a cura di Salvo Emanuele L’estate del 2000 è quella dei passaggi di proprietà e dei propositi di vittoria. Le due maggiori squadre della Sicilia, Catania e Palermo, dopo un’annata tutt’altro che soddisfacente – conclusa rispettivamente al 7° e al 6° posto – diventano una sorta di società “satelliti” di due club di Serie A: sotto l’Etna arriva la famiglia Gaucci, già proprietaria del Perugia, mentre ai piedi del Monte Pellegrino giunge il gruppo Sensi, che controlla l’A.S. Roma.
Una svolta epocale che
riaccende l’entusiasmo nelle due piazze ed infiamma il mercato di terza
serie, che incorona le due rivali come regine dei trasferimenti estivi. In
rosanero arriva gente di qualità ed esperienza, come i difensori Chionna e
Giampietro, il furetto Brienza, l’argentino La Grotteria e, dulcis in fundo,
l’ex romanista Cappioli. Ancor più corposo e movimentato il mercato dei
ross L’ossatura della squadra viene completata da due degli artefici principali del “miracolo” Fermana, promossa in Serie B nella stagione 1998/99. Si tratta del tecnico Ivo Iaconi, fautore del 3-4-3, e dell’attaccante ex Atletico Catania Umberto Marino. La nuova era si apre con un’iniziativa volta a non dimenticare il passato: il “Memorial Angelo Massimino”, un torneo estivo intitolato all’indimenticabile Presidentissimo. La prima edizione – consistente in un classico triangolare con mini partite da 45 minuti ciascuna – si celebra il 10 agosto 2000 contro due formazioni di massima serie, il Napoli allenato da Zeman ed i “fratelli maggiori” del Perugia. Gli etnei si aggiudicano la manifestazione battendo il Napoli ed impattando col Perugia, per poi vincere anche il girone del primo turno di Coppa Italia di Serie C (vittorie contro Castrovillari, Atletico Catania, pareggi con Catanzaro e Taranto), dando così un chiaro segnale al Palermo: per la B sarà un derby senza esclusione di colpi. Dopo l’1-1 contro i campani (decisiva la rete del congolese Kanyengele al 95°) Lucianone decide di dare il benservito a Iaconi. Il nuovo tecnico è Vincenzo Guerini, mister bresciano ex Ancona e Napoli, che debutta nell’infuocato derby di Palermo contro i rosanero di Sonzogni.
“Donna Grazia”, la signora in rossazzurro Sergio Capizzi - 10/02/2021
Ore 8,20 del 9 di febbraio. Il solito tran tran quotidiano prevede in rigoroso ordine, l’accensione del mio smartphone prima di vestirmi per uscire da casa e recarmi al lavoro. Vengo sorpreso da un ferale messaggio che ricevo da un amico. È così che nella notte tra l’8 e il 9 febbraio se n’è andata in punta di piedi, senza fare rumore, quasi a non voler disturbare i familiari, Graziella Codiglione vedova Massimino, ex presidentessa del Catania Calcio, donna di grandi principi morali e un elevato senso della famiglia. Chi vi scrive, qualche anno addietro in occasione della presentazione al Castello Leucatia del volume principe sulla storia rossazzurra Tutto il Catania minuto per minuto, ebbe modo di saggiare la grandezza e l’umiltà della signora Grazia. Durante i vari interventi degli ospiti, ognuno non mancò di sottolineare un pregio o fare un plauso al marito, suscitando un inevitabile e piacevole sequenza di applausi. «Io in fondo alla sala colgo la presenza della signora, capisco che è molto emozionata, se le va ci fa piacere ascoltarla». È Andrea Lodato, giornalista del maggior quotidiano locale, qui in veste di moderatore, a chiedere alla signora di portare il suo contributo, la quale però intenerita e commossa dalle manifestazioni d’affetto rivolte dagli astanti nei confronti del marito, pone un garbato diniego facendo segno con la mano di proseguire.
Al termine della conferenza, passando in rassegna tutti i conoscenti per stringere loro la mano, al fianco dell’amico Alessandro, mi fermai a salutare la di lui nonna, la quale mi strinse la mano sfoggiando un sorriso semplice. La signora Grazia, donna minuta e religiosissima, mai una parola di troppo, sempre al fianco di Angelo Massimino, ed appena un passo indietro a non volerne offuscare la luce o rubargli la scena. Si erano sposati, entrambi giovanissimi, nel giugno del 1947, nel dopoguerra duro e difficile, che spinge Don Angelo e consorte con la figlioletta Santa a partire per la volta dell’Argentina in cerca di miglior fortuna. Poi il ritorno in Italia e il boom economico: Massimino riuscì ad investire quanto guadagnato nel periodo in Sud America diventando in poco tempo uno degli imprenditori edili più rinomati dell’intera città. Nel mezzo la “passionaccia” per il pallone, che lo consegnerà all’altare della gloria eterna, quando in quel tratto di strada tra Scillato e Tremonzelli perderà la vita un uomo che per il pallone ha dato tutto talvolta sacrificando pure la famiglia. Ed è in questo frangente che la donna sempre dietro le quinte, con attenzione e mai in disparte entra in scena. Dal 1996 fino al 2000, Grazia Codiglione traghetta il Catania nelle paludose acque della Serie C2 con l’aiuto dei generi e dei nipoti che la coadiuvano in questo compito. Angelo Russo è una sorta di manager factotum, ricalca molto per la caparbietà in termini dirigenziali l’illustre nonno, del quale non manca mai di fare riferimenti nel bene e nel male. L’ingegnere Inzalaco e il dottor Conti, forti della lunga esperienza in seno alla società con varie cariche dirigenziali negli anni precedenti insieme al suocero, e Alessandro Russo, fratello di Angelo appunto, nel ruolo di medico sociale. Così, con molti sacrifici, la squadra sarebbe stata finalmente riportata in quella C1, depauperata a suo tempo dal tiranno Matarrese. «Era una nonna anche per noi giocatori, ci difendeva dalle critiche, per lei contava prima il lato umano e poi quello sportivo» spiega così Roberto Ricca, terzino che a Catania ha vissuto solo due stagioni, ma intense da fargli portare un pezzetto di Sicilia in quel di Novara dove oggi risiede. Gigi Chiavaro ebbe un unico cruccio nei confronti di Donna Grazia: «Ebbi degli screzi col Presidente che non accettava le mie richieste per la stipula del nuovo contratto. Mentre lui bofonchiava, la signora mi tirò in disparte dicendomi “Gigi firma lascialo stare lo sai com’è fatto poi gli passa, la sistemiamo la cosa” , io però mi ero impuntato e andai ad Agrigento, anche se mi dispiacque molto dover dire no alla signora Graziella». Mimmo Romano, che fu autista di Massimino e dirigente della squadra negli anni difficili della radiazione, ricorda: «In occasione di uno dei tanti prelievi coattivi che venivano fatti sugli incassi al botteghino da parte dei creditori (siamo nel 1993, ndr), mentre il funzionario incaricato veniva distratto mi riempivano il giubbotto di banconote da salvare. Quando portai i soldi a casa Massimino, chiesi alla signora se volessero contarli in mia presenza e la risposta fu perentoria “Signor Mimmo, Lei è persona di fiducia”; ero trattato come uno di famiglia, insomma». Ora che la signora Graziella ha raggiunto il suo Angelo, il Catania ha un’altra anima buona in cielo. Sergio Capizzi per Quelli del '46 (la foto de La Sicilia è qui pubblicata per gentile concessione del nipote, Alessandro Russo)
IL RE LEONE
Dopo un girone d’andata assai
deludente, condito da vittorie fragorose (4-0 al Messina) e debacle
umilianti (5-1 a Palermo, 1-3 in casa dal Giulianova) il primo
Catania di Riccardo Gaucci annaspa nel limbo della C1, ben distante
dal vertice. È il gennaio del 2001 e nella città dell’Elefante si
respira aria di rivoluzione, con giocatori che vanno e che vengono
in un’autentica rifondazione della squadra. Arriva gente importante,
calciatori di spessore che hanno giocato in categorie superiori,
come Davide Cordone ed Alessandro Pane. Arriva anche lui, Alessandro
Ambrosi, ed è subito gol. Il bomber romano, nato a Fiuggi il 12
luglio 1971, segna subito al Tra campionato, play-off e gare di Coppa Italia, Alessandro Ambrosi ha indossato la casacca rossazzurra in venti circostanze, andando a segno dodici volte. Una media stratosferica che ricorda quella del primo Maxi Lopez (11 reti in 17 gare nei primi sei mesi del 2010), frutto di un innato senso del gol: “Nel corso della mia carriera ho fatto tantissimi gol su rigore, ma anche di testa, di spalla... Quando arrivai a Catania mi chiesero quali fossero le mie caratteristiche. Io risposi che avrei segnato anche di naso, di orecchio, di dente: l’importante era mandare la palla in dentro la porta. Questo concetto rende l’idea dello spirito che avevamo in quell’anno e nel quale mi ritrovai perfettamente. I ragazzi mi misero a mio agio e ebbi subito un feeling eccezionale con il pubblico catanese”. Tra i tre gol realizzati al Messina (due al “Celeste”, uno al “Cibali”) c’è anche il più importante tra quelli segnati in rossazzurro: “Il gol al quale sono più legato - ha proseguito Ambrosi - è il rigore al Messina nella finale di andata dei play-off. Sembra banale dirlo, ma un rigore tirato in una situazione del genere rappresentava per noi un traguardo importantissimo. Eravamo consapevoli di essere molto più forti del Messina in quella gara. Purtroppo, però, riuscimmo a realizzare solo quel rigore e poi prendemmo il gol del pareggio su un infortunio clamoroso (Muntasser superato in velocità da Godeas, ndr) che ci costò parecchio. Fummo puniti oltremodo dal risultato finale. Insieme alla rete al Messina, sono molto legato anche alla rete all’Avellino nella semifinale play-off di ritorno. Partivamo dalla sconfitta di 1-0 dell’andata (rete siglata da Beppe Mascara, ndr) e il mio fu la rete del 2-0 che ci diede la consapevolezza di accedere alla finale. Se devo essere sincero sono legato anche al gol in Coppa Italia al Brescello e a tutti gli altri segnati con la maglia rossazzurra. Un ricordo bellissimo”.
Il filo conduttore
dell’esperienza rossazzurra di Alessandro Ambrosi è sicuramente
rappresentato dai tiri dagli undici metri: dal primo al Brescello,
passando alla rete all’Ascoli, Giulianova, Torres, all’ultimo al
Messina. Cinque gol su rigore, quasi tutti procurati dal b Da Crotone a Catania, dalla Serie B alla C1. Una scelta senza un perché: “Ancora oggi mi chiedo cosa mi fece scegliere Catania, credimi. Venivo da otto mesi fantastici con il Crotone, con il quale avevo anche fatto cinque o sei gol in B, giocando delle partite eccezionali. Ebbi una lite con il tecnico di allora, Beppe Papadopulo, e abbandonai il ritiro poco prima di Natale. Quando si seppe che avevo rotto con il Crotone ebbi una marea di richieste. Ad un certo punto fui contattato dai Gaucci, il presidente venne a Fiuggi, parlai con loro e…non lo so perché, scelsi Catania, così come quelle cose che scattano all’improvviso. Il mio procuratore mi diede del matto, perché al di là dell’aspetto economico, scendere in C1, in una piazza dove c’erano problemi, con l’ambiente abbastanza caldo, coi giocatori che avevano subito già qualche contestazione, non era l’ideale. Fu una scelta mia che rifarei sempre :di Catania conservo solo ricordi eccezionali, sei mesi spettacolari”.
Dopo la sconfitta di Messina, del
17 giugno 2001, la voglia di riprovare a conquistare la Serie B
l’anno dopo era alta. Iezzo, Zeoli, Baronchelli, Cordone, Pane e
Cicconi, vennero confermati. All’appello, però, mancava il nome del
“Re Leone”: “A distanza di anni il mio più grosso rammarico in
carriera è stato quello di non aver potuto prendermi la rivincita
con la maglia del Catania. Ho provato più di una volta a ritornare
in rossazzurro, ma purtroppo non ci sono mai riuscito. Nonostante
fossi fuori rosa a Crotone, per via di una diatriba con la società,
rifiutai di tutto: tantissime offerte di B, qualcuna anche di A. Pur
di ritornare a Catania rifiutai anche di andare in Premier League.
Per mesi, avendo la parola di Riccardo Gaucci, aspettai il Catania.
Addirittura, mio fratello Stefano, che allora giocava nell’Atletico
Catania, partì in ritiro con il Catania per darmi la sicurezza che
io avrei vestito in un modo o nell’altro la maglia rossazzurra, ma
purtroppo non fu così. Alla fine cambiò anche gestione tecnica,
arrivò Ammazzalorso, Nonostante gli anni che scorrono veloci, già più di cinque lunghi lustri, Alessandro Ambrosi segue sempre le vicende della squadra dell’Elefante. Vicende che negli ultimi anni sono tutt’altro che entusiasmanti: “Seguo sempre il Catania - ha proseguito Ambrosi - si soffre, perché il Catania in serie C non si può vedere. È una sofferenza. Sta attraversando un momento particolarmente difficile, dovuto magari ad un campionato ad handicap in considerazione della penalizzazione e alle vicissitudini in campo. Sinceramente, però, spero che da qui in avanti, anche grazie i nuovi arrivi e il cambio del tecnico, si possa risalire la china, anche perché tecnicamente non è una squadra seconda alle altre. Basterebbe veramente poco. Quest’anno poi, con i play-off allargati, si potrebbe conquistare subito un obiettivo che fino a poco tempo fa sembrava irraggiungibile. Bisogna crederci e creare quell’alchimia giusta che permetta di inanellare una serie di risultati importanti che portino a giocarsi i play-off in una maniera più comoda”. L’immancabile pronostico al match del “Franco Scoglio” di domenica prossima: “Che te devo di'? Chiederlo a me sarebbe troppo facile… Realisticamente, però, si tratta di una partita molto difficile, con il Catania che ha qualche scoria ancora da smaltire. Chissà che questa non sia la partita giusta, così come lo fu per noi nel 2001. L’augurio più grosso che posso fare a questo Catania è di riuscire ad avere la compattezza e il carattere che avevamo noi. Sarebbe sufficiente per non avere paura di nessuno”. Il saluto finale, con quella voglia matta di ritornare a Catania: “Spero quanto prima di venire giù per vedere qualche partita o, magari, per prender parte a un match tra vecchie glorie. Contattatemi, non vedo l’ora. Forza Catania, sempre!”
9 giugno 2002
L’amara e cocente delusione di Messina ha
le sue conseguenze. La formazione che ha sfiorato la promozione è
parzialmente smembrata: spiccano le mancate conferme del difensore Orfei,
dei centrocampisti Apa e Bresciani, del trequartista Criniti, del bomber
Ambrosi e, soprattutto, di Vincenzo Guerini, mister della grande cavalcata.
Ammaliato dal gioco veloce e sp A un anno esatto dall’amarezza di Messina si materializza lo stesso scenario: playoff da terza in classifica. La doppia semifinale è ancor più complicata ed equilibrata di quella della stagione precedente con l’Avellino: il Pescara di Ivo Iaconi (ex dal dente avvelenatissimo) è il cliente peggiore che possa esserci. La gara di andata si gioca sul green dell’“Adriatico”, reso un pantano dalla pioggia copiosa caduta prima della gara. Il Catania gioca bene, sfiora la rete del vantaggio in un paio di occasioni – clamoroso il palo colpito da Cordone – ma a dieci minuti dalla fine l’ex rosanero Pasquale Suppa pesca il jolly che condanna alla sconfitta. Sette giorni più tardi, nel catino bollente del Cibali, si soffre ma si passa grazie ad una rete di Cicconi, viziata da un precedente fallo di mano del pescarese Di Fabio e dall’evidente fuorigioco del ricciolino attaccante catanese. Il fine giustifica i mezzi: la finale sarà contro il Taranto, con gli jonici che hanno faticato non poco contro il Lanciano nell’altra semifinale. Nel doppio confronto con i pugliesi si raggiunge l’apice di una guerra a distanza tra le due società che ha segnato buona parte della stagione, con continui botta e risposta, accuse e veleni. L’andata si disputa al Cibali il 2 giugno: una prodezza balistica di Fini decide una gara tesissima, contraddistinta dalla furente irruzione in campo di Luciano Gaucci alla fine del primo tempo, dal gol annullato all’ex Marziano e dalla presunta aggressione del palermitano Galeoto, terzino del Taranto, nel tunnel che conduce agli spogliatoi al termine della gara. A differenza dell’anno precedente i rossazzurri arrivano ai decisivi novanta minuti con il vantaggio di avere due risultati su tre e con la carica del presidente Riccardo Gaucci che decide di seguire la squadra nella difficile e pericolosa trasferta pugliese. Il 9 giugno 2002, nella bolgia dell’“Erasmo Iacovone” di Taranto, gli uomini di Graziani e Pellegrino disputa la gara perfetta, strappando quella Serie B disegnata “incautamente” dai giardinieri tarantini sul campo da gioco jonico. Lo 0-0 finale sancisce la promozione del Catania, che torna in Serie B dopo quindici anni di attesa ed interminabili sofferenze. Nel settore ospiti dell’impianto tarantino i tifosi etnei saldano il conto: “Noli offendere Patriam Agathae quia ultrix iniuriarum est!” (Non offendere la Patria di Agata perché ella è vendicatrice delle ingiurie). fonti: http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/
Nono anniversario della promozione in serie B conquistata il 9 giugno 2002 nell’epica e memorabile ‘guerra’ contro il Taranto, culminata nella ‘battaglia’ senza appello dell’Erasmo Jacovone. Nove giugno 2002: tappa fondamentale della lenta risalita del Catania lungo il pendio delle serie calcistiche. Una conquista giunta al termine di un’annata vissuta tra alti e bassi, con quattro allenatori ad alternarsi sulla panchina etnea (Ammazzalorso, Vierchowod, Graziani e Pellegrino, quest’ultimi in coppia), con la paura di rivivere, ad un anno di distanza, il triste epilogo del “Celeste” di Messina. Situazione identica: terzo posto nella regular season e doppia finale da disputare contro la seconda (e miglior classificata) col cruccio, nonché svantaggio, di giocare la gara di ritorno in trasferta.
Ma
non per quel Catania guerriero, quello di Iezzo, Baronchelli, Zeoli e
Cicconi, scottati dalla beffa di un anno prima e tremendamente vogliosi
di riscatto. Non per quei stoici 1500 tifosi rossazzurri impavidi nel
popolare, tra mille cinquecento rischi, il settore ospiti dello stadio
“Erasmo Jacovone” di Taranto, assiepato da 25000 tarantini.
Millecinquecento tifosi rossazzurri: mille per ogni anno vissuto lontano
da quella serie B, mai così desiderata come allora. Quind
Son passati nove anni ma il ricordo di quella gioia è ancora vivo. La festa in piena notte al ‘vecchio Cibali’ (che da li a poco sarebbe stato ribattezzato Angelo Massimino) con migliaia di tifosi rossazzurri pronti ad esaltare gli ‘Eroi dello Jacovone”: cori, colori, luci nella notte di festa. Grazie a loro. Grazie, anche, alla Famiglia Gaucci. Perché se è vero che han lasciato il Catania pieno di debiti, è altrettanto vero che non si possono dimenticare gli sforzi sostenuti per riportare i rossazzurri in serie B. L’Elefante ha la memoria lunga e non dimentica mai. “Salimmo su, el primo e io secondo, tanto ch’i’ vidi delle cose belle che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo: e quindi uscimmo a riveder le stelle” (Inferno, XXXIV Canto, vv 136-139). Addio Inferno!
Noli
offendere Patriam Agathae quia ultrix iniuriarum est!
Il
10 marzo 2002, la rivincita. Dopo una scrosciante pioggia il Catania
travolge il Tar Play off, il momento della verità. Tra mille polemiche Catania e Taranto superano in semifinale rispettivamente Pescara e Lanciano, dandosi appuntamento in finale. I giorni del giudizio finalmente arrivano. Il 2 giugno al “Cibali” decide un capolavoro balistico di Michele Fini, nello striminzito (ma pesantissimo alla lunga) 1-0 per gli etnei. Risultato da difendere con le unghia e coi denti nella gara di ritorno. Sette giorni più tardi, è il 9 giugno 2002, il Catania esce indenne dalla bolgia dello “Jacovone” di Taranto. Zero a zero. Nel settore ospiti dell’impianto tarantino i tifosi etnei ‘saldano’ il conto: “Noli offendere Patriam Agathae quia ultrix iniuriarum est!” Non offendere la Patria di Agata perché ella è vendicatrice delle ingiurie. Il Catania vola in serie B. Ingiuria vendicata.
I
tabellini delle due finali: calciocatania.com - 8.6.2011
L'ULTIMA PROMOZIONE DEL CATANIA IN SERIE B Catania, 2 giugno 2002. L’estrosa ala Michele Fini risolve l’andata della finale dei play-off di Serie C1 tra Catania e Taranto: colpisce il pallone dal limite dell’area e il pallone s’incastona all’incrocio dei pali con una splendida parabola. Il calciatore sardo è quasi 28enne e grazie a questo gol si apre un futuro roseo ai piani superiori: dotato di grandi doti di palleggio, buon assitman e fin troppo tecnico per la terza serie, conquisterà una settimana dopo la promozione in Serie B e poi giocherà altri due anni a Catania, vestendo infine le maglie di Ascoli, Cagliari e Siena nella massima serie. «Quel gol è un ricordo indelebile nella mia mente e nella mente di tutti i tifosi del Catania – spiega Fini –. Quella giornata è stata magica, la vittoria poteva rappresentare la vittoria del campionato, anche se c’era da giocare la gara di ritorno. C’era la sensazione che potessimo fare qualcosa d’importante per Catania e per i tifosi, per riportarla nelle categorie che meritava. Era un evento importante. Quasi non si respirava dal calore della gente e dell’atmosfera, lo stadio era stracolmo, non si era mai visto così pieno». La conta dei paganti dà 21.366 unità, le stime parlano di 25 mila presenti, comunque miglior risultato stagionale per il Cibali. C’era dunque una trasferta da affrontare, allo stadio Jacovone di Taranto… «Nel ritorno c’era un clima teso – prosegue Fini –, l’attesa era snervante, l’ambiente di Taranto era caldo. Mentre entravamo in città in pullman, c’erano tante zone della città in cui i tifosi inveivano contro di noi. È stata un’impresa non aver perso con il Taranto. Ricordo che avevano disegnato due “B” gigantesche nel campo: è stato un loro errore, non si festeggia mai prima! La promozione è un bellissimo ricordo che porto dentro e tanti lo ricordano in maniera particolare». Le due stagioni seguenti furono meno ricche di soddisfazioni per il Catania, che il primo anno si salvò grazie al famoso “Caso Catania”, mentre nel secondo rimase fuori dalla Serie A per una flessione a fine campionato. Con 107 presenze e 9 reti, Fini lascia comunque un buon ricordo, tant’è vero che nella consultazione online per il murale del Massimino è stato scelto tra i migliori 50 giocatori della storia rossazzurra e sarà immortalato da Andrea Marusic. «Ho letto – esulta l’ala –, mi fa piacere, sono più che onorato di essere messo lì, non era facile. Sono felice di essere rappresentato in una circostanza così importante, di poter vedere il mio volto raffigurato all’esterno dello stadio dove ho lasciato sudore e dato tutto per la maglia. Ringrazio chi lo ha reso possibile e chi ha votato per me. Sono onorato e spero di poter venire all’inaugurazione, per condividere questa gioia con tutti». Il Catania vive un periodo difficile da tempo: dall’arrivo di Cosentino è stato un susseguirsi di bocconi amari e i treni del gol non hanno fatto che aumentare la delusione. Ma Fini pensa che ci sia sempre modo di ricostruire: «Credo che ora è il momento nel quale i tifosi vogliono tornare ad avere obiettivi importanti – spiega –. La piazza è ambiziosa e chiede sempre il massimo dalla squadra, in termini di prestazioni, di risultati acquisiti. In questo senso è giusto che la tifoseria sia così. Però credo che con l’avvento di Lo Monaco bisognerebbe avere un po’ di pazienza in più. La fretta è cattiva consigliera, perché poi si devono correggere errori in corsa. Il tifoso vuole vincere per tornare in A nel più breve tempo possibile, sarebbe il massimo, ma ci vorrebbe più pazienza, per ricostruire tutto con tranquillità». Lo scollamento tra città e tifoseria è evidente e ha radici conosciute, ma il fenomeno dello spopolamento degli stadi non è isolato. «Non tutti gli stadi riescono a riempirsi – ammette –. Credo che anche in A, soprattutto negli impianti di ultima generazione, l’organizzazione porta il tifoso a tornare allo stadio. Il futuro è riprogettare gli stadi in funzione del tifoso, per un evento che non sia solo la partita, che attiri più gente. Gli stadi di proprietà sarebbero qualcosa a cui bisognerebbe puntare per eventi e marketing. Nelle società dove questo sistema funziona i conti tornano. Il futuro potrebbe essere tornare a vedere la partita allo stadio e non sul divano». Michele Fini ha iniziato anche la carriera da allenatore: ha una scuola calcio a Sorso ed è stato vice di Diego López a Bologna e Palermo, dunque è interessante anche il suo punto di vista sui giovani che si approcciano allo sport. «I giovani di oggi sono più disinteressati – si rammarica –, trovi chi è più appassionato, e si vede, e chi è poco coinvolto o disinteressato, magari perché spinto dei genitori. Il ruolo delle scuole calcio è molto delicato: sei costretto a far numeri, tenendo conto di tutti, coinvolgendo chi è meno interessato in modo che il calcio diventi interessante. È un compito difficile. Tra scuola calcio e giovanile abbiamo 180 iscritti: è un numero elevato, ma è anche un impegno elevato». Roberto Quartarone - mondocatania.com
«Ciccio parlò alla squadra e…». Monaco e l’ultimo Catania-Taranto fonte: catania.liveuniversity.it
Catania-Taranto è, per i tifosi rossazzurri, una partita dal sapore diverso rispetto a tutte le altre. Sabato tornerà al Massimino a distanza di quasi 15 anni. Quell’ultimo precedente lo ricorda bene Gennaro Monaco. «Tifai in curva Sud, cantando insieme agli ultra», racconta a MondoCatania. Fu la vittoria che permise al Catania d’essere promosso in serie B. Nonostante l’ex difensore abbia poi cambiato maglia e indossato proprio la maglia degli allora rivali, è rimasto tifoso del Catania. «Ricordo che, quel giorno, al Massimino c’erano 30mila catanesi. Lo stadio era stracolmo. Io, nonostante fossi squalificato, avevo fatto il riscaldamento insieme ai miei compagni, per caricarli a pallettoni. Poi però l’ispettore della Figc mi notò e mi buttò fuori dal campo. Addirittura, insieme ai carabinieri fu portato fuori dallo stadio. Mi fu intimato di allontanarmi. In pantaloncini e scarpette da calcio io, invece, feci una corsa da piazza Spedini fino alla curva Sud. I capi tifosi mi permisero di stare insieme a loro, sul piedistallo da dove venivano lanciati i cori. Per me fu un privilegio. Da lì abbiamo visto il gran gol di Michele Fini, che sarebbe poi risultato determinante per la promozione in serie B».
Gli allenamenti che precedettero
quella sfida, per volontà dell’allora presidente Riccardo Gaucci, si
svolsero al Massimino. L’intenzione era tenere la squadra, seppur in
regime di ritiro, quanto più vicina possibile alla città e alla
tifoseria. «Durante la settimana ci siamo preparati con grande intensità e senza perdere il sorriso sulle labbra. Ricordo che fu una settimana particolare,quella che precedette la sfida col Taranto. I tifosi furono presenti a ogni allenamento. Ce n’erano almeno mille, sempre. Tra loro parecchi facevano parte dei gruppi organizzati. Alcuni dei miei compagni erano intimoriti da tutta quella pressione, temevano le possibili conseguenze di una sconfitta. Io dissi loro che non avevano nulla da temere, perché dovevamo vincere e avremmo vinto». Monaco ricorda, in particolare, un episodio avvenuto poche ore prima della sfida d’andata. Il protagonista è Ciccio Famoso, il fondatore del movimento ultras catanese, che di recente è venuto a mancare. «Due giorni prima della partita Ciccio Famoso chiese a Riccardo Gaucci un colloquio con la squadra. Lui acconsentì, perché sapeva che le parole di Ciccio non avrebbero potuto far altro che caricarci ancor di più. Ricordo che tutti noi calciatori fummo chiamati a rapporto e messi in riga fuori dal Massimino. Ciccio ci fece un discorso bellissimo. Durante il quale si rivolse a Michele Fini, il giocatore tecnicamente più forte che aveva quel Catania, uno che poteva fare la differenza. Gli fece capire, con quella sua particolare cadenza nel parlare, che in campo non doveva incaponirsi a dribblare l’intera squadra avversaria: “Michele, basta con questo tic-tac, destra-sinistra. Finiamola, dobbiamo acchianare”, gli disse. Ci diede una carica impressionante. E Fini, in quella partita, segnò». Il Catania fu promosso in serie B, mentre a Taranto montarono polemiche e accuse su presunte macchinazioni attorno al regolare svolgersi dello spareggio. Qualche anno dopo, proprio Monaco finì con l’indossare la maglia rossoblu. Inevitabile che il discorso, prima o poi, sarebbe venuto fuori. «Nel calcio,quando si perde, si dicono tante nefandezze. Accettai la proposta del Taranto in quanto sono un professionista. Restai lì sei mesi, contribuendo a ottenere la salvezza. Quando mi fu chiesto conto della regolarità di quella partita, risposi che il Catania aveva conquistato la promozione sul campo. Avevamo dalla nostra un grande gruppo negli spogliatoi e una grande tifoseria sugli spalti». Allenatore, oggi Monaco continua a seguire le vicende della squadra rossazzurra che ha da poco cambiato guida tecnica. A Pino Rigoli è subentrato Mario Petrone. «Una decisione che doveva essere presa prima. A livello caratteriale,fuori casa, la squadra non è mai stata esaltante. C’è tempo e modo per recuperare, raggiungere i playoff e andare in serie B. Petrone è sempre stato in squadre vincenti. Il Catania, in questo momento, è tra le rose più forti. Adesso i calciatori non potranno più nascondersi. Andato via Rigoli, ognuno di loro deve dare qualcosa in più, specie fuori casa, dove il Catania pare una squadra diversa. Il nostro Catania, in casa, è cinico e alle volte devastante. Credo che sabato, contro il Taranto, vincerà nettamente».
“Il Catania vince uno a zero con un gol capolavoro di Michele Fini. La domenica successiva andremo a Taranto per difendere questo gol di vantaggio, che potrebbe voler dire serie B. Ci vengono concessi duemila biglietti. Sappiamo che a Taranto sarà una guerra. Una intera città ci aspetta per conquistare la B e vendicarsi dell’umiliazione che gli abbiamo inferto con quella coreografia, e le dichiarazioni che arrivano dalla città jonica non sono certo all’insegna della distensione. Non è una partita per tutti. A Taranto dovranno esserci solo i più motivati. Quelli che, per trascorsi e curriculum, meritano di esserci. Non parlo solo degli ultras: è ovvio che ci saremo tutti. Parlo dei tifosi normali che frequentano la curva, ma anche di quelli che vanno in tribuna B. E’ un tifoso molto particolare, quello della tribuna B. Lo zoccolo duro è composto da personaggi della media e alta borghesia che hanno sempre seguito il Catania. A prescindere dalla categoria. Vincesse o perdesse, con il sole o con la pioggia, con il caldo e con il freddo, loro sono sempre stati lì, al loro posto. A Taranto vogliono esserci ed è giusto che ci siano. Sanno perfettamente a cosa andranno incontro e muoiono dalla voglia di vivere questa esperienza sul campo. Dovesse finire in scontri, come è molto probabile, sono certo che non si tireranno indietro. In buona sostanza: facciamo in modo che i duemila biglietti del settore ospiti finiscano nelle mani di tutte le persone che hanno più diritto di esserci. Partiamo domenica nove giugno all’alba. Siamo scortati da un servizio d’ordine imponente organizzato dalla questura di Catania. I volti tirati, l’ansia del traguardo a portata di mano, la consapevolezza che troveremo un clima pesante. Ricordo la traversata sul traghetto, compulsando nervosamente i giornali per sapere quante più informazioni possibile. Il lungo calvario della Reggio-Salerno, attraversando le Calabrie. Poi lo svincolo di Sibari, curvando verso destra, verso il mare. E’ già mezzogiorno, la nostra destinazione distante poco più di cento chilometri. Mangio velocemente un panino sul pulmino ma senza fame, il nervosismo mi fa venire i crampi allo stomaco. Superato la svincolo per Castellaneta Marina, in lontananza si cominciano a vedere i pinnacoli bianco sporco eruttati dalle ciminiere dell’Ilva. Mancano poco meno di quaranta chilometri, a Taranto. Poi è la volta dell’uscita per Palagiano, qualche chilometri dopo l’imbocco dell’autostrada per Bari; dentro la macchina intoniamo il coro di tante battaglie:”Alè, Catania Alè, Siamo sempre con te, Conquista la vittoria, Conquistala per noi”. Viaggiamo seguendo la stessa disposizione: la macchina che porta lo striscione, di cui è responsabile Enzo Il Nervoso, viaggia al centro, preceduta e seguito dalle altre auto. La colonna si ferma, così come disposto dal servizio d’ordine, al parcheggio dell’Italsider – poi acciaierie Riva -. Ci fanno salire sulle circolari che ci condurranno allo Jacovone. Dobbiamo tenere gli occhi aperti, dico a tutti. Appena entrati a Taranto ho la sensazione che ci sia una intera città pronta a vomitarci addosso. Ogni casa è bardata con una bandiera rossoblù. La gente per strada, al nostro passaggio, ci grida contro di tutto. Ma più ci insultano, più ci carichiamo. Più respiriamo ostilità, più si fortifica la nostra corazza. Non siamo più solo duemila tifosi ma duemila cuori che battono all’unisono, ciascuno pronto a buttarsi nella fossa dei leoni accanto per l’altro. E’ una fitta sassaiola a darci il benvenuti allo Jacovone. Prendo posto sulla balconata. Conosco tutti quelli dentro il settore, uno a uno. Ci siamo noi, i Sostenitori, gli Anr, gli Irriducibili, la Falange, gli Ultras Ghetto, la Gioventù, gli Indians, I Drunks, il club Angelo Massimino, I Pazzi, Zafferana Rossoazzurra. Ci sono ragazzi che non appartengono a nessun gruppo ma che tifano con noi nella nord e sono stati in decine di trasferte, come il gruppo di Acicastello. Quelli che erano presenti a Tricase in venti, contro l’Olbia (nel campo neutro di Berchidda) in dieci; sotto la neve di Benevento e sotto la pioggia di Torre Annunziata; ad Aci Sant’Antonio e a Canicattì, a Rotonda e a Milazzo. Perché la partita che stiamo giocando è l’ultimo atto di una lunga traversata nel deserto iniziata il trentuno luglio del 1993, il giorno della radiazione. Arrivato dopo sei anni di C1 che avevano già fiaccato il morale del popolo rossoazzurro. Con la mente vado rapidamente a quell’estate: la radiazione, il ricorso di Massimino, Proto con il suo Catania ’93 prima e con l’Atletico poi; il Tar che ci dà ragione e poi il Consiglio di Stato, la decisione di partire dall’Eccellenza; l’abbandono di quelli che decisero di scendere dalla nave rossoazzurra e la fede dei più che vi restarono sopra, cominciando a navigare in mare aperto senza che all’orizzonte si riuscisse a vedere la terraferma. Chi è dentro il settore, quella domenica nove giugno, conosce tutta la storia per averla vissuta, dall’inizio alla fine, e chi non c’era (potendo scegliere di esserci) resterà per sempre orfano di una bella storia da raccontare. Si tifa per novanta minuti. Senza sosta, senza pensare alle pietre che arrivano dalla curva confinante con il settore, alle bombe carta piene di piombini che deflagrano in mezzo a noi e ai fumogeni lanciati dalla tribuna centrale. In questo stadio, nel mese di ottobre, i tifosi tarantini hanno profanato il nome di Sant’Agata. Completiamo la nostra risposta con una lungo striscione esposto nel settore superiore, riportante l’acronimo N.O.P.A.Q.U.I.E. Noli Offendere Patriam Agathae Quia Utrix Iniurarium Est. Non offendere il paese di Agata perché ella è vendicatrice di ogni ingiustizia. L’iscrizione è dipinta sul soffitto della cattedrale, appare sulla porta lignea della facciata e come decoro dell’ingresso alla navata laterale di sinistra. Ricorda una leggenda, legata ad Agata. E cioè che Federico II, al suo rientro dalla campagna tedesca nel 1231, trovò le città siciliane ostili al dominio centrale. Intenzionato a riprendere il controllo sulle terre un tempo demaniali, trovò l'opposizione di diverse città: fece pertanto uccidere il capo della rivolta, Martino Bellomo e diede ordine di punire le città ribelli di Siracusa e Nicosia e di distruggere Centuripe, che si era dimostrata particolarmente riottosa al dominio regio. Per quanto riguardava Catania, fino a quel periodo sotto la diretta dipendenza del vescovo Gualtiero, la leggenda vuole che l'imperatore decise l'eccidio completo dei suoi abitanti, compresi donne e bambini, e la sua completa distruzione. I catanesi, conosciuta la sentenza imperiale, chiesero di assistere alla loro ultima messa da celebrare nella cattedrale e Federico II acconsentì decidendo di assistere con loro. Appena l'imperatore svevo aprì il suo libro di preghiere apparì su tutte le pagine del libretto la sigla N.O.P.A.Q.U.I.E. che un frate benedettino presente interpretò, appunto, come Noli offendere Patriam Agathae quia ultrix iniurarum est. Il sovrano, impressionato dall'accaduto, diede immediato ordine di risparmiare la città: nessun uomo sarebbe stato ucciso, la città non sarebbe stata bruciata, sebbene alcuni edifici vennero demoliti. Forse è una leggenda, ma meglio non rischiare. Purtroppo i tarantini lo hanno fatto e non possono più tornare indietro. Passa il primo tempo, passa l’intervallo, e si continua a cantare. Senza fermarsi. In campo, i ragazzi stanno dando l’anima. Anche Edy Baggio dà una mano in difesa, dove giganteggiano Baronchelli e Zeoli. Dobbiamo difendere il vantaggio dell’andata. Il novantesimo si avvicina, cantiamo ancora più forte “Non mollare mai, Non mollare mai!”, lo facciamo ormai da venti minuti consecutivi. Siamo agli ultimi secondi, c’è un’azione confusa in area, Riganò va giù nel contatto con De Martis: Mazzoleni fa cenno che si può proseguire. Vedo tanti ragazzi intorno a me in ginocchio, per la tensione. Poi il fischio finale. Siamo in Serie B. Nei volti di ciascuno di noi la sensazione di avere vinto la nostra sfida con il destino. Ce l’abbiamo fatta. Restiamo dentro il settore ospiti dello Jacovone per quasi un'ora e mezza. Lo stadio ormai è vuoto e appare desolante la B disegnata sul terreno di gioco, mentre fuori infuria la battaglia. Ci caricano sui pullman, percorriamo strade periferiche entrando in contatto con i tifosi tarantini imbestialiti per lo sconfitta. Poi passiamo davanti al Maricentro per il momento più emozionante: le reclute catanesi, che da due settimane non escono dalla caserma per le minacce ricevute, festeggiano sul terrazzo sventolando le loro bandiere rossoazzurre al nostro passaggio. Arriviamo al parcheggio della raffineria e da lì ripartiamo per uno dei viaggi verso Catania più belli della mia vita. Siamo stati appena promossi in serie B, dopo quindici anni, e mi sembra di avere raggiunto il Paradiso". SEMBRA UN FILM MA È TUTTO VERO...CHE EMOZIONI!❤ (Quando saremo tutti nella Nord). Catania 46 – gruppo Facebook
INIZIA LA SERIE B DI RICCARDO GAUCCI
Conseguita la tanto agognata promozione in cadetteria, sono tante le novità previste nella nuova stagione. La prima, in ordine di tempo, riguarda il vecchio “Cibali”, che dal 20 giugno 2002 viene ribattezzato alla memoria del Cavaliere “Angelo Massimino”. La seconda è rappresentata dalle maglie personalizzate, introdotte per le formazioni di Serie A e B dalla stagione 1995/96. I giocatori del Catania per la prima volta possono sfoggiare i propri numeri: in tal senso, spiccano il 97 scelto dal “Leone di Molfetta” Vito Grieco (regista pugliese, reduce dalla promozione in massima serie con il Modena), il 99 del difensore Alessandro Del Grosso, altro volto nuovo proveniente dalla Salernitana, o il 37 di Gennaro Monaco (che resta in qualità di uomo spogliatoio).
Così come impone
lo “stile Gaucci” l’organico è letteralmente rivoluzionato, attraverso
l’operato del ds Nicola Salerno. Gli “eroi di Taranto” riconfermati sono
davvero pochi: si tratta di Iezzo, Sansonetti, Baronchelli, Zeoli, De Martis,
Bussi, Cordone e Fini (alcuni dei quali relegati a riserve), mentre Baggio
lascia a campionato già iniziato. I puntelli sono di qualità, con tanta
esperienza anche in Serie A: oltre ai già citati Grieco e Del Grosso, si
vestono di rossazzurro i difensori Salvatore Monaco, Alberto Malusci e
Pietro Fusco; il talentuoso mediano perugino Fabio Gatti, nell’orbita
dell’Under 21 azzurra; l’esperto centrocampista Giovanni Martusciello,
messosi in luce nell’Empoli della seconda metà degli anni ’90; gli
attaccanti Cristian Bucchi (di proprietà del Perugia) e Davide Possanzini
(ex Reggina e Sampdoria); la scommessa esotica Jaroslav Šedivec (ventunenne
ce
Nella settimana che porta alla sfida di Terni accade
l’imponderabile: la Corte Federale – organo che non avrebbe il potere di
incidere sulle decisioni passate in giudicato (tali sono quelle della
C.A.F.), ma soltanto, eventualmente, di fissare linee interpretative per
casi futuri – accoglie la richiesta di ripristinare il risultato di 1-1 del
match tra Catania e Siena, formulata da Ascoli, Bari, Cosenza, Genoa,
Messina, Napoli, Venezia e Verona, tutte formazioni ancora invischiate nella
lotta per non retrocedere. L’abuso di potere architettato dal “Palazzo” fa
precipitare l’Elefante a quota 38 punti, in piena zona retrocessione. La
pesante sconfitta di Terni (3-1 per le fere) aggrava ulteriormente la
situazione della squadra dell’Elefante, che adesso ha tre lunghezze da
recuperare al Napoli, con appena due giornate da disputare. La settimana
dopo si supera in casa il poco motivato Livorno, lasciando accesa una
flebile speranza. Nel contempo i
’11 settembre 2003, finalmente, arriva il compromesso che sancisce la fine delle ostilità: a quattro giorni di distanza dalle uniche due gare disputate tra quelle previste nella seconda giornata (Napoli-Como 0-1 e Catania-Cagliari 0-3), il Consiglio Federale accoglie le richieste della Lega, che prevedono cinque promozioni dirette in massima serie, più uno spareggio tra la sesta dei cadetti contro la quart’ultima di A; novità, queste, che sanciscono il cambio di format della massima serie (da 18 a 20 squadre) e della stessa cadetteria (da 24 a 22) a partire dalla stagione successiva. fonti: http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/
Il Catania e quel sogno di diventare una grande 22/02/2019 - di Giovanni Finocchiaro Vecchie glorie hanno raccontato la loro esperienza in maglia e rossazzurra e Gennaro Monaco fa l'ultras
CATANIA Non s'è spenta l'eco della manifestazione tenutasi a Porte di Catania per ricordare gli anni della presidenza Gaucci in seno al Catania calcio. A tornare in città, abbracciati dai tifosi, lo stesso ex presidente Riccardo Gaucci, gli ex calciatori Gennaro Monaco, Alessandro Ambrosi, Lulù Oliveira, i tecnici Vincenzo Guerini e Maurizio Pallegrino.
Prima di dare vita al dibattito
sul palco del centro commerciale che ospita anche il bellissimo
museo dello sport ca Maurizio Pellegrino, il tecnico del salto in B, con Ciccio Graziani a collaborarlo, ha aggiunto: "L'avvento di Riccardo Gaucci ha impresso un cambiamento radicale a un club che ha mutato la mentalità. Gaucci ha portato professionalità, lavoro. Non era facile ripartire dopo la finale di Messina e conquistare la C subito dopo. C'erano una mentalità vincente, investimenti e ristrutturazioni valide". Gaucci rivela: "Rifarei tutto, ma non avrei detto no alla vendita del Catania Ci sono stati attriti famigliari, c'era il Perugia e altri club di mezzo. Avrei fatto valere la mia parola, avevo già gli acquisti e il progetto per andare in A: avrei portato due o tre importanti acquisti e avremmo vinto il campionato". Oliveira è stato festeggiato dai tifosi: "Quando torno qui è sempre una gioia. Il 3-3 di Messina con i miei gol è la partita più bella, al pari delle vittorie sul Palermo. Ricordo anche quando sono arrivato a Catania: èvenuto a prendermi a Como il ds Nicola Salerno e il dg Palmas. Quando sono arrivato in aeroporto c'erano tremila persone ad aspettarmi". Felice anche Vincenzo Guerini, allenatore della finale di Messina: "Un grande gruppo, abbiamo rimontato ottenendo 12 vittorie di fila e passando dai play out ai play off. Quanti ricordi. Non rivedevo Ambrosi da 16 anni. Grazie per questa serata". https://www.lasicilia.it/gallery/gallery/224527/il-catania-e-quel-sogno-di-diventare-una-grande.html
Parallelamente alla battaglia legale per il mantenimento della cadetteria, condotta con determinazione dai Gaucci, prende forma anche l’ossatura del nuovo Catania. Nell’incertezza della categoria non ancora definita, il ds catanese Guido Angelozzi, tornato alla base, assembla tra mille difficoltà il nuovo organico.
Oltre a Fusco, rientrato dalla Lucchese, giungono in prestito dalla “casa madre” Perugia il giovane difensore centrale Guglielmo Stendardo, riserva della Sampdoria nelle ultime annate, ed il centrocampista Gennaro Delvecchio, transitato da Catania nell’estate 2000 per poi essere dirottato in altre squadre di C; inoltre, dicono di “sì” il portiere Concetti ed il difensore Ernesto Terra (ex colonna del Sora), mentre Sarr, Budan e l’ex milanista Kutuzov nel dubbio rifiutano l’affare. La decisione di allargare la B a 24 squadre, presa dal Consiglio Federale ed avallata dal CONI, determina la redazione dei calendari ed al contempo anche la protesta delle altre diciannove formazioni cadette interessate.
L’arguto dirigente Angelozzi si traveste da mago e nelle ultime ore di mercato appronta un organico di tutto rispetto: in porta arriva l’ex atletista Lorenzo Squizzi; in difesa i terzini Nicola Diliso (proveniente dall’Hellas Verona) e Andrea Giallombardo (in prestito dal Perugia via Grosseto); in mediana l’ex vicentino Fabio Firmani e la scommessa ivoriana Alain Behi, proveniente dalla Serie B francese; sulla trequarti il trentunenne Alessandro Sturba; in attacco, al posto di Taldo, si punta sull’airone nero danese Marc Nygaard, lanciato in Olanda dal Roda di Kerkrade. Il capolavoro, però, è rappresentato dall’acquisto di Mascara, che dopo essere sfumato nelle annate precedenti, si materializza col calatino che lascia il Genoa per tornare in Sicilia, sponda Catania. Tra i reduci della stagione precedente spiccano Zeoli, Grieco, Fini e Lulù Oliveira. La truppa viene affidata al quarantunenne Stefano Colantuono, tecnico alle prime armi che ha cominciato la propria “seconda carriera” un anno prima in C1 sulla panchina della Sambenedettese (terza squadra di proprietà dei Gaucci), portandola ai playoff. Non essendo provvisto del patentino necessario per allenare in B, il romano viene affiancato dal “tutor” Gabriele Matricciani. fonti: http://www.calciocatania.com e http://tuttoilcatania.altervista.org/
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