La granita è una sopraffina golosità solo Siciliana e in particolare Catanese,
che da sempre in molti cercano di imitare e che non ha nulla a che vedere con
quella di "mia matre" degli spot televisivi. Quella è solo granatina con un po'
di sciroppo.
La
storia della granita trova la sua genesi sin da quando gli antichi Greci e
Romani si dilettavano nel preparare le prime rudimentali versioni di questa
squisita "bevanda gelata". Diverse varianti esistevano ma fondamentalmente erano
versioni a base di neve, succhi di frutta e ghiaccio che non erano altro che
quei pochi ingredienti presenti a quell'epoca utili per poter realizzare in quei
tempi andati delle granite "ante litteram".
Questa ipotesi storica trova addirittura una prova reale grazie agli scavi
effettuati presso i Pompei, nelle cui taverne erano presenti dei banconi
chiamati allora "Thermopolia" in cui i "baristi" di allora mantenevano fredde ,
mediante l'impiego di ghiaccio, delle "misture a base di neve e succhi di
frutta", le future granite.
La storia racconta anche che addirittura il famoso condottiero Alessandro Magno
era un golosone di un composto a base di neve, miele, spezie e frutta fresca. E'
però quasi sicuro che il merito della svolta nella preparazione della attuale
granita spettò agli Arabi, i quali ebbero il merito e la capacità di introdurre
in tutta la Sicilia la coltura del limone e della canna da zucchero.
Ed è proprio dalla Sicilia che, nella seconda metà del Seicento, un giovane
palermitano Francesco Procopio dei Coltelli che con il sogno di conquistare
Parigi, esportò in Francia la celeberrima granita. Il suo sogno di estasiare il
palato dei Francesi riuscì in pieno ed il suo celebre Caffe parigino detto "Le
Procope" ebbe un sorprendente successo da quando cominciò a servire le
cosiddette "acque gelate" siciliane cioè le granite aromatizzate sia ai fiori
che alla frutta al punto che il re Luigi XIV in persona concedette al giovane
palermitano l'esclusivissima "patente reale" in pratica una sorta di copyright
per la produzione esclusiva di questi pregiati dolci gelati. I sapori
tradizionali della granita non variano nel tempo: limone, mandorla, gelsi e poi
caffè ma anche fiori di gelsomino.
Sono questi i sapori più tradizionali delle granite ai quali si affiancano
alcuni davvero irresistibili gusti alla frutta "doc" rigorosamente siciliana che
però è possbile rinvenire solo nelle zone in cui la suddetta frutta viene
prodotta. E' quindi doveroso ricordare le aromaticissime fragoline di Ribera o
il succosissimo limone Interdonato con un retrogusto di cedro o il mandarino
tardivo dolce di Ciaculli o la profumata pesca tabacchiera di Bronte sull'Etna o
i gustosissimi meloni d'inverno che possono essere trovati nella Sicilia
Occidentale o verdissimi pistacchi di Bronte.
E' davvero molto improbabile trovare gusti "alternativi" a quelli tradizionali
anche perché quando ad un siciliano vengono proposti gusti nuovi o alternativi,
lui storce il naso!...il siciliano però non gusterà mai la granita così…cioè "schitta"
ma sicuramente accompagnerà la degustazione di essa con una caldissima briosce
morbidissima e appena prodotta. Briosce che deve rigorosamente essere completa
di "cappuccio" superiore…senno non è quella doc!
A Catania, in pratica in tutti i bar è possibile gustare granita e briosce sia
come colazione mattutina che come pranzo gustoso e completo…. Ma anche in tutta
la provincia catanese troverete tantissimi posti in cui gustare splendide
granite.
Le Origini della Granita Siciliana
Il rito della granita è, tutt’oggi, vissuto dai siciliani come un momento di
comunione e di relazioni sociali, una tradizione del gusto che affonda le sue
radici nella dominazione araba, poi evolutasi, soprattutto nel versante
orientale dell’Isola, in un raffinato e inimitabile prodotto dolciario che
acquista, via via che si percorre la costa e nelle diverse province, determinate
variazioni aromatiche.
Fin dal Medioevo, in Sicilia esisteva la professione dei “nivaroli”, cioè quegli
uomini che d’inverno si occupavano di raccogliere la neve sull’Etna, sui monti
Peloritani, Iblei o Nebrodi, e tutto l’anno, si occupavano di conservare la neve
nelle “neviere”, preservandola dal calore estivo, per poi, come nel caso dei
“nivaroli dell’Etna”, trasportarla sino in riva al mare nei mesi di maggiore
arsura.
La neve da “muntagna”, dalle “nivere” dell’Etna, arrivava [...] in piena estate,
ottima per confezionare le granite, si vendeva “na vanedda a nivi”, oggi via
Lancaster. La neve d’inverno veniva posta in grossi fossi appositamente scavati
nel terreno e ricoperta di cenere vulcanica o dentro grotte vulcaniche, d’estate
veniva ripresa e confezionata in “balle”, ricoperta di felci e paglia e
trasportata a valle con carretti o muli in sacchi di juta (1).
Ancora oggi, su alcuni monti, si possono trovare le buche usate per la
conservazione del ghiaccio, rifinite con mattoncini o pietra.
Tra i nobili delle famiglie patrizie, con l’avvento delle calde temperature
estive, era consuetudine comprare la neve dell’Etna raccolta d’inverno dal “nevarolu”,
e farla conservare in apposite “case neviere” in vista della stagione estiva.
Queste neviere private, ad uso domestico, erano ubicate in anfratti naturali e
in luoghi particolarmente freschi, per riparare la neve dal caldo e conservarla
più a lungo.
La neve veniva grattata e utilizzata nella preparazione di sorbetti e gelati da
degustare nei momenti di calura, versandovi sopra spremute di limone o sciroppi
di frutta o di fiori.
La granita veniva preparata in diversi gusti, con il caffè e con i limoni, gelsi
e mandorle della nostra zona. Infatti nel nostro territorio acese oltre alla
coltivazione dei limoni e dei gelsi, sulla “timpa Falconiera” di S.Tecla
(Acireale) esistevano nell’800 vasti mandorleti (2).
Questa preparazione (che sopravvive ancora nella preparazione della
“grattachecca” romana), era diffusa ancora fino al primo Novecento con il nome
di “rattata” (grattata).
Durante il XVI secolo, si apportò un notevole miglioramento alla ricetta dello “sherbet”,
scoprendo di poter usare la neve, mista a sale marino, come espediente per
refrigerare. La neve raccolta passò così da ingrediente a refrigerante.
Nacque il “pozzetto”, un tino di legno con all’interno un secchiello di zinco,
che poteva essere girato con una manovella.
L’intercapedine veniva riempita con la miscela di sale e neve chiusa da un sacco
di juta arrotolato e pressato.
La miscela congelava il contenuto del pozzetto per sottrazione di calore, e il
movimento rotatorio di alcune palette all’interno impediva la formazione di
cristalli di ghiaccio troppo grossi.
La preparazione della granita siciliana è unica e riesce a dare una consistenza
“a fiocchi” al prodotto finito.
Impalpabile al palato essendo a base di acqua, zucchero e frutta, la granita
così preparata ha soppiantato nei secoli la “rattata”.
Nel corso del XX secolo, nella formula moderna della “Tradizionale Granita
Siciliana” mentre la neve è stata sostituita con l’acqua ed il miele con lo
zucchero, il pozzetto manuale raffreddato da ghiaccio (o neve) e sale, grazie
alla tecnologia del freddo (mantecatore), è stato sostituito dalla gelatiera,
consentendo di produrre quell’inconfondibile impasto cremoso, privo di aria e
ricco di sapore che, grazie alle sue peculiari caratteristiche, è conosciuto e
vantato nel mondo con il nome di “Granita Siciliana”.
Note(1-2-3) di Antonino Cucuccio – AAG Accompagnatore Alpinismo Giovanile
Sezione Acireale del Club Alpino Italiano.
http://www.anivarata.it/le-origini-della-granita/
Le varianti
Per il gusto delle granite non c'è che da scegliere. Limone e caffè sono
classici da prima colazione accompagnati dalle brioche che fanno storcere la
bocca ai cultori delle diete. In questo caso, la brioche può essere sostituita
da un meno calorico panino. Mandorla bianca o tostata e granita di fragola sono
per piaceri sopraffini.
La granita di cioccolata è per i golosi, quella di gelsi
(ma non tutti la fanno) è dei buongustai. Ma attenzione: devono essere
rigorosamente gelsi neri, perché quelli bianchi, per quanto dolci, non
mantengono sufficiente sapore.
Anche negli abbinamenti le scelte sono piuttosto rigide: si a caffè, cioccolata,
gelso, fragola e panna. Ma come si fa a inzuppare, come fanno alcuni turisti
stranieri, la brioche nella panna che sovrasta il gusto del limone? Provate,
allora, ad un diversivo: granita di limone più una spruzzatina di aperol. Si
chiama "Antiruggine".
Il
rito della granita
In estate, da vari decenni, ad Acitrezza si ripete il rito della granita.
Dalle prime ore della mattinata fino a mezzogiorno inoltrato coppie e gruppi di
giovani, ai tavoli all'aperto che occupano gran parte della piazza principale
del paese, danno vita all'usanza di deliziarsi a gustare la tradizionale
"granita e brioche".
La "ordinazione" è sempre la stessa, con le "varianti" però del "gusto"
particolare della granita.
Fino a circa cinquant'anni addietro la scelta era limitata tra le granite al
limone e quelle, più delicate, alla mandorla, alle quali si aggiunsero presto
quelle al cioccolato, che permettevano l'aggiunta della panna.
Poi, la fantasia dei gelatai siciliani introdusse con audace efficacia altri
"gusti" che dapprima si limitarono all'ambito della frutta locale di stagione
(arance, pesche, albicocche) e poi spalancarono la porta anche alla frutta
esotica (dall'ananas alla papaia, dal mango al kiwi) finendo anche con
l'insaporire la vetusta granita mediante ingredienti imprevedibili quali le
more, i fichidindia e, persino, i gelsomini.
foto di Antonella Pesce
foto Pasticceria Spinella
Intere generazioni di "trizzoti" e catanesi hanno contribuito in massa a
mantenere viva l'antica tradizione, spesso pronuba di relazioni effimere o
durature.Ai tavolini della piazza la sensazione è quella di partecipare ad un
rito collettivo.
A colazione o per dessert. Granita, passione siciliana
Un famoso slogan pubblicitario mette a confronto i primati italiani "condivisi"
con altre nazioni. In Sicilia ce n'è uno tutto nostro, del quale gli altri non
osano mettere mai in discussione l'origine.
No, ma cosa avete pensato? Stiamo
parlando di un piacere, della frescura estiva con cui salvaguardiamo il palato
mettendolo a riparo dal caldo afoso di quest'isola. Signore e signori, la vera
regina dell'estate, colei che resiste a tutte le mode, insomma la granita.
Certo, come appartenente ad una famiglia reale - quella del buon gusto e dei
piaceri della gola - ogni città ne rivendica la provenienza, i vagiti, i primi
passi, l'imprimatur, l'inevitabile successo. Ragusaonline propone ai suoi
visitatori una versione iblea della granita, o meglio una storia modicana, come
tante squisitezze zuccherine che fanno di Modica la capitale siciliana di dolci
e affini.
La granita nasce attraverso esperimenti antichi. La neve, ad esempio, che veniva
conservata sotto il pagliericcio e su cui veniva spruzzata una dose di sciroppo.
Le prime macchine rudimentali per produrre granite in una certa quantità si
trovano al "Caffè Orientale" del cav. Civello. Una tinozza viene fatta girare a
mano dentro un pozzetto. Tra tinozza e pozzetto si forma il ghiaccio che viene
"tenuto" col sale grosso ( 2 parti di sale e 1 di ghiaccio). Era il tempo del
monsù, figura caratteristica, colui che caricava la tinozza sulle spalle per
portarla direttamente nei luoghi dove veniva consumata, per lo più feste
nobiliari.
Anche la "mezza", termine con cui viene ancora adesso indicata la granita ha un
sua spiegazione. Secondo Ignazio Iacono, che dell'Orientale fu garzone, oggi
titolare del "Caffè dell'Arte", vero e proprio tempio dell'arte delle granite a
Modica, la "mezza"era equivalente a mezzo limone, ovvero alla quantità
dell'agrume che bastava per condire il ghiaccio di una granita. Il termine, una
volta coniato, servì ad indicare anche la quantità delle granite di altro gusto.
Og gi, nelle moderne macchine dette mandecatrici, tinozza e pozzetto sono un
tutt'uno e funzionano automaticamente, anche per ottenere le cremolate.
Tuttavia, la mano dell'uomo, anzi del pasticciere, si fa notare, eccome. Quante
volte ci siamo ritrovati a masticare una granita troppo ghiacciata? Forse è
dipeso dalla quantità di zucchero utilizzato o dalla scarsa mescolanza una volta
inserita nel bancone da bar: è l'effetto dei grassi che, se non mescolati di
frequente, tendono progressivamente a raggrupparsi al centro del contenitore,
facendo indurire la parte più all'esterno.
SALINA - DA ALFREDO - Loc. Lingua - p.zza Marina Garibaldi - tel.0909843075
La granita di Alfredo è famosa in tutta Italia, e non c’è turista che metta
piede a Salina che non consideri questo locale una tappa obbligata. Questa
notorietà è del tutto meritata, per la varietà dei gusti, più di una decina in
media, e per la bontà e qualità del prodotto.
Adesso che Alfredo si gode il meritato riposo, dopo più di mezzo secolo di
attività, continuano la tradizione di famiglia i figli che utilizzano le ricette
del padre. Il segreto delle loro granite: qualità della materia prima usata,
frutta fresca, lavorazione con una vecchia carpigiani a pala verticale, tenuta
in funzione con molta cura, considerato che ha più di cinquanta anni. La granita
ottenuta ha una grana molto fine, come si usa nel messinese, con una consistenza
che si può definire quasi cremosa, ottenuta evitando la formazione di cristalli
di ghiaccio troppo grossi. Tanti i gusti disponibili: anguria, melone, fragola,
arancia, gelsi, pistacchi, limone pesca, cachi, cioccolato, caffè, mandorle,
fichi, nocciola, questi ultimi da provare con la panna.
S. STEFANO BRIGA (ME) - BAR GELATERIA DE STEFANO - Piazza S.Giovanni -
Tel.090630275
Tradizione familiare e passione sono alla base della produzione di questo bar.
Per quanto riguarda le granite il segreto è l’uso di materie prime di qualità,
possibilmente locali, e la lavorazione con la vecchia macchina per gelati a pala
verticale, che consente di ottenere delle granite con consistenza cremosa e una
grana molto fine, quasi un sorbetto. I gusti delle granite sono quattro e in
estate se ne aggiungono altri due. I gusti classici sono limone dalla fragranza
straordinaria - fatto con i limoni raccolti giornalmente dal proprio giardino -
fragole – quando è il periodo vengono usate quelle di Maletto sull’Etna – caffè.
A queste si aggiungono in estate quelle ai gelsi neri.
TAORMINA - GELATOMANIA - Corso Umberto, 7 - Tel.0942 23900
La ricetta segreta delle granite di questa gelateria di Taormina: passione,
competenza tecnica, qualità e freschezza della materia prima.Dodici gusti circa,
tra i quali ricordiamo limone, fragola, caffè, banana – molto particolare,
specie se abbinato al gusto cioccolato – nutella, nocciola, pistacchio,
cioccolato bianco, cocco, kiwi, lamponi, misto agrumi, passion fruit – da un
produttore locale che ha la coltivazione di alcuni tipi di frutta esotica
sull’Etna – ananas, mango. La lavorazione della granita al caffè, che è
preparato con la napoletana, è più laboriosa e lunga.Le granite sono lavorate
con la vecchia macchina a pala verticale, presentano quindi una grana più fine e
sono meno dense.
MILITELLO IN VAL DI CATANIA - BAR PASTICCERIA COSTANTINO - Via Duca degli
Abbruzzi - Tel.095655477
Anche in questo bar tradizione familiare, passione e competenza conferiscono
alle granite quel “qualcosa in più” che fa la differenza. Una decina i gusti che
si alternano secondo la stagionalità della frutta. Ricordiamo limone, caffè,
pistacchio, mandorla, cioccolato, pesche, gelsi, anguria, fragole e fichi. Alta
la percentuale di frutta fresca.
NOTO - CAFFE’ SICILIA - Corso V. Emanuele, 124 - Tel.0931835013
Del “laboratorio” di Corrado Assenza che dire, se non che le parole possono
esprimere solo in parte le emozioni suscitate dall’assaggio delle sue creazioni.
Passione, grande competenza, rigore nella scelta della materia prima,
possibilmente del luogo, sperimentazione continua, sono gli elementi che
costituiscono il segreto dei prodotti di questo locale. Qui, anche gustare una
granita, si può trasformare in una esperienza sensoriale particolare. Tra i
diversi gusti segnaliamo quelle all’arancia rossa, al limone, ma soprattutto
quella alla mandorla di Noto, da accompagnare con le favolose e fragranti
brioche.
MODICA - ROSY BAR - Via Risorgimento, 4 - Tel.0932906649
Sono quindici i gusti proposti tra granite e cremolate da Giovanni Pinelli. Qui
la passione non conosce confini, come il rigore nella preparazione e nella
scelta delle materie prime, stagionali e possibilmente del luogo. Le granite,
limone, caffè, fragole, gelsi, melone, pere, pesche – di una varietà locale
ormai quasi scomparsa – mandorle, pistacchio, cioccolato, ricotta, la cremolata
di fichi e noci, solo per citare alcuni gusti, sono proposte anche in modo
diverso dal solito. Infatti, la granita di ricotta – montata a freddo per
conservare le caratteristiche organolettiche – viene proposta con granella di
pistacchi, scaglie di cioccolato, scorza di cannolo e spumone di caffè. Quella
al cantalupo diventa invece un fresco e particolare antipasto, servita con una
fetta di prosciutto crudo avvolta su un grissino.
TRAPANI - PASTICCERIA COLICCHIA - Via delle Arti, 6/8 - Tel. 0923547612
In questo locale, aperto dal 1885, fare la granita è una vera e propria arte e
non c’è spazio per l’improvvisazione. D’altra parte siamo alla terza generazione
di una famiglia che ha sempre fatto granite, ed il cavaliere Franco Colicchia,
un signore ottantenne nel pieno delle forze, sovrintende ancora a tutta la
produzione. Una ventina le granite proposte, la maggior parte alla frutta di
stagione. Ricordiamo i gusti al limone, fragole, gelsi, anguria, mandorle,
pistacchio, caffè e quello al gelsomino, una vera e propria chicca che non fa
più quasi nessuno, perché la preparazione è lunga e laboriosa. Racconta infatti
il cavaliere Colicchia che i fiori di gelsomino, che lui fa raccogliere nella
propria campagna, dove coltiva anche i limoni, devono essere raccolti solo in
una particolare ora del giorno, al tramonto quando i fiori sono tutti aperti. Si
mettono, quindi, in infusione per tutta la notte in acqua di sorgente in un
recipiente che viene chiuso ermeticamente. Trascorsa la notte, il liquido
ottenuto si filtra e si zucchera per procedere quindi alla mantecazione nella
vecchia macchina a pala verticale, per poi trasferire il composto, già freddo,
nelle “carapine”, ovvero i pozzetti in acciaio.
PANTELLERIA - CAFFE’ AURORA - Via Borgo Italia, 36 - Tel.0923911098
Non c’è niente di meglio che fare colazione, appena sbarcati sul molo del porto
di Pantelleria, con una granita al caffè o al limone per svegliarsi bene dopo
una notte trascorsa sulla nave. Ancora meglio è gustare la granita all’anguria o
ai gelsi neri al ritorno dal mare, ancora accaldati, nel dehors del locale sulla
banchina del lungomare accarezzati dalla brezza marina . Sei i gusti proposti:
caffè, limone, mandorle, gelsi, anguria, menta. Le granite sono preparate in
maniera artigianale, tutta la lavorazione è manuale.
"APRIREI UN ALTRO LOCALE SOLTANTO
CON FIORELLO"
LA GRANITA DA "OSCAR" DI SARETTO
BAMBARA
Taormina (Messina) - Sorridono tutti, davanti a Saretto che a
vuci di testa, a voce alta, spara a raffica i gusti delle granite prima in
italiano, poi in inglese: «In estate arrivo a 23 tipi diversi», puntualizza con
orgoglio. Sorridono e chiedono il bis perchè sotto il sole di Taormina, tra una
vasca sul corso e una capatina al Teatro Antico l'estate diventa più gradevole.
Da un quarto di secolo Saretto Bambara è il re delle granite, ma anche dei
turisti che si concedono una colazione made in Sicily da Oscar.
Lei, Saretto, è come l'Istat: basta guardare chi arriva da
lei per capire i flussi turistici in città.
«In questa fase della stagione c'è un boom di australiani ed
è una sorpresa assoluta. A ruota le presenze di tedeschi, francesi, olandesi è
nutrita, ma sono quasi vicini di casa. In fortissimo aumento giapponesi e
cinesi».
Strutture ricettive piene zeppe.
«Da quel che mi risulta sì: ma crocieristi, turisti che
arrivano da tutta l'isola fanno tappa a Taormina. Sono sempre ottimista, spero
che ci sia un'estate di lavoro».
Al Bambar non manca mai.
«Siamo in attività da 23 anni, la fatica è premiata dai
sorrisi dei turisti».
Grazie ai social le scrivono da tutto il mondo.
«Chiedono, prima di approdare in Sicilia, i gusti delle
granite. O quando se ne vanno guardano le foto e si dannano a vita».
In questo periodo quale gusto di granita è in cima alla hit?
«Gli stranieri scelgono quasi sempre la mandorla di Sicilia».
Sui monitor scorrono le immagini di tutte le star, ma proprio
tutte, che in questi anni sono passati dalla città della cultura, del cinema e
delle bellezze paesaggistiche.
«Ho circa 450 foto, le altre sono custodite in un paio di
volumi insieme con le dediche».
I primi clienti famosi?
«I Pooh. Si fidarono ciecamente. Sono sempre tornati».
L'ultimo?
«Il "Gallo" Belotti. E anche gli Earth, Wind & Fire».
Ci sono entrati tutti, nel locale?
«No, li ho raggiunti io sul palco del teatro mentre
provavano».
Fiorello non perde occasione, la cita ogni volta che va in
tv.
«Siamo come parenti. Fiore mi ha aperto la strada, conosce
tutti e ai suoi amici dice: andate da Saro a gustare la vera granita siciliana».
Quante gliene combina Saruzzu?
«Abbiamo lo stesso nome (ride, ndr) improvvisiamo sempre.
Ogni estate si concede una settimana e arriva a sorpresa anche alle 7 del
mattino».
Prepara caffè, fa il banconista.
«Una volta fece pagare a una turista cinque euro proprio un
caffè. La signora prima lo guardava sospettosa: ma lei somiglia... E lui:
signora, me lo dicono tutti, ma non sono Fiorello. Alla cassa la cliente sgranò
gli occhi dinanzi al conto. E Fiorello, senza perdere tempo: signora il caffè se
glielo prepara Fiorello costa di più».
Dunque, Fiorello è fuori concorso. Ma chi ha suscitato più
simpatia negli ultimi tempi?
«Cito d'istinto Alessandro Siani, Salvatore Esposito, Fabio
De Luigi. Sono rimasti stregati dalla granita, hanno fatto un... cinema (detto
in dialetto, ndr)»
Tra gli stranieri?
«Matt Dillon, di una simpatia assoluta, si è messo dietro il
bancone ad aiutarmi. Antonio Banderas è stato divertente: "Questa granita è
buonissima" esclamava continuamente».
Molti artisti sono diventati amici.
«Coi ragazzi del Volo ho stretto un rapporto unico. Con
Giuliano dei Negramaro, siamo come fratelli. C'è affetto e ammirazione nei
confronti di Giorgia che dopo i concerti a Taormina dal palco mi ringrazia,
quando è lontana da qui mi scrive».
La star più elegante?
«Maria Grazia Cucinotta, orgoglio nostrale, della nostra
terra. La prima volta venne al bar con un abito bellissimo. Tra gli uomini
Robert Duvall e Michael Douglas hanno carisma».
Comincia il Festival del cinema, in arrivo altre celebrità.
Chi vorrebbe deliziare?
«Nicole Kidman, magari...»
Il filone calcistico, a Taormina, va sempre di moda.
«Sono juventino, ho conosciuto Tardelli, Cabrini, Conte,
Paolo Rossi, Del Piero, Zidane. Ho avuto l'onore di stringere un rapporto di
vera amicizia con Tardelli e anche con Pato e col compianto
Giacinto Facchetti».
Pure con grandi giornalisti.
«Cito su tutti Candido Cannavò e Luigi Necco, cantore di
Maradona. Ho conservato una dedica che mi emoziona ogni volta che la leggo».
Che cosa scrisse?
«Se Maradona avesse assaggiato le granite, forse avrebbe
preso un altro vizio».
Lei è stato un piccolo Maradona, o un antesignano di Mascara.
«Non esageriamo. Giocavo nel Giarre di Guglielmino, fummo
promossi in D grazie a un gol che segnai tirando da 40 metri. Fui aiutato dal
vento».
Perchè ha smesso?
«Perchè volevo lavorare qui».
Nessuno le ha mai chiesto di aprire un altro Bambar altrove?
«Eccome: mi hanno fatto propose da Dubai, Roma, Milano».
E lei?
«No. La mia granita nasce a Taormina. Odio il franchising.
Ma...»
Ma...
«Fiorello mi tenta sempre: apriamo un locale a Roma. Detto
tra noi, lo farei subito».
https://www.lasicilia.it/gallery/messina/256802/taormina-la-granita-da-oscar-di-saretto-bambara-aprirei-un-altro-locale-solo-con-fiorello.html
Visto che i suddetti redattori hanno
girato così poco o si sono affidati soltanto al "sentito dire" sul web, ho
escluso Catania dalla loro classifica essendo un mondo a parte per la granita
rispetto alle altre città siciliane, aggiungendo (secondo il parere di questo
sito) i locali dove si gustano le migliori granite nella città dell'Etna.
consigliati anche:
La nostra granita di Mandorla Pizzuta
d'Avola...
semplicemente UNICA nel
suo genere.
Le origini della granita
vengono solitamente fatte risalire alla
dominazione Araba in Sicilia. Gli Arabi
portarono con sè la ricetta di una bevanda
ghiacciata aromatizzata con succhi di
frutta. In Sicilia, usavano la neve che
d'inverno veniva raccolta sull'Etna, sui
monti Peloritani, Iblei o Nebrodi e stivata
durante l'anno nelle nivieri, apposite
costruzioni in pietra erette sopra grotte
naturali o artificiali. In estate veniva
prelevato il ghiaccio formatosi per essere
poi grattato e ricoperto di sciroppi di
frutta. Questa preparazione, era diffusa
ancora fino al primo Novecento con il nome
di rattata (grattata)
Realizziamo per voi la
granita seguendo la più classica tradizione
Siciliana: pochi ingredienti di altissima
qualità, un sapore dolce ma non stucchevole
e tantissima freschezza.
Per gli abitanti della città etnea il
“fiorir di primavera” che tanti versi
ispirati ha indotto nei cuori sensibili
proprio non esiste. Si passa dall’inverno
alla calda estate. Che poi fuori ci siano
ancora 10 gradi e le tempeste di stagione
poco importa. Non lo ammetteranno mai, per
loro è già estate. Cioè tempo di granite.
Ecco allora la nostra guida alle 10 migliori
granite di Catania, provincia compresa.
Ce ne sono per tutti i gusti, di tutti i
tipi.
1) BAR LA TIMPA –
SANTA MARIA LA SCALA
Spremitura a mano.
Chi è stato il primo a scoprire la granita
della zia Tanina, insomma il bar della Timpa
di Santa Maria la Scala? Su questo posto, su
questa donna splendida, si dovrebbe scrivere
un libro, e in fretta.
Un semplice bar che più anonimo non si
potrebbe, in una microscopica frazione sotto
la “timpa”, costone lavico dalla natura
selvaggia, incantevole e silenziosa. Quando
si parla di sostanza, di un posto dove
l’apparenza non entra ma neanche di
striscio, il bar La Timpa non lo batte
nessuno. Proviamo a spiegare qualcosa di
più.
Capelli grigi un po’ trasandati e legati
alla buona, con l’immancabile fadale. Sempre
affaccendata, con le mani che non si
stancano mai di impastare la frutta delle
granite. E ricominciare da capo.
Lei, in apparenza più anziana di quel che
davvero è, potrebbe anche non darvi la
granita, per lo meno non in tutti i gusti
disponibili.
Alcuni li tiene nascosti dagli sguardi
indiscreti coprendo i pozzetti del banco
frigo con la carta stagnola.
“Doppioni sono!”, è la sbrigativa risposta
per il malcapitato che ha la ventura di
chiedere cosa si nasconde sotto. Il
messaggio è scritto a chiare lettere. Non
fare domande. Stop.
Ma attenzione, non è una macchietta. Chi
pensa di deridere questa donna siciliana
d’altri tempi, di grande intelligenza, dalla
battuta salace e pronta, verrà fulminato
all’istante.
Se invece, per qualche fortunata
congiunzione astrale entrate nelle sue
grazie, vi farà sentire coccolati,
chiamandovi ‘gioia’, e concedervi le sue
migliori specialità come farebbe la nonna
che vi ha cresciuti.
Sedendo ai tavoli non chiedetevi chi vi
servirà, potrebbe essere un vicino di casa,
un abitante del luogo, un parente della
numerosa famiglia, o un po’ uno e un po’
l’altro.
Solo bicchieri di carta, raramente di vetro,
come se il sapore vero non avesse bisogno di
materiali importanti. Quello piccolo, da
caffè, dal costo di un euro, potrà pure
bastarvi, colmo com’è.
Gusti: quelli che la sorte e la benevolenza
della zia Tanina vorranno farvi scoprire.
Strepitosi pesca, banana, arancia rossa,
mandorla e lampone (che proviene da una
coltivazione del marito “quannu non c’è
troppu cauru”). Tutti preparati a mano senza
nessun macchinario, neanche lo spremiagrumi
per il limone.
La sera passando da Santa Maria La Scala,
quando i pochi abitanti del borgo marinaro
vanno a dormire, la troverete seduta davanti
al tavolo del suo bar, con la granita appena
consumata, a fissare il vuoto, mentre si
sostiene il volto stanco con la mano, in una
delle cartoline siciliane più affascinanti.
2) BAR MUSUMECI –
RANDAZZO
Randazzo possiede tre doni: l’eleganza
austera della città normanna, una
sovrannaturale frescura estiva e la granita
di Giovanna Musumeci.
Per equilibrio è superiore a qualunque altra
in Sicilia. Equilibrio tra gli ingredienti,
calcolato di giustezza in ogni gusto.
Equilibrio ancora più millimetrico tra la
freschezza originale della granita e quel
pizzico di cremosità in più che conferisce
la polpa della frutta. Un vero miracolo.
Giovanna Musumeci, figlia di Santo, maestro
gelatiere presente nella classifica di
Dissapore fin dalla prima edizione, conduce
una ricerca personale sulla granita
perfetta.
Laureata in economia e commercio, con la
giusta dose di umiltà e una naturale
affezione per i suoi luoghi, e per i
prodotti locali, è instancabile. Un vulcano
vero.
Gusterete la granita nella piccola piazza
Santa Maria, davanti alla Basilica del XIII
secolo di stile normanno-svevo.
Gusti consigliati: fragola, fatta con
fragole e fragoline di bosco, dal colore
vivo e sapore inequivocabile. La
“mastrantonia” fatta solo nel mese di giugno
con le omonime ciliegie di S.Alfio, piccolo
paesino etneo, e la granita alle pesche.
Da elogiare anche la granita al pistacchio,
nemmeno quella della vicina Bronte, la
granita della “Caffetteria Luca“, ritenuta
tra le migliori, può reggere il confronto.
Infine la granita al limone: così, come non
l’avete mai mangiata. Il gusto alterna
l’aspro dell’agrume, la dolcezza e un
superlativo tocco di amarognolo che proviene
dall’infusione delle bucce dei limoni.
3) BAR ALECCI –
GRAVINA DI CATANIA
La sveglia a colazione. Trovate il bar
Alecci in una via trafficata di Gravina,
piccolo paese un tempo terra di agrumi,
ormai inglobato nella città etnea come un
normale quartiere.
Il titolare, il signor Alecci, così come
l’eterna Cinquecento posteggiata fuori, vi
accolgono dalle prime ore del mattino con
uno squillante saluto, assegnando titoli a
caso (Avvocato! Dottoressa! Direttore! a
seconda del momento o delle situazioni).
Nel primo pomeriggio invece, quando la
situazione è più calma, il tono squillante
si adatta diventando uno suadente ‘Buon
pomeriggio signori‘.Affollato durante la stagione estiva a causa
delle, va da sé, meravigliose granite,
invade la via intera con il profumo delle
briosce sempre calde. Inutile resistere.
Gusti consigliati: gelsi, pistacchio,
mandorla e cioccolato.
4) ZZU ORAZIO E LA
LAPA – ACI TREZZA
La granita nel cuore della notte. Una
menzione a parte merita questa “lapa” che
esiste da 60 anni, e che da 27 appartiene
allo “Zzu Orazio”, sempre in giro per
vendere le sue granite, in sosta durante la
notte di fronte al mercato ittico di
Acitrezza.
Nella piccola piazzola il silenzio notturno
è interrotto dallo scarico del pesce e dalle
grida dei venditori, un via vai di uomini
che sollevano tonni e pesci spada dai dieci
ai cinquanta chili, e le cassette colme di
sarde o di masculine.
Ma siamo anche nella zona dove sosta la
movida catanese. Per questo i clienti dello
zzu Orazio si dividono in una bizzarra
mescolanza: giovanotti impomatati che
terminano con una granita la notte in
discoteca, a volte un po’ ubriachi, e rudi
uomini sporchi di sangue del pesce che hanno
appena spezzettato in tranci.
La granita ha il sapore di quella che i
siciliani, oggi quarantenni, gustavano da
bambini. La granita delle “lape“, che
giravano e girano ancora suonando il
fischietto per annunciarsi, e riponendo le
granite nei “panari” calati dai balconi.
I gusti migliori sono i gelsi e il limone,
l’orario preferibile è alle 3:00 del
mattino, quando al mercato arriva il pesce
migliore e le briosce servite dallo Zu
Orazio sono ancora calde.
5) CAFE SOLAIRE –
ACITREZZA
Ancora Acitrezza nella nostra classifica,
per una gelateria che ha conquistato il
cuore di molti catanesi.
Esattamente di fronte l’isola Lachea, di cui
si apprezza la vista piacevole, la gelateria
Caffè Solaire è un locale piccolo e
semplice.
Ottima la broscia con il tuppo, sfornata
sempre calda.
Tra i gusti consigliati la granita ai fichi
(ma solo ad agosto, nel periodo di raccolta
del frutto), la granita al melone cantalupo,
per chi ne ama il sapore dolce, e la granita
al caffè.
6) GIARRE – CHIOSCO
LITTLE ROBERT
A Giarre il livello medio delle granite è
elevato. Nel posto migliore, un grande
chiosco in legno nel quartiere “Funnacu
Baruni” (il fondo agricolo del barone) alla
fine della via principale, si fa una granita
al limone verdello eccezionale.
Il limone verdello è un frutto molto
dissetante raccolto da maggio a settembre
nelle zone che vanno da Acireale a
Fiumefreddo: Giarre sta nel mezzo.
La buccia è di colore verde chiaro, la polpa
è meno succosa del normale e assai aspra.
Caratteristica che resta intatta nella
granita per la presenza delle piccole
scorzette che la colorano, e che grazie al
retrogusto amarognolo ne bilanciano la
dolcezza. Una granita che ricorda una
rinfrescante limonata, e che viene fatta con
la stessa ricetta da due generazioni.
Se ci andate portate delle banconote da
cinque o dieci euro, il titolare non accetta
altro. “A causa dei falsari” spiega, ma
senza troppo astio: “anche loro devono
lavorare”.
7) C&G – GRANITA AL
CIOCCOLATO
Cioccolato, gelato, e pure granita.
A
Catania l’apertura del locale, avvenuta
qualche anno fa, ha rappresentato una
piccola svolta. C&G ha portato in città una
conoscenza maggiore e tutta la delizia del
cioccolato.
Ambiente moderno, bianco e nero che
dominano, marchio riconoscibile,
scenografica presentazione della granita dal
gusto deciso del cioccolato.
Cafè Mithos ad Acitrezza - la granita al lungomare coi
faraglioni davanti. Tutto l'anno
8) SAVIA – CATANIA
Un classico che non tramonta. Al centro di
Catania, tra via Etnea e via Umberto nel
salotto buono della città Savia è un
brulicare continuo di persone.
Una volta faceva la migliore granita di
Catania. Un punto di riferimento. Oggi,
detta ancora legge in centro, specie per la
granita alla fragola, con qualche rimpianto
dei catanesi a causa della chiusura per
ferie a giugno/luglio.
9) CAFE CIPRIANI –
ACIREALE
Nelle gelaterie di Acireale potrebbero
capitarvi gusti stravaganti per via della
Nivarata, manifestazione che ogni anno
premia la migliore granita “originale”.
Consentiteci, saranno anche più o meno
condivisibili, ma rischiano di snaturare
l’essenza della granita, ovvero la
semplicità.
L’elegante e rinomato Cafè Cipriani, di
fronte alla bellissima chiesa di San
Sebastiano, oltre ai classici gusti serve la
granita “Regno delle due Sicilie”, un vero
babà trasformato in granita.
Un’idea per golosi, con la sua bella
consistenza, di certo né leggera né
rinfrescante.
10) BAR KENNEDY –
ACIREALE
In una zona di Acireale meno barocca e
centrale di altre trovate il Bar Kennedy,
attrezzato con una grande veranda e
frequentato a ogni ora.
Lasciate perdere la granita “pan di stelle”,
specialità del posto, e optate per i gusti
freschi e naturali.
Da provare: granita al caffè, che
nell’opinione dei gelatieri esperti resta
tra le meno semplici da preparare, al
pistacchio e ai gelsi
A pochi metri di distanza c’è la gelateria
“Nevaroli Condorelli”, aperta dal figlio del
proprietario dello storico bar acese.
Marchio a suo modo storico ma ambientazione
moderna per l’amata granita, rivisitata
anche nei gusti, non sempre riusciti.
Se proprio vogliamo segnalare un gusto
originale, meglio allora la “mandorla araba”
del bar San Domenico.
L’aggiunta alla mandorla dell’anice stellato
rende la granita più fresca, la spolverata
di cannella richiama un binomio sempre
presente nella pasticceria siciliana.
http://www.dissapore.com/locali/catania-le-migliori-granite/
[CREDIT – PH. ALFIO
BONINA – ORAZIO ESPOSITO]
MINNULATA SENZA TEMPO
C’è chi la chiama
granita, chi gramolata, a Roma gratta
checca, nel resto dello stivale granatina,
ma noi catanesi per lei abbiamo un solo
nome: minnulata.
Il suo apparire segnava
la fine della scuola, per nove mesi,
infatti, i miei risvegli mattutini erano
bruschi e scanditi dalla voce di mia madre
che disperata ripeteva: “Possibili ca ancora
rommi? Spicciti s’annunca arrivi taddu a
scola!”.
Con l’arrivo delle
vacanze aprivo gli occhi al suono di una
campanella accompagnata dalla voce di un
uomo che magnificava il suo prodotto
rinfrescante. Pensandoci bene credo che
anche Lucio Battisti abbia attinto la sua
vena poetica a questo quadretto, poiché: “Un
carretto passava e quell’uomo gridava…
ciccolatti e mandolla”. Saltavo dal letto,
mi premunivo di bicchiere in una mano,
mentre nell’altra tenevo stretto un pezzo di
cinquanta lire, mi catapultavo in strada per
arrivare prima degli altri ragazzini per
ordinare trenta lire di minnulata, che
tradotte in badduzzi (unità di misura da
minnulata) ne venivano fuori due cioccolato
e due mandorla, il resto mi serviva per
prendere al volo ‘nto panificio ‘n ferru di
cavaddu ca ciciulena.
U pisòlu della porta di
mia nonna mi faceva da sgabello. Ero pronto
per consumare avidamente la mia colazione.
Non potete immaginare quante volte la
sinovia dell’arcata sopraccigliare veniva
interessata dall’immissione rapida di
liquido avente una temperatura
notevolmente inferiore a
quella corporea, in altre parole ‘mpazzeva
do ruluri di gigghiu!.
Sono passati parecchi
lustri dall’ultima pigghiata di minnulata,
ma non è cambiato il rito della granita. Il
pisòlo ha dato spazio ad una più comoda
sedia, se non addirittura poltroncina, il
bicchiere non è più quello “vastaso” della
mia infanzia, ma una più elegante coppa (ci
nni va però chiù picca!) le brioches hanno
scalzato i più salutari e croccanti ferri di
cavaddu. Anche come varietà si è spezzato il
duopolio ciccolatti-mandolla, infatti se per
disgrazia chiedi al cameriere: “che gusti ci
sono?” può leggerti un elenco lungo non meno
di due pagine uso bollo. Una cosa non è
cambiata, quella forza aggregante che solo
la granita può darti, consumarla con gli
amici al bar significa discutere dei nuovi
progetti, metterli al corrente di nuovi
gossip (pi fari cuttigghiu!) o semplicemente
cazzeggiare e dare il via alla bella
stagione. Non c’è niente di meglio, ci fa
tornare bambini e ci mette di buon umore. Su
una cosa però non transigo: potrei trovarmi
seduto al Bar, uddinassi sempri du badduzzi
ciccolatti e dui mandolla. Se tradizione è,
bisogna rispettarla.
Gino Astorina
foto di Fralaroc
Come mangiare
la Granita siciliana
E' quello che si legge nei cartelli
improvvisati delle gelaterie di mezza Italia
da maggio a settembre. Vista l’inesistenza
di granite marchigiane, toscane o
altoatesine, non capisco per quale motivo si
tenda a sottolineare l’origine isolana,
considerando anche il fatto che nella
maggior parte dei casi quella granita poco
assomiglia all’originale. la granita giusta,
una volta trovata, va anche consumata in
maniera corretta Preso atto della confusione
che aleggia tra produttori e consumatori, è
arrivato il momento di fare chiarezza e
spiegare una volta per tutte cosa significa
granita e come approcciarla. Salteremo il
capitolo delle origini, tema caro a molti ma
già ampiamente dibattuto, e prenderemo in
studio la zona geografica con la più alta
concentrazione di granite ben fatte:
Messina. Per raccontarvi la vera tradizione
della granita e come questa si sia evoluta,
ho dovuto infiltrarmi lì dove il tasso di
cultori popolari della materia è
elevatissimo. Dio benedica il web, mi è
bastato stuzzicare gli utenti di Sei più
messinese di un messinese. In riva allo
Stretto si vive di miti incredibili come
Scilla e Cariddi, fantasie come il ponte e
le speranze di un posto di lavoro: unica,
concreta certezza è la granita, il cui
consumo si officia tradizionalmente per
colazione ma si difende bene anche come
sostituto del pranzo e rinfresco delle notti
estive. Eccovi dunque spiegato il modo
impeccabile per consumare la granita.
1: Spavalderia al bar.
Fare gli esperti richiede studio e
impegno. Per cominciare, bisogna ricordare
che la granita non si beve, si mangia. Se
non riuscite a comprendere questo sarete
bocciati all’istante. Ordinare una granita
risulta molto complesso perché le variabili
sono molte: con panna, senza panna o
macchiata? Brioche sì o no? Che gusto?
Decidete in fretta e non fatevi cogliere
impreparati. Se opterete per quella al caffè
con panna, chiedete al barista mezza con
panna: lui capirà. Non azzardate la
richiesta di poterla vedere: la granita vera
è nascosta nel pozzetto e non esposta in
strani macchinari trasparenti.
2: Non chiamatela
ghiaccio tritato. Per essere tale, la
vera granita non deve far percepire i
cristalli di ghiaccio in modo marcato, ma
nemmeno essere asciutta e sorbettosa. La
densità varia leggermente in base al gusto
scelto. A proposito di gusti: caffè,
cioccolato, limone, fragola, gelsi,
mandorla, sono quelli riconosciuti dai
laboratori di pasticceria storici di
Messina. Evitate di chiedere cose al melone
o arancia: sono un abominio. La buona
granita è fatta con ingredienti che hanno un
giusto rapporto polpa/sapore e
acidità/zuccheri, in modo da avere il giusto
gusto una volta ghiacciati.
3: Panna: leggere
attentamente le istruzioni. Questo è
un annuncio importante che spero venga
recepito da tutti coloro che vendono granite
nel mondo: la panna va zuccherata, santo
cielo. Zuccherata. La mia proposta (che
dovrebbe diventare legge tramite decreto
d’urgenza) è di 100 g di zucchero a velo e
un tocco di vanillina per ogni litro di
panna fresca. Bandita quella vegetale.
Quanto a chi vuole solo mangiarla, la panna
sulla granita è come il parmigiano sugli
spaghetti: puoi farne anche a meno ma non
sai cosa ti perdi. Ci sono 2 tecniche per
consumare la panna: mescolarla insieme alla
granita e fare un tutt’uno o mangiare prima
l’una e poi l’altra. Qui l’usanza messinese
si divide ma vince, per qualche punto, la
seconda versione. Sembra facile fare
colazione, ma non lo è.
4: Bagnare la brioche.
La brioche con la coppola accompagna la
granita come un padre fa con la figlia che
si appresta all’altare: devono avere lo
stesso ritmo e arrivare insieme alla fine
del percorso. Tuttavia ci sono scuole di
pensiero diverse sul consumo. Alla coppola
si associa un gusto più accentuato e un
ottimo rapporto crosta/mollica rispetto al
resto della brioche (la cui versione
originale è prodotta senza uso di uova); per
questo motivo i messinesi sono rigidi sul
momento in cui consumarla. La maggioranza
preferisce usarla subito, da affondare nella
panna. La minoranza, di cui faccio parte,
ama lasciarla per l’ultimo tocco di granita
in fondo al bicchiere. L’apoteosi giunge
solo se la brioche è servita calda: a quel
punto abbandonatevi ai sensi. Alcuni bar
storici della periferia offrono anche il
pesciolino, un pane di farina tenera con
forma allungata e spolverato di sesamo:
fortissimamente vintage, così come l’uso dei
biscotti al burro.
5: Ricapitolando.
La storia insegna che i gusti tra cui
scegliere non sono tanti ma sono i migliori.
La presenza della panna renderà speciale la
colazione (e anche bilanciata) e, se non
amate i grassi, magari chiedete solo di
farvela macchiare. Sedetevi e mangiate con
calma la granita perché non stiamo parlando
di una bevanda rinfrescante: va consumata
senza fretta. Utilizzate la brioche facendo
attenzione a finirla insieme ma ricordate
che, parlando di tradizioni sicule, fare il
bis di brioche è consentito. Pensateci bene
prima di chiamare granita quei bicchieroni
dai colori sgargianti che vogliono vendervi
come tale, perché essere granita oggi è
molto più faticoso.
di Alessio Cannata
http://www.agrodolce.it/2014/07/29/come-si-mangia-la-granita-in-sicilia/
Dal 6 all’8
giugno prossimi, ad Acireale,
una tre giorni all’insegna della
gelateria della promozione delle
eccellenze siciliane. Torna
infatti, per la sua terza
edizione,
la Nivarata,
evento che rinnova il
tradizionale rito della granita
siciliana. Il programma è
ricco di talk e live food show,
workshop, artigianato, convegni,
mostre, manifestazioni
artistiche e ospiti d’eccezione.
Alla manifestazione, che vanta
il patrocinio del Ministero
delle Politiche Agricole e
Alimentari e Forestali,
parteciperanno i grandi
protagonisti del mondo della
gelateria e del food,
provenienti da tutta Italia, ma
anche a livello internazionale.
Tra loro Eugenio
Guarducci, ideatore e patron di
Eurochocolate, il prestigioso
festival dedicato al cioccolato.
Proprio Guarducci, insieme al
sottosegretario alle Politiche
Agricole e Agroalimentari
Giuseppe Castiglione, sarà tra i
protagonisti dell’incontro
dibattito “Le granite verso Expo
2015″ che si terrà venerdì 6
giugno, alle ore 12.30 al Pala
Nivarata, all’interno della
Villa Belvedere. Durante
il dibattito, si annuncerà la
presenza della Nivarata e della
Granita Siciliana all’Expo che
aprirà i battenti a Milano nel
2015.
Sabato 7 giugno
alle ore 11.30, sempre al Pala
Nivarata, nel talk e live food show
“La dieta mediterranea e la cultura
del benessere” si ritornerà a
parlare di Sicilia, produttori e
prodotti del territorio tra cultura,
genuinità e salute.
La terza edizione
della Nivarata si apre all’insegna
di un importante gemellaggio: quello
con il Brighton & Hove Food and
Drink Festival, uno dei più
importanti eventi di cibo e bevande
in Inghilterra, ormai giunto alla
XIII edizione. Questo gemellaggio
apre alla Sicilia le porte dei
mercati esteri: il team della
Nivarata sarà ospite a settembre
del Brighton & Hove Food and Drink
Festival per deliziare i cittadini
del Regno Unito con la granita
siciliana artigianale e con altre
prelibatezze tipiche siciliane.
Inoltre, proprio
grazie a questa partnership siglata con
il festival britannico, sabato 7, alle
ore 18.00 all’interno del Pala Nivarata,
il gelatiere inglese Seb Cole, noto per
i suoi gusti creativi e owner di Boho
Gelato, si esibirà in The Big Chill, il
live food show nel quale saranno
protagonisti “Gelati e Granite tra
Sicilia e Gran Bretagna .
La granita di Catania
Alessandro Buttitta
Al pistacchio di Bronte, ai gelsi neri, mandorla, oppure al caffè. La mappa
ragionata dei locali migliori della citttà. Per rinfrescare l'estate.
L’estate a Catania si affronta a colpi di granite. Colazione o merenda,
spuntino a metà giornata o cena rinfrescante per chi vuole mantenersi leggero,
la granita è diventata il simbolo della città. Una contrapposizione simbolica
all’Etna che, dall’alto del suo tetto fumante, guarda con zampilli di lava la
piana catanese. Sin dalla dominazione araba, la granita accompagna i mesi caldi
dei catanesi che preferiscono di gran lunga il suo sapore a quello del gelato.
Catania, con il suo ricco hinterland, è la zona siciliana dove si possono
mangiare le migliori granite.
LA RIVALITÀ CON MESSINA E PALERMO. Superiore per qualità alle pur ottime
produzioni palermitane e messinesi, la granita catanese si contraddistingue per
la varietà di sapori e per una fattura più originale. Merito di una tradizione
del gusto affinata e tramandata nel tempo dalle famiglie di artigiani che
conducono i laboratori più importanti della città.
Con una spesa che oscilla fra i 2 e 3 euro, si possono degustare ottime granite
in molti bar a due condizioni: lasciarsi prendere dalla sperimentazione (non
fuggite difatti alle varianti all’ananas, ad esempio) e farsi guidare
nell’assaggio dalla brioche, accompagnamento indispensabile per godersi al
meglio un’ottima granita.
Catania, Sicilia. Alla frutta e con la panna la granita viene servita a
colazione.
LA MAPPA PER NON SBAGLIARE Prima tappa per ogni amante della granita a Catania è
la Gelateria Zappalà in Via dei Caduti del Lavoro 75. Con una spesa ragionevole
di 2,20 euro, supportata anche dalla gentilezza dei gestori, da provare
assolutamente sono le granite alla fragola. Chi è specializzata anche nella
produzione di granite alla frutta è il Caffè Europa, storico punto di ritrovo
della città etnea. Situata in pieno centro storico, in Corso d’Italia 302,
questo bar è un suggestivo incrocio di sapori da dove tutti i catanesi passano
almeno una volta alla settimana. Consigliamo in primo luogo la granita ai gelsi;
in seconda battuta da provare la granita agli agrumi di Sicilia e al caffè. Si
paga un po’ di più (3 euro con brioche), ma l’accoglienza è eccellente.
DA NON PERDERE IL PISTACCHIO DI BRONTE Altro posto dove andare a colpo sicuro è
il Cioccolato Caffè sul lungomare in Via Ruggero di Lauria 129. Ideale per chi
vuol fare una bella passeggiata con bella vista sul mare, questo bar è famoso a
Catania per le sue granite alle mandorle. Da prendere in considerazione sono
inoltre le granite al pistacchio, proveniente doverosamente dalla vicina Bronte.
Un nuovo bar dove mangiare ottime e rinfrescanti granite è la Pasticceria
Pistorio in Piazza Ariosto 19. Qui si gustano, con soli 2,50 euro di spesa, le
migliori granite al limone della città, seguite sul podio dalle altrettanto
saporite granite al cioccolato e alla mandorla e caffè.
LA SPECIALITÁ È QUELLA AI GELSI NERI La granita ai gelsi neri, una delle
specialità catanesi, è invece molto buona all’Antica Pasticceria Siciliana in
Via Trieste 52. Se si vuole uscire dai confini catanesi e si vuole provare ad
andare nei paesi vicini, è molto consigliato Militello in Val di Catania. In Via
Duca degli Abruzzi è facilmente individuabile la Pasticceria Costantino, storico
centro a conduzione familiare che nel corso del tempo ha visto accrescere la sua
fama locale grazie alle meravigliose granite con frutta fresca di stagione.
http://www.oggiviaggi.it/22931/dove-gustare-la-migliore-granita-di-catania/
Le brioches catanesi col tuppo.
......sentire lo sprigionarsi del profumo che
emanano in cottura mi ha riportato indietro di ben 23 anni, quando da
bambino mio padre mi portava la Domenica al bar per mangiare a colazione la
famosissima "brioscia 'ca granita".
Ogni Siciliano che si rispetti si vanta di
questa meraviglia Siciliana, che di per sè non ha nulla di particolare ma
rappresenta per i turisti una vera attrazione, da consumare rigorosamente al
tavolino di un bar di paese...oppure in qualche lussuosissimo bar di via
Etnea a Catania...
Ma veniamo alla ricetta...
http://www.lacucinadegliangeli.net/2010/05/la-brioches-siciliana-quellaco-tuppu.html
altra ricetta di Adriana R., (Gennarino)
500 g. farina Manitoba - 500 g. farina 00 - 150 g. zucchero -
150 g burro - 20 g. sale - 15 g di lievito di birra* - 350 g di latte freddo -
20 g di miele - 4 uova - A piacere qualche goccia di aroma panettone (io ho
usato della scorza gratt. di arancia)
Nella ciotola della planetaria mettiamo la farina, il miele,
e il lievito di birra che avremo sciolto con una parte di latte, iniziamo a
lavorare limpasto aggiungendo le uova una alla volta.
Impastiamo tutti gli ingredienti per almeno 20/25 minuti,
aggiungendo poco alla volta il latte freddo e il sale che avremo sciolto in una
piccola parte di latte, a questo punto iniziamo ad aggiungere il burro freddo e
non a temp. amb. e procediamo a vel.1-1/2, limpasto dovrà staccarsi dalle pareti
totalmente, e come ci ha insegnato Adriano capovolgiamo spesso l'impasto,
stacchiamolo dal gancio e ricominciamo.
L'impasto dovrà presentarsi molto elastico, sarà pronto
quando tirando tra le dita un po' di impasto si formerà un velo senza
strapparsi.
Quindi mettiamo l'impasto a lievitare coperto, a questo punto ci sono due strade che possiamo
percorrere: se si vogliono preparare in giornata lasciare che la pasta triplichi
il suo volume iniziale e quindi lasciamo lievitare a circa 28°, se invece
vogliamo delle brioches da primato riponiamo in frigorifero con tutto il
contenitore l'impasto, coprendo
con
della pellicola fino al mattino seguente. Io ho preparato l'impasto la sera
precedente.
Al mattino capovolgiamo l'impasto sul tavolo di lavoro
infarinato, lasciamolo a temp. per un'ora senza lavorarlo, trascorso il tempo
arrotoliamolo appena e porzioniamo la pasta realizzando delle omogenee pallette
e inseriamo una pallina più piccola a mo' di tappo.Rimettiamo a lievitare
(dentro al forno con la luce accesa, comunque ad una temperatura max di 28°)
fino al raddoppio delle brioches, una volta trascorso il tempo, spennelliamo con
un tuorlo e un po di latte e inforniamo a 190° per circa 25'.
* Nota importante: nel caso in cui si decidesse di lavorare
l'impasto nel tardo pomeriggio, per infornare al mattino, sarebbe meglio
diminuire il lievito di birra a 10 gr.
Per quanto riguarda la granita invece ho scelto quella al
caffè proprio perchè sto parlando di colazione e diciamolo, anche perchè è una
delle mie preferite ;-) , ma quì si spazia da quella al limone, a quella fragola
e panna, da quella alla pesca, a quella alle mandorle, da quella al pistacchio,
a quella al gelsomino, ed ancora al cioccolato ... continuo?!
http://deliziando.blogspot.it/2008/05/brioches-siciliane-e-granita-caff-e.html
Brioche: Come nasce la broscia
siciliana?
Creato da: Staff Siciliafan
Amici ed amiche, lo devo ammettere: è una pugnalata al cuore
dover descrivere ai turisti e parenti lontani la broscia come “pane morbido”. E'
mai possibile dargli questa definizione?
La broscia siciliana è la broscia o broscina. Nient'altro.
Alle volte la chiamiamo brioche, ma questo potrebbe indurre
dei malintesi con i nostri fratelli polentoni che pensano immediatamente ad un
croissant. Ma il croissant è il cornetto! Non riuscirò mai a farglielo capire.
Ci rinuncio.
Cosa ha di diverso dalle brioche continentali?
Probabilmente nulla negli ingredienti per la pasta, ma
l'anima è totalmente diversa.
A noi viene automatico collegare l'idea di una broscina al
gelato ed alla panna sopra, magari spolverata di pistacchio o mandorle.
Ma su, in continente, qualora dovessi chiedere una brioche
col gelato è molto probabile che ti porteranno al tavolo una coppetta con
cornetto a parte. Ed è lì che prenderesti quel cornetto e lo…. (lasciamo stare).
Come si fa a pensare ad un cornetto con all'interno olio e
zucchero. Oppure olio, origano e pomodoro. Oppure granita e broscina. Oddio che
goduria. Roba da perdere la testa. Ad ora di zucchero e pasticceria siamo
imbattibili.
Lo sapevate che il termine broscia fosse un vocabolo agricolo
con il quale si indicava lo spazio tra un solco e l'altro durante la semina?
Viola Dante
Franco Raciti e Mimmo Rapisarda con i gemelli Luca e
Davide D'Amico, fondatori di Catania Facebook (foto di Salvo Puccio)
I
gelati in Sicilia hanno tradizione antica. Una volta, nelle famiglie
patrizie, si conservava per la stagione estiva la neve dell'Etna in
apposite "case neviere", anfratti naturali in l uoghi
particolarmente freschi, per ripararla dal caldo e utilizzarla
all'occorrenza nella preparazione di sorbetti e gelati. Fino ad oggi
nessuna grande industria del Nord, con i suoi prodotti accuratamente
studiati e confezionati, è riuscita a scalzare il posto che nelle
scelte dei buongustai occupa il gelato artigianale, un vero e proprio
vanto della pasticceria siciliana.
La
qualità, i tipi, il gusto, le essenze, la manifattura dei gelati
varia da una zona all' altra dell'isola, in una serrata e stimolante
competizione fra una città e l'altra. A Palermo primeggiano i
"pezzi duri". Il gelato di melone rosso (anguria) con
profumo di gelsomino, tipico del Festino di Santa Rosalia, quello di
"scorzonera e cannella", la cassata (da non confondere con
la più famosa gemella, tradizionale torta pasquale), il coloratissimo
"giardinetto" e financo il gelato di "riso e
chantilly" di chiara origine francese. Durante la Belle Époque
le gelaterie più famose, si trovavano lungo la passeggiata a mare del
Foro Italico e spesso le signore consumavano il gelato all'interno
delle loro eleganti carrozze, in sosta davanti al bar. Nel messinese
spiccano le granite, di caffè e di limone, molto simili a quelle del
palermitano, per la loro consistenza granulosa, ma del tutto diverse
dalle granite dei paesi del val di Noto, vera e propria specialità
dolciaria della zona, assai più compatte e lavorate.
Programmare
un viaggio in Sicilia, alla scoperta di cittadine quali Noto, Modica,
Ragusa Ibla o Palazzolo Acreide, è un suggerimento che mi sentirei di
porgere a tutti coloro che siano interessati alle bellezze
architettoniche e paesaggistiche che questi luoghi offrono. Le
passeggiate lungo le vie dei centri abitati, su cui si affacciano
palazzi nobiliari ed eleganti edifici, presentano una scenografia del
tutto particolare, che
segna felicemente il passaggio dal tardo
barocco, alle linee più morbide e contenute di un nascente
Settecento.
I
prospetti dei fabbricati con i loro balconi ricchi di decorazioni,
smerlettature, mascheroni scolpiti nella pietra bianca, si alternano
alle chiese che svettano verso il cielo, la maggior parte delle volte
al sommo di maestose scalinate, che esaltano l'armonia di curve e
chiaroscuri, espressione di quel "barocco ibleo", sobrio ed
elegante, che richiama visitatori da ogni parte del mondo.
Paradossalmente
dobbiamo al terremoto che alla fine del XVII secolo rase al suolo gran
parte dei paesi della val di Noto, cancellando del tutto vestigia di
passate civiltà, l'equilibrio architettonico di queste cittadine,
specialmente di Noto, che subito dopo il sisma un clero assai potente
ed una ricca aristocrazia feudale riuscirono in breve a ricostruire,
secondo i canoni stilistici del tempo.
Concluse
tuttavia le suggestive passeggiate barocche ed esaurita la visita a
questa affascinante parte di Sicilia, sarà bene non abbandonare
frettolosamente i luoghi, ma concedersi una breve sosta e rivolgere 1'
attenzione ad una successiva, piacevole scoperta: quella della
illustre tradizione dolciaria del Ragusano e del Siracusano. Qui i
dolci sono soprattutto a base di mandorle, produzione tipica della
zona, cannella e ricotta. Si raccomanda di non trascurare i dolcetti
"da riposto" cosi chiamati perché si possono
tranquillamente "riporre" nella credenza di casa e consumare
in tempi successivi all'acquisto.
Ma
la vera specialità della zona, specie delle tante pasticcerie di Noto
o di Modica, sono i gelati, o più esattamente le granite.
Se
infatti i gelati, in coppa o a pezzi duri, si possono trovare un pò
in ogni parte d'Italia, le granite restano un'assoluta prerogativa
della Sicilia, ed in particolare della Sicilia orientale. A differenza
di Palermo o di Messina, dove le granite sono per lo più di caffè o
di limone, a Noto o a Modica e più generalmente in tutti i paesi
limitrofi, la granita si arricchisce di innumerevoli sapori: mandorla,
arancia, fragolina di bosco (quando è il tempo delle fragole), gelsi
neri, mandarino. Nel più antico bar di Noto, a pochi passi dal duomo
impacchettato per i restauri, ci si potrà sedere ai tavoli all'aperto
e, nell'imbarazzo della scelta, dedicare una punta di attenzione anche
alla granita di pesca aromatizzata al basilico.
A
paragone dei comuni gelati, che si presentano cremosi e mantecati, la
granita - spiega il sig. Iacono, titolare di un'altra rinomata
pasticceria, questa volta di Modica - è particolarmente dissetante,
perché a base di acqua. Fra le specialità del locale, consiglia poi
di assaggiare le granite di mandorle, prodotte in due diverse
versioni: con la mandorla tostata o con la mandorla bianca. I suoi
clienti più affezionati - racconta ancora - molti dei quali avvocati,
vista la vicinanza col Palazzo di Giustizia, la mattina, prima di
recarsi al lavoro, vengono a fare la prima colazione al bar con
brioche e granita di caffè con panna. Nel passato, soprattutto in
ambiente contadino, la granita si accompagnava al classico filoncino
di pane. E del resto non manca neppure oggi qualche buongustaio alla
ricerca di cibi genuini che preferisce sostituire il panino alla
brioche.
Nel
ricco panorama dolciario della Sicilia orientale non figurano
naturalmente soltanto le granite, ma gelati di ogni genere, torte,
pezzi imbottiti, tartufi, coppe di vari gusti con panna, con pan di
Spagna, con mandorle e canditi.
È
la granita, tuttavia, a mantenere il posto d'onore, rimanendo a
tutt'oggi una specialità siciliana assolutamente irripetibile. Che
non ha nulla a che vedere con la "grattata di ghiaccio"
insaporita con essenze varie, che nei bar del Nord Italia servono come
granita. Con grande delusione dei siciliani che per un momento,
tenendo il bicchiere gelato fra le mani, avevano creduto di ritrovare
gli antichi sapori della loro terra.
Anna
Pomar
Francesco Procopio dei Coltelli detto Procope
La figura di Procopio è ancora
oggi avvolta da ombre. Nacque sicuramente in Sicilia, ma sono due le località a
contendersene i natali: Aci Trezza e Palermo. Il ritrovamento nell'archivio
parrocchiale della Chiesa di Sant'Ippolito di Palermo di una annotazione di
battesimo datata al
10 febbraio del 1651 di un omonimo bambino con il caratteristico
cognome siciliano Cutò (che suona proprio come il francese couteaux, cioè
coltelli) fa propendere oggi per una origine palermitana. Dall'atto del suo
primo matrimoni conosciamo i nomi dei suoi genitori, Onofrio e Domenica. Della
sua vita prima dell'arrivo a Parigi sappiamo ben poco: è possibile che abbia
trascorso qualche anno ad Aci Trezza, come ipotizza qualcuno, il che potrebbe
spiegare sia perché lo si dicesse nato lì sia perché la sua attività divenne
quella di gelatiere. Aci Trezza è infatti in provincia di Catania, dove da
sempre gli uomini raccoglievano e usavano la neve che in inverno cadeva
sull'Etna.
Si
dice che avesse ereditato dal nonno una rudimentale sorbettiera, di sua
creazione, che cercò di migliorare. Stanco di fare il pescatore e non vedendo
per sé un futuro in Sicilia, decise di trasferirsi in Francia. Arrivato a
Parigi, Procopio francesizzò il suo nome in François Procope de Couteaux e fece
fortuna. Si sposò tre volte: la prima nel 1675 nella chiesa di Saint Sulpice,
con Marguerite Crouin da cui ebbe otto figli, la seconda nel 1696 con Anne
Françoise Garnier, che gliene diede quattro, e la terza, ormai anziano, con
Julie Parmentier da cui ebbe un altro figlio. Nel 1685 ottenne la cittadinanza
francese. In Francia si stava diffondendo l'uso del caffé e Procopio lavorò
dapprima come garzone in un Café di proprietà di un armeno, Paxal. Aprì poi un
locale in rue de Tournon e infine rilevò il café di un altro armeno in rue des
Fossés Saint-Germain (che divenne poi rue de la Comédie, e infine rue de l’Ancienne-Comédie).
Questo locale, fondato nel 1686, prenderà il suo nome, Le Procope, e avrà una
enorme fortuna. Considerato il più antico Café parigino, esiste ancora oggi ,
seppure trasformato in ristorante.Sorgendo presso la "Commedie Francaise", vi si
recavano ovviamente gli attori e il personale del teatro, ma ben presto il
locale divenne punto di ritrovo anche per intellettuali. I clienti potevano
infatti trovarvi i pochi giornali esistenti all'epoca, carta e inchiostro,
perché chiunque potesse leggere, commentare e discutere... fermandosi così più a
lungo nel locale! Pare che molte delle voci dell'Enciclopedia di Diderot e d'Alembert
fossero composte ai suoi tavoli: Non per niente una di esse è dedicata al
gelato!
A fare il successo del caffé fu il gelato, di cui Procopio, dopo vari
esperimenti, era riuscito a migliorare la consistenza, grazie soprattutto
all'uso dello zucchero come dolcificante al posto del miele. In realtà al nostro
gusto i suoi gelati avrebbero assomigliato più a gramolade o sorbetti, ma il
successo fu enorme: il loro consumo divenne di modo. Molto curata era anche la
presentazione, con il gelato offerto in eleganti bicchierini simili a portauovo.
Procopio riuscì a diffondere fra la colta borghesia francese quello che prima
era servito soltanto sulle tavole dei ricchi e dei potenti.
Dal re Luigi XIV ottenne una patente reale che gli consentiva di vendere in
esclusiva "acque gelate" (la granita), gelati di frutta, fiori d'anice e
cannella, frangipane, gelato al succo di limone, il “gelo” di caffè, gelato al
succo d'arancio, sorbetto di fragola...
Morirà a Parigi il 10 febbraio 1727, ma la fortuna del suo locale continuò
anche nei secoli seguenti. Lo frequentarono le maggiori personalità della
cultura e della storia francese, dai rivoluzionari Danton, Robespierre e Marat,
a Napoleone, agli enciclopedisti Denis Diderot e Jean-Baptiste Le Rond D'Alembert,
al matematico Georges-Louis Leclerc, Conte di Buffon, a scrittori come La
Fontaine, Jean-Baptiste Rousseau, Voltaire, Alfred de Musset, Honoré de Balzac,
Victor Hugo, Oscar Wilde, George Sand, Paul Verlaine e Anatole France. Si
raccontano storie curiose come quella che vede il giovane tenente Bonaparte
lasciare in pegno una sera il suo Bicorno (copricapo) perché non aveva potuto
pagare le consumazioni offerte agli amici. Un'altra leggenda vuole che Benjamin
Franklin abbia compilato la costituzione degli Stati Uniti seduto ai suoi
tavoli.
Alla fine del XVIII secolo il locale era noto come Café Zoppi, dal nome del suo
gestore. Durante la Rivoluzione vi si radunavano patrioti e uomini di cultura al
punto da sentirsi quasi un club "gli Habitués del Café Zoppi" [1]. Da qui pare
che partì l'ordine di attaccare le Tuilleries nel 1792. Una curiosa memoria di
quel periodo si conserva ancora oggi. Se al Ristorante Le Procope aveste bisogno
di usare il bagno, non trovereste l'indicazione uomini-donne, ma "Citoyens" o"Citoyennes"
(ossia cittadini-cittadine) secondo una terminologia che rimanda agli anni della
Rivoluzione.
_________________
1.
Ne parlano ampiamente Edmond de Goncourt, Jules de Goncourt, Histoire de la
société française pendant la Révolution, 1928. Della fama del Café è testimone
Honoré de Balzac nel suo libro La messe de l'athée, fa dire al suo personaggio,
il medico Desplein, che "Zoppi mi appariva come una terra promessa dove i
Luculli del mondo latino avevano essi soli diritto alla presenza. Potrei io
mai.. prenderci una tazza di caffé alla crema, giocarvi una partita a domino?".
Note
(da
Panciera D., Lazzarin P., Caltran T., La storia del Gelato/ Wie Das eis entstand,
Cierre Edizioni, Verona 1999, pag. 18)
La ricetta del gelato del Café Procope
Procedimento: Frullare il tutto, far bollire a fuoco lento per 5-6 minuti, far
raffreddare, aromattizare (con arancia, limone, bergamotto, ecc). Versare negli
stampi (quelli del Café Procope erano a forma di uovo) e far ghiacciare.
Ingredienti: mezzo litro di panna, 25 cl di latte, un tuorlo d'uovo, 375 g. di
zucchero
http://www.lastoriadelgelat.altervista.org/index.php/coltelli
Luca aveva un grande sogno: diventare direttore
d’orchestra! La musica lo ha sempre affascinato. Andare ai concerti e
seguirli leggendo gli spartiti, per vedere se il direttore era in grado di
esprimere il massimo da quelle opere di bilanciatura musicale, era un gioco
che lo divertiva. Ha collezionato decine e decine di autografi di musicisti
famosi. Quel diario lo custodisce ancora con orgoglio e ne parla con una
bella luce negli occhi. E’ un eccezionale pianista classico e ne ha dato
prova anche di recente. L’armonia e l’equilibrio dei suoni lo appagano
quanto una bella lezione sul gelato artigianale (la sua!). Sì, è vero, ha
scritto quattro libri sul gelato e la pasticceria del gelatiere che sono
considerati la bibbia di questo mestiere, ma non importa. E’ vero che è
stato tra i primi a parlare di formazione e diffusione delle tecniche di
gelateria, ma sono dettagli… Lui in fondo voleva fare il direttore
d’orchestra…
|
IL GELATAIO N. 1 DI CATANIA: CAVIEZEL
L'INTERVISTA
|
Per chi non lo conoscesse ancora (state scherzando vero?)
Luca si è specializzato in chimica alimentare in Svizzera, ha lavorato nei
laboratori di analisi e ricerca di varie aziende tra cui la Nestlé.
Trasferitosi a Catania dopo il secondo conflitto mondiale conduce l’attività
di famiglia, una pasticceria da 72 dipendenti per molti anni. Nel 1969 lo
chiama telefonicamente un “certo” Angelo Grasso, allora presidente del
Comitato per la difesa e diffusione del gelato artigianale, chiedendogli di
condurre il primo corso di aggiornamento per gelatieri al CAPAC di Milano.
Nel 1971, sempre al CAPAC introduce la teoria del “bilanciamento degli
ingredienti” nella formulazione delle ricette del gelato. La sua vocazione
all’insegnamento lo ha portato in molte città in Italia e all’estero fino a
farlo decidere di fondare la prima scuola siciliana di gelateria a Catania.
Queste le sue parole: “Oggi, vicinissimo ai 90 anni,
sento il dovere di dare un seppure modesto contributo a questo stupendo
gruppo di giovani “Gelatieri per il Gelato” fermamente decisi a conservare
il vero gelato artigianale italiano, un patrimonio inestimabile, ed a
difenderlo dalle sempre più insidiose aggressioni provenienti di un mondo
esterno che non avendo rispetto dei nostri valori persegue i propri
miserabili interessi.i famiglia!
____________________
A 30 anni dall’uscita del manuale che ha fatto la storia del
#gelato artigianale, il mitico “Scienza e tecnologia del gelato artigianale”, il
grande Maestro Caviezel e Chiriotti Editori lo ripresentano completamente
attualizzato, approfondito e ampliato.
La presentazione ufficiale del libro sarà ad Acireale in
occasione di Nivarata, il 4 e 5 giugno alle ore 17.
Il libro tratta la storia del gelato, descrivendo poi
l’evoluzione delle macchine, la produzione del freddo e la manutenzione delle
attrezzature frigorifere; le caratteristiche fisiche della miscela e i concetti
chimici; valori e caratteristiche di qualità, igiene, corpo, struttura,
nutrizionali ed organolettici; materie prime e produzione; tecnologia dei
processi di lavorazione;
conservazione e preparazione alla vendita; l’azoto liquido in
gelateria; il bilanciamento degli ingredienti nelle miscele; controllo della
produzione; strumenti di lavoro, ...
Ricette di granite, sorbetti, gelati per clienti con
intolleranze e gelato gastronomico, in collaborazione con Carpigiani Gelato
Museum, Coppa del Mondo della Gelateria, Gelatieri per il Gelato, Maestri della
Gelateria Italiana, Le Gelaterie del Territorio
Per ordinare “Scienza e tecnologia del gelato artigianale”,
Luca Caviezel - Chiriotti Editori - 696 pp. - € 60 (€ 38,99 in formato iPad),
scrivere a shop@chiriottieditori.it; telefonare allo 0121 378147
____________
Beppe, il gelataio
migliore d’Italia è un mauriziano “marca liotru” -
La Sicilia 2.5.2019 - Damiano Scala
Mohammed Yousoof Abdul Rahman, nel quartiere catanese dove
vive e lavora, è conosciuto con il nome italiano di Giuseppe. Il suo gelato
premiato a Rimini nel 2016
Catania - Dalle Isole Mauritius alla vittoria di Berlino, per
il miglior gelato, passando per Catania. Una vita che sembra tanto un
ottovolante per Mohammed Yousoof Abdul Rahman ma che tutti nel quartiere
conoscono come Giuseppe, anzi Beppe. Un ragazzone di quasi quarantanni che ti
strappa un sorriso solo a guardarlo. Accanto a lui, i tanti amici del rione che
lo hanno praticamente adottato. «Non potevamo fare altro - spiega Orazio Grasso,
presidente del comitato “Quartiere Attivo”- nella territorio di Borgo-Sanzio,
tra piazza Abramo Lincoln e Largo Rosolino Pilo, ci conosciamo tutti e lui è
diventato il nostro beniamino per l'allegria e il buonumore che riesce a
trasmetterci. Ormai lo consideriamo “marca liotru” a pieno titolo».
E Beppe cosa ne pensa?
«Mi sento siciliano e catanese a tutti gli effetti - racconta
l'uomo - da quando sono qui non ho mai sentito nostalgia di casa. Qualcosa vorrà
pur dire, no?».
Eppure quando lasciò le Isole Mauritius mai si sarebbe
aspettato che il suo lungo girovagare lo avrebbe portato in Sicilia.
«Anzi - dice Beppe - quando decisi di fare armi e bagagli ed
andare via alla ricerca di una nuova vita non sapevo nemmeno dell'esistenza
della Sicilia».
Una storia come tante altre accomunate dalla possibilità di
inseguire un sogno e di aiutare i propri familiari. Novemila chilometri fatti
con una valigia carica di aspettative, speranze e con qualche vestito.
«Perché ho scelto l'Italia? Il mio vicino di casa aveva già
preso questa decisione e mi parlava tanto bene del Belpaese. Sono arrivato a
Milano, cominciando a lavorare nel settore delle pulizie, e da allora non mi
sono più fermato. Anzi, guardandomi indietro posso dire che ne ho fatta di
strada da allora».
Durante il lungo girovagare su e giù per l'Italia Beppe
arriva prima a Corleone e poi a Trapani. Qui incontra l'uomo che cambia la sua
vita
«Parliamo del maestro Aldo Uzzo che io chiamo “Zio Aldo”-
prosegue Beppe - all'inizio facevo le pulizie all'interno della sua attività poi
osservandolo, giorno dopo giorno, mi sono appassionato al gelato: dalla
selezione degli ingredienti, alla preparazione fino alla sua degustazione. Da
qui comincia il mio apprendistato che mi porta a seguire il “maestro” pasticcere
fino a Catania».
Una evoluzione continua, fatta di studi e di selezione degli
ingredienti, che ha portato Beppe a conoscere la ricetta segreta di zio Aldo.
Una “formula” top secret da rispettare alla lettera passo dopo passo.
«Niente semi-preparati, solo materia prima locale di grande
qualità - sottolinea il ragazzo - dal pistacchio di Bronte alla mandorla di
Avola passando per il latte di collina. Ovviamente il tutto amalgamato con amore
e passione».
Detta così potrebbe sembrare molto semplice ma in realtà non
lo è.
«La differenza la vedo sopratutto con il gelato mauriziano
che ricalca il modello inglese: un prodotto distante anni luce da quello che
facciamo qui in Sicilia».
Un risultato vincente che ha saputo conquistare anche il
palato di grandi esperti e che ha portato Beppe nel 2016 a vincere il concorso
come miglior gelataio d’Italia, a Rimini, con il gusto al Cannolo Siciliano e di
bissare il risultato pochi mesi dopo a Berlino nell’"Italian Challenge-Gelato
World Tour".
«C'erano oltre 140 partecipanti e tutti molto più esperti di
me - afferma “Beppe” - alcuni erano pure discendenti di una lunga stirpe di
pasticceri e gelatai. Quando ho ricevuto il premio non ci potevo credere:
un'emozione che non si può descrivere a parole».
Un riconoscimento che il ragazzo da allora condivide con
tutto il quartiere di Borgo-Sanzio.
«La sua è una bellissima storia di vita che abbiamo
conosciuto solo dopo essere diventati suoi grandi amici - spiega Orazio Grasso -
un esempio positivo che può dare la svolta in un contesto dove tanti nostri
ragazzi lasciano Catania e la Sicilia per andare a trovare fortuna nel resto
d'Europa e in America perché qui non trovano lavoro».
Per il futuro Beppe non si pone alcun limite e pensa già a
nuovi gusti.
«Naturalmente saranno tutti all'insegna della tradizione
siciliana con la ricetta segreta che, quando sarà il momento adatto, tramanderò
a mio figlio dodicenne Qays che oggi mi dà una mano in negozio. Ritornare alle
Isole Mauritius in futuro? Perché dovrei? La Sicilia e Catania mi hanno dato
tutto. Questa è casa mia, dove vive la mia famiglia, dove lavoro e dove ci sono
i miei amici».
https://www.lasicilia.it/news/sicilians/244580/beppe-il-gelataio-migliore-ditalia-e-un-mauriziano-marca-liotru.html
U
scumuni
Un
"Pezzo duro" ma si scioglie in bocca: U Scumuni, antica specialità
dolciaria siciliana
Dall'irresistibile gusto le sue origine sono antiche. Rientra nel
repertorio delle ricette più antiche del repertorio culinario
italiano; in particolare, gode di tanta popolarità nel capoluogo
etneo.
Sicuramente molti catanesi avranno sentito parlare del famosissimo “Scumuni”,
noto anche col nome di “Pezzo duro”. Trattasi di un tipico dolce
siciliano caratterizzato dalla compresenza di due gusti di gelato e
dal pan di spagna. Questa specialità dolciaria, per chi non ne fosse
a conoscenza, rientra nel repertorio delle ricette più antiche del
repertorio culinario italiano; in particolare, gode di tanta
popolarità nel capoluogo etneo ed anche in altre località siciliane.
Tuttavia, l’aspetto davvero coinvolgente riguarda proprio le sue
origini: a tal proposito, secondo quanto tramandato dalle fonti
pervenute, sappiamo che questa irresistibile leccornia risale alla
dominazione araba in Sicilia. Ciononostante, l’epoca in cui conobbe
il massimo grado di diffusione fu il XVII secolo. Ben presto venne
ampiamente apprezzata anche nel resto d’Italia, assumendo delle
denominazioni differenti; la più conosciuta, come già accennato, è
proprio quella di “Pezzo duro” ma in altre parti d’Italia è indicata
anche come “Schiumone”.
Quest’ultimo termine non sarebbe altro che la traduzione della
variante siciliana “Scumuni”. L’appellativo, inoltre, allude alla
presenza della panna che insaporisce questo gustosissimo dessert
dalle molteplici sfumature; basti pensare che anche la sua forma
varia da luogo a luogo: sebbene solitamente presenti una
conformazione allungata ed ovale, in diverse zone viene realizzato
dal profilo più rotondo. Da ciò ne deriva il simpatico nomignolo di
“Bombetta”.
Rimanendo in tema di soprannomi sappiamo che in altre parti d’Italia
reca persino l’epiteto di “ Misto Umberto”, espressione ideata dalla
volontà di omaggiare l’ultimo re d’Italia. Detto questo, passiamo
alla modalità di preparazione. Nel caso della Sicilia il
procedimento, pur non discostandosi dal metodo tradizionale,
presenta alcune differenze: in poche parole, ci sono gelaterie che
prediligono l’uso del pan di spagna e altre che si limitano a
comporlo solamente con i due gusti di gelato.
Esiste, tuttavia, un’ulteriore variante che prevede l’aggiunta di
uno strato di panna tra i due gelati. A Catania, per esempio,
prevale l’ “usanza” di imbottirlo con il pan di spagna; esso viene
preparato con i seguenti ingredienti: uova sbattute con latte e
zucchero, canditi e aromi di mandorla o vaniglia. Chi ,invece,
utilizza la ricetta con la panna centrale spesso lo addolcisce con
delle gocce di cioccolato.
Nei
tempi moderni, infatti, la panna è un elemento molto gettonato per i
dolci freddi siciliani. Difatti, proprio come avviene nel caso della
granita, molti maestri gelatieri non rinunciano a impiegarla anche
sopra lo Scumuni. Un’altra particolarità che salta all’occhio e,
soprattutto al palato, è la consistenza che questa delizia
manifesta.
Ciò
svela anche la ragione per cui si tende a chiamarlo “Pezzo duro”;
infatti, la densità che lo contraddistingue è il frutto della messa
in congelatore ancora prima di mischiare le due parti. Ad ogni modo,
per approntarlo a dovere è necessario seguire una serie di passaggi:
foderare un contenitore a cupola con della pellicola - disporre il
primo strato di gelato lasciando il centro vuoto - mettere il primo
strato di pan di spagna - disporre il secondo strato di gelato
lasciando il centro sempre vuoto - tagliare a pezzetti canditi e
mandorle - riempire lo spazio vuoto al centro - livellare la
superficie - inserirlo in congelatore per due ore.
Dopo
essersi solidificato, occorre solo bagnare la ciotola con dell’acqua
per facilitare lo staccamento del gelato. Fatto questo, non resta
altro che assaporarne il divino e sublime gusto.
Livio Grasso.
https://www.balarm.it
Per il suo aroma e le qualità organolettiche il pistacchio
verde di Bronte tradizionalmente è stato sempre il principe della pasticceria,
delle carni insaccate di pregio e della gastronomia di alta classe.
In tempi recenti, oltre al favoloso gelato ed alla sempre
osannata "torta al pistacchio" (prodotta con pan di Spagna, a volte farcita con
uno strato di cioccolata o di nutella che si associano particolarmente al gusto
del frutto), alle gustose "paste di pistacchio" (realizzate con la stessa
procedura con cui si produce la pasta di mandorle) o ai torroncini ed al
connubio fra ogni forma di cioccolato ed il verde pistacchio si fanno sempre
più strada il "pesto di pistacchio" (un prodotto di nuova invenzione a base di
solo pistacchio ed olio di semi, più delicato dell'olio di oliva, che coprirebbe
il gusto del frutto), la "crema al pistacchio" (una preparazione dolce da
spalmare sul pane o da utilizzare per guarnire dolci), un liquore e la storica
filletta al pistacchio (tradizionale dolce brontese guarnito del prezioso
frutto).
http://www.bronteinsieme.it/4ec/pist_5ricette.html
Non è esagerato descriverlo in questa maniera considerando che, in diverse
parti d'italia, il bar è preposto soltanto al ristoro con bibite, caffè e
pezzi da colazione.
Da qualche tempo hanno preso piede le sole "gelaterie", solitamente
collocate in località turistiche di mare o le semplici pizzerie d'asporto con
la classica vetrina addobbata con arancini, rustici e pizza al taglio; In ogni
caso, il bar rimane sempre la meta di ogni
catanese che ad ogni ora della
giornata...colazione, pranzo o cena, vi si rifugia per appagare la propria fame
o per consumare un pasto veloce e sfizioso.
Io sono una di queste ed è buffo quando vedo molta gente... solitamente liberi
professionisti con la loro valigetta in mano e con gli occhi
fissi
sull'orologio, mentre addentano la loro oleosa cipollina che scola da tutte le
parti, magari sul loro vestito all'ultimo grido, non curandosi di chi sta loro
intorno e di chi, guardando perplesso, si chiede come si possa mangiare una
sfoglia ripiena di cipolla fritta alle 10 del mattino.
Dopo
questa premessa vorrei parlarvi della colazione di un tipico Catanese.
Il Catanese ha gusti ed abitudini un pò strane!
L'
inverno, che rappresenta il letargo, è un pò monotono: colazione al bar vicino
al posto di lavoro con cornetto e cappuccino; a volte spazia accostando alla sua
tazzona di latte e caffè un bell' IRIS alla crema o un bel PANZEROTTO ripieno!
per lui cosette banali.. tutto dipende se ha voglia di 400 kc in un'unica botta
o se vuole fare il pieno con 1200 kc per essere sprint tutta la giornata!
Cosa sono gli Iris? semplici
bombe ripiene di crema e fritte! I Panzerotti? Vi spiegherò dopo.
Se per qualsiasi motivo la colazione viene rimandata ad un orario che si
avvicina all'ora di pranzo tutto cambia: la scelta cade su uno squisito
arancino, una cartocciata o, come detto prima, una sfoglia con cipolla fritta.
D'
estate è tutto diverso: il cappuccino viene sostituito da una gigantesca
granita nei gusti mandorla e gelsi, mandorla e caffe', mandorla e cioccolato...
e d il cornetto ad una famosissima brioche con il tuppo, rigorosamente calda dal
colore interno giallo canarino, immersa e affogata a pezzi dentro la granita!
Niente
di strano vedere l'avvocato mangiare a pranzo la sua granitina al volo prima
dell'udienza... sempre lui, quello che alle 10 del mattino aveva mangiato la
cipollina!
http://sognidizucchero.blogspot.com
|
Granite,
iris, panzerotti, cornetti, sfogliatelle, graffen, raviole con ricotta, panzerotti, i rinomatissimi cannoli di ricotta e le
leggendarie cassate siciliane.…
Questa è la colazione.
|
|
Ma,
preferiscono forse il salato? Allora andiamo dall'altro
lato del bar, dove ci sono i banconi con la rosticceria: pizzette,
arancini, cartocciate, cipolline, siciliane, bombe, pathè, scacciate
con la tuma e le acciughe,ecc.
Seduti al tavolino all'aperto per le strade, fra questi gustosi spuntini e colazioni,
i catanesi amano fare colazione con queste prelibatezze,
leggendo nel frattempo il loro quotidiano locale, sparlando del
nuovo allenatore del Catania.... e notare che quello che si vede in fondo a via Etnea è
l'Etna... a volte bianco, a volte nero (come quello che
stanno mangiando: crema o cioccolato).
In quante pasticcerie o bar di Catania non avete visto
i dolci delle foto? Il panzerotto catanese lo troviamo in
qualsiasi bar, pasticceria e anche panificio. Il panzerotto è uno dei
dolci più consumati giornalmente, assieme all'iris, dai catanesi. La
sua particolare pasta, croccante fuori e morbida dentro rende questo
dolce unico nel genere. Ripieni con cioccolato o crema bianca e
ricoperti da uno strato di zucchero a velo. I catanesi amano "u panzarottu", dolce che si trova tutto l'anno.
Sì è proprio quello universale che in tutto lo Stivale, isole
comprese, generalmente spopola durante le ore del mattino.
Il Cornetto siculo non è
chiaramente quello dell’Autogrill. Innanzitutto sono le
dimensioni a variare perchè il
Cornetto Siculo è almeno il doppio del classico prodotto da forno.
Il cornetto siculo non è mai vuoto,
regola numero uno. Il cornetto
siculo non è mai con la marmellata, regola numero due. Bevi
un bicchiere d’acqua e prosegui. Se stai iperventilando,
tranquillo/a è tutto regolare. Inspira espira e procedi.
Per il Siciliano il cornetto vuoto
è un affronto. Provate ad offrirgliene uno. Certamente la
volontà di non essere sgarbato farà sì che lo mangi ugualmente ma
quell’angolo laconico sulla sinistra dell’iride vi farà percepire
quanto disprezzo stia provando per siffatta scelta.
http://gikitchen.wordpress.com/2012/05/04/i-pezzi-della-colazione-in-sicilia/
E' un pezzo da colazione fritto, tipico di alcune zone della
Sicilia.
Un guscio sottile di pasta
brioches,
reso croccante dalla sua
panatura
e che racchiude un abbondante ripieno di ricotta, crema bianca o al
cioccolato.
A Palermo Le Iris nascono
con ripieno di ricotta mentre a Catania vanno per la maggiore
Gli Iris ripieni di crema
bianca o al cioccolato.
Niente di sconvolgente per noi Catanesi abituati a fare una tarda
colazione con un arancino, una
cipollina
o una cartocciata: l'iris viene spesso considerato uno spezza-fame
che sta in mezzo ad un croissant e un pezzo di tavola calda, senza
mai scordare che noi Catanesi siamo da sempre promotori dello
street
food, quindi
non vi
scolvolgete
se, girando per la
citta',
vi capita di incontrare gente distinta e vestita molto elegante
addentare per strada il suo iris tra le mani con la crema che
fuoriesce da tutte le parti.
Semplicemente un panino al latte fritto con dentro
un’imbottitura che sia di cioccolato, crema o pistacchio
. La superficie è granulosa “a causa” dell’impanatura ed
è una delle ottave meraviglie dell’universo. Ve ne sono infinite
variazioni ma se l’Iris non è troppo mollicoso e ha la giusta dose
di crema senza esagerare nel senso di pochezza (accade
raramente) e moltezza, beh. E’
il delirio gustativo e rimane comunque uno dei pezzi degni di nota.
http://gikitchen.wordpress.com/2012/05/04/i-pezzi-della-colazione-in-sicilia/
Se pensavate che gli iris fossero solo dei bellissimi
fiori, dovrete prepararvi piuttosto a fare una scorpacciata di questi
dolci molto calorici, perché una volta assaggiati…non potrete più farne
a meno!
Parte integrante della tradizione culinaria
siciliana da più di un secolo, si presentano in diverse varianti: da
quelli ripieni di ricotta a quelli infarciti di abbondante crema al
cioccolato e possono anche essere cotti al forno o fritti – anche se
questa seconda versione è di sicuro la più celebre e amata dai più
golosi.
Gli iris hanno alle spalle una storia singolare;
sembrerebbe infatti che un rinomato pasticcere palermitano, Antonio lo
Verso, avesse creato queste golosità per celebrare la prima assoluta
dell’omonima opera di Pietro Mascagni, “Iris” appunto. L’attenzione
destata dagli iris e il conseguente successo spinsero moltissime persone
ad assaggiare queste prelibatezze e lo Verso modificò addirittura il
nome del suo bar in “Iris”.
http://www.vivict.it/usi-e-costumi/iris/ |
dal video CATANIA FOOD TOUR di Sofia, qui:
https://www.youtube.com/watch?v=8bjF6tw3eWQ&t=129s
Per essere nutriente è nutriente, leggera un po' meno. Ma in Sicilia
si bada poco alle calorie e si mangia di gusto. Si tratta di un
dolce tipico siciliano, molto diffuso a Catania e provincia.
E' un malloppotto fritto
con dentro una crema di ricotta
che vira all’essenza di cannella
ma che potrebbe anche nascondere
meraviglie al cioccolato magari con qualche pezzotto. Per
chi non ama la ricotta, seppur quella dolce sia completamente
diversa dal classico formaggio, sarà bene stare lontani. E’
importante ricordare però, nonostante ne abbia sproloquiato fino
allo sfinimento, che la ricotta
all’interno dei dolci siculi è sempre diversa. Secondo la
zona dove vi trovate il gusto del
cannolo e della cassata, giusto per citare i dolci principi
della pasticceria siciliana, non
solo saranno diversi ma sembreranno dolci ben distinti.
La Raviola fritta con la ricotta
rimane uno dei pezzi di colazione più gustosi per chi è una buona
forchetta e non bada certamente
all’apporto calorico, ma sicuramente anche uno dei più
pesanti.
http://gikitchen.wordpress.com/2012/05/04/i-pezzi-della-colazione-in-sicilia/
TRECCINA somiglierebbe un po’ a una sfoglia
cornettosa ibrida ed anche a quei panini di sfoglia con uvetta
che si trovano in quel di Marsiglia, giusto per capirci o in tutto
il territorio Franssssccese (scritto così).
In realtà è un pezzotto da
colazione ambitissimo e gustoso che generalmente accompagna
il cappuccino. Se quindi è vostra intenzione
gustare un cappuccino,
prendendo atto che il Siciliano lo detesta e che qui si fa il caffè
e mica “ste cose schiumate”, potreste lanciarvi
nell’assaggio di codesta meraviglia che risulta non troppo pesante
(sottotitolo: rispetto al resto, mi pare ovvio. Occorre sempre
basarsi sui parametri degli indigeni del luogo di cui faccio parte
con sommo onore).
http://gikitchen.wordpress.com/2012/05/04/i-pezzi-della-colazione-in-sicilia/
Il panzerotto catanese e' un pezzo da colazione sempre presente in
tutti i bar e forni della zona.
Il suo profumo appena sfornato e' indescrivibile, inconfondibile!
L' odore pizzicante di ammoniaca e' tipico, tanto che il catanese a
spasso per le vie della città esclama senza dubbio alcuno:
- "Che profumo di panzerotti !"
Un
guscio tenero che, sciogliendosi quasi in bocca, racchiude un cuore di
morbidissima e vellutata crema.
Un gusto equilibrato, un biscotto non pesante dovuto al fatto che questa
frolla non "frolla" non contiene uova, quindi non risulta
biscottata: se fosse fatto con la classica pasta frolla sarebbe
impossibile mangiarne uno intero.
La
crema all'interno e' quella gia' descritta senza uova.
Non potrebbe essere altrimenti visto che deve mantenere durante la
cottura una certa consistenza ed il colore bianco candido.
Il Panzerotto (con la zeta
decisa eh. Non Panserotto) generalmente è nelle declinazioni crema
bianca o cioccolato ma non sarà difficile trovarne anche
versioni con pistacchio o creme più
particolari aromatizzate. Il panzerotto, al contrario del
molliccio iris, è soffice e ha una pasta biscottata quasi come fosse
frolla ma morbida e gustosa. E’ davvero un idillio il panzerotto
fresco appena sfornato. Vien voglia di mangiarsene otto chili dopo
il primo morso ma ahimè dopo il terzo ci si rende conto che sarà
dura finire già il primo. Una delle
accoppiate più coraggiose ma sicuramente più gustose è il panzerotto
al cioccolato con la granita di mandorle. Una goduria
suprema che non mi concedo da anni e che quando rinsavirò non potrà
che spingere a correre ai ripari e morire lì sul tavolino del
lungomare dopo averne mangiati nove chili.
O forse dodici.
http://gikitchen.wordpress.com/2012/05/04/i-pezzi-della-colazione-in-sicilia/
Nonostante il panzerotto al
cioccolato con la granita di mandorle abbia un suo perché,
confesso che nel mio cuore vi è la graffa. Sarà per questo che sto
navigando tra la bava riversatasi sulla tastiera? (dovrei omettere
queste atroci realtà)
E’ un po’ una sorta di krapfen ma
in un’accezione diversa. E’ un
ciambellotto fritto morbidissimo che odora chiaramente di
cannella come tutta l’isola e sopra ha tanto zucchero semolato
attaccato. Non zucchero a velo che vola via eh.
Proprio zucchero semolato a chicchi enormi attaccato che si riesce a
immobilizzare lì grazie all’unto dell’olio nel quale è
stato fritto. Se quest’ultimo non è esagerato, se è stata fritta
alla temperatura giusta con olio buono e pulito ed è stata asciugata
opportunamente (e non è davvero difficile che si verifichino
facilmente queste condizioni) la graffa vi farà impazzire.
E’ soffice e gustosa e santocielo
come vi ho chiesto di mangiare una Siciliana in memoria di me fatelo
pure con una Graffa. Anzi, ascoltate il consiglio di una
povera vecchia come me: prendete
una graffa e schiaffatela dentro una granita al pistacchio.
Poi con calma mi manderete lettere
di ringraziamento e proposte di matrimonio. Una variazione della
graffa (perché l’impasto è uguale) è la Bomba ma in forma rotonda e
ripiena con crema di cioccolato, pistacchio o crema.
http://gikitchen.wordpress.com/2012/05/04/i-pezzi-della-colazione-in-sicilia/
|
VAI AL POSTER
|
I
cannoli di Sicilia sono con ogni probabilità il più famoso è tipico prodotto
dell'arte dolciaria siciliana: un vero peccato di gola per i buongustai che non
possono resistere alla tentazione di provarlo.
Il cannolo è un dolce costituito da un involucro cilindrico di pasta fritta,
farcito con un impasto di ricotta, zucchero e frutta candita a piacere. È una
tipica specialità siciliana, l'antica ricetta della quale è uscita dalla
clausura di un convento palermitano, come molti dei dolci fatti in questa
splendida regione.
Il nome proviene dal volgare latino dell'arbusto "canna", con fusto
cilindrico vuoto, il quale anticamente serviva per vari usi ordinari.
Uno scherzo, come si suol dire, da preti, nato in un dimenticato monastero e
successivamente propagato dalla pasticceria palermitana: un motteggio
carnevalesco del tempo faceva uscire da un rubinetto (cannolo in siciliano, il
termine molto antico e riscontrato in documenti che attestano il significato
della parola canna, la quale serviva da cannella per abbeveratoi e fontane)
crema di ricotta invece dell'acqua. Insomma il nome è tutto dire.
I nostri cannoli sono pronti da gustare e faranno un figurone sulla vostra
tavola e per tutte le vostre festività, perché questo dolce non è
semplicemente buono da mangiare, ma nasconde dentro di sé una lunga storia che
si ripercorre ogni volta che si assaggia il suo fantastico ripieno morbido e
dolce. Chi non l’avesse mai assaggiato è invitato a farlo il prima possibile,
per sapere davvero cosa si è perso.
Per 10 persone, per la pasta occorrono: 300 gr di farina bianca; 30 gr di
zucchero; 25 gr di burro; 1 bicchiere di Marsala secco; 1 pizzico di sale; 1
uovo; olio per friggere. Per il ripieno, invece, occorrono: 300 gr di ricotta
fresca; 150 gr di zucchero; 50 gr di scorze di arancia candite e tagliate a
strisce sottili; 50 gr di cioccolato amaro; 1 bicchierino di rum; 1/2 bustina di
vaniglia. Per fare la forma del cannolo occorrono 10 cilindri di canne di bambù
o di metallo lunghi 12 cm e di 3 cm di diametro, leggermente unti d'olio.
La pasta si prepara mescolando insieme tutti gli ingredienti previsti (escluso
l'uovo), fino ad ottenere un impasto elastico e omogeneo con il quale formare
una palla che dovrà essere coperta con un tovagliolo e lasciata riposare in un
luogo fresco per mezz'ora. Lavorare ancora la pasta per pochi minuti, quindi
farla ancora riposare per 30 minuti prima di darle un'ultima impastata e
stenderla in una sfoglia molto sottile. Ritagliare la sfoglia in quadrati di
dieci centimetri di lato e lucidarli pennellandovi con l'uovo sbattuto.
Arrotolarli sui cilindri, avvolgendoli per sbieco, partendo da un angolo e
congiungendoli con quello opposto.
Comprimere
bene la pasta e friggere in abbondante olio ben caldo. Sfilare i cilindri solo
quando la cialda si sarà raffreddata completamente. Successivamente preparare
il ripieno, passando al setaccio la ricotta e unirvi zucchero, scorze d'arancia,
cioccolato grattugiato, vaniglia e rum. Farcire i cannoli con questo composto e
decorarne le estremità con la frutta candita. A piacere spolverizzare i cannoli
con zucchero a velo.
Secondo una leggenda la nascita dei cannoli sarebbe avvenuta a
Caltanissetta, “Kalt El Nissa” locuzione che in arabo significa “Castello
delle donne”, a quei tempi sede di numerosi harem di emiri saraceni.
L’odierno cannolo siciliano avrebbe dunque antiche origini, anche se nei
secoli ha subìto diverse trasformazioni, e il suo antenato potrebbe essere
stato un dolce a forma di banana, ripieno di ricotta mandorle e miele.
L’ipotesi più accreditata sarebbe quella che le favorite dell’emiro, per
passare il tempo, si dedicassero alla preparazione di prelibate pietanze, in
particolare di dolci e in uno dei tanti esperimenti culinari avrebbero
“inventato” il cannolo, allusione evidente alle “doti” del sultano.
Un’altra fonte, invece, tramanda che i cannoli siano stati preparati per la
prima volta in un convento sempre nei pressi di Caltanissetta.
Si racconta che in occasione del Carnevale le monache “inventarono” un dolce
formato da un involucro (“scorcia”) riempito da una crema di ricotta e
zucchero ed arricchito con pezzetti di cioccolato e granella di mandorle (cucuzzata).
Sia che si tratti di suore o concubine, “queste donne, rese diverse dal voto
di castità, probabilmente nel loro intimo non lo erano così tanto di fronte
al piacere voluttuoso offerto dal magnifico dolce”.
Di certo sappiamo che le sue radici risalgono alla dominazione araba in
Sicilia (dal 827 al 1091).
Gli Arabi, come i Greci, apportarono molte novità nell’arte, in generale, e
nella cucina, in particolare, come ad esempio, la canna da zucchero, il
riso, le mandorle, il gelsomino, il cotone, l’anice, il sesamo e le droghe:
cannella e zafferano. Essi erano anche abilissimi pasticceri, e se è vero
che la ricotta di pecora già si produceva in Sicilia, è anche vero che sono
stati gli Arabi a lavorarla con canditi, pezzetti di cioccolato e ad
aromatizzarla con liquori, dando vita ad un’accoppiata vincente, zucchero e
ricotta , preludio dei dolci siciliani più famosi al mondo: la cassata ed i
cannoli.
i cannoli catanesi dell'antica
pasticceria Savia
L’ipotesi sull’origine del sublime cilindro di ricotta, stimolante per il
gusto ed accattivante per le interpretazioni tra sacro e profano, è
descritta dal duca Alberto Denti di Pirajno, cultore di gastronomia. In
“Siciliani a tavola” (la cui edizione fu terminata da Massimo Alberini, dopo
la scomparsa del nobile siciliano) il duca sostiene che il cannolo sarebbe
stato inventato dalle abili mani delle suore di clausura di un convento nei
pressi di Caltanissetta. Per l’esattezza, si legge: “Il cannolo non è un
dolce cristiano, ché la varietà dei sapori e la fastosità della composizione
tradiscono una indubbia origine mussulmana”.
La tesi è verosimile in quanto alla fine della dominazione araba in Sicilia,
coincisa con l’arrivo dei Normanni, gli harem si svuotarono (si ricorda che
Caltanissetta in arabo significa “Castello delle donne”, poiché gli emiri
saraceni vi tenevano i loro harem), e una o più donne ormai libere,
convertitesi al Cristianesimo, entrarono in convento. Qui potrebbero avere
riprodotto alcune delle ricette con le quali avevano sedotto le corti degli
emiri, trasmettendole in seguito a “quelle sante ancelle del Signore sino a
noi poveri peccatori”. E ciò spiegherebbe l’esistenza di un legame tra le
due leggende.
Altro che cialda e ricotta! Il dolce siciliano per antonomasia era
apprezzato già dagli antichi romani: “Tubus farinarius, dulcissimo, edulio
ex lacte factus”, lo definì Marco Tullio Cicerone quando era questore in
Sicilia, a Lylibeum (l’odierna Marsala), prima di diventare console romano
destinato a fama imperitura. Mentre un Anonimo siciliano riportato dal Pitrè
cantò così le lodi di questo straordinario dolce:
“Beddi cannola di Carnalivari
Megghiu vuccuni a lu munnu ‘un ci nn’è:
Su biniditti spisi li dinari;
Ognu cannolu è scettru d’ogni Re.
Arrivinu li donni a disistari;
Lu cannolu è la virga di Mosè:
Cui nun ni mangia si fazza ammazzari,
Cu li disprezza è un gran curnutu affè!”
Si tratta di un dolce, in tutto e per tutto siciliano, anche nei forti
contrasti: nei colori, nel profumo, nel sapore, nella consistenza, e
dall’intrigante forma cilindrica, conservatasi nel tempo. Giuseppe Coria
evidenzia in uno studio sul rapporto tra la geometria e la simbologia che il
suo aspetto rappresenterebbe la forma fallica. Il cannolo dunque
esprimerebbe, un significato di fecondità, di forza generatrice, e di
allontanamento delle influenze maligne.
E a proposito di dolci simili al cannolo, sembra che Brillant Savarin,
sublime meditatore della “Fisiologia del Gusto” abbia detto: “il Creatore,
obbligando l’uomo a mangiare per vivere, lo invita con l’appetito e lo
ricompensa con il piacere”.
Quel che fin qui emerge è chiaramente il nesso tra l’origine del cannolo
e la città di Caltanissetta, e questo a prescindere da quello che è stato
l’esatto fatto storico, sia esso sacro o profano: il convento o l’antico
castello di Pietra Rossa. E svariati sono i siti internet che indicano in
Caltanissetta il luogo in cui sarebbero nati i cannoli, come i seguenti,
citati a caso e solo a titolo esemplificativo: accademiabarilla.it (cannoli
siciliani), granarolo.it (le origini del cannolo siciliano),
slowfoodsciacca.it (la storia millenaria della cucina siciliana),
mondodelgusto.it (storia e leggenda del cannolo siciliano),
cannoloanfriends.it (la storia del cannolo), siciliainformazioni.com (la
storia del cannolo siciliano tra il serio e il faceto), primo
piatto.barilla.com (i tesori della pasticceria siciliana).
Poiché gira e rigira, tra mito storia e realtà, Caltanissetta con il
capolavoro dell’arte dolciaria siciliana c’entra sempre, è ora di renderle
giustizia e dare vita ad un percorso fatto di incontri, dibattiti, sagre e
fiere, per tributarle finalmente il giusto “riconoscimento di paternità” ,
quale CITTA’ DEL CANNOLO.
A beneficiarne sarebbe tutto il sistema economico della provincia: dalla
valorizzazione del territorio, all’esaltazione del patrimonio artistico e
culturale al conseguente incremento turistico.
Sarebbe interessante accettare una sfida dai territori palermitani e/o
trapanesi, e se volete agrigentini, sull’origine dell’emblema dell’arte
dolciaria siciliana: da Piana degli Albanesi ai vari conventi di monache
Benedettine, come quelle della “martorana” che inventarono appunto il
marzapane, o se preferite “pasta reale”, o le monache di Erice che
asseriscono di essere state le depositarie dei segreti di questa
pasticceria.
Cassate, bocconcini, ravioli, marzapane, babà, profitterol, saint honorè,
“minni di vergini”, rollò.
Ma su tutti si erge, imperioso e prepotente, Sua Maestà: il cannolo!
Presidente di Provincia, Sindaco, Assessore al Commercio, al Turismo, e
soprattutto, alla Cultura e associazioni di categoria, lanciate questa
succulenta e simpatica sfida e organizziamo a Caltanissetta il “Festival
internazionale del cannolo”.
Giù il ponte levatoio: animiamo di costumi medievali i quartieri arabi degli
“Angeli”, curtigghi, trazzera, e ” ‘strata i Santi”, e ridiamo virtualmente
vita al Castello di Pietra Rossa. Che i cavalieri, le dame e gli scudieri
scendano in campo, armati di mestoli, di antiche ricette e di cannella, per
lanciare la sfida sul dolce più buono che l’umanità abbia mai gustato,
“duellando” scherzosamente e con gioia, contro le immancabili diffide, urla
e alti lai, dei presunti padri adottivi della nissena leccornia, pronti a
reclamarne la paternità.
https://bedduviddi.it/la-nascita-del-cannolo-siciliano-tra-storia-e-leggenda/
CANNOLI
DI RICOTTA
Ingredienti:
Pasta: 500 g. di farina 00, due tuorli, 25 g. di alcool, 20 g. di sugna,
vino (al posto del vino e l' alcool si può usare del vino rosso
invecchiato), sugna per friggere.
Esecuzione:
Fare la fontana con la farina e nel centro mettere lo strutto, i due
tuorli e impastare con l´alcool e il vino fino ad ottenere una pasta
abbastanza consistente.
Fate
riposare un pochino la pasta coperta con un tovagliolo (1/2 ora circa).
Tirare
poi una sfoglia dello spessore di 2 o 3 mm e tagliare la sfoglia in cerchi
di diametro di 10 cm. circa.
Avvolgere
ogni cerchio di pasta negli appositi cannelli (un tempo erano di canna,
oggi si trovano di latta).
Badare
a saldare bene i due lembi di pasta, poi friggere i cannoli in abbondante
sugna. Quando saranno dorati, colarli sopra una carta assorbente.
Lasciare
raffreddare e poi sfilare i cannoli dai cannelli.
Ripieno:
Ricotta, zucchero,canditi tritati, cioccolata a pezzetti.
Esecuzione:
mescolare la ricotta con lo zucchero e passare il tutto a setaccio perché
deve risultare come una crema.
Aggiungere
i canditi e il cioccolato e mescolare bene. Riempire i cannoli, pareggiare
le due estremità con la lama bagnata di un coltello e decorare con
mandorle brustolite tritate molto finemente. In ultimo spolverare con
zucchero a velo.
|
CANNOLI
AL CIOCCOLATO.
Per la pasta: 100g di zucchero 50g di pasta di
mandorle un pizzico di sale mezzo bicchiere di latte mezzo
bicchiere d’acqua 25g di burro fuso 2 uova 125g di
farina farina
per spolverizzare burro per ungere
Per il ripieno: 225g di cioccolato fondente un bicchiere di panna
mezzo bicchiere di rum
Per la glassa: una bustina di glassa al cioccolato 15g di
pistacchi
Lavorate
in una terrina lo zucchero, la pasta di mandorle, il sale e il
latte fino ad ottenere un composto omogeneo; incorporate l’acqua,
il burro ammorbidito e le uova, aggiungete la farina e lavorate
molto bene; coprite la terrina con un panno umido e lasciate
riposare l’impasto per un’ora; dividete poi la pasta in cinque
porzioni; ungete una teglia e cospargetela leggermente con la
farina;
ricavate da ogni porzione di pasta dei dischi di cm 10 di
diametro, adagiateli nella teglia tenendoli distanti tra loro
perché durante la cottura aumenteranno di volume;
mettete la
teglia nel forno già caldo per 8 minuti a 220°; quando i bordi
dei dischi cominceranno a dorarsi, sfornateli e arrotolateli
immediatamente intorno al manico di un cucchiaio di legno con la
parte superiore verso l’esterno; per il ripieno, fate scaldare
la panna in una casseruola, aggiungetevi il cioccolato ridotto a
pezzettini e mescolate fino a che si sarà sciolto e i due
ingredienti si saranno amalgamati bene;
levate subito il composto
dal fuoco, unite il rum e lasciatelo raffreddare; poi sbattetelo
bene in modo che diventi cremoso; con l’aiuto di una siringa per
dolci introducete la crema di cioccolato nei cannoli; fate
sciogliere a bagnomaria, a fuoco tenue, la glassa al cioccolato e,
con un cono di carta da forno forato nella parte inferiore,
decorate i cannoli; tritate i pistacchi e mettete sulla glassa
ancora umida; prima di servirli aspettate che ripieno e glassa si
siano solidificati.
Una cialda croccante e un cuore di ricotta fresca fresca che si
scioglie in bocca. Chi mette piede in Sicilia non può certo
perdere l’appuntamento con l’assaggio del cannolo, il dolce
tipico più famoso, e più goloso, dell’isola.
I cannoli siciliani, quelli preparati come vuole la tradizione,
sono 15-20 centimetri di estasi dolciaria e li si può vedere
come un riassunto della regione: la cialda ricorda la terra arsa
dal sole; il ripieno custodisce tutti i profumi dell’isola.
Il cannolo ha origini antiche, talmente antiche che spesso la
sua storia diventa leggenda e si perde nella notte dei tempi.
Quel che è certo è che all’inizio il dolce veniva preparato in
occasione del carnevale, ma presto ci si accorse che era un vero
peccato poter godere di questa leccornia una sola volta
all’anno.
Sembra che il cannolo sia nato a Caltanissetta, su ispirazione
di un’antica ricetta romana reinterpretata dagli arabi che un
tempo occupavano la città con i loro harem. Leggenda vuole che
furono proprio le belle spose dell’emiro a inventare il dolce.
Descrivere il cannolo senza averne uno lì, pronto da assaggiare,
è una vera crudeltà. Il dolce è composto da una cialda croccante
a forma di tubo che contiene una golosissima ricotta di pecora,
alla quale si aggiungono vari ingredienti, dal pistacchio di
Bronte alle gocce di cioccolato.
A Palermo il dolce ha le estremità impreziosite da due ciliegie
candite e il dorso è guarnito da una fettina di buccia
d’arancia. Nella parte orientale dell’isola, invece, è
spolverato con una granella di nocciole o di pistacchi. Bisogna
anche fare una distinzione tra il cannolo raffinato di città,
con la ricotta più fine e spumosa, e quello più “verace” di
campagna, ripieno di una ricotta densa, molto meno lavorata.
Qual è il migliore? È questione di gusti e, per scoprirlo, è
doveroso assaggiarli tutti.
Salvo Puccio
TANTO AMATI DAL DOTT.
PASQUANO
Manco a dirlo, il rito del cannolo come
impasto di amore e morte, come segno di festa e di abbandono, di
ricordo e di rimpianto ha avuto la sua epifania universale
l’altra sera con la fiction televisiva del commissario
Montalbano. Il professore Carabillò, ovviamente, non veniva
neppure nominato, ma la scena sembrava scritta da lui, con il
contorno delle parole rubate a Tomasi di Lampedusa. Al
commissariato di Vigata, boccascena dei racconti scritti da
Andrea Camilleri, il capo chiama nella sua stanza i
collabo ratori,
da Augello a Fazio a Catarella. Sono appena tornati dal cimitero dove hanno
accompagnato la salma del dottore Pasquano, il medico legale
interpretato per diciotto anni da un attore – il formidabile
Marcello Perracchio – morto due anni fa. Prima o poi, la
fortunata serie
televisiva doveva pur giustificare l’assenza di quella faccia
asciutta e ironica, amorevole e beffarda. E come spesso succede
nei teatri di maggiore sensibilità la fiction ha assorbito la
realtà. Al punto che gli sceneggiatori hanno congegnato una
puntata nella quale – all’interno di un giallo appassionante per
trama e colori – si è narrata anche la morte improvvisa del
dottore Pasquano, la cui popolarità era dovuta essenzialmente a
due tormentoni: il linguaggio, confidenziale e spregiudicato,
con il quale il medico legale si rivolgeva a Montalbano:
“Commissario, ma lei è venuto per rompere i cabassisi?”; e i
preziosissimi cannoli davanti ai quali – inesorabilmente,
voracemente – l’incontenibile Pasquano allentava ogni freno
inibitorio.
https://www.ilfoglio.it/cultura/2019/02/25/news/cannoli-d-amore-e-morte-239852/
LA DOLCE
RIVALITA' AD OVEST DELL'ISOLA
Il momento giusto per gustarli è Pasqua.di
Martino Ragusa.Piana degli Albanesi, a 24 km da Palermo, è la
patria del cannolo siciliano e meta di pellegrinaggio dei tanti
devoti a questo dolce, diffuso in tutta l’isola ma qui capace di
raggiungere vette di perfezione. Grazie all’abilità dei
pasticceri pianesi e grazie soprattutto alla qualità della
ricotta fatta con il latte di pecore allevate su un altopiano a
circa 800 metri di altitudine.Nato come dolce di Carnevale,
il cannolo una volta era disponibile solo in inverno e
primavera.
Da qualche tempo si trova in tutti i mesi dell’anno,
e non è detto che sia un bene.
Intendiamoci, va benissimo che il periodo di produzione non sia
più così ristretto, ma forse si è esagerato con l’allargamento a
tutti e dodici i mesi. Ogni siciliano che si rispetti sa che la
ricotta è buona solo da dicembre a maggio, quando i pascoli,
specialmente quelli di monti e altopiani, si ricoprono di erbe
aromatiche capaci di cedere il loro profumo al latte delle
pecore. Fuori da questo periodo, si trovano cannoli fatti con la
poco pregiata ricotta estiva o con quella congelata.
Tutta un’altra musica, apprezzabile solo da
un palato impreparato.Se è disponibile la ricotta giusta, tutto
il resto dipende dal pasticciere. Sta a lui trovare l’esatta
proporzione tra zucchero e ricotta perché il cannolo risulti
correttamente dolce, né insipido né stucchevole. Ed è sempre sua
la decisione su come e quanto setacciare la ricotta già
zuccherata per ottenere una crema dalla consistenza ideale, con
una grana che non sia troppo fine, né troppo grossier. Abilità
richiede anche la preparazione della cialda (chiamata “scorza”)
fatta con fior di farina, zucchero, strutto, vino, cacao e caffè
in polvere.
Ma, come sempre, è la mano di chi prepara e
la qualità dell’olio usato per la frittura a decidere il
risultato finale.Vale la pena ricordare che il vero cannolo
siciliano è lungo dai 15 ai 20 centimetri, ha un diametro di 4 –
5 centimetri, deve essere riempito al momento, perché la ricotta
non inumidisca la scorza facendole perdere coccantezza, e deve
essere guarnito solo in superficie, sulle due facce, con
ciliegie candite o scorza d’arancio candita o pezzetti di
cioccolato. All’interno la ricotta deve essere libera d a
canditi o di cioccolato che ne contaminerebbero la purezza. A
Piana degli Albanesi è garantito il “cannolo perfetto”, ma se vi
trovate nella parte occidentale della Sicilia vi conviene fare
un salto in un piccolo villaggio che da qualche tempo insidia a
Piana il primato dei migliori cannoli.
E’ Dattilo, frazione di Paceco in provincia
di Trapani, facile da raggiungere perché fornito di svincolo
sulla A 29 Palermo – Trapani. La Pasqua Bizantino – Ortodossa di
Piana degli AlbanesiChiamata Hora e Arbëreshëvet in arbëreshë,
Piana degli Albanesi è tuttora abitata da una nutrita comunità
albanese insediata su questo verdissimo altipiano dal XVI
secolo. Lingua e tradizioni sono state scrupolosamente
mantenute, e la religione è rimasta quella di rito Bizantino –
Ortodosso dei primi profughi. La Pasqua viene celebrata con
particolare solennità ed è un’occasione veramente speciale per
visitare questa splendida cittadina.Ecco un breve calendario
delle manifestazioni religiose della Settimana Santa – Domenica
delle Palme: Processione del vescovo (Eparca) per le strade del
paese in sella a un asino e con una palma in mano. – Giovedi
Santo: lavanda dei piedi Venerdì Santo il mattino ed esecuzione
di suggestivi canti evangelici tradizionali che narrano la
Passione. Il pomeriggio, processione del Cristo deposto
nell’urna con esecuzione di canti funebri.- Domenica di Pasqua:
sfilata di donne e uomini abbigliati con gli sfarzosi costumi
tradizionali Messa solenne di rito Bizantino–Ortodosso nella
Cattedrale di San Demetrio, All’uscita della Chiesa e pubblica
distribuzione delle uova rosse benedette (vetë të kuqe).
Benedizione del Vescovo a tutti i presenti.
https://www.ilgiornaledelcibo.it/i-cannoli-di-piana-degli-albanesi/
ALTRA CLASSIFICA SUI CANNOLI SICILIANI
RAGUSA
Intervista allo chef
ragusano Antonio Colombo . Esistono due cialde di cannolo, che di
distinguono anche nel nome, l’occidentale e l’orientale. A
Palermo utilizzano un impasto a base di aceto di vino rosso
mentre nella zona di Ragusa mettiamo il marsala al poto del
vino. Anche la crema ha le sue varianti: quella a base di
ricotta vaccina e quella in cui è utilizzata ricotta ovina. Nel
lato del Palermitano e del catanese si utilizza di più la
ricotta di pecora, in quello di Ragusa di usa più la ricotta
vaccina. Io dico sempre che la Sicilia è un po’ il centro del
mondo: sono passati li Arabi, i Greci, i Normanni, gli Spagnoli
… la Sicilia è stata colonizzata un po’ da tutti. A Modica ad
esempio si fa il cioccolato modicano che è stato portato dagli
spagnoli secondo la ricetta antica degli Aztechi.
La Sicilia ha
risentito molto delle varie influenze: ad esempio la cassata
prima si faceva solo con il marzapane e la ricotta, con la
venuta degli Spagnoli si è aggiunto il pan di spagna; le granite
si dice che siano di origine araba; le spezie la cannella, le
essenze come quelle del gelsomino che ora rientrano, moltissimo
nella cucina locale sono state portate sempre dagli arabi.
Anche il cannolo, penso, abbia preso delle
pieghe diverse in tutto il suo percorso e secondo delle
influenze dei popoli.
In Sicilia, del resto, è tutto così: basta
spostarsi di dieci chilometri in dieci chilometri e troviamo una
varante diversa di pensiero, dialetto, cultura… Tornando al
cannolo e alle sue usanze, va detto che anche la frittura viene
fatta in modo diverso di zona in zona.
Nella zona di Ragusa si frigge con l’olio di
oliva: noi abbiamo l’IGP dei monti iblei che è un olio
fantastico. Mi ricordo che ancora mia nonna diceva “friggo
nell’olio buono” che altro non era che quello di oliva.
Nel palermitano i cannoli friggono, invece,
bello strutto, che essendo grasso animale, che ha un punto fumo
maggiore, conferisce una fragranza diversa, ha un sapore più
intenso e perfino il colore risulta diverso, più scuro.
Le varianti proseguono se si passa a guardare
gli ingredienti aggiuntivi: c’è chi mette pistacchio, chi le
mandorle, chi il cioccolato, chi l’arancia.
Anche la gradazione zuccherina non è da meno:
noi, nella zona di Ragusa, siamo abituati a zuccherare il
ripieno zuccherarla un po’ meno rispetto al palermitano. Lì ci
sono pasticcerie che fanno addirittura metà zucchero e metà
ricotta: i cannoli più famosi, quella della piana degli
Albanesi- una zona delle masserie dove si produce la ricotta
più buona- sono grandissimi e con un tasso zuccherino
elevatissimo.
Per me il cannolo è sacro: io lo servo come
si vede nelle pasticcerie tradizionali. Non amo l’idea del
cannolo scomposto o destrutturato: il cannolo nasce cannolo e
deve essere mangiato come tale. Io faccio la cialda di cannolo
semplice con ricotta vaccina zuccherata solo al 10% aromatizzata
con semi di vaniglia e buccia di limone grattugiata. La cialda è
impastata con Marsala, farina di grano duro, uova e strutto e
polvere di caffè per dare una colorazione ambrata ed una diversa
aromaticità.
Da un lato metto la scorzetta di arancia
candita e dall’altro pistacchio di Bronte tostato e tritato.
Servo il cannolo con accanto una zuppetta di vaniglia e una
pallina di gelato al pistacchio. A me piace il gioco delle
consistenze e dei contrasti quindi l’idea dell’alternanza di
croccante e di cremoso con la zuppetta che avvolge tutto ed il
gelato che crea una sorta di choc termico.
Chef Antonio Colombo
https://www.calendariodelciboitaliano.it/2017/04/28/intervista-chef-antonio-colombo/
Il cannolo siciliano nello
spazio
Un cannolo nello spazio. L’impresa, il cui video sta spopolando
su Youtube, è di un gruppo di ragazzi ennesi che hanno deciso di
fare concorrenza ai tecnici della Nasa utilizzando come
testimonial uno dei simboli più noti del made in Sicily.
L’originale iniziativa è stata messa a punto da due filmaker,
Antonella Barbera e Fabio Leone, che insieme all’ informatico
con la passione per l’elettrotecnica Paolo Capasso hanno
lavorato al progetto. Il cannolo è stato posizionato su un
pallone sonda, riempito di elio e dotato di una microcamera per
documentare il successo dell’impresa. Il lancio, autorizzato con
una richiesta al 41/o Stormo di Sigonella, è avvenuto il 2
febbraio scorso nonostante le avverse condizioni meteo.
Come “base” per il countdown è stata scelta la Rocca di Cerere,
la montagna che sovrasta Enna. Sul drone, grazie all’ingegnosità
di Capasso, è stato montato un Gps che ha consentito di seguire
il tragitto della “navicella” fino alla stratosfera, a quasi 30
mila metri d’altezza. Il pallone, che al suo interno aveva un
paracadute, ha sorvolato la zona del catanese per virare poi
verso la Sicilia occidentale prima di atterrare “dolcemente” con
il suo carico a Bompietro, un paese delle Madonie in provincia
di Palermo, dove il cannolo è stato recuperato. Un’operazione
nello spazio perfettamente riuscita, a metà tra l’esperimento
scientifico e l’iniziativa goliardica. “Il nostro Sicilian Space
Program - spiegano i quattro ideatori - è nato da una scommessa,
dalla decisione di metterci alla prova. Un regalo ai siciliani
che è anche un modo per farli sorridere. Un’azione performativa
che appare come nonsense, ma che proprio per questo incuriosisce
e porta la gente a cliccare il nostro video su Youtube”. (ANSA).
dicono che se non lo mangi è uno "sgabbo"
|
E’
il dolce per eccellenza, una prelibatezza che non conosce vie di mezzo:
o la si odia o la si ama appassionatamente. E’ sicuramente
impegnativa, sia per la preparazione che per il consumo, vista la
ricchezza degli ingredienti e l’elevatissimo apporto calorico.
Si
può dire che certamente la cassata è il dolce che più di tutti
racchiude in sé il patrimonio gastronomico apportato da dominazioni e
da culture diverse da quella italiana. La ricetta della cassata è stata
tramandata attraverso i secoli raccogliendo via via nuovi ingredienti,
applicazioni di nuovi metodi, usi e esperienze diverse; qualunque
civiltà sia passata in Sicilia ha lasciato tracce di sè in questo
dolce meraviglioso e opulento.
L’origine
del nome è dato dall’arabo “quas’at”, cioè “ciotola”, il
recipiente rotondo nel quale veniva cotta la Cassata, ma potrebbe anche
derivare dal latino “caseum”, formaggio, di cui è composto il
ripieno.
Il
primo a cimentarsi in questa preparazione è stato, a Palermo nell’anno
1000, nel periodo della dominazione araba, il cuoco dell’Emiro della
Kalsa. La cucina saracena usava ingredienti fino ad allora sconosciuti
nel territorio siciliano: la canna da zucchero, il limone, l’arancia
amara, il mandarino; fu facile unirli alla ricotta, che veniva prodotta
in Sicilia già dai tempi della Preistoria, assieme alle spezie e agli
aromi, sempre portati dagli Arabi. In principio fu solo un involucro
cotto al forno di pasta frolla ripiena di ricotta, zucchero, agrumi e aromi
, e questa versione essenziale esiste ancora e si chiama , appunto,
Cassata al forno.
Dopo gli Arabi arrivarono i Normanni, e fecero
conoscere la lavorazione della Pasta reale, o pasta di mandorle, e
allora questa pasta sostituì, arricchita di altri aromi e coloranti
naturali, l’involucro di pasta frolla usato fino ad allora, e la
Cassata divenne definitivamente una preparazione a freddo.
Arrivarono poi gli Spagnoli, e regalarono alla cucina siciliana
cioccolato e Pan di Spagna, e l’età Barocca inserì nella
preparazione della Cassata la frutta candita, che a questo punto fu
completa e pronta per essere tramandata nella sua ricchezza dalle
ricette delle famiglie nobili siciliane, ma soprattutto dalle suore dei
numerosi conventi, che da sempre sono depositarie delle migliori ricette
e dei segreti della cucina tradizionale.
La
Cassata era un dolce così importante per la cultura siciliana dei
secoli passati, che addirittura esisteva un documento, stilato dal
Sinodo dei Vescovi di Mazara, riunito nell’anno 1575, che ne stabiliva
la preparazione e il consumo come rituale necessario nel giorno di
Pasqua.
Nei
nostri giorni, la Cassata rimane l’orgoglio delle vetrine dei
pasticceri palermitani, e la preparazione che, con le sue decorazioni
baroccheggianti, più di qualsiasi altra rimanda gli echi dell’opulenza
della storia passata. Non è difficile dire che si può gustare un’ottima
Cassata in molte altre zone d’Italia, per quanto però quella prodotta
in Sicilia può contare sugli ingredienti freschi che si trovano sul
posto, primo fra tutti la ricotta, e quella dell’Isola è davvero la
migliore che si possa utilizzare.
Con
un po’ di conoscenza delle tecniche e soprattutto con un’ottima
manualità, si può senz’altro provare a fare in casa una dignitosa
Cassata siciliana; ci vuole tempo a disposizione e pazienza.
|
Cassata siciliana, la sua
storia dalla dominazione araba ai giorni nostri
08/05/2017 Carmen Bilotta
Insieme al cannolo, la cassata è tra i simboli indiscussi
della Sicilia e capolavoro della sua pasticceria più raffinata. La sua
celebrità, costruitasi in secoli di storia, ha oltrepassato i confini
nazionali e si è affermata in tutto il mondo.
Come per tante altre specialità siciliane tra cui la
pasta, le arancine, il gelato, la pasta di mandorle, l’allevamento del
bufalo d’acqua e, in parte, il torrone, anche la cassata siciliana è stata
imitata in gran parte d’Italia.
Dolce calorico, ma anche irresistibile e scenografico, è
composto da pan di spagna imbevuto di liquore, pasta di mandorle e pasta di
pistacchio, con un ripieno di ricotta e gocce di cioccolato, vaniglia e
pistacchi. Termina l’opera, una copertura irresistibile composta da glassa
di zucchero e canditi disposti a forme geometriche o floreali.
Anche se oggi la troviamo nella pasticcerie tutto l’anno,
sembra che la cassata fosse un dolce tipico della tradizione pasquale, tanto
che un detto popolare recita:
Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua”
(Povero chi non ha mangiato la cassata a colazione la mattina di Pasqua).
Mangiare una fetta di cassata è come mangiare una fetta
di storia: le sue origini, infatti, sono antichissime. Come spesso accade,
anch’essa nacque per caso perchè doveva essere una specie di zuccotto di
cacio fresco, successivamente sostituito dalla ricotta.
La cassata siciliana, tra leggende e realtà storiche
Per quanto riguarda l’origine del nome, si ritiene che
possa derivare o dal latino “caseus” (formaggio) o, più probabilmente,
dall’arabo “q’asat” che indica una scodella rotonda e profonda.
Qualcuno narra l’episodio di un pastore arabo che una
notte decise di mescolare la ricotta, formaggio prodotto in Sicilia già da
diverso tempo, con lo zucchero o forse il miele, e di chiamare questo dolce
“Quas’at“ facendo riferimento alla bacinella o alla ciotola usata per
l’impasto.
Altri raccontano, invece, che mentre il “saracino”
impastava quegli ingredienti in un pentolino di rame, abbia risposto “qas’at”,
il nome arabo del pentolino, a un siciliano che gli aveva chiesto, in
realtà, il nome del dolce.
Il termine “cassata” compare per la prima volta nel XIV
secolo, nel Declarus di Angelo Sinesio (1305-1386), il primo abate del
grandioso monastero di San Martino delle Scale, autore anche del primo
vocabolario siciliano-latino. Alla voce “cassata” si legge: “cibus ex pasta
panis et caseus compositus”, cioè cibo composto da pasta di pane e
formaggio, probabilmente un insipido cacio come la ricotta, dolcificato con
il miele e racchiuso in un involucro di pasta di pane prima, di essere
infornato.
Dalla cassata al forno alla cassata siciliana
In questo dolce, è racchiusa tutta la storia della
Sicilia e delle sue dominazioni, dalle quali derivano tante innovazioni e
contaminazioni tra culture diverse.
Due sono le versioni della cassata, solo apparentemente
diverse tra loro dato che vantano la medesima origine: la cassata al forno e
la cassata siciliana.
Per raccontare tutta la storia della cassata siciliana,
bisogna risalire alla Palermo del periodo arabo, in quell’epoca, considerata
la città più grande d’Europa. La coloratissima variante del dolce che oggi
conosciamo non è altro che l’evoluzione della cassata al forno, nata in
epoca normanna.
Ma partiamo dall’inizio. Correva l’anno 827 quando, in
Sicilia, iniziò la conquista araba che si protrasse per oltre 200 anni. Gli
arabi, tra il IX e il XI secolo lasciarono segni profondi del loro passaggio
nell’isola, influenzandone cultura, storia, arte e anche la cucina. È grazie
a loro che furono introdotti cibi come il pistacchio, il limone, il cedro,
l’arancia amara, la mandorla e, soprattutto, la canna da zucchero.
In Sicilia, già da tempi più antichi, si produceva la
ricotta la quale, unita ad altri ingredienti della cultura gastronomica
araba, diede vita ad un dolce costituito da un involucro di pasta frolla,
contenente un ripieno di ricotta, che veniva cotto in forno. In particolare,
fu alla corte dell’Emiro, in piazza Kalsa a Palermo, che i cuochi decisero
di avvolgere l’impasto di zucchero e ricotta con una sfoglia di pasta frolla
e di cuocere il tutto al forno. Nacque così la prima vera versione della
cassata che, gradualmente, si evolse fino ad assumere la fisionomia di
quella più ricca e non infornata che oggi tutti conosciamo.
Come testimonia anche il Nuovo dizionario
siciliano-italiano di Vincenzo Mortillaro, ancora nel 1853, per “cassata” si
intendeva prevalentemente quella al forno, mentre quella ricoperta di glassa
e frutta candita si affermerà solo a partire dalla fine del XIX secolo.
Sempre sotto la dominazione normanna, presso il convento
della martorana a Palermo, le suore inventarono la pasta reale o pasta
martorana, a base di farina di mandorle.
Nel Settecento, la cassata inizia a subire delle
trasformazioni. Nel corso della dominazione spagnola, da Genova, arrivarono
in Sicilia il pan di Spagna che sostituì la pasta frolla e il cioccolato che
venne aggiunto in scaglie alla ricotta. Con la pasta martorana vennero
create delle decorazioni alle quali si aggiunsero anche quelle create con la
frutta candita , la “zuccata” a base di zucca, e la glassa di zucchero.
È attraverso questo percorso, dagli arabi alle monache
fino agli spagnoli, che si giunge alla versione coloratissima della cassata
che oggi conosciamo, e che fu codificata nel 1873 dal pasticciere
palermitano Salvatore Gulì. Fu proprio lui a introdurre nella ricetta la
“zuccata”, coltivata dalle abili suore della Badia del Cancelliere di
Palermo.
Fu proprio Gulì che uso il termine “cassata siciliana”
e, per incrementarne la vendita, ne creò una “ricca di ogni sorta di ben di
Dio di produzione della Casa!”. Il successo fu immediato perché quel trionfo
barocco, meglio ubbidiva alla gran voglia di esprimere l’esuberante
sensualità siciliana.
Nel “Vocabolario siciliano etimologico” di Michele
Pasqualino, edito nel 1785, la cassata viene definita “specie di torta fatta
di ricotta raddolcita di zucchero con rinvolto di pasta anch’essa raddolcita
e fatta a forma rotonda”.
La cassata come dolce di Pasqua, già da qualche secolo
era una realtà: nel 1575, infatti, il sinodo della diocesi di Mazara del
Vallo aveva proclamato la cassata come pietanza ufficiale della festa,
vietando ai vari ordini monacali di prepararla durante il periodo che
precedeva la festa religiosa, per non incorrere in tentazione.
Fuori dall’isola, la variante più famosa è certamente la
cassata napoletana, meno decorata e caratterizzata da un pan di Spagna
bagnato con il liquore Strega o con il maraschino.
https://www.gazzettadelgusto.it/cibo-e-storia/la-cassata-siciliana-storia/
La
cassata siciliana non è un dolce poi così difficile da preparare: basta
avere a disposizione gli ingredienti giusti (esempi: la ricotta di pecora che
deve essere freschissima e qualche mandorla amara per dare più sapore alla
pasta di mandorle del rivestimento) e partire qualche giorno prima con la
preparazione del pan di spagna e della pasta di
mandorle. Quest'ultima può
essere preparata con largo anticipo (anche di diversi giorni) e conservata in
frigorifero in un contenitore ermetico. Il pan di spagna, invece, può essere
preparato due giorni prima. Gli ultimi due giorni, infine, potreanno essere
dedicati al montaggio e alla decorazione della cassata.
Detto questo, passiamo agli ingredienti: un pan di spagna di ventisei cm di
diametro; della pasta di madorle (dose da due etti di mandole) un terzo
colorata lasciata al naturale e due terzi colorata di verde; 300 gr di ricotta
di pecora freschissima; 100 gr di gocce di cioccolato di prima qualità 100 gr
di zucchero a velo per la crema di ricotta (regolarsi nella quantità precisa
a seconda dei propri gusti); della glassa a freddo (dose da 350 gr di
zucchero
a velo) e dello zucchero a velo (cento grammi almeno) per
"infarinare" piano di lavoro e mattarello mentre si stende la pasta
di mandorle; frutta candita mista intera (per la cassata della foto ho usato:
mezzo mandarino, del cedro, della zucca, delle ciliege); della bagna per dolci
preparata mettendo a bollire 200 gr di acqua con due cucchiai colmi di
zucchero e un la buccia di un limone non trattato fino a quando l'acqua non si
sia ristretta più o meno della metà (questo sciroppo, una volta raffreddato,
va diluito con una quantita' uguale di maraschino o altro liquore a scelta).
Servono
poi alcuni attrezzi irrinunciabili: uno stampo in cui comporre e fare riposare
la torta, un mattarello per stendere la pasta di mandorle, della carta forno
per preparare un cono di carta.
1) Stendere la pasta di mandorle verde, "infarinando con abbondante
zucchero a velo", in modo da ottenere un disco di un paio di centimetri
più largo del fondo dello stampo che si intende utilizzare e rivestirlo con
questo come nella foto. Per facilitare l'estrazione della cassata, è
opportuno rivestire lo stampo con una pellicola trasparente, prima di
quest'operazione.
2) Stendere poi la restante pasta di mandorle (sia bianca che verde) e
ricavarne dei rettangoli di uguale larghezza. Rivestire quindi le pareti dello
stampo .
3) Tagliare il pan di spagna a fette il più possibile regolari...
4) ... e rivestire lo stampo con queste. Bagnare quindi il pan di spagna con
la bagna per dolci, ricordandosi di non lesinare sulla quantita' di questa: il
pan di spagna è molto spugnoso e, usando una quantità scarsa di bagna,
risulterebbe irrimediabilmente asciutto.
5)
Riempire quindi il centro dello stampo rimasto vuoto con la crema di ricotta
preparata mescolando bene questa allo zucchero a velo e, una volta che questo
si sia ben incorporato, aggiungendo le gocce di cioccolato. Ricoprire quindi
con altre fette di pan di spagna e bagnare ancora con bagna.
6) Coprire bene con della pellicola trasparente e lasciare riposare qualche
ora ALMENO in frigo (meglio se per tutta una notte). Per migliorare l'estetica
finale del dolce, si puo' mettere un piatto sopra allo stampo e, su questo, un
peso (per esempio, una pentola piena di acqua).
http://www.gennarino.org
La
pasticceria siciliana deriva, in gran parte, da quella conventuale: tra
questi merita di essere ricordato il Monastero delle Suore benedettine
della Martorana in Palermo dove si originano questi “frutti”
prendendone il nome. Dolci che all’origine ebbero la forma di frutta,
poi, man mano conosciuti da tutti, vennero per imitazione dei pasticceri
sparsi nell’Isola appositamente preparati per alcune ricorrenze, in
particolare per la commemorazione dei Defunti, occasione per farli
trovare ai bambini quale “regalo dei morti”, da loro lasciati
durante la notte. Col tempo, ed a seconda delle tradizioni locali che si
andavano affermando, ecco che questa pasta assumerà forme diverse, tra
le quali le pecorelle per la Pasqua. Ma come erano fatti questi frutti
di Martorana (primo nome che ebbero), o di pasta reale (sinonimo,
assunto successivamente, per magnificarle il valore)? Semplicemente con
mandorle crude, pestate fino a farina, unite a pari peso di zucchero; l’impasto.
Leggermente asciuttato dopo una delicata cottura, viene sistemato in
appositi stampini o formelle; quindi i “fruttini”vengono sfornati ed
infine dipinti con colori vegetali per renderli quanto più sinili al
frutto vero che si vuole imitare. La pasticceria siciliana ne ha fatto
un suo cavallo di battaglia, perfetta la forma realistici i colori,
morbida ed aromatica la pasta.
L'aspetto
e' quello della frutta - gli stessi colori, le stesse forme: ad un primo
sguardo puo' essere scambiata per frutta vera.
Ed, invece, la frutta di Martorana e' fatta con una miscela di mandorle
e zucchero - il marzapane - che fu importato dagli arabi in Sicilia nel
Duecento.
La pasta di marzapane si prepara pestando le mandorle finemente assieme
allo zucchero e, talvolta, con aggiunta di miele. L'impasto viene legato
con albume d'uovo ed aromatizzato con fiori d'arancio e vaniglia. La
temperatura a cui avviene questa operazione cambia l'aspetto ed il
risultato del prodotto: se l'impasto si prepara a freddo si ottiene la
pasta di mandorle; se si prepara a caldo, a fiamma bassa fino a quando
lo zucchero non si scioglie completamente fino a scomparire, allora si
ottiene il marzapane.
|
La
tradizione delle famiglie palermitane di acquistare questi dolci
novembrini si diffuse ben presto in tutta la Sicilia ed oggi la frutta
di marzapane e' diventata una vera e propria arte.
L'artigiano deve essere molto bravo sia nelle qualita' creative (per
dare forma e colore ai dolci), sia in quelle di pasticciere perche'
l'impasto va lavorato con grande abilita' e rapidita' per evitare che
durante la preparazione l'olio di mandorla di cui e' intrisa la pasta
venga in superficie.
La lucidatura finale, dopo il tocco dei colori, viene effettuata con uno
strato molto sottile di gomma arabica.
Ogni provincia della Sicilia ha i suoi bravi artigiani-pasticciere e,
durante il periodo delle feste, e' possibile ammirare le vetrine dei
laboratori e delle pasticcerie ornate da grandi canestri colmi di frutta
martorana.
Ingredienti:
250 g. di farina di mandorle; 1 Kg. di zucchero; 200 g. di glucosio;
coloranti per dolci; gomma arabica.
Preparazione:
Mescolare la farina di mandorle con lo zucchero ed il glucosio e versare
il tutto in una pentola. Mettere sul fuoco a fiamma bassa mescolando
sempre e togliere il composto prima che arrivi ad ebollizione. Versare su
un piano (possibilmente di marmo) e lasciare raffreddare.
Lavorare
il composto come per la pasta fatta in casa. Con le mani prelevare dei
pezzetti di pasta, dare le forme più svariate di frutta, metterle al
forno a calore medio; ritirarle quando presentano la doratura in superfice.
Colorare
con le varie gradazioni di colore per dolci e, per dare lucentezza,
lucidare con gomma arabica sciolta in acqua.
Pere Coscia. Vere? no!
di
Melania Mertoli
Tra
Rame di Napoli, Ossa di Morto e Totò, questa festa rischia di essere un
attentato alla nostra linea. Curiosità sulle loro antiche origini
In
questo mese, in tutti i bar, panifici e pasticcerie di Catania si
possono trovare vere e proprie leccornie, orgoglio della nostra antica
tradizione gastronomica. Sono buonissimi, ricchi di sapori e odori. Ma
li conosciamo veramente ? Sappiamo da dove derivano e perché si
chiamano così ? I più venduti sono Rame
di Napoli, seguiti da
Ossa di Morto
e Totò,
ma anche Piparelle
e ‘Nduzzi
non sono da meno. Cominciamo dai Rame di Napoli. Sono biscotti ricoperti
di cioccolato scuro fondente o bianco, eseguiti in due versioni:
semplici e ripieni con la marmellata di albicocche. L’ultima versione
li vuole con la Nutella all’interno, cosa che potrebbe far perdere il
vero gusto ai nuovi conoscitori di questi dolci.
Una
curiosità che li riguarda è che, mentre qui a Catania sono ultra
conosciuti, a Napoli li sconoscono. Strano, no ? Noi lo abbiamo appurato
telefonando alla pasticceria Scaturchio, la più antica della città –
risale al 1903 - e chiedendo anche ad alcuni napoletani. Non ne hanno
mai sentito parlare. E allora il loro nome da cosa nasce ? “ Da un
atto di stupido vassallaggio che noi catanesi abbiamo tributato a
Napoli. Per fare onore a questa città, al tempo del regno delle due
Sicilie – ci spiega il gastronomo e scrittore Pino Correnti –. Ma
Napoli di questo dolce non ne sapeva niente”. La dimostrazione di ciò
risiede nel fatto che tutt’oggi nella città partenopea non sanno cosa
siano. I “Totò” – diminutivo siciliano del nome Salvatore –
sono simili ai Rame di Napoli, ma anziché essere ricoperti di
cioccolato fondente, sono ricoperti di cioccolato liquido e hanno una
forma diversa.
Passiamo
alle “Ossa di morto” - chiamate anche “Pasta di garofano”.
Questi biscotti sono formati da una parte chiara e una scura, quest’ultima
messa sopra quella chiara, fatta con la stessa pasta e alla quale viene
data la forma di piccole ossa una forma diversa.
Gli
“’nzuddi”,
- “Zulle” nella lingua italiana - di cui ci sono due versioni, con
le mandorle, più secche o ricoperte al miele, più morbide. Il loro
nome deriva da Vincenzo Bellini come tiene a sottolineare il critico
gastronomico Pino Correnti, che facendo ricerche in materia è risalito
al periodo in cui il cigno catanese, all’età di 6 anni, “componeva
la sua prima cantica, sgranocchiando questi dolci ai quali in seguito fu
dato il suo nome”.
Vincinzuddu
Bellini è nato il 2 novembre 1801 e a lui, oltre alla pasta alla norma,
dobbiamo attribuire anche questo dolce.
La
nostra gastronomia offre anche le “Piparelle”, cioè biscotti a
forma di fettine di pane, eseguiti con ingredienti naturali quali
farina, cioccolato, albumi d’uovo, mandorle e pepe nero, che si
possono gustare inzuppandoli nel vino o nel mosto.
Questo
è il periodo in cui si preparano anche i “cannistri” - o canestri
– che si possono regalare ad amici e parenti, in cui si mettono questi
dolci, decorandoli con la frutta martorana, fatta di marzapane.
Incredibilmente somigliante a quella vera, viene data loro forma di
castagne, nespole, fichidindia, ma anche frutti di mare e pesci, tutti
incredibilmente dolci.
Chiudiamo
il quadro delle delizie che vengono prodotti in questa ricorrenza con i
“Bersaglieri”, biscotti ai quali viene conferita la forma di
bastoncini ricoperti di cioccolato e i “Regina”, fatti come i primi,
ma ricoperti di glassa bianca.
A
buon intenditor, …………….
RAME
DI NAPOLI
Questo
e' un dolce tipico catanese consumato per le festività dei defunti.
Si tratta di un biscotto dal cuore morbido al cacao, ricoperto da una
glassa di cioccolato fondente, delicatamente speziato.
Racchiude in se' un misto di aromi e odori che rende davvero speciale
questo biscotto, tanto che chiamarlo biscotto mi sembra come sminuirlo,
visto che il sapore mi ricorda tanto la sopraffine torta viennese Sacher!
Vaniglia, cannella, chiodi di garofano e un aroma di arancia mischiati
al sapore di cioccolato rendono questo dolce particolare e un prodotto
di fine pasticceria, che spesso i Catanesi sottovalutano, anche perché
il prodotto negli anni ha perso di qualita'
: difficile trovare un biscotto morbido ed equilibrato nel sapore, i
biscotti usati per l'impasto sono spesso prodotti di scarto, e le rame
che da noi si trovano in questo periodo nei supermercati e forni sono
prodotti e distribuiti in maniera industriale.
Non si conosce con
certezza ne il luogo di provenienza
ne la data esatta, ma una cosa certa e' che i Napoletani non ne hanno
mai sentito parlare.
Esistono varie ipotesi
sulla loro origine, dal nome dato dal pasticcere Napoli
inventore di questa ricetta, ad un atto di stupido vassallaggio che noi
Catanesi abbiamo attribuito a Napoli e per fare onore a questa citta'
al tempo delle due Sicilie,
come spiega il gastronomo scrittore Pino Correnti.
Altra ipotesi, sempre collocata al Regno delle 2 Sicilie
sotto l'impero Borbonico, e' che con l'unificazione del Regno di Napoli
con il regno di Sicilia venne coniata dal re Carlo di Borbone
una moneta con la lega del rame, materiale povero che dovette sostituire
l'oro e e l'argento.
Cosi' il popolo, riprodusse in cucina le monete di rame, utilizzando
ingredienti poveri.
La ricetta e' stata nel tempo modificata e arricchita con aggiunta di
uva sultanina, scorzette di arancia candita, nutella, ma l'antica
ricetta prevedeva semplicemente: farina, cacao amaro, zucchero,
ammoniaca, strutto e marmellata d'arance.
Era usanza prepararli per le festivita'
di ognissanti
perche',
come da
tradizione , venivano regalati ai bambini, i cui genitori
spiegavano che fossero i regali portati loro dai parenti trapassati, per
essere stati buoni durante l'anno.
RICETTA
Questa che vi propongo e' la ricetta piu'
buona mai provata in questi anni, modificata dalla mia mamma. A mio
parere sapore e forma che rispecchiano in pieno il loro
"antico" sapore... La "esse" sopra, disegnata con
del cioccolato bianco, per
ricordare quelle mangiate da bambina: decorazioni artigianali ormai
sostituite da polvere di pistacchi sulla superficie.
500 gr.
di farina 00 200 gr.
di zucchero 2 uova
75 gr.
di strutto (sciolto) 50
gr. di
burro (sciolto) un
cucchiaio scarso di miele 1
cucchiaio di marmellata di arance o albicocche
100
gr. di
cacao amaro chiodi di
garofano pestati e ridotti a pezzettini cannella
vaniglia
100 gr.
di biscotti secchi (frollini o tipo saiwa)
5 gr.
di ammoniaca latte qb
PER
LA COPERTURA: cioccolato fondente burro (Le proporzioni sono 50 gr.
di burro per 200 gr.
di cioccolato)
Mettere
i frollini dentro una ciotola con del latte fino a farli diventare una
crema. Impastare tutti gli ingredienti come per una normale frolla con
le mani. Soltanto alla fine, aggiungere del latte e mescolare con un
cucchiaio di legno fino ad ottenere una consistenza simile a quella
della crema pasticcera. Lasciare riposare per circa 1 ora.
Procedimento
Rivestire una teglia per biscotti con della carta forno (i biscotti non
vanno cotti sulla lastra imburrata ed infarinata), disporre l'impasto a
cucchiaiate distanziando e dando la forma di un ovale.
Cuocere a 150 C' per circa 10/15 minuti. Lasciare raffreddare. Fondere
il cioccolato con il burro a bagnomaria, deve risultare molto liquido,
questo per avere una superficie liscia e in modo che ci sia soltanto un
velo di glassa sulla superficie. Immergere
i biscotti capovolti impugnandoli con il pollice e l'indice dentro la
glassa, girarli e adagiarli sulla carta
per farli asciugare. Decorare o cospargere con polvere di pistacchi.
http://sognidizucchero.blogspot.com/2008/10/tradizione-catanese-le-rame-di-napoli.html
OSSA
DI MORTO
Questa
è la storia di un anziana donna siciliana.
Il suo cortiletto, che ricorda l' aia di un tempo, è adornato da
numerosi canneti su cui posano, disposti in maniera precisa e
allineata... quasi maniacale, i frutti di un estate ormai passata.
"Conservare" l'abbondanza significa per lei non sprecare nulla
ed impiegare il suo tempo, per poi ritrovare sulla tavola d'inverno i
sapori del suo orto che ha amorevolmente curato durante l'estate.
Andarla a trovare è sempre un momento speciale... soprattutto per i
miei bambini che tornano spesso a casa con un ovetto caldo tra le mani.
La guardo mentre imbottiglia le sue conserve di pomodoro e i miei occhi
cadono sulla corona di fichi secchi, talmente bella da sembrare una
collana preziosa e sulle formelle di mostarda di fichi d'india anch'
esse messe a seccare.
In un angolo vedo un enorme vassoio con dei tocchetti bianchi coperti da
velo... per quanto potessi dar sfogo alla fantasia mai avrei potuto
immaginare di cosa potesse trattarsi.
Cosi' timidamente chiesi e l'anziana donna, sorridendo e asciugando le
mani nel suo grembiule si dirisse dentro casa ed usci' fuori con una
scatola di latta.
Apri' la scatola e dentro vidi qualcosa di molto familiare:Biscotti!
Non capendo l'attinenza alla mia domanda ne presi uno e comincia a
sgranocchiarlo.
Lei riprese il suo lavoro e con un sorriso come per dire... "Questi
ragazzi di oggi!", disse:
-
"I biscotti che mangi sono gli stessi che vedi stesi al sole".
I
tradizionali biscotti Ossa di Morti sono biscotti fatti seccare al sole?
Capite bene che non potevo andar via senza estorcere la ricetta, troppo
particolare troppo strana!
Le
ossa dei morti sono dei dolcetti che qui in Sicilia insieme alla rame di
Napoli e ai toto' si comprano e regalano durante il periodo della
commemorazione dei defunti.
A dire il vero dall'inizio di ottobre si trovano nei forni e dentro le
pasticceria ed e' molto facile tornare a casa con un sacchettino pieno
di biscottini da sgranocchiare magari d'avanti alla tv proprio come per
i pop- corn!
Molto dolci, speziati e croccanti hanno qualcosa che ricorda il
torrone... con sopra questo guscio vuoto bianco che quando si addenta si
frantuma come vetro.
Non è quindi un caso che girovagando sul web ho spesso trovato ricette
che prevedevano meringa e mandorle... ma nella ricettina della vecchina
di tutto questo nemmeno l'ombra!
INGREDIENTI 1.200 kg di zucchero 1 kg di farina 00 300 ml d'acqua un
cucchiaino di cannella un cucchiaino di chiodi di garofano tritati
finemente ( io ho dimezzato gli ingredienti impastando 500 gr. di
farina)
PROCEDIMENTO
In un pentolino portare quasi a bollore l'acqua spegnere la fiamma e
mettere dentro lo zucchero mischiando con un cucchiaio (non otterrete un
vero e proprio sciroppo visto che lo zucchero sarà molto di più
rispetto all'acqua). Impastare la farina e le spezie con l'acqua e lo
zucchero fino ad ottenere un impasto liscio ma ben sodo.
Sul piano infarinato formate un filoncino e tagliate a tocchetti di
circa 3 cm o la forma che più vi piace considerando che questa verra'
mantenuta durante la cottura.
Io ho decorato ogni tocchetto imprimendo la forma di una forchetta.
A questo punto posizionarli su un vassoio coperto da carta forno e far
asciugare al sole per almeno 3 giorni coprendo con del velo. Non dovrete
mai girarli. Infornare a 180 c' su carta forno, distanziando bene tra
loro, fin quando vedrete uscire dalla base del biscotto lo zucchero
sciolto che tenderà a caramellarsi. I biscotti si staccheranno
facilmente quando saranno freddi.
Perché
succede questa magia? La vecchietta non mi ha spiegato ma per logica mi
sembra di aver capito che il sole colpendo i biscotti asciughi quasi
pietrificando la superficie mentre la base a contatto con la carta forno
anche il terzo giorno risulta essere ancora umida. Durante la cottura lo
zucchero tende a sciogliersi e trova come unica via di fuga la base del
biscotto lasciando questo scheletro di farina praticamente intatto.
Come risultato un guscio bianco vuoto fortemente aromatizzato alla
cannella su una base caramellata che nell'insieme risulta davvero
piacevole.
Quindi
la meringa su base mandorlata un mito da sfatare o semplicemente ricetta
revisionata di qualcosa che all'origine era ben altro?
Una cosa è certa il sapore e la consistenza è proprio quella dei
biscottini che ho sempre mangiato, il guscio sopra non mi è mai
sembrato una meringa e la base caramellata che si attacca ai denti può
davvero trarre in inganno dando l'impressione di star mangiando un
biscotto a base di mandorle!
http://sognidizucchero.blogspot.com/2009/09/ingredienti-zucchero-farina-acqua-e.html
PIPARELLE
Sono
tipiche del messinese
ma di certo le trovi anche qui a Catania nei panifici, sono come i
cantuccini ma con l'aggiunta del pepe nero. Io ho trovato questa ricetta
presa dal forum del sito Cookaround anche se è fatta per il Bimby. Io
non l'ho ancora fatta (il Bimby non ce l'ho quindi mi arranger) ma te la
posto lo stesso:
Ingredienti:
500g farina 00, Scorza essiccata di 1 arancia, scorza di 1 limone, 1
chiodo di garofano, 150g di milele, 150g di zucchero, 200g di mandorle
tostate con tutta la pelle (anche 300g, diciamo che più se ne mettono
meglio è), 2 tuorli, 1 cucchiaino di pepe nero macinato, 150g
margarina, 10g bicarbonato
Procedimento:
MAcinare nel boccale le scroze d'arancia e limone, il chiodo di
garofano, vel 10 30 sec. aggiungere zucchero e milele 5 min 100 vel 3,
aggiungere margarina 30 sec vel 3, aggiungere farina, bicarbonato e pepe
2 min vel 6 aggiungere le mandorle tostate e spatolare bene. Formare 2
filoni che andranno posizionati in teglia con cartaforno ben
distanziati. Infornare a 160 30 minuti, tagliare tiepidi e rimettere in
forno a 150 5 minuti, spegnere il forno e lasciarli raffreddare dentro
al forno.
TOTO'
kg
di mandorle pelate 1kg di zucchero 1kg di farina Acqua q.b.
per
la glassa: gr 250 di acqua gr 400 di zucchero gr 100 di cioccolata
fondente tempo per la preparazione 40
min. cottura 20 min
Tritare
le mandorle fino a ridurle quasi in polvere ( due o tre colpi di turbo
col bimby possono bastare) Unire lo zucchero, la farina e impastare con
poca acqua tiepida, finchè l'impasto risulta abbastanza consistente. A
questo punto formare delle palline e sistemarle in una teglia unta, far
cuocere in forno a calore moderato per 15-20 min.
In un pentolino far bollire 250gr di acqua, aggiungere lo zucchero,
farlo sciogliere e unire la cioccolata: appena questo sciroppo e ' ben
omogeneizzato, immergere le palline a poco a poco, per 3 min., farle
asciugare su una base, finchè la glassa nn si solidifica......ammuccamu!!!!!
'Nzudri e Vincenzo Bellini
Le
bancarelle per la festa dei morti in Sicilia si riempiono dei dolci più
buoni che le mani e le menti dei pasticcieri nostrani hanno elaborato e
prodotto nel corso degli anni. Rame di Napoli, ossa di morto, totò,
frutta martorana e altre meraviglie che, da sole, giustificano la
presenza dell'uomo sulla terra come massima evoluzione dei mammiferi.
Ma
dobbiamo dire, francamente, che la fragranza, la croccantezza e, al
contempo, la dolce morbidezza e la consistenza degli 'nzuddi fanno di
questi gli unici dolci di questo periodo che appagano, oltre al palato,
anche il senso del tatto e dell'udito, in un concerto che coinvolge
tutti i sensi.
Questi
dolci venivano preparati dalle suore Vincenziane, e il nome 'nzudri
deriverebbe dall'abbreviazione del nome Vincenzo, che in siciliano
diventa Vincinzuddu. Traduzione dialettale di “Vincenzi”, sono biscotti
secchi profumati con scorza d’arancia e decorati con una mandorla in
cima. L’impasto è composto da: acqua, farina, miele, latte, mandorle e
scorza d’arancia.
L'ordine
delle Vincenziane è ispirato a San Vincenzo de Paoli, nato in Francia a
Pouy, il 24 aprile 1581, e morto a Parigi il 27 settembre 1660.
Canonizzato nel 1737, l'ordine delle Figlie della Carità fu fondato nel
1633 con la collaborazione di Santa Luisa. Queste suore non erano più
chiuse nei conventi, ma sparse nel mondo a servizio dei poveri. Sono
state le prime suore di congregazioni di vita apostolica a venire in
Sicilia, nella seconda metà dell’Ottocento.
Catania
fu la prima sede siciliana delle Vincenziane, chiamate il 19 settembre
1876 dal Beato Dusmet. Operarono, e ancora operano, presso l’ospedale
Vittorio Emanuele; poi presso l’ospedale S. Marta, l’orfanotrofio Pio IX
e in numerosi interventi a favore dei più bisognosi sull'intero
territorio cittadino. La loro sede più importante a Catania è “La Casa
della Carità” in via San Pietro, 49, fondata nel 1923 per volere della
Baronessa Anna Zappalà, presidente dell’Opera di Soccorso Infermi a
domicilio, con la collaborazione della leggendaria Suor Anna Cantalupo,
che si distinse per innumerevoli iniziative nel dopoguerra a servizio
dei più poveri.
Meno
solida è la versione che fa derivare il nome 'nzudri da Vincenzo
Bellini, che, all’età di 6 anni, “componeva la sua prima cantica
sgranocchiando questi dolci, ai quali poi fu dato il suo nome”. A tal
proposito, i catanesi, rifacendosi alla dolcezza degli 'nzudri,
soprannominarono Vincenzo Bellini “'Nzudru” per esprimere ammirazione
per la bellezza dei suoi lineamenti e la dolcezza della sua musica.
Pur
essendo nati a Catania, questi biscotti sono molto diffusi anche a
Messina. Dopo il terremoto che devastò Messina nel 1908, le suore
catanesi donarono dolci e la ricetta, fino ad allora gelosamente
custodita, ai messinesi come gesto caritatevole. La versione messinese
dei biscotti presenta un volume più generoso, una forma quadrata e viene
preparata durante la festa della Madonna della Lettera, patrona della
città, il 3 giugno.
Fate
tutto quello che volete per la festa di Ognissanti, ma non perdetevi gli
'nzudri, perché passerà un altro anno prima di vederli di nuovo sulle
bancarelle. E il tempo fugge, il futuro è relativo.
Fonti:
fdcsanvincenzo.it; tomarchio. eu
CLICCA E APPROFONDISCI
|
A coddura o cuddhura,
? un tipico dolce siciliano, di derivazione
ortodossa, che veniva e viene tutt?ora preparato nel periodo pasquale.
Tempo fa, durante il periodo della Quaresima, si osservava una grande
moderazione alimentare, che escludeva dalle tavole carne, uova e
formaggi, ma con l?arrivo della settimana santa le privazioni
terminavano, e le uova erano un alimento particolarmente utilizzato per
la preparazione dei dolci pasquali.
In
Sicilia, il dolce pasquale pi? diffuso ? ancora oggi la "cuddhura"
o "coddura? , un grosso dolce di forma circolare, con incorporato
un numero variabile, ma sempre dispari, di uova col guscio.
Il termine "cuddhura" deriva dal greco "Coulloura"
col quale gli antichi greci indicavano particolari focacce offerte agli
dei in cambio di favori e benevolenza, usanza che in epoca cristiana si
rivolge ai fidanzati e non pi? agli dei pagani.
Le
"coddhure" venivano portate in chiesa, la mattina del sabato
santo, per la benedizione che, nella solennit? della Resurrezione,
risvegliava l'idea di fecondit? consacrandone il valore.
Costituivano
comunque un dono augurale: un tempo la "Zita" (la fidanzata)
preparava la coddura a forma di cuore per il suo promesso, che
ricambiava il dono con un dolce a forma di "agnidduzzu"
(agnellino), e con questi gesti si celebrava la rinascita e la fertilit?.
La ricetta (per 2 portate) Ingredienti: 7
uova intere 125 gr.
di zucchero 125 gr.
di strutto fresco 500
gr. di farina bianca semi
di papavero o di sesamo una
piccola stecca di vaniglia 1
pizzico di sale 5 gr.
di cremor tartaro
oppure
altrettanto di lievito o di bicarbonato poco
latte burro e farina
per la piastra
Istruzioni:
Dopo aver ben miscelato la
farina, lo zucchero, il lievito e il pizzico di sale, fate la fontana
sul piano di lavoro con un buco in cima. In questo buco mettete lo
strutto ammorbidito e due uova intere. Intanto mettete a scaldare il
latte con la stecca di vaniglia. Impastate gli ingredienti, e alla fine
aggiungete il latte che basta per ottenere una pasta morbida ma
asciutta. Tenetene da
parte un pezzetto grosso all'incirca come un limone. Sbattete
ancora un uovo intero in una ciotola.
Scaldate
ora il forno a 200 gradi.
Formate con la pasta divisa in tre parti tre lunghi bastoncelli, uniteli
in cima e intrecciateli con l'aiuto di un po' d'uovo sbattuto per
tenerli insieme, e infine chiudete le estremit? a ciambella. Se siete
prprio bravi potete invece modellare l'" acedduzzo", cio? un
uccello visto di profilo, con la forma pi? o meno di una colomba, e
ponete la vostra opera sulla piastra da forno imburrata e infarinata. A questo punto praticate nella parte bassa della ciambella o nella
pancia dell'acedduzzo due piccole fossettine, spennellatele di uovo e
ponetevi dentro le due uova. Usate il pezzo di pasta accantonato per
fare delle fascette, o cinture, per fissare la pancia dell'uovo al
vostro dolce. Guarnite la superficie con i semi di papavero. Spennellate tutto con il
resto dell'uovo sbattuto. Ora potete infornare la "Cuddura" per circa quaranta minuti. Buon appetito !
CASSATELLE
DI AGIRA
Pasta per cassatelle:Ingredienti:• Kg.
3 Farina tipo “00” • Kg. 0,7 Zucchero• Kg. 1,3 Sugna• 4 uova (se
sono piccole usarne 5) •, acqua.
Procedimento:Mescolare
a mano farina e sugna in modo da sciogliere la sugna, aggiungere le uova
sbattute e lo zucchero, amalgamare l’impasto e aggiungere lentamente
dell’acqua in modo da dare alla pasta una consistenza tale da permettere
di essere stirata con il mattarello.Far riposare la pasta per circa 10 ore
prima di lavorarla.Lavorare la pasta in modo da realizzare dei bastoncini
di un diametro tale che possano stare in una mano (non usare tanta forza).
Ripieno:Ingredienti:•
Kg 1,25 di mandorle sgusciate e tostate • Kg 1,1 Zucchero• g. 90 Cacao
amaro• g. 140 Cacao dolce• litri1,5 acqua• buccia di 3 limoni.•
Farina di ceci o di grano duro.Procedimento:Tritare le mandorle tostate
assieme alle bucce di limone.
Ripetere l’operazione di tritatura almeno
tre volte in modo da raffinare il tritato.Mettere in pentola l’acqua con
lo zucchero e le mandorle tritate, a fuoco lento portare all’ebollizione
e mescolare in modo da rendere l’impasto omogeneo.
Una
volta raggiunta l’ebollizione aggiungere il cacao e mescolare
continuamente in modo da amalgamare bene l’impasto ed evitare che si
attacchi al fondo della
pentola.Sempre a fuoco breve aggiungere la farina
lentamente (in modo da evitare grumi) quella che prende per ottenere la
giusta consistenza (di solito non più di 300 g.).Far cuocere il tutto per
circa 5-10 minuti mescolando continuamente.Al termine della cottura
riporre l’impasto in un contenitore preferibilmente di ceramica o di
smalto.Attendere che il riempimento si raffreddi prima di usarlo
lavorarlo. (per evitare che si indurisca in superficie mescolare di tanto
in tanto)
Staccare
un poco di pasta dai bastoncini e realizzare delle palline che verranno
stirate con il matterello per formare foglia di pasta di forma circolare
(diametro 15 cm circa). (spargere l’area di lavoro con farina per
evitare che la pasta si attacchi attenzione a non sporcare di farina la
parte superiore della sfoglia perché altrimenti non sarà possibile
chiuderla).Mettere un cucchiaio di impasto al
centro della foglia
realizzata e richiudete a metà pressando con le dita sui bordi del
semicerchio in modo da richiudere per bene il ripieno (attenzione evitate
di sporcare i bordi con il ripieno o la farina per evitare che la
cassatella rimanga aperta)e tagliarecon la rotella o l’apposita formina
(realizzata artigianalmente ad Agira) in modo da formare la mezzaluna.Riporre
le cassatele su una teglia (tipicamente si usano le teglie di latta che
impediscono alle cassatele di attaccarsi, usare eventualmente la carta da
forno con le teglie tradizionali) e far cuocere in forno ad alta
temperatura (tipicamente viene usato il forno in pietra dove prima di
mettere le cassatele viene fatta ardere la buccia di mandorle) per pochi
minuti in modo da fare indurire la pasta esterna (occhio a evitare che si
brucino).Spolverare le cassatele con zucchero o zucchero a velo e cannella
in polvere, per far aderire meglio lo zucchero alla cassatella è
consigliabile spennellare le cassatella con un collante prima di
spolverarle.Il collante viene preparato facendo cuocere un poco d’acqua
con dello zucchero e deve essere tale da non essere assorbito.
Le
cassateddi o minne di Sant'Agata
come vengono chiamate nel palermitano, fanno riferimento alle mammelle
che furono strappate alla santa durante i martirii a cui venne
sottoposta per obbligarla ad abiurare la sua fede.
Un dolce dal nome anche inquietante se pensiamo (minna in siciliano
significa seno, mammella), che ci riporta in modo diretto. al martirio
dalla giovane Agata. La leggenda vuole comunque che i seni a Sant'Agata
ricrebbero, e allora per devozione, sono diventate cibo rituale e
propiziatorio per quel giorno.
Impudiche paste delle vergini le definisce Tomasi di Lampedusa ne “Il
gattopardo", i “minni chini” sono una golosa invenzione delle
suore del monastero di Montevergine di Palermo. Uno scrigno di pasta
frolla e ricotta sormontato da una rossa, voluttuosa ciliegina, che
ricorda la forma di un seno, in omaggio al martirio di Sant'Agata. “Come
mai il Santo Uffizio non pensò a proibire questi dolci? - si domanda il
principe di Salina ne “Il gattopardo” – le mammelle di Sant'Agata
vendute dai monasteri, divorate dai festaioli! Mah”.
Preparazione:
Sciogliere la sugna con la farina e lo zucchero, strofinandola tra le
palme delle mani e impastarla, aggiungendovi, latte, finché l’impasto
lo chiede. Far riposare qualche ora la palla ottenuta, stenderla col
mattarello e sulla sfoglia depositare a distanze regolari tanti
mucchietti di crema all’amitu arricchita da cubetti di zuccata e
cioccolato a pezzettini. Chiudere con una sfoglia più grande, avendo l’avvertenza
di spennellare albume battuto intorno ai mucchietti di crema, affinché
possano appiccicarsi meglio i bordi delle due sfoglie, ora ritagliati
dalla forma di latta rotonda e frastagliata. Passare l’albume montato
a neve su ogni singola pasta e infornare. A cottura ultimata a forno
moderato spolverare con zucchero a velo.
LE DOLCI MINNE
Ingredienti per 8 persone: 500 gr di farina-150
gr di strutto(adesso ahimè margarina)-150 gr zucchero semolato-1 albume- 1
uovo-50 di zuccata a dadini-500gr di crema di latte-50 gr di cioccolato fondente
a scaglie-250 zuccchero a velo- un cucchiaio di succo di limone-latte- ciliegine
candite.
Lavorare la farina con lo zucchero,lo strutto,l'uovo- il latte necessario per
avere un composto consistente ed omogeneo.Mettere impasto chiuso con pellicola
alimentare trasparente da cucina. in frigo per un'oretta circa, tolta dal frigo
stendere in foglia sottile,e con un
bicchiere ricavarne dei dischetti,mettere i
dischetti in stampini a coppetta, e riempite con la crema di latte ammalgamata
con il cioccolato e la zuccata, ricoprire con altri dischetti e sigillare i
bordi molto bene.
Capovolgete i dolcetti, su placca da forno,rivestita da carta
da forno, spennellate i dolcetti con albume ben sbattuto ed infornare per 20
minuti a forno a 200 gradi.Sciogliere lo zucchero a velo con 4 cucchiai di
zucchero a velo. 4 cucchiai di latte,il succo di limone-mettere colorante
alimentare verde, oppure come una volta il succo di spinaci crudi e strizzati
molto bene.
L'antica ricetta prevedeva un naspro di glassa ai pistacchi, con
questo composto ricoprire i dolcetti freddi decorare con ciligiettina e fare
riposare mezza giornata prima di servire.
*Crema di latte per 8 persone:10 dl di latte-150 grammi scarsi di amido per
dolci-1 limone non trattato-150 gr di zucchero semolato-Scaldare il latte
unitamente allo zucchero, la scorza di limone grattuggiata, filtrare ed
incorporare sbattendo bene con una frusta l'amido.Rimettere al fuoco bassissimo
e lasciare addensare.
W Sant'Ajta! Marcella Candido Chiachetti
CLICCA SOPRA E APPROFONDISCI SUI DOLCI
AGATINI
Le
olivuzze di S. Agata si riferiscono
alla leggenda di Agata, che inseguita dagli uomini di Quinziano e giunta
ormai nei pressi del palazzo pretorio, si fosse fermata a riposare un
istante. Nello stesso momento in cui ella si fermò, si dice per
allacciarsi un calzare, un ulivo comparve dal nulla e la giovinetta
potè ripararsi e anche cibarsi dei suoi frutti.
Ancora oggi, per rinnovare il ricordo di quell'evento prodigioso, è
consuetudine coltivare un albero di ulivo in un'aiuola vicino ai luoghi
del martirio, e consumare durante i giorni di festa questi dolci tipici
di pasta reale.
|
La leggenda vuole che questo dolce nasca durante la
persequizione subita da Agata.Siamo sotto l'imperatore Diocleziano ed
Agata dal greco Agathè=buona ,è perseguitata dal proconsole
Quinziano è più volte marterizzata,Agata mentre veniva ricercata dai
soldati di Quinziano,mentre china ad allacciarsi i calzari le sorse
davanti una pianta di olivastro(olivo selvatico) celandola cosi alla
vista dei soldati,e l'olivo la nutri con i suoi frutti.,ecco anche
perchè la santa nel martiriologico è rapprsentata di verde vestita,
ed è il verde delle foglie d'ulivo giovani
.Sant'Agata è la patrona di Catania,la festa della patrona,
dichiarata dall'Unesco bene antropologico dell'umanità inizia il 21
gennaio per proseguire il 3,4,il 5 il culmine della festa, di
febbraio.
Ingredienti per 6 persone:
500gr di pasta di mandorle-2/3 cucchiai di rosolio oppure di rum-il
succo di spinaci crudi per dare il colore verde,oggi è sostituito da
un colorante alimentare verde.
Pasta di mandorle per 6 persone:500 gr di mandorle dolci di Avola
spellate-500gr di zucchero a velo 1 dl d'acqua-6 gocce d'essenza di
mandorle amare-6 gocce d'essenza di cannella-1 busta di
vanillina.Triturate nel mixer le mandorle,mescolate lo zucchero con
l'acqua in un tegame,scaldare a fuoco dolce,mescolando con un mestolo
di legno, fino a quando lo zucchero comincerà a filare.
Spegnete il
fuoco ed incorporate la vanillina e le gocce d'essenze e alla fine la
farina di mandorle rimestando energicamente unendo il liquore
stemperato con qualche goccia di colorante.Stendere l'impasto in uno
strato abbastanza spesso.Staccate delle palline e dare loro la forma
di olive.Disporre in un vassoio e lasciarle asciugare per 24 ore.,
guarnire ogni olivetta con una foglia d'olivo.Questa è la ricetta
Catanese , ma al di fuori del territorio ci sono 2 varianti:1 invece
della pasta di mandorle, si fà la pasta di pistacchio di Bronte*, la
2, le olive vengono intinte parzialmente in cioccolato fondente fuso.
Marcella Candido Chianchetti
|
Le
origini
Non abbiamo dati certi sulle origini del torrone. Diverse e contrastanti
sono le versioni in circolazione della propria storia, ed alcune di esse
sfumano nella leggenda o semplicemente nel racconto. E’ certo,
comunque (a parte le speculazioni di alcuni, che legano la storia del
torrone alla Cina ), che il torrone appartiene, come prodotto, al bacino
del mediterraneo. Lo testimoniano gli ingredienti che compongono l’impasto
base, come le mandorle o il miele, tipicamente di provenienza
mediorientale.
Questo
dolce, così popolare nelle festività natalizie e consumato oggi nelle
sue tante varianti, è secondo alcuni un prodotto di origine araba.
Corrisponderebbe, infatti, ad una variante di un dolce arabo, conosciuto
come “cubbaita”. Il termine “turron” è invece di origine
spagnola: un dolce chiamato “turun” è citato in uno scritto di un
medico spagnolo del 12° secolo. Una tradizione alternativa lega invece
il torrone al “Cuppedo”, un dolce già conosciuto dagli antichi
romani, e di cui oggi si conserva memoria (e ricetta) in diverse zone
del meridione.
In
Italia circola ancora una versione differente della storia del torrone.
In quella che è riconosciuta da alcuni come sua patria storica, ovvero
Cremona, si racconta di un banchetto nuziale tenutosi nel 1441, durante
il quale fu presentato un dolce a forma di Torrazzo, la torre del duomo
di Cremona. Non si trattava di un banchetto qualunque, ma del banchetto
di Francesco Sforza e BiancaMaria Visconti, la figlia del duca di
Milano, che convolavano a nozze. Dal nome della torre sarebbe dunque
scaturito il termine “torrone”.
Sta
di fatto, comunque, che il dolce riscosse in breve successo tra i
Cremonesi, divenendo uno dei doni prediletti utilizzati negli scambi
commerciali, fino ad entrare nelle grazie di alcuni esponenti dello
Stato Pontificio o della famiglia dei Borbone, e raggiungere l’attuale
ed indiscussa popolarità nel vasto panorama dei dolci nostrani.
Com’è
fatto
Che aspetto ha il torrone? Quali ingredienti? In quali circostanze è
più consumato? Domande del genere potrebbero suscitare l’ilarità di
un connazionale, per il quale il torrone è un dolce ampiamente
conosciuto e soprattutto diffuso. Una piccola parentesi sulle
caratteristiche di questo gustoso prodotto ci aiuterà però a
conoscerne, almeno in parte, i segreti e le peculiarità.
Il
torrone ha solitamente la forma di una tavoletta, dunque con gli angoli
appuntiti. Al tatto si presenta appiccicoso, per via del miele, uno
degli ingredienti principali dell’impasto.E’ in questa forma che si
è diffuso, ed in questa forma abbiamo imparato a conoscerlo. Prima di
presentarne alcune varianti, proponiamo una rapida panoramica sugli
ingredienti.
Il
torrone “classico”, e prendiamo come riferimento quello di Cremona,
può essere di due tipi: morbido e duro. Questo fattore è legato alla
pasta del torrone, solitamente composta da nocciole o mandorle. Altri
ingredienti, in differenti dosi, sono le uova ed il già citato miele,
zucchero, sciroppo di glucosio ed ostie per la superficie. In alcune
varianti si usa arricchire il torrone con spezie, aromi, canditi
(arancio, pistacchio, limone) o cacao, ed in tale direzione esistono
decine di ricette.
La
preparazione del torrone è piuttosto complessa, e richiede dei dosaggi
accurati. La quantità di mandorle o nocciole utilizzate determinerà la
durezza dell’impasto, che richiede di essere mescolato
ininterrottamente per tutto il tempo di cottura.
Oggi
in commercio si ritrovano decine di varietà di torroni. Oltre a quelli
classici, incontriamo torroni ricoperti di cioccolato, torroni speziati
ed aromatizzati. Inoltre, i torroni sono commercializzati anche in forme
e packaging differenti, come mini-torroni o torroncini, o in confezioni
più laboriose e curate.
In
Italia esistono diversi centri di produzione del torrone. Oltre alla
già citata Cremona, il torrone è prodotto caratteristico della
Sardegna, e di comuni come Benevento, L’Aquila, Camerino, Colgona
Veneta, Bagnara Calabra, Tonara.
|
Le crespelle di riso,
“crispesddi” in siciliano, sono delle frittelle che
assumono questo nome, ed anche quello di zeppole, per via della superficie
increspata che a fine frittura assumono queste semplici leccornie siciliane.
Possiamo affermare che in ogni luogo della Sicilia esiste una variante ed ognuna
rispecchia le diverse tradizioni di ogni territorio. Le più conosciute, molto
simili fra di loro, sono quelle catanesi e siracusane. Altrettanto note sono
quelle messinesi, che differiscono dalle precedenti per la presenza delle uova
nell’impasto.
In tutte le zone della Sicilia esistono altre preparazioni che prendono lo
stesso nome, ma sono del tutto diverse da quelle di riso. Precisamente non sono
dolci e sono costituite da un morbido involucro e farcite, più spesso. con
ricotta o acciughe. Sono i crispeddi c’anciova e cà ricotta facilmente
reperibili nelle rosticcerie popolari, dove l’avventore subisce il fascino
(difficilmente riproducibile in casa) della stimolante fragranza di questi
prodotti che sono parte integrante delle tradizioni culinarie siciliane.
Ingredienti
300 grammi di riso - 1 litro di latte - 20 grammi lievito di birra - 60 grammi
di zucchero semolato - 150 grammi di farina per dolci - Un cucchiaino da caffè
di cannella in polvere - La buccia grattugiata di un’arancia e un limone - Un
cucchiaino da caffè di sale fino - Olio di semi di arachide per friggere - 200
grammi miele di zagara - Zucchero a velo q.b.
Procedimento
Far cuocere il riso con il latte a fiamma dolce, aggiustando con il sale, fin
quando il latte risulterà completamente assorbito. Continuare la cottura,
aggiungendo se necessario acqua calda poco per volta. A fine cottura il risò
dovrà essere una specie di risotto quasi scotto.
Togliere dal fuoco e, dopo averlo fatto raffreddare per circa cinque minuti,
unire la farina, lo zucchero, la cannella, la buccia grattugiata dell’arancia e
del limone ed il lievito diluito in acqua moderatamente calda. Amalgamare il
tutto in modo che gli ingredienti sia ben assorbiti; quindi ricoprire con
pellicola da cucina e mettere il composto a riposare in luogo tiepido per circa
due ore.
Una volta che il riso sarà lievitato stenderlo su un tagliere, spolverato con
farina, ad uno spessore di circa 2-3 cm. Con un coltello infarinato staccare dei
bastoncini e (aiutandovi sempre col coltello o con le mani infarinati) dargli la
forma di un cilindretto. A questo punto fare scivolare le crocchette ottenute
nell’olio bollente. Non appena saranno ben dorate sgocciolarle e depositarle su
carta assorbente da cucina. A questo punto trasferirle su di un piatto da
portata.
http://www.ricettedisicilia.net/it/dolci/crespelle-di-riso-catanesi-al-miele/
|