Un secolo di cinema a Catania Gli inizi della cinematografia a città di Catania hanno rappresentato un’importante espressione di quel verismo che aveva messo in luce aspetti sociali e umani della realtà siciliana a cavallo tra Otto e Novecento caratterizzati da una condizione di estrema emarginazione e sofferenza delle classi svantaggiate. Questa osservazione minuta della realtà e del comportamento dell’uomo in determinate situazioni storiche e sociali , pur nelle secche di un clima espressivo condizionato dagli schemi ideologici del tempo, costituì un elemento risolutamente nuovo nel contesto di una produzione dominata da finalità propagandistiche di sostegno ai gruppi egemoni e alla loro visione del mondo. Si cominciò a parlare di cinema a Catania ai primi del ‘900 e Martoglio ne fu un capostipite. Fu allora che sorsero parecchie case di produzione, come la Morgana Films, la Jonio Films e L’Etna Films, che fu la prima impresa cinematografica cittadina e produsse un centinaio di films di circa 1500 metri, che oggi rappresentano la normalità come lunghezza , ma per quei tempi erano un lusso. Ricordiamo alcune pellicole che segnarono la storia cinematografica catanese: "Il Benefattore", "Il Marchese di Roccaverdina", "Capo Rais", diretto da Nino Martoglio e interpretato da Giovanni Grasso, "La guerra", "La paternità", "Il Nemico", "Patria Mia" e moltissimi films comici che a quel tempo costituivano la grande maggioranza. Nel variegato panorama cinematografico catanese la figura più rappresentativa fu Nino Martoglio, che esordì nella veste di regista con il film : "Sperduti nel buio". Il tardo verismo rappresentato dai films di Martoglio, attento ai fattori caratteristici del linguaggio popolare, utilizzava motivi contenutistici di certa produzione Italiana contemporanea che rientravano nel clima di riscoperta dell’uomo e del dramma quotidiano dell’esistenza. A questo proposito ricordiamo "Capitan Blanco", prodotto dalla Katana Films, dove il regista trae spunto dalla rappresentazione teatrale "Il Palio" , avente per protagonista Giovanni Grasso e Virginia Balistreri.
Ai primi del 900 si ebbe il primo esperimento di cinema scolastico per merito di Stefano Cremonesi che pose in rilievo l’utilità didattica del cinema. Venne aperto in Via Spadaro Grassi, il cinema "Lumiere"(oggi non esiste più) dove si proiettavano pellicole con fini educativi e documenti di viaggi, che però non riscossero molta simpatia. Poi le vicissitudini della prima guerra mondiale frenarono per qualche tempo questi primi esperimenti di cinematografia. Sono comunque le esperienze cinematografiche di Musco e della Anselmi, che non resistono al fascino dello schermo, a portare vera linfa espressiva al cinema catanese. Opere come "S.Giovanni Decollato" , "L’aria del Continente", "Gatta ci cova" e altre accrescono decisamente il prestigio del cinema catanese in ambito nazionale. Nel 1948, dopo alcuni isolati tentativi, Luchino Visconti sbarcò ad Acitrezza con la sua troupe e girò un capolavoro del cinema neorealista, con attori presi dalla stessa località e ispirato al romanzo di Giovanni Verga "I Malavoglia". Il successo fu immediato e l’eco che ne ebbe Visconti fu a carattere internazionale, compresi i premi. Poi, smaltita la sbornia per questa improvvisa celebrità ci fu una lunga fase di quiescenza della cinematografia di produzione o ambientazione siciliana. Ma a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 si verifica un deciso risveglio con un meraviglioso scenario da sfondo: Via Crociferi, con l’esaltazione del suo bel barocco settecentesco e con la presenza di tanti uomini di cultura catanesi. Tra questi Vitaliano Brancati ed Ercole Patti, scrittori catanesi emigrati a Roma, entrambi con una forte carica letteraria di sensualità che trovava risonanza negli inizi del filone erotico cinematografico. Se per Brancati il sesso era tortura dei sentimenti, per Patti fu qualcosa di estroverso e mondano sia pure a volte venato di languore e nostalgia. Fu proprio dai racconti di questi scrittori catanesi che parecchi registi di grande spessore come Luigi Zampa, Mauro Bolognini, Alberto Lattuada, Marco Vicario, trassero sceneggiature realizzate nel meraviglioso scenario etneo.
Si tratta di film famosi come "Il bell’Antonio", con Marcello
Mastroianni e Claudia Cardinale (Bolognini), premiato con la
Vela d’oro al
Festival di Locarno nel 1960, "Don Giovanni in Sicilia" (1966, A.
Lattuada), "Paolo il Caldo" (1973, Marco Vicario) , "La
governante" (1974, Gianni Grimaldi) protagonista il grande Turi Ferro,
"Un bellissimo novembre" (1969, M. Bolognini) tratto dal romanzo di
Ercole Patti con Gina Lollobrigida e Gabriele Ferzetti e l’Etna a fare da
sfondo alle passioni, "Virilità" di Marco Cavara del 1973
prodotto da Carlo Ponti con Turi Ferro e poi "La seduzione" di
F. Di Leo prodotto nel 1973, con Agostina Belli e Marc Porel. Passato questo momento, che definirei splendido per Catania, pieno di idee, di uomini,di buon gusto, ci furono diversi tentativi di cinematografia. La Wertmüller mise in evidenza i temi della emigrazione, dell’industrializzazione del Nord con manodopera siciliana nel film come "Mimì Metallurgico" con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, "Mimì Metallurgico ferito nell’onore", "Malizia" con la bellissima e provocante Laura Antonelli, un impareggiabile Turi Ferro e l’eccellente Alessandro Momo, allora giovanissimo, che scomparve prematuramente qualche anno dopo. La città negli anni Ottanta, soprattutto Via Crociferi, fece da sfondo all’opera di Franco Zeffirelli, tratto dal romanzo di Verga "Storia di una Capinera" dove ancora una volta vennero esaltate le atmosfere dilatate e i paesaggi tipici dell’agro catanese.In fondo Catania, con i suoi sogni e i suoi desideri inespressi, ha dato un importante apporto al cinema Italiano, al Neorealismo, al mito della Sicilia, dove i personaggi presi isolatamente, potrebbero apparire seri, o addirittura drammatici, ma bastano una battuta e una rapida inquadratura del contesto a svelarcene l’intrinseca comicità, il fondo farsesco. Ma non possiamo chiudere questa breve storia della cinematografica catanese senza aver ricordato il nostro straordinario Leo Gullotta, -cui dedicheremo un capitolo a parte- interprete di successo di ruoli e generi diversi: dal teatro, dove ha iniziato a fianco di grandi maestri quali Salvo Randone e Turi Ferro, al cinema –con le interpretazioni in "Cafe Express”, “Mi manda Picone", "Il camorrista","Nuovo cinema Paradiso","La scorta”, “Un uomo per bene”, con ruoli anche drammatici che hanno commosso il pubblico; al cabaret e al varietà, con l’irresistibile e popolarissimo personaggio della signora Leonida. Lui ama spesso definirsi “l'operaio dello spettacolo", un uomo che ha contrastato le insidie dell'industria cinematografica perché capace di conquistare ogni tipo di pubblico, con i suoi travestimenti, la farsa e le sue maschere indossate solo nel piccolo schermo. di Raffaello Brullo (cataniaperte.com)
Regia:
Giambattista Avellino, Salvatore Ficarra, Valentino PiconeSceneggiatura:
Giambattista Avellino, Francesco Bruni, Salvatore Ficarra, Valentino
PiconeAttori: Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Mario Pupella, Anna
Safroncik, Mariella Lo Giudice, Giovanni Martorana, Filippo Luna, Maria Di
Biase, Pino Caruso, Domenico Centamore
Questa
è la storia di una lite, anzi della lite. Quella lite, simile a tante
altre che già erano state, ma che allontanò per sempre due fratelli, e
le loro famiglie. Due fratelli che avevano sempre vissuto da fratelli,
condividendo gioie e dolori, superando insieme le difficoltà della vita e
dei loro caratteri, con amore. Lo stesso affetto che avevano trasferito ai
loro figli, i due cugini, (Ficarra e Picone), cresciuti per tanti anni
come fratelli. Così diversi tra loro: prepotente e carnefice il primo
(Ficarra), remissivo e vittima il secondo (Picone). Poi, d'improvviso,
quella lite li allontanò, rendendoli non più fratelli, se non nei loro
ricordi di quel meraviglioso periodo della vita, che è l'adolescenza.
Oggi, al momento della nostra storia, i nostri eroi sono due trentenni che
conducono due vite profondamente diverse che il destino farà ritrovare...
Il
Messaggero. ROMA (6 marzo 2009) - Hanno alle spalle due film di successo
(Nati stanchi ha incassato un miliardo e mezzo di lire, Il 7 e l’8 più
di dieci milioni di euro) e sono riusciti ad abbattere altrettanti luoghi
comuni: quello secondo il quale un’opera che ha successo al botteghino
non può piacere anche alla critica e quello secondo cui i comici, se
tentano la strada del grande schermo, falliscono inesorabilmente. Oggi
Ficarra e Picone puntano ancora più in alto e, con il loro ultimo film,
La Matassa, si prendono il lusso di sbeffeggiare la mafia. Il risultato è
una commedia ricca (dall’attenzione ai piccoli ruoli alla notevole
fotografia), diretta a sei mani dai due comici palermitani assieme a
Giambattista Avellino e prodotta da Attilio De Razza in collaborazione con
Medusa e Sky, nei cinema con Medusa dal 13 marzo in 500 copie. «La
verità - raccontano Ficarra e Picone - è che ci è sempre piaciuto
capovolgere le situazioni: per questo abbiamo dipinto personaggi come il
mafioso che non riesce ad imporsi neanche a casa sua. Qualcuno si indigna
quando si ironizza su una faccenda grave e tragica come la mafia, ma,
secondo noi, il silenzio è peggio. Ricordiamo che anche Chaplin ha
scherzato sul nazismo. Quanto a noi, siamo abituati a irridere i potenti,
lo facciamo spesso a Striscia la notizia (ci torneranno il 30 marzo,
ndr)». Nel film, la matassa da sbrogliare è quella di una lite fra due fratelli, che viene poi “ereditata” dai rispettivi figli, che da bambini erano inseparabili. Il tutto, fra avventure, pizzi e pizzini di mafia, sullo sfondo di Catania: per questo all’anteprima di ieri, Pippo Baudo ha voluto accompagnare i comici e godersi in prima fila il film sulla sua città. Del resto, a parte Anna Safroncik (che interpreta la socia in affari di Ficarra), il cast pullula di isolani: Pino Caruso (il sacerdote amico), Tuccio Musumeci, Domenico Centamore, Mario Pupella e Giovanni Martorana. Per non parlare di Claudio Gioè, che per la tv è stato addirittura Totò Riina. I comici qui interpretano due cugini, i figli di quei due fratelli che avevano litigato. Salvo Ficarra è il tipo che si crede più furbo degli altri, per questo ha aperto una sottospecie di agenzia “matrimoniale”, che procura permessi di soggiorno agli extracomunitari, mentre Valentino Picone è il timido e ipocondriaco proprietario dell’hotel di famiglia, pieno di debiti e soggetto a ruberie come se piovesse. «Abbiamo scelto di raccontare una lite in famiglia - affermano i comici - perché è veramente un tema universale e trasversale: diciamo la verità, succede a tutti. Noi siciliani, poi, litighiamo in un modo speciale: in silenzio. Se sono offeso con uno - sottolinea Picone - è lui che deve accorgersene da solo: già sono arrabbiato, vi pare che glielo devo pure dire?».
Italia, USA. è un film del 1961 diretto da Richard Fleischer, tratto dal romanzo Barabba di Pär Lagerkvist. un precedente adattamento cinematografico del romanzo, Barabba, era stato prodotto in Svezia nel 1953 con la regia di Alf Sjöberg.
Anthony Quinn,
Silvana Mangano, Vittorio Gassman, Jack Palance, Arthur Kennedy, Katy
Jurado, Norman Wooland, Valentina Cortese, Harry Andrews, Arnoldo Foà,
Ernest Borgnine, Michael Gwynn, Laurence Payne, Guido Celano, Rocco Roy
Mangan Dopo essere stato liberato per ordine di Ponzio Pilato, Barabba riprende la sua vita violenta di brigante e, anche se il ricordo del Nazareno cui deve la vita è ormai impresso indelebilmente nella sua mente, rifiuta di credere in Lui. Per avere ucciso uno dei responsabili della lapidazione di Rachele, una sua amica convertitasi alla nuova religione, viene condannato nuovamente, questa volta ai lavori forzati. Nelle miniere di Sicilia stringe amicizia con un cristiano e, una volta liberato, viene messo, insieme al nuovo amico, al seguito di un senatore romano. Giunti a Roma, i due vengono arruolati fra i gladiatori. Quando Nerone dà la città alle fiamme, credendo di far cosa gradita al Signore (la colpa dell'incendio è infatti addossata ai cristiani), Barabba brucia un magazzino. Scoperto ed arrestato, muore sulla croce, ripetendo le parole udite sul Calvario: "Mi rimetto nelle tue mani, o Signore".
Una parte del film è ambientata e girata a Catania. Fefè infatti ha voglia di rivedere Angela e deve fare un acquisto importante, così, dopo la prima scena che mostra una panoramica su piazza Duomo, con la fontana dell’Elefante, ritroviamo il barone al tavolino di un bar del porto di Ognina mentre immagina il suo delitto e offre del vino ad un avvocato.
Regia:
Pietro Germi anno: 1962 Nazione: Italia Pro
Nella
rovente terra di Sicilia, il barone Fefè Cefalù (Marcello Mastroianni),
arde d'amore, riamato, per la cugina
sedicenne (Stefania Sandrelli), cui potrebbe essere padre. Peccato
però, che egli, oltre ad essere, per cause paterne, quasi totalmente in
rovina, sia anche maritato da dodici lunghissimi anni con una fedele,
amorevole e sottomessa femmina, non solo tutt'altro che bella, ma in
grado di raffreddare, come dire, qualsiasi slancio amoroso ed affettivo
del marito, che, chissà perché, "se la pigliò".
Graffiante,
grottesco, di ironica denuncia; sapido, intelligente, senza pause;
monotematico (art. 587 C. P.), eppure poliedrico, artistico, spassoso;
un piccolo capolavoro. Ecco quel che ci viene in mente, a tutta prima,
riguardo quest'opera del regista Pietro Germi, che mette alla berlina
tutta l'ipocrisia, l'egoismo, il maschilismo becero e moralmente
inaccettabile di un periodo che oggi pare tanto lontano, ma che in
realtà è appena dietro l'angolo. Mattatore assoluto e perfettamente
plausibile, tra i suoi rovelli, benché in una parte risibile e
buffonesca, un Mastroianni dai mitici baffi, io narrante per gran parte
della pellicola. Bella prova per la giovane Sandrelli (doppiata).
Assolutamente irresistibili certi passaggi del film, come quello in cui
il barone, ormai pubblicamente tradito, scorre la posta, custodendo
gelosamente per il futuro processo le missive anonime con scritto
"cornuto", e stracciando con disgusto le lettere di
solidarietà pervenute. Perfino il finale, anzi finalissimo, regala
tanto, assecondando il motto latino "in cauda venenum".
La Sicilia «sedotta e abbandonata» Cinquant'anni fa usciva nelle sale il film di Pietro Germi, sequel di «Divorzio all'italiana» Franco La Magna Microcosmo e pendant d'una Sicilia immobile, grottescamente esibita in catalessi etnico-culturale, priva di qualsiasi movimento dialettico della storia, «Sedotta e abbandonata» (1964, rabbrividente sottotitolo «Una storia di mostri») di Pietro Germi - uscito nelle sale esattamente mezzo secolo fa - nasce come fortunato sequel dell'ancor più osannato «Divorzio all'italiana» (1961), anch'esso patologica risultante di un'abiezione gabellata come siciliana, premiato da americani e francesi che gli assegnarono i primi l'Oscar alla sceneggiatura (dello stesso Germi, Age e Scarpelli) e i secondi la Palma come miglior soggetto.
Dopo la perniciosa fase calante degli anni ‘50,
il genovese Germi - (di cui quest'anno ricorre una Al centro del racconto la famiglia Ascalone, asservita e dominata dal bestiale Vincenzo (interpretato dall'ormai fetish Saro Urzì) - indiscusso e temuto pater, accanto a cui ruota una pavida genìa isolana sottomessa ai voleri del padre padrone, incontrastato sovrano assoluto e incrollabile bastione d'una sessuofobica e repressiva morale tradizionale. Un «despota per tradizione», che impone a tutti gli sciagurati componenti la sua inflessibile volontà di depositario d'una sacralità morale cui nessuno può e deve osare di ribellarsi. Vincenzo Ascalone incarna la codificazione di uno status quo, dell'unico possibile modello d'organizzazione familiare del tutto priva di dialettica interna, dove «onore e famiglia» sono i dogmi assoluti cui immolare la propria esistenza e laddove il concetto di «onore» s'identifica principalmente con l'illibatezza e la fedeltà delle donne e quello di «famiglia» con il dominio del sovrano assoluto. La «ribellione» (se tale può intendersi) della figlia Agnese, segretamente innamorata del futuro cognato, sconvolge momentaneamente l'ordine costituito, ma Ascalone dopo mille infausti eventi guiderà la ribelle - con minacce, bastonature, blandizie e infine rimettendoci la vita - nell'alveo della tradizione.
Il malcelato moralismo di Germi non sfiora neppure il problema del matriarcato siciliano e tantomeno quello del fallimento storico dello Stato unitario nei confronti del Sud, avallando un protagonismo declamatorio e mistificante che qui tocca il culmine e diviene mallevadore dell'immagine stucchevole, bozzettistica, macchiettistica e distorta d'un'isola «anomala» non per motivi storici ma per lombrosiana predisposizione, quindi da recuperare a superiori modelli di civiltà. Le maschere mostruose che abitano la Sicilia non sono frutto (per Germi) della storia violenta di miseria, di sangue e di sopraffazione subita, bensì (positivismo scientista lombrosiano docet) problema biologico di brachicefali da affidare allo studio dell'antropologia criminale.
Il tentativo di Germi di far tabula rasa, secondo
le sue parole, «di usi e costumi che offendono la coscienza civile»
resta purtroppo per la Sicilia uno dei più colossali inganni del
cinema italiano, così ben costruito da essere avallato e perfino
amato dagli stessi siciliani. Sebbene non accolto con lo stesso
successo La Sicilia 24/03/2014
Via Crociferi, un set tra i più ricercati dai registi di cinema Un ruolo di primo piano per la bellissima strada. Nel breve spazio hanno girato Bolognini, Zeffirelli,Vicario, Wertmuller, Samperi, Zaccaro (La
Sicilia 12.5.2012) di Mario Bruno
Via Crociferi amatissima, dunque, non soltanto dagli uomini del cinema
ma pure da documentaristi, da studiosi di storia, da fotografi
rinomati provenienti da tutto il mondo per ritrarre i prospetti delle
chiese, l'arco di San Benedetto, il cancello di ferro battuto
dell'omonima chiesa, la prima delle quattro che si incontrano salendo
dalla piazza San Francesco d'Assisi, che ospita la casa natale di
Vincenzo Bellini «il Cigno» e il monumento al cardinale Dusmet.
Proseguendo si incontra la chiesa di San Francesco Borgia e, a
seguire, il Collegio dei gesuiti, vecchia sede dell'Istituto d'arte,
che ha al suo interno un bel chiostro con portici su colonne e arcate
sulle quali si soffermò l'obiettivo di Diego Ronsisvalle per «Gli
astronomi». Di fronte al Collegio spicca la chiesa di San Giuliano un
tempo definita «patrizia» perché vi si celebravano cerimonie
religiose per i nobili e considerata uno degli esempi più eleganti
del barocco catanese. E' proprio all'interno e all'esterno di questo
tempio che il regista Zaccaro ambientò la scena del matrimonio fra
Barbara (l'attrice Nicole Grimaudo) e Antonio Magnano (Daniele Liotti)
soprannominato il bell'Antonio, uomo attraente ma affetto da
impotenza: un'onta per i «masculi siculi» con in testa il padre di
Antonio, Alfio Magnano, il quale andrà a morire in una casa di
tolleranza pur di dimostrare a tutti l'indiscussa virilità del suo
«casato».
scene girate in Via Etnea, Via Vittorio Emanuele II, San Nicolò l'Arena in Piazza Dante, Piazza Asmundo, Via Alessi, Via delle Finanze, Via de Marco, ex Piazza Nicosia, S. Agata Li Battiati (casa degli sposi) https://catania.italiani.it/il-bellantonio-pellicola-tra-le-sontuosita-di-catania/
Produzione Italia Anno 1959 b/n Regia Mauro
Bolognini -
Interpreti Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Pierre
Brasseur, Rina Morelli All’inizio Antonio, che vanta una fama di dongiovanni, confermata dagli sguardi maliziosi che gli rivolgono tutte le donne che incontra, è scettico sul matrimonio. Ma quando il cugino Edoardo (un irriconoscibile Tomas Milian) gli mostra la foto della ragazza, Antonio ne rimane fulminato, innamorandosene perdutamente. Celebrato così il matrimonio, però, si svela un problema di impotenza del protagonista, con la moglie che, dopo un anno, chiederà l’annullamento del matrimonio stesso. Questo scandalo sconvolgerà la quiete della famiglia di Antonio, fino a travolgere l’orgoglioso padre, che rimarrà vittima della sua smania di mostrare al mondo il suo immutato vigore maschile. Il bell’Antonio scava dentro le macerie di una famiglia italiana ormai in decomposizione sociale e in un mondo/città chiuso e provinciale, dove la sessualità e il matrimonio sono ancora dei vincoli ben definiti e la virilità maschile ha bisogno di continue conferme sociali. In questo ambito può pertanto liberamente sfogarsi tutta la rabbia accumulata - con le frustrazioni subite in Friuli - da Pier Paolo Pasolini, che di quei vecchi costumi sociali fu uno dei più grandi castigatori. Il film di Bolognini, delicato e quasi “in punta di piedi”, sceglie di non urlare questa rabbia, ma di rappresentare questo ‘piccolo mondo”, tutto chiuso in un universo familiare oppressivo e autoreferenziale. In questo contesto emergono le straordinarie interpretazioni di Rina Morelli e Pierre Brasseur nei panni dei genitori di Antonio, mentre Mastroianni può candidamente esibire la sua ambiguità senza timore di perdere quel suo fascino proverbiale. Il DVD ci presenta il film in una splendida versione restaurata, mostrandoci negli extra come era ridotta la pellicola prima di questo intervento. Materiali sulle riprese del film, un lungo trailer-presentazione e una ricca galleria fotografica completano un pacchetto di contenuti speciali più che discreto, per un film “antico” nei contenuti quanto “moderno” nello stile.
Mastroianni e Cardinale a Catania il centro storico diventa magico Luciano Mirone Tra i palazzi della Catania barocca si consuma il dramma di un uomo. Antonio Magnano, giovane di famiglia alto borghese, affascinante e corteggiato, non riesce a consumare il matrimonio con la bella moglie Barbara Puglisi della quale è profondamente innamorato.
L' impotenza di un Magnano, sulla cui mascolinità nessuno aveva mai
osato dubitare, distrugge le certezze del padre Alfio (Pierre
Brasseur), federale ai tempi del fascismo, frequentatore di bordelli
e sedicente «sciupafemmine». Una fine drammatica come drammatico è
il film, "Il bell' Antonio" (sceneggiato da Pier Paolo Pasolini e
Gino Visentini) attraversato da una venatura di sottile ironia che
mette in ridicolo il mito dell' uomo forte e le incrostazioni
culturali di certa borghesia siciliana.
Il regista Mauro Bolognini affida la parte dei protagonisti ai «bellissimi» del cinema italiano, Marcello Mastroianni, allora trentacinquenne, e Claudia Cardinale, all'inizio della carriera. Rispetto al romanzo di Vitaliano Brancati (scritto nel 1949 e ambientato nella Catania fascista), Bolognini sposta la storia (rimaneggiata in più parti) nel periodo a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, tempi in cui il mito del maschio resiste ancora, soprattutto nella capitale del «gallismo» siciliano. Per l' ambientazione sceglie gli angoli più suggestivi del centro storico. Basta affacciarsi dalla terrazza del palazzo settecentesco di via Vittorio Emanuele, che nel film appartiene ai Magnano, per capire come la scelta di Catania si riveli felice. Un «giardino di pietra» costruito dopo il terremoto del 1693, ammantato dalle atmosfere magiche della pellicola in bianco e nero: la sagoma dell' Etna, le cupole delle chiese, i tetti delle case, il duomo che si affaccia sulla piazza dove spiccano i palazzi progettati dall' architetto palermitano Giovan Battista Vaccarini, l' obelisco con l' elefante e la via Etnea, quattro chilometri di raffinato barocco. La storia inizia alla stazione di Catania. Antonio Magnano proveniente da Roma, dove ha vissuto per qualche anno, torna nella sua città. Antonio si incammina verso la casa di famiglia costeggiando la marina, il palazzo dei principi Biscari, fino a porta Uzeda, dal nome dei viceré spagnoli che governarono la città.
Poco dopo arriva a piazza Palestro dove si erge porta Garibaldi, un
arco di pietra nera inframezzato da blocchi di pietra bianca eretto
nel 1768. Siamo nel popolare quartiere Fortino. Cammina ancora.
Adesso la macchina da presa inquadra la chiesa della Madonna del
Carmelo in piazza Carlo Alberto, nel film completamente vuota, nella
realtà sede del pittoresco mercato della «Fera 'o luni». Tra
sporadiche Seicento e qualche tram in lontananza, giunge nella casa
di famiglia.
La dimora dei Magnano è al secondo di un palazzetto di tre piani. A pianterreno si intravedono la pasticceria Reale, un negozio di mobili e di ciclomotori (ormai scomparsi). Sullo sfondo una scritta, "Vespa". Dal balcone accanto si affaccia la moglie dell'avvocato Ardizzone: «Signor Alfio, ho saputo che suo figlio è tornato dalla capitale». Poco dopo ecco anche la figlia (l'attrice Fulvia Mammi), da sempre desiderosa di sposare Antonio. E poi dal piano di sotto il senatore. Tre balconi che nel film hanno un ruolo importante. All'epoca proprietari dell'abitazione erano i Gemma, benestanti catanesi concessionari della Piaggio. Alberto Gemma aveva 18 anni: «Un giorno si presentarono a casa il regista Mauro Bolognini e il produttore Alfredo Bini, patron della casa Cino Del Duca, che chiesero il permesso di utilizzare l' appartamento per gli esterni. Evidentemente il nostro edificio, all' angolo fra la chiesa di San Placido e i palazzi di via Vittorio Emanuele, faceva al caso loro. "Inutile dire", spiegò Bini, "che la produzione pagherà il disturbo". "Non vogliamo soldi", disse mia madre. "Chiediamo soltanto la presenza di Mastroianni e della Cardinale nel negozio: vorremmo fotografarli a bordo delle Vespe". Il produttore rimase di stucco, l' affitto di una casa per girare un film veniva pagato profumatamente. Dopo mezz' ora mandò cinquanta rose gialle. Nella sede centrale della Piaggio quando videro le foto non credettero ai loro occhi. Le pubblicarono sulla loro rivista, anche in copertina. Il cast stette una settimana e mia madre non faceva mancare i cannoli. La Cardinale era molto riservata, ma anche molto simpatica. L' amicizia durò anche dopo: per tanti anni, in occasione delle feste, ci fu un intenso scambio di biglietti di auguri. A Mastroianni andò la mia stanza per i riposini pomeridiani. A Pierre Brasseur, simpaticissimo e bravissimo attore, faceva trovare una bottiglia di vino che lui tracannava in pochissimo tempo. Ogni tanto veniva anche Tomas Milian, che interpretava il cugino di Antonio». Ma torniamo al film. Dopo il fidanzamento fra Antonio e Barbara, muore il nonno della ragazza. Tre i luoghi scelti per il funerale: piazza Duomo, via Etnea, piazza Università. In una atmosfera crepuscolare si scorge il bar Duomo, l' antica gioielleria Avolio e la sede dell' Ateneo catanese. Il corteo procede lentamente, le donne affacciate ai balconi osservano Antonio: «Quant' è bello». Barbara nasconde il volto con il velo nero. Improvvisamente la bara scivola per terra e Bolognini è costretto a ripetere la scena.
A ricordare questo particolare sono due comparse, Roberto e Aldo
Pistorio, allora di 16 e 8 anni: «Nostro padre ci portava sempre a
fare le comparse. Faceva il cuoco ma partecipava a tutti i film che
venivano girati a Catania». Dopo il funerale Antonio e Barbara si
sposano. La scena viene realizzata fra le colonne incompiute della
solenne chiesa di San Nicola, in piazza Dant Fra Antonio e Barbara un anno di carezze, di baci, di parole d' amore. Nient' altro. La notizia arriva all' orecchio del notaio Puglisi, padre della ragazza, che mediante lo zio monsignore riesce a fare annullare il matrimonio e a combinare le nuove nozze con il duca di Bronte. La madre di Antonio, in un disperato tentativo di riconciliazione, parla con Barbara. Il colloquio avviene nella sagrestia della chiesa di San Giuliano, in via Crociferi. Il fallimento della discussione sancisce la rottura definitiva fra le due famiglie. Ad attendere Rina Morelli sul sagrato c' è il marito infuriato: «So io come parlare ai Puglisi». Attende il monsignore ed entra con lui nel convento dei gesuiti che si trova di fronte. L' ex federale accusa la Chiesa di ipocrisia. Il battibecco si svolge nel suggestivo chiostro, con il pavimento di ciottoli bianchi e neri. La via Crociferi è l' angolo più incantevole del centro storico. Piena di chiese, di monasteri, di palazzi nobiliari, ha ispirato grandi scrittori come Verga, De Roberto e Brancati. Tutto è immerso in un' atmosfera irreale fatta di putti, di mascheroni, di cariatidi, di ricami pietrificati. Stefano Valastro ha 72 anni e fa il ciabattino. Si siede sui gradini della bottega e comincia a parlare: «Quando fu girato il film il responsabile della chiesa di San Giuliano era padre Consoli, un frate che faceva anche l' esorcista. Qui per gli esorcismi venivano anche dalla Calabria. Un paio di persone nerborute accompagnavano i posseduti dal diavolo, venivano chiuse le porte e dopo un po' si sentivano grida disumane. Succedeva quando Satana veniva cacciato dal corpo».
Poi Barbara si sposa con il duca di Bronte. Dopo la cerimonia
Sta lì dalla mattina
alla sera: «Il film consolidò la cultura interclassista del centro
storico: nei piani bassi gli artigiani, in quelli medi la borghesia,
in quelli alti i nobili. Tutti assistevano alle riprese. Affacciato al balcone c' era anche un barbiere. Aveva una storia incredibile: essendosi ammalato da giovane, aveva promesso a Sant' Agata che se fosse guarito avrebbe sposato una prostituta. E così fece». Ormai sono le ultime scene del film. Il vecchio federale smaltisce la vergogna in un bordello. Va al vecchio San Berillo, il quartiere delle prostitute, da sempre ritrovo di militari, ragazzini, anziani e gente sposata. La scena viene girata dal vivo. Pierre Brasseur attraversa le stradine sconnesse, via delle Finanze, via Maddem, via Di Prima, sale le scale, va da Mariuccia, una vecchia conoscenza. Muore dopo «l' adempimento del proprio dovere» fra le braccia della donna, mentre pronuncia l' ultima frase della sua vita terrena: «Tutti dovranno sapere che a sessant' anni suonati Alfio Magnano andava ancora a donne». ________________________ LUCIANO MIRONE from "Mastroianni e Cardinale a Catania il centro storico diventa magico - Repubblica, 28.1.2005" La targa è stata piazzata, fotografata e lasciata a Catania in via Vittorio Emanuele II al 133, nel preciso palazzo dove nel film abitano i genitori del bell'Antonio, in barba alla telecamera della BNL. Poi fu rimossa. (M.R.)
https://www.facebook.com/chiesadisangiuliano https://www.youtube.com/watch?v=5MWg0lsjqBQ https://it.wikipedia.org/wiki/Collegio_dei_Gesuiti_(Catania)
scene girate al Monastero dei Benedettini, Piazza Duomo, Lungomare di Acitrezza
ANNO: Italia 2007 GENERE: Drammatico - Storico REGIA: Roberto Faenza CAST:
Alessandro Preziosi, Lando Buzzanca, Cristiana Capotondi, Guido Caprino,
Assumpta Serna, Sebastiano Lo Monaco, Giselda Volodi, Paolo Calabresi, Biagio
Pelligra, Giovanna Bozzolo, Pep Cruz, Vito, Jorge Calvo, Anna Marcello, Katia
Pietrobelli, Larissa Volpentesta, Danilo Maria Valli, Magdalena Grochowska,
Daniela Terreri, Giulia Ferrario, Pino Calabrese, Giorgia Biferali, Cast:
Consalvo: Alessandro Preziosi Principe Giacomo: Lando Buzzanca Principessa
Teresa: Cristiana Capotondi Giovannino: Guido Caprino Duchessa Radalì: Assumpta
Serna Don Gaspare: Sebastiano Lo Monaco Lucrezia: Giselda Volodi Benedetto
Giulente: Paolo Calabresi Baldassarre: Biagio Pelligra Graziella: Giovanna
Bozzolo Don Blasco: Pep Cruz Fra’ Carmelo: Vito Michele Radalì: Jorge Calvo
Chiara: Anna Marcello Donna Margherita: Katia Pietrobelli Concetta: Larissa
Volpentesta Federico: Danilo Maria Valli Donna Isabella: Magdalena Grochowska
Lucia la sigaraia: Daniela Terreri Contessa Matilde: Giulia Ferrario
I
Vicerè è un film che vede protagonista, nella sua magnificenza, la Catania
del Vaccarini, con le sue strade, le sue piazze, i suoi monumenti (via Dei
Crociferi, Piazza Duomo, Palazzo Biscari, il Monastero dei Benedettini…)
luoghi e architetture, che per la loro bellezza, il loro fascino e la loro
spettacolarità fanno già parte di un immaginario cinematografico, ancor di
più esaltato dalle immagini suggestive del film di Roberto Faenza. Tratto da
"I Vicerè" di Federico De Roberto scritto nel 1894, capolavoro della
letteratura italiana di fine Ottocento, tuttavia di sbalorditiva modernità e
attualità, è il secondo volume (il primo è "L'Illusione" del 1891,
e il terzo "L'Imperio" del 1929, uscito postumo) in cui lo scrittore
racconta l'epopea d'una potente dinastia, un'antica famiglia catanese d'origine
spagnola, gli Uzeda di Francalanza, nell'Italia del Risorgimento e
dell'unificazione. È il cuore della città barocca a pulsare per l’epopea
della terribile dinastia, fatta di egoismi, lotte, liti, miserie, sopraffazioni,
raccontata dal regista con ricche scenografie, in interni e in esterni, che
trovano nella città etnea ideali ambientazioni cinematografiche. La
trasposizione sullo schermo de "I Vicerè" di De Roberto, è un
capitolo fondamentale per il cinema siciliano e internazionale, che arriva
certamente in ritardo per la complessità dei fattori produttivi che affliggono
il cinema italiano, ma coraggiosamente af
Si
tratta di un progetto di
grande spessore culturale che coniuga sapientemente la suggestione dei luoghi,
con il cinema di qualità e la letteratura siciliana. Con il suo nuovo film
Roberto Faenza, regista da sempre incline tanto a dar corpo a un cinema d’impegno
civile di spessore artistico quanto a tradurre per il grande schermo pagine
intense di autori italiani, coniuga felicemente queste due “anime” della sua
poetica, innestandole nel cuore della cultura siciliana, attualizzando con le
sue immagini il messaggio straordinariamente moderno del capolavoro letterario
di De Roberto.
Un
film di Franco Zeffirelli. Con Valentina Cortese, John Castle, Vanessa Redgrave,
Frank Finlay, Sinéad Cusack, Angela Marie Bettis, Jonathon Schaech, Camillo
Pilotto, Mario Ferrari, Claudio Gora, Amalia Pellegrini, Maria Jacobini, Marina
Berti, Teresa Mariani, Pat Heywood, Barbara Livi, Angela Bettis, Oreste Fares.
Genere Drammatico, colore 99 minuti. - Produzione Italia 1993.
Catania. Maria, giovane figlia di un vedovo che si era risposato, all’età
di sette anni, poco dopo la morte della madre, è destinata al convento,
non in seguito al manifestarsi di una sua vocazione alla vita monacale,
ma per un’irrevocabile decisione familiare. Nella nuova famiglia,
composta dalla matrigna e dai due fratellastri Gigi e Giuditta, non c’è
più posto per lei: il convento è la sola via d’uscita possibile ai
mali della società di quel tempo. Ha quasi 20 anni Maria quando nel
1854 a Catania scoppia l’epidemia di colera ed è costretta quindi a
far ritorno a casa, trasferendosi con tutti i familiari nella tenuta di
campagna a Monte Ilice.
La vicenda
pare denunciare l’intenzione di sfruttare la struttura sensibile di
una sentita polemica sociale sull'ingiustizia della condizione femminile
dell’epoca, privata della sua libertà di decidere del proprio
destino, assoggettata a uno stato di inferiorità.
La sala del parlatorio delle monache di clausura. Da notare i divanetti all'incontrario di fronte alle grate dietro alle quali si aprirà una finestra per far comunicare la religiosa con i parenti. La sala ispirò Giovanni Verga alla scrittura della novella "Storia di una capinera", ripresa poi nell'omonimo film di Franco Zeffirelli.
scene girate in Piazza Duomo, Via Crociferi
Un film di Marco Vicario. Con Giancarlo Giannini, Adriana Asti, Riccardo
Cucciolla, Rossana Podestà, Vittorio
Caprioli, Ornella Muti, Gastone Moschin, Marianne Comtell, Mario Pisu,
Attilio Dottesio, Andrea Aureli, Oreste Lionello, Bruno Scipioni,
Umberto D'Orsi, Lionel Stander, Ugo Fangareggi, Femi
Cresciuto in una famiglia in cui, da sempre, tra i maschi si perpetua la tradizione di arroganza e gallismo, da cui si è astenuto solo suo padre, uomo di idee socialiste, il giovane barone catanese Paolo Castorini , compiuti i venti anni, mostra di voler seguire l'esempio del nonno e dello zio, dongiovanni impenitenti. Sconvolto dal suicidio di suo padre, e dalle sue ultime parole, egli decide, per uscire dal cerchio in cui è imprigionato, di trasferirsi a Roma, dove si trova lo scrittore Vincenzo Torrisi, suo amico e compagno di bagordi.
Nella
capitale, riprende la vita di sempre, avviando una serie di avventure
con la spregiudicata Lilia, con una principessa, una sartina, una
militante comunista. Tornato a Catania per la morte della madre,
decide di sposare la graziosa ed ingenua nipote di un farmacista. La
moglie, conscia di non riuscire ad essere la donna che vuole, lo
abbandona.
scene girate in Via Crociferi, Piazza Duomo, Ognina, la Pescheria, Via Cardinale Dusmet e Monastero dei Benedettini, Monti Iblei zona Canalicchio, Via Vincenzo Giuffrida
PERSONAGGI E INTERPRETI Rosalia Capuzzo in Mardocheo: Agostina Belli Carmelo 'Mimì' Mardocheo: Giancarlo Giannini Fiorella 'Fiore' Meneghini: Mariangela Melato Mimì, operaio siciliano di sinistra, viene licenziato a causa delle sue idee politiche. Costretto ad emigrare al nord, a Torino, per cercare un nuovo impiego, l'uomo lascia la moglie Rosaria. Giunto a Torino, Mimì trova lavoro come edile presso l'Associazione Fratelli Siciliani, che gli offre anche una sistemazione. Ben presto, però, Mimì capisce che l'associazione assistenziale è solo una facciata per coprire una serie di attività illecite della mafia. Dopo un attimo di titubanza, Mimì approfitta della situazione e fa carriera, grazie alla protezione mafiosa, in un'industria metallurgica. Nel frattempo si trova anche un'amante: Fiore, dalla quale ha un figlio. Quando però ritorna a Catania, con tanto di amante al seguito, Mimì scopre che sua moglie aspetta un figlio da un brigadiere della finanza. Deciso a vendicarsi Mimì seduce a sua volta la moglie del brigadiere e la mette incinta. Dopo che Mimì ha rivelato la verità al brigadiere, un sicario della mafia si mette in mezzo e per paura che l'uomo abbia una reazione contro Mimì, lo uccide. Mimì passa poco tempo in prigione finché la mafia lo fa scarcerare. All'uscita di prigione, diventa galoppino elettorale di un noto esponente mafioso. Si ritrova la moglie e l'amante con i rispettivi figli. Ma un giorno Fiore, l'unica che lo amava davvero, disillusa dalla situazione, lo abbandona.
scene girate a Villa Cerami, Piazza San Francesco d'Assisi, Piazza Dante, Monastero dei Benedettini, Piazza Palestro, Palazzo Biscari
Anno: 1954 Regia:
Luigi Zampa Attori: Alberto Sordi, Marco Guglielmi, Franco Coop, Luisa
Della Noce, Franco Jamonte,
Rosario Scimoni, detto Sasà, ha imparato
presto l'arte di 'arrangiarsi' traendo profitto dalle circostanze. A
vent'anni, nipote e segretario del sindaco della sua città, cede di
fronte alla prepotenza di un guappo a cui consegna documenti
compromettenti, dopo averne fatte delle fotocopie. I socialisti danno
filo da torcere all'amministrazione comunale e al sindaco e Sasà,
convinto della loro vittoria, passa dalla loro parte divenendo il
braccio destro del loro leader, l'onorevole Toscano, e l'amante della
scene girate ad Aci S. Antonio, Palazzo Riggio e Villa Paternò Regia: Mauro Bolognini Interpreti: Margarita Lozano, Gabriele Ferzetti, Paolo Turco, Gina Lollobrigida Durata: h 1.31 Nazionalità: Italia 1969 Genere: drammatico Al cinema nel Gennaio 1969 Nino è un irrequieto adolescente di Catania, che cova una sfrenata passione d'amore per la zia Cettina. La donna, che è sposata e matura, ricambia in parte l'attenzione del nipote Nino ma allo stesso tempo è interessata ad un socio del marito, giovane ed aitante. Nino che è costretto così ad allontanarsi dalla zia, reagisce accettando suo malgrado. Infine il giovane, pur non dimenticando la focosa zia si sposa con una coetanea.
Il film è tratto da un romanzo di Ercole Patti.
Tutto ha inizio in uno dei salotti borghesi di Catania dove il giovane
Nino è seduto con la zia sulle gambe, ciò ovv Il giovane s'innamora perdutamente della zia con la quale arriva a consumare la sua prima esperienza sessuale. Le conseguenze di questo amore proibito, data la parentela, per il giovane sono nefaste non solo perché lo porta ad una "morte psicologica", infatti il suo unico pensiero è rivolto alla zia, ma anche alla morte vera e propria poiché durante un raptus di gelosia insegue la zia che si era appartata con un altro uomo; temendo di essere scoperto scappa via e noncurante dei pericoli del sentiero "batté violentemente il capo su una roccia e non si mosse più".
scene girate ad Acireale, stazione Circumetnea di Giarre, Sant'Alfio Un film di Alfredo Malfatti. Con Luciana Paluzzi, Domenico Modugno, Eleonora Giorgi, Umberto Spadaro, Pippo Franco, Franco Agostini. Genere Commedia, colore 90 minuti. - Produzione Italia 1975.
Un
film sfortunato questo LA SBANDATA che, pur avendo tutte le qualita' per
diventare un hit nel 1974
(un'appetitosa Eleonora Giorgi al massimo della forma, bianca e liscia come
porcellana, Domenico Modugno nel ruolo principale e Samperi alla regia, reduce
dalla sbornia colossale dei due miliardi e passa incassati al botteghino con
MALIZIA), per motivi difficilmente spiegabili ha fallito il decollo ed e'
rimasto in un cantuccio, ignorato dal pubblico e stroncato dalla critica, a
raccoglier polvere prima nei magazzini dei distributori poi nelle videoteche.
Modugno, solitamente dongiovanni a parole nei varieta' dell'epoca, ha modo qui
di rendere piu' esplicito il suo personaggio pubblico rimestando a piene mani
tra tette e culi di nipotina e cognata arrivando, in un momento di focosa
passione, a fellare un delicato piedino della Giorgi per poi ingoiarlo quasi
interamente (!!!). Una serie di piccole notazioni e tic, uniti al consumato
mestiere dell'interprete, contribuiscono inoltre a rendere il personaggio dello
"zio d'America" insolitamente profondo ed umano.
Il film è stato girato quasi interamente in Sicilia. La Villa Caputo, in realtà Villa Arezzo, si trova dalle parti di Bagheria vicino Palermo. Le sequenze del teatro sono state girate al Teatro Massimo Bellini di Catania, mentre quelle del furto della banana a Letojanni (Messina), dove tuttora si possono trovare la bottega dell’ortolano, del barbiere ed il bar. L'autogrill dove viene ucciso Johnny è quello di Roccalumera Est. Regia: Roberto Benigni Sceneggiatura: Roberto Benigni, Vincenzo Cerami Fotografia: Giuseppe Lanci Scenografia: Paolo Biagetti Costumi: Gianna Gissi Musica: Evan Lurie Montaggio: Nino Baragli Prodotto da: Group Tiger, Melampo (Italia,1991) Durata: 121' Distribuzione cinematografica: Cecchi Gori PERSONAGGI
E INTERPRETI Dante, Johnny Stecchino: Roberto Benigni Maria: Nicoletta
Braschi Ministro: Franco Volpi Dottor Randazzo: Ivano Marescotti Dante
fa l'autista d'uno scuolabus per ragazzi disabili: uno di loro, Lillo,
è il suo unico amico. Dante è ingenuo e un po' naif: a volte ruba per
gioco qualche banana e, sempre senza malizia, truffa l'assicurazione,
fingendo una menomazione alla mano destra.
scene girate a Catania e Provincia è un film del 1967 diretto da Alberto Lattuada, tratto dall'omonimo romanzo di Vitaliano Brancati.
Regia: Alberto
Lattuada - Attori: Rossana Martini, Giuseppe Silvestri, Marcella
Michelangeli - Biondina Alla Festa, Maria Mizar Ferrara, Katia Moguy -
Ninetta Marconella, Ugo Attanasio - Il Sacerdote, Pippo Starnazza,
Riccardo Mangano, Angelo Puglisi, Grazia Di Marzà, Roberto De Simone,
Elio Crovetto, Katia Christine - Francoise, Stefania Careddu - Padrona
Di Casa,
Giovanni Percolla, giovane avvocato
catanese, vezzeggiato da tre sorelle zitelle, trascorre le sue giornate
tra fantasie sessuali e pra
scene girate prevalentemente a Catania Italia
1975 di Flavio Mogherini
con Renato Pozzetto Magali Noël Janet Agren Un ingenuo nudista brianzolo, condizionato da una nonna invadente e autoritaria, vince un concorso statale e va ad insegnare in una scuola elementare di Catania. Con il suo comportamento sprovveduto e la sua inarrestabile logorrea, l'insegnante creerà scompiglio tra le colleghe e metterà in subbuglio le famiglie degli alunni. Indubbiamente
invecchiato, Paolo Barca è un film che, nell'epoca in cui è stato
fatto "ci stava". La logorrea di Pozzetto era di gran moda e,
in questo caso, riesce a far risaltare tutta la sua sprovvedutezza in
ambito sessuale, specialmente messo a contatto con una società al tempo
stesso spregiudicata ma ipocrita com'era la Sicilia trent'anni fa (ma le
cose sono davvero cambiate di molto?).
scene girate in Piazza Stesicoro e Villa Bellini
Un film di Gianni Grimaldi. Con Vittorio
Caprioli, Paola Quattrini, Agostina Belli, Martine Brochard, Turi Ferro,
Umberto Spadaro, Lorenzo Piani, Christa Linder, Pino Caruso. Genere
Commedia, colore 109 minuti. - Produzione Italia 1974.
scene interamente girate ad Acitrezza Regia:
Luchino Visconti Sceneggiatura: Luchino Visconti Fotografia: G. R. Aldo
Musica: Luchino Visconti, Willy Ferrero Montaggio: Mario Serandrei
(Italia, 1948) Durata: 160' Prodotto da: Salvo D'Angelo
PERSONAGGI
E INTERPRETI 'Ntoni: Antonio Arcidiacono Cola: Giuseppe Arcidiacono
Quando si parla di cinema nello Jonio, e soprattutto di Verga, è impossibile da dimenticare l'incontro tra lo scrittore e il regista Luchino Visconti.
Le
bellezze paesaggistiche siciliane hanno ospitato vari set
cinematografici, a partire dalla cittadina di Aci Trezza - che nel
1948 ospitò Luchino Visconti ed il suo gruppo di lavoro per la
realizzazione de "La terra trema". La città dei faraglioni collaborò non solo come teatro della rappresentazione con chiari contorni urbani e con le sue bellezze, ma anche con alcuni dei suoi abitanti, circa una trentina, che furono coinvolti nel film come attori, i cui nomi non furono però citati nei titoli di coda ma che comunque restarono nella memoria cittadina e che sognarono spesso un rifacimento del film. Il regista Luchino Visconti, ispirato dall'attenzione sociale con la quale lo scrittore Giovanni Verga aveva trattato nel romanzo "I Malavoglia" i problemi dei poveri pescatori, ideò una trilogia di film sulla condizione dei lavoratori siciliani nel difficile periodo economico che seguì alla seconda guerra mondiale. Il primo film doveva riguardare la vita dei pescatori, il secondo quella dei braccianti agricoli e il terzo quella dei minatori. Visconti, però, realizzò soltanto il primo, "La terra trema". I tre film erano stati ideati originariamente come documentari per aiutare la campagna propagandistica del Partito comunista italiano in vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948. Nell'estate del 1947 il regista Visconti compì un sopralluogo in varie località della Sicilia e quindi, per ambientare il primo dei tre documentari, quello riguardante le condizioni di lavoro dei pescatori, scelse Acitrezza, lo stesso paese nel quale Verga aveva localizzato il romanzo "I Malavoglia". Il film, girato in bianco e nero, con una rigida interpretazione dei canoni del neorealismo, venne interpretato esclusivamente da attori non professionisti, tutti pescatori o abitanti di Acitrezza, che parlavano, in presa fonica diretta, il dialetto locale. Come
assistenti alla regia Visconti scelse due giovani, Francesco Rosi e
Franco Zeffirelli, che sarebbero diventati entrambi registi di grande
successo. Rosi era incaricato di tenere il "diario di
lavorazione", mentre Zeffirelli aveva la responsabilità delle
comparse, dei costumi e della scelta degli ambienti. Le riprese cominciarono nell'autunno del 1947. Non c'era una sceneggiatura: gli attori recitavano dialoghi che venivano scritti poco prima che cominciassero le riprese della giornata e che gli assistenti alla regia facevano "tradurre" lì per lì in dialetto siciliano. Il Partito comunista aveva stanziato per l'operazione la somma di 30 milioni di lire che però, dopo appena poche settimane di riprese, si dimostrò assolutamente insufficiente. Visconti allora, sospesa la lavorazione del film, si recò a Roma dove, per procurarsi il denaro necessario per la prosecuzione, vendette alcuni gioielli di famiglia e, per ultimare la pellicola, si procurò un finanziamento integrativo del produttore Salvo D'Angelo della casa di produzione "Universalia Film". A questo punto, Visconti, ormai svincolato dal rapporto finanziario con il Partito comunista, modificò il proprio progetto: il film abbandonò lo stile del documentario e cominciò a diventare una specie di trasposizione cinematografica del romanzo "I Malavoglia" di Verga. Visconti, però, in aderenza alla propria ideologia personale marxista, apportò una modifica fondamentale: mentre l'opera dello scrittore è un ritratto corale "senza speranza" soffuso di pietà e di rassegnazione, il film fa intravedere una possibilità di riscatto attraverso la "rivoluzione" contro i soprusi sociali. L'opera venne presentata alla Mostra Cinematografica di Venezia del 1948 dove suscitò molti consensi da parte dei critici; il massimo premio della manifestazione, il "Leone d'oro", però, venne assegnato al film britannico "Amleto" di Laurence Olivier. Al film di Visconti venne attribuito un premio "per i suoi valori stilistici e corali". Il
film, della durata di 157', distribuito nelle sale cinematografiche, non
ebbe molto successo commerciale, in gran parte per l' incomprensibilità
del dialetto "stretto" che parlavano gli interpreti. Ne venne
fatta quindi una seconda ve La pellicola, indicata dalla critica come uno dei documenti più significativi della corrente cinematografica del neorealismo, è stata recentemente restaurata. A distanza di mezzo secolo dalla realizzazione del film, Acitrezza ha dedicato a Luchino Visconti una delle piazze del paese, accanto a quella intitolata a Verga. La trama - Il giovane 'Ntoni Valastro incita gli altri pescatori di Acitrezza a ribellarsi ai soprusi dei grossisti di pesce. Dalle proteste nasce un tumulto e i pescatori vengono arrestati; ma poi gli stessi grossisti li fanno rilasciare non potendo fare a meno della loro manodopera. 'Ntoni convince i propri familiari a mettersi in proprio, ipotecando la casa per far fronte alle spese. Un'eccezionale pesca di acciughe, che vengono "salate", sembra inizialmente favorire l'iniziativa, ma una tempesta fa naufragare la barca. La famiglia Valastro, così, è costretta a vendere le acciughe salate ai grossisti ad un prezzo irrisorio e, non potendo pagare l'ipoteca, perde anche la casa. Il
dissesto ec Alla fine, 'Ntoni si rassegna e piega la testa: va a chiedere lavoro, assieme ai fratelli più piccoli, ai grossisti. Ma, sebbene "vinto", appare consapevole che in futuro la lotta comune con gli altri pescatori riuscirà a sconfiggere i soprusi dei grossisti. - fonti: www.sicilycinema.it/ e www.acitrezza.it
scene girate a Catania ed Acireale Un film di Salvatore Samperi. Con Tina Aumont, Laura Antonelli, Lilla Brignone, Turi Ferro, Alessandro Momo, Angela Luce, Pino Caruso, Stefano Amato. Genere Commedia, colore 99 minuti. - Produzione Italia 1973. Fu
'Malizia' il film che segnò la svolta in un genere cinematografico,
quello sexy-erotico, che sembrava avere il fiato corto, e che invece,
anche grazie al film di Salvatore Samperi, acquistò nuova linfa e si
rigenerò con successo fino al termine degli anni settanta. Il motivo
del trionfo al botteghino di 'Malizia' fu dovuto soprattutto alla sua
protagonista, la splendida Laura Antonelli, la cameriera che deve
soddisfare i desideri sia di un anziano vedovo (il bravissimo Turi
Ferro) che dei suoi figli, uno dei quali interpretato dallo sfortunato
Alessandro Momo. La Antonelli non solo era bella e sensuale, ma
rappresentava una novità per questo genere di film: l'attrice che
mostrava le sue grazie non era più una stangona straniera, non una
irraggiungibile Barbara Bouche
scene girate a Riposto, S. Venerina e Acicastello
Nazione: Italia Anno: 2002 Genere: Commedia Durata: Regia: Franco Battiato Cast: Corrado Fortuna, Donatella Finocchiaro, Gabriele Ferzetti, Ninni Bruschetta, Rada Rassimov Produzione: Franco Battiato, Francesco Cattini Distribuzione: Warner Bros
Oggi, rivedendo PERDUTOaMOR,
mi accorgo di quanto fosse stato geniale e meticoloso Battiato Quel che faccio vedere bisogna saperlo stanare. Nel film c’è un cameo, un gioiello della durata di pochi secondi, in cui si scorge un momento felice di catanesi che andavano a prendere un po’ di fresco alla riviera dei Ciclopi negli anni Sessanta. La location è la parte finale della piazza di Aci Castello, un meraviglioso palcoscenico teatrale con le quinte rappresentate dalla costa con i faraglioni di Acitrezza in lontananza, il castello normanno a destra e una mitica pizzeria a sinistra di cui scriverò in seguito. La scena è immaginata, ricordata e girata dal Maestro proprio lì, sulla piazza di fronte a quello spettacolare belvedere. E’ magistralmente camuffata, ma chi sa o possiede quella famelica curiosità di scovare la chiave di lettura si accorgerà che tutto è al suo posto e non manca proprio niente. Ciak! il juke box che suona “La terza luna“ di Neil Sedaka; i ragazzi che corteggiano discretamente le ragazze che passeggiano “sutta u castiddazzu” dentro abiti dai variopinti colori dell’epoca; due pettegole; il timido spasimante che si fa accompagnare per dichiararsi all’amata; due anziani coniugi che litigano fra loro; fanciulle che giocano felici e senza smartphone mentre i tranquilli genitori gustano il gelato seduti in piazza. Lo Spritz? Al massimo c’era il San Pellegrino con il Cocktal, il Bitter, il Crodino, quattro olive e un pugnetto di arachidi. Stop. La fettina di limone e il cubetto (uno!) di ghiaccio, erano serviti solo a richiesta. Guardatelo attentamente perché Battiato non ve ne darà il tempo. E’ uno spaccato di vita della durata di appena 30 secondi che proietta, come in una passerella di alta moda, una generazione che si accontentava di piccole cose ma soprattutto un piccolo scrigno di gente perbene. Geniale! (Mimmo Rapisarda)
scene girate ad Acitrezza, Pozzillo, Acireale
LA PRIMA NOTTE DEL DR. DANIELI, INDUSTRIALE COL COMPLESSO DEL GIOCATTOLO
Un
film di Gianni Grimaldi. Con Françoise Prévost, Alfredo Rizzo, Saro
Urzì, Lando Buzzanca, Katia Kristine, Linda Sini, Enzo Garinei, Carletto
Sposito, Ira Fürstenberg, Ileana Rigano, Katia Christine, Renato Malavasi,
Francesco Sineri. Genere Comico, colore 93 minuti. - Produzione Italia
1970.
Esterni girati alle Terme S. Venera di Acireale
Anno: 1989 Genere: Commedia Durata: 89' Regia: Nanni Moretti
scene girate nella Riviera dei Ciclopi ed Acireale
Italia (1973) - Drammatico, Erotico - 100 min. (colore) REGIA Fernando Di Leo SCENEGGIATURA Fernando Di Leo, ...CAST Lisa Gastoni Maurice Ronet Jenny Tamburi, Pino Caruso
Da
molti anni giornalista in Francia, Giuseppe Laganà torna nella natia
Catania anche sospinto dal desiderio di rivedere Caterina, sua ex
fidanzata che, ora, è vedova e madre dell'adolescente Graziella. Giuseppe
riallaccia la relazione con l'antica fiamma e prende a frequentarne
assiduamente la casa.
L'entrata in scena di Rosina, un'amica coetanea di Graziella, sconvolge
nuovamente il precario equilibrio. Giuseppe tradisce madre e figlia con la
nuova arrivata e tanto basta perché Caterina impugni la pistola e uccida
l'antico fidanzato.
CATANIA PRESENTE IN QUESTI FILM
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