La granita è una sopraffina golosità solo Siciliana e in particolare Catanese, che da sempre in molti cercano di imitare e che non ha nulla a che vedere con quella di "mia matre" degli spot televisivi. Quella è solo granatina con un po' di sciroppo.

La storia della granita trova la sua genesi sin da quando gli antichi Greci e Romani si dilettavano nel preparare le prime rudimentali versioni di questa squisita "bevanda gelata". Diverse varianti esistevano ma fondamentalmente erano versioni a base di neve, succhi di frutta e ghiaccio che non erano altro che quei pochi ingredienti presenti a quell'epoca utili per poter realizzare in quei tempi andati delle granite "ante litteram".

 Questa ipotesi storica trova addirittura una prova reale grazie agli scavi effettuati presso i Pompei, nelle cui taverne erano presenti dei banconi chiamati allora "Thermopolia" in cui i "baristi" di allora mantenevano fredde , mediante l'impiego di ghiaccio, delle "misture a base di neve e succhi di frutta", le future granite.

La storia racconta anche che addirittura il famoso condottiero Alessandro Magno era un golosone di un composto a base di neve, miele, spezie e frutta fresca. E' però quasi sicuro che il merito della svolta nella preparazione della attuale granita spettò agli Arabi, i quali ebbero il merito e la capacità di introdurre in tutta la Sicilia la coltura del limone e della canna da zucchero. 

Ed è proprio dalla Sicilia che, nella seconda metà del Seicento, un giovane palermitano Francesco Procopio dei Coltelli che con il sogno di conquistare Parigi, esportò in Francia la celeberrima granita. Il suo sogno di estasiare il palato dei Francesi riuscì in pieno ed il suo celebre Caffe parigino detto "Le Procope" ebbe un sorprendente successo da quando cominciò a servire le cosiddette "acque gelate" siciliane  cioè le granite aromatizzate sia ai fiori che alla frutta al punto che il re Luigi XIV in persona concedette al giovane palermitano l'esclusivissima "patente reale" in pratica una sorta di copyright per la produzione esclusiva di questi pregiati dolci gelati. I sapori tradizionali della granita non variano nel tempo: limone, mandorla, gelsi e poi caffè ma anche fiori di gelsomino.

 Sono questi i sapori più tradizionali delle granite ai quali si affiancano alcuni davvero irresistibili gusti alla frutta "doc" rigorosamente siciliana che però è possbile rinvenire solo nelle zone in cui la suddetta frutta viene prodotta. E' quindi doveroso ricordare le aromaticissime fragoline di Ribera o il succosissimo limone Interdonato con un retrogusto di cedro o il mandarino tardivo dolce di Ciaculli o la profumata pesca tabacchiera di Bronte sull'Etna o i gustosissimi meloni d'inverno che possono essere trovati nella Sicilia Occidentale o verdissimi pistacchi di Bronte.

E' davvero molto improbabile trovare gusti "alternativi" a quelli tradizionali anche perché quando ad un siciliano vengono proposti gusti nuovi o alternativi, lui storce il naso!...il siciliano però non gusterà mai la granita così…cioè "schitta" ma sicuramente accompagnerà la degustazione di essa con una caldissima briosce morbidissima e appena prodotta. Briosce che deve rigorosamente essere completa di "cappuccio" superiore…senno non è quella doc!

A Catania, in pratica in tutti i bar è possibile gustare granita e briosce sia come colazione mattutina che come pranzo gustoso e completo…. Ma anche in tutta la provincia catanese troverete tantissimi posti in cui gustare splendide granite.

 

Le Origini della Granita Siciliana

 

Il rito della granita è, tutt’oggi, vissuto dai siciliani come un momento di comunione e di relazioni sociali, una tradizione del gusto che affonda le sue radici nella dominazione araba, poi evolutasi, soprattutto nel versante orientale dell’Isola, in un raffinato e inimitabile prodotto dolciario che acquista, via via che si percorre la costa e nelle diverse province, determinate variazioni aromatiche.

Fin dal Medioevo, in Sicilia esisteva la professione dei “nivaroli”, cioè quegli uomini che d’inverno si occupavano di raccogliere la neve sull’Etna, sui monti Peloritani, Iblei o Nebrodi, e tutto l’anno, si occupavano di conservare la neve nelle “neviere”, preservandola dal calore estivo, per poi, come nel caso dei “nivaroli dell’Etna”, trasportarla sino in riva al mare nei mesi di maggiore arsura.

La neve da “muntagna”, dalle “nivere” dell’Etna, arrivava [...] in piena estate, ottima  per confezionare le granite, si vendeva “na vanedda a nivi”, oggi via  Lancaster.  La neve d’inverno veniva posta in grossi fossi appositamente scavati nel terreno e ricoperta di cenere vulcanica o dentro grotte vulcaniche, d’estate veniva ripresa e confezionata in “balle”, ricoperta di felci e paglia e trasportata a valle con carretti o muli in sacchi di juta (1).

Ancora oggi, su alcuni monti, si possono trovare le buche usate per la conservazione del ghiaccio, rifinite con mattoncini o pietra.

Tra i nobili delle famiglie patrizie, con l’avvento delle calde temperature estive, era consuetudine comprare la neve dell’Etna raccolta d’inverno dal “nevarolu”, e farla conservare in apposite “case neviere” in vista della stagione estiva.

Queste neviere private, ad uso domestico, erano ubicate in anfratti naturali e in luoghi particolarmente freschi, per riparare la neve dal caldo e conservarla più a lungo.

La neve veniva grattata e utilizzata nella preparazione di sorbetti e gelati da degustare nei momenti di calura, versandovi sopra spremute di limone o sciroppi di frutta o di fiori.

La granita veniva preparata in diversi gusti, con il caffè e con i limoni, gelsi e mandorle della nostra zona. Infatti nel nostro territorio acese oltre alla coltivazione dei limoni e dei gelsi, sulla “timpa Falconiera” di S.Tecla (Acireale) esistevano nell’800 vasti mandorleti (2).

Questa preparazione (che sopravvive ancora nella preparazione della “grattachecca” romana), era diffusa ancora fino al primo Novecento con il nome di “rattata” (grattata).

Durante il XVI secolo, si apportò un notevole miglioramento alla ricetta dello “sherbet”, scoprendo di poter usare la neve, mista a sale marino, come espediente per refrigerare. La neve raccolta passò così da ingrediente a refrigerante.

Nacque il “pozzetto”, un tino di legno con all’interno un secchiello di zinco, che poteva essere girato con una manovella.

L’intercapedine veniva riempita con la miscela di sale e neve chiusa da un sacco di juta arrotolato e pressato.

La miscela congelava il contenuto del pozzetto per sottrazione di calore, e il movimento rotatorio di alcune palette all’interno impediva la formazione di cristalli di ghiaccio troppo grossi.

La preparazione della granita siciliana è unica e  riesce a dare una consistenza “a fiocchi” al prodotto finito.

Impalpabile al palato essendo a base di acqua, zucchero e frutta, la granita così preparata ha soppiantato nei secoli la “rattata”.

Nel corso del XX secolo, nella formula moderna della “Tradizionale Granita Siciliana” mentre la neve è stata sostituita con l’acqua ed il miele con lo zucchero, il pozzetto manuale raffreddato da ghiaccio (o neve) e sale, grazie alla tecnologia del freddo (mantecatore), è stato sostituito dalla gelatiera, consentendo di produrre quell’inconfondibile impasto cremoso, privo di aria e ricco di sapore che, grazie alle sue peculiari caratteristiche, è conosciuto e vantato nel mondo con il nome di “Granita Siciliana”.

Note(1-2-3)  di Antonino Cucuccio – AAG Accompagnatore Alpinismo Giovanile Sezione Acireale del Club Alpino Italiano.

 http://www.anivarata.it/le-origini-della-granita/

 

 

 

Le varianti

Per il gusto delle granite non c'è che da scegliere. Limone e caffè sono classici da prima colazione accompagnati dalle brioche che fanno storcere la bocca ai cultori delle diete. In questo caso, la brioche può essere sostituita da un meno calorico panino. Mandorla bianca o tostata e granita di fragola sono per piaceri sopraffini.

La granita di cioccolata è per i golosi, quella di gelsi (ma non tutti la fanno) è dei buongustai. Ma attenzione: devono essere rigorosamente gelsi neri, perché quelli bianchi, per quanto dolci, non mantengono sufficiente sapore.

Anche negli abbinamenti le scelte sono piuttosto rigide: si a caffè, cioccolata, gelso, fragola e panna. Ma come si fa a inzuppare, come fanno alcuni turisti stranieri, la brioche nella panna che sovrasta il gusto del limone? Provate, allora, ad un diversivo: granita di limone più una spruzzatina di aperol. Si chiama "Antiruggine".

 

Il rito della granita

 In estate, da vari decenni, ad Acitrezza si ripete il rito della granita.

Dalle prime ore della mattinata fino a mezzogiorno inoltrato coppie e gruppi di giovani, ai tavoli all'aperto che occupano gran parte della piazza principale del paese, danno vita all'usanza di deliziarsi a gustare la tradizionale "granita e brioche".

La "ordinazione" è sempre la stessa, con le "varianti" però del "gusto" particolare della granita.

Fino a circa cinquant'anni addietro la scelta era limitata tra le granite al limone e quelle, più delicate, alla mandorla, alle quali si aggiunsero presto quelle al cioccolato, che permettevano l'aggiunta della panna.

Poi, la fantasia dei gelatai siciliani introdusse con audace efficacia altri "gusti" che dapprima si limitarono all'ambito della frutta locale di stagione (arance, pesche, albicocche) e poi spalancarono la porta anche alla frutta esotica (dall'ananas alla papaia, dal mango al kiwi) finendo anche con l'insaporire la vetusta granita mediante ingredienti imprevedibili quali le more, i fichidindia e, persino, i gelsomini.

 

foto di Antonella Pesce

 

foto Pasticceria Spinella

 

Intere generazioni di "trizzoti" e catanesi hanno contribuito in massa a mantenere viva l'antica tradizione, spesso pronuba di relazioni effimere o durature.Ai tavolini della piazza la sensazione è quella di partecipare ad un rito collettivo.

A colazione o per dessert. Granita, passione siciliana

Un famoso slogan pubblicitario mette a confronto i primati italiani "condivisi" con altre nazioni. In Sicilia ce n'è uno tutto nostro, del quale gli altri non osano mettere mai in discussione l'origine.

No, ma cosa avete pensato? Stiamo parlando di un piacere, della frescura estiva con cui salvaguardiamo il palato mettendolo a riparo dal caldo afoso di quest'isola. Signore e signori, la vera regina dell'estate, colei che resiste a tutte le mode, insomma la granita.

Certo, come appartenente ad una famiglia reale - quella del buon gusto e dei piaceri della gola - ogni città ne rivendica la provenienza, i vagiti, i primi passi, l'imprimatur, l'inevitabile successo. Ragusaonline propone ai suoi visitatori una versione iblea della granita, o meglio una storia modicana, come tante squisitezze zuccherine che fanno di Modica la capitale siciliana di dolci e affini.

La granita nasce attraverso esperimenti antichi. La neve, ad esempio, che veniva conservata sotto il pagliericcio e su cui veniva spruzzata una dose di sciroppo. Le prime macchine rudimentali per produrre granite in una certa quantità si trovano al "Caffè Orientale" del cav. Civello. Una tinozza viene fatta girare a mano dentro un pozzetto. Tra tinozza e pozzetto si forma il ghiaccio che viene "tenuto" col sale grosso ( 2 parti di sale e 1 di ghiaccio). Era il tempo del monsù, figura caratteristica, colui che caricava la tinozza sulle spalle per portarla direttamente nei luoghi dove veniva consumata, per lo più feste nobiliari.

Anche la "mezza", termine con cui viene ancora adesso indicata la granita ha un sua spiegazione. Secondo Ignazio Iacono, che dell'Orientale fu garzone, oggi titolare del "Caffè dell'Arte", vero e proprio tempio dell'arte delle granite a Modica, la "mezza"era equivalente a mezzo limone, ovvero alla quantità dell'agrume che bastava per condire il ghiaccio di una granita. Il termine, una volta coniato, servì ad indicare anche la quantità delle granite di altro gusto.

Og gi, nelle moderne macchine dette mandecatrici, tinozza e pozzetto sono un tutt'uno e funzionano automaticamente, anche per ottenere le cremolate. Tuttavia, la mano dell'uomo, anzi del pasticciere, si fa notare, eccome. Quante volte ci siamo ritrovati a masticare una granita troppo ghiacciata? Forse è dipeso dalla quantità di zucchero utilizzato o dalla scarsa mescolanza una volta inserita nel bancone da bar: è l'effetto dei grassi che, se non mescolati di frequente, tendono progressivamente a raggrupparsi al centro del contenitore, facendo indurire la parte più all'esterno.

 

 

 

 

 

 

 

 

SALINA - DA ALFREDO - Loc. Lingua - p.zza Marina Garibaldi - tel.0909843075

La granita di Alfredo è famosa in tutta Italia, e non c’è turista che metta piede a Salina che non consideri questo locale una tappa obbligata. Questa notorietà è del tutto meritata, per la varietà dei gusti, più di una decina in media, e per la bontà e qualità del prodotto.

Adesso che Alfredo si gode il meritato riposo, dopo più di mezzo secolo di attività, continuano la tradizione di famiglia i figli che utilizzano le ricette del padre. Il segreto delle loro granite: qualità della materia prima usata, frutta fresca, lavorazione con una vecchia carpigiani a pala verticale, tenuta in funzione con molta cura, considerato che ha più di cinquanta anni. La granita ottenuta ha una grana molto fine, come si usa nel messinese, con una consistenza che si può definire quasi cremosa, ottenuta evitando la formazione di cristalli di ghiaccio troppo grossi. Tanti i gusti disponibili: anguria, melone, fragola, arancia, gelsi, pistacchi, limone pesca, cachi, cioccolato, caffè, mandorle, fichi, nocciola, questi ultimi da provare con la panna.

 

 

S. STEFANO BRIGA (ME) - BAR GELATERIA DE STEFANO - Piazza S.Giovanni - Tel.090630275

Tradizione familiare e passione sono alla base della produzione di questo bar. Per quanto riguarda le granite il segreto è l’uso di materie prime di qualità, possibilmente locali, e la lavorazione con la vecchia macchina per gelati a pala verticale, che consente di ottenere delle granite con consistenza cremosa e una grana molto fine, quasi un sorbetto. I gusti delle granite sono quattro e in estate se ne aggiungono altri due. I gusti classici sono limone dalla fragranza straordinaria - fatto con i limoni raccolti giornalmente dal proprio giardino - fragole – quando è il periodo vengono usate quelle di Maletto sull’Etna – caffè. A queste si aggiungono in estate quelle ai gelsi neri.

 

TAORMINA - GELATOMANIA - Corso Umberto, 7 - Tel.0942 23900

La ricetta segreta delle granite di questa gelateria di Taormina: passione, competenza tecnica, qualità e freschezza della materia prima.Dodici gusti circa, tra i quali ricordiamo limone, fragola, caffè, banana – molto particolare, specie se abbinato al gusto cioccolato – nutella, nocciola, pistacchio, cioccolato bianco,  cocco, kiwi, lamponi, misto agrumi, passion fruit – da un produttore locale che ha la coltivazione di alcuni tipi di frutta esotica sull’Etna – ananas, mango. La lavorazione della granita al caffè, che è preparato con la napoletana, è più laboriosa e lunga.Le granite sono lavorate con la vecchia macchina a pala verticale, presentano quindi una grana più fine e sono meno dense.

 

MILITELLO IN VAL DI CATANIA - BAR PASTICCERIA COSTANTINO -  Via Duca degli Abbruzzi - Tel.095655477

Anche in questo bar tradizione familiare, passione e competenza conferiscono alle granite quel “qualcosa in più” che fa la differenza. Una decina i gusti che si alternano secondo la stagionalità della frutta. Ricordiamo limone, caffè, pistacchio, mandorla, cioccolato, pesche, gelsi, anguria, fragole e fichi. Alta la percentuale di frutta fresca.

 

NOTO - CAFFE’ SICILIA - Corso V. Emanuele, 124 - Tel.0931835013

Del “laboratorio” di Corrado Assenza che dire, se non che le parole possono esprimere solo in parte le emozioni suscitate dall’assaggio delle sue creazioni. Passione, grande competenza, rigore nella scelta della materia prima, possibilmente del luogo, sperimentazione continua, sono gli elementi che  costituiscono  il segreto dei prodotti di questo locale. Qui, anche gustare una granita, si può trasformare in una esperienza sensoriale particolare. Tra i diversi gusti segnaliamo quelle all’arancia rossa, al limone, ma soprattutto quella alla mandorla di Noto, da accompagnare con le favolose e fragranti brioche.

 

MODICA - ROSY BAR - Via Risorgimento, 4 - Tel.0932906649

Sono quindici i gusti proposti tra granite e cremolate da Giovanni Pinelli. Qui la passione non conosce confini, come il rigore nella preparazione e nella scelta delle materie prime, stagionali e possibilmente del luogo. Le granite, limone, caffè, fragole, gelsi, melone, pere, pesche – di una varietà locale ormai quasi scomparsa – mandorle, pistacchio, cioccolato, ricotta, la cremolata di fichi e noci, solo per citare alcuni gusti, sono proposte anche in modo diverso dal solito. Infatti, la granita di ricotta – montata a freddo per conservare le caratteristiche organolettiche – viene proposta con granella di pistacchi, scaglie di cioccolato, scorza di cannolo e spumone di caffè. Quella al cantalupo diventa invece un fresco e particolare antipasto, servita con una fetta di prosciutto crudo avvolta su un grissino.

 

TRAPANI - PASTICCERIA COLICCHIA - Via delle Arti, 6/8 - Tel. 0923547612

In questo locale, aperto dal 1885, fare la granita è una vera e propria arte e non c’è spazio per l’improvvisazione. D’altra parte siamo alla terza generazione di una famiglia che ha sempre fatto granite, ed il cavaliere Franco Colicchia, un signore ottantenne nel pieno delle forze, sovrintende ancora a tutta la produzione. Una ventina le granite proposte, la maggior parte alla frutta di stagione. Ricordiamo i gusti al limone, fragole, gelsi, anguria, mandorle, pistacchio, caffè e quello al gelsomino, una vera e propria chicca che non fa più quasi nessuno, perché la preparazione è lunga e laboriosa. Racconta infatti il cavaliere Colicchia che i fiori di gelsomino, che lui fa raccogliere nella propria campagna, dove coltiva anche i limoni, devono essere raccolti solo in una particolare ora del giorno, al tramonto quando i fiori sono tutti aperti. Si mettono, quindi, in infusione per tutta la notte in acqua di sorgente in un recipiente che viene chiuso ermeticamente. Trascorsa la notte, il liquido ottenuto si filtra e si zucchera per procedere quindi alla mantecazione nella vecchia macchina a pala verticale, per poi trasferire il composto, già freddo, nelle “carapine”, ovvero i pozzetti in acciaio.

 

 

 

PANTELLERIA - CAFFE’ AURORA - Via Borgo Italia, 36 - Tel.0923911098

Non c’è niente di meglio che fare colazione, appena sbarcati sul molo del porto di Pantelleria, con una granita al caffè o al limone per svegliarsi bene dopo una notte trascorsa sulla nave. Ancora meglio è gustare la granita all’anguria o ai gelsi neri al ritorno dal mare, ancora accaldati, nel dehors del locale sulla banchina del lungomare accarezzati dalla brezza marina . Sei i gusti proposti: caffè, limone, mandorle, gelsi, anguria, menta. Le granite sono preparate in maniera artigianale, tutta la lavorazione è manuale.

 

 

"APRIREI UN ALTRO LOCALE SOLTANTO CON FIORELLO"

LA GRANITA DA "OSCAR" DI SARETTO BAMBARA

Taormina (Messina) - Sorridono tutti, davanti a Saretto che a vuci di testa, a voce alta, spara a raffica i gusti delle granite prima in italiano, poi in inglese: «In estate arrivo a 23 tipi diversi», puntualizza con orgoglio. Sorridono e chiedono il bis perchè sotto il sole di Taormina, tra una vasca sul corso e una capatina al Teatro Antico l'estate diventa più gradevole. Da un quarto di secolo Saretto Bambara è il re delle granite, ma anche dei turisti che si concedono una colazione made in Sicily da Oscar.

Lei, Saretto, è come l'Istat: basta guardare chi arriva da lei per capire i flussi turistici in città.

«In questa fase della stagione c'è un boom di australiani ed è una sorpresa assoluta. A ruota le presenze di tedeschi, francesi, olandesi è nutrita, ma sono quasi vicini di casa. In fortissimo aumento giapponesi e cinesi».

Strutture ricettive piene zeppe.Risultati immagini per GRANITA BAMBAR TAORMINA

«Da quel che mi risulta sì: ma crocieristi, turisti che arrivano da tutta l'isola fanno tappa a Taormina. Sono sempre ottimista, spero che ci sia un'estate di lavoro».

Al Bambar non manca mai.

«Siamo in attività da 23 anni, la fatica è premiata dai sorrisi dei turisti».

Grazie ai social le scrivono da tutto il mondo.

«Chiedono, prima di approdare in Sicilia, i gusti delle granite. O quando se ne vanno guardano le foto e si dannano a vita».

In questo periodo quale gusto di granita è in cima alla hit?

«Gli stranieri scelgono quasi sempre la mandorla di Sicilia».

Sui monitor scorrono le immagini di tutte le star, ma proprio tutte, che in questi anni sono passati dalla città della cultura, del cinema e delle bellezze paesaggistiche.

«Ho circa 450 foto, le altre sono custodite in un paio di volumi insieme con le dediche».

I primi clienti famosi?

«I Pooh. Si fidarono ciecamente. Sono sempre tornati».

L'ultimo?

«Il "Gallo" Belotti. E anche gli Earth, Wind & Fire».

Ci sono entrati tutti, nel locale?

«No, li ho raggiunti io sul palco del teatro mentre provavano».

Fiorello non perde occasione, la cita ogni volta che va in tv.

«Siamo come parenti. Fiore mi ha aperto la strada, conosce tutti e ai suoi amici dice: andate da Saro a gustare la vera granita siciliana».https://www.mimmorapisarda.it/2024/granita1.jpg

Quante gliene combina Saruzzu?

«Abbiamo lo stesso nome (ride, ndr) improvvisiamo sempre. Ogni estate si concede una settimana e arriva a sorpresa anche alle 7 del mattino».

Prepara caffè, fa il banconista.

«Una volta fece pagare a una turista cinque euro proprio un caffè. La signora prima lo guardava sospettosa: ma lei somiglia... E lui: signora, me lo dicono tutti, ma non sono Fiorello. Alla cassa la cliente sgranò gli occhi dinanzi al conto. E Fiorello, senza perdere tempo: signora il caffè se glielo prepara Fiorello costa di più».

Dunque, Fiorello è fuori concorso. Ma chi ha suscitato più simpatia negli ultimi tempi?

«Cito d'istinto Alessandro Siani, Salvatore Esposito, Fabio De Luigi. Sono rimasti stregati dalla granita, hanno fatto un... cinema (detto in dialetto, ndr)»

Tra gli stranieri?

«Matt Dillon, di una simpatia assoluta, si è messo dietro il bancone ad aiutarmi. Antonio Banderas è stato divertente: "Questa granita è buonissima" esclamava continuamente».

Molti artisti sono diventati amici.

«Coi ragazzi del Volo ho stretto un rapporto unico. Con Giuliano dei Negramaro, siamo come fratelli. C'è affetto e ammirazione nei confronti di Giorgia che dopo i concerti a Taormina dal palco mi ringrazia, quando è lontana da qui mi scrive».

La star più elegante?

«Maria Grazia Cucinotta, orgoglio nostrale, della nostra terra. La prima volta venne al bar con un abito bellissimo. Tra gli uomini Robert Duvall e Michael Douglas hanno carisma».

Comincia il Festival del cinema, in arrivo altre celebrità. Chi vorrebbe deliziare?

«Nicole Kidman, magari...»

Il filone calcistico, a Taormina, va sempre di moda.

«Sono juventino, ho conosciuto Tardelli, Cabrini, Conte, Paolo Rossi, Del Piero, Zidane. Ho avuto l'onore di stringere un rapporto di vera amicizia con Tardelli e anche con Pato e col compianto Giacinto Facchetti».

Pure con grandi giornalisti.

«Cito su tutti Candido Cannavò e Luigi Necco, cantore di Maradona. Ho conservato una dedica che mi emoziona ogni volta che la leggo».

Che cosa scrisse?Risultati immagini per GRANITA BAMBAR TAORMINA

«Se Maradona avesse assaggiato le granite, forse avrebbe preso un altro vizio».

Lei è stato un piccolo Maradona, o un antesignano di Mascara.

«Non esageriamo. Giocavo nel Giarre di Guglielmino, fummo promossi in D grazie a un gol che segnai tirando da 40 metri. Fui aiutato dal vento».

Perchè ha smesso?

«Perchè volevo lavorare qui».

Nessuno le ha mai chiesto di aprire un altro Bambar altrove?

«Eccome: mi hanno fatto propose da Dubai, Roma, Milano».

E lei?

«No. La mia granita nasce a Taormina. Odio il franchising. Ma...»

Ma...

«Fiorello mi tenta sempre: apriamo un locale a Roma. Detto tra noi, lo farei subito».

https://www.lasicilia.it/gallery/messina/256802/taormina-la-granita-da-oscar-di-saretto-bambara-aprirei-un-altro-locale-solo-con-fiorello.html

 

 

 

Visto che i suddetti redattori hanno girato così poco o si sono affidati soltanto al "sentito dire" sul web, ho escluso Catania dalla loro classifica essendo un mondo a parte per la granita rispetto alle altre città siciliane, aggiungendo (secondo il parere di questo sito) i locali dove si gustano le migliori granite nella città dell'Etna.

 

consigliati anche:

 

 

 

 

 

La nostra granita di Mandorla Pizzuta d'Avola...

semplicemente UNICA nel suo genere.

 Le origini della granita vengono solitamente fatte risalire alla dominazione Araba in Sicilia. Gli Arabi portarono con sè la ricetta di una bevanda ghiacciata aromatizzata con succhi di frutta. In Sicilia, usavano la neve che d'inverno veniva raccolta sull'Etna, sui monti Peloritani, Iblei o Nebrodi e stivata durante l'anno nelle nivieri, apposite costruzioni in pietra erette sopra grotte naturali o artificiali. In estate veniva prelevato il ghiaccio formatosi per essere poi grattato e ricoperto di sciroppi di frutta. Questa preparazione, era diffusa ancora fino al primo Novecento con il nome di rattata (grattata)

 Realizziamo per voi la granita seguendo la più classica tradizione Siciliana: pochi ingredienti di altissima qualità, un sapore dolce ma non stucchevole e tantissima freschezza.

 

 

 

Per gli abitanti della città etnea il “fiorir di primavera” che tanti versi ispirati ha indotto nei cuori sensibili proprio non esiste. Si passa dall’inverno alla calda estate. Che poi fuori ci siano ancora 10 gradi e le tempeste di stagione poco importa. Non lo ammetteranno mai, per loro è già estate. Cioè tempo di granite. Ecco allora la nostra guida alle 10 migliori granite di Catania, provincia compresa.

Ce ne sono per tutti i gusti, di tutti i tipi.

 

1) BAR LA TIMPA – SANTA MARIA LA SCALA

Spremitura a mano. Chi è stato il primo a scoprire la granita della zia Tanina, insomma il bar della Timpa di Santa Maria la Scala? Su questo posto, su questa donna splendida, si dovrebbe scrivere un libro, e in fretta.

Un semplice bar che più anonimo non si potrebbe, in una microscopica frazione sotto la “timpa”, costone lavico dalla natura selvaggia, incantevole e silenziosa. Quando si parla di sostanza, di un posto dove l’apparenza non entra ma neanche di striscio, il bar La Timpa non lo batte nessuno. Proviamo a spiegare qualcosa di più.

Capelli grigi un po’ trasandati e legati alla buona, con l’immancabile fadale. Sempre affaccendata, con le mani che non si stancano mai di impastare la frutta delle granite. E ricominciare da capo.

Lei, in apparenza più anziana di quel che davvero è, potrebbe anche non darvi la granita, per lo meno non in tutti i gusti disponibili.

Alcuni li tiene nascosti dagli sguardi indiscreti coprendo i pozzetti del banco frigo con la carta stagnola.

“Doppioni sono!”, è la sbrigativa risposta per il malcapitato che ha la ventura di chiedere cosa si nasconde sotto. Il messaggio è scritto a chiare lettere. Non fare domande. Stop.

Ma attenzione, non è una macchietta. Chi pensa di deridere questa donna siciliana d’altri tempi, di grande intelligenza, dalla battuta salace e pronta, verrà fulminato all’istante.

Se invece, per qualche fortunata congiunzione astrale entrate nelle sue grazie, vi farà sentire coccolati, chiamandovi ‘gioia’, e concedervi le sue migliori specialità come farebbe la nonna che vi ha cresciuti.

Sedendo ai tavoli non chiedetevi chi vi servirà, potrebbe essere un vicino di casa, un abitante del luogo, un parente della numerosa famiglia, o un po’ uno e un po’ l’altro.

Solo bicchieri di carta, raramente di vetro, come se il sapore vero non avesse bisogno di materiali importanti. Quello piccolo, da caffè, dal costo di un euro, potrà pure bastarvi, colmo com’è.

Gusti: quelli che la sorte e la benevolenza della zia Tanina vorranno farvi scoprire. Strepitosi pesca, banana, arancia rossa, mandorla e lampone (che proviene da una coltivazione del marito “quannu non c’è troppu cauru”). Tutti preparati a mano senza nessun macchinario, neanche lo spremiagrumi per il limone.

La sera passando da Santa Maria La Scala, quando i pochi abitanti del borgo marinaro vanno a dormire, la troverete seduta davanti al tavolo del suo bar, con la granita appena consumata, a fissare il vuoto, mentre si sostiene il volto stanco con la mano, in una delle cartoline siciliane più affascinanti.

 

2) BAR MUSUMECI – RANDAZZO

Randazzo possiede tre doni: l’eleganza austera della città normanna, una sovrannaturale frescura estiva e la granita di Giovanna Musumeci.

Per equilibrio è superiore a qualunque altra in Sicilia. Equilibrio tra gli ingredienti, calcolato di giustezza in ogni gusto. Equilibrio ancora più millimetrico tra la freschezza originale della granita e quel pizzico di cremosità in più che conferisce la polpa della frutta. Un vero miracolo.

Giovanna Musumeci, figlia di Santo, maestro gelatiere presente nella classifica di Dissapore fin dalla prima edizione, conduce una ricerca personale sulla granita perfetta.

Laureata in economia e commercio, con la giusta dose di umiltà e una naturale affezione per i suoi luoghi, e per i prodotti locali, è instancabile. Un vulcano vero.

Gusterete la granita nella piccola piazza Santa Maria, davanti alla Basilica del XIII secolo di stile normanno-svevo.

Gusti consigliati: fragola, fatta con fragole e fragoline di bosco, dal colore vivo e sapore inequivocabile. La “mastrantonia” fatta solo nel mese di giugno con le omonime ciliegie di S.Alfio, piccolo paesino etneo, e la granita alle pesche.

Da  elogiare anche la granita al pistacchio, nemmeno quella della vicina Bronte, la granita della “Caffetteria Luca“, ritenuta tra le migliori, può reggere il confronto.

Infine la granita al limone: così, come non l’avete mai mangiata. Il gusto alterna l’aspro dell’agrume, la dolcezza e un superlativo tocco di amarognolo che proviene dall’infusione delle bucce dei limoni.

 

 

 

3) BAR ALECCI – GRAVINA DI CATANIA

La sveglia a colazione. Trovate il bar Alecci in una via trafficata di Gravina, piccolo paese un tempo terra di agrumi, ormai inglobato nella città etnea come un normale quartiere.

Il titolare, il signor Alecci, così come l’eterna Cinquecento posteggiata fuori, vi accolgono dalle prime ore del mattino con uno squillante saluto, assegnando titoli a caso (Avvocato! Dottoressa! Direttore! a seconda del momento o delle situazioni).

Nel primo pomeriggio invece, quando la situazione è più calma, il tono squillante si adatta diventando uno suadente ‘Buon pomeriggio signori‘.Affollato durante la stagione estiva a causa delle, va da sé, meravigliose granite, invade la via intera con il profumo delle briosce sempre calde. Inutile resistere.

Gusti consigliati: gelsi, pistacchio, mandorla e cioccolato.

 

 

 

 

4) ZZU ORAZIO E LA LAPA – ACI TREZZA

La granita nel cuore della notte. Una menzione a parte merita questa “lapa” che esiste da 60 anni, e che da 27 appartiene allo “Zzu Orazio”, sempre in giro per vendere le sue granite, in sosta durante la notte di fronte al mercato ittico di Acitrezza.

Nella piccola piazzola il silenzio notturno è interrotto dallo scarico del pesce e dalle grida dei venditori, un via vai di uomini che sollevano tonni e pesci spada dai dieci ai cinquanta chili, e le cassette colme di sarde o di masculine.

Ma siamo anche nella zona dove sosta la movida catanese. Per questo i clienti dello zzu Orazio si dividono in una bizzarra mescolanza: giovanotti impomatati che terminano con una granita la notte in discoteca, a volte un po’ ubriachi, e rudi uomini sporchi di sangue del pesce che hanno appena spezzettato in tranci.

La granita ha il sapore di quella che i siciliani, oggi quarantenni, gustavano da bambini. La granita delle “lape“, che giravano e girano ancora suonando il fischietto per annunciarsi, e riponendo le granite nei “panari” calati dai balconi.

I gusti migliori sono i gelsi e il limone, l’orario preferibile è alle 3:00 del mattino, quando al mercato arriva il pesce migliore e le briosce servite dallo Zu Orazio sono ancora calde.

 

 

 

 

5) CAFE SOLAIRE – ACITREZZA

Ancora Acitrezza nella nostra classifica, per una gelateria che ha conquistato il cuore di molti catanesi.

Esattamente di fronte l’isola Lachea, di cui si apprezza la vista piacevole, la gelateria Caffè Solaire è un locale piccolo e semplice.

Ottima la broscia con il tuppo, sfornata sempre calda.

Tra i gusti consigliati la granita ai fichi (ma solo ad agosto, nel periodo di raccolta del frutto), la granita al melone cantalupo, per chi ne ama il sapore dolce, e la granita al caffè.

 

 

6) GIARRE – CHIOSCO LITTLE ROBERT

A Giarre il livello medio delle granite è elevato. Nel posto migliore, un grande chiosco in legno nel quartiere “Funnacu Baruni” (il fondo agricolo del barone) alla fine della via principale, si fa una granita al limone verdello eccezionale.

Il limone verdello è un frutto molto dissetante raccolto da maggio a settembre nelle zone che vanno da Acireale a Fiumefreddo: Giarre sta nel mezzo.

La buccia è di colore verde chiaro, la polpa è meno succosa del normale e assai aspra.

Caratteristica che resta intatta nella granita per la presenza delle piccole scorzette che la colorano, e che grazie al retrogusto amarognolo ne bilanciano la dolcezza. Una granita che ricorda una rinfrescante limonata, e che viene fatta con la stessa ricetta da due generazioni.

Se ci andate portate delle banconote da cinque o dieci euro, il titolare non accetta altro. “A causa dei falsari” spiega, ma senza troppo astio: “anche loro devono lavorare”.

 

 

 

7) C&G – GRANITA AL CIOCCOLATO

Cioccolato, gelato, e pure granita.

A Catania l’apertura del locale, avvenuta qualche anno fa, ha rappresentato una piccola svolta. C&G ha portato in città una conoscenza maggiore e tutta la delizia del cioccolato.

Ambiente moderno, bianco e nero che dominano, marchio riconoscibile, scenografica presentazione della granita dal gusto deciso del cioccolato.

 

 

 

 

 

 

Cafè Mithos ad Acitrezza - la granita al lungomare coi faraglioni davanti. Tutto l'anno

 

 

 

 

 

 

8) SAVIA – CATANIA

Un classico che non tramonta. Al centro di Catania, tra via Etnea e via Umberto nel salotto buono della città Savia è un brulicare continuo di persone.

Una volta faceva la migliore granita di Catania. Un punto di riferimento. Oggi, detta ancora legge in centro, specie per la granita alla fragola, con qualche rimpianto dei catanesi a causa della chiusura per ferie a giugno/luglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

9) CAFE CIPRIANI – ACIREALE

Nelle gelaterie di Acireale potrebbero capitarvi gusti stravaganti per via della Nivarata, manifestazione che ogni anno premia la migliore granita “originale”. Consentiteci, saranno anche più o meno condivisibili, ma rischiano di snaturare l’essenza della granita, ovvero la semplicità.

L’elegante e rinomato Cafè Cipriani, di fronte alla bellissima chiesa di San Sebastiano, oltre ai classici gusti serve la granita “Regno delle due Sicilie”, un vero babà trasformato in granita.

Un’idea per golosi, con la sua bella consistenza, di certo né leggera né rinfrescante.

 

 

 

 

 

 

10) BAR KENNEDY – ACIREALE

In una zona di Acireale meno barocca e centrale di altre trovate il Bar Kennedy, attrezzato con una grande veranda e frequentato a ogni ora.

Lasciate perdere la granita “pan di stelle”, specialità del posto, e optate per i gusti freschi e naturali.

Da provare: granita al caffè, che nell’opinione dei gelatieri esperti resta tra le meno semplici da preparare, al pistacchio e ai gelsi

A pochi metri di distanza c’è la gelateria “Nevaroli Condorelli”, aperta dal figlio del proprietario dello storico bar acese.

Marchio a suo modo storico ma ambientazione moderna per l’amata granita, rivisitata anche nei gusti, non sempre riusciti.

Se proprio vogliamo segnalare un gusto originale, meglio allora la “mandorla araba” del bar San Domenico.

L’aggiunta alla mandorla dell’anice stellato rende la granita più fresca, la spolverata di cannella richiama un binomio sempre presente nella pasticceria siciliana.

 http://www.dissapore.com/locali/catania-le-migliori-granite/

[CREDIT – PH. ALFIO BONINA – ORAZIO ESPOSITO]

 

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MINNULATA SENZA TEMPO

C’è chi la chiama granita, chi gramolata, a Roma gratta checca, nel resto dello stivale granatina, ma noi catanesi per lei abbiamo un solo nome: minnulata.

Il suo apparire segnava la fine della scuola, per nove mesi, infatti, i miei risvegli mattutini erano bruschi e scanditi dalla voce di mia madre che disperata ripeteva: “Possibili ca ancora rommi? Spicciti s’annunca arrivi taddu a scola!”.

Con l’arrivo delle vacanze aprivo gli occhi al suono di una campanella accompagnata dalla voce di un uomo che magnificava il suo prodotto rinfrescante. Pensandoci bene credo che anche Lucio Battisti abbia attinto la sua vena poetica a questo quadretto, poiché: “Un carretto passava e quell’uomo gridava… ciccolatti e mandolla”. Saltavo dal letto, mi premunivo di bicchiere in una mano, mentre nell’altra tenevo stretto un pezzo di cinquanta lire, mi catapultavo in strada per arrivare prima degli altri ragazzini per ordinare trenta lire di minnulata, che tradotte in badduzzi (unità di misura da minnulata) ne venivano fuori due cioccolato e due mandorla, il resto mi serviva per prendere al volo ‘nto panificio ‘n ferru di cavaddu ca ciciulena.

 

U pisòlu della porta di mia nonna mi faceva da sgabello. Ero pronto per consumare avidamente la mia colazione. Non potete immaginare quante volte la sinovia dell’arcata sopraccigliare veniva interessata dall’immissione rapida di liquido avente una temperatura

notevolmente inferiore a quella corporea, in altre parole ‘mpazzeva do ruluri di gigghiu!.

Sono passati parecchi lustri dall’ultima pigghiata di minnulata, ma non è cambiato il rito della granita. Il pisòlo ha dato spazio ad una più comoda sedia, se non addirittura poltroncina, il bicchiere non è più quello “vastaso” della mia infanzia, ma una più elegante coppa (ci nni va però chiù picca!) le brioches hanno scalzato i più salutari e croccanti ferri di cavaddu. Anche come varietà si è spezzato il duopolio ciccolatti-mandolla, infatti se per disgrazia chiedi al cameriere: “che gusti ci sono?” può leggerti un elenco lungo non meno di due pagine uso bollo. Una cosa non è cambiata, quella forza aggregante che solo la granita può darti, consumarla con gli amici al bar significa discutere dei nuovi progetti, metterli al corrente di nuovi gossip (pi fari cuttigghiu!) o semplicemente cazzeggiare e dare il via alla bella stagione. Non c’è niente di meglio, ci fa tornare bambini e ci mette di buon umore. Su una cosa però non transigo: potrei trovarmi seduto al Bar, uddinassi sempri du badduzzi ciccolatti e dui mandolla. Se tradizione è, bisogna rispettarla.

Gino Astorina

 

foto di Fralaroc

 

Come mangiare la Granita siciliana

E' quello che si legge nei cartelli improvvisati delle gelaterie di mezza Italia da maggio a settembre. Vista l’inesistenza di granite marchigiane, toscane o altoatesine, non capisco per quale motivo si tenda a sottolineare l’origine isolana, considerando anche il fatto che nella maggior parte dei casi quella granita poco assomiglia all’originale. la granita giusta, una volta trovata, va anche consumata in maniera corretta Preso atto della confusione che aleggia tra produttori e consumatori, è arrivato il momento di fare chiarezza e spiegare una volta per tutte cosa significa granita e come approcciarla. Salteremo il capitolo delle origini, tema caro a molti ma già ampiamente dibattuto, e prenderemo in studio la zona geografica con la più alta concentrazione di granite ben fatte: Messina. Per raccontarvi la vera tradizione della granita e come questa si sia evoluta, ho dovuto infiltrarmi lì dove il tasso di cultori popolari della materia è elevatissimo. Dio benedica il web, mi è bastato stuzzicare gli utenti di Sei più messinese di un messinese. In riva allo Stretto si vive di miti incredibili come Scilla e Cariddi, fantasie come il ponte e le speranze di un posto di lavoro: unica, concreta certezza è la granita, il cui consumo si officia tradizionalmente per colazione ma si difende bene anche come sostituto del pranzo e rinfresco delle notti estive. Eccovi dunque spiegato il modo impeccabile per consumare la granita.

1: Spavalderia al bar. Fare gli esperti richiede studio e impegno. Per cominciare, bisogna ricordare che la granita non si beve, si mangia. Se non riuscite a comprendere questo sarete bocciati all’istante. Ordinare una granita risulta molto complesso perché le variabili sono molte: con panna, senza panna o macchiata? Brioche sì o no? Che gusto? Decidete in fretta e non fatevi cogliere impreparati. Se opterete per quella al caffè con panna, chiedete al barista mezza con panna: lui capirà. Non azzardate la richiesta di poterla vedere: la granita vera è nascosta nel pozzetto e non esposta in strani macchinari trasparenti.

 

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2: Non chiamatela ghiaccio tritato. Per essere tale, la vera granita non deve far percepire i cristalli di ghiaccio in modo marcato, ma nemmeno essere asciutta e sorbettosa. La densità varia leggermente in base al gusto scelto. A proposito di gusti: caffè, cioccolato, limone, fragola, gelsi, mandorla, sono quelli riconosciuti dai laboratori di pasticceria storici di Messina. Evitate di chiedere cose al melone o arancia: sono un abominio. La buona granita è fatta con ingredienti che hanno un giusto rapporto polpa/sapore e acidità/zuccheri, in modo da avere il giusto gusto una volta ghiacciati.

3: Panna: leggere attentamente le istruzioni. Questo è un annuncio importante che spero venga recepito da tutti coloro che vendono granite nel mondo: la panna va zuccherata, santo cielo. Zuccherata. La mia proposta (che dovrebbe diventare legge tramite decreto d’urgenza) è di 100 g di zucchero a velo e un tocco di vanillina per ogni litro di panna fresca. Bandita quella vegetale. Quanto a chi vuole solo mangiarla, la panna sulla granita è come il parmigiano sugli spaghetti: puoi farne anche a meno ma non sai cosa ti perdi. Ci sono 2 tecniche per consumare la panna: mescolarla insieme alla granita e fare un tutt’uno o mangiare prima l’una e poi l’altra. Qui l’usanza messinese si divide ma vince, per qualche punto, la seconda versione. Sembra facile fare colazione, ma non lo è.

4: Bagnare la brioche. La brioche con la coppola accompagna la granita come un padre fa con la figlia che si appresta all’altare: devono avere lo stesso ritmo e arrivare insieme alla fine del percorso. Tuttavia ci sono scuole di pensiero diverse sul consumo. Alla coppola si associa un gusto più accentuato e un ottimo rapporto crosta/mollica rispetto al resto della brioche (la cui versione originale è prodotta senza uso di uova); per questo motivo i messinesi sono rigidi sul momento in cui consumarla. La maggioranza preferisce usarla subito, da affondare nella panna. La minoranza, di cui faccio parte, ama lasciarla per l’ultimo tocco di granita in fondo al bicchiere. L’apoteosi giunge solo se la brioche è servita calda: a quel punto abbandonatevi ai sensi. Alcuni bar storici della periferia offrono anche il pesciolino, un pane di farina tenera con forma allungata e spolverato di sesamo: fortissimamente vintage, così come l’uso dei biscotti al burro.

5: Ricapitolando. La storia insegna che i gusti tra cui scegliere non sono tanti ma sono i migliori. La presenza della panna renderà speciale la colazione (e anche bilanciata) e, se non amate i grassi, magari chiedete solo di farvela macchiare. Sedetevi e mangiate con calma la granita perché non stiamo parlando di una bevanda rinfrescante: va consumata senza fretta. Utilizzate la brioche facendo attenzione a finirla insieme ma ricordate che, parlando di tradizioni sicule, fare il bis di brioche è consentito. Pensateci bene prima di chiamare granita quei bicchieroni dai colori sgargianti che vogliono vendervi come tale, perché essere granita oggi è molto più faticoso.

di Alessio Cannata

http://www.agrodolce.it/2014/07/29/come-si-mangia-la-granita-in-sicilia/

 

 

 

Dal 6 all’8 giugno prossimi, ad Acireale, una tre giorni all’insegna della gelateria della promozione delle eccellenze siciliane. Torna infatti, per la sua terza edizione, la Nivarata, evento che rinnova il tradizionale rito della granita siciliana. Il programma è ricco di talk e live food show, workshop, artigianato, convegni, mostre, manifestazioni artistiche e ospiti d’eccezione.

 Alla manifestazione, che vanta il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole e Alimentari e Forestali, parteciperanno i grandi protagonisti del mondo della gelateria e del food, provenienti da tutta Italia, ma anche a livello internazionale. Tra loro Eugenio Guarducci, ideatore e patron di Eurochocolate, il prestigioso festival dedicato al cioccolato.

Proprio Guarducci, insieme al sottosegretario alle Politiche Agricole e Agroalimentari Giuseppe Castiglione, sarà tra i protagonisti dell’incontro dibattito “Le granite verso Expo 2015″ che si terrà venerdì 6 giugno, alle ore 12.30 al Pala Nivarata, all’interno della Villa Belvedere. Durante il dibattito, si annuncerà la presenza della Nivarata e della Granita Siciliana all’Expo che aprirà i battenti a Milano nel 2015.

Sabato 7 giugno alle ore 11.30, sempre al Pala Nivarata, nel talk e live food show “La dieta mediterranea e la cultura del benessere” si ritornerà a parlare di Sicilia, produttori e prodotti del territorio tra cultura, genuinità e salute.

La terza edizione della Nivarata si apre all’insegna di un importante gemellaggio: quello con il Brighton & Hove Food and Drink Festival, uno dei più importanti eventi di cibo e bevande in Inghilterra, ormai giunto alla XIII edizione. Questo gemellaggio apre alla Sicilia le porte dei mercati esteri: il team della Nivarata sarà ospite a settembre del Brighton & Hove Food and Drink Festival per deliziare i cittadini del Regno Unito con la granita siciliana artigianale e con altre prelibatezze tipiche siciliane.

Inoltre, proprio grazie a questa partnership siglata con il festival britannico, sabato 7, alle ore 18.00 all’interno del Pala Nivarata, il gelatiere inglese Seb Cole, noto per i suoi gusti creativi e owner di Boho Gelato, si esibirà in The Big Chill, il live food show nel quale saranno protagonisti “Gelati e Granite tra Sicilia e Gran Bretagna .

 

 

La granita di Catania

 Alessandro Buttitta

 

Al pistacchio di Bronte, ai gelsi neri, mandorla, oppure al caffè. La mappa ragionata dei locali migliori della citttà. Per rinfrescare l'estate.

 L’estate a Catania si affronta a colpi di granite. Colazione o merenda, spuntino a metà giornata o cena rinfrescante per chi vuole mantenersi leggero, la granita è diventata il simbolo della città. Una contrapposizione simbolica all’Etna che, dall’alto del suo tetto fumante, guarda con zampilli di lava la piana catanese. Sin dalla dominazione araba, la granita accompagna i mesi caldi dei catanesi che preferiscono di gran lunga il suo sapore a quello del gelato.

Catania, con il suo ricco hinterland, è la zona siciliana dove si possono mangiare le migliori granite.

LA RIVALITÀ CON MESSINA E PALERMO. Superiore per qualità alle pur ottime produzioni palermitane e messinesi, la granita catanese si contraddistingue per la varietà di sapori e per una fattura più originale. Merito di una tradizione del gusto affinata e tramandata nel tempo dalle famiglie di artigiani che conducono i laboratori più importanti della città.

Con una spesa che oscilla fra i 2 e 3 euro, si possono degustare ottime granite in molti bar a due condizioni: lasciarsi prendere dalla sperimentazione (non fuggite difatti alle varianti all’ananas, ad esempio) e farsi guidare nell’assaggio dalla brioche, accompagnamento indispensabile per godersi al meglio un’ottima granita.

Catania, Sicilia. Alla frutta e con la panna la granita viene servita a colazione.

 

LA MAPPA PER NON SBAGLIARE Prima tappa per ogni amante della granita a Catania è la Gelateria Zappalà in Via dei Caduti del Lavoro 75. Con una spesa ragionevole di 2,20 euro, supportata anche dalla gentilezza dei gestori, da provare assolutamente sono le granite alla fragola. Chi è specializzata anche nella produzione di granite alla frutta è il Caffè Europa, storico punto di ritrovo della città etnea. Situata in pieno centro storico, in Corso d’Italia 302, questo bar è un suggestivo incrocio di sapori da dove tutti i catanesi passano almeno una volta alla settimana. Consigliamo in primo luogo la granita ai gelsi; in seconda battuta da provare la granita agli agrumi di Sicilia e al caffè. Si paga un po’ di più (3 euro con brioche), ma l’accoglienza è eccellente.

 

DA NON PERDERE IL PISTACCHIO DI BRONTE Altro posto dove andare a colpo sicuro è il Cioccolato Caffè sul lungomare in Via Ruggero di Lauria 129. Ideale per chi vuol fare una bella passeggiata con bella vista sul mare, questo bar è famoso a Catania per le sue granite alle mandorle. Da prendere in considerazione sono inoltre le granite al pistacchio, proveniente doverosamente dalla vicina Bronte. Un nuovo bar dove mangiare ottime e rinfrescanti granite è la Pasticceria Pistorio in Piazza Ariosto 19. Qui si gustano, con soli 2,50 euro di spesa, le migliori granite al limone della città, seguite sul podio dalle altrettanto saporite granite al cioccolato e alla mandorla e caffè.

 

LA SPECIALITÁ È QUELLA AI GELSI NERI La granita ai gelsi neri, una delle specialità catanesi, è invece molto buona all’Antica Pasticceria Siciliana in Via Trieste 52. Se si vuole uscire dai confini catanesi e si vuole provare ad andare nei paesi vicini, è molto consigliato Militello in Val di Catania. In Via Duca degli Abruzzi è facilmente individuabile la Pasticceria Costantino, storico centro a conduzione familiare che nel corso del tempo ha visto accrescere la sua fama locale grazie alle meravigliose granite con frutta fresca di stagione.

http://www.oggiviaggi.it/22931/dove-gustare-la-migliore-granita-di-catania/

 

 

Le brioches catanesi col tuppo.

 

......sentire lo sprigionarsi del profumo che emanano in cottura mi ha riportato indietro di ben 23 anni, quando da bambino mio padre mi portava la Domenica al bar per mangiare a colazione la famosissima "brioscia 'ca granita".

Ogni Siciliano che si rispetti si vanta di questa meraviglia Siciliana, che di per sè non ha nulla di particolare ma rappresenta per i turisti una vera attrazione, da consumare rigorosamente al tavolino di un bar di paese...oppure in qualche lussuosissimo bar di via Etnea a Catania...

 

Ma veniamo alla ricetta...

http://www.lacucinadegliangeli.net/2010/05/la-brioches-siciliana-quellaco-tuppu.html

 

altra ricetta di Adriana R., (Gennarino)

 

500 g. farina Manitoba - 500 g. farina 00 - 150 g. zucchero - 150 g burro - 20 g. sale - 15 g di lievito di birra* - 350 g di latte freddo - 20 g di miele - 4 uova - A piacere qualche goccia di aroma panettone (io ho usato della scorza gratt. di arancia)

Nella ciotola della planetaria mettiamo la farina, il miele, e il lievito di birra che avremo sciolto con una parte di latte, iniziamo a lavorare limpasto aggiungendo le uova una alla volta.

Impastiamo tutti gli ingredienti per almeno 20/25 minuti, aggiungendo poco alla volta il latte freddo e il sale che avremo sciolto in una piccola parte di latte, a questo punto iniziamo ad aggiungere il burro freddo e non a temp. amb. e procediamo a vel.1-1/2, limpasto dovrà staccarsi dalle pareti totalmente, e come ci ha insegnato Adriano capovolgiamo spesso l'impasto, stacchiamolo dal gancio e ricominciamo.

L'impasto dovrà presentarsi molto elastico, sarà pronto quando tirando tra le dita un po' di impasto si formerà un velo senza strapparsi.

Quindi mettiamo l'impasto a lievitare coperto, a questo punto ci sono due strade che possiamo percorrere: se si vogliono preparare in giornata lasciare che la pasta triplichi il suo volume iniziale e quindi lasciamo lievitare a circa 28°, se invece vogliamo delle brioches da primato riponiamo in frigorifero con tutto il contenitore l'impasto, coprendo con della pellicola fino al mattino seguente. Io ho preparato l'impasto la sera precedente.

Al mattino capovolgiamo l'impasto sul tavolo di lavoro infarinato, lasciamolo a temp. per un'ora senza lavorarlo, trascorso il tempo arrotoliamolo appena e porzioniamo la pasta realizzando delle omogenee pallette e inseriamo una pallina più piccola a mo' di tappo.Rimettiamo a lievitare (dentro al forno con la luce accesa, comunque ad una temperatura max di 28°) fino al raddoppio delle brioches, una volta trascorso il tempo, spennelliamo con un tuorlo e un po di latte e inforniamo a 190° per circa 25'.

 * Nota importante: nel caso in cui si decidesse di lavorare l'impasto nel tardo pomeriggio, per infornare al mattino, sarebbe meglio diminuire il lievito di birra a 10 gr.

 Per quanto riguarda la granita invece ho scelto quella al caffè proprio perchè sto parlando di colazione e diciamolo, anche perchè è una delle mie preferite ;-) , ma quì si spazia da quella al limone, a quella fragola e panna, da quella alla pesca, a quella alle mandorle, da quella al pistacchio, a quella al gelsomino, ed ancora al cioccolato ... continuo?!

http://deliziando.blogspot.it/2008/05/brioches-siciliane-e-granita-caff-e.html

 

 

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Brioche: Come nasce la broscia siciliana?

Creato da: Staff Siciliafan

Amici ed amiche, lo devo ammettere: è una pugnalata al cuore dover descrivere ai turisti e parenti lontani la broscia come “pane morbido”. E' mai possibile dargli questa definizione?

La broscia siciliana è la broscia o broscina. Nient'altro.

Alle volte la chiamiamo brioche, ma questo potrebbe indurre dei malintesi con i nostri fratelli polentoni che pensano immediatamente ad un croissant. Ma il croissant è il cornetto! Non riuscirò mai a farglielo capire. Ci rinuncio.

Cosa ha di diverso dalle brioche continentali?

Probabilmente nulla negli ingredienti per la pasta, ma l'anima è totalmente diversa.

A noi viene automatico collegare l'idea di una broscina al gelato ed alla panna sopra, magari spolverata di pistacchio o mandorle.

Ma su, in continente, qualora dovessi chiedere una brioche col gelato è molto probabile che ti porteranno al tavolo una coppetta con cornetto a parte. Ed è lì che prenderesti quel cornetto e lo…. (lasciamo stare).

Come si fa a pensare ad un cornetto con all'interno olio e zucchero. Oppure olio, origano e pomodoro. Oppure granita e broscina. Oddio che goduria. Roba da perdere la testa. Ad ora di zucchero e pasticceria siamo imbattibili.

Lo sapevate che il termine broscia fosse un vocabolo agricolo con il quale si indicava lo spazio tra un solco e l'altro durante la semina?

Viola Dante

 

Franco Raciti e Mimmo Rapisarda con i gemelli Luca e Davide D'Amico, fondatori di Catania Facebook (foto di Salvo Puccio)

 

 

 

 

 

I gelati in Sicilia hanno tradizione antica. Una volta, nelle famiglie patrizie, si conservava per la stagione estiva la neve dell'Etna in apposite "case neviere", anfratti naturali in luoghi particolarmente freschi, per ripararla dal caldo e utilizzarla all'occorrenza nella preparazione di sorbetti e gelati. Fino ad oggi nessuna grande industria del Nord, con i suoi prodotti accuratamente studiati e confezionati, è riuscita a scalzare il posto che nelle scelte dei buongustai occupa il gelato artigianale, un vero e proprio vanto della pasticceria siciliana.

La qualità, i tipi, il gusto, le essenze, la manifattura dei gelati varia da una zona all' altra dell'isola, in una serrata e stimolante competizione fra una città e l'altra. A Palermo primeggiano i "pezzi duri". Il gelato di melone rosso (anguria) con profumo di gelsomino, tipico del Festino di Santa Rosalia, quello di "scorzonera e cannella", la cassata (da non confondere con la più famosa gemella, tradizionale torta pasquale), il coloratissimo "giardinetto" e financo il gelato di "riso e chantilly" di chiara origine francese. Durante la Belle Époque le gelaterie più famose, si trovavano lungo la passeggiata a mare del Foro Italico e spesso le signore consumavano il gelato all'interno delle loro eleganti carrozze, in sosta davanti al bar. Nel messinese spiccano le granite, di caffè e di limone, molto simili a quelle del palermitano, per la loro consistenza granulosa, ma del tutto diverse dalle granite dei paesi del val di Noto, vera e propria specialità dolciaria della zona, assai più compatte e lavorate.

Programmare un viaggio in Sicilia, alla scoperta di cittadine quali Noto, Modica, Ragusa Ibla o Palazzolo Acreide, è un suggerimento che mi sentirei di porgere a tutti coloro che siano interessati alle bellezze architettoniche e paesaggistiche che questi luoghi offrono. Le passeggiate lungo le vie dei centri abitati, su cui si affacciano palazzi nobiliari ed eleganti edifici, presentano una scenografia del tutto particolare, che segna felicemente il passaggio dal tardo barocco, alle linee più morbide e contenute di un nascente Settecento.

I prospetti dei fabbricati con i loro balconi ricchi di decorazioni, smerlettature, mascheroni scolpiti nella pietra bianca, si alternano alle chiese che svettano verso il cielo, la maggior parte delle volte al sommo di maestose scalinate, che esaltano l'armonia di curve e chiaroscuri, espressione di quel "barocco ibleo", sobrio ed elegante, che richiama visitatori da ogni parte del mondo.

Paradossalmente dobbiamo al terremoto che alla fine del XVII secolo rase al suolo gran parte dei paesi della val di Noto, cancellando del tutto vestigia di passate civiltà, l'equilibrio architettonico di queste cittadine, specialmente di Noto, che subito dopo il sisma un clero assai potente ed una ricca aristocrazia feudale riuscirono in breve a ricostruire, secondo i canoni stilistici del tempo.

Concluse tuttavia le suggestive passeggiate barocche ed esaurita la visita a questa affascinante parte di Sicilia, sarà bene non abbandonare frettolosamente i luoghi, ma concedersi una breve sosta e rivolgere 1' attenzione ad una successiva, piacevole scoperta: quella della illustre tradizione dolciaria del Ragusano e del Siracusano. Qui i dolci sono soprattutto a base di mandorle, produzione tipica della zona, cannella e ricotta. Si raccomanda di non trascurare i dolcetti "da riposto" cosi chiamati perché si possono tranquillamente "riporre" nella credenza di casa e consumare in tempi successivi all'acquisto.

Ma la vera specialità della zona, specie delle tante pasticcerie di Noto o di Modica, sono i gelati, o più esattamente le granite.

Se infatti i gelati, in coppa o a pezzi duri, si possono trovare un pò in ogni parte d'Italia, le granite restano un'assoluta prerogativa della Sicilia, ed in particolare della Sicilia orientale. A differenza di Palermo o di Messina, dove le granite sono per lo più di caffè o di limone, a Noto o a Modica e più generalmente in tutti i paesi limitrofi, la granita si arricchisce di innumerevoli sapori: mandorla, arancia, fragolina di bosco (quando è il tempo delle fragole), gelsi neri, mandarino. Nel più antico bar di Noto, a pochi passi dal duomo impacchettato per i restauri, ci si potrà sedere ai tavoli all'aperto e, nell'imbarazzo della scelta, dedicare una punta di attenzione anche alla granita di pesca aromatizzata al basilico.

A paragone dei comuni gelati, che si presentano cremosi e mantecati, la granita - spiega il sig. Iacono, titolare di un'altra rinomata pasticceria, questa volta di Modica - è particolarmente dissetante, perché a base di acqua. Fra le specialità del locale, consiglia poi di assaggiare le granite di mandorle, prodotte in due diverse versioni: con la mandorla tostata o con la mandorla bianca. I suoi clienti più affezionati - racconta ancora - molti dei quali avvocati, vista la vicinanza col Palazzo di Giustizia, la mattina, prima di recarsi al lavoro, vengono a fare la prima colazione al bar con brioche e granita di caffè con panna. Nel passato, soprattutto in ambiente contadino, la granita si accompagnava al classico filoncino di pane. E del resto non manca neppure oggi qualche buongustaio alla ricerca di cibi genuini che preferisce sostituire il panino alla brioche.

Nel ricco panorama dolciario della Sicilia orientale non figurano naturalmente soltanto le granite, ma gelati di ogni genere, torte, pezzi imbottiti, tartufi, coppe di vari gusti con panna, con pan di Spagna, con mandorle e canditi.

È la granita, tuttavia, a mantenere il posto d'onore, rimanendo a tutt'oggi una specialità siciliana assolutamente irripetibile. Che non ha nulla a che vedere con la "grattata di ghiaccio" insaporita con essenze varie, che nei bar del Nord Italia servono come granita. Con grande delusione dei siciliani che per un momento, tenendo il bicchiere gelato fra le mani, avevano creduto di ritrovare gli antichi sapori della loro terra.

Anna Pomar

 

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Francesco Procopio dei Coltelli detto Procope

 La figura di Procopio è ancora oggi avvolta da ombre. Nacque sicuramente in Sicilia, ma sono due le località a contendersene i natali: Aci Trezza e Palermo. Il ritrovamento nell'archivio parrocchiale della Chiesa di Sant'Ippolito di Palermo di una annotazione di battesimo datata al 10 febbraio del 1651 di un omonimo bambino con il caratteristico cognome siciliano Cutò (che suona proprio come il francese couteaux, cioè coltelli) fa propendere oggi per una origine palermitana. Dall'atto del suo primo matrimoni conosciamo i nomi dei suoi genitori, Onofrio e Domenica. Della sua vita prima dell'arrivo a Parigi sappiamo ben poco: è possibile che abbia trascorso qualche anno ad Aci Trezza, come ipotizza qualcuno, il che potrebbe spiegare sia perché lo si dicesse nato lì sia perché la sua attività divenne quella di gelatiere. Aci Trezza è infatti in provincia di Catania, dove da sempre gli uomini raccoglievano e usavano la neve che in inverno cadeva sull'Etna.

 Si dice che avesse ereditato dal nonno una rudimentale sorbettiera, di sua creazione, che cercò di migliorare. Stanco di fare il pescatore e non vedendo per sé un futuro in Sicilia, decise di trasferirsi in Francia. Arrivato a Parigi, Procopio francesizzò il suo nome in François Procope de Couteaux e fece fortuna. Si sposò tre volte: la prima nel 1675 nella chiesa di Saint Sulpice, con Marguerite Crouin da cui ebbe otto figli, la seconda nel 1696 con Anne Françoise Garnier, che gliene diede quattro, e la terza, ormai anziano, con Julie Parmentier da cui ebbe un altro figlio. Nel 1685 ottenne la cittadinanza francese. In Francia si stava diffondendo l'uso del caffé e Procopio lavorò dapprima come garzone in un Café di proprietà di un armeno, Paxal. Aprì poi un locale in rue de Tournon e infine rilevò il café di un altro armeno in rue des Fossés Saint-Germain (che divenne poi rue de la Comédie, e infine rue de l’Ancienne-Comédie). Questo locale, fondato nel 1686, prenderà il suo nome, Le Procope, e avrà una enorme fortuna. Considerato il più antico Café parigino, esiste ancora oggi , seppure trasformato in ristorante.Sorgendo presso la "Commedie Francaise", vi si recavano ovviamente gli attori e il personale del teatro, ma ben presto il locale divenne punto di ritrovo anche per intellettuali. I clienti potevano infatti trovarvi i pochi giornali esistenti all'epoca, carta e inchiostro, perché chiunque potesse leggere, commentare e discutere... fermandosi così più a lungo nel locale! Pare che molte delle voci dell'Enciclopedia di Diderot e d'Alembert fossero composte ai suoi tavoli: Non per niente una di esse è dedicata al gelato!

 A fare il successo del caffé fu il gelato, di cui Procopio, dopo vari esperimenti, era riuscito a migliorare la consistenza, grazie soprattutto all'uso dello zucchero come dolcificante al posto del miele. In realtà al nostro gusto i suoi gelati avrebbero assomigliato più a gramolade o sorbetti, ma il successo fu enorme: il loro consumo divenne di modo. Molto curata era anche la presentazione, con il gelato offerto in eleganti bicchierini simili a portauovo. Procopio riuscì a diffondere fra la colta borghesia francese quello che prima era servito soltanto sulle tavole dei ricchi e dei potenti.

 Dal re Luigi XIV ottenne una patente reale che gli consentiva di vendere in esclusiva "acque gelate" (la granita), gelati di frutta, fiori d'anice e cannella, frangipane, gelato al succo di limone, il “gelo” di caffè, gelato al succo d'arancio, sorbetto di fragola...

 Morirà a Parigi il 10 febbraio 1727, ma la fortuna del suo locale continuò anche nei secoli seguenti. Lo frequentarono le maggiori personalità della cultura e della storia francese, dai rivoluzionari Danton, Robespierre e Marat, a Napoleone, agli enciclopedisti Denis Diderot e Jean-Baptiste Le Rond D'Alembert, al matematico Georges-Louis Leclerc, Conte di Buffon, a scrittori come La Fontaine, Jean-Baptiste Rousseau, Voltaire, Alfred de Musset, Honoré de Balzac, Victor Hugo, Oscar Wilde, George Sand, Paul Verlaine e Anatole France. Si raccontano storie curiose come quella che vede il giovane tenente Bonaparte lasciare in pegno una sera il suo Bicorno (copricapo) perché non aveva potuto pagare le consumazioni offerte agli amici. Un'altra leggenda vuole che Benjamin Franklin abbia compilato la costituzione degli Stati Uniti seduto ai suoi tavoli.

 Alla fine del XVIII secolo il locale era noto come Café Zoppi, dal nome del suo gestore. Durante la Rivoluzione vi si radunavano patrioti e uomini di cultura al punto da sentirsi quasi un club "gli Habitués del Café Zoppi" [1]. Da qui pare che partì l'ordine di attaccare le Tuilleries nel 1792. Una curiosa memoria di quel periodo si conserva ancora oggi. Se al Ristorante Le Procope aveste bisogno di usare il bagno, non trovereste l'indicazione uomini-donne, ma "Citoyens" o"Citoyennes" (ossia cittadini-cittadine) secondo una terminologia che rimanda agli anni della Rivoluzione.

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1. Ne parlano ampiamente Edmond de Goncourt, Jules de Goncourt, Histoire de la société française pendant la Révolution, 1928. Della fama del Café è testimone Honoré de Balzac nel suo libro La messe de l'athée, fa dire al suo personaggio, il medico Desplein, che "Zoppi mi appariva come una terra promessa dove i Luculli del mondo latino avevano essi soli diritto alla presenza. Potrei io mai.. prenderci una tazza di caffé alla crema, giocarvi una partita a domino?".

Note

(da Panciera D., Lazzarin P., Caltran T., La storia del Gelato/ Wie Das eis entstand, Cierre Edizioni, Verona 1999, pag. 18)

 

La ricetta del gelato del Café Procope

Procedimento: Frullare il tutto, far bollire a fuoco lento per 5-6 minuti, far raffreddare, aromattizare (con arancia, limone, bergamotto, ecc). Versare negli stampi (quelli del Café Procope erano a forma di uovo) e far ghiacciare.

Ingredienti: mezzo litro di panna, 25 cl di latte, un tuorlo d'uovo, 375 g. di zucchero

http://www.lastoriadelgelat.altervista.org/index.php/coltelli

 

 

Gelatieri per il Gelato: Luca Caviezel, uno svizzero di Catania

Luca aveva un grande sogno: diventare direttore d’orchestra! La musica lo ha sempre affascinato. Andare ai concerti e seguirli leggendo gli spartiti, per vedere se il direttore era in grado di esprimere il massimo da quelle opere di bilanciatura musicale, era un gioco che lo divertiva. Ha collezionato decine e decine di autografi di musicisti famosi. Quel diario lo custodisce ancora con orgoglio e ne parla con una bella luce negli occhi. E’ un eccezionale pianista classico e ne ha dato prova anche di recente. L’armonia e l’equilibrio dei suoni lo appagano quanto una bella lezione sul gelato artigianale (la sua!). Sì, è vero, ha scritto quattro libri sul gelato e la pasticceria del gelatiere che sono considerati la bibbia di questo mestiere, ma non importa. E’ vero che è stato tra i primi a parlare di formazione e diffusione delle tecniche di gelateria, ma sono dettagli… Lui in fondo voleva fare il direttore d’orchestra…

 

IL GELATAIO N. 1 DI CATANIA: CAVIEZEL

L'INTERVISTA

 

Per chi non lo conoscesse ancora (state scherzando vero?) Luca si è specializzato in chimica alimentare in Svizzera, ha lavorato nei laboratori di analisi e ricerca di varie aziende tra cui la Nestlé. Trasferitosi a Catania dopo il secondo conflitto mondiale conduce l’attività di famiglia, una pasticceria da 72 dipendenti per molti anni. Nel 1969 lo chiama telefonicamente un “certo” Angelo Grasso, allora presidente del Comitato per la difesa e diffusione del gelato artigianale, chiedendogli di condurre il primo corso di aggiornamento per gelatieri al CAPAC di Milano. Nel 1971, sempre al CAPAC introduce la teoria del “bilanciamento degli ingredienti” nella formulazione delle ricette del gelato. La sua vocazione all’insegnamento lo ha portato in molte città in Italia e all’estero fino a farlo decidere di fondare la prima scuola siciliana di gelateria a Catania.

Queste le sue parole: “Oggi, vicinissimo ai 90 anni, sento il dovere di dare un seppure modesto contributo a questo stupendo gruppo di giovani  “Gelatieri per il Gelato” fermamente decisi a conservare il vero gelato artigianale italiano, un patrimonio inestimabile, ed a difenderlo dalle sempre più insidiose aggressioni provenienti di un mondo esterno che non avendo rispetto dei nostri valori persegue i propri miserabili interessi.i famiglia!

 

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A 30 anni dall’uscita del manuale che ha fatto la storia del #gelato artigianale, il mitico “Scienza e tecnologia del gelato artigianale”, il grande Maestro Caviezel e Chiriotti Editori lo ripresentano completamente attualizzato, approfondito e ampliato.

La presentazione ufficiale del libro sarà ad Acireale in occasione di Nivarata, il 4 e 5 giugno alle ore 17.

Il libro tratta la storia del gelato, descrivendo poi l’evoluzione delle macchine, la produzione del freddo e la manutenzione delle attrezzature frigorifere; le caratteristiche fisiche della miscela e i concetti chimici; valori e caratteristiche di qualità, igiene, corpo, struttura, nutrizionali ed organolettici; materie prime e produzione; tecnologia dei processi di lavorazione;

conservazione e preparazione alla vendita; l’azoto liquido in gelateria; il bilanciamento degli ingredienti nelle miscele; controllo della produzione; strumenti di lavoro, ...

Ricette di granite, sorbetti, gelati per clienti con intolleranze e gelato gastronomico, in collaborazione con Carpigiani Gelato Museum, Coppa del Mondo della Gelateria, Gelatieri per il Gelato, Maestri della Gelateria Italiana, Le Gelaterie del Territorio

Per ordinare “Scienza e tecnologia del gelato artigianale”, Luca Caviezel - Chiriotti Editori - 696 pp. - € 60 (€ 38,99 in formato iPad), scrivere a shop@chiriottieditori.it; telefonare allo 0121 378147

 

 

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Beppe, il gelataio migliore d’Italia è un mauriziano “marca liotru” - La Sicilia 2.5.2019 - Damiano Scala

Mohammed Yousoof Abdul Rahman, nel quartiere catanese dove vive e lavora, è conosciuto con il nome italiano di Giuseppe. Il suo gelato premiato a Rimini nel 2016

 

Catania - Dalle Isole Mauritius alla vittoria di Berlino, per il miglior gelato, passando per Catania. Una vita che sembra tanto un ottovolante per Mohammed Yousoof Abdul Rahman ma che tutti nel quartiere conoscono come Giuseppe, anzi Beppe. Un ragazzone di quasi quarantanni che ti strappa un sorriso solo a guardarlo. Accanto a lui, i tanti amici del rione che lo hanno praticamente adottato. «Non potevamo fare altro - spiega Orazio Grasso, presidente del comitato “Quartiere Attivo”- nella territorio di Borgo-Sanzio, tra piazza Abramo Lincoln e Largo Rosolino Pilo, ci conosciamo tutti e lui è diventato il nostro beniamino per l'allegria e il buonumore che riesce a trasmetterci. Ormai lo consideriamo “marca liotru” a pieno titolo».

E Beppe cosa ne pensa?

«Mi sento siciliano e catanese a tutti gli effetti - racconta l'uomo - da quando sono qui non ho mai sentito nostalgia di casa. Qualcosa vorrà pur dire, no?».

Eppure quando lasciò le Isole Mauritius mai si sarebbe aspettato che il suo lungo girovagare lo avrebbe portato in Sicilia.

«Anzi - dice Beppe - quando decisi di fare armi e bagagli ed andare via alla ricerca di una nuova vita non sapevo nemmeno dell'esistenza della Sicilia».

Una storia come tante altre accomunate dalla possibilità di inseguire un sogno e di aiutare i propri familiari. Novemila chilometri fatti con una valigia carica di aspettative, speranze e con qualche vestito.

«Perché ho scelto l'Italia? Il mio vicino di casa aveva già preso questa decisione e mi parlava tanto bene del Belpaese. Sono arrivato a Milano, cominciando a lavorare nel settore delle pulizie, e da allora non mi sono più fermato. Anzi, guardandomi indietro posso dire che ne ho fatta di strada da allora».

Durante il lungo girovagare su e giù per l'Italia Beppe arriva prima a Corleone e poi a Trapani. Qui incontra l'uomo che cambia la sua vita

«Parliamo del maestro Aldo Uzzo che io chiamo “Zio Aldo”- prosegue Beppe - all'inizio facevo le pulizie all'interno della sua attività poi osservandolo, giorno dopo giorno, mi sono appassionato al gelato: dalla selezione degli ingredienti, alla preparazione fino alla sua degustazione. Da qui comincia il mio apprendistato che mi porta a seguire il “maestro” pasticcere fino a Catania».

Una evoluzione continua, fatta di studi e di selezione degli ingredienti, che ha portato Beppe a conoscere la ricetta segreta di zio Aldo. Una “formula” top secret da rispettare alla lettera passo dopo passo.

«Niente semi-preparati, solo materia prima locale di grande qualità - sottolinea il ragazzo - dal pistacchio di Bronte alla mandorla di Avola passando per il latte di collina. Ovviamente il tutto amalgamato con amore e passione».

Detta così potrebbe sembrare molto semplice ma in realtà non lo è.

«La differenza la vedo sopratutto con il gelato mauriziano che ricalca il modello inglese: un prodotto distante anni luce da quello che facciamo qui in Sicilia».

Un risultato vincente che ha saputo conquistare anche il palato di grandi esperti e che ha portato Beppe nel 2016 a vincere il concorso come miglior gelataio d’Italia, a Rimini, con il gusto al Cannolo Siciliano e di bissare il risultato pochi mesi dopo a Berlino nell’"Italian Challenge-Gelato World Tour".

«C'erano oltre 140 partecipanti e tutti molto più esperti di me - afferma “Beppe” - alcuni erano pure discendenti di una lunga stirpe di pasticceri e gelatai. Quando ho ricevuto il premio non ci potevo credere: un'emozione che non si può descrivere a parole».

Un riconoscimento che il ragazzo da allora condivide con tutto il quartiere di Borgo-Sanzio.

«La sua è una bellissima storia di vita che abbiamo conosciuto solo dopo essere diventati suoi grandi amici - spiega Orazio Grasso - un esempio positivo che può dare la svolta in un contesto dove tanti nostri ragazzi lasciano Catania e la Sicilia per andare a trovare fortuna nel resto d'Europa e in America perché qui non trovano lavoro».

Per il futuro Beppe non si pone alcun limite e pensa già a nuovi gusti.

«Naturalmente saranno tutti all'insegna della tradizione siciliana con la ricetta segreta che, quando sarà il momento adatto, tramanderò a mio figlio dodicenne Qays che oggi mi dà una mano in negozio. Ritornare alle Isole Mauritius in futuro? Perché dovrei? La Sicilia e Catania mi hanno dato tutto. Questa è casa mia, dove vive la mia famiglia, dove lavoro e dove ci sono i miei amici».

https://www.lasicilia.it/news/sicilians/244580/beppe-il-gelataio-migliore-ditalia-e-un-mauriziano-marca-liotru.html

 

 

U scumuni

Un "Pezzo duro" ma si scioglie in bocca: U Scumuni, antica specialità dolciaria siciliana

Dall'irresistibile gusto le sue origine sono antiche. Rientra nel repertorio delle ricette più antiche del repertorio culinario italiano; in particolare, gode di tanta popolarità nel capoluogo etneo.

Sicuramente molti catanesi avranno sentito parlare del famosissimo “Scumuni”, noto anche col nome di “Pezzo duro”. Trattasi di un tipico dolce siciliano caratterizzato dalla compresenza di due gusti di gelato e dal pan di spagna. Questa specialità dolciaria, per chi non ne fosse a conoscenza, rientra nel repertorio delle ricette più antiche del repertorio culinario italiano; in particolare, gode di tanta popolarità nel capoluogo etneo ed anche in altre località siciliane.

Tuttavia, l’aspetto davvero coinvolgente riguarda proprio le sue origini: a tal proposito, secondo quanto tramandato dalle fonti pervenute, sappiamo che questa irresistibile leccornia risale alla dominazione araba in Sicilia. Ciononostante, l’epoca in cui conobbe il massimo grado di diffusione fu il XVII secolo. Ben presto venne ampiamente apprezzata anche nel resto d’Italia, assumendo delle denominazioni differenti; la più conosciuta, come già accennato, è proprio quella di “Pezzo duro” ma in altre parti d’Italia è indicata anche come “Schiumone”.https://www.mimmorapisarda.it/2023/scum.jpeg

Quest’ultimo termine non sarebbe altro che la traduzione della variante siciliana “Scumuni”. L’appellativo, inoltre, allude alla presenza della panna che insaporisce questo gustosissimo dessert dalle molteplici sfumature; basti pensare che anche la sua forma varia da luogo a luogo: sebbene solitamente presenti una conformazione allungata ed ovale, in diverse zone viene realizzato dal profilo più rotondo. Da ciò ne deriva il simpatico nomignolo di “Bombetta”.

Rimanendo in tema di soprannomi sappiamo che in altre parti d’Italia reca persino l’epiteto di “ Misto Umberto”, espressione ideata dalla volontà di omaggiare l’ultimo re d’Italia. Detto questo, passiamo alla modalità di preparazione. Nel caso della Sicilia il procedimento, pur non discostandosi dal metodo tradizionale, presenta alcune differenze: in poche parole, ci sono gelaterie che prediligono l’uso del pan di spagna e altre che si limitano a comporlo solamente con i due gusti di gelato.

Esiste, tuttavia, un’ulteriore variante che prevede l’aggiunta di uno strato di panna tra i due gelati. A Catania, per esempio, prevale l’ “usanza” di imbottirlo con il pan di spagna; esso viene preparato con i seguenti ingredienti: uova sbattute con latte e zucchero, canditi e aromi di mandorla o vaniglia. Chi ,invece, utilizza la ricetta con la panna centrale spesso lo addolcisce con delle gocce di cioccolato.

Nei tempi moderni, infatti, la panna è un elemento molto gettonato per i dolci freddi siciliani. Difatti, proprio come avviene nel caso della granita, molti maestri gelatieri non rinunciano a impiegarla anche sopra lo Scumuni. Un’altra particolarità che salta all’occhio e, soprattutto al palato, è la consistenza che questa delizia manifesta.

Ciò svela anche la ragione per cui si tende a chiamarlo “Pezzo duro”; infatti, la densità che lo contraddistingue è il frutto della messa in congelatore ancora prima di mischiare le due parti. Ad ogni modo, per approntarlo a dovere è necessario seguire una serie di passaggi: foderare un contenitore a cupola con della pellicola - disporre il primo strato di gelato lasciando il centro vuoto - mettere il primo strato di pan di spagna - disporre il secondo strato di gelato lasciando il centro sempre vuoto - tagliare a pezzetti canditi e mandorle - riempire lo spazio vuoto al centro - livellare la superficie - inserirlo in congelatore per due ore.

Dopo essersi solidificato, occorre solo bagnare la ciotola con dell’acqua per facilitare lo staccamento del gelato. Fatto questo, non resta altro che assaporarne il divino e sublime gusto.

Livio Grasso.

https://www.balarm.it

 

 

 

 

Per il suo aroma e le qualità organolettiche il pistacchio verde di Bronte tradizionalmente è stato sempre il principe della pasticceria, delle carni insaccate di pregio e della gastronomia di alta classe.

In tempi recenti, oltre al favoloso gelato ed alla sempre osannata "torta al pistacchio" (prodotta con pan di Spagna, a volte farci­ta con uno strato di cioccolata o di nutel­la che si associano particolarmente al gusto del frutto), alle gustose "paste di pistacchio" (realizzate con la stessa procedura con cui si produce la pasta di mandorle) o ai torroncini ed al connubio fra ogni forma di cioc­colato ed il ver­de pistacchio si fanno sempre più strada il "pesto di pistacchio" (un prodotto di nuova inven­zione a base di solo pistacchio ed olio di semi, più delicato dell'olio di oliva, che coprirebbe il gusto del frutto),  la "crema al pistacchio" (una pre­parazione dolce da spalmare sul pane o da utilizzare per guarnire dolci), un liquore e la storica filletta al pistacchio (tradizionale dolce brontese guarnito del prezioso frutto).

http://www.bronteinsieme.it/4ec/pist_5ricette.html

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è esagerato descriverlo in questa maniera considerando che, in diverse parti d'italia, il bar è preposto soltanto al ristoro con bibite, caffè e pezzi da colazione.

Da qualche tempo hanno preso piede le sole "gelaterie", solitamente collocate in località turistiche di mare o le semplici pizzerie d'asporto con la classica vetrina addobbata con arancini, rustici e pizza al taglio; In ogni caso, il bar rimane sempre la meta di ogni catanese che ad ogni ora della giornata...colazione, pranzo o cena, vi si rifugia per appagare la propria fame o per consumare un pasto veloce e sfizioso.

 


Io sono una di queste ed è buffo quando vedo molta gente... solitamente liberi professionisti con la loro valigetta in mano e con gli occhi fissi sull'orologio, mentre addentano la loro oleosa cipollina che scola da tutte le parti, magari sul loro vestito all'ultimo grido, non curandosi di chi sta loro intorno e di chi, guardando perplesso, si chiede come si possa mangiare una sfoglia ripiena di cipolla fritta alle 10 del mattino.

Dopo questa premessa vorrei parlarvi della colazione di un tipico Catanese.
 

 

Il Catanese ha gusti ed abitudini un pò strane!
L' inverno, che rappresenta il letargo, è un pò monotono: colazione al bar vicino al posto di lavoro con cornetto e cappuccino; a volte spazia accostando alla sua tazzona di latte e caffè un bell' IRIS alla crema o un bel PANZEROTTO ripieno! per lui cosette banali.. tutto dipende se ha voglia di 400 kc in un'unica botta o se vuole fare il pieno con 1200 kc per essere sprint tutta la giornata!
Cosa sono gli Iris? semplici bombe ripiene di crema e fritte! I Panzerotti? Vi spiegherò dopo.
Se per qualsiasi motivo la colazione viene rimandata ad un orario che si avvicina all'ora di pranzo tutto cambia: la scelta cade su uno squisito arancino, una cartocciata o, come detto prima, una sfoglia con cipolla fritta.

D' estate è tutto diverso: il cappuccino viene sostituito da una gigantesca granita nei gusti mandorla e gelsi, mandorla e caffe', mandorla e cioccolato... e d il cornetto ad una famosissima brioche con il tuppo, rigorosamente calda dal colore interno giallo canarino, immersa e affogata a pezzi dentro la granita!

Niente di strano vedere l'avvocato mangiare a pranzo la sua granitina al volo prima dell'udienza... sempre lui, quello che alle 10 del mattino aveva mangiato la cipollina!
http://sognidizucchero.blogspot.com

 

Granite, iris, panzerotti, cornetti, sfogliatelle, graffen, raviole con ricotta, panzerotti, i rinomatissimi cannoli di ricotta e le leggendarie cassate siciliane.…

Questa è la colazione.


 

Ma, preferiscono forse il salato? Allora andiamo dall'altro lato del bar, dove ci sono i banconi con la rosticceria: pizzette, arancini, cartocciate, cipolline, siciliane, bombe, pathè, scacciate con la tuma e le acciughe,ecc.
Seduti al tavolino all'aperto per le strade, fra questi gustosi spuntini e colazioni,  i catanesi amano fare colazione con queste prelibatezze,  leggendo nel frattempo il loro quotidiano locale, sparlando del nuovo allenatore del Catania.... e notare che quello che si vede in fondo a via Etnea è l'Etna... a volte bianco, a volte nero  (come quello che stanno mangiando: crema o cioccolato).
In quante pasticcerie o bar di Catania non avete visto i dolci delle foto? Il panzerotto catanese lo troviamo in qualsiasi bar, pasticceria e anche panificio. Il panzerotto è uno dei dolci più consumati giornalmente, assieme all'iris, dai catanesi. La sua particolare pasta, croccante fuori e morbida dentro rende questo dolce unico nel genere. Ripieni con cioccolato o crema bianca e ricoperti da uno strato di zucchero a velo. I catanesi amano "u panzarottu", dolce che si trova tutto l'anno. 

 

Sì è proprio quello universale che in tutto lo Stivale, isole comprese, generalmente spopola durante le ore del mattino. Il Cornetto siculo non è chiaramente quello dell’Autogrill. Innanzitutto sono le dimensioni a variare perchè  il Cornetto Siculo è almeno il doppio del classico prodotto da forno. Il cornetto siculo non è mai vuoto, regola numero uno. Il cornetto siculo non è mai con la marmellata, regola numero due. Bevi un bicchiere d’acqua e prosegui. Se stai iperventilando, tranquillo/a è tutto regolare. Inspira espira e procedi.

Per il Siciliano il cornetto vuoto è un affronto. Provate ad offrirgliene uno. Certamente la volontà di non essere sgarbato farà sì che lo mangi ugualmente ma quell’angolo laconico sulla sinistra dell’iride vi farà percepire quanto disprezzo stia provando per siffatta scelta.

http://gikitchen.wordpress.com/2012/05/04/i-pezzi-della-colazione-in-sicilia/

 

E' un pezzo da colazione fritto, tipico di alcune zone della Sicilia.
Un guscio sottile di pasta brioches, reso croccante dalla sua panatura e che racchiude un abbondante ripieno di ricotta, crema bianca o al cioccolato.
A Palermo Le Iris nascono con ripieno di ricotta mentre a Catania vanno per la maggiore Gli Iris ripieni di crema bianca o al cioccolato.
Niente di sconvolgente per noi Catanesi abituati a fare una tarda colazione con un arancino, una cipollina o una cartocciata: l'iris viene spesso considerato uno spezza-fame che sta in mezzo ad un croissant e un pezzo di tavola calda, senza mai scordare che noi Catanesi siamo da sempre promotori dello street food, quindi
non vi scolvolgete se, girando per la citta', vi capita di incontrare gente distinta e vestita molto elegante addentare per strada il suo iris tra le mani con la crema che fuoriesce da tutte le parti.
Semplicemente un panino al latte fritto con dentro un’imbottitura che sia di cioccolato, crema o pistacchio .  La superficie è granulosa “a causa” dell’impanatura ed è una delle ottave meraviglie dell’universo. Ve ne sono infinite variazioni ma se l’Iris non è troppo mollicoso e ha la giusta dose di crema senza esagerare nel senso di pochezza (accade raramente) e moltezza, beh. E’ il delirio gustativo e rimane comunque uno dei pezzi degni di nota.

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Se pensavate che gli iris fossero solo dei bellissimi fiori, dovrete prepararvi piuttosto a fare una scorpacciata di questi dolci molto calorici, perché una volta assaggiati…non potrete più farne a meno!

 Parte integrante della tradizione culinaria siciliana da più di un secolo, si presentano in diverse varianti: da quelli ripieni di ricotta a quelli infarciti di abbondante crema al cioccolato e possono anche essere cotti al forno o fritti – anche se questa seconda versione è di sicuro la più celebre e amata dai più golosi.

 Gli iris hanno alle spalle una storia singolare; sembrerebbe infatti che un rinomato pasticcere palermitano, Antonio lo Verso, avesse creato queste golosità per celebrare la prima assoluta dell’omonima opera di Pietro Mascagni, “Iris” appunto. L’attenzione destata dagli iris e il conseguente successo spinsero moltissime persone ad assaggiare queste prelibatezze e lo Verso modificò addirittura il nome del suo bar in “Iris”.

http://www.vivict.it/usi-e-costumi/iris/

 

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dal video CATANIA FOOD TOUR di Sofia, qui: https://www.youtube.com/watch?v=8bjF6tw3eWQ&t=129s

Per essere nutriente è nutriente, leggera un po' meno. Ma in Sicilia si bada poco alle calorie e si mangia di gusto. Si tratta di un dolce tipico siciliano, molto diffuso a Catania e provincia.

E' un malloppotto fritto con dentro una crema di ricotta che vira all’essenza di cannella ma che potrebbe anche nascondere meraviglie al cioccolato magari con qualche pezzotto. Per chi non ama la ricotta, seppur quella dolce sia completamente diversa dal classico formaggio, sarà bene stare lontani. E’ importante ricordare però, nonostante ne abbia sproloquiato fino allo sfinimento, che la ricotta all’interno dei dolci siculi è sempre diversa. Secondo la zona dove vi trovate il gusto del cannolo e della cassata, giusto per citare i dolci principi della pasticceria siciliana, non solo saranno diversi ma sembreranno dolci ben distinti. La Raviola fritta con la ricotta rimane uno dei pezzi di colazione più gustosi per chi è una buona forchetta e non bada certamente all’apporto calorico, ma sicuramente anche uno dei più pesanti.

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TRECCINA somiglierebbe un po’ a una sfoglia cornettosa ibrida ed anche a quei panini di sfoglia con uvetta che si trovano in quel di Marsiglia, giusto per capirci o in tutto il territorio Franssssccese (scritto così). In realtà è un pezzotto da colazione ambitissimo e gustoso che generalmente accompagna il cappuccino. Se quindi è vostra intenzione gustare un cappuccino, prendendo atto che il Siciliano lo detesta e che qui si fa il caffè e mica “ste cose schiumate”, potreste lanciarvi nell’assaggio di codesta meraviglia che risulta non troppo pesante (sottotitolo: rispetto al resto, mi pare ovvio. Occorre sempre basarsi sui parametri degli indigeni del luogo di cui faccio parte con sommo onore).

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Il panzerotto catanese e' un pezzo da colazione sempre presente in tutti i bar e forni della zona. Il suo profumo appena sfornato e' indescrivibile, inconfondibile!
L' odore pizzicante di ammoniaca e' tipico, tanto che il catanese a spasso per le vie della città esclama senza dubbio alcuno:
- "Che profumo di panzerotti !"

Un guscio tenero che, sciogliendosi quasi in bocca, racchiude un cuore di morbidissima e vellutata crema.
Un gusto equilibrato, un biscotto non pesante dovuto al fatto che questa frolla non "frolla" non contiene uova, quindi non risulta biscottata: se fosse fatto con la classica pasta frolla sarebbe impossibile mangiarne uno intero.

La crema all'interno e' quella gia' descritta senza uova.
Non potrebbe essere altrimenti visto che deve mantenere durante la cottura una certa consistenza ed il colore bianco candido.

 


Il Panzerotto (con la zeta decisa eh. Non Panserotto) generalmente è nelle declinazioni crema bianca o cioccolato ma non sarà difficile trovarne anche versioni con pistacchio o creme più particolari aromatizzate. Il panzerotto, al contrario del molliccio iris, è soffice e ha una pasta biscottata quasi come fosse frolla ma morbida e gustosa. E’ davvero un idillio il panzerotto fresco appena sfornato. Vien voglia di mangiarsene otto chili dopo il primo morso ma ahimè dopo il terzo ci si rende conto che sarà dura finire già il primo. Una delle accoppiate più coraggiose ma sicuramente più gustose è il panzerotto al cioccolato con la granita di mandorle. Una goduria suprema che non mi concedo da anni e che quando rinsavirò non potrà che spingere a correre ai ripari e morire lì sul tavolino del lungomare dopo averne mangiati nove chili. O forse dodici.

http://gikitchen.wordpress.com/2012/05/04/i-pezzi-della-colazione-in-sicilia/

 

 

Nonostante il panzerotto al cioccolato con la granita di mandorle abbia un suo perché, confesso che nel mio cuore vi è la graffa. Sarà per questo che sto navigando tra la bava riversatasi sulla tastiera? (dovrei omettere queste atroci realtà)

E’ un po’ una sorta di krapfen ma in un’accezione diversa. E’ un ciambellotto fritto morbidissimo che odora chiaramente di cannella come tutta l’isola e sopra ha tanto zucchero semolato attaccato. Non zucchero a velo che vola via eh. Proprio zucchero semolato a chicchi enormi attaccato che si riesce a immobilizzare lì grazie all’unto dell’olio nel quale è stato fritto. Se quest’ultimo non è esagerato,  se è stata fritta alla temperatura giusta con olio buono e pulito ed è stata asciugata opportunamente (e non è davvero difficile che si verifichino facilmente queste condizioni) la graffa vi farà impazzire. E’ soffice e gustosa e santocielo come vi ho chiesto di mangiare una Siciliana in memoria di me fatelo pure con una Graffa. Anzi, ascoltate il consiglio di una povera vecchia come me: prendete una graffa e schiaffatela dentro una granita al pistacchio. Poi con calma mi manderete lettere di ringraziamento e proposte di matrimonio. Una variazione della graffa (perché l’impasto è uguale) è la Bomba ma in forma rotonda e ripiena con crema di cioccolato, pistacchio o crema.

http://gikitchen.wordpress.com/2012/05/04/i-pezzi-della-colazione-in-sicilia/

 

 

 

 

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I cannoli di Sicilia sono con ogni probabilità il più famoso è tipico prodotto dell'arte dolciaria siciliana: un vero peccato di gola per i buongustai che non possono resistere alla tentazione di provarlo.

 Il cannolo è un dolce costituito da un involucro cilindrico di pasta fritta, farcito con un impasto di ricotta, zucchero e frutta candita a piacere. È una tipica specialità siciliana, l'antica ricetta della quale è uscita dalla clausura di un convento palermitano, come molti dei dolci fatti in questa splendida regione.
Il nome proviene dal volgare latino dell'arbusto "canna", con fusto cilindrico vuoto, il quale anticamente serviva per vari usi ordinari.
Uno scherzo, come si suol dire, da preti, nato in un dimenticato monastero e successivamente propagato dalla pasticceria palermitana: un motteggio carnevalesco del tempo faceva uscire da un rubinetto (cannolo in siciliano, il termine molto antico e riscontrato in documenti che attestano il significato della parola canna, la quale serviva da cannella per abbeveratoi e fontane) crema di ricotta invece dell'acqua. Insomma il nome è tutto dire.

 

 

 

I nostri cannoli sono pronti da gustare e faranno un figurone sulla vostra tavola e per tutte le vostre festività, perché questo dolce non è semplicemente buono da mangiare, ma nasconde dentro di sé una lunga storia che si ripercorre ogni volta che si assaggia il suo fantastico ripieno morbido e dolce. Chi non l’avesse mai assaggiato è invitato a farlo il prima possibile, per sapere davvero cosa si è perso.

Per 10 persone, per la pasta occorrono: 300 gr di farina bianca; 30 gr di zucchero; 25 gr di burro; 1 bicchiere di Marsala secco; 1 pizzico di sale; 1 uovo; olio per friggere. Per il ripieno, invece, occorrono: 300 gr di ricotta fresca; 150 gr di zucchero; 50 gr di scorze di arancia candite e tagliate a strisce sottili; 50 gr di cioccolato amaro; 1 bicchierino di rum; 1/2 bustina di vaniglia. Per fare la forma del cannolo occorrono 10 cilindri di canne di bambù o di metallo lunghi 12 cm e di 3 cm di diametro, leggermente unti d'olio.

La pasta si prepara mescolando insieme tutti gli ingredienti previsti (escluso l'uovo), fino ad ottenere un impasto elastico e omogeneo con il quale formare una palla che dovrà essere coperta con un tovagliolo e lasciata riposare in un luogo fresco per mezz'ora. Lavorare ancora la pasta per pochi minuti, quindi farla ancora riposare per 30 minuti prima di darle un'ultima impastata e stenderla in una sfoglia molto sottile. Ritagliare la sfoglia in quadrati di dieci centimetri di lato e lucidarli pennellandovi con l'uovo sbattuto. Arrotolarli sui cilindri, avvolgendoli per sbieco, partendo da un angolo e congiungendoli con quello opposto.

Comprimere bene la pasta e friggere in abbondante olio ben caldo. Sfilare i cilindri solo quando la cialda si sarà raffreddata completamente. Successivamente preparare il ripieno, passando al setaccio la ricotta e unirvi zucchero, scorze d'arancia, cioccolato grattugiato, vaniglia e rum. Farcire i cannoli con questo composto e decorarne le estremità con la frutta candita. A piacere spolverizzare i cannoli con zucchero a velo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Secondo una leggenda la nascita dei cannoli sarebbe avvenuta a Caltanissetta, “Kalt El Nissa” locuzione che in arabo significa “Castello delle donne”, a quei tempi sede di numerosi harem di emiri saraceni.

L’odierno cannolo siciliano avrebbe dunque antiche origini, anche se nei secoli ha subìto diverse trasformazioni, e il suo antenato potrebbe essere stato un dolce a forma di banana, ripieno di ricotta mandorle e miele.

L’ipotesi più accreditata sarebbe quella che le favorite dell’emiro, per passare il tempo, si dedicassero alla preparazione di prelibate pietanze, in particolare di dolci e in uno dei tanti esperimenti culinari avrebbero “inventato” il cannolo, allusione evidente alle “doti” del sultano.

Un’altra fonte, invece, tramanda che i cannoli siano stati preparati per la prima volta in un convento sempre nei pressi di Caltanissetta.

Si racconta che in occasione del Carnevale le monache “inventarono” un dolce formato da un involucro (“scorcia”) riempito da una crema di ricotta e zucchero ed arricchito con pezzetti di cioccolato e granella di mandorle (cucuzzata).

Sia che si tratti di suore o concubine, “queste donne, rese diverse dal voto di castità, probabilmente nel loro intimo non lo erano così tanto di fronte al piacere voluttuoso offerto dal magnifico dolce”.

Di certo sappiamo che le sue radici risalgono alla dominazione araba in Sicilia (dal 827 al 1091).

Gli Arabi, come i Greci, apportarono molte novità nell’arte, in generale, e nella cucina, in particolare, come ad esempio, la canna da zucchero, il riso, le mandorle, il gelsomino, il cotone, l’anice, il sesamo e le droghe: cannella e zafferano. Essi erano anche abilissimi pasticceri, e se è vero che la ricotta di pecora già si produceva in Sicilia, è anche vero che sono stati gli Arabi a lavorarla con canditi, pezzetti di cioccolato e ad aromatizzarla con liquori, dando vita ad un’accoppiata vincente, zucchero e ricotta , preludio dei dolci siciliani più famosi al mondo: la cassata ed i cannoli.

 

i cannoli catanesi dell'antica pasticceria Savia

 

L’ipotesi sull’origine del sublime cilindro di ricotta, stimolante per il gusto ed accattivante per le interpretazioni tra sacro e profano, è descritta dal duca Alberto Denti di Pirajno, cultore di gastronomia. In “Siciliani a tavola” (la cui edizione fu terminata da Massimo Alberini, dopo la scomparsa del nobile siciliano) il duca sostiene che il cannolo sarebbe stato inventato dalle abili mani delle suore di clausura di un convento nei pressi di Caltanissetta. Per l’esattezza, si legge: “Il cannolo non è un dolce cristiano, ché la varietà dei sapori e la fastosità della composizione tradiscono una indubbia origine mussulmana”.

La tesi è verosimile in quanto alla fine della dominazione araba in Sicilia, coincisa con l’arrivo dei Normanni, gli harem si svuotarono (si ricorda che Caltanissetta in arabo significa “Castello delle donne”, poiché gli emiri saraceni vi tenevano i loro harem), e una o più donne ormai libere, convertitesi al Cristianesimo, entrarono in convento. Qui potrebbero avere riprodotto alcune delle ricette con le quali avevano sedotto le corti degli emiri, trasmettendole in seguito a “quelle sante ancelle del Signore sino a noi poveri peccatori”. E ciò spiegherebbe l’esistenza di un legame tra le due leggende.

Altro che cialda e ricotta! Il dolce siciliano per antonomasia era apprezzato già dagli antichi romani: “Tubus farinarius, dulcissimo, edulio ex lacte factus”, lo definì Marco Tullio Cicerone quando era questore in Sicilia, a Lylibeum (l’odierna Marsala), prima di diventare console romano destinato a fama imperitura. Mentre un Anonimo siciliano riportato dal Pitrè cantò così le lodi di questo straordinario dolce:

“Beddi cannola di Carnalivari

Megghiu vuccuni a lu munnu ‘un ci nn’è:

Su biniditti spisi li dinari;

Ognu cannolu è scettru d’ogni Re.

Arrivinu li donni a disistari;

Lu cannolu è la virga di Mosè:

Cui nun ni mangia si fazza ammazzari,

Cu li disprezza è un gran curnutu affè!”

 Si tratta di un dolce, in tutto e per tutto siciliano, anche nei forti contrasti: nei colori, nel profumo, nel sapore, nella consistenza, e dall’intrigante forma cilindrica, conservatasi nel tempo. Giuseppe Coria evidenzia in uno studio sul rapporto tra la geometria e la simbologia che il suo aspetto rappresenterebbe la forma fallica. Il cannolo dunque esprimerebbe, un significato di fecondità, di forza generatrice, e di allontanamento delle influenze maligne.

E a proposito di dolci simili al cannolo, sembra che Brillant Savarin, sublime meditatore della “Fisiologia del Gusto” abbia detto: “il Creatore, obbligando l’uomo a mangiare per vivere, lo invita con l’appetito e lo ricompensa con il piacere”.

Quel che fin qui emerge è chiaramente il nesso tra l’origine del caRisultati immagini per sagra del cannolo aci bonaccorsi 2019nnolo e la città di Caltanissetta, e questo a prescindere da quello che è stato l’esatto fatto storico, sia esso sacro o profano: il convento o l’antico castello di Pietra Rossa. E svariati sono i siti internet che indicano in Caltanissetta il luogo in cui sarebbero nati i cannoli, come i seguenti, citati a caso e solo a titolo esemplificativo: accademiabarilla.it (cannoli siciliani), granarolo.it (le origini del cannolo siciliano), slowfoodsciacca.it (la storia millenaria della cucina siciliana), mondodelgusto.it (storia e leggenda del cannolo siciliano), cannoloanfriends.it (la storia del cannolo), siciliainformazioni.com (la storia del cannolo siciliano tra il serio e il faceto), primo piatto.barilla.com (i tesori della pasticceria siciliana).

Poiché gira e rigira, tra mito storia e realtà, Caltanissetta con il capolavoro dell’arte dolciaria siciliana c’entra sempre, è ora di renderle giustizia e dare vita ad un percorso fatto di incontri, dibattiti, sagre e fiere, per tributarle finalmente il giusto “riconoscimento di paternità” , quale CITTA’ DEL CANNOLO.

A beneficiarne sarebbe tutto il sistema economico della provincia: dalla valorizzazione del territorio, all’esaltazione del patrimonio artistico e culturale al conseguente incremento turistico.

 

 

Sarebbe interessante accettare una sfida dai territori palermitani e/o trapanesi, e se volete agrigentini, sull’origine dell’emblema dell’arte dolciaria siciliana: da Piana degli Albanesi ai vari conventi di monache Benedettine, come quelle della “martorana” che inventarono appunto il marzapane, o se preferite “pasta reale”, o le monache di Erice che asseriscono di essere state le depositarie dei segreti di questa pasticceria.

Cassate, bocconcini, ravioli, marzapane, babà, profitterol, saint honorè, “minni di vergini”, rollò.

Ma su tutti si erge, imperioso e prepotente, Sua Maestà: il cannolo!

Presidente di Provincia, Sindaco, Assessore al Commercio, al Turismo, e soprattutto, alla Cultura e associazioni di categoria, lanciate questa succulenta e simpatica sfida e organizziamo a Caltanissetta il “Festival internazionale del cannolo”.

Giù il ponte levatoio: animiamo di costumi medievali i quartieri arabi degli “Angeli”, curtigghi, trazzera, e ” ‘strata i Santi”, e ridiamo virtualmente vita al Castello di Pietra Rossa. Che i cavalieri, le dame e gli scudieri scendano in campo, armati di mestoli, di antiche ricette e di cannella, per lanciare la sfida sul dolce più buono che l’umanità abbia mai gustato, “duellando” scherzosamente e con gioia, contro le immancabili diffide, urla e alti lai, dei presunti padri adottivi della nissena leccornia, pronti a reclamarne la paternità.

https://bedduviddi.it/la-nascita-del-cannolo-siciliano-tra-storia-e-leggenda/

 

 https://www.mimmorapisarda.it/2024/079.jpg

CANNOLI DI RICOTTA Ingredienti: Pasta: 500 g. di farina 00, due tuorli, 25 g. di alcool, 20 g. di sugna, vino (al posto del vino e l' alcool si può usare del vino rosso invecchiato), sugna per friggere.

Esecuzione: Fare la fontana con la farina e nel centro mettere lo strutto, i due tuorli e impastare con l´alcool e il vino fino ad ottenere una pasta abbastanza consistente.

Fate riposare un pochino la pasta coperta con un tovagliolo (1/2 ora circa).

Tirare poi una sfoglia dello spessore di 2 o 3 mm e tagliare la sfoglia in cerchi di diametro di 10 cm. circa.

Avvolgere ogni cerchio di pasta negli appositi cannelli (un tempo erano di canna, oggi si trovano di latta).

Badare a saldare bene i due lembi di pasta, poi friggere i cannoli in abbondante sugna. Quando saranno dorati, colarli sopra una carta assorbente.

Lasciare raffreddare e poi sfilare i cannoli dai cannelli.

Ripieno: Ricotta, zucchero,canditi tritati, cioccolata a pezzetti.

Esecuzione: mescolare la ricotta con lo zucchero e passare il tutto a setaccio perché deve risultare come una crema.

Aggiungere i canditi e il cioccolato e mescolare bene. Riempire i cannoli, pareggiare le due estremità con la lama bagnata di un coltello e decorare con mandorle brustolite tritate molto finemente. In ultimo spolverare con zucchero a velo.

 

 

 

 

 

CANNOLI AL CIOCCOLATO. Per la pasta: 100g di zucchero 50g di pasta di mandorle un pizzico di sale mezzo bicchiere di latte mezzo bicchiere d’acqua 25g di burro fuso 2 uova 125g di  farina farina per spolverizzare burro per ungere
Per il ripieno: 225g di cioccolato fondente un bicchiere di pa
nna mezzo bicchiere di rum
Per la glassa: una bustina di glassa al cioccolato 15g di pistacchi

Lavorate in una terrina lo zucchero, la pasta di mandorle, il sale e il latte fino ad ottenere un composto omogeneo; incorporate l’acqua, il burro ammorbidito e le uova, aggiungete la farina e lavorate molto bene; coprite la terrina con un panno umido e lasciate riposare l’impasto per un’ora; dividete poi la pasta in cinque porzioni; ungete una teglia e cospargetela leggermente con la farina;

 ricavate da ogni porzione di pasta dei dischi di cm 10 di diametro, adagiateli nella teglia tenendoli distanti tra loro perché durante la cottura aumenteranno di volume; 

mettete la teglia nel forno già caldo per 8 minuti a 220°; quando i bordi dei dischi cominceranno a dorarsi, sfornateli e arrotolateli immediatamente intorno al manico di un cucchiaio di legno con la parte superiore verso l’esterno; per il ripieno, fate scaldare la panna in una casseruola, aggiungetevi il cioccolato ridotto a pezzettini e mescolate fino a che si sarà sciolto e i due ingredienti si saranno amalgamati bene; 

levate subito il composto dal fuoco, unite il rum e lasciatelo raffreddare; poi sbattetelo bene in modo che diventi cremoso; con l’aiuto di una siringa per dolci introducete la crema di cioccolato nei cannoli; fate sciogliere a bagnomaria, a fuoco tenue, la glassa al cioccolato e, con un cono di carta da forno forato nella parte inferiore, decorate i cannoli; tritate i pistacchi e mettete sulla glassa ancora umida; prima di servirli aspettate che ripieno e glassa si siano solidificati. 

 

Una cialda croccante e un cuore di ricotta fresca fresca che si scioglie in bocca. Chi mette piede in Sicilia non può certo perdere l’appuntamento con l’assaggio del cannolo, il dolce tipico più famoso, e più goloso, dell’isola.

I cannoli siciliani, quelli preparati come vuole la tradizione, sono 15-20 centimetri di estasi dolciaria e li si può vedere come un riassunto della regione: la cialda ricorda la terra arsa dal sole; il ripieno custodisce tutti i profumi dell’isola.

Il cannolo ha origini antiche, talmente antiche che spesso la sua storia diventa leggenda e si perde nella notte dei tempi. Quel che è certo è che all’inizio il dolce veniva preparato in occasione del carnevale, ma presto ci si accorse che era un vero peccato poter godere di questa leccornia una sola volta all’anno.

Sembra che il cannolo sia nato a Caltanissetta, su ispirazione di un’antica ricetta romana reinterpretata dagli arabi che un tempo occupavano la città con i loro harem. Leggenda vuole che furono proprio le belle spose dell’emiro a inventare il dolce.

Descrivere il cannolo senza averne uno lì, pronto da assaggiare, è una vera crudeltà. Il dolce è composto da una cialda croccante a forma di tubo che contiene una golosissima ricotta di pecora, alla quale si aggiungono vari ingredienti, dal pistacchio di Bronte alle gocce di cioccolato.

A Palermo il dolce ha le estremità impreziosite da due ciliegie candite e il dorso è guarnito da una fettina di buccia d’arancia. Nella parte orientale dell’isola, invece, è spolverato con una granella di nocciole o di pistacchi. Bisogna anche fare una distinzione tra il cannolo raffinato di città, con la ricotta più fine e spumosa, e quello più “verace” di campagna, ripieno di una ricotta densa, molto meno lavorata.

Qual è il migliore? È questione di gusti e, per scoprirlo, è doveroso assaggiarli tutti.

Salvo Puccio

 

TANTO AMATI DAL DOTT. PASQUANO

Manco a dirlo, il rito del cannolo come impasto di amore e morte, come segno di festa e di abbandono, di ricordo e di rimpianto ha avuto la sua epifania universale l’altra sera con la fiction televisiva del commissario Montalbano. Il professore Carabillò, ovviamente, non veniva neppure nominato, ma la scena sembrava scritta da lui, con il contorno delle parole rubate a Tomasi di Lampedusa. Al commissariato di Vigata, boccascena dei racconti scritti da Andrea Camilleri, il capo chiama nella sua stanza i collaboratori, da Augello a Fazio a Catarella. Sono appena tornati dal cimitero dove hanno accompagnato la salma del dottore Pasquano, il medico legale interpretato per diciotto anni da un attore – il formidabile Marcello Perracchio – morto due anni fa. Prima o poi, la fortunata serie televisiva doveva pur giustificare l’assenza di quella faccia asciutta e ironica, amorevole e beffarda. E come spesso succede nei teatri di maggiore sensibilità la fiction ha assorbito la realtà. Al punto che gli sceneggiatori hanno congegnato una puntata nella quale – all’interno di un giallo appassionante per trama e colori – si è narrata anche la morte improvvisa del dottore Pasquano, la cui popolarità era dovuta essenzialmente a due tormentoni: il linguaggio, confidenziale e spregiudicato, con il quale il medico legale si rivolgeva a Montalbano: “Commissario, ma lei è venuto per rompere i cabassisi?”; e i preziosissimi cannoli davanti ai quali – inesorabilmente, voracemente – l’incontenibile Pasquano allentava ogni freno inibitorio.

https://www.ilfoglio.it/cultura/2019/02/25/news/cannoli-d-amore-e-morte-239852/

 

 

 

 

LA DOLCE RIVALITA' AD OVEST DELL'ISOLA

 

Il momento giusto per gustarli è Pasqua.di Martino Ragusa.Piana degli Albanesi, a 24 km da Palermo, è la patria del cannolo siciliano e meta di pellegrinaggio dei tanti devoti a questo dolce, diffuso in tutta l’isola ma qui capace di raggiungere vette di perfezione. Grazie all’abilità dei pasticceri pianesi e grazie soprattutto alla qualità della ricotta fatta con il latte di pecore allevate su un altopiano a circa 800 metri di altitudine.Nato come dolce di Carnevale, il cannolo una volta era disponibile solo in inverno e primavera.

Da qualche tempo si trova in tutti i mesi dell’anno, e non è detto che sia un bene. Intendiamoci, va benissimo che il periodo di produzione non sia più così ristretto, ma forse si è esagerato con l’allargamento a tutti e dodici i mesi. Ogni siciliano che si rispetti sa che la ricotta è buona solo da dicembre a maggio, quando i pascoli, specialmente quelli di monti e altopiani, si ricoprono di erbe aromatiche capaci di cedere il loro profumo al latte delle pecore. Fuori da questo periodo, si trovano cannoli fatti con la poco pregiata ricotta estiva o con quella congelata.

Tutta un’altra musica, apprezzabile solo da un palato impreparato.Se è disponibile la ricotta giusta, tutto il resto dipende dal pasticciere. Sta a lui trovare l’esatta proporzione tra zucchero e ricotta perché il cannolo risulti correttamente dolce, né insipido né stucchevole. Ed è sempre sua la decisione su come e quanto setacciare la ricotta già zuccherata per ottenere una crema dalla consistenza ideale, con una grana che non sia troppo fine, né troppo grossier. Abilità richiede anche la preparazione della cialda (chiamata “scorza”) fatta con fior di farina, zucchero, strutto, vino, cacao e caffè in polvere.

Ma, come sempre, è la mano di chi prepara e la qualità dell’olio usato per la frittura a decidere il risultato finale.Vale la pena ricordare che il vero cannolo siciliano è lungo dai 15 ai 20 centimetri, ha un diametro di 4 – 5 centimetri, deve essere riempito al momento, perché la ricotta non inumidisca la scorza facendole perdere coccantezza, e deve essere guarnito solo in superficie, sulle due facce, con ciliegie candite o scorza d’arancio candita o pezzetti di cioccolato. All’interno la ricotta deve essere libera da canditi o di cioccolato che ne contaminerebbero la purezza. A Piana degli Albanesi è garantito il “cannolo perfetto”, ma se vi trovate nella parte occidentale della Sicilia vi conviene fare un salto in un piccolo villaggio che da qualche tempo insidia a Piana il primato dei migliori cannoli.

E’ Dattilo, frazione di Paceco in provincia di Trapani, facile da raggiungere perché fornito di svincolo sulla A 29 Palermo – Trapani. La Pasqua Bizantino – Ortodossa di Piana degli AlbanesiChiamata Hora e Arbëreshëvet in arbëreshë, Piana degli Albanesi è tuttora abitata da una nutrita comunità albanese insediata su questo verdissimo altipiano dal XVI secolo. Lingua e tradizioni sono state scrupolosamente mantenute, e la religione è rimasta quella di rito Bizantino – Ortodosso dei primi profughi. La Pasqua viene celebrata con particolare solennità ed è un’occasione veramente speciale per visitare questa splendida cittadina.Ecco un breve calendario delle manifestazioni religiose della Settimana Santa – Domenica delle Palme: Processione del vescovo (Eparca) per le strade del paese in sella a un asino e con una palma in mano. – Giovedi Santo: lavanda dei piedi Venerdì Santo il mattino ed esecuzione di suggestivi canti evangelici tradizionali che narrano la Passione. Il pomeriggio, processione del Cristo deposto nell’urna con esecuzione di canti funebri.- Domenica di Pasqua: sfilata di donne e uomini abbigliati con gli sfarzosi costumi tradizionali Messa solenne di rito Bizantino–Ortodosso nella Cattedrale di San Demetrio, All’uscita della Chiesa e pubblica distribuzione delle uova rosse benedette (vetë të kuqe). Benedizione del Vescovo a tutti i presenti.

https://www.ilgiornaledelcibo.it/i-cannoli-di-piana-degli-albanesi/

 

cannoli siciliani

ALTRA CLASSIFICA SUI CANNOLI SICILIANI

 

Risultati immagini per cannoli cuffaro

RAGUSA

 

Intervista allo chef ragusano Antonio Colombo . Esistono due cialde di cannolo, che di distinguono anche nel nome, l’occidentale e l’orientale. A Palermo utilizzano un impasto a base di aceto di vino rosso mentre nella zona di Ragusa mettiamo il marsala al poto del vino. Anche la crema ha le sue varianti: quella a base di ricotta vaccina e quella in cui è utilizzata ricotta ovina.  Nel lato del Palermitano e del catanese si utilizza di più la ricotta di pecora, in quello di Ragusa di usa più la ricotta vaccina. Io dico sempre che la Sicilia è un po’ il centro del mondo: sono passati li Arabi, i Greci, i Normanni, gli Spagnoli … la Sicilia è stata colonizzata un po’ da tutti. A Modica ad esempio si fa il cioccolato modicano che è stato portato dagli spagnoli secondo la ricetta antica degli Aztechi.

 

 

La Sicilia ha risentito molto delle varie influenze: ad esempio la cassata prima si faceva solo con il marzapane e la ricotta, con la venuta degli Spagnoli si è aggiunto il pan di spagna; le granite si dice che siano di origine araba; le spezie la cannella, le essenze come quelle del gelsomino che ora rientrano, moltissimo nella cucina locale sono state portate sempre dagli arabi.

Anche il cannolo, penso, abbia preso delle pieghe diverse in tutto il suo percorso e secondo delle influenze dei popoli.

In Sicilia, del resto, è tutto così: basta spostarsi di dieci chilometri in dieci chilometri e troviamo una varante diversa di pensiero, dialetto, cultura… Tornando al cannolo e alle sue usanze, va detto che anche la frittura viene fatta in modo diverso di zona in zona.

Nella zona di Ragusa si frigge con l’olio di oliva: noi abbiamo l’IGP dei monti iblei che è un olio fantastico. Mi ricordo che ancora mia nonna  diceva “friggo nell’olio buono” che altro non era che quello di oliva.

Nel palermitano i cannoli  friggono, invece,  bello strutto,  che essendo grasso animale, che ha un punto fumo maggiore, conferisce una fragranza diversa, ha un sapore più intenso e perfino il colore risulta diverso, più scuro.

Le varianti proseguono se si passa a guardare gli ingredienti aggiuntivi: c’è chi mette pistacchio, chi le mandorle, chi il cioccolato, chi l’arancia.

 

 

Anche la gradazione zuccherina non è da meno: noi, nella zona di Ragusa, siamo abituati a zuccherare il ripieno  zuccherarla un po’ meno rispetto al palermitano. Lì  ci sono pasticcerie che fanno addirittura metà zucchero e metà ricotta: i cannoli più famosi, quella della piana degli Albanesi- una zona  delle masserie dove si produce la ricotta più buona- sono grandissimi  e con un tasso zuccherino elevatissimo.

Per me il cannolo è sacro: io lo servo come si vede nelle pasticcerie tradizionali. Non amo l’idea del cannolo scomposto o destrutturato: il cannolo nasce cannolo  e deve essere mangiato come tale. Io faccio la cialda di cannolo semplice con ricotta vaccina zuccherata solo al 10% aromatizzata con semi di vaniglia e buccia di limone grattugiata. La cialda è impastata con Marsala, farina di grano duro, uova e strutto e polvere di caffè per dare una colorazione ambrata ed una diversa aromaticità.

 Da un lato metto la scorzetta di arancia candita e dall’altro pistacchio di Bronte tostato e tritato. Servo il cannolo con accanto una zuppetta di vaniglia e una pallina di gelato al pistacchio. A me piace il gioco delle consistenze e dei contrasti quindi l’idea dell’alternanza di croccante e di cremoso con la zuppetta che avvolge tutto ed il gelato che crea una sorta di choc termico.

Chef Antonio Colombo

https://www.calendariodelciboitaliano.it/2017/04/28/intervista-chef-antonio-colombo/

 

 

 

Il cannolo siciliano nello spazio

Un cannolo nello spazio. L’impresa, il cui video sta spopolando su Youtube, è di un gruppo di ragazzi ennesi che hanno deciso di fare concorrenza ai tecnici della Nasa utilizzando come testimonial uno dei simboli più noti del made in Sicily. L’originale iniziativa è stata messa a punto da due filmaker, Antonella Barbera e Fabio Leone, che insieme all’ informatico con la passione per l’elettrotecnica Paolo Capasso hanno lavorato al progetto. Il cannolo è stato posizionato su un pallone sonda, riempito di elio e dotato di una microcamera per documentare il successo dell’impresa. Il lancio, autorizzato con una richiesta al 41/o StormRisultati immagini per cannolo nello spazioo di Sigonella, è avvenuto il 2 febbraio scorso nonostante le avverse condizioni meteo.

Come “base” per il countdown è stata scelta la Rocca di Cerere, la montagna che sovrasta Enna. Sul drone, grazie all’ingegnosità di Capasso, è stato montato un Gps che ha consentito di seguire il tragitto della “navicella” fino alla stratosfera, a quasi 30 mila metri d’altezza. Il pallone, che al suo interno aveva un paracadute, ha sorvolato la zona del catanese per virare poi verso la Sicilia occidentale prima di atterrare “dolcemente” con il suo carico a Bompietro, un paese delle Madonie in provincia di Palermo, dove il cannolo è stato recuperato. Un’operazione nello spazio perfettamente riuscita, a metà tra l’esperimento scientifico e l’iniziativa goliardica. “Il nostro Sicilian Space Program - spiegano i quattro ideatori - è nato da una scommessa, dalla decisione di metterci alla prova. Un regalo ai siciliani che è anche un modo per farli sorridere. Un’azione performativa che appare come nonsense, ma che proprio per questo incuriosisce e porta la gente a cliccare il nostro video su Youtube”. (ANSA).

 

dicono che se non lo mangi è uno "sgabbo"

 

 

 

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E’ il dolce per eccellenza, una prelibatezza che non conosce vie di mezzo: o la si odia o la si ama appassionatamente. E’ sicuramente impegnativa, sia per la preparazione che per il consumo, vista la ricchezza degli ingredienti e l’elevatissimo apporto calorico.

Si può dire che certamente la cassata è il dolce che più di tutti racchiude in sé il patrimonio gastronomico apportato da dominazioni e da culture diverse da quella italiana. La ricetta della cassata è stata tramandata attraverso i secoli raccogliendo via via nuovi ingredienti, applicazioni di nuovi metodi, usi e esperienze diverse; qualunque civiltà sia passata in Sicilia ha lasciato tracce di sè in questo dolce meraviglioso e opulento.

L’origine del nome è dato dall’arabo “quas’at”, cioè “ciotola”, il recipiente rotondo nel quale veniva cotta la Cassata, ma potrebbe anche derivare dal latino “caseum”, formaggio, di cui è composto il ripieno.

 

Il primo a cimentarsi in questa preparazione è stato, a Palermo nell’anno 1000, nel periodo della dominazione araba, il cuoco dell’Emiro della Kalsa. La cucina saracena usava ingredienti fino ad allora sconosciuti nel territorio siciliano: la canna da zucchero, il limone, l’arancia amara, il mandarino; fu facile unirli alla ricotta, che veniva prodotta in Sicilia già dai tempi della Preistoria, assieme alle spezie e agli aromi, sempre portati dagli Arabi. In principio fu solo un involucro cotto al forno di pasta frolla ripiena di ricotta, zucchero, agrumi e aromi , e questa versione essenziale esiste ancora e si chiama , appunto, Cassata al forno.

Dopo gli Arabi arrivarono i Normanni, e fecero conoscere la lavorazione della Pasta reale, o pasta di mandorle, e allora questa pasta sostituì, arricchita di altri aromi e coloranti naturali, l’involucro di pasta frolla usato fino ad allora, e la Cassata divenne definitivamente una preparazione a freddo.

Arrivarono poi gli Spagnoli, e regalarono alla cucina siciliana cioccolato e Pan di Spagna, e l’età Barocca inserì nella preparazione della Cassata la frutta candita, che a questo punto fu completa e pronta per essere tramandata nella sua ricchezza dalle ricette delle famiglie nobili siciliane, ma soprattutto dalle suore dei numerosi conventi, che da sempre sono depositarie delle migliori ricette e dei segreti della cucina tradizionale.

La Cassata era un dolce così importante per la cultura siciliana dei secoli passati, che addirittura esisteva un documento, stilato dal Sinodo dei Vescovi di Mazara, riunito nell’anno 1575, che ne stabiliva la preparazione e il consumo come rituale necessario nel giorno di Pasqua.

Nei nostri giorni, la Cassata rimane l’orgoglio delle vetrine dei pasticceri palermitani, e la preparazione che, con le sue decorazioni baroccheggianti, più di qualsiasi altra rimanda gli echi dell’opulenza della storia passata. Non è difficile dire che si può gustare un’ottima Cassata in molte altre zone d’Italia, per quanto però quella prodotta in Sicilia può contare sugli ingredienti freschi che si trovano sul posto, primo fra tutti la ricotta, e quella dell’Isola è davvero la migliore che si possa utilizzare.

Con un po’ di conoscenza delle tecniche e soprattutto con un’ottima manualità, si può senz’altro provare a fare in casa una dignitosa Cassata siciliana; ci vuole tempo a disposizione e pazienza.

 

 

 

 

 

Cassata siciliana, la sua storia dalla dominazione araba ai giorni nostri

08/05/2017 Carmen Bilotta

Insieme al cannolo, la cassata è tra i simboli indiscussi della Sicilia e capolavoro della sua pasticceria più raffinata. La sua celebrità, costruitasi in secoli di storia, ha oltrepassato i confini nazionali e si è affermata in tutto il mondo.

Come per tante altre specialità siciliane tra cui la pasta, le arancine, il gelato, la pasta di mandorle, l’allevamento del bufalo d’acqua e, in parte, il torrone, anche la cassata siciliana è stata imitata in gran parte d’Italia.

Dolce calorico, ma anche irresistibile e scenografico, è composto da pan di spagna imbevuto di liquore, pasta di mandorle e pasta di pistacchio, con un ripieno di ricotta e gocce di cioccolato, vaniglia e pistacchi. Termina l’opera, una copertura irresistibile composta da glassa di zucchero e canditi disposti a forme geometriche o floreali.

 

 

Anche se oggi la troviamo nella pasticcerie tutto l’anno, sembra che la cassata fosse un dolce tipico della tradizione pasquale, tanto che un detto popolare recita:

 Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua” (Povero chi non ha mangiato la cassata a colazione la mattina di Pasqua).

 Mangiare una fetta di cassata è come mangiare una fetta di storia: le sue origini, infatti, sono antichissime. Come spesso accade, anch’essa nacque per caso perchè doveva essere una specie di zuccotto di cacio fresco, successivamente sostituito dalla ricotta.

 La cassata siciliana, tra leggende e realtà storiche

Per quanto riguarda l’origine del nome, si ritiene che possa derivare o dal latino “caseus” (formaggio) o, più probabilmente, dall’arabo “q’asat” che indica una scodella rotonda e profonda.

 Qualcuno narra l’episodio di un pastore arabo che una notte decise di mescolare la ricotta, formaggio prodotto in Sicilia già da diverso tempo, con lo zucchero o forse il miele, e di chiamare questo dolce “Quas’at“ facendo riferimento alla bacinella o alla ciotola usata per l’impasto.

 Altri raccontano, invece, che mentre il “saracino” impastava quegli ingredienti in un pentolino di rame, abbia risposto “qas’at”, il nome arabo del pentolino, a un siciliano che gli aveva chiesto, in realtà, il nome del dolce.

 Il termine “cassata” compare per la prima volta nel XIV secolo, nel Declarus di Angelo Sinesio (1305-1386), il primo abate del grandioso monastero di San Martino delle Scale, autore anche del primo vocabolario siciliano-latino. Alla voce “cassata” si legge: “cibus ex pasta panis et caseus compositus”, cioè cibo composto da pasta di pane e formaggio, probabilmente un insipido cacio come la ricotta, dolcificato con il miele e racchiuso in un involucro di pasta di pane prima, di essere infornato.

 Dalla cassata al forno alla cassata siciliana

In questo dolce, è racchiusa tutta la storia della Sicilia e delle sue dominazioni, dalle quali derivano tante innovazioni e contaminazioni tra culture diverse.

 Due sono le versioni della cassata, solo apparentemente diverse tra loro dato che vantano la medesima origine: la cassata al forno e la cassata siciliana.

 Per raccontare tutta la storia della cassata siciliana, bisogna risalire alla Palermo del periodo arabo, in quell’epoca, considerata la città più grande d’Europa. La coloratissima variante del dolce che oggi conosciamo non è altro che l’evoluzione della cassata al forno, nata in epoca normanna.

 Ma partiamo dall’inizio. Correva l’anno 827 quando, in Sicilia, iniziò la conquista araba che si protrasse per oltre 200 anni. Gli arabi, tra il IX e il XI secolo lasciarono segni profondi del loro passaggio nell’isola, influenzandone cultura, storia, arte e anche la cucina. È grazie a loro che furono introdotti cibi come il pistacchio, il limone, il cedro, l’arancia amara, la mandorla e, soprattutto, la canna da zucchero.

 In Sicilia, già da tempi più antichi, si produceva la ricotta la quale, unita ad altri ingredienti della cultura gastronomica araba, diede vita ad un dolce costituito da un involucro di pasta frolla, contenente un ripieno di ricotta, che veniva cotto in forno. In particolare, fu alla corte dell’Emiro, in piazza Kalsa a Palermo, che i cuochi decisero di avvolgere l’impasto di zucchero e ricotta con una sfoglia di pasta frolla e di cuocere il tutto al forno. Nacque così la prima vera versione della cassata che, gradualmente, si evolse fino ad assumere la fisionomia di quella più ricca e non infornata che oggi tutti conosciamo.

 Come testimonia anche il Nuovo dizionario siciliano-italiano di Vincenzo Mortillaro, ancora nel 1853, per “cassata” si intendeva prevalentemente quella al forno, mentre quella ricoperta di glassa e frutta candita si affermerà solo a partire dalla fine del XIX secolo.

 Sempre sotto la dominazione normanna, presso il convento della martorana a Palermo, le suore inventarono la pasta reale o pasta martorana, a base di farina di mandorle.

 Nel Settecento, la cassata inizia a subire delle trasformazioni. Nel corso della dominazione spagnola, da Genova, arrivarono in Sicilia il pan di Spagna che sostituì la pasta frolla e il cioccolato che venne aggiunto in scaglie alla ricotta. Con la pasta martorana vennero create delle decorazioni alle quali si aggiunsero anche quelle create con la frutta candita , la “zuccata” a base di zucca, e la glassa di zucchero.

 È attraverso questo percorso, dagli arabi alle monache fino agli spagnoli, che si giunge alla versione coloratissima della cassata che oggi conosciamo, e che fu codificata nel 1873 dal pasticciere palermitano Salvatore Gulì. Fu proprio lui a introdurre nella ricetta la “zuccata”, coltivata dalle abili suore della Badia del Cancelliere di Palermo.

 Fu proprio Gulì che uso il termine “cassata siciliana” e, per incrementarne la vendita, ne creò una “ricca di ogni sorta di ben di Dio di produzione della Casa!”. Il successo fu immediato perché quel trionfo barocco, meglio ubbidiva alla gran voglia di esprimere l’esuberante sensualità siciliana.

 Nel “Vocabolario siciliano etimologico” di Michele Pasqualino, edito nel 1785, la cassata viene definita “specie di torta fatta di ricotta raddolcita di zucchero con rinvolto di pasta anch’essa raddolcita e fatta a forma rotonda”.

 La cassata come dolce di Pasqua, già da qualche secolo era una realtà: nel 1575, infatti, il sinodo della diocesi di Mazara del Vallo aveva proclamato la cassata come pietanza ufficiale della festa, vietando ai vari ordini monacali di prepararla durante il periodo che precedeva la festa religiosa, per non incorrere in tentazione.

 Fuori dall’isola, la variante più famosa è certamente la cassata napoletana, meno decorata e caratterizzata da un pan di Spagna bagnato con il liquore Strega o con il maraschino.

https://www.gazzettadelgusto.it/cibo-e-storia/la-cassata-siciliana-storia/

 

 

La cassata siciliana non è un dolce poi così difficile da preparare: basta avere a disposizione gli ingredienti giusti (esempi: la ricotta di pecora che deve essere freschissima e qualche mandorla amara per dare più sapore alla pasta di mandorle del rivestimento) e partire qualche giorno prima con la preparazione del pan di spagna e della pasta di mandorle. Quest'ultima può essere preparata con largo anticipo (anche di diversi giorni) e conservata in frigorifero in un contenitore ermetico. Il pan di spagna, invece, può essere preparato due giorni prima. Gli ultimi due giorni, infine, potreanno essere dedicati al montaggio e alla decorazione della cassata.
Detto questo, passiamo agli ingredienti: un pan di spagna di ventisei cm di diametro; della pasta di madorle (dose da due etti di mandole) un terzo colorata lasciata al naturale e due terzi colorata di verde; 300 gr di ricotta di pecora freschissima; 100 gr di gocce di cioccolato di prima qualità 100 gr di zucchero a velo per la crema di ricotta (regolarsi nella quantità precisa a seconda dei propri gusti); della glassa a freddo (dose da 350 gr di zucchero a velo) e dello zucchero a velo (cento grammi almeno) per "infarinare" piano di lavoro e mattarello mentre si stende la pasta di mandorle; frutta candita mista intera (per la cassata della foto ho usato: mezzo mandarino, del cedro, della zucca, delle ciliege); della bagna per dolci preparata mettendo a bollire 200 gr di acqua con due cucchiai colmi di zucchero e un la buccia di un limone non trattato fino a quando l'acqua non si sia ristretta più o meno della metà (questo sciroppo, una volta raffreddato, va diluito con una quantita' uguale di maraschino o altro liquore a scelta).

Servono poi alcuni attrezzi irrinunciabili: uno stampo in cui comporre e fare riposare la torta, un mattarello per stendere la pasta di mandorle, della carta forno per preparare un cono di carta.
1) Stendere la pasta di mandorle verde, "infarinando con abbondante zucchero a velo", in modo da ottenere un disco di un paio di centimetri più largo del fondo dello stampo che si intende utilizzare e rivestirlo con questo come nella foto. Per facilitare l'estrazione della cassata, è opportuno rivestire lo stampo con una pellicola trasparente, prima di quest'operazione.
2) Stendere poi la restante pasta di mandorle (sia bianca che verde) e ricavarne dei rettangoli di uguale larghezza. Rivestire quindi le pareti dello stampo .
3) Tagliare il pan di spagna a fette il più possibile regolari...
4) ... e rivestire lo stampo con queste. Bagnare quindi il pan di spagna con la bagna per dolci, ricordandosi di non lesinare sulla quantita' di questa: il pan di spagna è molto spugnoso e, usando una quantità scarsa di bagna, risulterebbe irrimediabilmente asciutto.

5) Riempire quindi il centro dello stampo rimasto vuoto con la crema di ricotta preparata mescolando bene questa allo zucchero a velo e, una volta che questo si sia ben incorporato, aggiungendo le gocce di cioccolato. Ricoprire quindi con altre fette di pan di spagna e bagnare ancora con bagna.
6) Coprire bene con della pellicola trasparente e lasciare riposare qualche ora ALMENO in frigo (meglio se per tutta una notte). Per migliorare l'estetica finale del dolce, si puo' mettere un piatto sopra allo stampo e, su questo, un peso (per esempio, una pentola piena di acqua).
http://www.gennarino.org

 

 

 

La pasticceria siciliana deriva, in gran parte, da quella conventuale: tra questi merita di essere ricordato il Monastero delle Suore benedettine della Martorana in Palermo dove si originano questi “frutti” prendendone il nome. Dolci che all’origine ebbero la forma di frutta, poi, man mano conosciuti da tutti, vennero per imitazione dei pasticceri sparsi nell’Isola appositamente preparati per alcune ricorrenze, in particolare per la commemorazione dei Defunti, occasione per farli trovare ai bambini quale “regalo dei morti”, da loro lasciati durante la notte. Col tempo, ed a seconda delle tradizioni locali che si andavano affermando, ecco che questa pasta assumerà forme diverse, tra le quali le pecorelle per la Pasqua. Ma come erano fatti questi frutti di Martorana (primo nome che ebbero), o di pasta reale (sinonimo, assunto successivamente, per magnificarle il valore)? Semplicemente con mandorle crude, pestate fino a farina, unite a pari peso di zucchero; l’impasto. Leggermente asciuttato dopo una delicata cottura, viene sistemato in appositi stampini o formelle; quindi i “fruttini”vengono sfornati ed infine dipinti con colori vegetali per renderli quanto più sinili al frutto vero che si vuole imitare. La pasticceria siciliana ne ha fatto un suo cavallo di battaglia, perfetta la forma realistici i colori, morbida ed aromatica la pasta.

 

 

L'aspetto e' quello della frutta - gli stessi colori, le stesse forme: ad un primo sguardo puo' essere scambiata per frutta vera.
Ed, invece, la frutta di Martorana e' fatta con una miscela di mandorle e zucchero - il marzapane - che fu importato dagli arabi in Sicilia nel Duecento.
La pasta di marzapane si prepara pestando le mandorle finemente assieme allo zucchero e, talvolta, con aggiunta di miele. L'impasto viene legato con albume d'uovo ed aromatizzato con fiori d'arancio e vaniglia. La temperatura a cui avviene questa operazione cambia l'aspetto ed il risultato del prodotto: se l'impasto si prepara a freddo si ottiene la pasta di mandorle; se si prepara a caldo, a fiamma bassa fino a quando lo zucchero non si scioglie completamente fino a scomparire, allora si ottiene il marzapane.

 

 

 La tradizione delle famiglie palermitane di acquistare questi dolci novembrini si diffuse ben presto in tutta la Sicilia ed oggi la frutta di marzapane e' diventata una vera e propria arte.
L'artigiano deve essere molto bravo sia nelle qualita' creative (per dare forma e colore ai dolci), sia in quelle di pasticciere perche' l'impasto va lavorato con grande abilita' e rapidita' per evitare che durante la preparazione l'olio di mandorla di cui e' intrisa la pasta venga in superficie.
La lucidatura finale, dopo il tocco dei colori, viene effettuata con uno strato molto sottile di gomma arabica.
Ogni provincia della Sicilia ha i suoi bravi artigiani-pasticciere e, durante il periodo delle feste, e' possibile ammirare le vetrine dei laboratori e delle pasticcerie ornate da grandi canestri colmi di frutta martorana.

 

 

 

 Ingredienti: 250 g. di farina di mandorle; 1 Kg. di zucchero; 200 g. di glucosio; coloranti per dolci; gomma arabica.

Preparazione: Mescolare la farina di mandorle con lo zucchero ed il glucosio e versare il tutto in una pentola. Mettere sul fuoco a fiamma bassa mescolando sempre e togliere il composto prima che arrivi ad ebollizione. Versare su un piano (possibilmente di marmo) e lasciare raffreddare.

Lavorare il composto come per la pasta fatta in casa. Con le mani prelevare dei pezzetti di pasta, dare le forme più svariate di frutta, metterle al forno a calore medio; ritirarle quando presentano la doratura in superfice.

Colorare con le varie gradazioni di colore per dolci e, per dare lucentezza, lucidare con gomma arabica sciolta in acqua.

 

Pere Coscia. Vere? no!

 

 

https://www.mimmorapisarda.it/2023/457.jpg

 

 

 

di Melania Mertoli

 

Tra Rame di Napoli, Ossa di Morto e Totò, questa festa rischia di essere un attentato alla nostra linea. Curiosità sulle loro antiche origini

In questo mese, in tutti i bar, panifici e pasticcerie di Catania si possono trovare vere e proprie leccornie, orgoglio della nostra antica tradizione gastronomica. Sono buonissimi, ricchi di sapori e odori. Ma li conosciamo veramente ? Sappiamo da dove derivano e perché si chiamano così ? I più venduti sono Rame di Napoli, seguiti da Ossa di Morto e Totò, ma anche Piparelle e ‘Nduzzi non sono da meno. Cominciamo dai Rame di Napoli. Sono biscotti ricoperti di cioccolato scuro fondente o bianco, eseguiti in due versioni: semplici e ripieni con la marmellata di albicocche. L’ultima versione li vuole con la Nutella all’interno, cosa che potrebbe far perdere il vero gusto ai nuovi conoscitori di questi dolci.

Una curiosità che li riguarda è che, mentre qui a Catania sono ultra conosciuti, a Napoli li sconoscono. Strano, no ? Noi lo abbiamo appurato telefonando alla pasticceria Scaturchio, la più antica della città – risale al 1903 - e chiedendo anche ad alcuni napoletani. Non ne hanno mai sentito parlare. E allora il loro nome da cosa nasce ? “ Da un atto di stupido vassallaggio che noi catanesi abbiamo tributato a Napoli. Per fare onore a questa città, al tempo del regno delle due Sicilie – ci spiega il gastronomo e scrittore Pino Correnti –. Ma Napoli di questo dolce non ne sapeva niente”. La dimostrazione di ciò risiede nel fatto che tutt’oggi nella città partenopea non sanno cosa siano. I “Totò” – diminutivo siciliano del nome Salvatore – sono simili ai Rame di Napoli, ma anziché essere ricoperti di cioccolato fondente, sono ricoperti di cioccolato liquido e hanno una forma diversa.

Passiamo alle “Ossa di morto” - chiamate anche “Pasta di garofano”. Questi biscotti sono formati da una parte chiara e una scura, quest’ultima messa sopra quella chiara, fatta con la stessa pasta e alla quale viene data la forma di piccole ossa una forma diversa.

Gli “’nzuddi”, - “Zulle” nella lingua italiana - di cui ci sono due versioni, con le mandorle, più secche o ricoperte al miele, più morbide. Il loro nome deriva da Vincenzo Bellini come tiene a sottolineare il critico gastronomico Pino Correnti, che facendo ricerche in materia è risalito al periodo in cui il cigno catanese, all’età di 6 anni, “componeva la sua prima cantica, sgranocchiando questi dolci ai quali in seguito fu dato il suo nome”.

Vincinzuddu Bellini è nato il 2 novembre 1801 e a lui, oltre alla pasta alla norma, dobbiamo attribuire anche questo dolce.

La nostra gastronomia offre anche le “Piparelle”, cioè biscotti a forma di fettine di pane, eseguiti con ingredienti naturali quali farina, cioccolato, albumi d’uovo, mandorle e pepe nero, che si possono gustare inzuppandoli nel vino o nel mosto.

Questo è il periodo in cui si preparano anche i “cannistri” - o canestri – che si possono regalare ad amici e parenti, in cui si mettono questi dolci, decorandoli con la frutta martorana, fatta di marzapane. Incredibilmente somigliante a quella vera, viene data loro forma di castagne, nespole, fichidindia, ma anche frutti di mare e pesci, tutti incredibilmente dolci.

Chiudiamo il quadro delle delizie che vengono prodotti in questa ricorrenza con i “Bersaglieri”, biscotti ai quali viene conferita la forma di bastoncini ricoperti di cioccolato e i “Regina”, fatti come i primi, ma ricoperti di glassa bianca.

A buon intenditor, …………….

 

RAME DI NAPOLI

Questo e' un dolce tipico catanese consumato per le festività dei defunti.
Si tratta di un biscotto dal cuore morbido al cacao, ricoperto da una glassa di cioccolato fondente, delicatamente speziato.
Racchiude in se' un misto di aromi e odori che rende davvero speciale questo biscotto, tanto che chiamarlo biscotto mi sembra come sminuirlo, visto che il sapore mi ricorda tanto la sopraffine torta viennese Sacher!
Vaniglia, cannella, chiodi di garofano e un aroma di arancia mischiati al sapore di cioccolato rendono questo dolce particolare e un prodotto di fine pasticceria, che spesso i Catanesi sottovalutano, anche perché il prodotto negli anni ha perso di qualita' : difficile trovare un biscotto morbido ed equilibrato nel sapore, i biscotti usati per l'impasto sono spesso prodotti di scarto, e le rame che da noi si trovano in questo periodo nei supermercati e forni sono prodotti e distribuiti in maniera industriale.

Non si conosce con certezza ne il luogo di provenienza ne la data esatta, ma una cosa certa e' che i Napoletani non ne hanno mai sentito parlare.
Esistono varie ipotesi sulla loro origine, dal nome dato dal pasticcere Napoli inventore di questa ricetta, ad un atto di stupido vassallaggio che noi Catanesi abbiamo attribuito a Napoli e per fare onore a questa citta' al tempo delle due Sicilie, come spiega il gastronomo scrittore Pino Correnti.
Altra ipotesi, sempre collocata al Regno delle 2 Sicilie sotto l'impero Borbonico, e' che con l'unificazione del Regno di Napoli con il regno di Sicilia venne coniata dal re Carlo di Borbone una moneta con la lega del rame, materiale povero che dovette sostituire l'oro e e l'argento.
Cosi' il popolo, riprodusse in cucina le monete di rame, utilizzando ingredienti poveri.
La ricetta e' stata nel tempo modificata e arricchita con aggiunta di uva sultanina, scorzette di arancia candita, nutella, ma l'antica ricetta prevedeva semplicemente: farina, cacao amaro, zucchero, ammoniaca, strutto e marmellata d'arance.
Era usanza prepararli per le festivita' di ognissanti perche', come da tradizione , venivano regalati ai bambini, i cui genitori spiegavano che fossero i regali portati loro dai parenti trapassati, per essere stati buoni durante l'anno.
RICETTA
Questa che vi propongo e' la ricetta piu' buona mai provata in questi anni, modificata dalla mia mamma. A mio parere sapore e forma che rispecchiano in pieno il loro "antico" sapore... La "esse" sopra, disegnata con del cioccolato bianco, per ricordare quelle mangiate da bambina: decorazioni artigianali ormai sostituite da polvere di pistacchi sulla superficie.
500 gr. di farina 00
200 gr. di zucchero 2 uova 75 gr. di strutto (sciolto) 50 gr. di burro (sciolto) un cucchiaio scarso di miele 1 cucchiaio di marmellata di arance o albicocche 100 gr. di cacao amaro chiodi di garofano pestati e ridotti a pezzettini cannella vaniglia 100 gr. di biscotti secchi (frollini o tipo saiwa) 5 gr. di ammoniaca latte qb

PER LA COPERTURA: cioccolato fondente burro (Le proporzioni sono 50 gr. di burro per 200 gr. di cioccolato)
Mettere i frollini dentro una ciotola con del latte fino a farli diventare una crema. Impastare tutti gli ingredienti come per una normale frolla con le mani. Soltanto alla fine, aggiungere del latte e mescolare con un cucchiaio di legno fino ad ottenere una consistenza simile a quella della crema pasticcera. Lasciare riposare per circa 1 ora.
Procedimento
Rivestire una teglia per biscotti con della carta forno (i biscotti non vanno cotti sulla lastra imburrata ed infarinata), disporre l'impasto a cucchiaiate distanziando e dando la forma di un ovale.
Cuocere a 150 C' per circa 10/15 minuti. Lasciare raffreddare. Fondere il cioccolato con il burro a bagnomaria, deve risultare molto liquido, questo per avere una superficie liscia e in modo che ci sia soltanto un velo di glassa sulla superficie. Immergere i biscotti capovolti impugnandoli con il pollice e l'indice dentro la glassa, girarli e adagiarli sulla carta per farli asciugare. Decorare o cospargere con polvere di pistacchi.
http://sognidizucchero.blogspot.com/2008/10/tradizione-catanese-le-rame-di-napoli.html

 

OSSA DI MORTO

Questa è la storia di un anziana donna siciliana.
Il suo cortiletto, che ricorda l' aia di un tempo, è adornato da numerosi canneti su cui posano, disposti in maniera precisa e allineata... quasi maniacale, i frutti di un estate ormai passata.
"Conservare" l'abbondanza significa per lei non sprecare nulla ed impiegare il suo tempo, per poi ritrovare sulla tavola d'inverno i sapori del suo orto che ha amorevolmente curato durante l'estate.
Andarla a trovare è sempre un momento speciale... soprattutto per i miei bambini che tornano spesso a casa con un ovetto caldo tra le mani.
La guardo mentre imbottiglia le sue conserve di pomodoro e i miei occhi cadono sulla corona di fichi secchi, talmente bella da sembrare una collana preziosa e sulle formelle di mostarda di fichi d'india anch' esse messe a seccare.
In un angolo vedo un enorme vassoio con dei tocchetti bianchi coperti da velo... per quanto potessi dar sfogo alla fantasia mai avrei potuto immaginare di cosa potesse trattarsi.
Cosi' timidamente chiesi e l'anziana donna, sorridendo e asciugando le mani nel suo grembiule si dirisse dentro casa ed usci' fuori con una scatola di latta.
Apri' la scatola e dentro vidi qualcosa di molto familiare:Biscotti!
Non capendo l'attinenza alla mia domanda ne presi uno e comincia a sgranocchiarlo.
Lei riprese il suo lavoro e con un sorriso come per dire... "Questi ragazzi di oggi!", disse:

- "I biscotti che mangi sono gli stessi che vedi stesi al sole".

I tradizionali biscotti Ossa di Morti sono biscotti fatti seccare al sole?
Capite bene che non potevo andar via senza estorcere la ricetta, troppo particolare troppo strana!

Le ossa dei morti sono dei dolcetti che qui in Sicilia insieme alla rame di Napoli e ai toto' si comprano e regalano durante il periodo della commemorazione dei defunti.
A dire il vero dall'inizio di ottobre si trovano nei forni e dentro le pasticceria ed e' molto facile tornare a casa con un sacchettino pieno di biscottini da sgranocchiare magari d'avanti alla tv proprio come per i pop- corn!
Molto dolci, speziati e croccanti hanno qualcosa che ricorda il torrone... con sopra questo guscio vuoto bianco che quando si addenta si frantuma come vetro.
Non è quindi un caso che girovagando sul web ho spesso trovato ricette che prevedevano meringa e mandorle... ma nella ricettina della vecchina di tutto questo nemmeno l'ombra!
INGREDIENTI 1.200 kg di zucchero 1 kg di farina 00 300 ml d'acqua un cucchiaino di cannella un cucchiaino di chiodi di garofano tritati finemente ( io ho dimezzato gli ingredienti impastando 500 gr. di farina)

PROCEDIMENTO In un pentolino portare quasi a bollore l'acqua spegnere la fiamma e mettere dentro lo zucchero mischiando con un cucchiaio (non otterrete un vero e proprio sciroppo visto che lo zucchero sarà molto di più rispetto all'acqua). Impastare la farina e le spezie con l'acqua e lo zucchero fino ad ottenere un impasto liscio ma ben sodo.
Sul piano infarinato formate un filoncino e tagliate a tocchetti di circa 3 cm o la forma che più vi piace considerando che questa verra' mantenuta durante la cottura.
Io ho decorato ogni tocchetto imprimendo la forma di una forchetta.
A questo punto posizionarli su un vassoio coperto da carta forno e far asciugare al sole per almeno 3 giorni coprendo con del velo. Non dovrete mai girarli. Infornare a 180 c' su carta forno, distanziando bene tra loro, fin quando vedrete uscire dalla base del biscotto lo zucchero sciolto che tenderà a caramellarsi. I biscotti si staccheranno facilmente quando saranno freddi.

Perché succede questa magia? La vecchietta non mi ha spiegato ma per logica mi sembra di aver capito che il sole colpendo i biscotti asciughi quasi pietrificando la superficie mentre la base a contatto con la carta forno anche il terzo giorno risulta essere ancora umida. Durante la cottura lo zucchero tende a sciogliersi e trova come unica via di fuga la base del biscotto lasciando questo scheletro di farina praticamente intatto.
Come risultato un guscio bianco vuoto fortemente aromatizzato alla cannella su una base caramellata che nell'insieme risulta davvero piacevole.

Quindi la meringa su base mandorlata un mito da sfatare o semplicemente ricetta revisionata di qualcosa che all'origine era ben altro?
Una cosa è certa il sapore e la consistenza è proprio quella dei biscottini che ho sempre mangiato, il guscio sopra non mi è mai sembrato una meringa e la base caramellata che si attacca ai denti può davvero trarre in inganno dando l'impressione di star mangiando un biscotto a base di mandorle!

http://sognidizucchero.blogspot.com/2009/09/ingredienti-zucchero-farina-acqua-e.html

 

PIPARELLE

Sono tipiche del messinese
ma di certo le trovi anche qui a Catania nei panifici, sono come i cantuccini ma con l'aggiunta del pepe nero. Io ho trovato questa ricetta presa dal forum del sito Cookaround anche se è fatta per il Bimby. Io non l'ho ancora fatta (il Bimby non ce l'ho quindi mi arranger) ma te la posto lo stesso:

Ingredienti: 500g farina 00, Scorza essiccata di 1 arancia, scorza di 1 limone, 1 chiodo di garofano, 150g di milele, 150g di zucchero, 200g di mandorle tostate con tutta la pelle (anche 300g, diciamo che più se ne mettono meglio è), 2 tuorli, 1 cucchiaino di pepe nero macinato, 150g margarina, 10g bicarbonato

Procedimento: MAcinare nel boccale le scroze d'arancia e limone, il chiodo di garofano, vel 10 30 sec. aggiungere zucchero e milele 5 min 100 vel 3, aggiungere margarina 30 sec vel 3, aggiungere farina, bicarbonato e pepe 2 min vel 6 aggiungere le mandorle tostate e spatolare bene. Formare 2 filoni che andranno posizionati in teglia con cartaforno ben distanziati. Infornare a 160 30 minuti, tagliare tiepidi e rimettere in forno a 150 5 minuti, spegnere il forno e lasciarli raffreddare dentro al forno.

TOTO'

kg di mandorle pelate 1kg di zucchero 1kg di farina Acqua q.b. per la glassa: gr 250 di acqua gr 400 di zucchero gr 100 di cioccolata fondente tempo per la preparazione 40 min. cottura 20 min

Tritare le mandorle fino a ridurle quasi in polvere ( due o tre colpi di turbo col bimby possono bastare) Unire lo zucchero, la farina e impastare con poca acqua tiepida, finchè l'impasto risulta abbastanza consistente. A questo punto formare delle palline e sistemarle in una teglia unta, far cuocere in forno a calore moderato per 15-20 min.
In un pentolino far bollire 250gr di acqua, aggiungere lo zucchero, farlo sciogliere e unire la cioccolata: appena questo sciroppo e ' ben omogeneizzato, immergere le palline a poco a poco, per 3 min., farle asciugare su una base, finchè la glassa nn si solidifica......ammuccamu!!!!!

 

 

'Nzudri e Vincenzo Bellini

Le bancarelle per la festa dei morti in Sicilia si riempiono dei dolci più buoni che le mani e le menti dei pasticcieri nostrani hanno elaborato e prodotto nel corso degli anni. Rame di Napoli, ossa di morto, totò, frutta martorana e altre meraviglie che, da sole, giustificano la presenza dell'uomo sulla terra come massima evoluzione dei mammiferi.

Ma dobbiamo dire, francamente, che la fragranza, la croccantezza e, al contempo, la dolce morbidezza e la consistenza degli 'nzuddi fanno di questi gli unici dolci di questo periodo che appagano, oltre al palato, anche il senso del tatto e dell'udito, in un concerto che coinvolge tutti i sensi.

Questi dolci venivano preparati dalle suore Vincenziane, e il nome 'nzudri deriverebbe dall'abbreviazione del nome Vincenzo, che in siciliano diventa Vincinzuddu. Traduzione dialettale di “Vincenzi”, sono biscotti secchi profumati con scorza d’arancia e decorati con una mandorla in cima. L’impasto è composto da: acqua, farina, miele, latte, mandorle e scorza d’arancia.

L'ordine delle Vincenziane è ispirato a San Vincenzo de Paoli, nato in Francia a Pouy, il 24 aprile 1581, e morto a Parigi il 27 settembre 1660. Canonizzato nel 1737, l'ordine delle Figlie della Carità fu fondato nel 1633 con la collaborazione di Santa Luisa. Queste suore non erano più chiuse nei conventi, ma sparse nel mondo a servizio dei poveri. Sono state le prime suore di congregazioni di vita apostolica a venire in Sicilia, nella seconda metà dell’Ottocento.

Catania fu la prima sede siciliana delle Vincenziane, chiamate il 19 settembre 1876 dal Beato Dusmet. Operarono, e ancora operano, presso l’ospedale Vittorio Emanuele; poi presso l’ospedale S. Marta, l’orfanotrofio Pio IX e in numerosi interventi a favore dei più bisognosi sull'intero territorio cittadino. La loro sede più importante a Catania è “La Casa della Carità” in via San Pietro, 49, fondata nel 1923 per volere della Baronessa Anna Zappalà, presidente dell’Opera di Soccorso Infermi a domicilio, con la collaborazione della leggendaria Suor Anna Cantalupo, che si distinse per innumerevoli iniziative nel dopoguerra a servizio dei più poveri.

Meno solida è la versione che fa derivare il nome 'nzudri da Vincenzo Bellini, che, all’età di 6 anni, “componeva la sua prima cantica sgranocchiando questi dolci, ai quali poi fu dato il suo nome”. A tal proposito, i catanesi, rifacendosi alla dolcezza degli 'nzudri, soprannominarono Vincenzo Bellini “'Nzudru” per esprimere ammirazione per la bellezza dei suoi lineamenti e la dolcezza della sua musica.

Pur essendo nati a Catania, questi biscotti sono molto diffusi anche a Messina. Dopo il terremoto che devastò Messina nel 1908, le suore catanesi donarono dolci e la ricetta, fino ad allora gelosamente custodita, ai messinesi come gesto caritatevole. La versione messinese dei biscotti presenta un volume più generoso, una forma quadrata e viene preparata durante la festa della Madonna della Lettera, patrona della città, il 3 giugno.

Fate tutto quello che volete per la festa di Ognissanti, ma non perdetevi gli 'nzudri, perché passerà un altro anno prima di vederli di nuovo sulle bancarelle. E il tempo fugge, il futuro è relativo.

Fonti: fdcsanvincenzo.it; tomarchio.  eu

 

 

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A coddura o cuddhura, ? un tipico dolce siciliano, di derivazione ortodossa, che veniva e viene tutt?ora preparato nel periodo pasquale. Tempo fa, durante il periodo della Quaresima, si osservava una grande moderazione alimentare, che escludeva dalle tavole carne, uova e formaggi, ma con l?arrivo della settimana santa le privazioni terminavano, e le uova erano un alimento particolarmente utilizzato per la preparazione dei dolci pasquali.

In Sicilia, il dolce pasquale pi? diffuso ? ancora oggi la "cuddhura" o "coddura? , un grosso dolce di forma circolare, con incorporato un numero variabile, ma sempre dispari, di uova col guscio.
Il termine "cuddhura" deriva dal greco "Coulloura" col quale gli antichi greci indicavano particolari focacce offerte agli dei in cambio di favori e benevolenza, usanza che in epoca cristiana si rivolge ai fidanzati e non pi? agli dei pagani.

Le "coddhure" venivano portate in chiesa, la mattina del sabato santo, per la benedizione che, nella solennit? della Resurrezione, risvegliava l'idea di fecondit? consacrandone il valore.

Costituivano comunque un dono augurale: un tempo la "Zita" (la fidanzata) preparava la coddura a forma di cuore per il suo promesso, che ricambiava il dono con un dolce a forma di "agnidduzzu" (agnellino), e con questi gesti si celebrava la rinascita e la fertilit?.
La ricetta (per 2 portate) Ingredienti:
7 uova intere 125 gr. di zucchero 125 gr. di strutto fresco 500 gr. di farina bianca semi di papavero o di sesamo una piccola stecca di vaniglia 1 pizzico di sale 5 gr. di cremor tartaro

oppure altrettanto di lievito o di bicarbonato poco latte burro e farina per la piastra

Istruzioni: Dopo aver ben miscelato la farina, lo zucchero, il lievito e il pizzico di sale, fate la fontana sul piano di lavoro con un buco in cima. In questo buco mettete lo strutto ammorbidito e due uova intere. Intanto mettete a scaldare il latte con la stecca di vaniglia. Impastate gli ingredienti, e alla fine aggiungete il latte che basta per ottenere una pasta morbida ma asciutta. Tenetene da parte un pezzetto grosso all'incirca come un limone.  Sbattete ancora un uovo intero in una ciotola.  Scaldate ora il forno a 200 gradi. Formate con la pasta divisa in tre parti tre lunghi bastoncelli, uniteli in cima e intrecciateli con l'aiuto di un po' d'uovo sbattuto per tenerli insieme, e infine chiudete le estremit? a ciambella. Se siete prprio bravi potete invece modellare l'" acedduzzo", cio? un uccello visto di profilo, con la forma pi? o meno di una colomba, e ponete la vostra opera sulla piastra da forno imburrata e infarinata. A questo punto praticate nella parte bassa della ciambella o nella pancia dell'acedduzzo due piccole fossettine, spennellatele di uovo e ponetevi dentro le due uova. Usate il pezzo di pasta accantonato per fare delle fascette, o cinture, per fissare la pancia dell'uovo al vostro dolce. Guarnite la superficie con i semi di papavero. Spennellate tutto con il resto dell'uovo sbattuto. Ora potete infornare la "Cuddura" per circa quaranta minuti. Buon appetito !

 

CASSATELLE DI AGIRA

Pasta per cassatelle:Ingredienti:• Kg. 3 Farina tipo “00” • Kg. 0,7 Zucchero• Kg. 1,3 Sugna• 4 uova (se sono piccole usarne 5) •, acqua.

Procedimento:Mescolare a mano farina e sugna in modo da sciogliere la sugna, aggiungere le uova sbattute e lo zucchero, amalgamare l’impasto e aggiungere lentamente dell’acqua in modo da dare alla pasta una consistenza tale da permettere di essere stirata con il mattarello.Far riposare la pasta per circa 10 ore prima di lavorarla.Lavorare la pasta in modo da realizzare dei bastoncini di un diametro tale che possano stare in una mano (non usare tanta forza).

Ripieno:Ingredienti:• Kg 1,25 di mandorle sgusciate e tostate • Kg 1,1 Zucchero• g. 90 Cacao amaro• g. 140 Cacao dolce• litri1,5 acqua• buccia di 3 limoni.• Farina di ceci o di grano duro.Procedimento:Tritare le mandorle tostate assieme alle bucce di limone.

Ripetere l’operazione di tritatura almeno tre volte in modo da raffinare il tritato.Mettere in pentola l’acqua con lo zucchero e le mandorle tritate, a fuoco lento portare all’ebollizione e mescolare in modo da rendere l’impasto omogeneo.

Una volta raggiunta l’ebollizione aggiungere il cacao e mescolare continuamente in modo da amalgamare bene l’impasto ed evitare che si attacchi al fondo della  pentola.Sempre a fuoco breve aggiungere la farina lentamente (in modo da evitare grumi) quella che prende per ottenere la giusta consistenza (di solito non più di 300 g.).Far cuocere il tutto per circa 5-10 minuti mescolando continuamente.Al termine della cottura riporre l’impasto in un contenitore  preferibilmente di ceramica o di smalto.Attendere che il riempimento si raffreddi prima di usarlo lavorarlo. (per evitare che si indurisca in superficie mescolare di tanto in tanto)

Staccare un poco di pasta dai bastoncini e realizzare delle palline che verranno stirate con il matterello per formare foglia di pasta di forma circolare (diametro 15 cm circa). (spargere l’area di lavoro con farina per evitare che la pasta si attacchi attenzione a non sporcare di farina la parte superiore della sfoglia perché altrimenti non sarà possibile chiuderla).Mettere un cucchiaio di impasto al  centro della foglia realizzata e richiudete a metà pressando con le dita sui bordi del semicerchio in modo da richiudere per bene il ripieno (attenzione evitate di sporcare i bordi con il ripieno o la farina per evitare che la cassatella rimanga aperta)e tagliarecon la rotella o l’apposita formina (realizzata artigianalmente ad Agira) in modo da formare la mezzaluna.Riporre le cassatele su una teglia (tipicamente si usano le teglie di latta che impediscono alle cassatele di attaccarsi, usare eventualmente la carta da forno con le teglie tradizionali) e far cuocere in forno ad alta temperatura (tipicamente viene usato il forno in pietra dove prima di mettere le cassatele viene fatta ardere la buccia di mandorle) per pochi minuti in modo da fare indurire la pasta esterna (occhio a evitare che si brucino).Spolverare le cassatele con zucchero o zucchero a velo e cannella in polvere, per far aderire meglio lo zucchero alla cassatella è consigliabile spennellare le cassatella con un collante prima di spolverarle.Il collante viene preparato facendo cuocere un poco d’acqua con dello zucchero e deve essere tale da non essere assorbito.

 

 

 

 

Le cassateddi o minne di Sant'Agata come vengono chiamate nel palermitano, fanno riferimento alle mammelle che furono strappate alla santa durante i martirii a cui venne sottoposta per obbligarla ad abiurare la sua fede.
Un dolce dal nome anche inquietante se pensiamo (minna in siciliano significa seno, mammella), che ci riporta in modo diretto. al martirio dalla giovane Agata. La leggenda vuole comunque che i seni a Sant'Agata ricrebbero, e allora per devozione, sono diventate cibo rituale e propiziatorio per quel giorno.

 

 

Impudiche paste delle vergini le definisce Tomasi di Lampedusa ne “Il gattopardo", i “minni chini” sono una golosa invenzione delle suore del monastero di Montevergine di Palermo. Uno scrigno di pasta frolla e ricotta sormontato da una rossa, voluttuosa ciliegina, che ricorda la forma di un seno, in omaggio al martirio di Sant'Agata. “Come mai il Santo Uffizio non pensò a proibire questi dolci? - si domanda il principe di Salina ne “Il gattopardo” – le mammelle di Sant'Agata vendute dai monasteri, divorate dai festaioli! Mah”.

Preparazione: Sciogliere la sugna con la farina e lo zucchero, strofinandola tra le palme delle mani e impastarla, aggiungendovi, latte, finché l’impasto lo chiede. Far riposare qualche ora la palla ottenuta, stenderla col mattarello e sulla sfoglia depositare a distanze regolari tanti mucchietti di crema all’amitu arricchita da cubetti di zuccata e cioccolato a pezzettini. Chiudere con una sfoglia più grande, avendo l’avvertenza di spennellare albume battuto intorno ai mucchietti di crema, affinché possano appiccicarsi meglio i bordi delle due sfoglie, ora ritagliati dalla forma di latta rotonda e frastagliata. Passare l’albume montato a neve su ogni singola pasta e infornare. A cottura ultimata a forno moderato spolverare con zucchero a velo.

 

 

LE DOLCI MINNE

Ingredienti per 8 persone: 500 gr di farina-150 gr di strutto(adesso ahimè margarina)-150 gr zucchero semolato-1 albume- 1 uovo-50 di zuccata a dadini-500gr di crema di latte-50 gr di cioccolato fondente a scaglie-250 zuccchero a velo- un cucchiaio di succo di limone-latte- ciliegine candite.
Lavorare la farina con lo zucchero,lo strutto,l'uovo- il latte necessario per avere un composto consistente ed omogeneo.Mettere impasto chiuso con pellicola alimentare trasparente da cucina. in frigo per un'oretta circa, tolta dal frigo stendere in foglia sottile,e con un
bicchiere ricavarne dei dischetti,mettere i dischetti in stampini a coppetta, e riempite con la crema di latte ammalgamata con il cioccolato e la zuccata, ricoprire con altri dischetti e sigillare i bordi molto bene.

Capovolgete i dolcetti, su placca da forno,rivestita da carta da forno, spennellate i dolcetti con albume ben sbattuto ed infornare per 20 minuti a forno a 200 gradi.Sciogliere lo zucchero a velo con 4 cucchiai di zucchero a velo. 4 cucchiai di latte,il succo di limone-mettere colorante alimentare verde, oppure come una volta il succo di spinaci crudi e strizzati molto bene.

L'antica ricetta prevedeva un naspro di glassa ai pistacchi, con questo composto ricoprire i dolcetti freddi decorare con ciligiettina e fare riposare mezza giornata prima di servire.
*Crema di latte per 8 persone:10 dl di latte-150 grammi scarsi di amido per dolci-1 limone non trattato-150 gr di zucchero semolato-Scaldare il latte unitamente allo zucchero, la scorza di limone grattuggiata, filtrare ed incorporare sbattendo bene con una frusta l'amido.Rimettere al fuoco bassissimo e lasciare addensare.

W Sant'Ajta! Marcella Candido Chiachetti

 

 

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Le olivuzze di S. Agata si riferiscono alla leggenda di Agata, che inseguita dagli uomini di Quinziano e giunta ormai nei pressi del palazzo pretorio, si fosse fermata a riposare un istante. Nello stesso momento in cui ella si fermò, si dice per allacciarsi un calzare, un ulivo comparve dal nulla e la giovinetta potè ripararsi e anche cibarsi dei suoi frutti.
Ancora oggi, per rinnovare il ricordo di quell'evento prodigioso, è consuetudine coltivare un albero di ulivo in un'aiuola vicino ai luoghi del martirio, e consumare durante i giorni di festa questi dolci tipici di pasta reale.

 

 

La leggenda vuole che questo dolce nasca durante la persequizione subita da Agata.Siamo sotto l'imperatore Diocleziano ed Agata dal greco Agathè=buona ,è perseguitata dal proconsole Quinziano è più volte marterizzata,Agata mentre veniva ricercata dai soldati di Quinziano,mentre china ad allacciarsi i calzari le sorse davanti una pianta di olivastro(olivo selvatico) celandola cosi alla vista dei soldati,e l'olivo la nutri con i suoi frutti.,ecco anche perchè la santa nel martiriologico è rapprsentata di verde vestita, ed è il verde delle foglie d'ulivo giovani
.Sant'Agata è la patrona di Catania,la festa della patrona, dichiarata dall'Unesco bene antropologico dell'umanità inizia il 21 gennaio per proseguire il 3,4,il 5 il culmine della festa, di febbraio.

 

 


Ingredienti per 6 persone:

500gr di pasta di mandorle-2/3 cucchiai di rosolio oppure di rum-il succo di spinaci crudi per dare il colore verde,oggi è sostituito da un colorante alimentare verde.

Pasta di mandorle per 6 persone:500 gr di mandorle dolci di Avola spellate-500gr di zucchero a velo 1 dl d'acqua-6 gocce d'essenza di mandorle amare-6 gocce d'essenza di cannella-1 busta di vanillina.Triturate nel mixer le mandorle,mescolate lo zucchero con l'acqua in un tegame,scaldare a fuoco dolce,mescolando con un mestolo di legno, fino a quando lo zucchero comincerà a filare.

 

 

Spegnete il fuoco ed incorporate la vanillina e le gocce d'essenze e alla fine la farina di mandorle rimestando energicamente unendo il liquore stemperato con qualche goccia di colorante.Stendere l'impasto in uno strato abbastanza spesso.Staccate delle palline e dare loro la forma di olive.Disporre in un vassoio e lasciarle asciugare per 24 ore., guarnire ogni olivetta con una foglia d'olivo.Questa è la ricetta Catanese , ma al di fuori del territorio ci sono 2 varianti:1 invece della pasta di mandorle, si fà la pasta di pistacchio di Bronte*, la 2, le olive vengono intinte parzialmente in cioccolato fondente fuso.

Marcella Candido Chianchetti

 

 

 

 

 

Le origini
Non abbiamo dati certi sulle origini del torrone. Diverse e contrastanti sono le versioni in circolazione della propria storia, ed alcune di esse sfumano nella leggenda o semplicemente nel racconto. E’ certo, comunque (a parte le speculazioni di alcuni, che legano la storia del torrone alla Cina ), che il torrone appartiene, come prodotto, al bacino del mediterraneo. Lo testimoniano gli ingredienti che compongono l’impasto base, come le mandorle o il miele, tipicamente di provenienza mediorientale.

Questo dolce, così popolare nelle festività natalizie e consumato oggi nelle sue tante varianti, è secondo alcuni un prodotto di origine araba. Corrisponderebbe, infatti, ad una variante di un dolce arabo, conosciuto come “cubbaita”. Il termine “turron” è invece di origine spagnola: un dolce chiamato “turun” è citato in uno scritto di un medico spagnolo del 12° secolo. Una tradizione alternativa lega invece il torrone al “Cuppedo”, un dolce già conosciuto dagli antichi romani, e di cui oggi si conserva memoria (e ricetta) in diverse zone del meridione.

In Italia circola ancora una versione differente della storia del torrone. In quella che è riconosciuta da alcuni come sua patria storica, ovvero Cremona, si racconta di un banchetto nuziale tenutosi nel 1441, durante il quale fu presentato un dolce a forma di Torrazzo, la torre del duomo di Cremona. Non si trattava di un banchetto qualunque, ma del banchetto di Francesco Sforza e BiancaMaria Visconti, la figlia del duca di Milano, che convolavano a nozze. Dal nome della torre sarebbe dunque scaturito il termine “torrone”.

Sta di fatto, comunque, che il dolce riscosse in breve successo tra i Cremonesi, divenendo uno dei doni prediletti utilizzati negli scambi commerciali, fino ad entrare nelle grazie di alcuni esponenti dello Stato Pontificio o della famiglia dei Borbone, e raggiungere l’attuale ed indiscussa popolarità nel vasto panorama dei dolci nostrani.

Com’è fatto
Che aspetto ha il torrone? Quali ingredienti? In quali circostanze è più consumato? Domande del genere potrebbero suscitare l’ilarità di un connazionale, per il quale il torrone è un dolce ampiamente conosciuto e soprattutto diffuso. Una piccola parentesi sulle caratteristiche di questo gustoso prodotto ci aiuterà però a conoscerne, almeno in parte, i segreti e le peculiarità.

Il torrone ha solitamente la forma di una tavoletta, dunque con gli angoli appuntiti. Al tatto si presenta appiccicoso, per via del miele, uno degli ingredienti principali dell’impasto.E’ in questa forma che si è diffuso, ed in questa forma abbiamo imparato a conoscerlo. Prima di presentarne alcune varianti, proponiamo una rapida panoramica sugli ingredienti.

Il torrone “classico”, e prendiamo come riferimento quello di Cremona, può essere di due tipi: morbido e duro. Questo fattore è legato alla pasta del torrone, solitamente composta da nocciole o mandorle. Altri ingredienti, in differenti dosi, sono le uova ed il già citato miele, zucchero, sciroppo di glucosio ed ostie per la superficie. In alcune varianti si usa arricchire il torrone con spezie, aromi, canditi (arancio, pistacchio, limone) o cacao, ed in tale direzione esistono decine di ricette.

 

La preparazione del torrone è piuttosto complessa, e richiede dei dosaggi accurati. La quantità di mandorle o nocciole utilizzate determinerà la durezza dell’impasto, che richiede di essere mescolato ininterrottamente per tutto il tempo di cottura.

Oggi in commercio si ritrovano decine di varietà di torroni. Oltre a quelli classici, incontriamo torroni ricoperti di cioccolato, torroni speziati ed aromatizzati. Inoltre, i torroni sono commercializzati anche in forme e packaging differenti, come mini-torroni o torroncini, o in confezioni più laboriose e curate.

In Italia esistono diversi centri di produzione del torrone. Oltre alla già citata Cremona, il torrone è prodotto caratteristico della Sardegna, e di comuni come Benevento, L’Aquila, Camerino, Colgona Veneta, Bagnara Calabra, Tonara.

 

 

 

 

 

Le crespelle di riso,

“crispesddi” in siciliano, sono delle frittelle che assumono questo nome, ed anche quello di zeppole, per via della superficie increspata che a fine frittura assumono queste semplici leccornie siciliane. Possiamo affermare che in ogni luogo della Sicilia esiste una variante ed ognuna

rispecchia le diverse tradizioni di ogni territorio. Le più conosciute, molto simili fra di loro, sono quelle catanesi e siracusane. Altrettanto note sono quelle messinesi, che differiscono dalle precedenti per la presenza delle uova nell’impasto.

In tutte le zone della Sicilia esistono altre preparazioni che prendono  lo stesso nome, ma sono del tutto diverse da quelle di riso. Precisamente non sono dolci e sono costituite da un morbido involucro e farcite, più spesso. con ricotta o acciughe. Sono i crispeddi c’anciova e cà ricotta facilmente reperibili nelle rosticcerie popolari, dove l’avventore subisce il fascino (difficilmente riproducibile in casa) della stimolante fragranza di questi prodotti che sono parte integrante delle tradizioni culinarie siciliane.

Ingredienti

300 grammi di riso  - 1 litro di latte - 20 grammi lievito di birra - 60 grammi di zucchero semolato - 150 grammi di farina per dolci - Un cucchiaino da caffè di cannella in polvere - La buccia grattugiata di un’arancia e un limone -  Un cucchiaino da caffè di sale fino - Olio di semi di arachide per friggere - 200 grammi miele di zagara - Zucchero a velo q.b.

 Procedimento

Far cuocere il riso con il latte a fiamma dolce, aggiustando con il sale, fin quando il latte risulterà completamente assorbito. Continuare la cottura, aggiungendo se necessario acqua calda poco per volta. A fine cottura il risò dovrà essere una specie di risotto quasi scotto.

Togliere dal fuoco e, dopo averlo fatto raffreddare per circa cinque minuti, unire la farina, lo zucchero, la cannella, la buccia grattugiata dell’arancia e del limone ed il lievito diluito in acqua moderatamente calda. Amalgamare il tutto in modo che gli ingredienti sia ben assorbiti; quindi ricoprire con pellicola da cucina e mettere il composto a riposare in luogo tiepido per circa due ore.

Una volta che il riso sarà lievitato stenderlo su un tagliere, spolverato con farina, ad uno spessore di circa 2-3 cm. Con un coltello infarinato staccare dei bastoncini e (aiutandovi sempre col coltello o con le mani infarinati) dargli la forma di un cilindretto. A questo punto fare scivolare le crocchette ottenute nell’olio bollente. Non appena saranno ben dorate sgocciolarle e depositarle su carta assorbente da cucina. A questo punto trasferirle su di un piatto da portata.

http://www.ricettedisicilia.net/it/dolci/crespelle-di-riso-catanesi-al-miele/

 

 

 

 

 
 

LI CULURA      Mario Incudine