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Un secolo di cinema a Catania

Gli inizi della cinematografia a città di Catania hanno rappresentato un’importante espressione di quel verismo che aveva messo in luce aspetti sociali e umani della realtà siciliana a cavallo tra Otto e Novecento caratterizzati da una condizione di estrema emarginazione e sofferenza delle classi svantaggiate.

Questa osservazione minuta della realtà e del comportamento dell’uomo in determinate situazioni storiche e sociali , pur nelle secche di un clima espressivo condizionato dagli schemi ideologici del tempo, costituì un elemento risolutamente nuovo nel contesto di una produzione dominata da finalità propagandistiche di sostegno ai gruppi egemoni e alla loro visione del mondo.

Si cominciò a parlare di cinema a Catania ai primi del ‘900 e Martoglio ne fu un capostipite. Fu allora che sorsero parecchie case di produzione, come la Morgana Films, la Jonio Films e L’Etna Films, che fu la prima impresa cinematografica cittadina e produsse un centinaio di films di circa 1500 metri, che oggi rappresentano la normalità come lunghezza , ma per quei tempi erano un lusso. Ricordiamo alcune pellicole che segnarono la storia cinematografica catanese: "Il Benefattore", "Il Marchese di Roccaverdina", "Capo Rais", diretto da Nino Martoglio e interpretato da Giovanni Grasso, "La guerra", "La paternità", "Il Nemico", "Patria Mia" e moltissimi films comici che a quel tempo costituivano la grande maggioranza.

 Nel variegato panorama cinematografico catanese la figura più rappresentativa fu Nino Martoglio, che esordì nella veste di regista con il film : "Sperduti nel buio".

Il tardo verismo rappresentato dai films di Martoglio, attento ai fattori caratteristici del linguaggio popolare, utilizzava motivi contenutistici di certa produzione Italiana contemporanea che rientravano nel clima di riscoperta dell’uomo e del dramma quotidiano dell’esistenza. A questo proposito ricordiamo "Capitan Blanco", prodotto dalla Katana Films, dove il regista trae spunto dalla rappresentazione teatrale "Il Palio" , avente per protagonista Giovanni Grasso e Virginia Balistreri.

 

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Ai primi del 900 si ebbe il primo esperimento di cinema scolastico per merito di Stefano Cremonesi che pose in rilievo l’utilità didattica del cinema. Venne aperto in Via Spadaro Grassi, il cinema "Lumiere"(oggi non esiste più) dove si proiettavano pellicole con fini educativi e documenti di viaggi, che però non riscossero molta simpatia. Poi le vicissitudini della prima guerra mondiale frenarono per qualche tempo questi primi esperimenti di cinematografia.

Sono comunque le esperienze cinematografiche di Musco e della Anselmi, che non resistono al fascino dello schermo, a portare vera linfa espressiva al cinema catanese. Opere come "S.Giovanni Decollato" , "L’aria del Continente", "Gatta ci cova" e altre accrescono  decisamente il prestigio del cinema catanese in ambito nazionale. Nel 1948, dopo alcuni isolati tentativi, Luchino Visconti sbarcò ad Acitrezza con la sua troupe e girò un capolavoro del cinema neorealista, con attori presi dalla stessa località e ispirato al romanzo di Giovanni Verga "I Malavoglia".

Il successo fu immediato e l’eco che ne ebbe Visconti fu a carattere internazionale, compresi i premi. Poi, smaltita la sbornia per questa improvvisa celebrità ci fu una lunga fase di quiescenza della cinematografia di produzione o ambientazione siciliana. Ma a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 si verifica un deciso risveglio  con un meraviglioso scenario da sfondo: Via Crociferi, con l’esaltazione del suo bel barocco settecentesco e con la presenza di tanti uomini di cultura catanesi. Tra questi Vitaliano Brancati ed Ercole Patti, scrittori catanesi emigrati a Roma, entrambi con una forte carica letteraria di sensualità che trovava risonanza negli inizi del filone erotico cinematografico.

Se per Brancati il sesso era tortura dei sentimenti, per Patti fu qualcosa di estroverso e mondano sia pure a volte venato di languore e nostalgia. Fu proprio dai racconti di questi scrittori catanesi che parecchi registi di grande spessore come Luigi Zampa, Mauro Bolognini, Alberto Lattuada, Marco Vicario, trassero sceneggiature realizzate nel meraviglioso scenario etneo.

 

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Si tratta di film famosi come "Il bell’Antonio", con Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale (Bolognini), premiato con la Vela d’oro al Festival di Locarno nel 1960, "Don Giovanni in Sicilia" (1966, A. Lattuada), "Paolo il Caldo" (1973, Marco Vicario) , "La governante" (1974, Gianni Grimaldi) protagonista il grande Turi Ferro, "Un bellissimo novembre" (1969, M. Bolognini) tratto dal romanzo di Ercole Patti con Gina Lollobrigida e Gabriele Ferzetti e l’Etna a fare da sfondo alle passioni, "Virilità" di Marco Cavara del 1973 prodotto da Carlo Ponti con Turi Ferro e poi "La seduzione" di F. Di Leo prodotto nel 1973, con Agostina Belli e Marc Porel.
Ercole Patti era rimasto così legato a questo ambiente cinematografico da scrivere i suoi libri con l’occhio sempre fisso sullo schermo e il cinema lo aveva ripagato facendo rivivere i personaggi descritti in "Giovannino", "La cugina", e il già citato, "Un bellissimo novembre" sul grande schermo.
Patti aveva due appuntamenti annuali fissi, a Venezia, al Festival del Cinema, e a Taormina, al San Domenico. Amava avere contatti con gente della sua terra, confrontarsi con loro, parlare in dialetto. Poi con la sua morte sembrò calare un velo su quella Sicilia piena di sogni, di passioni, di amori fantasticati nelle lunghe discussioni pomeridiane, nel glorioso Caffè Italia dietro la statua di Garibaldi.

Passato questo momento, che definirei splendido per Catania, pieno di idee, di uomini,di buon gusto, ci furono diversi tentativi di cinematografia.

La Wertmüller mise in evidenza i temi della emigrazione, dell’industrializzazione del Nord con manodopera siciliana nel film come "Mimì Metallurgico" con Giancarlo Giannini e  Mariangela Melato, "Mimì Metallurgico ferito nell’onore", "Malizia" con la bellissima e provocante Laura Antonelli, un impareggiabile Turi Ferro e l’eccellente Alessandro Momo, allora giovanissimo, che scomparve prematuramente qualche anno dopo.

La città negli anni Ottanta, soprattutto Via Crociferi, fece da sfondo all’opera di Franco Zeffirelli, tratto dal romanzo di Verga "Storia di una Capinera" dove ancora una volta vennero esaltate le atmosfere dilatate e i paesaggi tipici dell’agro catanese.In fondo Catania, con i suoi sogni e i suoi desideri inespressi, ha dato un importante apporto al cinema Italiano, al Neorealismo, al mito della Sicilia, dove i personaggi presi isolatamente, potrebbero apparire seri, o addirittura drammatici, ma bastano una battuta e una rapida inquadratura del contesto a svelarcene l’intrinseca comicità, il fondo farsesco.

Ma non possiamo chiudere questa breve storia della cinematografica catanese senza aver ricordato il nostro straordinario Leo Gullotta, -cui dedicheremo un capitolo a parte- interprete di successo di ruoli e generi diversi: dal teatro, dove ha iniziato a fianco di grandi maestri quali Salvo Randone e Turi Ferro, al cinema –con le interpretazioni in "Cafe Express”, “Mi manda Picone", "Il camorrista","Nuovo cinema Paradiso","La scorta”, “Un uomo per bene”, con ruoli anche drammatici che hanno commosso il pubblico; al cabaret e al varietà, con l’irresistibile e popolarissimo personaggio della signora Leonida.

Lui ama spesso definirsi “l'operaio dello spettacolo", un uomo che ha contrastato le insidie dell'industria cinematografica perché capace di conquistare ogni tipo di pubblico, con i suoi travestimenti, la farsa e le sue maschere indossate solo nel piccolo schermo.

di Raffaello Brullo (cataniaperte.com)

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/cine/padrino1.gifscene girate a Paternò, Villa Curia, Ognina, piazza Duca di Genova,  Porto (molo di Levante e via Dusmet),  via XX Settembre, Via G. D’Annunzio, via Gemmellaro, viale Artale Alagona, via San Giuseppe Alla Rena, piazza dei Martiri,  Piazza Europa.

 

Regia: Giambattista Avellino, Salvatore Ficarra, Valentino PiconeSceneggiatura: Giambattista Avellino, Francesco Bruni, Salvatore Ficarra, Valentino PiconeAttori: Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Mario Pupella, Anna Safroncik, Mariella Lo Giudice, Giovanni Martorana, Filippo Luna, Maria Di Biase, Pino Caruso, Domenico Centamore
Ruoli ed Interpreti Fotografia: Roberto ForzaMontaggio: Claudio Di MauroMusiche: Paolo BuonvinoProduzione: Attilio De Razza per TRAMP LTD in collaborazione con Medusa film e SKYDistribuzione: Medusa FilmPaese: Italia 2009Uscita Cinema: 13/03/2009Genere: Comico, CommediaDurata: 98 MinFormato: Colore 35MM

Questa è la storia di una lite, anzi della lite. Quella lite, simile a tante altre che già erano state, ma che allontanò per sempre due fratelli, e le loro famiglie. Due fratelli che avevano sempre vissuto da fratelli, condividendo gioie e dolori, superando insieme le difficoltà della vita e dei loro caratteri, con amore. Lo stesso affetto che avevano trasferito ai loro figli, i due cugini, (Ficarra e Picone), cresciuti per tanti anni come fratelli. Così diversi tra loro: prepotente e carnefice il primo (Ficarra), remissivo e vittima il secondo (Picone). Poi, d'improvviso, quella lite li allontanò, rendendoli non più fratelli, se non nei loro ricordi di quel meraviglioso periodo della vita, che è l'adolescenza. Oggi, al momento della nostra storia, i nostri eroi sono due trentenni che conducono due vite profondamente diverse che il destino farà ritrovare...https://www.mimmorapisarda.it/cine/30.jpg

 

Il Messaggero. ROMA (6 marzo 2009) - Hanno alle spalle due film di successo (Nati stanchi ha incassato un miliardo e mezzo di lire, Il 7 e l’8 più di dieci milioni di euro) e sono riusciti ad abbattere altrettanti luoghi comuni: quello secondo il quale un’opera che ha successo al botteghino non può piacere anche alla critica e quello secondo cui i comici, se tentano la strada del grande schermo, falliscono inesorabilmente. Oggi Ficarra e Picone puntano ancora più in alto e, con il loro ultimo film, La Matassa, si prendono il lusso di sbeffeggiare la mafia. Il risultato è una commedia ricca (dall’attenzione ai piccoli ruoli alla notevole fotografia), diretta a sei mani dai due comici palermitani assieme a Giambattista Avellino e prodotta da Attilio De Razza in collaborazione con Medusa e Sky, nei cinema con Medusa dal 13 marzo in 500 copie. «La verità - raccontano Ficarra e Picone - è che ci è sempre piaciuto capovolgere le situazioni: per questo abbiamo dipinto personaggi come il mafioso che non riesce ad imporsi neanche a casa sua. Qualcuno si indigna quando si ironizza su una faccenda grave e tragica come la mafia, ma, secondo noi, il silenzio è peggio. Ricordiamo che anche Chaplin ha scherzato sul nazismo. Quanto a noi, siamo abituati a irridere i potenti, lo facciamo spesso a Striscia la notizia (ci torneranno il 30 marzo, ndr)».https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPG

Nel film, la matassa da sbrogliare è quella di una lite fra due fratelli, che viene poi “ereditata” dai rispettivi figli, che da bambini erano inseparabili. Il tutto, fra avventure, pizzi e pizzini di mafia, sullo sfondo di Catania: per questo all’anteprima di ieri, Pippo Baudo ha voluto accompagnare i comici e godersi in prima fila il film sulla sua città. Del resto, a parte Anna Safroncik (che interpreta la socia in affari di Ficarra), il cast pullula di isolani: Pino Caruso (il sacerdote amico), Tuccio Musumeci, Domenico Centamore, Mario Pupella e Giovanni Martorana. Per non parlare di Claudio Gioè, che per la tv è stato addirittura Totò Riina.

I comici qui interpretano due cugini, i figli di quei due fratelli che avevano litigato. Salvo Ficarra è il tipo che si crede più furbo degli altri, per questo ha aperto una sottospecie di agenzia “matrimoniale”, che procura permessi di soggiorno agli extracomunitari, mentre Valentino Picone è il timido e ipocondriaco proprietario dell’hotel di famiglia, pieno di debiti e soggetto a ruberie come se piovesse. «Abbiamo scelto di raccontare una lite in famiglia - affermano i comici - perché è veramente un tema universale e trasversale: diciamo la verità, succede a tutti. Noi siciliani, poi, litighiamo in un modo speciale: in silenzio. Se sono offeso con uno - sottolinea Picone - è lui che deve accorgersene da solo: già sono arrabbiato, vi pare che glielo devo pure dire?».

 

 

 

 

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 Scene girate sull'Etna e alle Gole dell'alcantara

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Italia, USA. è un film del 1961 diretto da Richard Fleischer, tratto dal romanzo Barabba di Pär Lagerkvist.

un precedente adattamento cinematografico del romanzo, Barabba, era stato prodotto in Svezia nel 1953 con la regia di Alf Sjöberg.

Anthony Quinn, Silvana Mangano, Vittorio Gassman, Jack Palance, Arthur Kennedy, Katy Jurado, Norman Wooland, Valentina Cortese, Harry Andrews, Arnoldo Foà, Ernest Borgnine, Michael Gwynn, Laurence Payne, Guido Celano, Rocco Roy Manganhttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPGo, Emma Bahttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPGron, Paola Pitagora, Vera Drudi, Rina Franchetti, Antonio Segurini, Piero Pastore, Peter Tavis, John Stacey, Richard Watson, Friedrich von Ledebur, Maria Zanoli, Jay Weston, Marylin Tosatti, Marco Tulli, Jacopo Tecchio, Tullio Tomadoni, Margherita Sala, Joe Robinson, Vladimiro Picciafuochi, David Maunsell, Paul Muller, Joseph Pilcher, Robert Hall, Carlo Giustini, Enrico Glori, Fernando Hillbeck, Rick Howes, John Palance, Spartaco Nale, Douglas Fowley, Eugene Gervasi, Robert Gardett, Marylin Lombardo, Alberto Carlo Lolli, Bill Kuehl, Maria Marchi, Walter Maslow, Curt Lowens, John Farksen, Ralph Dammers, Gustavo De Nardo, Livia Cordaro, Caroline de Fonseca, Gianni Di Benedetto, Marcello Di Martire, Anna Maria Ferrara, Audrey Fairfax, Rina Braido, Nando Angelini, Colm Caffrey, Miranda Campa

Dopo essere stato liberato per ordine di Ponzio Pilato, Barabba riprende la sua vita violenta di brigante e, anche se il ricordo del Nazareno cui deve la vita è ormai impresso indelebilmente nella sua mente, rifiuta di credere in Lui. Per avere ucciso uno dei responsabili della lapidazione di Rachele, una sua amica convertitasi alla nuova religione, viene condannato nuovamente, questa volta ai lavori forzati. Nelle miniere di Sicilia stringe amicizia con un cristiano e, una volta liberato, viene messo, insieme al nuovo amico, al seguito di un senatore romano. Giunti a Roma, i due vengono arruolati fra i gladiatori. Quando Nerone dà la città alle fiamme, credendo di far cosa gradita al Signore (la colpa dell'incendio è infatti addossata ai cristiani), Barabba brucia un magazzino. Scoperto ed arrestato, muore sulla croce, ripetendo le parole udite sul Calvario: "Mi rimetto nelle tue mani, o Signore".

 

 

 

 

 Una parte del film è ambientata e girata a Catania. Fefè infatti ha voglia di rivedere Angela e deve fare un acquisto importante, così, dopo la prima scena che mostra una panoramica su piazza Duomo, con la fontana dell’Elefante, ritroviamo il barone al tavolino di un bar del porto di Ognina mentre immagina il suo delitto e offre del vino ad un avvocato.

 

Regia: Pietro Germi anno: 1962 Nazione: Italia Produzione: Lux Film Durata: 120' Genere: commedia CAST Daniela Rocca Marcello Mastroianni Leopoldo Trieste Stefania Sandrelli Lando Buzzanca

Nella rovente terra di Sicilia, il barone Fefè Cefalù (Marcello Mastroianni), arde d'amore, riamato, per la cugina sedicenne (Stefania Sandrelli), cui potrebbe essere padre. Peccato però, che egli, oltre ad essere, per cause paterne, quasi totalmente in rovina, sia anche maritato da dodici lunghissimi anni con una fedele, amorevole e sottomessa femmina, non solo tutt'altro che bella, ma in grado di raffreddare, come dire, qualsiasi slancio amoroso ed affettivo del marito, che, chissà perché, "se la pigliò".
Come uscire da questa situazione di sofferenza sentimentale, in un profondo sud che parla solo, tra uomini, di femmine altrui, ma in cui il progresso culturale e l'emancipazione del costume stentano ancora, per così dire, a far breccia ? Come, in uno stato egoista, che, all'epoca, ancora non contemplava il divorzio ? Serve un "divorzio all'italiana", appunto, appellandosi al famoso ed a quel tempo non ancora abrogato art. 587 del Codice Penale, che magistralmente esprimeva il concetto secondo cui in certe occasioni "ammazzare la moglie non è reato". Infatti, contemplando il cosiddetto "delitto d'onore", permetteva all'uomo, inequivocabilmente reso cocu dalla consorte, di sopprimerla, scontando una pena pressoché simbolica.

Perfetto. Non resta allora, al nostro barone, febbricitante di passione, che scovare un povero cristo da mettere sapientemente accanto alla moglie, fedelissima, ma in realtà anch'essa (e come potrebbe essere altrimenti, in fondo ?) insoddisfatta sposa, ed aspettare che gli eventi maturino…

Graffiante, grottesco, di ironica denuncia; sapido, intelligente, senza pause; monotematico (art. 587 C. P.), eppure poliedrico, artistico, spassoso; un piccolo capolavoro. Ecco quel che ci viene in mente, a tutta prima, riguardo quest'opera del regista Pietro Germi, che mette alla berlina tutta l'ipocrisia, l'egoismo, il maschilismo becero e moralmente inaccettabile di un periodo che oggi pare tanto lontano, ma che in realtà è appena dietro l'angolo. Mattatore assoluto e perfettamente plausibile, tra i suoi rovelli, benché in una parte risibile e buffonesca, un Mastroianni dai mitici baffi, io narrante per gran parte della pellicola. Bella prova per la giovane Sandrelli (doppiata). Assolutamente irresistibili certi passaggi del film, come quello in cui il barone, ormai pubblicamente tradito, scorre la posta, custodendo gelosamente per il futuro processo le missive anonime con scritto "cornuto", e stracciando con disgusto le lettere di solidarietà pervenute. Perfino il finale, anzi finalissimo, regala tanto, assecondando il motto latino "in cauda venenum".
Ispirate e bellissime le musiche di Carlo Rustichelli, girato in parte a Catania. Premio Oscar per la sceneggiatura originale, premiato a Cannes come miglior commedia.

 

 

 

La Sicilia «sedotta e abbandonata»

Cinquant'anni fa usciva nelle sale il film di Pietro Germi, sequel di «Divorzio all'italiana»

Franco La Magna

Microcosmo e pendant d'una Sicilia immobile, grottescamente esibita in catalessi etnico-culturale, priva di qualsiasi movimento dialettico della storia, «Sedotta e abbandonata» (1964, rabbrividente sottotitolo «Una storia di mostri») di Pietro Germi - uscito nelle sale esattamente mezzo secolo fa - nasce come fortunato sequel dell'ancor più osannato «Divorzio all'italiana» (1961), anch'esso patologica risultante di un'abiezione gabellata come siciliana, premiato da americani e francesi che gli assegnarono i primi l'Oscar alla sceneggiatura (dello stesso Germi, Age e Scarpelli) e i secondi la Palma come miglior soggetto.

Dopo la perniciosa fase calante degli anni ‘50, il genovese Germi - (di cui quest'anno ricorre unahttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/16.JPG tripla ricorrenza: nascita, morte e il 50° di «Sedotta e abbandonata») creativamente svigorito, indossati nuovamente i panni di regista «a vocazione meridionale» ritrova ispirazione ripiombando nell'isola a tre punte variando, però, drasticamente tematiche e registro stilistico. Non più mafia («In nome delle legge») o drammi dell'emigrazione («Il cammino della speranza»), bensì commedia e riflettori puntati su aberranti, inaccettabili e mostruose, sopravvivenze di costumanze locali. Una grottesca «mostrazione» di quel vero e proprio museo degli orrori che la Sicilia «metastorica» offre all'occhio del settentrionale Germi: un corpo estraneo alla nazione, un enclave, su cui impartire una lezione di civiltà.

Al centro del racconto la famiglia Ascalone, asservita e dominata dal bestiale Vincenzo (interpretato dall'ormai fetish Saro Urzì) - indiscusso e temuto pater, accanto a cui ruota una pavida genìa isolana sottomessa ai voleri del padre padrone, incontrastato sovrano assoluto e incrollabile bastione d'una sessuofobica e repressiva morale tradizionale. Un «despota per tradizione», che impone a tutti gli sciagurati componenti la sua inflessibile volontà di depositario d'una sacralità morale cui nessuno può e deve osare di ribellarsi. Vincenzo Ascalone incarna la codificazione di uno status quo, dell'unico possibile modello d'organizzazione familiare del tutto priva di dialettica interna, dove «onore e famiglia» sono i dogmi assoluti cui immolare la propria esistenza e laddove il concetto di «onore» s'identifica principalmente con l'illibatezza e la fedeltà delle donne e quello di «famiglia» con il dominio del sovrano assoluto.

La «ribellione» (se tale può intendersi) della figlia Agnese, segretamente innamorata del futuro cognato, sconvolge momentaneamente l'ordine costituito, ma Ascalone dopo mille infausti eventi guiderà la ribelle - con minacce, bastonature, blandizie e infine rimettendoci la vita - nell'alveo della tradizione.

 

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Il malcelato moralismo di Germi non sfiora neppure il problema del matriarcato siciliano e tantomeno quello del fallimento storico dello Stato unitario nei confronti del Sud, avallando un protagonismo declamatorio e mistificante che qui tocca il culmine e diviene mallevadore dell'immagine stucchevole, bozzettistica, macchiettistica e distorta d'un'isola «anomala» non per motivi storici ma per lombrosiana predisposizione, quindi da recuperare a superiori modelli di civiltà.

Le maschere mostruose che abitano la Sicilia non sono frutto (per Germi) della storia violenta di miseria, di sangue e di sopraffazione subita, bensì (positivismo scientista lombrosiano docet) problema biologico di brachicefali da affidare allo studio dell'antropologia criminale.

 

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La Sicilia terra dell'eccesso e dell'abnorme, entro cui confinare inciviltà, arbitrio, violenza, non storia, appare irredimibile e (tradendo quelle vere) le «buone intenzioni» di Germi di modificarne il corso s'infrangono nella sequenza in cui il maresciallo copre l'isola con il palmo della mano sulla cartina geografica, augurandosi che un' esplosione atomica la spazzi via.

Il dittico del sanguigno Germi darà così la stura a quella fortunatissima e sconfinata iterazione di opere isolane, pencolanti tra pecoreccio e vilipendio, che hanno contribuito a diffondere nel mondo l'immagine della «diversità» siciliana, ormai assioma caratteriale.

Sfuggendo comodamente all'ammissione del fallimento storico nei confronti del Sud, con «Divorzio all'italiana» e «Sedotta e abbandonata» lo Stato italiano, la Bell'Italia - unico paese europeo in cui si sia sviluppato un razzismo interno - recupera certezza d'alterità a danno del meridione, autogratificandosi per ritrovare modelli di civiltà da contrapporre alla barbarie siciliana gabellata a spettatori divertiti (e atterriti), subdolamente sospinti verso un naturale meccanismo di rifiuto.

Marcello Mastroianni ad Ognina. Alle sue spalle, l'attrice catanese Sara Micalizzi.

 

Il tentativo di Germi di far tabula rasa, secondo le sue parole, «di usi e costumi che offendono la coscienza civile» resta purtroppo per la Sicilia uno dei più colossali inganni del cinema italiano, così ben costruito da essere avallato e perfino amato dagli stessi siciliani. Sebbene non accolto con lo stesso successohttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPG ed entusiasmo del precedente, davvero straordinaria appare la prova dell'intero cast (quasi tutto indigeno), guidato da una regia impeccabile e come sempre attentissima alle caratterizzazioni minori: Stefania Sandrelli (Agnese, sedotta dal fidanzato della sorella, rapita per simulare la classica "fuitina" e alla fine costretta a sposarlo), il catanese Aldo Puglisi (esagitato seduttore, purtroppo poco valorizzato dal cinema e poi dedicatosi quasi esclusivamente al teatro), Leopoldo Trieste (nobile spiantato ma onusto «d'onore», Nastro d'Argento), Saro Urzì (anch'egli premiato a Cannes e con il Nastro d'Argento), Lando Buzzanca (il pavido fratello «costretto» dal padre a vendicare l'onore violato), ancora in una delle sue prime apparizioni, poi divenuto l'amatorius siculus per antonomasia d'un cinema ripiegato ad libitum su corrivi clichés. E ancora una galleria di «minori» che completano l'aberrante corpus compatto di siculi orrori.

 La Sicilia 24/03/2014

 

 

 

 

 

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Via Crociferi, un set tra i più ricercati dai registi di cinema

Un ruolo di primo piano per la bellissima strada. Nel breve spazio  hanno girato Bolognini, Zeffirelli,Vicario, Wertmuller, Samperi, Zaccaro

(La Sicilia 12.5.2012) di Mario Bruno
Catania possiede un sito di inestimabile valore, un gioiello architettonico che si chiama via Crociferi, uno dei più ambìti set cinematografici del mondo, come Manhattan, il Central park e le spettacolari street di New York; come Santa Monica di Los Angeles, come Philadelphia, Miami, come la piazza Duomo di Milano, la torre Eiffel di Parigi e come il cuore di Roma.
In via Crociferi, nel breve spazio di 200 metri, sono ubicate ben quattro chiese e questa realtà, oltre al prezioso barocco che rende l'arteria davvero unica, ha affascinato una moltitudine di registi. 
Già nel 1960 Mauro Bolognini diede più di un ciak nella strada d'impronta settecentesca per «Il bell'Antonio» e stessa cosa fece Maurizio Zaccaro nel 2004 per il remake televisivo dell'opera letteraria di Vitaliano Brancati. Nel primo film, via Crociferi è ritratta in bianco e nero, nel secondo a colori e nella sua inalterata maestosità. Marco Vicario azionò poi la Arriflex tra le storiche mura, per il suo «Paolo il caldo» tratto dal romanzo postumo di Brancati e stessa cosa fece Franco Zeffirelli per lo struggente «Storia di una capinera» dove si vedono splendidi scorci notturni della via, con la luce argentata della luna che rimbalza sulle basole laviche.
Indimenticabili, va certamente sottolineato, le inquadrature realizzate da Lina Wertmuller nel suo lungometraggio, divenuto un cult, «Mimì metallurgico ferito nell'onore». La regista - era il 1972 - si dichiarò «innamorata persa di Catania e soprattutto di via Crociferi», dove la macchina da presa riprende un giovane Giancarlo Giannini intento a seguire Elena Fiore, donna giunonica e impettita che l'esile ma agguerrito Mimì dovrà sedurre «per questioni d'onore».
La Wertmuller, assieme a molti autorevoli colleghi non esitò a definire via Crociferi «una delle strade più affascinanti del mondo, che seduce per la ricchezza del suo patrimonio monumentale».
La serie di film non è terminata. Anche Diego Ronsisvalle fu attirato dal fascino di quella gemma barocca dove girò «Gli astronomi», mentre anni prima il regista e sceneggiatore catanese poi trapiantato a Roma, Rino Di Silvestro, portò Guia Jelo, Tuccio Musumeci e Philippe Leroy a villa Cerami per una scena del malriuscito film «Bello di mamma».
Ben altra sorte, cioè un clamoroso successo, ebbe invece l'indimenticato «Malizia» di Salvatore Samperi, e sottolineiamo indimenticato sia per la presenza del grande Turi Ferro sia per quella di una strepitosa, bellissima Laura Antonelli all'apice della sua carriera e del suo fascino. Altro film dove si vede via Crociferi è «Giovannino» di Paolo Nuzzi interpretato da un giovanissimo Christian De Sica e dalla brava e graziosa attrice catanese Sara Rapisarda prediletta da Lina Wertmuller che le aveva dato una parte pure in «Mimì metallurgico».
La preziosa strada si vede non soltanto in film, ma anche in fiction televisive, tra cui nella citata «Il bell'Antonio» di Zaccaro e nella romantica «Posso chiamarti amore» del regista Paolo Bianchini con Debora Caprioglio ed Enrico Lo Verso.

 

 

Via Crociferi amatissima, dunque, non soltanto dagli uomini del cinema ma pure da documentaristi, da studiosi di storia, da fotografi rinomati provenienti da tutto il mondo per ritrarre i prospetti delle chiese, l'arco di San Benedetto, il cancello di ferro battuto dell'omonima chiesa, la prima delle quattro che si incontrano salendo dalla piazza San Francesco d'Assisi, che ospita la casa natale di Vincenzo Bellini «il Cigno» e il monumento al cardinale Dusmet. Proseguendo si incontra la chiesa di San Francesco Borgia e, a seguire, il Collegio dei gesuiti, vecchia sede dell'Istituto d'arte, che ha al suo interno un bel chiostro con portici su colonne e arcate sulle quali si soffermò l'obiettivo di Diego Ronsisvalle per «Gli astronomi». Di fronte al Collegio spicca la chiesa di San Giuliano un tempo definita «patrizia» perché vi si celebravano cerimonie religiose per i nobili e considerata uno degli esempi più eleganti del barocco catanese. E' proprio all'interno e all'esterno di questo tempio che il regista Zaccaro ambientò la scena del matrimonio fra Barbara (l'attrice Nicole Grimaudo) e Antonio Magnano (Daniele Liotti) soprannominato il bell'Antonio, uomo attraente ma affetto da impotenza: un'onta per i «masculi siculi» con in testa il padre di Antonio, Alfio Magnano, il quale andrà a morire in una casa di tolleranza pur di dimostrare a tutti l'indiscussa virilità del suo «casato».https://www.mimmorapisarda.it/CINE/21.JPG
Nelle scene corali di quello che poi si rivelerà uno sfortunato matrimonio, quello fra Barbara e Antonio, si vedono noti attori, primi fra tutti Leo Gullotta (nel ruolo del saggio zio Ermenegildo) e Luigi Maria Burruano (Alfio Magnano), e poi Vitalba Andrea, Marcello Perracchio e Anna Malvica. La scena in questione (noi eravamo presenti) fu girata più volte, nel corso di ben due mattinate, perché uno dei cavalli che trainavano la carrozza nuziale si imbizzarriva facilmente, facendo sobbalzare i poveri sposi, cioè gli attori Nicole Grimaudo e Daniele Liotti, sballottati qua e là, con effetto decisamente comico, dall'irrequieto equino. E ciò per la disperazione del director Zaccaro e della troupe, costretta a ripetere la medesima scena, peraltro con il rischio che il cavallo prendesse a galoppare pericolosamente lungo la discesa.
In fondo alla strada, oltrepassata la via di San Giuliano, si staglia Villa Cerami (sede della facoltà di Giurisprudenza dell'ateneo catanese) altro sito che, a cominciare dalla stilizzata fontanella che spicca all'ingresso, costituisce un'altra perla settecentesca di via Crociferi, strada che appartiene alla Storia e al cinema. E per l'appunto in una delle sale di villa Cerami, Rino Di Silvestro girò l'esilarante scena che vede un'imbruttita e baffuta Guia Jelo indaffaratissima a sedurre Tuccio Musumeci, qui magro come un grissino e nei panni del "Bello di mamma", film che risale al 1980 e che vede nel cast pure il menzionato Philippe Leroy e poi Carmen Scarpitta, Carole Andrè (la mitica perla di Labuan degli sceneggiati tv di Sandokan), Pippo Pattavina e il compianto Gianni Creati.
In "Mimì metallurgico" la Wertmuller indugiò a lungo con la macchina da presa, in via Crociferi, percorrendola per quasi tutta la sua lunghezza, finché Giannini ricompare in piazza Duomo entrando poi da piazza Alonzo Di Benedetto, nella vociante e pittoresca «piscaria». Per «Capinera», Zeffirelli invece ambientò la sua raffinata scena in notturna, con un sapiente utilizzo di luci che rendono ancor più attraente la strada.
Altre scene furono girate su balconate e terrazzi di chiese e conventi della via, con primi piani delle grate dalle quali si affacciavano le monache di clausura che da lì respiravano un po' di libertà.
Uno degli «affreschi» migliori resta comunque quello in bianco e nero di Mauro Bolognini, che amò a tal punto Catania e via Crociferi da girarvi pure «Un bellissimo novembre» con una stupenda Gina Lollobrigida. Ma il precedente «Il bell'Antonio» resta un pietra miliare della cinematografia, sia dal punto di vista drammaturgico, sia da quello tecnico. Un film con un cast stellare (Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Tomas Milian, Pierre Brasseur) dove via Crociferi ha un ruolo di primo piano e dunque può senz'altro definirsi «protagonista» a tutti gli effetti.

 

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scene girate in Via Etnea, Via Vittorio Emanuele II, San Nicolò l'Arena in Piazza Dante, Piazza Asmundo, Via Alessi, Via delle Finanze, Via de Marco, ex Piazza Nicosia, S. Agata Li Battiati (casa degli sposi)  https://catania.italiani.it/il-bellantonio-pellicola-tra-le-sontuosita-di-catania/

 

Produzione Italia Anno 1959 b/n Regia  Mauro Bolognini - Interpreti Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale,  Pierre Brasseur,  Rina Morelli
Il 1960 è l’anno de La dolce vita di Fellini, ma anche di film come L’avventura e La notte, di Michelangelo Antonioni. In quest’anno d’oro del cinema italiano uscì anche un film, sempre con protagonista Mastroianni, nel suo anno di grazia, che portava sullo schermo un romanzo dello scrittore siciliano Vitaliano Brancati, pubblicato nel 1949, che raccontava una storia ambientata negli anni Trenta, quindi in piena “era fascista”. Del romanzo, Bolognini e Pasolini (qui alla sceneggiatura) estirparono un po’ di implicazioni politico-sociali, per concentrarsi di più sulla figura del personaggio principale, caricandolo di una certa malinconia molto in linea con quel “cinema del disagio” di cui Mastroianni fu, in quegli anni, una vera e propria icona. Il film è la storia di Antonio (Mastroianni) che, dopo tre anni a Roma, ritorna nella sua Catania dove il padre gli ha organizzato il matrimonio con la bella Barbara (Claudia Cardinale). https://www.mimmorapisarda.it/CINE/13.JPG

All’inizio Antonio, che vanta una fama di dongiovanni, confermata dagli sguardi maliziosi che gli rivolgono tutte le donne che incontra, è scettico sul matrimonio. Ma quando il cugino Edoardo (un irriconoscibile Tomas Milian) gli mostra la foto della ragazza, Antonio ne rimane fulminato, innamorandosene perdutamente. Celebrato così il matrimonio, però, si svela un problema di impotenza del protagonista, con la moglie che, dopo un anno, chiederà l’annullamento del matrimonio stesso. Questo scandalo sconvolgerà la quiete della famiglia di Antonio, fino a travolgere l’orgoglioso padre, che rimarrà vittima della sua smania di mostrare al mondo il suo immutato vigore maschile. Il bell’Antonio scava dentro le macerie di una famiglia italiana ormai in decomposizione sociale e in un mondo/città chiuso e provinciale, dove la sessualità e il matrimonio sono ancora dei vincoli ben definiti e la virilità maschile ha bisogno di continue conferme sociali. In questo ambito può pertanto liberamente sfogarsi tutta la rabbia accumulata - con le frustrazioni subite in Friuli - da Pier Paolo Pasolini, che di quei vecchi costumi sociali fu uno dei più grandi castigatori. Il film di Bolognini, delicato e quasi “in punta di piedi”, sceglie di non urlare questa rabbia, ma di rappresentare questo ‘piccolo mondo”, tutto chiuso in un universo familiare oppressivo e autoreferenziale. In questo contesto emergono le straordinarie interpretazioni di Rina Morelli e Pierre Brasseur nei panni dei genitori di Antonio, mentre Mastroianni può candidamente esibire la sua ambiguità senza timore di perdere quel suo fascino proverbiale. Il DVD ci presenta il film in una splendida versione restaurata, mostrandoci negli extra come era ridotta la pellicola prima di questo intervento. Materiali sulle riprese del film, un lungo trailer-presentazione e una ricca galleria fotografica completano un pacchetto di contenuti speciali più che discreto, per un film “antico” nei contenuti quanto “moderno” nello stile.

 

 

 

 

 

Mastroianni e Cardinale a Catania il centro storico diventa magico     Luciano Mirone

Tra i palazzi della Catania barocca si consuma il dramma di un uomo. Antonio Magnano, giovane di famiglia alto borghese, affascinante e corteggiato, non riesce a consumare il matrimonio con la bella moglie Barbara Puglisi della quale è profondamente innamorato.

L' impotenza di un Magnano, sulla cui mascolinità nessuno aveva mai osato dubitare, distrugge le certezze del padre Alfio (Pierre Brasseur), federale ai tempi del fascismo, frequentatore di bordelli e sedicente «sciupafemmine». Una fine drammatica come drammatico è il film, "Il bell' Antonio" (sceneggiato da Pier Paolo Pasolini e Gino Visentini) attraversato da una venatura di sottile ironia che mette in ridicolo il mito dell' uomo forte e le incrostazioni culturali di certa borghesia siciliana. https://www.mimmorapisarda.it/CINE/12.JPG

Il regista Mauro Bolognini affida la parte dei protagonisti ai «bellissimi» del cinema italiano, Marcello Mastroianni, allora trentacinquenne, e Claudia Cardinale, all'inizio della carriera. Rispetto al romanzo di Vitaliano Brancati (scritto nel 1949 e ambientato nella Catania fascista), Bolognini sposta la storia (rimaneggiata in più parti) nel periodo a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, tempi in cui il mito del maschio resiste ancora, soprattutto nella capitale del «gallismo» siciliano.

Per l' ambientazione sceglie gli angoli più suggestivi del centro storico. Basta affacciarsi dalla terrazza del palazzo settecentesco di via Vittorio Emanuele, che nel film appartiene ai Magnano, per capire come la scelta di Catania si riveli felice. Un «giardino di pietra» costruito dopo il terremoto del 1693, ammantato dalle atmosfere magiche della pellicola in bianco e nero: la sagoma dell' Etna, le cupole delle chiese, i tetti delle case, il duomo che si affaccia sulla piazza dove spiccano i palazzi progettati dall' architetto palermitano Giovan Battista Vaccarini, l' obelisco con l' elefante e la via Etnea, quattro chilometri di raffinato barocco.

La storia inizia alla stazione di Catania. Antonio Magnano proveniente da Roma, dove ha vissuto per qualche anno, torna nella sua città. Antonio si incammina verso la casa di famiglia costeggiando la marina, il palazzo dei principi Biscari, fino a porta Uzeda, dal nome dei viceré spagnoli che governarono la città.

Poco dopo arriva a piazza Palestro dove si erge porta Garibaldi, un arco di pietra nera inframezzato da blocchi di pietra bianca eretto nel 1768. Siamo nel popolare quartiere Fortino. Cammina ancora. Adesso la macchina da presa inquadra la chiesa della Madonna del Carmelo in piazza Carlo Alberto, nel film completamente vuota, nella realtà sede del pittoresco mercato della «Fera 'o luni». Tra sporadiche Seicento e qualche tram in lontananza, giunge nella casa di famiglia.

La dimora dei Magnano è al secondo di un palazzetto di tre piani. A pianterreno si intravedono la pasticceria Reale, un negozio di mobili e di ciclomotori (ormai scomparsi). Sullo sfondo una scritta, "Vespa". Dal balcone accanto si affaccia la moglie dell'avvocato Ardizzone: «Signor Alfio, ho saputo che suo figlio è tornato dalla capitale». Poco dopo ecco anche la figlia (l'attrice Fulvia Mammi), da sempre desiderosa di sposare Antonio. E poi dal piano di sotto il senatore. Tre balconi che nel film hanno un ruolo importante.

All'epoca proprietari dell'abitazione erano i Gemma, benestanti catanesi concessionari della Piaggio. Alberto Gemma aveva 18 anni: «Un giorno si presentarono a casa il regista Mauro Bolognini e il produttore Alfredo Bini, patron della casa Cino Del Duca, che chiesero il permesso di utilizzare l' appartamento per gli esterni. Evidentemente il nostro edificio, all' angolo fra la chiesa di San Placido e i palazzi di via Vittorio Emanuele, faceva al caso loro. "Inutile dire", spiegò Bini, "che la produzione pagherà il disturbo". "Non vogliamo soldi", disse mia madre. "Chiediamo soltanto la presenza di Mastroianni e della Cardinale nel negozio: vorremmo fotografarli a bordo delle Vespe".

Il produttore rimase di stucco, l' affitto di una casa per girare un film veniva pagato profumatamente. Dopo mezz' ora mandò cinquanta rose gialle. Nella sede centrale della Piaggio quando videro le foto non credettero ai loro occhi. Le pubblicarono sulla loro rivista, anche in copertina. Il cast stette una settimana e mia madre non faceva mancare i cannoli. La Cardinale era molto riservata, ma anche molto simpatica. L' amicizia durò anche dopo: per tanti anni, in occasione delle feste, ci fu un intenso scambio di biglietti di auguri. A Mastroianni andò la mia stanza per i riposini pomeridiani. A Pierre Brasseur, simpaticissimo e bravissimo attore, faceva trovare una bottiglia di vino che lui tracannava in pochissimo tempo. Ogni tanto veniva anche Tomas Milian, che interpretava il cugino di Antonio».

Ma torniamo al film. Dopo il fidanzamento fra Antonio e Barbara, muore il nonno della ragazza. Tre i luoghi scelti per il funerale: piazza Duomo, via Etnea, piazza Università. In una atmosfera crepuscolare si scorge il bar Duomo, l' antica gioielleria Avolio e la sede dell' Ateneo catanese. Il corteo procede lentamente, le donne affacciate ai balconi osservano Antonio: «Quant' è bello». Barbara nasconde il volto con il velo nero. Improvvisamente la bara scivola per terra e Bolognini è costretto a ripetere la scena.

A ricordare questo particolare sono due comparse, Roberto e Aldo Pistorio, allora di 16 e 8 anni: «Nostro padre ci portava sempre a fare le comparse. Faceva il cuoco ma partecipava a tutti i film che venivano girati a Catania». Dopo il funerale Antonio e Barbara si sposano. La scena viene realizzata fra le colonne incompiute della solenne chiesa di San Nicola, in piazza Dante. Quando Goethe la visitò restò incantato dall' organo di Donato Del Piano: «Non vi è cosa più solenne, più profonda, più maestosa di questa». Oggi l' organo non esiste più. Saccheggiato negli anni. Un' immensa luce bianca penetra dagli ampi finestroni e si espande fra le tre navate della chiesa. Il dramma fra Antonio e Barbara si consuma in una bellissima villa dove la coppia va a vivere. è nella parte alta della città, era dell' ex sindaco di Catania, Papale: allora era circondata da aranceti, oggi è soffocata dal cemento.

Fra Antonio e Barbara un anno di carezze, di baci, di parole d' amore. Nient' altro. La notizia arriva all' orecchio del notaio Puglisi, padre della ragazza, che mediante lo zio monsignore riesce a fare annullare il matrimonio e a combinare le nuove nozze con il duca di Bronte. La madre di Antonio, in un disperato tentativo di riconciliazione, parla con Barbara. Il colloquio avviene nella sagrestia della chiesa di San Giuliano, in via Crociferi. Il fallimento della discussione sancisce la rottura definitiva fra le due famiglie.

Ad attendere Rina Morelli sul sagrato c' è il marito infuriato: «So io come parlare ai Puglisi». Attende il monsignore ed entra con lui nel convento dei gesuiti che si trova di fronte. L' ex federale accusa la Chiesa di ipocrisia. Il battibecco si svolge nel suggestivo chiostro, con il pavimento di ciottoli bianchi e neri. La via Crociferi è l' angolo più incantevole del centro storico. Piena di chiese, di monasteri, di palazzi nobiliari, ha ispirato grandi scrittori come Verga, De Roberto e Brancati. Tutto è immerso in un' atmosfera irreale fatta di putti, di mascheroni, di cariatidi, di ricami pietrificati. Stefano Valastro ha 72 anni e fa il ciabattino. Si siede sui gradini della bottega e comincia a parlare: «Quando fu girato il film il responsabile della chiesa di San Giuliano era padre Consoli, un frate che faceva anche l' esorcista. Qui per gli esorcismi venivano anche dalla Calabria. Un paio di persone nerborute accompagnavano i posseduti dal diavolo, venivano chiuse le porte e dopo un po' si sentivano grida disumane. Succedeva quando Satana veniva cacciato dal corpo».

Poi Barbara si sposa con il duca di Bronte. Dopo la cerimoniahttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/14.JPG gli sposi salgono in macchina. Tutto si svolge con il magnifico sfondo del palazzo aristocratico degli Asmundo. La macchina costeggia i manufatti della via Crociferi. Improvvisamente appare Marcello Mastroianni, statuario, bellissimo, triste. Che attende il passaggio di Barbara in una via Alessi lastricata con le strisce di basalto lavico (poi trasformate in scalinata). Lo sguardo di lui incrocia quello di lei. è la scena più struggente del film. Lui innamorato e disarmato, lei ineffabile e corrucciata. Antonio accompagna con lo sguardo la macchina, poi percorre la via con la morte nel cuore, mentre centinaia di curiosi osservano la scena. Antonio Di Grado, oggi docente di Lettere all' Università di Catania, nel '59 ha dieci anni ed è affacciato al balcone con lo zio.

Sta lì dalla mattina alla sera: «Il film consolidò la cultura interclassista del centro storico: nei piani bassi gli artigiani, in quelli medi la borghesia, in quelli alti i nobili. https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPG

Tutti assistevano alle riprese. Affacciato al balcone c' era anche un barbiere. Aveva una storia incredibile: essendosi ammalato da giovane, aveva promesso a Sant' Agata che se fosse guarito avrebbe sposato una prostituta. E così fece». Ormai sono le ultime scene del film. Il vecchio federale smaltisce la vergogna in un bordello. Va al vecchio San Berillo, il quartiere delle prostitute, da sempre ritrovo di militari, ragazzini, anziani e gente sposata. La scena viene girata dal vivo. Pierre Brasseur attraversa le stradine sconnesse, via delle Finanze, via Maddem, via Di Prima, sale le scale, va da Mariuccia, una vecchia conoscenza. Muore dopo «l' adempimento del proprio dovere» fra le braccia della donna, mentre pronuncia l' ultima frase della sua vita terrena: «Tutti dovranno sapere che a sessant' anni suonati Alfio Magnano andava ancora a donne».

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LUCIANO MIRONE from "Mastroianni e Cardinale a Catania il centro storico diventa magico - Repubblica, 28.1.2005"

La targa è stata piazzata, fotografata e lasciata a Catania in via Vittorio Emanuele II al 133, nel preciso palazzo dove nel film abitano i genitori del bell'Antonio, in barba alla telecamera della BNL. Poi fu rimossa. (M.R.)

 

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https://www.facebook.com/chiesadisangiuliano

https://www.youtube.com/watch?v=5MWg0lsjqBQ

https://it.wikipedia.org/wiki/Collegio_dei_Gesuiti_(Catania)

https://www.salvopuccio.com/

 

 

 

 

 

scene girate al Monastero dei Benedettini, Piazza Duomo, Lungomare di Acitrezza

 

ANNO: Italia 2007 GENERE: Drammatico - Storico REGIA: Roberto Faenza

CAST: Alessandro Preziosi, Lando Buzzanca, Cristiana Capotondi, Guido Caprino, Assumpta Serna, Sebastiano Lo Monaco, Giselda Volodi, Paolo Calabresi, Biagio Pelligra, Giovanna Bozzolo, Pep Cruz, Vito, Jorge Calvo, Anna Marcello, Katia Pietrobelli, Larissa Volpentesta, Danilo Maria Valli, Magdalena Grochowska, Daniela Terreri, Giulia Ferrario, Pino Calabrese, Giorgia Biferali,

Cast: Consalvo: Alessandro Preziosi Principe Giacomo: Lando Buzzanca Principessa Teresa: Cristiana Capotondi Giovannino: Guido Caprino Duchessa Radalì: Assumpta Serna Don Gaspare: Sebastiano Lo Monaco Lucrezia: Giselda Volodi Benedetto Giulente: Paolo Calabresi Baldassarre: Biagio Pelligra Graziella: Giovanna Bozzolo Don Blasco: Pep Cruz Fra’ Carmelo: Vito Michele Radalì: Jorge Calvo Chiara: Anna Marcello Donna Margherita: Katia Pietrobelli Concetta: Larissa Volpentesta Federico: Danilo Maria Valli Donna Isabella: Magdalena Grochowska Lucia la sigaraia: Daniela Terreri Contessa Matilde: Giulia Ferrario
Conte Raimondo: Franco Branciaroli Donna Ferdinanda: Lucia Bosè

 

I Vicerè è un film che vede protagonista, nella sua magnificenza, la Catania del Vaccarini, con le sue strade, le sue piazze, i suoi monumenti (via Dei Crociferi, Piazza Duomo, Palazzo Biscari, il Monastero dei Benedettini…) luoghi e architetture, che per la loro bellezza, il loro fascino e la loro spettacolarità fanno già parte di un immaginario cinematografico, ancor di più esaltato dalle immagini suggestive del film di Roberto Faenza. Tratto da "I Vicerè" di Federico De Roberto scritto nel 1894, capolavoro della letteratura italiana di fine Ottocento, tuttavia di sbalorditiva modernità e attualità, è il secondo volume (il primo è "L'Illusione" del 1891, e il terzo "L'Imperio" del 1929, uscito postumo) in cui lo scrittore racconta l'epopea d'una potente dinastia, un'antica famiglia catanese d'origine spagnola, gli Uzeda di Francalanza, nell'Italia del Risorgimento e dell'unificazione. È il cuore della città barocca a pulsare per l’epopea della terribile dinastia, fatta di egoismi, lotte, liti, miserie, sopraffazioni, raccontata dal regista con ricche scenografie, in interni e in esterni, che trovano nella città etnea ideali ambientazioni cinematografiche. La trasposizione sullo schermo de "I Vicerè" di De Roberto, è un capitolo fondamentale per il cinema siciliano e internazionale, che arriva certamente in ritardo per la complessità dei fattori produttivi che affliggono il cinema italiano, ma coraggiosamente affrontati da Faenza e dalla casa di produzione "Jean Vigo" di Elda Ferri.

Si tratta di un progetto di grande spessore culturale che coniuga sapientemente la suggestione dei luoghi, con il cinema di qualità e la letteratura siciliana. Con il suo nuovo film Roberto Faenza, regista da sempre incline tanto a dar corpo a un cinema d’impegno civile di spessore artistico quanto a tradurre per il grande schermo pagine intense di autori italiani, coniuga felicemente queste due “anime” della sua poetica, innestandole nel cuore della cultura siciliana, attualizzando con le sue immagini il messaggio straordinariamente moderno del capolavoro letterario di De Roberto.
l racconto comincia a metà del ‘800, negli ultimi anni della dominazione borbonica in Sicilia, alla vigilia della nascita dello Stato Italiano. Le esequie della principessa Teresa sono l'occasione per presentare i personaggi della famiglia Uzeda, discendenti dei Viceré di Spagna. Lo spettatore è subito introdotto in un mondo di fasto, di splendore, ma anche di prepotenza e di miseria. Attraverso gli occhi di un https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPGragazzino, Consalvo, l'ultimo erede degli Uzeda, si svelano i misteri, gli intrighi, le complesse personalità degli appartenenti alla famiglia, tutti dominati da grandi ossessioni e passioni. La storia di Consalvo avanza in un percorso di formazione: dopo una sconcertante esperienza in un convento benedettino, si affaccia a una giovinezza scapestrata, da ribelle, simile nello spirito a quella di tanti giovani d'oggi. Presto, comprende di dover cambiare, di dover diventare uomo. Comincia a studiare, a viaggiare, a imparare. Contro il volere del padre, compie una scelta estrema. Il tragitto di Consalvo ha una forte attinenza con il nostro presente. Dal mondo che lo circonda, fatto di compromessi e corruzione, Consalvo coglie una profonda lezione di vita e alla fine sceglie di impossessarsi del potere per non lasciarsi sopraffare da quello stesso mondo.

 

 

 

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scene girate al Monastero dei Benedettini, Piazza Duomo, Via Crociferi

 

Un film di Franco Zeffirelli. Con Valentina Cortese, John Castle, Vanessa Redgrave, Frank Finlay, Sinéad Cusack, Angela Marie Bettis, Jonathon Schaech, Camillo Pilotto, Mario Ferrari, Claudio Gora, Amalia Pellegrini, Maria Jacobini, Marina Berti, Teresa Mariani, Pat Heywood, Barbara Livi, Angela Bettis, Oreste Fares. Genere Drammatico, colore 99 minuti. - Produzione Italia 1993.https://www.mimmorapisarda.it/cine/02.jpg

 

Catania. Maria, giovane figlia di un vedovo che si era risposato, all’età di sette anni, poco dopo la morte della madre, è destinata al convento, non in seguito al manifestarsi di una sua vocazione alla vita monacale, ma per un’irrevocabile decisione familiare. Nella nuova famiglia, composta dalla matrigna e dai due fratellastri Gigi e Giuditta, non c’è più posto per lei: il convento è la sola via d’uscita possibile ai mali della società di quel tempo. Ha quasi 20 anni Maria quando nel 1854 a Catania scoppia l’epidemia di colera ed è costretta quindi a far ritorno a casa, trasferendosi con tutti i familiari nella tenuta di campagna a Monte Ilice.
La storia prende avvio proprio da questo momento, quando, come farà quotidianamente, scrive una lettera alla compagna di noviziato, l’amica del cuore Marianna. In queste lettere Maria parla di sé, della sua famiglia, della vita che conduce in campagna e soprattutto dell’amore pudicamente vissuto per Nino, figlio dei loro vicini, la famiglia Valentini. L’amore di Maria, vissuto come gioia e turbamento dapprima, si trasforma poi in passione, gelosia, ossessione, in un percorso che presto la conduce alla follia. Nino viene dato in sposo alla sorellastra Giuditta proprio mentre Maria è costretta far ritorno in convento, per prendere i voti, dalla matrigna, accortasi dei forti sentimenti fra i due giovani.
Straziata e sfinita dal dolore per l’impossibilità d’amare, anche se ricambiata da Nino, Maria muore nella cella sotterranea del convento destinata alle mentecatte, proprio come quella capinera rinchiusa dal suo padroncino in una gabbia, privata della sua libertà, dei suoi istinti naturali.
è il primo romanzo di Verga che conobbe un incontrastato successo di pubblico, successo destinato a rimanere duraturo. Scritto nell’estate del 1869 mentre si trovava a Firenze, per interessamento di Francesco Dall’Ongaro venne pubblicato dapprima, nel 1870, sulla rivista La ricamatrice, edita dall’editore milanese Lampugnani, e poi, nel 1871, in volume sempre dallo stesso editore: il romanzo era introdotto da una lettera-prefazione che Dall’Ongaro indirizzava a Caterina Percoto. Due anni dopo venne ripreso da un editore importante come il Treves che lo ripubblicò senza l’introduzione di Dell’Ongaro.
Appartiene al periodo dei cosiddetti romanzi giovanili, cittadini e mondani, anche se si differenzia da questo quadro per più di un motivo. Innanzitutto per l’ambientazione in campagna rispetto alla città, inoltre l’amore impossibile per Nino che porta Maria a poco a poco alla follia è esasperato e drammatizzato in eccesso, elemento nuovo ed inquietante in confronto alla melodrammaticità di altri suoi personaggi femminili. Il taglio epistolare del romanzo garantisce linearità alla narrazione derivante da un punto di vista unico ed unitario, quello del personaggio che scrive le lettere e a cui il narratore lascia libero tutto il campo poiché si isola dietro l’artificio della storia sentita raccontare da una terza persona e da lui riportata.

La vicenda pare denunciare l’intenzione di sfruttare la struttura sensibile di una sentita polemica sociale sull'ingiustizia della condizione femminile dell’epoca, privata della sua libertà di decidere del proprio destino, assoggettata a uno stato di inferiorità.https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPG
Il linguaggio di Maria è dominato da una certa enfasi sentimentale, è lezioso nel patetico, ridondante nell’uso stucchevole dei diminuitivi. Maria non si presenta ancora come personaggio narrativamente vero, però si configura agli occhi dei lettori con una certa credibilità: al di là degli eccessi enfatici, lo svolgersi del suo dramma umano finisce per risultare plausibile e psicologicamente motivato.
La “capinera”: un nuovo personaggio che va a inserirsi in quella galleria dei vinti ai quali Verga concede la possibilità di morire, non quella di avere fede. La loro sofferenza non trova conforto nella religione, come ci testimonia la tragica storia di Maria: chi può restare più vinto della giovane novizia che paga con la vita il suo desiderio irrealizzato di amore?

 

 

La sala del parlatorio delle monache di clausura.  Da notare i divanetti all'incontrario di fronte alle grate dietro alle quali si aprirà una finestra per far comunicare la religiosa con i parenti. La sala ispirò Giovanni Verga alla scrittura della novella "Storia di una capinera", ripresa poi nell'omonimo film di Franco Zeffirelli.

 

 

 

 

 

scene girate in Piazza Duomo, Via Crociferi

 

Un film di Marco Vicario. Con Giancarlo Giannini, Adriana Asti, Riccardo Cucciolla, Rossana Podestà, Vittorio Caprioli, Ornella Muti, Gastone Moschin, Marianne Comtell, Mario Pisu, Attilio Dottesio, Andrea Aureli, Oreste Lionello, Bruno Scipioni, Umberto D'Orsi, Lionel Stander, Ugo Fangareggi, Femi https://www.mimmorapisarda.it/CINE/22.JPGBenussi, Eugene Walter, Pilar Velasquez, Angela Covello, Anna Melita, Roberta Paladini, Barbara Bach, Orchidea De Santis. Genere Commedia, colore 124 minuti. - Produzione Italia 1973.

Cresciuto in una famiglia in cui, da sempre, tra i maschi si perpetua la tradizione di arroganza e gallismo, da cui si è astenuto solo suo padre, uomo di idee socialiste, il giovane barone catanese Paolo Castorini , compiuti i venti anni, mostra di voler seguire l'esempio del nonno e dello zio, dongiovanni impenitenti. Sconvolto dal suicidio di suo padre, e dalle sue ultime parole, egli decide, per uscire dal cerchio in cui è imprigionato, di trasferirsi a Roma, dove si trova lo scrittore Vincenzo Torrisi, suo amico e compagno di bagordi.

Nella capitale, riprende la vita di sempre, avviando una serie di avventure con la spregiudicata Lilia, con una principessa, una sartina, una militante comunista. Tornato a Catania per la morte della madre, decide di sposare la graziosa ed ingenua nipote di un farmacista. La moglie, conscia di non riuscire ad essere la donna che vuole, lo abbandona.https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPG Solo e disperato, irrimediabilmente schiavo del piacere, incapace di ripristinare il dominio della ragione e di seguire i consigli paterni, Paolo sa di essere condannato, come i suoi squallidi parenti a vivere una vita di solitidine.
Critica "La trasposizione cinematografica del romanzo incompiuto di Vitaliano Brancati narra la storia di un erotomane che, incapace di risolvere il conflitto tra i sensi e la ragione, è destinato a rimanere per sempre schiavo dei primi. Anziché porre l'accento sul dramma esistenziale del personaggio - alla cui sofferenza, quando s'accorge di non poter tornare indietro, il film riserva appena le ultime scene - il regista si è affidato a una puntualizzazione tutta esteriore dei fatti.

 

 

 

scene girate in Via Crociferi, Piazza Duomo, Ognina, la Pescheria, Via Cardinale Dusmet e Monastero dei Benedettini, Monti Iblei zona Canalicchio, Via Vincenzo Giuffrida

 

https://www.mimmorapisarda.it/2023/258.jpgRegia: Lina Wertmuller Sceneggiatura: Lina Wertmuller Fotografia: Dario Di Palma Scenografia: Amedeo Fago Costumi: Enrico Job Musica: Giuseppe Verdi,Piero Piccioni Montaggio: Franco Fraticelli Prodotto da: Daniele Senatore,Romano Cardarelli (Italia, 1971) Durata: 121'

PERSONAGGI E INTERPRETI Rosalia Capuzzo in Mardocheo: Agostina Belli Carmelo 'Mimì' Mardocheo: Giancarlo Giannini Fiorella 'Fiore' Meneghini: Mariangela Melato

Mimì, operaio siciliano di sinistra, viene licenziato a causa delle sue idee politiche. Costretto ad emigrare al nord, a Torino, per cercare un nuovo impiego, l'uomo lascia la moglie Rosaria. Giunto a Torino, Mimì trova lavoro come edile presso l'Associazione Fratelli Siciliani, che gli offre anche una sistemazione. Ben presto, però, Mimì capisce che l'associazione assistenziale è solo una facciata per coprire una serie di attività illecite della mafia. Dopo un attimo di titubanza, Mimì approfitta della situazione e fa carriera, grazie alla protezione mafiosa, in un'industria metallurgica. Nel frattempo si trova anche un'amante: Fiore, dalla quale ha un figlio. Quando però ritorna a Catania, con tanto di amante al seguito, Mimì scopre che sua moglie aspetta un figlio da un brigadiere della finanza. Deciso a vendicarsi Mimì seduce a sua volta la moglie del brigadiere e la mette incinta. Dopo che Mimì ha rivelato la verità al brigadiere, un sicario della mafia si mette in mezzo e per paura che l'uomo abbia una reazione contro Mimì, lo uccide. Mimì passa poco tempo in prigione finché la mafia lo fa scarcerare. All'uscita di prigione, diventa galoppino elettorale di un noto esponente mafioso. Si ritrova la moglie e l'amante con i rispettivi figli. Ma un giorno Fiore, l'unica che lo amava davvero, disillusa dalla situazione, lo abbandona.

 

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 scene girate a Villa Cerami, Piazza San Francesco d'Assisi, Piazza Dante, Monastero dei Benedettini,

Piazza Palestro, Palazzo Biscari

Anno: 1954 Regia: Luigi Zampa Attori: Alberto Sordi, Marco Guglielmi, Franco Coop, Luisa Della Noce, Franco Jamonte, https://www.mimmorapisarda.it/CINE/11.JPGElena Gini, Elli Parvo, Armenia Balducci, Carlo Sposìto, Gianni Di Benedetto, Antonio Acqua, Gino Buzzanca, Gustavo Giorgi, Giuseppe Stagnitti, Giacomo Furia, Vando Tress, Tullio Tomadoni, Gaetano Verna, Catherine Zago, Piero Pastore, Turi Pandolfini, Fernando Cerulli, Gino Baghetti, Archibald Layall, Victor Ledda, Luigi Moneta, Gina Moneta Cinquini, Franco Migliacci, Virginia Onorato, Peppino Nicolosi.

Rosario Scimoni, detto Sasà, ha imparato presto l'arte di 'arrangiarsi' traendo profitto dalle circostanze. A vent'anni, nipote e segretario del sindaco della sua città, cede di fronte alla prepotenza di un guappo a cui consegna documenti compromettenti, dopo averne fatte delle fotocopie. I socialisti danno filo da torcere all'amministrazione comunale e al sindaco e Sasà, convinto della loro vittoria, passa dalla loro parte divenendo il braccio destro del loro leader, l'onorevole Toscano, e l'amante della https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPGmoglie. Toscano, che ha visto le copie dei documenti, attacca vigorosamente gli avversari, ma viene condannato per diffamazione, poiché Sasà nel frattempo ha bruciato le fotografie, per poter vivere indisturbato con l'amante. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Sasà, interventista, simula la pazzia per restare a casa. Decide poi di accasarsi e sposa una ragazza brutta ma ricca. Iniziato il fascismo, Sasà diventa fascista e gerarca. Caduto il fascismo, passa al comunismo. In seguito, grazie alla buona fede di una Congregazione religiosa e di un suo compaesano, riesce a raccogliere i mezzi necessari per finanziare un film che servirà a lanciare una sua protetta. Quando i suoi imbrogli vengono finalmente scoperti, tenta di rimediare corrompendo un funzionario, ma il gioco non riesce e finisce in galera. Una volta uscito, riprende la sua attività e camuffato da tedesco fa la réclame a lamette da barba.

 

 

 

 

 

scene girate ad Aci S. Antonio, Palazzo Riggio e Villa Paternò

Regia: Mauro Bolognini Interpreti: Margarita Lozano, Gabriele Ferzetti, Paolo Turco, Gina Lollobrigida Durata: h 1.31 Nazionalità: Italia 1969 Genere: drammatico Al cinema nel Gennaio 1969

Nino è un irrequieto adolescente di Catania, che cova una sfrenata passione d'amore per la zia Cettina. La donna, che è sposata e matura, ricambia in parte l'attenzione del nipote Nino ma allo stesso tempo è interessata ad un socio del marito, giovane ed aitante. Nino che è costretto così ad allontanarsi dalla zia, reagisce accettando suo malgrado. Infine il giovane, pur non dimenticando la focosa zia si sposa con una coetanea. 

 

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Gina Lollobrigida visita il ritiro del Catania durante una pausa di "Un bellissimo Novembre". In foto: Gavazzi, Teneggi, Pasqualini, la Lollo, Vitali, Barbaresi, Fara e l'attore Paolo Turco.

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Il film è tratto da un romanzo di Ercole Patti. Tutto ha inizio in uno dei salotti borghesi di Catania dove il giovane Nino è seduto con la zia sulle gambe, ciò ovvhttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPGiamente gli provoca delle forti emozioni che alla sua età saranno difficili da dimenticare. Lo sfondo si sposta alle pendici dell'Etna in una masseria nel mese di novembre (che ha sempre qualcosa di affascinante e misterioso).

Il giovane s'innamora perdutamente della zia con la quale arriva a consumare la sua prima esperienza sessuale. Le conseguenze di questo amore proibito, data la parentela, per il giovane sono nefaste non solo perché lo porta ad una "morte psicologica", infatti il suo unico pensiero è rivolto alla zia, ma anche alla morte vera e propria poiché durante un raptus di gelosia insegue la zia che si era appartata con un altro uomo; temendo di essere scoperto scappa via e noncurante dei pericoli del sentiero "batté violentemente il capo su una roccia e non si mosse più".

 

 

 

 

scene girate ad Acireale, stazione Circumetnea di Giarre, Sant'Alfio

Un film di Alfredo Malfatti. Con Luciana Paluzzi, Domenico Modugno, Eleonora Giorgi, Umberto Spadaro, Pippo Franco, Franco Agostini. Genere Commedia, colore 90 minuti. - Produzione Italia 1975.

Un film sfortunato questo LA SBANDATA che, pur avendo tutte le qualita' per diventare un hit nel 1974 (un'appetitosa Eleonora Giorgi al massimo della forma, bianca e liscia come porcellana, Domenico Modugno nel ruolo principale e Samperi alla regia, reduce dalla sbornia colossale dei due miliardi e passa incassati al botteghino con MALIZIA), per motivi difficilmente spiegabili ha fallito il decollo ed e' rimasto in un cantuccio, ignorato dal pubblico e stroncato dalla critica, a raccoglier polvere prima nei magazzini dei distributori poi nelle videoteche.
Le cose si sono messe male per LA SBANDATA gia' prima dell'uscita nelle sale quando Samperi misteriosamente ne ricusa la paternita' facendolo firmare ad Alfredo Malfatti, fino ad allora (e da allora in seguito) poco noto documentarista.
Eppure, nonostante la retromarcia del regista, il "tocco Samperi" e' evidentissimo nel corso di tutta la pellicola nelle frequenti picchiate voyeuristiche della cinepresa su reggicalze e mutandine, nell'intrigo erotico "parentale" tutto svolto tra le mura domestiche e nelle frecciate politiche rare ma velenose. C'e' pure un'ironica autocitazione nella sequenza in cui la Giorgi, coperta di regali dallo zio Modugnohttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPG appena rientrato in Sicilia dopo aver fatto fortuna negli USA, e' esortata dai genitori a contraccambiare con un soave "Grazie zio".

Modugno, solitamente dongiovanni a parole nei varieta' dell'epoca, ha modo qui di rendere piu' esplicito il suo personaggio pubblico rimestando a piene mani tra tette e culi di nipotina e cognata arrivando, in un momento di focosa passione, a fellare un delicato piedino della Giorgi per poi ingoiarlo quasi interamente (!!!). Una serie di piccole notazioni e tic, uniti al consumato mestiere dell'interprete, contribuiscono inoltre a rendere il personaggio dello "zio d'America" insolitamente profondo ed umano.
L'ex Bond girl Luciana Paluzzi e Pippo Franco, entrambi in versione "sicula" completano il cast.
LA SBANDATA e' uno dei rari esempi di quella cinematografia a cavallo tra il trash e il mainstream che definirei "di confine", e gli estimatori dell'una e dell'altra categoria troveranno certamente piu' di un motivo per godersi il film.

 

 

 

Il film è stato girato quasi interamente in Sicilia. La Villa Caputo, in realtà Villa Arezzo, si trova dalle parti di Bagheria vicino Palermo. Le sequenze del teatro sono state girate al Teatro Massimo Bellini di Catania, mentre quelle del furto della banana a Letojanni (Messina), dove tuttora si possono trovare la bottega dell’ortolano, del barbiere ed il bar. L'autogrill dove viene ucciso Johnny è quello di Roccalumera Est.

Regia: Roberto Benigni Sceneggiatura: Roberto Benigni, Vincenzo Cerami Fotografia: Giuseppe Lanci Scenografia: Paolo Biagetti Costumi: Gianna Gissi Musica: Evan Lurie Montaggio: Nino Baragli Prodotto da: Group Tiger, Melampo (Italia,1991) Durata: 121' Distribuzione cinematografica: Cecchi Gori

PERSONAGGI E INTERPRETI Dante, Johnny Stecchino: Roberto Benigni Maria: Nicoletta Braschi Ministro: Franco Volpi Dottor Randazzo: Ivano Marescottihttps://www.mimmorapisarda.it/cine/18.jpg

Dante fa l'autista d'uno scuolabus per ragazzi disabili: uno di loro, Lillo, è il suo unico amico. Dante è ingenuo e un po' naif: a volte ruba per gioco qualche banana e, sempre senza malizia, truffa l'assicurazione, fingendo una menomazione alla mano destra.
Una notte è investito da un'auto, una donna scende di corsa per soccorrerlo, anche se Dante non ha riportato nessun danno: dopo averlo fissato un po', costei sviene. Qualche giorno più tardi, Dante incontra di nuovo Maria, bella e misteriosa, e se ne innamora. Lei gli cambia il nome in Johnny, gli disegna un neo sulla guancia, lo veste elegantemente, gli suggerisce il vezzo di masticare uno stecchino e poi lo porta fuori a cena. Ricoprendolo d'attenzioni, Maria riesce a spingerlo a partire per Palermo, dove sarà ospite in una lussuosa villa. Qui girano droga e loschi individui, tra i quali un presunto zio avvocato, che fa credere a Dante che la cocaina sia una medicina pehttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPGr il diabete. Dante è vittima d'un raggiro: la sua somiglianza impressionante con il marito di Maria, un mafioso italo americano di nome Johnny Stecchino, ha indotto la donna a servirsi di lui. Dante sarà ucciso dai mafiosi al posto di Johnny, che si nasconde negli scantinati della villa; così, la coppia di malfattori potrà tranquillamente fuggire all'estero.
Dante, maldestro e inconsapevole, provoca, suo malgrado, una serie d'equivoci. Riesce a smascherare un ministro corrotto e cocainomane, viene insultato dai palermitani durante una serata all'Opera, si salva da un tentativo di omicidio dal barbiere. Nel frattempo il vero Johnny, credendo che il sosia sia già morto, viene assassinato dai mafiosi in un bagno pubblico. Dante torna a Firenze e regala all'amico Lillo, malato di diabete, un sacchetto di droga che lui crede una medicina; Lillo la prova e corre per strada, felice.

 

 

 

 

scene girate a Catania e Provincia

è un film del 1967 diretto da Alberto Lattuada, tratto dall'omonimo romanzo di Vitaliano Brancati.

Regia: Alberto Lattuada - Attori: Rossana Martini, Giuseppe Silvestri, Marcella Michelangeli - Biondina Alla Festa, Maria Mizar Ferrara, Katia Moguy - Ninetta Marconella, Ugo Attanasio - Il Sacerdote, Pippo Starnazza, Riccardo Mangano, Angelo Puglisi, Grazia Di Marzà, Roberto De Simone, Elio Crovetto, Katia Christine - Francoise, Stefania Careddu - Padrona Di Casa, https://www.mimmorapisarda.it/CINE/52.JPGLando Buzzanca - Giovanni Percolla, Ewa Aulin - Wanda, Ettore G. Mattia - Dott. Giorgioni, Anna Canzi, Antonio Isurguna, Antonio Mangano, Efisio Cabras, Eugenio Colombo, Jole Campagna, Carlo Sposìto - Scannapieco, Giuliana Farnese, Aldo Majorana, Luisa Rigolani, Ignazio Leone, Giuseppe Sillato, Giovanni Petrucci, Giuseppe Maso, Calogero Milazzo, Franco Monaldi, Franco Marletta, Ludovico Toeplitz - Vittorio Valsecchi, Pino Ferrara - Muscara'

Giovanni Percolla, giovane avvocato catanese, vezzeggiato da tre sorelle zitelle, trascorre le sue giornate tra fantasie sessuali e prahttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPGtiche legali mediocri. L'arrivo in città di Ninetta, una ragazza di nobile famiglia modernamente educata in Svizzera, sconvolge la vita di Giovanni, il quale, innamoratosi della ragazza, la sposa. Trasferitosi con la moglie a Milano, Giovanni trova una sistemazione in una grande industria, intraprendendo una carriera assai promettente grazie alla sua capacità negli affari e presumibilmente riversando in questa attività la sua carica sessuale, non soddisfatta dal matrimonio. Percolla, per quanto costretto ad un ritmo di lavoro al quale mal si adatta, non dimentica le sue qualità dongiovannesche che tenta di mettere a profitto per conquistare Wanda, l'affascinante amica di un suo avversario. Soppiantato con Wanda da un suo vecchio amico catanese, Giovanni finisce per disamorarsi dell'ambiente milanese e, in preda ad una nevrosi incipiente, torna a Catania per ritrovare le gioie d'una vita accidiosa e la pienezza e la felicità dei sensi.

 

 

 

 

 

 

scene girate prevalentemente a Catania

Italia 1975 di Flavio Mogherini con Renato Pozzetto  Magali Noël Janet Agren
Commedia 110 minuti

Un ingenuo nudista brianzolo, condizionato da una nonna invadente e autoritaria, vince un concorso statale e va ad insegnare in una scuola elementare di Catania. Con il suo comportamento sprovveduto e la sua inarrestabile logorrea, l'insegnante creerà scompiglio tra le colleghe e metterà in subbuglio le famiglie degli alunni.

Indubbiamente invecchiato, Paolo Barca è un film che, nell'epoca in cui è stato fatto "ci stava". La logorrea di Pozzetto era di gran moda e, in questo caso, riesce a far risaltare tutta la sua sprovvedutezza in ambito sessuale, specialmente messo a contatto con una società al tempo stesso spregiudicata ma ipocrita com'era la Sicilia trent'anni fa (ma le cose sono davvero cambiate di molto?).https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPG La morale era "si fa tutto, basta che non si sappia in giro". Questo sistema è messo in crisi dalla reazione inusitatamente ingenua dell'insegnante di fronte alle domande maliziose degli alunni della quinta elementare: cos'è la minchia? cos'è l'orgasmo? Al di là, comunque, di qualsivoglia (forse abusiva) interpretazione sociologica di questo film, a me pare che si tratti di una sorta di rivisitazione, con un protagonista settentrionale, di film precedenti quali Paolo il caldo (1973) di Marco Vicario (dal romanzo di Brancati) e della sua parodia Paolo il Freddo (1974) di Ciccio Ingrassia con Franco Franchi. Vi sono, in più, elementi surreali e surrealisti (i sogni, le improvvise apparizioni della nonna eccetera) e perfino qualche eccesso di fellinismo, testimoniato dalla bella e generosa Magali Noël. E in ogni caso il film è un perfetto veicolo per il Pozzetto debordante, recitativamente e pure fisicamente, del periodo. Ottimo anche il compianto Satta Flores.

 

 

 

 

scene girate in Piazza Stesicoro e Villa Bellini

Un film di Gianni Grimaldi. Con Vittorio Caprioli, Paola Quattrini, Agostina Belli, Martine Brochard, Turi Ferro, Umberto Spadaro, Lorenzo Piani, Christa Linder, Pino Caruso. Genere Commedia, colore 109 minuti. - Produzione Italia 1974.https://www.mimmorapisarda.it/CINE/47.JPG
Tratto da una commedia di Vitaliano Brancati. A Catania, in casa della famiglia Platania, giunge, in qualità di governante, una giovane ragazza francese: Caterina Leher. In questo nucleo familiare vivono l'anziano vedovo Leopoldo, suo figlio Enrico, sicilianamente impegnato in avventure exraconiugali, la nuora Elena, una svampita intellettualoide che si lascia corteggiare con discrezione dell'acre scrittore Alessandro Bonivaglia, tollerato frequentatore della casa, i due piccoli figli di costoro, serviti tutti fedelmente da un'ingenua ragazza: Jana. Sia Caterina che la famiglia Platania sono religiosi, ma di una religiosità tutta particolare. Caterina è "il peccato" non tanto perché educazione e natura l'hanno dotata di anomali istinti quanto perché tali istinti, mescolati ad un fanatico https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPGdesiderio di rispettabilità la travolgono in un ingranaggio di compiaciuti rimorsi e distorte mortificazioni. Da questo comportamento di Caterina subisce danno Jana, che, in seguito ad una calunnia della governante, viene cacciata e rimandata al paese natio. Durante questo viaggio è coinvolta in un incidente ferroviario che le procura la morte. Assunta una nuova cameriera, Francesca, Leopoldo scopre la donna in intimi rapporti con Caterina. Costei, ottenuto il perdono di Leopoldo, venuta a sapere da questi della tragica morte di Jana, tenta il suicidio, ma viene salvata dall'anziano vedovo che non si perdona di aver spinto tanti anni prima, per eccesso d'intransigenza, la figlia adolescente a togliersi la vita.

 

 

 

 

 

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 scene interamente girate ad Acitrezza

Regia: Luchino Visconti Sceneggiatura: Luchino Visconti Fotografia: G. R. Aldo Musica: Luchino Visconti, Willy Ferrero Montaggio: Mario Serandrei (Italia, 1948) Durata: 160' Prodotto da: Salvo D'Angelo PERSONAGGI E INTERPRETI 'Ntoni: Antonio Arcidiacono Cola: Giuseppe Arcidiacono
Il nonno: Giovanni Greco Mara: Nelluccia Giammona Lucia: Agnese Giammona

Quando si parla di cinema nello Jonio, e soprattutto di Verga, è impossibile da dimenticare l'incontro tra lo scrittore e il regista Luchino Visconti.

Le bellezze paesaggistiche siciliane hanno ospitato vari set cinematografici, a partire dalla cittadina di Aci Trezza - che nel 1948 ospitò Luchino Visconti ed il suo gruppo di lavoro per la realizzazione de "La terra trema".https://www.mimmorapisarda.it/cine/puglisi3.jpg

La città dei faraglioni collaborò non solo come teatro della rappresentazione con chiari contorni urbani e con le sue bellezze, ma anche con alcuni dei suoi abitanti, circa una trentina, che furono coinvolti nel film come attori, i cui nomi non furono però citati nei titoli di coda ma che comunque restarono nella memoria cittadina e che sognarono spesso un rifacimento del film.

Il regista Luchino Visconti, ispirato dall'attenzione sociale con la quale lo scrittore Giovanni Verga aveva trattato nel romanzo "I Malavoglia" i problemi dei poveri pescatori, ideò una trilogia di film sulla condizione dei lavoratori siciliani nel difficile periodo economico che seguì alla seconda guerra mondiale.

Il primo film doveva riguardare la vita dei pescatori, il secondo quella dei braccianti agricoli e il terzo quella dei minatori. Visconti, però, realizzò soltanto il primo, "La terra trema".

I tre film erano stati ideati originariamente come documentari per aiutare la campagna propagandistica del Partito comunista italiano in vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948.

Nell'estate del 1947 il regista Visconti compì un sopralluogo in varie località della Sicilia e quindi, per ambientare il primo dei tre documentari, quello riguardante le condizioni di lavoro dei pescatori, scelse Acitrezza, lo stesso paese nel quale Verga aveva localizzato il romanzo "I Malavoglia".

Il film, girato in bianco e nero, con una rigida interpretazione dei canoni del neorealismo, venne interpretato esclusivamente da attori non professionisti, tutti pescatori o abitanti di Acitrezza, che parlavano, in presa fonica diretta, il dialetto locale.

Come assistenti alla regia Visconti scelse due giovani, Francesco Rosi e Franco Zeffirelli, che sarebbero diventati entrambi registi di grande successo. Rosi era incaricato di tenere il "diario di lavorazione", mentre Zeffirelli aveva la responsabilità delle comparse, dei costumi e della scelta degli ambienti.https://www.mimmorapisarda.it/cine/puglisi3.jpg

Le riprese cominciarono nell'autunno del 1947. Non c'era una sceneggiatura: gli attori recitavano dialoghi che venivano scritti poco prima che cominciassero le riprese della giornata e che gli assistenti alla regia facevano "tradurre" lì per lì in dialetto siciliano.

Il Partito comunista aveva stanziato per l'operazione la somma di 30 milioni di lire che però, dopo appena poche settimane di riprese, si dimostrò assolutamente insufficiente.

Visconti allora, sospesa la lavorazione del film, si recò a Roma dove, per procurarsi il denaro necessario per la prosecuzione, vendette alcuni gioielli di famiglia e, per ultimare la pellicola, si procurò un finanziamento integrativo del produttore Salvo D'Angelo della casa di produzione "Universalia Film".

A questo punto, Visconti, ormai svincolato dal rapporto finanziario con il Partito comunista, modificò il proprio progetto: il film abbandonò lo stile del documentario e cominciò a diventare una specie di trasposizione cinematografica del romanzo "I Malavoglia" di Verga. Visconti, però, in aderenza alla propria ideologia personale marxista, apportò una modifica fondamentale: mentre l'opera dello scrittore è un ritratto corale "senza speranza" soffuso di pietà e di rassegnazione, il film fa intravedere una possibilità di riscatto attraverso la "rivoluzione" contro i soprusi sociali.

L'opera venne presentata alla Mostra Cinematografica di Venezia del 1948 dove suscitò molti consensi da parte dei critici; il massimo premio della manifestazione, il "Leone d'oro", però, venne assegnato al film britannico "Amleto" di Laurence Olivier. Al film di Visconti venne attribuito un premio "per i suoi valori stilistici e corali".

Il film, della durata di 157', distribuito nelle sale cinematografiche, non ebbe molto successo commerciale, in gran parte per l' incomprensibilità del dialetto "stretto" che parlavano gli interpreti. Ne venne fatta  quindi una seconda vehttps://www.mimmorapisarda.it/cine/puglisi3.jpgrsione, più breve (dalla durata complessiva di 105') e con una nuova colonna sonora nella quale gli interpreti erano "doppiati" con un dialetto siciliano "italianizzato", più comprensibile.

La pellicola, indicata dalla critica come uno dei documenti più significativi della corrente cinematografica del neorealismo, è stata recentemente restaurata.

A distanza di mezzo secolo dalla realizzazione del film, Acitrezza ha dedicato a Luchino Visconti una delle piazze del paese, accanto a quella intitolata a Verga.

La trama - Il giovane 'Ntoni Valastro incita gli altri pescatori di Acitrezza a ribellarsi ai soprusi dei grossisti di pesce. Dalle proteste nasce un tumulto e i pescatori vengono arrestati; ma poi gli stessi grossisti li fanno rilasciare non potendo fare a meno della loro manodopera.

'Ntoni convince i propri familiari a mettersi in proprio, ipotecando la casa per far fronte alle spese. Un'eccezionale pesca di acciughe, che vengono "salate", sembra inizialmente favorire l'iniziativa, ma una tempesta fa naufragare la barca. La famiglia Valastro, così, è costretta a vendere le acciughe salate ai grossisti ad un prezzo irrisorio e, non potendo pagare l'ipoteca, perde anche la casa.

Il dissesto echttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPGonomico fa disgregare la famiglia. 'Ntoni, non potendo trovare lavoro, si abbrutisce all'osteria e viene abbandonato dalla fidanzata. Suo fratello Cola si fa abbindolare da alcuni contrabbandieri e si associa ad essi. Il nonno muore. La sorella di 'Ntoni, Mara, afflitta dalla situazione nella quale versa la famiglia, si ritiene ormai indegna del fidanzato, il muratore Nicola, e scioglie il fidanzamento. La sorella minore, Lucia, si lascia irretire dalle lusinghe del maresciallo del paese ed è ridotta alla condizione di "donna disonorata", particolarmente pesante nella Sicilia dell'epoca.

Alla fine, 'Ntoni si rassegna e piega la testa: va a chiedere lavoro, assieme ai fratelli più piccoli, ai grossisti. Ma, sebbene "vinto", appare consapevole che in futuro la lotta comune con gli altri pescatori riuscirà a sconfiggere i soprusi dei grossisti. - fonti: www.sicilycinema.it/ www.acitrezza.it

 

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scene girate a Catania ed Acireale

Un film di Salvatore Samperi. Con Tina Aumont, Laura Antonelli, Lilla Brignone, Turi Ferro, Alessandro Momo, Angela Luce, Pino Caruso, Stefano Amato. Genere Commedia, colore 99 minuti. - Produzione Italia 1973.

Fu 'Malizia' il film che segnò la svolta in un genere cinematografico, quello sexy-erotico, che sembrava avere il fiato corto, e che invece, anche grazie al film di Salvatore Samperi, acquistò nuova linfa e si rigenerò con successo fino al termine degli anni settanta. Il motivo del trionfo al botteghino di 'Malizia' fu dovuto soprattutto alla sua protagonista, la splendida Laura Antonelli, la cameriera che deve soddisfare i desideri sia di un anziano vedovo (il bravissimo Turi Ferro) che dei suoi figli, uno dei quali interpretato dallo sfortunato Alessandro Momo. La Antonelli non solo era bella e sensuale, ma rappresentava una novità per questo genere di film: l'attrice che mostrava le sue grazie non era più una stangona straniera, non una irraggiungibile Barbara Bouchehttps://www.mimmorapisarda.it/CINE/46.JPGt, una prorompente Edvige Fenech, non una super sensuale Femi Benussi, ma aveva i panni di una donna dal viso semplice, quasi una insospettabile vicina di casa condiscendente che tutti i maschi italiani sperarono, prima o poi, di incontrare sul pianerottolo di casa.
Era il 1973, la tv era ancora più che bacchettona, e i film sexy imperversavano nelle sale ma con il divieto ai minori: dinanzi ai cinema in cui si proiettava 'Malizia' c'era la fila dei giovanissimi, adolescenti impossibilitati ad entrare a causa del divieto, che si accontentavano dei racconti dei fratelli più grandi. E c'era poi la caccia al cinema in cui la cassiera non chiedeva il documento d'identità e che 'ti faceva entrare'. Tutti ad ammirare lei, la Antonelli che, fotografata da un grande Vittorio Storaro, saliva sulla scaletta per spolverare mostrando calze
https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPGnere, una maliziosa giarrettiera e, soprattutto, le sue bellissime gambe; lei che sapeva fulminare lo spettatore col suo sguardo semplice, con la sua bellezza cristallina, con quella insospettabile carica erotica.
La carriera di Laura Antonelli avrebbe segnato altri punti importanti negli anni settanta: dal divertente 'Sesso matto', a 'Mio Dio come sono caduta in basso!', all'indimenticabile 'La divina creatura' di Patroni Griffi, dove, al fianco di un frastornato Terence Stamp, si esibiva nei famosi sette minuti di nudo integrale. Sappiamo tutti che fine ha fatto la Antonelli, sembra impossibile credere che la donna dei desideri dei maschi italiani negli anni settanta possa avere avuta una vita così piena di problemi. Ma noi tutti la ricorderemo sempre bella in questo piccolo film culto di un genere cinematografico che molti disprezzano ma che ha da sempre suscitato la curiosità di tutti.
ERNESTO MARIA VOLPE (pagine70.com)

 

 

 

 

scene girate a Riposto, S. Venerina e Acicastello

 

Nazione: Italia Anno: 2002 Genere: Commedia Durata: Regia: Franco Battiato Cast: Corrado Fortuna, Donatella Finocchiaro, Gabriele Ferzetti, Ninni Bruschetta, Rada Rassimov Produzione: Franco Battiato, Francesco Cattini Distribuzione: Warner Bros

 

 

Oggi, rivedendo PERDUTOaMOR, mi accorgo di quanto fosse stato geniale e meticoloso Battiato https://www.mimmorapisarda.it/2025/juke23.jpgnell’arte di “far vedere e non far vedere”, cioè lanciare quei piccoli messaggi nascosti fra i fotogrammi.

Quel che faccio vedere bisogna saperlo stanare. Nel film c’è un cameo, un gioiello della durata di pochi secondi, in cui si scorge un momento felice di catanesi che andavano a prendere un po’ di fresco alla riviera dei Ciclopi negli anni Sessanta. La location è la parte finale della piazza di Aci Castello, un meraviglioso palcoscenico teatrale con le quinte rappresentate dalla costa con i faraglioni di Acitrezza in lontananza, il castello normanno a destra e una mitica pizzeria a sinistra di cui scriverò in seguito.

La scena è immaginata, ricordata e girata dal Maestro proprio lì, sulla piazza di fronte a quello spettacolare belvedere. E’ magistralmente camuffata, ma chi sa o possiede quella famelica curiosità di scovare la chiave di lettura si accorgerà che tutto è al suo posto e non manca proprio niente. Ciak! il juke box che suona “La terza luna“ di Neil Sedaka; i ragazzi che corteggiano discretamente le ragazze che passeggiano “sutta u castiddazzu” dentro abiti dai variopinti colori dell’epoca; due pettegole; il timido spasimante che si fa accompagnare per dichiararsi all’amata; due anziani coniugi che litigano fra loro; fanciulle che giocano felici e senza smartphone mentre i tranquilli genitori gustano il gelato seduti in piazza. Lo Spritz? Al massimo c’era il San Pellegrino con il Cocktal, il Bitter, il Crodino, quattro olive e un pugnetto di arachidi. Stop. La fettina di limone e il cubetto (uno!) di ghiaccio, erano serviti solo a richiesta.

Guardatelo attentamente perché Battiato non ve ne darà il tempo. E’ uno spaccato di vita della durata di appena 30 secondi che proietta, come in una passerella di alta moda, una generazione che si accontentava di piccole cose ma soprattutto un piccolo scrigno di gente perbene. Geniale!

(Mimmo Rapisarda)

 

 

scene girate ad Acitrezza, Pozzillo, Acireale

 

LA PRIMA NOTTE DEL DR. DANIELI, INDUSTRIALE COL COMPLESSO DEL GIOCATTOLO

Un film di Gianni Grimaldi. Con Françoise Prévost, Alfredo Rizzo, Saro Urzì, Lando Buzzanca, Katia Kristine, Linda Sini, Enzo Garinei, Carletto Sposito, Ira Fürstenberg, Ileana Rigano, Katia Christine, Renato Malavasi, Francesco Sineri. Genere Comico, colore 93 minuti. - Produzione Italia 1970.https://www.mimmorapisarda.it/cine/35.jpg
È una classica commedia erotica all'italiana: Carlo Danieli è un industriale siciliano, donnaiolo superdotato. Sposa la bella Elena, ma la prima notte di nozze scopre che la ragazza è ancora vergine. Abituato a frequentare donne di facili costumi, Carlo resta sconvolto dalla notizia al punto da non riuscire a concludere nulla.https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPG
Si confida con un medico, che però ha la chiacchiera facile: in breve la notizia si diffonde. Anche la madre di Elena, Donna Virginia, viene a saperlo dalla figlia, e raggiunge la coppia per cercare di aiutarli.
Carlo prova tutti i rimedi possibili, infilandosi in situazioni paradossali, infarcite di doppi e tripli sensi piuttosto grevi. Per cercare di ottenere l'effetto sperato, Carlo Danieli comincia a consumare una notevole quantità di acqua Pozzillo, all'epoca imbottigliata nell'omonima frazione di Acireale, considerata terapeutica per coloro che sono afflitti da problemi di erezione. Tuttavia non cambia nulla.
Sarà Donna Virginia a trovare la soluzione: per aiutare il genero a superare il complesso, pagherà una prostituta. Carlo ritroverà così la sua virilità e l'onore perduti.

 

 

 

 

 

 Esterni girati alle Terme S. Venera di Acireale

 

Anno: 1989 Genere: Commedia Durata: 89' Regia: Nanni Moretti
Cast: Nanni Moretti, Asia Argento, Silvio Orlando, Mariella Valentini, Alfonso Santagata, Claudio Morganti, Eugenio Masciari, Mario Patané, Luigi Moretti.


Michele Apicella, un deputato comunista trentacinquenne, giocatore di pallanuoto, sta attraversando una profonda crisi, sia per ciò che riguarda la sua fede politica che la sua stessa vita poichè ha perduto la memoria per un incidente e non si ricorda neppure chi è. Mentre gli altri non sembrano rendersi conto del suo stato, Michele partecipa ad una partita contro la squadra di Acireale, durante la quale, gli affiorano improvvisamente nella memoria i ricordi della sua vita passata. Eccolo, dunque, bambino, quando costretto dalla https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPGmadre e dall'arbitro a tuffarsi nella piscina, che lo terrorizzava, divenne, suo malgrado, un giocatore di pallanuoto. In seguito si rivede ventenne quando, comunista fervente, portava materiale di propaganda nelle case. Mentre la partita continua, e Michele gioca piuttosto male, nelle pause ai bordi della piscina egli parla con varie persone, fra cui un giovane cattolico assillante, che respinge costantemente, e una giornalista, che lo intervista su argomenti politici, ma che lo esaspera con le sue frasi fatte. Poi si vede nelle vesti di elegante deputato partecipare a Tribuna Politica, cercando però di ripetere sempre i soliti slogan, nei quali ormai più non crede. Intanto fra immagini del presente e del passato, la partita sta per essere vinta dagli avversari e la squadra di Michele tenta di risalire ad un pareggio. Ci riuscirebbe se proprio lui non sbagliasse l'ultimo tiro decisivo: una "palombella", un tiro insidioso, lento, a parabola che può sorprendere il portiere fuori dai pali. Deluso dalla vita, Apicella, allontanandosi, ha un altro incidente, da cui esce salvo e che gli consente di ricordare quando bambino rise, "senza ragione", vedendo in una manifestazione politica un simbolico sole rosso dipinto su di un grande cartellone.

 

 

 

 scene girate nella Riviera dei Ciclopi  ed Acireale

 

Italia (1973) - Drammatico, Erotico - 100 min. (colore) REGIA Fernando Di Leo  SCENEGGIATURA Fernando Di Leo, ...CAST Lisa Gastoni Maurice Ronet Jenny Tamburi, Pino Caruso

Da molti anni giornalista in Francia, Giuseppe Laganà torna nella natia Catania anche sospinto dal desiderio di rivedere Caterina, sua ex fidanzata che, ora, è vedova e madre dell'adolescente Graziella. Giuseppe riallaccia la relazione con l'antica fiamma e prende a frequentarne assiduamente la casa.https://www.mimmorapisarda.it/CINE/50.JPG
Ciò consente una vicinanza con Graziella che, affascinata dal quarantenne, inizia un'assidua opera di seduzione, divenendone presto l'amante. La scoperta della tresca, indispettisce la madre che, tuttavia, si rassegnerà a spartire l'uomo con la figlia.

L'entrata in scena di Rosina, un'amica coetanea di Graziella, sconvolge nuovamente il precario equilibrio. Giuseppe tradisce madre e figlia con la nuova arrivata e tanto basta perché Caterina impugni la pistola e uccida l'antico fidanzato.https://www.mimmorapisarda.it/CINE/49.JPG
Il ruolo della ragazza doveva essere interpretato da Ornella Muti, poi sostituita all'ultimo istante da Jenny Tamburi, pare per volere di Lisa Gastoni.
Di Leo ha dichiarato: "Quando vide Ornella la Gastoni ebbe quello che a Roma si dice lo sturbo. Aveva ragione. Anche cinematograficamente. Bisognava prendere una ragazza meno sexy di quanto fosse la Muti, altrimenti Maurice Ronet sarebbe caduto nel peccato. Mentre giocate così, con la Tamburi, le scene di seduzione della ragazzina, poco appariscente ma con la forza dell'adolescenza, funzionarono molto meglio".
I giornali dell'epoca riportarono la notizia di un uomo che morì d'infarto assistendo al film.

 

 

 

 

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CATANIA PRESENTE IN QUESTI FILM

 

 

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PAOLO IL CALDO  Original Soundtrack - Armando Trovajoli

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