Catania, a differenza di Palermo che è stata più araba e normanna, fra le antiche dominazioni in Sicilia è stata soprattutto una grande città romana. E’ anche vero che anche qui esistono testimonianze normanne e sveve come la Cattedrale e il Castello di Aci, ma quel che oggi si vede maggiormente alla luce sono le rovine romane o quel che è rimasto di esse. A coprire l’immenso circo, il decumano, i monumenti, i templi, le terme e gli interi quartieri coloniali ci pensò poi l’Etna nel 1669.

Come mangiavano a quel tempo i romani di stanza a Catania? Avendolo appreso già dai Greci, anche in Sicilia gran parte della popolazione – non tanto la plebe - consumava i pasti nelle “tabernae” (le nostre Putie) dove si consumavano cacciagione, carni, pesce, frutti di mare, murene in brodo, vino, zuppe. Veniva consumata così tanta roba alla brace che Domiziano, con un suo decreto, dovette eliminare questa usanza. Il poeta Marco Aurelio Marziale scrisse: “La strada (regno dell’Arrusti e mangia) di Catina non è più occupata da fumosi focolai (i cufuni), è tornata ad essere una colonia di Roma.”

Ecco dove nacque il nostro famoso Street food. Immaginate questa gente che prima, durante e dopo i cruenti spettacoli all’Anfiteatro di Catania, si avviava alle cosiddette Thermopolie (gli odierni bar)  e consumavano quel cibo sulla strada, velocemente e in piedi. Ma portavano a casa (take away) anche frittelle, lumache, molluschi già cotti, frutta secca, frittelle, focacce e …… pane. Già, il pane. Quello col grano siciliano.

L’Impero trovò in Sicilia e in Sardegna valli immense piene di frumento che potevano sfamare la lontana Roma, famosa la frase di Catone: “La Sicilia è il granaio della Repubblica, la nutrice al cui seno il popolo romano si è nutrito”.

Però i Siciliani non vennero trattati da Roma come alleati ma da sudditi veri e propri, obbligati a pagare un tributo annuale in grano e costretti ad obbedire. Così venne imposta la “lex frumentaria”, tributo che consisteva in una decima parte del raccolto: la cosiddetta Decima (civica decumana), poi sostituita con lo "stipendium", imposta sulla terra pagata in denaro perché il grano siciliano non era più indispensabile per Roma, avendo nuovi approvvigionamenti con le conquiste in Egitto e in Nord Africa. Ma il grano siciliano rimase il figlio prediletto del sole e lo sapevano bene sia i romani sia, nei secoli a venire, gli ebrei, gli arabi, i normanni, ecc.

Non mi dilungo perché non sono uno storico, né un esperto di grani antichi (consiglio https://www.facebook.com/Foodiverso) ma voglio soltanto spiegare a modo mio cosa rappresenti il pane per i catanesi, una passione che si può già cominciare a capire dal numero di panetterie (o panifici, come li chiamiamo) in città. Sono tanti, tantissimi, in via Plebiscito a decine uno vicino all’altro, a distanza di pochi metri. Non chiudono, anzi continuano alla grande con la loro rispettiva clientela.

Oggi si sono adeguati alla modernità. Più che forni sembrano delle vere e proprie rosticcerie, vendono pure spicciola gastronomia ma anche tavola calda in cui vengono usati altre impasti che però non hanno niente a che fare col pane vero e proprio, diversamente da Palermo dove concepiscono la tavola calda come ogni cosa che può essere infilata nel panino: dalla meusa alle panelle, dalla frittola alle stigghiole. Non scrivo delle scacciate e le focacce siciliane, che sono tutto un mondo a parte.

Non so se in altre regioni o città fanno così, ma a Catania il pane viene sfornato continuamente, quasi ogni tre ore. Il privilegio? Comprarlo che non si può nemmeno toccare e, appena a casa, staccare un pezzo di “vastedda” ancora bollente, aprirla e versarci sopra olio, sale e pepe. Quasi lo stesso procedimento per arrivare al famoso “pane cunzato”, senza bisogno di sedersi ai tavoli di Alfredo in quel di Salina. Per carità, anche da lui è ottimo, ma l’ho trovato un po’ troppo croccante e scomodo perché trasborda di contenuti a “cielo aperto”, quasi un'enorme fresella pugliese. Per questo, fra le cinquanta sfumature di pane cunzato siciliano, trovo quello catanese (ottime le sagre a Scillichenti, Piedimonte e Castiglione.) il più morbido e con pochi ed essenziali condimenti che ben si associano fra loro. Comunque, de gustibus.

Chi non ricorda la mitica curva ad Agnone Bagni, lungo la Statale per Siracusa? In quel bar vendevano il pane cunzato appena sfornato, tagliato a metà e condito con ottimo olio, origano, formaggio primo sale, cipollina e peperoncino …. prima di servirlo in fette enormi. Era qualcosa che non poteva mai mancare nelle colazioni al sacco di una volta. Ricordo che tempo fa, alla fiera dei Morti a Catania un gruppo di ragazzi stava portando alla cassa le vettovaglie per la gita dell’indomani (immancabilmente ‘o Milu!). Chiedono anche otto ciambelle da più di un chilo ciascuna. Scherzando, dico a uno di loro: "Ma tutte queste? Quanti siete, una trentina?" Un ragazzo mi risponde “semu ottu” e inizia a contarle, nominandole con l’indice della mano: "Iu, Ninu, Arazzio, Melo, Turi, Pippo, Giuvanni e Cicciu!" Fantastici!

Ma è quando si trova al panificio che il catanese dà il meglio di sé. Aspetta pazientemente il suo turno e quando arriva guarda il bancone pieno di roba tutta per lui, si avvicina alla vetrata appannata dal calore e procede alla sua performance come se stesse per recitare una commedia di Pirandello. E' già sul palco, quindi Primo atto.

Chi ha fretta può anche andar via perché se il cliente è quello giusto, il tempo che impiega per decidere cosa prendere è interminabile. Come un navigato perito, comincia ad indicare: “signorina, ci metta una schiacciatina … no, no quella, quella più vicina; appoi na mafadda, ca c’iaiu cori.. però con la ‘ciciulena’; poi ci mittissi n’panuzzu ca sugnu senza renti; un ferro di cavallo ben cotto…  anzi no, tolga il ferro di cavallo e ci mettissi u binocolo. Chi è u binoculo? i gemellini…. na coppia, va!”

Come scegliere dei pasticcini! Osservando, aspettiamo pazientemente la fine del primo atto.

Secondo atto. Arrivano quattro ragazzotti che ordinano dodici morbidoni per il loro spuntino al mare.

- “Mbare, abbastunu?”

- Cettu mbare, semu quattru: tri, sei, novi, ddurici! Giustu, no?

Mentre pagano arriva un ripensamento: “signorina, tridici! avemu a unu che è ‘ncintu!”

Mentre la clientela aspetta il suo turno mormorando “su carusi!”, la bella commessa al banco li serve ma, concentrata com’è sul servizio, non sente il ragazzo che sta per uscire e che intralcia l’accesso all’esercizio:

- “Ciao bella”. Da lei nessun segnale.

- “Ciao amore”. Da lei ancora niente

Lei solleva la testa solo quando un cliente le dice “signorinella bedda, avemu cchi fari, u salutassi picchi chistu non si nni va chiu! Pessi a testa ppi lei, no pa mafaldina!”

Terzo atto.

La stessa commessa perde tempo spiegando a una cliente alla cassa tutto il programma della prossima crociera: tariffe, cene col comandante, tappe ed itinerari. La signora che ha davanti le risponde con un album di personali ricordi, interminabili, che salpano da Genova, attraversano tutto il Mar Mediterraneo e attraccano a Palma de Majorca, perché uno dei grandi piaceri della vita è sempre quello di far capire a tutti che “ci sono stata anch’io!”, magari inventandosi situazioni che non esistono.

Il discorso si allunga fino a quando la nostra giovane crocierista dichiara ad alta voce quante cambiali Findomestic l’aspetteranno appena fuori dall’imbarcadèro della nave, a sbarco avvenuto. Nel frattempo gli astanti fanno finta di niente, indifferenti, ma in realtà nascondono una bramosa curiosità di sapere i fatti degli altri.

Però il tempo passa, qualcuno si spazientisce e arriva inesorabile, bruciante, geniale, qualcosa per cui noi catanesi siamo famosi e che ci appartiene. Da dietro la fila un uomo grida “Signorina, quannu sbarca a Santorini mu favurisci n’cucciddatu bellu abbruscatu?”.

In passato ho cercato di spiegarla ma non riuscivo a farla capire. Ecco, è questa la liscìa! Forse fra il frumento che ci razziavano i Romani (vedasi Sordi), i Borboni (vedasi Totò) o gli Angioini (vedasi Fernandel) è scivolato sulla terra catanese anche un pizzico di spirito di patata presente nel loro DNA.

Fine della commedia. Quando arriva il mio turno e sto per pagare arriva da fuori una giovane voce. Fra la risata generale dei presenti, con un sorriso smagliante che veniva di abbracciarlo, ritorna indietro il capo-gita con un ripensamento: “quindici! avemu fami!”

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A proposito, “abbruscatu” vuol dire “well-done!”

Preciso che non mi sono inventato niente. Sono tutte situazioni in cui ero presente, tutte perle che immediatamente mi appunto sul cellulare.

  

 

 

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I RUDI ROMANI SCENDONO IN SICILIA E NE FANNO IL LORO GRANAIO

I Mamertini, mercenari campani, furono al servizio di Agatocle di Siracusa fino al 289 a.C. quando, alla sua morte conquistarono Messina. I Mamertini chiesero aiuto a Roma contro nel 264 a.C. Ebbe cosi inizio la prima guerra punica. La conquista romana non fu indolore: nel 261 la splendida Agrigento, dopo un sanguinoso assedio, fu espugnata ed i suoi abitanti trucidati o venduti come schiavi.

Ai veterani romani come premio vennero assegnati vasti possedimenti, dando cosi origine a quella piaga siciliana dei latifondi, che dovevano scomparire solo negli anni Cinquanta del secolo scorso, sotto la pressione dei movimenti contadini. I Romani si stabilirono in una Sicilia dalle antiche tradizioni culinarie e in quasi otto secoli di dominazione hanno lasciato anche qualche traccia.

Roma raggiunse nel II secolo d.C. intorno a due milioni di abitanti. Una simile popolazione poneva enormi problemi per l'approvvigionamento di cibo e di acqua. Divenuta potenza globale, importava grandi quantità di derrate alimentari dalle sue province divenendo l'insaziabile "ventre del mondo".

I cuochi siciliani, fra tutti Trimalchio da Siracusa, erano ricercati nella Roma imperiale. I cuochi servivano l'aristocrazia e l'alta borghesia. La plebe, quando poteva mangiava puls di farro, un fossile vivente che ha dato il nome alla farina e oggi ritornato di moda, legumi, verdure. pane nero e qualche volta carne conservata sotto sale.

Il lievito, u criscenti che faceva crescere il pane lievitandolo, fino a pochi decenni fa in Sicilia veniva preparato e conservato con lo stesso procedimento che è riportato da Plinio nella “Naturalis Historia”. Sembra che la lievitazione sia opera degli Ebrei, anche se nelle festività consumavano pane azimo. Nell'Esodo (12, 39) si legge: “Essi fecero cuocere sotto forma di focacce azime la pasta che avevano portato dall'Egitto e non avevano potuto indugiare, né avevano fatto provviste. Gli Egizi producevano un pane bianco lievitato, l'hori, che veniva consumato dai nobili. Per millenni nel Mediterraneo il pane lievitato rimarrà appannaggio delle classi dominanti. Il popolo mangiava focacce azime fatte con un miscuglio di farina di grano, spelta, crusca, legumi, cereali e verdure che sono rimasti in Sicilia tra le poche possibilità alimentari fino alla prima metà del secolo scorso.

I nostri sformati affondano le radici. nelle torte salate di formaggio e di verdure che una costante nei banchetti romani. La 'mpanata con tutte le sue varianti siciliane (scacciata, scaccia, fuazza, pastizzo, u pistuni missinisi, la comisana mitilugghia, il siracusano scacciuni, l'in figghiulata di Rosolini) trova le radici nella pasta di pane farcita con formaggio e cotta al forno. La farcia nella 'mpanata dipende spesso dalla disponibilità degli ingredienti e dalla fantasia della massaia. “U chinu da 'mpanata” che Pirandello usa come metafora nel Berretto a sonagli, è sempre una sorpresa. Le 'mpanate siciliane, dove i sapori e i profumi sono nascosti in una dorata crosta di pane, sprigionano tutta la loro fragranza quando si affonda il coltello.

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Stralci provenienti da SPIGOLATURE STORICHE SULLA CUCINA DI SICILIA di Gino Schilirò – Aracne editrice 2019 – esclusiva concessione del Prof. Schilirò per il sito web mimmorapisarda.it - © tutti i diritti riservati

 

 

 

 

LA MAFALDA

Questo pane morbido, ma dalla crosta dorata e croccante, è uno dei prodotti da forno della gastronomia palermitana più venduti. Viene realizzato ancora secondo metodi tradizionali, e sembra possa essere di origini arabe, dato l’impiego della ‘giuggiulena’. Questo pane, particolarmente profumato, è infatti caratterizzato da due ingredienti fondamentali: farina di semola e semi di sesamo, che venivano indicati con la parola siculo-araba di ‘giuggiulena’, appunto.

Con questo termine vengono chiamate anche le rocce di arenaria locale; ad esempio quelle che formano la catena dei monti Iblei, per la loro facilità nello sfaldarsi, nel ridursi appunto della forma di piccoli ciottoli, quasi come semi di sesamo.

 La versione più probabile della storia però, afferma che questo pane sia stato in realtà realizzato nell’Ottocento, e che un maestro panificatore catanese l’abbia dedicato, nei primi del Novecento, a Mafalda di Savoia.

I semi di sesamo sono un ingrediente importante della cucina araba, dunque anche di quella di Sicilia; con i semi di sesamo viene infatti realizzata ad esempio la cubbàita, un dolce molto semplice a base di farina 00, farina di mandorle, zucchero, cannella e lievito, il cui impasto viene spesso aromatizzato anche con semi di anice e zafferano, altro ingrediente di origini arabe. Ma l’elemento principale è appunto la giuggiulena, che dà il secondo nome a questo dolce natalizio; tocco finale glielo dà il miele, che viene utilizzato per fissare i semi sulla pasta, che verrà poi fritta in olio ben caldo.

 Allo stesso modo la tahina, cioè la pasta ricavata dai semi di sesamo, viene utilizzata in larga parte da altre Nazioni che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, per realizzare la nota halva; insieme a miele o zucchero, la tahina viene utilizzata nei Balcani per realizzare dolci tipici. Questi semi, oleosi e nutrienti, sono anche gli ingredienti fondamentali dei dolci tipici del Ramadan, la festa islamica che implica un digiuno della durata di un mese, dal tramonto fino all’alba del giorno dopo, come la chebakia, dolce tipico della zona del Marocco.

 Con il nome di Mafalda, viene realizzato a Galatina, nel Salento, che spesso condivide con la Sicilia una storia di tradizioni, anche culinarie, e parte delle origini della lingua, un dolce. Questo dolce però non ha niente a che vedere con la Mafalda palermitana, né con la cubbàita, perché non viene né fritto né posto in forno: è infatti un dolce freddo e dalle origini piuttosto recenti: è stato infatti realizzato negli anni Cinquanta del Novecento, ed è stato inserito nella lista del P.A.T., i prodotti agroalimentari tradizionali d’Italia.

 Il pane palermitano, presenta poi un’altra caratteristica fondamentale: la sua forma. Viene infatti spesso foggiato dando una curiosa forma a S, che dovrebbe formare ‘gli occhi di Santa Lucia’. Allo stesso modo, quando la parte superiore del panetto viene tagliato in due punti prima della cottura, va a formare ‘la Corona’; nei punti incisi infatti, il pane si andrà ad aprire grazie al calore del forno, fino a disporsi con una forma a ventaglio.

Il pane stava anticamente a rappresentare l’abbondanza produttiva; spesso utilizzato come elemento celebrativo di un buon raccolto, è andato a fondersi nel tempo con le tradizioni Cristiane, per cui rappresenta il Corpo di Cristo. Durante le festività che vengono organizzate in occasione di Santa Lucia, ad esempio, è tradizione non mangiare pane né pasta. Ai fedeli, nel giorno della festa del 13 dicembre organizzata in Siracusa, i sacerdoti usano distribuire la cosiddetta cuccìa, un dolce a base di grano cotto e ricotta di pecora, mentre durante le Festività, più pagane, del 17 marzo che commemorano San Patrizio, in molti centri di Sicilia è uso preparare dei ‘grossi altari’, ovvero tavole imbandite, arricchite con ogni tipo di alimento, tra cui anche il noto pane di Ramacca comune in provincia di Catania, conosciuto in tutta Europa per la sua antica, radicata e abbondante attività cerealicola.

 Questo prodotto da forno, che deriva dalla famosa varietà sen. Cappelli, viene realizzato ancora con lievito naturale messo a cuocere in forni in pietra con riscaldamento a legna; anche per questo, Ramacca viene definita la ‘Capitale del Pane’.

Il comune di Monreale invece, in provincia di Palermo, è l’area di produzione del tipico pane dal nome omonimo, inserito, nel 1999, nelle liste dei prodotti agroalimentari tipici (P.A.T.). Questo prodotto da forno, dalla crosta dorata e croccante, viene realizzato quasi esclusivamente a base di semola di grano duro, sale, acqua e sesamo, ed è infatti da realizzarsi ancora secondo i metodi tradizionali, che includono una lievitazione naturale di all’incirca due ore, al termine della quale le forme vengono depositate a riposare in ‘cannistri’ di giunco; la cottura inoltre, dev’essere a legna ad una certa temperatura, che si aggira intorno ai 300-320 °C. Il pane di Monreale, con la sua caratteristica mollica morbida e giallastra, viene spesso lavorato in diverse forme e dimensioni, anch’esse rigorosamente stabilite.

http://www.siciliafan.it/mafalda-pane-tipico-siciliano/

 

Pane cunzatu, l’originale ricetta siciliana

 

La versione catanese del pane condito alla siciliana. Pani Cunzatu di Scillichenti, una delizia 100% Made in Sicily.

Il pane “cunzato” è una specialità della nostra isola.

A seconda della provincia, si prepara in modo diverso, ma sempre delizioso.

Non si finisce mai di conoscere la Sicilia e le sue strepitose proposte enogastronomiche. Tra le ricette più amate, quelle che riescono davvero a mettere d’accordo tutti, c’è sicuramente il pani cunzatu. Anche se dubitiamo del fatto che qualcuno possa ancora non sapere di cosa si tratta, facciamo insieme un piccolo “ripasso”. È un panino imbottito (il nome significa “pane condito”), farcito con ogni ben di Dio. La ricetta originale prevede ingredienti semplici, come pomodoro, buon olio e formaggio, ma ormai ne esistono infinite varianti. A seconda della provincia, si utilizzano formati di pane e prodotti diversi che, naturalmente, esaltano le eccellenze locali.

Se vi trovate a passare dal Catanese, proprio non potete esimervi dal provare ‘u Pani Cunzatu di Scillichenti. Scillichenti è una piccola frazione marinara, tra i comuni di Acireale e Riposto. A quanto pare, deve il suo nome così particolare al verbo siciliano “sciddicari“, cioè “scivolare”. Il riferimento è alle frequenti cadute delle povere bestie da soma che procedevano sulle rocce laviche per trasportare i prodotti. Questa piccola frazione vede, ormai da decenni, un vero e proprio viavai di persone, che arrivano appositamente per assaggiare il pani cunzatu.

Fonte Siciliafan.it

 

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E' una preparazione che ormai sta scomparendo dalle tavole siciliane, lasciando il posto a tartine e bruschette, che, per carità sono buone, ma non hanno quella forte connotazionedella cucina povera siciliana Per me è una delle cose più buone che possano esistere: sarà perchè legata ai ricordi di infanzia. Anche questa ricetta serviva a recuperare e a non buttar via il pane raffermo di 2-3 giorni. La particolarità di questa ricetta semplicissima è che da infinito spazio alla fantasia. Infatti una volta preparatp il pane fritto, lo puo condire come vuoi, puoi farne un appetizer salato o un dolce per la merenda.Ingredienti per 4 persone
10-12 fette di pane raffermo(quello di pasta dura modicano sarebbe l'ideale, latte - olio extravergine d'oliva

Preparazione
In una teglia larga adagiare le fette di pane e bagnarle con il latte e farle ammorbidire. Attenzione a non versare troppo ltte perché, poi, le fetto potrebbero disfarsi.
Sgocciolate le fette di pane dal latte in eccesso e ponetele in una padella in cui avrete fatto scaldare l'olio d'oliva.
fatele friggere dorandole uniformemente da ogni parte; quindi mettetele su un piatto con carta assorbente da cucina per elimare ogni eccesso d'olio.
Ora non resta altro che dare sfogo alla vostra fantasia.
se volete consumarlo nella sua versione salata basta salare ogni fetta, metterci sopra una fettina di mozzarella ed una spolverata d'origano, oppure adagirvi una piccola fetta di mortadella o salame, o una fettina di ricotta ed un tocchetto di salame, o ancora, per chi le ama, una fettina di formaggio forte ed un filetto d'acciuga.

Se invece ne volete fare un dolcetto sfizioso potete solo spolverarlo di zucchero, oppure spalmare le fette con miele o marmellate varie, o preparare della ricotta dolce e con questa spalmare le fettine, magari grattugiandovi sopra del cioccolanto fondente.

 

Ebraico è il pane fritto. Una variante del pane fritto è "u pani cunsatu", uscito fumante dal forno e condito con olio, pepe, origano e sale. (da "I sapori lontani della cucina siciliana" di Gino Schilirò - Lancillotto e Ginevra Editori

 

 

 

 

 

Ricetta Pane Cotto: Ricette di FraGolosi

PANI COTTU

Ingredienti      500 g di pane raffermo    300 g di pomodori maturi    2 spicchi d’aglio     1 ciuffo di prezzemolo     Olio d’oliva, sale, pepe.

 Preparazione

 La brava massaia non butta mai il pane avanzato, ma lo conserva per il panicottu, che può prepararsi "in bianco", solo con l’olio ed il prezzemolo, o anche col pomodoro.

 Soffriggere in casseruola l’aglio schiacciato col prezzemolo, poi aggiungere i pomodori a pezzetti. Aggiungere due litri d’acqua, salare, e quando bolle gettarvi il pane raffermo a pezzetti; farli sobbollire solo per qualche minuto, se no si disfano completamente. Spegnere la fiamma, condire con un filo d’olio crudo e pepe. La zuppa, senza il pepe nero, è adattissima per i bambini e gli anziani che hanno problemi di masticazione. Facoltativa una grattugiatina di formaggio.

 

 

 

 

Pane fritto dolce - ricetta facile ed economica | RossellaInpadella

PANE FRITTO CON LO ZUCCHERO

Il pane fritto con lo zucchero è una buonissima ricetta siciliana d'altri tempi, che per molti ha il sapore dell'infanzia. Tanto semplice, quanto golosa, è una preparazione perfetta per la merenda, che ha anche il pregio di riciclare il pane avanzato ed evitare quindi gli sprechi. Prepararlo è davvero semplice ed oggi abbiamo deciso di riproporvelo perché può essere un ottimo modo di far riscoprire ai più piccini dei sapori tradizionali siciliani che ormai sono un po' finiti nel dimenticatoio. Anche i più grandi potranno concedersi una dolce pausa, pensando a mamme e nonne.

Ingredienti

500 g di pane raffermo a fettine 4 uova latte q.b. olio extravergine d'oliva zucchero semolato Tempo di preparazione 10 minuti

Procedimento

Intingete velocemente le fette di pane nel latte, quindi passatele nelle uova sbattute e fate sgocciolare bene. Friggete le fette in abbondante olio caldo, fino a completa doratura, quindi estraetele e mettetele su carta da cucina, in modo che perdano l'unto in eccesso. Cospargete ciascuna fetta con zucchero a piacere e servitela calda.

 

U PANI CCU ZUCCURU

 

Carusi, vi riurdati , cchi era, 'na vota, ppi nuatri, chistu, ca viditi ?

Quannu non ci nn'erunu briosci !? Chistu, era 'a nostra culazioni, a matina,

e, macari ô pomeriggiu, si aveumu fami !

U pani ccu zuccuru, oppuru 'u pani ccu l' ogghiu !

Mi riordu ca, certi voti, (non sempri), u pani, û bagnaumu ntô vinu, addirittura !

Cu(i) era cchiù fortunatu, a matina, si mangiava 'u pani ccu latti !

Quannu iù era nica, quannu ancora  non passavunu tanti machini, a Belpassu,

ca è u me paisi, a matina, passava, certi voti,  'u picuraru, cchi pecuri d'appressu !

Me matri s' affacciava, ccu na buttigghia, o ccu na pignatedda, ppi farisi dari 'u latti,

e iddu 'u mungeva a ddu mumentu ! Ma cchi sapeva ! Chiddu era latti !

Non c'era abbunnanza, di ddi tempi ma,  nuatri picciriddi, erumu cuntenti, u stissu !

Non ci faceumu  casu, ca tanti famigghi  erunu puureddi ! Picchì cci nn'erunu tanti,

na ddi cundizioni ! Jiucaumu ed erumu cuntenti !

 

 a cura della pagina Facebook U  LUPPINARU https://www.facebook.com/uluppinaru

 

 

 

 

 

Biscotto molto cotto aromatizzato al seme di anice. Il biscotto a "s", conosciuti anche come "biscotti della monaca", può essere considerato il biscotto "catanese" per antonomasia. Infatti, generazioni di catanesi sono cresciute con il biscotto ad "s" ridotto in polvere e preparato a "pappa".

 

Luogo di Produzione : Catania
Produttori: Biscottificio Arena Giovanni SS 121 Km 9 Contrada Vazzano
I Dolci di Nonna Vincenza G.P. Srl Piazza San Placido n. 7
Pasticceria Rundo Salvatore & C. Snc Via G. Oberdan n.113

Dolciaria Antonino Valenzano Via M. di San Giuliano, 106 - 95024 Acireale (CT)

Dati Organolettici Forma: A esse Sapore: Mediterraneo Crosta: Liscia Odore-profumo: Di semi di anice Colore: Biscottato uniforme Pasta: Croccante
Caratteristiche del Prodotto: Caratteristiche al consumo: Prodotto con lievito naturale, privo di conservanti.

Valori: Umidità(130°c per 30) % <0,1 proteine totali (n x 6,25) % 7,8 carboidrati % 77,5 grassi % 10,3 valore energetico medio per 100 g Kcal 433
Produzione: Tutto l'anno. Storia e curiosità del prodotto: Ricetta esclusiva della Ditta Arena di Catania.
Un'ava della famiglia Arena, monaca di casa, sul finire dell'800, insieme alla nipote fondatrice dell'azienda, inventarono la ricetta di questo antico biscotto.
Uso Gastronomico: Può essere consumato durante tutta la giornata, ottimo come snack. Come dopo pasto si accompagnano bene a vini dolci da dessert.

 


 

 

 

 

 

 

La Brioscina Tomarchio a Catania è un must. Un'entità mitologica.

Tu la vedi per la prima volta (i Catanesi la vedono per la prima volta ad 1 mese di vita, quando la mamma gliela sbatte dentro al biberon ca u picciriddu à crisciri) e pensi vabbè è un muffin. Col cavolo! La Brioscina Tomarchio prende il muffin più buono e sofficioso e scioglievole che abbiate mai assaggiato e gli sputa in un occhio.

Perchè la Brioscina Tomarchio è molto di più. Il popolo Catanese da secoli si interroga sulla composizione dei suoi ingredienti, ma il signor Tomarchio ha già fatto sapere che, a tempo debito, si trascinerà la ricetta nel sepolcro funerario, esattamente come il signor Nutella e il signor Coca Cola.

Perchè quando tu apri la Brioscina Tomarchio, stacchi la cartina con occhi luciferini e affondi gli incisivi in quel bendiddìo profumato di vaniglia, se ti va bene vedi santa Rita da Cascia che si lancia col bungee jumping.

Poi continui a mordere e masticare e mordere e godi come se stessi prendendo a pedate nelle tempie Alessia Fabiani.

Quando azzanni la parte centrale, quella più alta e soffice, vedi Cannavaro nudo tra lenzula di seta che ti sussurra Voglio farti impazzire baby. Il mistero che avvolge la Brioscina Tomarchio si infittisce sul tema della sua diffusione. Pare sia impossibile trovarla fuori dall'interland catanese, e qui chiamo a testimoniare Aretusei, Buddaci, Palemmitani e Siculi vari.

Perchè? Perchè negare al mondo intero la possibilità di girare per casa alle 3 di notte, con l'afa che ti fa sudare come un bisonte nella sauna finlandese, entrare in cucina e spararti l'apoteosi dell'apoteosi del godimento, la Brioscina Tomarchio con la Nutella?

Che crudeltà è mai questa? Perchè la Brioscina Tomarchio di notte non fa ingrassare. Testato.
Tu acchiappi la Brioscina, ammazzi una zanzara, acchiappi il barattolo di Nutella, ammazzi due zanzare al salto, acchiappi il coltello, stermini una famiglia di zanzare lanciando le ciabatte come le stelline ninja e dai il via alla spalmazzata di crema nocciolosa dentro, fuori, sopra e di lato.
Crepi l'avarizia!

Perchè la Brioscina Tomarchio con la Nutella è come prendere Jenna Jameson e Asia Carrera e chiderle a chiave nel box doccia.

Poi dice perchè le siciliane hanno i fianchi larghi. 

Per non parlare poi della ricetta segreta delle notti Catanesi. Quelle notti in cui possibilmente hai il ciclo e vai in cerca di zuccheri come Satana in mezzo ad uno stuolo di vergini. Quelle notti in cui possibilmente ti sei già fatto fuori un bel panino della camionetta wurstel doppio formaggio parmigiana patatine tomato e maionese (affronteremo meglio il tema in un post apposito) ed hai lo sfrìccico del dolce.

Cosa c'è di meglio del leggendario frappè alla Nutella? Vi elenco solo gli ingredienti: Brioscina Tomarchio, Panna e Nutella. A tonnellate. Sbattuti dentro al frullatore. Shakerati. Una colata di crema nutellosa con pezzetti sparsi di pandispagna da sciogliere sulla lingua. 7000 calorie di puro godimento ad ogni singola, voluttuosa cucchiaiata. Mi dicono sia divino, ma non l'ho mai assaggiato che io alla linea ci tengo.

da LA SVITATA BLOGSPOT http://lostris18.splinder.com/post/12929855

 

 

 

di Giuseppe Valerio (In Viaggio allegato a La Sicilia - dic. 2008

 

Le feste di fine anno sono un'occasione per riscoprire l'enorme patrimonio gastronomico siciliano. Protagoniste scacce, scacciate, 'mpanate, sfincioni e cudduruni, variazioni sul tema delle tradizionali delizie da forno

Prima a che diventassimo tutti dei soggetti ipernutriti, grondanti colesterolo e etti di sovrappeso, le Feste di
fine anno erano l'occasione "per farsi una bella mangiata".
Secondo la tradizione siciliana, le celebrazioni, e con esse le tavolate, iniziano con l'Immacolata, l'8 dicembre, giorno festivo dedicato alla realizzazione del Presepe e dell'Albero di Natale. Dopo un breve periodo di "riposo gastronomico", ecco arrivare la sera della vigilia. La cena del 24 dicembre, sempre secondo la tradizione, dovrebbe essere "di magro": pasta con le acciughe, baccalà e bastaddi affucati. In molte zone della Sicilia, per non dire la gran parte, però si preferiva, e si preferisce ancora, deliziarsi con focacce ripiene cotte in forno. Detta così, però, non si avverte la minima poesia (perché in fondo è di questa che stiamo parlando): il termine focaccia è italiano ed è praticamente inutilizzato dalla tradizione siciliana che invece si esalta con scacciate, scacce, 'mpanate, cudduruni, fuate, fuazzedde, sfincíoni e altre delizie.
Di fatto esiste un termine preciso per ogni luogo ma la zona geografica è generalmente molto limitata. Un esempio classico è quello di Catania e Misterbianco. I due centri sono confinanti, eppure se nel capoluogo si mangiano le scacciate, nel grosso centro etneo si preferiscono le 'mpanate. E non si tratta di due nomi diversi dati alla stessa pietanza, le differenze di realizzazione sono sostanziali. Lo sfincione di Palermo è completamente diverso da quello catanese (il primo è una sorta di pizza salata, il secondo è fatto con riso e zucchero), e via dicendo. Il dato positivo è che a tutte le longitudini è tutto buonissimo.
Così, nella provincia iblea, imperano le scacce. Premesso che sono a loro volta diverse da scacciate e 'mpanate, sia per "filosofia costruttiva" che per gusto (ma ancora una volta una delizia per il palato), tutte queste realizzazioni da forno non possono più essere considerate un piatto tipico, e soprattutto, esclusivamente natalizio. Durante tutto l'anno, anche nei mesi estivi, è infatti ormai possibile trovare il panificio che realizza focacce ripiene.
Ma semel in anno licet insanire, dunque a Natale
, se abbiamo avuto la forza di non abusarne durante il resto dell'anno, pensiamo a goderci le prelibatezze della cucina siciliana in tema.
Le scacciate catanesi, ad esempio, per tradizione dovrebbero essere due semplici dischi di pasta di pane sovrapposti e farciti con tuma e acciughe, nella loro versione più povera, o con cavolfiori, olive e acciughe in quella più elaborata. Accreditata anche una versione con salsiccia, cipolla, olive e pomodoro a filetti, ma in realtà oggi le scacciate sono condite esattamente secondo il gusto dei commensali: se ne trovano facilmente farcite al prosciutto, con ricotta e spinaci, con funghi e salsiccia, insomma senza limiti alla fantasia de
l cuoco e col risultato sempre garantito di soddisfare tutti.
La scaccia ragusana viene lavorata con un apposito mattarello, u lasagnaturi: si tira una sfoglia rotonda, larga e piuttosto sottile di pasta di pane lievitata, quindi viene condita a piacere e ripiegata a più riprese fino a prendere la forma di una borsa a busta. Le scacce sono chiuse con un ricamo di pasta detto riefico. Il condimento varia secondo gli ingredienti stagionali: la base è il pomodoro condito con basilico fresco e il caciocavallo, con una spruzzata di olio d'oliva, sale e pepe, le varianti sono la melanzana, la cipolla, la ricotta, le patate, il prezzemolo.
Piatto di festa sono anche le 'mpanate, spianate di pasta con pane a forma di mezzaluna o circolari, ripiene di brocco e spinaci nel periodo natalizio, di baccalà alla vigilia di Natale, di agnello alla sera del sabato santo. Ma in alcune zone, soprattutto a Natale, vengono realizzate 'mpanate ripiene anche di patate.
Ma la madre di tutte le focacce, quella più antica e tradizionale, è la "facci 'i vecchia" (faccia di vecchia), prepara con pasta di pane lievitata, olio extravergine di oliva, origano, sale e niente altro. Un piatto povero ma di indubbio
gusto che ha fornito la base per la realizzazione di tutte le "varianti sul tema" di cui abbiamo disquisito sino ad ora.
Figlio diretto della facci 'i vecchia è la fuata", una sorta di pizza spessa, con unico condimento un po' di pomodoro, cipolla e acciuga.
Nella Sicilia occidentale, nella zona del palermitano soprattutto, lo sfincione è il piatto del menù delle vigilie più importanti nel ciclo natalizio.
Si tratta anche in questo caso di una sorta di pizza molto spessa, condita sobriamente con cipolla, pomodoro, acciughe, origano e pan grattato, che ha la particolarità, secondo molti, di diventare più buona e gustosa uno-due giorni dopo la sua cottura. Secondo una certa tradizione, anzi, andrebbe preparata e poi lasciata appoggiata sul pavimento anche per un paio di giorni Le focacce della tradizione siciliana non sono certo tutte qui: ogni città, ogni singolo paese ha la sua ricetta tipica e le sue varianti sul tema. E andarle a gustare tutte è la vera sfida.

 

SFINCIONE PALERMITANO

"U Sfinciuni" è un tipico piatto palermitano, caratteristico del periodo natalizio; un equivalente siciliano della Pizza Napoletana.

Pietanza povera per la nostra cucina, nasce dalla necessità di non presentare, per le feste, il solito Pane, ma qualcosa di diverso, in una veste intonata alla circostanza.
Lo dice nella sua struttura (farina e lievito) probabilmente araba, mentre il suo nome è stato attribuito in Sicilia.
Si definisce tale con il nome sfincia qualcosa di soffice come recita il detto: "e' muoddu comu na sfincia" (è morbido come una sfincia).
Molte le sue varianti: si pensa che lo sfincione sia stato inventato, da alcune suore, all'interno del monastero di San Vito a Palermo.
A Palermo i semplici elementi base vengono arricchiti con della salsa di pomodoro ed altri ingredienti come acciuga e caciocavallo che danno loro un sapore diverso.
In alcuni paesi del palermitano, lo sfincione rappresenta il "pane e companatico" di origine contadina. A Bagheria è il tradizionale piatto principale del menù che si prepara il giorno prima di ogni festa natalizia (Immacolata, Natale, Capodanno ed Epifania).
La preparazione di questi sfincioni avviene esclusivamente in questo periodo, tranne, come riferisce il Pitrè, soltanto quando ci si preparava per la festa del fidanzamento, il cosiddetto "appuntamientu", che avveniva in casa della promessa sposa.

A Palermo anche lo sfincione è uscito dal tempo mitico della festa per entrare in quello ordinario.
Ora si può acquistare tutti i giorni, tanto è presente in ogni rosticceria e nelle caratteristiche bancarelle o motolape che circolano per le vie della città decantando la sua bontà: "accattativi u sfincionello..." caldo e soffice con un pizzico di origano, la mano svelta e competente lo irriga con un sottile filo d'olio di oliva per l'avventore di turno.

INGREDIENTI

1 Kg di farina 00 - 1/2 Kg di farina di grano duro 5 gr di lievito di birra 1 cucchiaio di sale 1 cucchiaio di zucchero 120 gr di strutto
acqua tiepida quanto basta 

Per la salsa:due kg cipolle tagliate a filettini sottili e leggermente stufate una dozzina di sarde salate salsa di pomodoro a ricoprire la pasta
pangrattato caciocavallo a dadini origano olio extra v. di oliva

Preparazione

Si setacciano insieme le due farine, e si fanno ricadere in un ciotolone. Si aggiungono il sale, lo zucchero, e il lievito sbriciolandolo con le mani insieme alla farina. Si comincia a versare acqua tiepida, sempre mescolando, finchè non si ottiene un impasto. Si trasferisce l’impasto su una spianatoia, un tavolo, o comunque una superficie non troppo fredda e ben infarinata e si aggiunge lo strutto. Si impasta con energia, usando il palmo delle mani, e aggiungendo un po’ di farina se si attacca, per circa venti minuti, finchè la pasta non è liscia, soffice e piacevole al tatto. A questo punto, se ne fa una palla, si rimette nel ciotolone infarinato, ci si fa su un taglio in croce, e si copre con un tovagliolo.
Si lascia lievitare in un posto tiepido per un paio d’ore, poi si rimette sulla spianatoia, si rimpasta, e si rimette a lievitare per almeno un’altra ora. A questo punto, si stende delicatamente, allargando la pasta con le mani e si dispone nelle teglie rettangolari (questa è una dose per circa due), si oleano per bene, e si ricoprono con la salsa di pomodoro. Se possibile meglio farlo lievitare in teglia un’altra mezz’ora, dopodichè aggiungere la cipolla, le sarde e infornare a 180°, per mezz’ora o più (dipende dal forno).
A metà cottura versare il caciocavallo a dadini e ricoprire tutto col pangrattato.

 

M'PANATA SICILIANA

La prima descrizione è per la pasta e la seconda per il ripieno.

1) Pasta: 1/2 Kg di farina; 1cubetto di lievito di birra; 4 cucchiai di olio di oliva; 2 cucchiaini di sale;
1/2 cucchiaino di zucchero; poi diluite il tutto con dell'acqua tiepida.
2) Ripieno: 1 kg di patate; 300 gr di salsiccia; 1cucchiaio di concentrato di pomodoro; 1 cipolla tagliata sottile; 1spicchio di aglio; parmigiano grattugiato e per finire; 200 gr di pepato fresco primosale ( il primosale è il secondo passaggio dopo che la ricotta è stata privata del siero, quindi si passa al primo sale. 
PREPARAZIONE

Su una spianatoia versate a fontana la farina con il sale. Unite al centro lo zucchero, il lievito di birra sciolto in poca acqua tiepida,l'olio e incominciate ad impastare aggiungendo acqua a sufficienza per formare un panetto liscio e morbido.
Mettere a lievitare per 2 ore circa. Intanto cominciate a preparare il ripieno. Pelate ed affettate le patate e mettetele a soffriggere in una padella con un po'di olio poi, appena saranno cotte e dorate, toglietele dall'olio e mettetele a riposare.
Nella stessa padella fate dorare la cipolla con l'aglio. Unite la salsiccia privata della pelle e sbriciolata, le patate che avevate messo da parte, lasciate cuocere 5 minuti quindi, aggiungete il concentrato di pomodoro. Mascolate bene e sfumate con poco vino, ora il sale ed il peperoncino. Lasciate cuocere 10 minuti a fuoco basso. 

Ora riprendete il panetto, poggiatelo sulla spianatoia e lavoratelo ancora per circa 5min. Stendete con il mattarello il panetto,ricavatene 2 dischi.
Ricoprite con un disco di pasta una teglia imburrata ed infarinata poi disponete all'interno il preparato e il primosale tagliato a cubetti, spolverate con abbondante parmigiano, coprite con l'altro disco, punzecchiate la superfice con una forchetta e fate riposare per 2 ore e .....per ultimo spennellate la superfice con olio di oliva e infornate a 200°C per un'ora circa.

 

PITONE MESSINESE

Le origini storiche del pidone (o pitone) alla messinese

7 settembre 2015 - 11:31 | Di lagana_domenica@tiscali.it | Categoria: Storia, miti, leggende e curiosità

In Sicilia risulta sconosciuta la parola PITONE per indicare questa specialità della ROSTICCERIA. Il PITONE invece è molto diffuso a Messina e provincia, preparato anche nei panifici e nelle pizzerie. Il PITONE ha degli ingredienti precisi che gli danno un sapore unico: FARINA e acqua per l’impasto, VERDURA (indivia = scalora riccia), FORMAGGIO, OLIO, SALE. La preparazione è fatta anche in casa in occasione di feste che ricordano un rito ANTICO. La forma più comune è a mezza luna, ottenuta piegando a metà 100 grammi di pasta di forma circolare, fritta nell’olio si presenta di color giallo oro, spesso è cotta anche nel forno, con gli stessi ingredienti. Il nome, apparentemente, non ha nessun nesso con la specialità e, usciti dall’area del messinese, l’appellativo PITONE è sconosciuto. Questa focaccia “chiusa” (“calzone”) ha molte versioni: esiste anche a Malta (PISTAZZI: ripieno di piselli triturati); dalle isole Baleari (COCARROI: ripieni di verdure varie) alla Turchia; fino in Cina (WONTON: con verdure); solo nella zona di Messina ha conservato il nome di PITONE. La farina di FARRO era usata in SICILIA anche per fare le focacce da offrire agli dei, 25 secoli fa. Il FARRO è uno dei primi cereali coltivati dall’uomo, dal FARRO si è sviluppato il frumento. I PITONI fatti con FARRO e VERDURE, salvano le proprietà alimentari di fibre, sali e vitamine. Presso i romani si preparava il LIBUM per i matrimoni:ricotta di pecora o caciotta grattata, farina di FARRO, olio d’oliva per la frittura, foglie d’alloro, sale. La sposa lo preparava e lo regalava allo sposo. Quel nome che ancora oggi identifica IL PIU’ GRANDE DEI SERPENTI, 28 secoli fa indicava un DRAGO MARINO DI FORME SERPENTINE. Le sacerdotesse di questo culto del DIO-DRAGO-SERPENTE-PITONE erano la PIZIE o PITIE (latino). Nel periodo greco le PIZIE furono associate al culto del dio APOLLO, simbolo della bellezza maschile. Nell’antichità, oltre ai giochi olimpici, esistevano i giochi PITICI in onore di Apollo. Le PIZIE avevano il compito di gestire il tempio del dio e davano consigli in virtù della loro dote esclusiva di prevedere il futuro, erano capaci di PRO-PIZIARE il futuro. Questa loro attività fu in seguito acquisita da sacerdoti maschi, famoso era l’oracolo di Delfi e prima la PIZIA di Delfi. Le PIZIE, prima di rispondere ad un quesito, masticavano foglie di LAURO (alloro), che causava uno stato di estasi mistica che gli permetteva di “indovinare” il futuro. In molti paesi della Sicilia, numerosi nella provincia di Messina, si portano rami di LAURO in processione durante feste interamente dedicate all’albero del LAURO. Il lauro dava alle PIZIE una carica percettiva speciale che PRO-PIZIAVA gli dei, placava la loro ira. Per rendere favorevole la divinità alle varie richieste, i fedeli portavano doni originali fatti con le loro stesse mani . Il FARRO ed il LAURO erano le componenti principali. Portavano in dono queste FOCACCE ancora calde, ripiene di quanto di meglio si potesse offrire. Questi “doni” erano lasciati sull’altare del tempio. Ovviamente non sempre il dio del PITONE consumava questi doni di cui erano pieni gli altari di tutti i suoi templi, per questo lo PIZIE, esclusivamente impegnate nei riti, gradivano i doni molto più del loro dio e conseguentemente ne conservarono la ritualità e la preparazione. Queste focacce ripiene di ingredienti vegetali erano proprio il CIBO DEGLI DEI. Il culto di DIONISO era sempre accompagnato dal LAURO e dalla VITE. DIONISO, significa figlio di dio, muore su un palo e dopo pochi giorni resuscita, i suoi riti si celebravano con il pane ed il vino. Il TEATRO era il luogo ove si tenevano le rappresentazioni dedicate a Dioniso e dove si mangiavano anche queste focacce, appunto i PITONI di farro ripieni di verdure ed il pane di farro.

Molti inseriscono tra gli ingredienti del PITONE i pomodori, ma al tempo del culto di DIONISO, non esistevano. I pomodori sono arrivati in Europa dall’America nel 1492 dopo la “scoperta” di Colombo, erano ancora verdi e velenosi per l’uomo per via della verdina, successivamente diventarono commestibili coltivati al sole del Mediterraneo.

http://www.nonsolocibus.it/le-origini-storiche-del-pidone-o-pitone-alla-messinese/

 

 

U PASTIZZU DI MODICA

 U pastizzu di modica è il tradizionale “pasticcio” del capoluogo ragusano preparato per la Vigilia di Natale. Viene preparato, tuttavia, in qualunque altro periodo dell’anno.

“U pastizzu di Modica” è, in parole più chiare, la focaccia, preparata con con una friabilissima pasta all’olio ed un ripieno di cavoli, salsiccia e caciocavallo, caratteristica della citta di Modica, in provincia di ragusa.

Caratterizzato da un sapore decisamente forte ed autentico, non deluderà nessuno… unica raccomandazione è quella di essere pronti ad assaporare un piatto tanto buono quanto “impegnativo”… non è propriamente leggero!!! 😉

Detto questo, al via la preparazione…

INGREDIENTI per una focaccia rettangolare di cm 30×22

Per PASTA all’OLIO Acqua ml 200 Farina 00 g 400 Lievito di birra a panetto g 20 Olio di semi di arachide ml 60 Sale 1 e 1/2 cucchiaini

Per RIPIENO

Aglio 1 spicchio Caciocavallo (o provolone semipiccante) g 100 Cavoli (puliti) kg 1 Olio extravergine di oliva 3 cucchiai Olive nere una ventina Pecorino grattugiato g 50 Salsiccia di maiale g 150 Sugo di pomodoro (pronto) 1 cucchiaio abbondante

PREPARAZIONE

Iniziamo dicendo che per semplicità potete preparare la pasta all’olio prima del ripieno del “pastizzu”. Se preferite potete, però, avviare la preparazione del ripieno e poi dedicarvi alla pasta (deve lievitare per 1 oretta), ma considerate che dovete far ben raffreddare il ripieno prima di poter preparare il pastizzu. Qualunque sia il vostro modus operandi, cliccate qui per sapere come fare (rispettate, però, le dosi di questa ricetta).

Prima di tutto mondate i cavoli; quindi, lavateli e tagliateli a pezzi grossolanamente.

Lessateli in acqua bollente e leggermente salata (andrà bene 1/2 cucchiaio di sale grosso) per 15 minuti circa.

Nel frattempo spellate la salsiccia, sbriciolatela e fatela rosolare a fuoco medio in padella insieme all’aglio minuziosamente tagliuzzato e all’olio (saranno sufficienti 10 minuti).

Una volta cotti i cavoli, scolateli ed uniteli alla salsiccia rosolata; aggiungete anche il sugo di pomodoro.

Coprite, quindi, con un coperchio e fate insaporire per 15 minuti circa a fuoco medio.

Una volta fatto ben insaporire aggiungete anche il pecorino grattugiato (a fuoco spento).

Fate raffreddare il tutto ed aggiungete infine il caciocavallo tagliato a dadini.

Stendete, ora, una sfoglia di pasta all’olio di cm 0,5 di spessore e foderate una teglia da forno rettangolare della grandezza indicata, precedentemente imburrata con burro o margarina.

Versate, quindi, il ripieno preparato ed aggiungete, infine le olive snocciolate ed aperte.

Chiudete con un’altra sfoglia di pasta all’olio dello stesso spessore; eliminate, poi, dal bordo superiore la parte in eccesso con una rotella dentellata e fate ricadere il bordino verso l’interno.

Ungete, infine, la superficie con 2-3 cucchiai di olio extravergine di oliva.

Cuocete in forno preriscaldato a 250° per 50-55 minuti fino a doratura.

 

http://www.scampomatto.it/post/9111/u-pastizzu-modica-focaccia-i-cavoli-siciliana

 

 I BUCCATUREDDI 

Il termine «buccaturedda» è pressoché intraducibile. A voler tentare una traduzione potremmo azzardare un’assonanza con il verbo «abbuccari» che indica il rovesciare qualcosa: in questo caso «abbuccari», rovesciare la pasta della focaccia in maniera da creare un grosso panzerotto ripieno di verdure cotte. Perché questo sono, appunto, le «buccatureddi». Col nome di «buccatureddi» quindi, si intendono un tipo di focacce diverso per forma e lavorazione rispetto alle «scacce». Le dosi e la lavorazione della pasta sono pressoché uguali.
Ingredienti per 8 persone Per la pasta: 1 kg di farina di grano duro acqua q.b. sale olio extravergine d’oliva (mezzo bicchiere) lievito di birra (12 grammi circa per un Kg di farina) il succo di ½ limone ½ bicchiere di vino
Preparazione

Sulla spianatoia fare la fontana con la farina. Impastare aggiungendo acqua secondo il bisogno, il succo di mezzo limone e il vino, quindi lavorare la pasta fino a quando risulta ben liscia elastica e di giusta morbidezza.
Allargare e bucherellare la pasta con le dita e versarvi sopra dell’olio d’oliva e continuare a lavorarla fino al completo assorbimento dell’olio. Lasciarla riposare pochi minuti, quindi tirare la sfoglia a forma di disco, del diametro di circa 30 cm e dello spessore di circa 4-5 mm, aiutandosi se occorre con un po’ di farina.
Versare sulla sfoglia il condimento, disponendolo su una metà del disco di pasta e formando uno strato spesso fino a cinque cm (e anche più) La «buccaturedda» si chiude ripiegando l’altra metà della sfoglia i cui due lembi saranno uniti pressandoli con le dita e creando una sorta di cordoncino di pasta: il cosidetto «rieficu» (termine derivato dal linguaggio tecnico sartoriale che indica l’orlo di un vestito).
Una volta chiuse le «buccaturedde» si presenteranno come un grosso panzerotto con la forma di una mezza luna.
Spennellare la superficie della «buccaturedda» con olio d’oliva o con uovo sbattuto e praticatevi con i rabbi della forchetta dei fori che fungeranno da camino. Sistemare la «buccaturedda» su una teglia già unta (o foderata di carta forno) ed infornare a temperatura di pane (circa 200° C). Sfornare quando la pasta avrà assunto un bel colore dorato.
Per le «’mpanate» il procedimento è identico. Rispetto alle «buccaturedde» cambia solo la forma. Le «’mpanate», infatti, hanno una forma perfettamente circolare.
Una volta tirata il disco di sfoglia con uno spessore di 4-5 cm e del diametro di 30-35 cm, si sistemerà questo disco di pasta all’interno di una teglia circolare, già unta e dalle dimensioni adeguate, avendo cura di far fuoriuscire un discreto bordo di pasta.
Una volta farcita la «’mpanata», la si chiuderà con un altro disco di pasta dello stesso spessore, ma di diametro più piccolo creando anche qui il cordoncino di pasta detto «rieficu».
Anche qui la superficie superiore della «’mpanata», va spennellata con olio d’oliva o con uovo sbattuto e forata con i rabbi della forchetta. Infornare come sempre a temperatura di pane (circa 200° C).
Sfornare quando la pasta avrà assunto un bel colore dorato.

 

 

FACCIA DI VECCHIA

Questa preparazione, che è del vittoriese e del ragusano, assume questo curioso nome che trova una precisa corrispondenza con l'analoga pizza emiliana detta stria (strega): entrambe infatti, cotte vicino al fuoco, assumono una colorazione gialliccia  ed anemica, e per la grinzosità della superficie ammaccata dai pollici, hanno la stessa origine simbolica, che richiamava il volto di una vecchia. Quando si prepara il pane in casa avanza un poco di pasta lievitata.

Ingredienti
500 g di farina 0, 25 g di lievito di birra, 40 g di strutto, sale, pepe, 3 cucchiai d'olio extavergine d'oliva, origano Preparazione
Setacciate la farina sulla spianatoia, trasferitene 100g in una ciotola e amalgamatela con il lievito sciolto in mezzo bicchiere d'acqua tiepida. Lasciate quindi lievitare la pastella per circa 1 ora.
Trascorso il tempo necessario, impastate la farina rimasta con lo strutto, una presa di sale e l'acqua necessaria per ottenere una pasta soda; incorporate il composto lievitato e lavorate a lungo il preparato, fino a renderlo soffice ed elastico.
Ponetelo in una terrina infarinata e incidetelo con un taglio a croce, copritelo con un canovaccio e lasciatelo lievitare ancora per 2 1/2 ore in luogo tiepido e asciutto. 

stendete l'impasto in un disco spesso circa 1cm e adagiatelo in una teglia rivestita di carta da forno.
Praticate delle fossette con la punta delle dita e spennellate la superficie con una miscela di olio, sale e pepe.
Cospargete la focaccia con un'abbondante spolverata di origano e cuocetela in forno caldo a 220°C per 25-30 minuti. 

 

 

 

 

 

 

IL PIZZOLO 

Il pizzolo è un prodotto tipico della cucina solarinese e sortinese, ma può gustarsi in tutte le pizzerie della Provincia di Siracusa o in apposite pizzolerie (rinomate quelle di Sortino).

Consiste in una pizza tonda di circa 20 cm di diametro, superficialmente condita con olio, origano, pepe, parmigiano e sale (a mo' di focaccia) e farcita con vari ingredienti, salati (in tal caso il ripieno sarà a base di salumi, verdure, formaggi, carne) o dolci (con ripieno di crema al pistacchio, crema cioccolato, ricotta e miele). Tipicamente sortinese è la focaccia (o in sortinese nfigghiulata) ripiena di fichi e nipitedda (melissa nepeta).

Incerte le sue origini. Si tratta, comunque, di un piatto tipico della tradizione contadina di Solarino e Sortino - che nella sua ricetta originaria consisteva di una focaccia farcita con peperoni - commercializzato, però, solo di recente (anni '90)
C'è nè per tutti i gusti dolce (nutella,pistacchio,crema di limone) salato (salame e svizzero,prosciutto crudo e provola affumicata)
oppure con i gamberetti,salmone,broccoletti,prosciutto cotto e mozzarella etc

 

 

 

 

LE SCACCE RAGUSANE

La scàccia è un piatto tipico della zona degli Iblei e se vi doveste recare dalle parti di Ragusa e senz'altro qualcosa da dover assaggiare a tutti i costi.

Semplicisticamente la potremmo descrivere come una focaccia ripiena.

I ragusani la preparano facendo ruotare su se stessa (3 o 4 volte) una pasta rettangolare molto sottile. La farcitura può variare a seconda delle usanze della casa. Ad ogni modo i ripieni più graditi sono quelli con ricotta e cipolla; ricotta e salsiccia; pomodoro e cipolla; pomodoro e melanzana, etc.

Le origini della scaccia sono povere; un po' come molti dei piatti siciliani.

Inoltre, e non vorrei sbagliare, a Catania esiste una pietanza simile chiamata “scacciata”, mentre nel palermitano il nome diventa “impanata”.

Un tempo le scacce si preparavano solo una volta a settimana e solo con verdure di stagione.

Venivano cotte in forni di pietra. Forni molto comuni nelle vecchie case di campagna.

Oggi, invece, le scacce sono un piatto preferibilmente consumato per la cena della vigilia di Natale (anche se alcune famiglie continuano la tradizione di prepararle almeno una volta a settimana).

Non di rado, inoltre, è possibile trovare la versione più piccina (la scaccitedda) in bar e rosticcerie locali.

A breve vi descriveremo come preparare una scaccia.

In tutti i casi sappiate che le scacce sono nate a Modica, ogni anno, la penultima domenica di luglio, si tiene proprio una sagra della scaccia. A buon intenditore …

Ricetta scaccia

Ingredienti (dose per un chilo di farina) per la pasta:

farina di grano duro; acqua; sale; olio d'oliva (mezzo bicchiere); un limone; mezzo bicchiere di vino. Ingredienti farcitura: melanzana fritta; pomodoro; formaggio (provola e cacio cavallo).

Procedimento: Disponete la farina a fontana e poi fate un buchetto nel mezzo. Aggiungete acqua (quanto basta) ed il succo di limone + il vino (se è la prima volta che li preparate, non esagerate con il vino ed il limone). Impastate fino ad ottenere una pasta liscia e morbida.

A questo punto allargate e bucherellate la pasta con le dita. Versatevi sopra dell'olio d'oliva ed impastate nuovamente fino al completo assorbimento dell'olio.

Tirate quindi una sfoglia rotonda sottile aiutandovi, se occorre, con un po' di farina.

Riversate sulla sfoglia il condimento e spargetelo lasciando tutto intorno un margine di un centimetro, un centimetro e mezzo.

Ora la scaccia deve essere chiusa. Avvolgete da due parti la sfoglia condita. La larghezza della scaccia deve essere di 7 o 8 centimetri. Giunte al centro le due parti verranno chiuse a libro.

Ricordate di chiudere eventuali lati aperti con un bordino.

Quindi cospargete la superficie della scaccia con olio di oliva o con dell'uovo sbattuto e mettetela in forno su una teglia unta. La temperatura deve essere la stessa del pane. Quando la pasta acquisirà un colorito dorato, la scaccia sarà pronta e la potrete servire.

 https://www.siciliafan.it/scacce-piatto-tipico-siciliano-ecco-la-ricetta/

 

La ricetta della scaccia ragusana la devo a mia madre che nelle sue scorribande siciliane un giorno "importò" nella scuola di cucina questa bellissima "architettura", come mi piace definire alcune ricette siciliane, di pane. in realtà, come spesso spieghiamo ai nostri ospiti, la scaccia è uno dei tanti modi per far pare, appunto, e per utlizzare i resti, infatti nel ripieno ci si potrebbe mettere di tutto. la versione che noi preferiamo è questa:
Ricetta: 250 gr farina o 1 uovo - 10 gr lardo o burro - 2 cucchiai da minestra di olio d’oliva - 12 gr. Lievito - Pizzico di sale

Per il ripieno: 200 gr ricotta - 250 gr salsiccia - 250 gr salsa di pomodoro - Caciocavallo fresco o altro formaggio di proprio gusto grattugiato o a fette - Sale e peperoncino qb - Foglie di menta fresca

Impastare bene la farina con gli altri ingredienti. L’impasto deve essere abbastanza sodo e morbido, fare una palla, coprire e lasciare lievitare per circa 30 minuti.  Preparare, intanto, il ripieno in un recipiente, mescolando bene gli ingredienti. Stendere l’impasto col matterello, cercando di formare un quadrato. La sfoglia non deve essere troppo sottile per contenere bene il ripieno.
Spalmare metà del ripieno sulla superficie dello sfoglio lasciando su tutti e 4 i lati un bordo di circa 3 cm. Rimboccarli sul ripieno formando una cornice. Ripiegare la sfoglia su se stessa. Spennellare con l’uovo, cospargere di sesamo e semi di papavero e infornare a 200° per 30 minuti. Lasciare riposare la scaccia fuori dal forno, coperta con uno strofinaccio per 20 minuti. Affettare e servire.

Alternativa molto buona che faccio io quando sono in versione "purista" e mi piace lavorare con alimenti integrali. la sfoglia viene molto saporita e croccante, io la preferisco, anche se quella siciliana classica è solo con farina di semola rimacinata: 400 g farina integrale - 100 g farina Manitoba - 1 bustina lievito liofilizzato - Olio, - 1 uovo - Acqua qb. - 2 cucchiaini da tè di zucchero - Pizzico abbondante di sale

Ripieno: Ricotta, salsiccia, melanzane e zucchine gratinate, parmigiano grattugiato, menta, basilico e un filo d'olio.

http://annatascalanza.com/

 

Ebraiche sono le scacce del ragusano, le triglie allo scoglio di Ortigia, la verdura di campo o di orto bollita e saltata in padella con olio e aglio.  da "I sapori lontani della cucina siciliana" di Gino Schilirò - Lancillotto e Ginevra Editori

 

PIZZE ALLA CATANESE (Siciliane)

 

Gli ingredienti per (4 persone): per la pasta: 500 g di farina 180 ml di acqua 70 grammi di strutto 12 grammi di lievito di birra 1 cucchiaino di zucchero 10 grammi di sale

Preparazione della pasta: sbriciolate in una ciotola il lievito di birra, unite il cucchiaino di zucchero quindi versate 50 ml di acqua tiepida; fate sciogliere bene il lievito mescolando con un cucchiaino; unite poi 2 cucchiai di farina, quanta ne serve per formare una pastella molto morbida, che lascerete riposare per mezz’ora. Passata la mezz’ora versate la restante farina in una ciotola capiente ed unite la pastella, aggiungete lo strutto, dopodiché fate sciogliere i 10 gr di sale in circa 125 ml di acqua tiepida.

Quando il sale si sarà disciolto versate tutta l’acqua all’interno della ciotola e cominciate a impastare. Quando il liquido sarà stato interamente incorporato alla farina trasferite l’impasto su un piano infarinato e lavoratelo fino a quando sarà diventato liscio ed omogeneo, quindi date all’impasto una forma di palla, incidetela a croce, e posizionatelo in una ciotola capiente che avrete precedentemente spolverizzato con una manciata di farina. Coprite con un panno e lasciate lievitare per circa 4 ore in un ambiente tiepido e privo di correnti d’aria, fino a quando l’impasto avrà circa triplicato il volume.

Per il ripieno: tuma fresca; acciughe salate diliscate; cipollotti freschi finemente tritati (possibilmente con un coltello di ceramica per evitarne l’ossidazione ed evitarvi di piangere).

La preparazione della pizza: stendete la pasta su un piano e createne dei dischi di diametro equivalente ad un piatto da frutta e dello spessore di 2-3 millimetri. Copritene metà con tuma, tre o quattro filetti di acciuga e abbondanti cipollotti. Se gradite, e se la tuma è vera tuma senza grani di pepe, aggiungete a piacere una spruzzata di pepe nero macinato all’istante. Ripiegatevi sopra l’altra metà, pressate sui bordi e ritagliate l’eccedenza con una rotella. Ricaverete così delle mezzelune che metterete a friggere in strutto (la pizza catanese tradizionale era di colore pallido) o in olio d’oliva (verrà di colore paglierino come le crescentine bolognesi). Accompagnate con un buon Nero d’Avola o meglio ancora con un Cerasuolo di Vittoria, oppure, per gli amanti della digestione rapida, con una buona birra di frumento hefe weiss ben fredda, nella quale potrete anche spremere qualche goccia di limone.

 

Il gastronomo educato http://www.cataniapubblica.tv/cucina-arriva-il-gastronomo-educato-e-vi-mette-tutti-a-tavola-oggi-pizza-alla-catanese/

 

 

TORTA ALL'ACITANA

 

Quando avevo vent’anni mi capitava spesso di andare in giro per Catania e i comuni della provincia. Facevo politica universitaria e riunioni, incontri, assemblee erano all’ordine del giorno.

Una sera, con un mio amico di allora, Gabriele, andammo ad Acireale. Gabriele aveva ascendenze acesi, e conosceva bene i luoghi. Di più, amava la cucina e in particolare il salato più che il dolce, al punto che al mattino spesso faceva colazione con gli avanzi della cena: frequentemente caponatina e alivi cunzati.

Eravamo sotto Natale, tempo di scacciate, ingrediente principe della cena della vigilia, e la riunione non sarebbe iniziata prima delle 20,30, così passammo da un panificio nella strada che conduce in piazza.

Non so se quel panificio esiste ancora né se faccia ancora quella bontà che assaggiammo quella sera: scacciata con la salsiccia e il pomodoro.

Era una scacciata sconosciuta a Catania, dove le note dominanti erano quella classica con tuma, cipolla fresca e acciughe, oppure quella con broccoli, tuma e olive nere. L’accostamento della salsiccia con il pomodoro fresco e le cipolle mi ricordava la consistenza e gli accoppiamenti di sapori delle stupende scacce della zona di Ragusa-Modica, Ragusa Ibla, fino a Scicli e alle propaggini sud della provincia di Siracusa (per esempio ancora oggi a Portopalo).

La ripropongo in una versione light e veloce, per chi non fosse in grado o non avesse il tempo di preparare la pasta per scacciate.

 Ingredienti per 4-6 persone: 1 rotolo di pasta sfoglia rotonda; 500 grammi di salsiccia; 1 cipolla di Tropea di medie dimensioni (o 3 cipollotti freschi di Tropea); 500 grammi di pomodori freschi ben maturi o, in alternativa, una confezione di pomodori pelati di buona qualità.

Preparazione

Spellate la salsiccia e ponetela in una padella con un po’ d’acqua e fatela cuocere a fuoco forte finché l’acqua non si sia asciugata. Poi con un ramaiolo toglietela dalla padella, avendo cura di lasciar scolare il grasso e riponetela in una scodella. Pulite i pomodori e tagliate a pezzi i filetti privi dei semi e della buccia. Tritate finemente la cipolla o i cipollotti.

Stendete la pasta sfoglia con la sua carta forno in una teglia rotonda di dimensioni adeguate e stendetevi la salsiccia mescolata con il trito di cipolle o cipollotti freschi e ricoprite con i filetti di pomodoro.

Se volete renderla un po’ più ricca e “patatosa” aggiungete una patata tagliata a fette super sottili prima di stendere il pomodoro.

Cuocete in forno per circa 20 minuti a temperatura dolce compresa fra i 160 e 180 gradi.

 

Il gastronomo educato http://www.cataniapubblica.tv/cucina-arriva-il-gastronomo-educato-e-vi-mette-tutti-a-tavola-oggi-pizza-alla-catanese/

 

CUDDURUNI DI LENTINI

E' una sorta di pizza coperta e farcita di tante squisitezze che ci offre la nostra terra….lo si può farcire con broccoli chRisultati immagini per CUDDURUNI LENTINIe vengono prima soffritti e si può aggiungere anche la salsiccia a tocchetti e l'estratto di pomodoro, strisciato con le dita direttamente sulla pasta base…si può farcire anche con cipolla soffritta, anche questa con aggiunta di un pò di passata di pomodoro, insaporita dall'estratto di pomodoro..una verdura tipica sono "gli anciti" una sorta di spinaci nostrani che, nella ricetta originale vengono messi a crudo, tagliati finemente e messi ad asciugare con il sale in uno scolapasta(per eliminare totalmente l'acqua)….si aggiunge abbondante prezzemolo e si dispone il tutto sulla pasta base….ancora è possibile farcirli con le patate,tagliate a fettine sottili e fritte…una volta disposta la farcia che più si preferisce sulla base, viene coperto il tutto da un secondo strato di pasta che viene poi accuratamente chiuso formando una sorta di bordino con le dita, che sembra quasi un ricamo e che tutte le brave donne lentinesi sanno fare benissimo….per la pasta la ricetta è:1 kg di farina di semola,300 gr di farina "00", 30 gr di sale, 1 panetto di lievito, 1 bicchiere di olio…e alla fine non resta che leccarsi i baffi e gustare queste prelibatezze!!!

 

Gloria Piccolo

https://www.siciliafan.it/cudduruni-di-lentini-sr/?fbclid=IwAR1ZpL2oAHx-HkOnVl7G4EuzqHulCWYY_E8nEuL9Mmue5Mpek0_LjQPrdJU

 

 

 

 

 

 

 

 (in lingua siciliana cuddura e scacciata) è un prodotto da forno artigianale tipico siciliano, a base di pane, broccoli, cavolfiori e patate, formaggio tuma o caciocavallo e olive nere. Piatto unico, simile al calzone molto conosciuto e apprezzato nelle regioni meridionali italiane, soprattutto per la sua fragranza e genuinità.

 Come prodotto da forno è notevolmente sviluppato in Sicilia dove rappresenta un'eccellenza. In alcune città è il simbolo di feste invernali ed anche di semplice armonia familiare. La maestria nella preparazione ne fa un capolavoro della cucina siciliana, molto imitato e commercializzato in molte varianti culinarie.

 

 

Chiedo venia per l'orario, non è per farvi male

se l'acquolina vi è arrivata alle tonsille.

E' una leccornia che abbiamo qui a Natale,

 sfornata ad ogni ora a dieci, a cento, a mille.

 

Sa di tuma, acciughe, ortaggi e cipollame,

olive, carni, verdure ed ogni ben di Dio.

Non per niente è la più buona del reame

ed ha sapori che non conoscono l'oblio.

 

Focaccia sicula che di nome fa Scacciata,

dei piatti natalizi catanesi è tenutaria,

è piena di bontà per la nostra tavolata

già imbandita di celebre arte culinaria.

 

 

Il piatto nacque alla fine del XVII secolo come piatto base delle tavole contadine. In Sicilia la ricetta venne tramandata ed ampliata in base alle voci culinarie del tempo. Nelle tavole rurali del Regno di Sicilia e poi Due Sicilie si sviluppò questo piatto semplice a base di pane, verdure e carne spesso gli avanzi di una cena abbondante o di un pranzo ricorrente. Oltremodo si presentò nelle tavole siciliane agli inizi del XVIII secolo con la ricetta a base di verdure e patate.

Raggiunse il suo successo quando lo stesso Moncada, principe di Paternò, nel 1763, lo volle sulla sua tavola nei festeggiamenti natalizi. Da allora la tradizione lo colloca come piatto natalizio con una ricetta tramandata da generazioni.

Ad oggi la scacciata presenta una vasta diffusione nel territorio siciliano ed una ampia commercializzazione di tipo unicamente artigianale.

https://www.facebook.com/chefgiunta?fref=photo

La schiacciata Catanese, o scacciata in siciliano, è una tipica preparazione invernale che riempe spesso le nostre tavole nel periodo di Natale e capodanno e che viene preparata principalmente con le verdure che caratterizzano quel determinato periodo dell'anno come broccoli e cavolfiori.

Infinite sono le varianti: tra le classiche, la più gettonata, è quella preparata con salsiccia e patate o semplicemente con formaggio locale, la tuma, tagliato molto spesso e con l'aggiunta di acciuga e olive nere.

Ma si può dare spazio alla fantasia, utilizzando gli ortaggi che offre la stagione e in alternativa alle classiche pizze o torte salate che fanno da padrone in queste serate estive.

La particolarità di questa preparazione non sta infatti nel ripieno ma nella pasta utilizzata: il sapore e la consistenza ricorda quello del pane "antico" che preparavano le nostre nonne siciliane.

Quest'ultima dev' essere stesa sottilmente stando attenti a non avere un eccesso di pasta, che dopo, finirebbe per prevalere sul ripieno di verdure:

Deve presentarsi come una crosta di pane ripiena, non come un pane mollicoso condito!

Il massimo sarebbe prepararla con del lievito madre, ma una valida alternativa potrebbe essere quella di preparare il pane in pasta con la biga rinfrescata cosi' come Paoletta ha ben spiegato sul suo blog, ed è così che mi ha insegnato a farla mia madre.

Oltre l'impasto, le altre particolarità di questa preparazione sono che le verdure, che vanno messe dentro crude e l' ingrediente predominante, sarà che noi siciliani e calabresi abbiamo il primato per il suo consumo, costituito dalla cipolla: se non vi piace la cipolla cambiate ricetta! :)

Per far si che le verdure arrivino a cottura perfettamente, quest'ultime andranno tagliate piccolissime e sottilmente (questo vale soprattutto se usate le patate), vanno condite e salate qualche ora prima in una grande ciotola e scolate prima di distribuirle sulla pasta stirata:

il sale farà uscire l'acqua di vegetazione e le verdure si cuoceranno con più facilità, avrete inoltre la possibilità di aggiustare di sale.

Ricordate che il ripieno di verdura dopo la cottura tende a perdere volume quindi... abbondate!

Considerate che la Scacciata Catanese, come tradizione, veniva fatta dalle donne quando esse panificavano.

Esse con il poco tempo rimasto, visto che avevano passato l'intera mattinata dentro la casa del forno, sacrificavano una forma di pane arricchendolo con delle verdure raccolte nell'orto, in modo da portare a pranzo qualcosa sulla tavola con cui pranzare, e nonostante fosse un pasto povero... era sempre una festa!

Questa è una versione estiva, semplice e che profuma di mediterraneo.

Poichè il pane contadino catanese è fatto unicamente con farina di semola, preferisco non aggiungere farina 00 come prevedono alcune ricette: la pasta della schiacciata deve'essere "rustica", diciamo "grezza"!

http://sognidizucchero.blogspot.it/2009/06/la-schiacciata-catanese_20.html

 

 

 

 

LE RICETTE DI GIAMPIERO - www.gennarino.org

 

La schiacciata è una delle più celebri preparazioni invernali della cucina popolare catanese; tradizionali sono quella con tuma e acciughe e quella con cavolfiore o broccoli. Preparazioni simili, ma con ripieni diversi, non hanno tradizione, benché siano spesso preparate.
La tuma è un formaggio ottenuto con un mix di latte vaccino e ovino, caglio e sale, a pasta semidura, di circa 20 giorni di stagionatura;
  il pepato fresco ha la stessa matrice, ma vi sono aggiunti grani interi di pepe nero e la sua stagionatura è di almeno 45 giorni; riferirsi a questi parametri per le necessarie sostituzioni.

La sfoglia, fase comune: Attivare il lievito, per 15 minuti. Setacciare, insieme, le due farine: formare il cratere, mettervi acqua e lievito e iniziare l'impasto. Formata la palla, mentre è ancora umida, aggiungere il sale e, di seguito, lavorare per non più di 10 minuti, fin quando l'impasto si asciuga e non si attacca più alle mani. Formare la palla, coprire con un canovaccio e lasciar lievitare per almeno 90 minuti.

 

Tuma e acciughe: Per il ripieno della schiacciata con tuma e acciughe; tuma, gr 400; pepato fresco, gr 200; acciughe salate, 8; olio EVO, q.b. Dopo un'ora di lievitazione accendete il forno alla max potenza disponibile (220°-240° C); tagliate a dadi piccoli i formaggi e metteteli in una capiente ciotola; pulite e diliscate le acciughe che andranno poi lavate in aceto, asciugate, tagliate a pezzi piccoli e aggiunte ai formaggi. Mescolerete questi ingredienti con le mani dopo aver aggiunto un filo d'olio EVO.
Dividete l'impasto di farina in due parti e ricavatene due dischi, piuttosto sottili; col primo foderate, dopo averla unta con un filo d'olio EVO, una teglia rotonda di 28 cm di diametro, lasciandone buona parte oltre il bordo della teglia

Versatevi dentro formaggi e acciughe e coprite col secondo disco, esercitando una leggera pressione sul bordo per chiudere. Tagliate il bordo eccedente 1 cm in più della teglia e formate il cordoncino. Versate un filo abbondante di olio EVO sulla superficie della schiacciata e spargetevelo con le mani; quasi un massaggio. Praticate un taglio di pochi cm sulla superficie, in posizione centrale, per fare uscire l'aria durante la cottura e infornate. 20 minuti di cottura sono sufficienti, in genere. La superficie si andrà colorando e, dopo averla tirata fuori dal forno, la lascerete riposare per un quarto d'ora, senza coprirla, prima di portarla a tavola. Si può mangiare con coltello e forchetta ma è più "in linea" con gli usi popolari tenerne una fetta in mano e addentarla...

 

 

 

 

Cos’è la Tuma?

La Tuma è uno dei formaggi siciliani più noti in assoluto. Con questa denominazione si va ad indicare in pratica un determinato grado di stagionatura del formaggio di pecora, oltre che il prodotto in sé. La Tuma, o Toma, è infatti un formaggio fresco alla cui produzione possono contribuire latte ovino, vaccino, oppure una mistura da essi formata.

Occorre anche precisare che il suo nome ricorda da vicino quello di formaggi come la Toma piemontese, o la Tome francese. Si tratta però di un formaggio tipico siciliano, prodotto senza alcuna aggiunta di sale, da consumare fresco o al massimo entro due settimane dalla sua produzione. Quello prodotto invece in Francia, Piemonte e Valle d’Aosta prevede l’utilizzo di altri metodi di lavorazione e sapori diversi. Una differenza di non poco conto.

 

Cavolfiore e salsiccia: Per il ripieno della schiacciata con cavolfiore e salsiccia, Cavolfiore, solo le cimette, gr 500; salsiccia, gr. 250; tuma o pepato fresco, gr 250; olive nere, una diecina; pepe nero in grani, macinato al momento, q.b.; sale e olio EVO, q.b.

Il cavolfiore è quello violetto, detto appunto "catanese"; la salsiccia ha da essere un po' stagionata così che la si possa utilizzare "a crudo".
Ingredienti:
Per la sfoglia: farina bianca, di forza, tipo 0, gr 300;semola rimacinata di grano duro (o farina di grano duro), gr 400; lievito di birra secco, gr 10 ; sale, gr 15; acqua per sciogliere il lievito, a 38°C, cc 150; acqua per l'impasto (tiepida), cc 270.

Preparate il ripieno: in una capiente ciotola riunite: il cavolfiore, tagliato a pezzi piccoli e velocemente passato in padella con un filo d'olio; la salsiccia, cruda, ma spezzettata; il formaggio tagliato a dadini; le olive nere, private del nocciolo e tagliate a pezzi. Mescolerete questi ingredienti con le mani dopo aver aggiunto un filo d'olio EVO, una presa di sale e una generosa spolverata di pepe nero macinato al momento. Dopo un'ora dall'inizio della lievitazione accendete il forno alla max potenza disponibile (220°-240° C). Dividete l'impasto di farina in due parti, una delle quali più abbondante, e ricavatene due dischi; col primo (un po' più spesso, dato che il cavolfiore in cottura rilascia acqua di vegetazione e tende ad imbibire il fondo della schiacciata) foderate, dopo averla unta con un filo d'olio EVO, una teglia rotonda di 28 cm di diametro, lasciandone buona parte oltre il bordo della teglia.

 

 

 

LA VERSIONE CON BROCCOLI E PEPATO FRESCO (a casa Raciti)

 

Ingredienti: pepato fresco di Sicilia "primo sale", cipollina fresca, pecorino grattugiato, olive nere snocciolate, acciughe, peperoncino.

dopo aver stirato la pasta, metterla nella teglia aggiungendo un letto di broccoli lessati e la cipollina

cospargere le olive e le acciughe

spolverare il pecorino e aggiungere dell'olio EVO

coprire con il pepato fresco

aggiungere sale e peperoncino, con molta cautela

chiudere con la pasta, pungere con la forchetta e mettere in forno
a 200 gradi per 60-70 minuti. basta vedere il colore se è cotta

appena uscita dal forno, aggiungere olio per ammorbidirla

 

 

 

DOVE VIENE CELEBRATA A CATANIA

 

 

Non esiste nient’altro che riconduca ogni anno al Natale. Stiamo parlando della scacciata, prodotto da forno artigianale tipico catanese che può essere farcito con verdura (cavolfiori o broccoli) e con formaggi. Il formaggio non può essere qualsiasi formaggio, ma solamente uno è degno di stare all’interno di questo dono di Dio: la tuma.

Si, è il caso di dire che la tuma ha l’esclusiva. Non senti parlare di tuma durante l’anno, come se non esistesse. Poi magicamente ne senti il profumo, ne gusti il sapore, ne immagini la sua fusione con il tuo palato quando è ancora calda o il suo essere “cadduso” l’indomani mattina.

E’ vero che la scacciata la si trova ormai in tutti i panifici qualsiasi giorno dell’anno, ma per Natale è come se quella stessa che possiamo mangiare ogni giorno assuma un sapore diverso, un appeal unico.

 

 

Esistono due fazioni in tal senso: quelli che “no a scacciata si fa a casa, picchì comu a fa a nanna non ci n’è ppi nuddu” e quelli che “iu pottu a scacciata ca mi spicciu prima”. In questo secondo caso stiamo parlando della scacciata da panificio, quella che secondo la leggenda inghiumma dopo un paio d’ore, ma che ha un suo perchè.

Come dicevo all’inizio le varianti di farcitura sono quasi un must per il catanese: o bastaddi, o broccoli, o cche patati o tuma e prosciutto (ppe picciriddi solitamente). Però viviamo in un periodo storico in continua evoluzione e se cambia la società cambia talvolta anche a scacciata.

 

E’ quello che ci dice Manuel, il titolare di Perlage Pizzeria Gourmet sita in Via Giacomo Leopardi, 89 a Catania, che propone quest’anno una scacciata davvero particolare: tuma sicula, speck di suino nero dei nebrodi, patè pistacchio di Bronte D.O.P e granella di pistacchio, allora è un buon Natale. ( la puoi ordinare  anche su Whatsapp 3926865476 )

visita il sito www.perlagepizzagourmet.it

Insomma anche la scacciata subisce delle variazioni importanti in termine di gusto e fantasia.

Non importa se la prepari a casa o la commissioni, la scacciata unisce le famiglie, determina l’atmosfera della festa e contribuisce all’armonia del Natale.

La scacciata è vita.

 

Andrea Carollo

https://lalisciacatanese.it/2018/12/20/come-il-catanese-vede-la-scacciata-durante-il-natale/?fbclid=IwAR0LGHxkNa72iBotb2pAsxD51XrQd5x9lFcVigG7M3kiVR4D5f66oyHOSPA

 

A SCACCIATA N'FAMMIGGHIA

(Brigantony)

 

Risultati immagini per scacciata famigghia brigantony testo Risultati immagini per scacciata famigghia brigantony testo

1° parte

2° parte

 

 

 

 

PIZZA ALLA CATANESE

Gli ingredienti per (4 persone): per la pasta: 500 g di farina 180 ml di acqua 70 grammi di strutto 12 grammi di lievito di birra 1 cucchiaino di zucchero 10 grammi di sale

Preparazione della pasta: sbriciolate in una ciotola il lievito di birra, unite il cucchiaino di zucchero quindi versate 50 ml di acqua tiepida; fate sciogliere bene il lievito mescolando con un cucchiaino; unite poi 2 cucchiai di farina, quanta ne serve per formare una pastella molto morbida, che lascerete riposare per mezz’ora. Passata la mezz’ora versate la restante farina in una ciotola capiente ed unite la pastella, aggiungete lo strutto, dopodiché fate sciogliere i 10 gr di sale in circa 125 ml di acqua tiepida.

Quando il sale si sarà disciolto versate tutta l’acqua all’interno della ciotola e cominciate a impastare. Quando il liquido sarà stato interamente incorporato alla farina trasferite l’impasto su un piano infarinato e lavoratelo fino a quando sarà diventato liscio ed omogeneo, quindi date all’impasto una forma di palla, incidetela a croce, e posizionatelo in una ciotola capiente che avrete precedentemente spolverizzato con una manciata di farina. Coprite con un panno e lasciate lievitare per circa 4 ore in un ambiente tiepido e privo di correnti d’aria, fino a quando l’impasto avrà circa triplicato il volume.

Per il ripieno: tuma fresca; acciughe salate diliscate; cipollotti freschi finemente tritati (possibilmente con un coltello di ceramica per evitarne l’ossidazione ed evitarvi di piangere).

La preparazione della pizza: stendete la pasta su un piano e createne dei dischi di diametro equivalente ad un piatto da frutta e dello spessore di 2-3 millimetri. Copritene metà con tuma, tre o quattro filetti di acciuga e abbondanti cipollotti. Se gradite, e se la tuma è vera tuma senza grani di pepe, aggiungete a piacere una spruzzata di pepe nero macinato all’istante. Ripiegatevi sopra l’altra metà, pressate sui bordi e ritagliate l’eccedenza con una rotella. Ricaverete così delle mezzelune che metterete a friggere in strutto (la pizza catanese tradizionale era di colore pallido) o in olio d’oliva (verrà di colore paglierino come le crescentine bolognesi). Accompagnate con un buon Nero d’Avola o meglio ancora con un Cerasuolo di Vittoria, oppure, per gli amanti della digestione rapida, con una buona birra di frumento hefe weiss ben fredda, nella quale potrete anche spremere qualche goccia di limone.

 

Il gastronomo educato http://www.cataniapubblica.tv/cucina-arriva-il-gastronomo-educato-e-vi-mette-tutti-a-tavola-oggi-pizza-alla-catanese/

 

 

 

IN SICILIA

 

 

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E VUI DURMITI ANCORA                         Mara Eli