine urlanti ma non era come a Londra ovviamente e tutto finiva
lì.
D. Torniamo al tuo pomeriggio all'Adriano
R. Ero con un amico in sella ad un Motom 48 e giravamo per Roma alla
disperata ricerca di un 45 dei Rolling Stones che si intitolava
"19th nervous breakdown"...
D. Quello con la svisata di basso di Bill Wyman
R. Esatto. Insomma nei nostri percorsi passammo davanti all'Adriano e
notammo una certa folla. Visto che sapevamo del concerto ci siamo
fermati e dato che i biglietti c'erano siamo entrati. Comunque a
proposito degli Stones devo dire che loro ci colpivano molto perchè
erano veramente selvaggi. Al Teatro c'era ressa ma in fondo
sopportabile. L'atmosfera a Roma non era certo di frenetica attesa per
l'evento storico, per quello c'era il Papa a poca distanza, non erano
tempi. I giornali non ne parlarono molto e quelli che lo fecero
scrissero che eravamo dei capelloni zozzi e sospetti. Noi (Il Messaggero
n.d.r.) ne parlammo anche più degli altri. Ricordo che per Ciao 2001 li
intervistò un giovane e magro Gianni Minà già allora con i baffi da
castorino. Ad ogni modo tra le cose divertenti ricordo che entrando
abbiamo incontrato dei compagni di scuola e uno di questi era un tipetto
particolare, sveglio e con notevole faccia tosta. Bè, durante il
concerto ad un certo punto parte di corsa e sale sul palco dalla destra,
si avvicina a John Lennon, l'unico col cappello, quello a visiera,
glielo porta via e solo perchè era il 1965 e non esisteva servizio
d'ordine se la cavò.
D. Adesso lo avrebbero fatto nero
R. A quello abbiamo pensato noi. Subito dopo siamo andati tutti in bagno
e invidiosi lo abbiamo gonfiato di botte, non so come si sia rialzato.
Fatto sta che il giorno dopo arriva a scuola pesto e gonfio come una
zampogna ma sfoggiando il cappelletto di uno dei Beatles. Era l'eroe del
giorno, mi pare si chiamasse Nicosia.
D. Che impressione fecero i Beatles al pubblico? Ci si rendeva conto che
sarebbero diventati dei fenomeni?
R. Eravamo tutti ancora un pò tiepidi, almeno il mio giro di amici.
Ascoltavamo tante altre cose, io personalmente se devo citare un gruppo
che mi ha cambiato la vita non posso non nominare i Cream: Eric Clapton,
Ginger Baker e Jack Bruce. Certo per quel che riguarda l'arrivo della
lingua inglese, un certo modo di vestire, fare amicizie in modo diverso,
rapportarsi con le ragazze e i genitori in modo diverso e il desiderio
di andare a Londra i Beatles e gli Stones furono importantissimi.
Comunque qualche settimana fa ho preso il mio biglietto e sono andato a
vedere la reunion dei Cream e ti dirò che quando mi si è seduto
accanto Dave Gilmour che stava là per i miei stessi motivi e col mio
stesso atteggiamento mi sono sentito veramente bene. Tornando ai Beatles
quella italiana fu una tourneè importantissima perchè fu unica, ne
venne ricavato il famoso e introvabile "The Beatles in Italy"
e comunque loro se la ricordavano per il gran caldo come mi ha
confermato il noiosissimo Paul Mc Cartney e il grande, che Dio l'abbia
in gloria, George Harrison. Era Giugno e noi eravamo tutti in maglietta
e loro invece in giacca e cravatta.
D. Come si ponevano rispetto al pubblico?
R. Brian Epstein, il manager che li ha cresciuti come un padre e li ha
lanciati, ancora dettava legge e quindi inchino dopo ogni pezzo, divisa
con cravatta ma capelli comunque abbastanza lunghi da destare scandalo.
Erano un pò come una boy band di adesso. Dopo di loro lo fecero i
Monkees. I Beatles più tardi hanno cominciato a vestirsi in modo
diverso, ad essere diversi loro stessi ognuno rivendicando anche il
proprio carattere. Calcola che allora erano esplosi solo da due anni ma
ne bastarono altri due soltanto per arrivare a "Revolver",
"Pepper" e tutto il resto...
D. E per il disco dei Cream che ti ha cambiato la vita… Senti ma tu,
che hai ovviamente un orecchio attento, fosti in grado allora di
percepire che quei quattro erano diretti verso la gloria?
R. Guarda, io e credo pochi giornalisti irlandesi abbiamo avuto una gran
fortuna. Nel Dicembre 1979 ero con mia moglie, ancora non eravamo
sposati ma era lo stesso, a Dublino e decidiamo di andare ad un posto
dove vendevano vestiti e libri usati. Era in un grande parcheggio e si
chiamava Dandelion Market, poi ci avrebbero costruito il primo centro
commerciale della città. In fondo al mercato c'era un palco fatto con
cassette di frutta o poco più dove si esibivano dei gruppi. Io lì, era
il 27 o 28 dicembre, ho avuto l'occasione di vedere gli U2 quando ancora
erano pressochè sconosciuti e mi sono accorto subito che erano
fortissimi. E' come quando senti la sgassata di una macchina o di una
moto data da un pilota o da un guidatore normale...è diverso. Capisci
subito chi è il professionista o almeno quello che è destinato a fare
strada. Ecco, per i Beatles la sensazione è stata quella, si capiva
subito che erano "Favolosi". Si sentiva che erano più bravi
di Gerry and the Pacemakers a gli altri loro contemporanei e
concittadini. Anche con il pubblico erano più bravi, più spiritosi.
Lascia perdere l'orecchio allenato, quello è venuto dopo con la
professione di cui non parlo mai perchè per me il Rock è stato un
hobby che è diventato professione. Però non si poteva non notare che
lo stato dell'arte lo decidevano loro. Non dimentichiamo che George
Harrison è stato uno dei cinque chitarristi più grandi della storia,
come si sentiva che quell'altro (il povero Mc Cartney n.d.r.) era
cretino e lo sarebbe rimasto e che invece quello col cappelletto (Lennon
ovviamente n.d.r.) era geniale, si un genio puro, uno che avrebbe potuto
fare il primo ministro o prendere il Nobel per la medicina o per
l'economia. Si capiva anche che Ringo era un clown intelligentissimo e
grande batterista, rovinato però proprio dal suo modo di porsi. Io non
ho sentito dal vivo "Bonzo" Bonham, solo una volta e avevo 40
di febbre, però Ringo lo metto ai primissimi posti insieme a Charlie
Watts che però è più jazz. In cima alla piramide un solo nome :
Ginger Baker. Considerando che ha 66 anni, l'osteoporosi e una gamba
semiparalizzata, sono dieci anni che alleva ponies e quasi non suonava
da 15 è stato per l'ennesima volta il motore dei Cream.
D. Non possiamo non citare Keith Moon
R. Sì, certo, un drumming eccellente e una gran brava persona. Di più
recenti amo Dave Grohl prima coi Nirvana e poi con i Foo Fighters.
Comunque dopo Kurt Cobain il Rock è in rianimazione...
D. Tornando ai Beatles, quando li hai incontrati negli anni successivi
gli hai chiesto se ricordavano qualcosa dei concerti italiani?
R. Nulla se non il gran caldo come dicevo prima. Sai erano comunque
separati dalla gente a causa dell'isteria che via via si diffondeva. Li
portarono subito al Parco dei Principi e li chiusero in camera. Comunque
se vuoi una curiosità sui Beatles te la dico. Non si riferisce a quell'occasione
ma al loro viaggio in India : è grazie all'ex direttore dell' Unità
Furio Colombo, allora corrispondente dall'America per la Rai che
esistono filmati dei Fab Four in oriente. Fu l'unico che filmò i
Beatles col Maharishi, esistono solo fotografie e quei filmati. Neanche
la Bbc riprese nulla. C'erano tra gli altri Donovan, Mia Farrow, Patty
Boyd che dopo George Harrison avrebbe sposato Eric Clapton che le
avrebbe dedicato prima "Layla" e poi "Wonderful Tonight"
e scusa se è poco...
D. Insomma, guarda quante cose sono accadute dopo un casuale passaggio
davanti al Cinema Teatro Adriano di Roma in un pomeriggio di giugno del
1965. Era tanta la gente in attesa?
R. Abbastanza, calcola che lì la folla si creava solo quando esponevano
l' Aston Martin di 007 e cose così quindi ci fermammo, vedemmo che i
botteghini erano aperti e,incredibile, c'erano i biglietti. Siamo
entrati tranquilli tranquilli e anche se c'era ressa c'era la
solidarietà tra capelloni dovuta al fatto che per strada ti tiravano i
mattoni dalle finestre o al meglio ti guardavano male. Eravamo dei
Catari, una enclave assolutamente non protetta. Ti denunciavano,
bastavano due chitarre senza neanche gli spinelli che noi peraltro
neanche ci facevamo per trascorrere pomeriggi alla questura di San
Vitale. Insomma il 1965.
D. Secondo te ci sono dei gruppi che hanno superato i Beatles?
R. Penso che un tale complesso di opere in un percorso artistico non sia
raggiungibile. Voglio dire, non cerchi di superare la musica di
Beethoven o la prosa di Seneca. Ti ci metti accanto sperando di essere
un pò come loro...E diciamo anche che suonavano con una strumentazione
che se tu la proponi oggi a tuo figlio che vuole imparare a suonare
rischi la denuncia o il disconoscimento di paternità. Solo pochi anni
dopo Jack Bruce avrebbe usato un basso Gibson che era certamente meglio
dello Hofner a violino che aveva Paul.
D. Del resto caro Paolo, e qui ti saluto, anche il Cinema Teatro Adriano
ora è una multisala. Il tempo non si ferma mai…anche se è dalla
nostra parte.
Alessandro Mannozzi
Gli
stati della parola
Say the word and you’ll be free / say the word and be like me/
have you heard is love? ….avrebbero cantato I Beatles nel dicembre nel
1965, nello stesso mese Timothy Leary veniva condannato a 30 anni di
reclusione per possesso di sostanze stupefacenti. Come dire che la
stagione della psichedelia stava prendendo corpo sotto un cielo
variabile, pur all’interno di un percorso ben delineato che
l’avrebbe portata ad andare ben oltre la semplice cronaca. Si sarebbe
espansa superando i confini fra i vari campi dell’arte, avrebbe
realizzato una grande area di creatività gioiosa da ricrearsi
continuamente in parole, musica,colori. Un nuovo state
of mind era nato
ed era destinato ad accompagnarsi, per assonanza o per contrasto, con
tutte le manifestazioni della quotidianità e del pensiero di quel
periodo. In piena guerra del Vietnam si contestavano scelte politiche e
amministrative, si allargava la ginsberghiana coscienza per costruire
nuovi comportamenti, si ricercavano le alternative possibili agli status
quo stabiliti. Anche nell’arte e nella letteratura si era ormai
esaurito il realismo imperante e in più direzioni il percorso da
praticare risultava quello della sperimentazione.
Nel 1965 Andy Warhol fonda a New York la Factory e Raymond Queneau a
Parigi pubblica Les fleurs bleues. A Torino Einaudi stampa Le
cosmicomiche di Italo Calvino (non sarà un caso che pochi anni dopo lo
scrittore si unisca proprio a Queneau e al gruppo di letteratura
potenziale “Oulipo”), mentre a Palermo si tiene il terzo convegno
del gruppo ’63 sul romanzo sperimentale. Lo stesso anno Einaudi
riedita l’antologia poetica I novissimi - precedentemente apparsa su
rivista – con gli scardinanti testi di Giuliani, Balestrini,
Pagliarani, Sanguineti, Porta. Praticare l’arte
dell’ordine-disordine in un discorso nuovo, oppure il raccontare per
fatti minimi all’apparenza trascurabili o per sequenze svagate e
devianti tagliate a colpi di forbici, è il lavoro sul testo che questi
“ultimi poeti” italiani costruiscono con impegno e che prelude ad
una loro successiva militanza letteraria o politica. E’ l’esperienza
italiana – fondamentale per il percorso della parola nel nostro
territorio – parallela alla beat poetry e a quanto stava arrivando in
traduzione. Nel 1965 appare a Milano per la Sugar La morbida macchina di
William Burroughs e per la Mondadori Jukebox all’idrogeno di Allen
Ginsberg,entrambi i volumi due pietre miliari della nuova scrittura
statunitense. A Londra si stava intanto leggendo fresco di stampa A
spaniard in the works di Lennon e a New York Desolation angels di
Kerouac, mentre Bob Dylan dava avvio alla stesura delle associazioni
deliranti e allucinate dei Tarantola poems. La parola insomma lasciava
gli spazi istituzionali per partorire una poesia senza confini, sempre
più vicina alle scansioni musicali con cui condivideva orizzonti e
finalità. Questa apertura, questo respiro che superava finalmente gli
addetti ai lavori per arrivare ad un pubblico più ampio soprattutto
giovanile, doveva assistere in Italia ad una vera e propria rivoluzione
nell’editoria. Il 27 aprile del 1965 esce il primo volume della
collana degli “oscar” per la Mondadori : Addio alle armi di
Heminguay, cui seguirà una serie di romanzi contemporanei italiani e
stranieri (Cassola,Sartre,Buzzati…). Al prezzo di 350 lire gli
italiani possono acquistare questi tascabili settimanalmente in edicola;
l’iniziativa riscuote subito un grande successo e le edizioni vanno a
ruba, perfino nel circuito parallelo dei libri usati. Il pubblico dei
lettori dunque subisce una crescita importante, sia da un punto di vista
quantitativo che da uno qualitativo. A cavallo di questi anni nessun’altra
generazione toccò vertici così alti nella lettura (5 milioni di volumi
in 6 mesi!), anche se questo creò un divario culturale fra gli adulti e
i giovani che stavano divorando quelle opere letterarie così a portata
di mano. Di lì a poco nel corso dello stesso anno si aggiunse la
concorrenza di altre case editrici, Garzanti e Feltrinelli, che
realizzarono una collana economica con altrettanti autori prestigiosi in
catalogo. Non era più un lusso leggere e con spinte provenienti da più
parti si stava così formando una nuova coscienza.
L’Italia del boom assiste alla trasformazione di costumi e abitudini,
tanto sociali (l’italiano sostituisce il latino nella liturgia
cattolica, la “liberazione femminile” si diffonde anche nel sud)
quanto culturali (in termini di fruizione del prodotto artistico). La
televisione e il cinema non sono da meno. Proprio nel 1965 la tv irrompe
nella vita degli italiani – si contano più di 6 milioni di abbonati
– con gli storici sceneggiati del tenente Sheridan e del commissario
Maigret, con Belfagor-il fantasma del Louvre, e poi’giochi senza
frontiere’ e i due pupazzi del Carosello Carmencita e il Caballero.Tutti
questi, ormai entrati nell’immaginario collettivo di un’intera
generazione, furoreggiavano con picchi di ascolto ad ogni messa in onda.
Indubbiamente la televisione cominciava ad essere la coltura ideale per
i linguaggi mainstream. Il target giovanile verrà poi completamente
conquistato dalla radio nell’ottobre del ’65 con Arbore e
Boncompagni a “Bandiera gialla”, vetrina musicale di quanto di
meglio si ascoltava oltremanica e oltreoceano. Nel frattempo, i dati
ufficiali di giugno ci riferiscono di una grande affluenza nelle sale
cinematografiche di tutto il paese e Cinecittà risulta il centro
cinematografico più fertile in Europa. Nasce proprio allora lo
spartiacque nel cinema italiano fra gli anni ’50 e i ’60. Vengono
girati i film più intellettuali e sperimentali (Pasolini, Fellini,
Antonioni, I pugni in tasca del giovane Belloccio), ma anche quelli del
filone della commedia all’italiana più gettonati nelle sale. Sono
questi ultimi film leggeri e volgarotti, con tematiche boccaccesche, di
satira del costume messo in risalto con gag grottesche e ridicole, film
che vengono prodotti a centinaia ma che non lasceranno traccia alcuna
nella storia. Oppure saranno recuperati molti anni dopo per diventare
opere di culto per altri registi. È del 1965 Terrore nello spazio di
Mario Bava, pellicola ricca di elementi horror e di suggestioni che
saranno riprese da Ridley Scott in Alien. Sempre di questo periodo sono
altre opere di fantascienza italiana, come i quattro film girati da
Margheriti-Dawson in poche settimane e con pochi mezzi :I criminali
della galassia, I diafanoidi vengono da Marte, Il pianeta errante,La
morte viene dal pianeta Aytin; a parte un certo virtuosismo tecnico e la
presenza di attori professionisti come Franco Nero e Lisa Gastoni, sono
evidenti sullo schermo i difetti della frettolosità della lavorazione
(ma non sarà questo a impedirne l’esportazione negli States). Il
capolavoro del genere lo realizza invece Elio Petri con La decima
vittima, prendendo spunto dal romanzo The 7th victim di Robert Sheckley.
Il film è una geniale operazione di fantascienza chic e cultura pop
all’italiana, con una storia delirante girata come un fumetto e
interpretata da Marcello Mastroianni e Ursula Andress; Piero Piccioni ne
firma la colonna sonora a base di jazz mutante e futuristico e Ennio
Flaiano collabora alla sceneggiatura. Il 1965 è un anno importante per
la fantascienza in Italia, se alla terza edizione del Festival
Internazionale di Fantascienza a Trieste nasce il primo “fandom”
italiano, anche se in maniera non ufficiale. In quell’occasione un
nutrito gruppo di giovani fra i sedici e i vent’anni si scopre
accomunato da ugual passione per questo genere letterario e comincia a
collaborare alla redazione di alcune fanzine. A queste rivistine
ciclostilate – “L’aspidistra”, “Nuovi orizzonti”, “Verso
le stelle” –si affianca la raffinatissima “Gamma” di Valentino
de Carlo e l’opera instancabile di traduzione e promozione di Vittorio
Curtoni. Senza imbarazzi ne’ complessi di inferiorità nei confronti
della letteratura ‘alta’, questo primo fandom italiano raccoglie una
community che non si risparmia ore di treno per incontrarsi e
condividere lo stesso linguaggio, il medesimo futuro interiore. Altre
visioni e quotidiano si mescolano, avvicinando i confini fra differenti
elementi culturali,
e la parola (non solo quella scritta) si trasforma e intraprende nuove
strade.
L’immagine finale per lo stato della parola nel 1965 potrebbe
appartenere a P.K.Dick, al futuro lisergico e terrificante del suo
Cronache del dopobomba uscito in quell’anno. Ma anche possiamo fermare
la scena sul volto accattivante e enigmatico della Valentina di Crepax,
nata su “Linus” proprio nel ’65.
say the word and you’ll be free…it’s so fine, it’s sunshine,it’s
the word love…
Elisabetta Beneforti
A chi non viene un po’ di nostalgia
a
vedere le immagini in bianco e nero di una Tv che non esiste più? E ci
riferiamo sia a quella italiana che di altri paesi. Ma stavolta ce ne
occupiamo perché da un po’ di tempo è stata recuperata
un’importante presenza dei Beatles nella televisione americana, quella
nelle trasmissioni di Ed Sullivan. Sono due i Dvd che riprendono le
trasmissioni trasmesse dalla Cbs tra il 1964 e il 1965, sono in tutto
quattro e le prime tre fanno parte di un corpus omogeneo, dato che
furono trasmesse tra il 9 e il 13 febbraio 1964. L'edizione
rimasterizzata è stata supervisionata da Andrew Solt, ideatore e
direttore del documentario del 1988 Imagine:John Lennon. Per realizzare
questa produzione, Solt ha dovuto lottare per ben 5 anni con la Apple
per ottenere il permesso di utilizzo di alcune immagini che erano
rimaste inedite e mai apparse su supporto fono videografico. Ai Beatles,
accolti dalle grida di un pubblico di giovani ragazze divenuto ormai un
fatto consueto, vengono affidate apertura e chiusura del programma con
un repertorio tratto in parte da A Hard Day’s Night ma anche dai primi
album. Per due volte vengono rappresentate I Saw Her Standing There, All
My Loving e She Loves You, mentre il brano finale è sempre I Want To
Hold Your Hand. Certamente il gruppo è il punto di forza di queste
trasmissioni, nonostante siano infarciti di sketch e di altri artisti
come lo strepitoso Cab Calloway che il 23 febbraio presenta St.James
Infirmary e Old Man River. Il pubblico scalpita aspettando i quattro
giovani da Liverpool che si presentano nel consueto look dei primi anni.
Qualcosa però cambia l’anno successivo quando i Beatles tornano nello
show per una sola trasmissione: a loro è affidata ben metà
trasmissione con sei brani, quattro dei quali, come annunciato da George
Harrison, fanno parte del nuovo album che presto uscirà anche negli
Usa, ovvero Help!. Lennon lascia la chitarra per suonare il pianoforte
elettrico in I’n Down, mente Paul McCartney da solo con la sua
chitarra acustica e con la base del quartetto d’archi presenta
Yesterday . E’ un momento di grande interesse oltre a quello musicale,
perché nonostante il trucco il povero Paul non può trattenere il
sudore, un fatto impensabile nella televisione odierna. Con Help! nel
finale il pubblico è in delirio e non poteva essere altrimenti. I
Beatles erano in grande forma come compositori ed esecutori, e
l’evoluzione del loro suono era in fondo appena iniziata. Era facile,
con queste premesse, conquistare il mondo. Compreso il nostro paese.
Michele Manzotti
(www.ilpopolodelblues.com)
INTERVISTA
AI BEATLES DURANTE IL TOUR ITALIANO
Il
25 marzo 1965, alle ventidue, i Beatles fanno la loro prima apparizione
sulla televisione italiana, programma nazionale. Emilio Radius scriveva
sul "Radiocorriere": «I Beatles canteranno davanti al gran
pubblico della televisione; e questo, dopo aver vinto il pregiudizio dei
parrucchini, giudicherà col suo buon senso. Questo è il calderone
della musica leggera del secolo, d'accordo; ma è un calderone allegro e
innocuo, non il calderone delle streghe».
Nell'intervista
che riportiamo, pubblicata su "Epoca" il 27 giugno 1965 a cura
di Giacomo Maugieri, si avvertono i tipici umori di quel tempo:
A
quanto si dice, Liverpool è la città più "canora"
d'Inghilterra. Ci sono quattrocento "gruppi Vi cantanti yè yè
come il vostro. Come si spiega questa fioritura di canzoni popolari: voi
di Liverpool siete forse i napoletani d'Inghilterra?
BEATLES
(in coro eccetto Ringo che tace) La nostra città è un porto pieno di navi, di bettole, di marinai. C'è
un via vai di gente che si vuole divertire, che ama le canzoni allegre,
il rock and roll. E' il primo scalo delle navi che vengono dall'America,
subiamo molto le influenze americane. Poi, in faccia a noi c'è
l'Irlanda e quindi siamo anche un po' contagiati dall'allegria
irlandese. Cantano sempre. La gente di Liverpool non è ricca e si sfoga
cantando. Si mangiano patate, si ingrassa e si canta.
E'
per questo che siete estroversi, rumorosi, spiritosi?
JOHN
E GEORGE Altro che. Dovreste sentire le battute di spirito del pubblico,
le punzecchiature ai giocatori durante le partite di calcio, è uno
spasso. Domandatelo a quelli dell'Inter quando hanno giocato a
Liveropool. Ma già, i vostri non potevano capire.
I
vostri primi successi li avete conosciuti ad Amburgo. Perché siete
andati ad Amburgo?
GEORGE Perché siamo stati attirati magneticamente su una nave. PAUL Perché Amburgo è un altro porto. Stessa latitudine di
Liverpool,
stessa gente allegra, whisky, marinai, canzoni, rock and roll.
Solo
per questo? JOHN La verità è che ad Amburgo ci offrivano quindici sterline la
settimana. Bada bene: quindici sterline a testa. Ne spendevamo
quattordici per vivere, ma era lo stesso una fortuna.
Che
cosa guadagnavate a Liverpool?
PAUL Coca Cola a volontà e venticinque scellini al giorno, da dividere
in quattro.
Dove
cantavate?
BEATLES (in coro) Piccoli clubs, piccoli bar, tipo Greenwich Village.
E
le vostre famiglie che dicevano?
BEATLES
(in coro) Get a job! Trovatevi un lavoro!
Perché
al vostro ritorno da Amburgo vi hanno scambiato per tedeschi?
GEORGE
Perché negli annunci c'era scritto: "arrivano i Beatles
direttamente da Amburgo". JOHN Quando tornammo nessuno ci riconobbe perché avevamo i capelli
lunghi.
Non
li portavate così anche prima di recarvi in Germania? PAUL Sì, ma non tanto lunghi. Solo
john, che frequentava il liceo
artistico, li portava lunghi. JOHN Però è stato ad Amburgo che li abbiamo lasciati crescere tanto.
Perché?
GEORGE Perché ci avevano detto che i parrucchieri tedeschi, quando si
mettono uno sotto le forbici, glieli tagliano cortissimi. Noi non
parlavamo il tedesco, perciò non potevamo spiegare che volevamo solo
una spuntatina. Avevamo paura di essere rapati. JOHN Per tre mesi abbiamo scansato i parrucchieri. In tutto il mondo, da
allora, abbiamo avuto difficoltà coi parrucchieri.
Il
successo straordinario che avete avuto in questi ultimi due anni non vi
ha ubriacati?
PAUL No. Saremo cambiati esteriormente, ma dentro di noi siamo rimasti
gli stessi. JOHN E GEORGE Ci vestiamo meglio e possiamo mangiare
hamburgers.
Vivete
per la musica o lavorate solo per i soldi? RINGO Per tutti e due.
Ora
siete ricchi e famosi. Come vedete il futuro?
JOHN Un letto di rose. PAUL Bello. GEORGE Andrà benissimo. RINGO (tace)
C'è
qualche cantante italiano che vi piace?
GEORGE Marino Marini. PAUL Ci piace anche Tito Gobbi. E anche Bengiamino Gigli, Benny (fa un
acuto modulato)
Conoscete
Rita Pavone, Celentano, Bobby Solo?
RINGO Come si fa? Ci sono tanti cantanti in Italia!
PAUL A noi non piace il rock and roll. Ci piace l'opera.
Davvero?
JOHN No, stiamo scherzando
Avete
molti ammiratori in Italia, ricevete molte lettere dai fans italiani?
PAUL Molte. Ne riceviamo continuamente
Che
cosa vi scrivono gli ammiratori italiani?
GEORGE E chi lo sa? Noi l'italiano non lo comprendiamo.
Non
direte una frase in italiano esibendovi in Italia?
JOHN Diremo: Hello! GEORGE Io non
parlerò per tutto il tempo che starò in Italia. Parlo solo il tedesco.
IL DISCO
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