Uno speciale dedicato ai turisti che hanno intenzione di visitare la cattedrale di Sant'Agata, ma anche ai molti catanesi che di essa conoscono, a malapena, solo la tomba di Bellini e l'amata cappella, immaginando chissà chi in quelle statue o targhe. Ecco una "essenziale"  guida della ECCLESIA MUNITA.

 

 

 

 

ORARI

Giorni Festivi.

Mattina: dalle 7.30 alle 12.30 - pomeriggio: dalle 16.30 alle 19.00

Giorni Feriali.

Mattina: dalle 7.00 alle 12.00 - pomeriggio: dalle 16.00 alle 19.00

SS. Messe Giorni Festivi.

Mattina: ore 8.00 - 9.30 - 11.00 - pomeriggio: ore 18.00

SS. Messe Giorni Feriali.

Mattina: ore 7.30 - 10.00 - pomeriggio: ore 18.00

Durante le celebrazioni liturgiche è  VIETATO visitare la Cattedrale

 

http://www.cattedralecatania.it

http://www.diocesi.catania.it/

 

 

 

 

Tra il IV e il V secolo il corpo di S. Agata, una volta che si dichiarava ufficialmente riconosciuta la religione cristiana, nel 380 venne trasferito nell'antica chiesetta di S. Maria di Betlemme. Ormai non si rendeva più necessario tenere nascosti i resti mortali di S. Agata. Nei secoli successivi la chiesetta si dimostrò insufficiente a contenere l'entusiasmo che animava il popolo catanese e le popolazioni limitrofe, desiderose di rendere omaggio al venerato corpo della buona e dolce fanciulla.

I cristiani, che ormai da un secolo rappresentavano la cultura dominante nei confronti di un paganesimo in via di estinzione, non vennero travolti dalle invasioni barbariche, anzi si rafforzarono. Dopo le persecuzioni a cui erano stati sottoposti dagli ultimi imperatori, il vento cambiò direzione e gli aguzzini di un tempo diventarono a loro volta vittime perseguitate. Il divieto dei sacrifici agli dei era incominciato con l'imperatore Costantino I, e venne eseguito anche dopo dai suoi successori.

 

Il 313 d.C. è l'anno dell'Editto di Milano, con il quale il Cristianesimo ottiene la libertà di culto.  L'imperatore Costantino (detto Costantino I il Grande), che promosse questa libertà, era a Milano, da qui il nome del celebre documento. Ormai non si rendeva più necessario tenere nascosti i resti mortali di S. Agata.

Nel 380 San Severino fece costruire una chiesa che venne terminata nel 430. Vennero inglobati i resti di una edicola dedicata a San Pietro apostolo. Il luogo erano dove esistevano i resti di quella che era stata la residenza del proconsole (che era stata spostata a Siracusa). Questa chiesa era quella di Sant'Agata (la Vetere) che venne proclamata Primaziale tra le altre. Il vescovo vi stabilì la cattedra  e vennero qui traslato il corpo di Sant'Agata ancora nel suo sarcofago. Dove fosse prima il luogo di sepoltura è quasi certamente la necropoli di via Androne dove esistono, ahimè ignorati e nascosti, i resti di due basiliche paleocristiana. E da qui arriva la famosa lapide di Julia Fiorentina. Della chiesa di Santa Maria di Betlem (a Catania si scrive cosi) non c'è più traccia mentre la cripta di San Gaetano non fu mai luogo di sepoltura.

Molto distrutto è il cosiddetto sepolcro di Stesicoro che sorgeva di fianco all'antica chiesa di Santa Lucia... Oggi quel luogo è occupato dalla chiesa del Carmine e il fatto che fino agli anni 60 qui entrava la vara di Sant'Agata  (unica chiesa oltre la vetere)  potrebbe avere un senso molto più profondo di quello che si immagina. Quindi riassumendo i luoghi di probabile sepoltura sono p via dottor Consoli o il sepolcro di Stesicoro. Su quest'ultimo in anni recenti sono stati effettuati anche studi e ricerche ma  ancora l'enigma non si è risolto.

(Antonio Trovato)

 

Nel 778 il vescovo Leone II (765-785) fece demolire la modesta cappella consacrata a S. Agata dal vescovo Everio nel 264 sorta sul luogo del martirio, e vi fece erigere una chiesa. Il nuovo tempio, ornato da colonne tolte dal vicino tempio di Cerere, venne denominato Basilica di S. Agata o Cattedrale.

Nel secolo VIII il vescovo Severo (802-812) provvide ad ingrandire la Basilica, trasferendovi il corpo di S. Agata che venne deposto nello stesso sarcofago che lo aveva contenuto sin dal 251.

 

 

Molte chiese furono innalzate in Catania durante il dominio bizantino: S. Giorgio sorse nello spazio dove era il tempio pagano di Iside e dove sotto i Normanni venne costruita la cappella della Madonna, al Duomo. Ivi venne rinvenuta una lapide, che dice: O inclito Giorgio, che abiti i cieli insieme agli angeli, e ti è concesso di visitare i luoghi terreni, non sdegnare di abitare questo luogo che è tuo.

Nel Duomo si conserva una reliquia del suo braccio; si ammira inoltre un altare e un quadro, pregevole opera del 1624 del pittore Girolamo La Manna.

Catania ebbe un'ascesa in tutti i campi: le lettere, le arti, le scienze, le industrie, l'artigianato, l'agricoltura, furono molto fiorenti. L'elemento normanno finì con il prevalere sull'aristocrazia baronale. Aveva inizio la costruzione dei castelli feudali, simbolo di garanzia e di potenza.

Nelle vicinanze della Marina esistevano le terme romane, dette Achillee e la bizantina chiesa dedicata a S. Giorgio, che gli Arabi avevano trasformato in moschea. Questi avanzi monumentali suggerirono al conte Ruggero l'idea di creare delle modifiche. Se da una parte si muniva all'intorno la città, dall'altra si adattavano le terme a luogo di difesa e di culto.

Secondo lo stile romano le terme venivano costruite in un vasto ambiente edilizio, che in gran parte era rovinato dopo tanti secoli; venne attuata una copertura, con l'impiego di nuove colonne prelevate dai monumenti romani.  Venne abbattuta la chiesetta dedicata a S. Giorgio, ed ebbero inizio nel 1091, sui ruderi delle terme Achillee, i lavori di costruzione della Cattedrale con l'ausilio di maestranze arabe e normanne. I lavori durarono circa tre anni.

 

LA CITTÀ E IL SUO VESCOVO

 La prima particolarità della Catania normanna è l'unione fra il monastero benedettino e la chiesa cattedrale cioè di quei due grandi centri del potere ecclesiastico che, spesso, altrove erano rivali. Il fatto che Angerio, monaco bretone proveniente dal monastero di S. Eufemia in Calabria, fosse insieme il primo abate del monastero di S. Agata e il primo vescovo di Catania indica che, a causa della situazione particolare, a Catania non si era verificata, almeno in un primo momento, quella contesa fra abate e vescovo che altrove, spesso, sarà piuttosto evidente.

Qui, infatti, al vescovo-conte, che nel contempo era anche abate, erano affidati poteri straordinari di giurisdizione, esazione fiscale, ordine pubblico: un controllo capillare del territorio in nome e per-cento della monarchia che stava costruendo una struttura statale, fortemente centralizzata per l'epoca. Al di là delle vicende militari rendere stabile l'occupazione di una città composita è difficile anche per la ricca stratificazione etnica, religiosa e culturale che ne faceva la ricchezza voleva dire non solo acquisirne il controllo militare ma anche penetrare il territorio da un punto di vista religioso e culturale.

Solo più tardi Ruggero d'Altavilla, a differenza di quanto fece in altre sedi, non solo abbinò la funzione di abate a quella di vescovo, ma affidò al vescovo la funzione di guida politica e amministrativa della città (1092): in qualche modo il conte si garanti così il controllo della città portuale al riparo del convento di S. Agata e dietro la figura di quel suo fedele monaco Angerio divenuto primo vescovo della città.

Angerio diresse la chiesa e la città di Catania fino al 1124 ma soprattutto seppe creare attorno alla chiesa un forte nucleo di amministratori, mercanti, nobili, contadini e artigiani forti della loro prosperità ma sottomessi al vescovo e alla sua attenta e pressante fiscalità.

Tutti gli indizi portano a pensare che l'antica città murata, la città fortificata, di epoca normanna dovesse coincidere con quella zona della città che ancor oggi continua a chiamarsi "civita". È infatti plausibile ritenere che l'abate Angerio non avesse interesse alcuno a cingere di mura tutta la grande estensione della antica città romana in gran parte distrutta, ma solo la zona contigua alla cattedrale e comprendente appunto la chiesa, il monastero e i principali edifici compreso il porto: in questa zona doveva concentrarsi dunque la maggior parte della popolazione.

Soprattutto Angerio seppe dare un volto nuovo alla città: prima la chiesa era collocata su un'altura, Angerio volle che fosse vicino al mare: le imponenti absidi che ancora oggi campeggiano minacciose all'interno del cortile dell'Arcivescovado, verso via Vittorio Emanuele, erano all'epoca prospicienti il mare, in una zona litoranea fra il vecchio porto arabo e il foro romano.

L'edificio fu insomma pensato come una chiesa "munita" una chiesa-fortezza: non potrebbe esserci testimonianza più forte sia dello sforzo "culturale" fatto dalla monarchia normanna per cristianizzare la regione, sia anche della commistione profonda fra questo impegno per un verso e Fattività politico-amministrativa ma anche di difesa, puramente militare, per garantire alla collettività quella protezione dagli attacchi esterni che era una premessa essenziale per favorire quel radicamento che la Chiesa svolgeva anche sulla base di un proprio progetto egemonico. Plasticamente lo stesso edificio mostrava nel concreto tutta una politica che garantiva pace e protezione ai fedeli e minacciava i nemici.

tratto da "Catania medioevale" di M. Mangiameli - Bonanno Editore.

 

 

 

L'inaugurazione avvenne il 25 maggio 1094. Fu lo stesso conte Ruggero che fece aprire al culto la nuova chiesa dedicata a S. Agata. Venne solennemente consacrata dal vescovo Ausgerio e in omaggio al pontefice Urbano II.

La costruzione della Cattedrale fu in origine una vera e propria ecclesia munita, cioè una costruzione religiosa e militare insieme, dedicata al culto ma anche alla difesa della città, cioè un forte castello in riva al mare. Fu costruito nello stile gallico, cioè con i criteri, norme e strutture simili a quelli in uso presso gli antichi francesi.

LA PARTE POSTERIORE DELL'ABSIDE DI DESTRA E DI QUELLA CENTRALE

 

Il monastero venne costruito vicino alla Cattedrale e affidato ai monaci benedettini, che introdussero la litania gallicana; gran parte degli ecclesiastici furono francesi, inglesi e parte longobardi. Dal 1091 al 1572 i benedettini officiarono la Cattedrale in qualità di canonici; nel 1572 il papa Pio V mutò il clero regolare benedettino in clero secolare.

Il 4 febbraio 1169 un terribile terremoto sconvolse una parte della Sicilia orientale. Molte terre e città vennero distrutte; moltissimi abitanti morirono sotto le rovine delle case crollate. Catania fu rasa al suolo e 15.000 persone delle 23.000 restarono vittime del disastro. Il Vescovo di Catania, Giovanni Aiello (1160-1169) con 44 monaci e una grande folla, che ascoltava la Messa in onore a S. Agata, in quanto era la vigilia dell'anniversario della morte della Patrona, perirono sotto le macerie del Duomo.

Il terremoto del 1169 causò il crollo delle volte di Sant’Agata. Il prospetto principale della basilica, che in più parti subì varie lesioni, nel periodo svevo venne poi arricchito di un nuovo portale.

Nella fase di ricostruzione, il vescovo Roberto (1170-1179) scelse di lasciare sul posto le macerie delle volte, che perciò provocarono un rialzamento del pavimento di circa 1 m.

 Per evitare il ripetersi della tragedia causata dal sisma, la nuova copertura fu realizzata con più leggere capriate di legno.

Così, diminuendo il carico sulle colonne di sostegno, le quali inoltre furono rinforzate con pilastri murari, si pensò di assicurare alla fabbrica una maggiore stabilità.

 Dopo i restauri del terremoto, la basilica subì altri danni nel 1197, quando Enrico VI fece incendiare la città per punire il vescovo Ruggero e i catanesi, che avevano partecipato alla rivolta contro di lui.

Nella città di Catania venne subito ricostruita la principale arteria detta Luminaria e il piano di S. Agata che, per i tempi di allora, era abbastanza ampio. Sotto il vescovo Roberto (1170-1179) si diede inizio alla riedificazione del Duomo, che venne ampliato. Gran parte dei lavori di ricostruzione dei centri distrutti dal terremoto vennero affidati ai musulmani, dai quali il sovrano seppe egregiamente servirsi per gli affari del Regno e della Corte. Per tali meriti il sovrano ebbe il soprannome di Buono. Anche la reggente Margherita ai Navarra si prodigò ad inviare soccorsi ai sinistrati del terrificante terremoto. I catanesi rimasero infinitamente grati, apprezzando, con imperitura riconoscenza, il suo vivo interessamento.

(Catania - Le origini di Catania - Dal Quaternario al terremoto del 1693 Giovanni Merode e Vincenzo Pavone - Edizioni Greco CT - 1993)

Difficile stabilire l'andamento della popolazione anche se sappiamo che nel terremoto del 1169 morirono quindicimila persone: la cifra ci può dare un'idea di massima, fermo restando che si tratta di un dato puramente indicativo e per nulla certo perché non vi sono riscontri che ci aiutino a stabilire l'esattezza della cifra.

I pochi documenti dell'epoca (specialmente le platee  del 1095 e del 1195) relative a Catania ci parlano di 945 famiglie soggette al vescovo tea giudei (25 famiglie), neri (23 famiglie) e musulmani complessivamente fra 2800 e 3300 persone: le platee rivelano che i Saraceni si trovavano in condizione di inferiorità, dato che erano sottoposti a tributo, anche se erano liberi di professare la loro fede poiché, come ricorda anche Al Idrisi, ciò è confermato dal fatto che ci fossero "moschee grandi e piccole". Dal punto di vista economico e commerciale gli interessi della popolazione musulmana erano poi garantiti da un "cadì" ovvero un funzionario che aveva un certo prestigio presso le autorità locali, a testimonianza dell'importanza del suo ruolo nella collettività. Si tratta di un magistrato che vediamo all'opera nei momenti difficili anche all'epoca di Federico II.

tratto da "Catania medioevale" di M. Mangiameli - Bonanno Editore.

Un'antica stampa inglese (grazie a Turi Giordano)

 

11 gennaio 1693: il più forte ed esteso sisma italiano degli ultimi millenni (stimato pari a 7,4 scala Richter) e definito dai contemporanei "spaventevole", "lastimoso", "horrendo" - che distrusse Catania e tutte le città del Val di Noto con oltre 60mila vittime.

In tante chiese delle province sud-orientali della Sicilia oggi vengono ricordati i morti di quella disastrosa calamità naturale, con speciali atti di affidamento ai santi patroni. Tre furono le scosse violente che devastarono la città: la prima, la notte di venerdì 9 gennaio, lesionò molte case dove perirono dieci popolane; la seconda, domenica 11 alle 14, dopo paurose oscillazioni fece rovinare la torre campanaria del Duomo, alta 100 metri e fatta costruire dal vescovo domenicano messinese Simone del Pozzo nel 1388, sulle tre navate del tempio normanno che crollarono, ad eccezione delle absidi, delle due cappelle del transetto, del prospetto principale e della sagrestia del vescovo Michelangelo Bonadies.

Sotto le macerie della Cattedrale morirono soffocati oltre 7mila catanesi in preghiera penitenziale davanti alle reliquie di S. Agata, che erano state esposte a furor di popolo nel cappellone maggiore nella speranza che fosse evitata la temuta catastrofe alla città, che contava appena 30mila abitanti.

Il campanone di S. Agata pesante 7.616 chilogrammi precipitò sulla vicina spiaggia che lambiva la cinta muraria di mezzogiorno, ma non si ruppe. La terza scossa, terrificante, avvenne alle ore 15 come raccontò un superstite estratto vivo dalla macerie, il filosofo e storico francescano Francesco Privitera.

(Antonino Blandini)

 

Dopo il terremoto del 1693 Bisognava ridare un volto alla Cattedrale.  Nel primo decennio del Settecento, mons. Andrea Riggio, vescovo di Catania in quella eccezionale congiuntura, su disegno del Palazzotto (fra Liberato), diede l'avvio alla ricostruzione della Cattedrale.

E’ un'opera grandiosa, impegnativa, veloce. Dura meno di tre anni. Prima di lasciare Catania, nel 1713, l'appassionato vescovo scrive al Papa: «Con la mia pastorale sollecitudine e con sommi dispiaceri e destituito da ogni umano aiuto, confidando nella provvidenza dell'Altissimo Dio, dopo quasi tre anni terminai la fabbrica, non solo rifatta con ampliore situ, ma anche ornata con bellezza ed ogni genere di artifici, con la spesa dì 50 mila scudi» .
Sul finire del 1729 arrivò a Catania il vescovo Pietro Galletti, palermitano, anch'egli preso da sacro fervore. E appena arrivato, mette mano al portafoglio e conduce a completamento i lavori della Cattedrale, chiamando da Roma, dove trovavasi in quel tempo, un suo giovane concittadino, l'abate
GIOVAN BATTISTA VACCARINI, architetto di grande ingegno e di nobilissimo sentire.
Del vescovo Galletti scrisse a tal proposito il Ferrara: « ... nei primi tre anni della sua possessione pratticava, colli propri danari, singolari e rilevanti benfatti per ornamento e commodo della cattedrale e palagio vescovile... » .

E il Vaccarini elabora, dunque, senza perdere tempo, il disegno del prospetto. Ma, a differenza di quanto era avvenuto anni prima per i lavori promossi dal Riggio e malgrado l'impegno del Vaccarini, questa volta di tempo se ne perde fin troppo; la fabbrica va avanti con lentezza e, a volte, addirittura si ferma. Vuoi per l'incontentabilità dello stesso Galletti, vuoi per interferenza del Senato (che arrivò a sospendere per ben due volte i lavori), ovvero nell'attesa di regi ispettori che appianassero le divergenze, la fabbrica del prospetto durò più di 25 anni, essendo stata portata a termine durante il vescovado di mons. Ventimiglia (il prospetto di tramontana, pure del Vaccarini, fu ultimato essendo vescovo mons. Deodati).
Parecchi anni dopo, sul finire del Settecento, furono intrapresi i lavori per la costruzione della cupola (portata a termine nel 1802 dal catanese Antonio Battaglia) completata, assieme alla scalinata marmorea, nel 1804. Quest'ultima è opera notevole per impostazione e respiro, composta di 184 balaustri e di 31 pilastri, fra grandi e piccoli, interrotta da robusti cancelli, il maggiore dei quali era sormontato da dieci bronzee statuette di pregevole fattura, raffiguranti martiri e santi catanesi.

(Lucio Sciacca, “Catania com’era” - Vito Cavallotto Editore)

 

 

 

 

 

Ma in fatto di edifici sacri dei tempi di mezzo, la cattedrale eretta dal normanno Ruggero nel 1094 fu certamente il più insigne. Anche qui, disgraziatamente, i due terremoti del 1169 e del 1693 produssero tale rovina che, a primo aspetto, nel tempio rifatto con altro stile nulla più parla di quella età. Ad un attento esame, nondimeno, le tracce della costruzione normanna si svelano. Le tre absidi, resistite ai cataclismi, ne sono testimoni esternamente, col loro sesto acuto. All'interno, l'arco gotico si mostra anche nelle cappelle del Crocefisso e dell'Immacolata, nonchè nelle finestre strette e lunghe, simili a feritoie, di quest'ultima e del passaggio fra la chiesa e il contiguo Seminario.

tratto da "Catania" di Federico De Roberto - ISTITUTO ITALIANO D'ARTI GRAFICHE 1907

 

 

Il Piano S.Agata era uno spazio vasto per l'epoca, ampliato nel 1599 per volontà del vicerè. Vi sorgeva la cattedrale fondata nel 1091 da Ruggero il Normanno, con il vescovado e il campanile, allora il più alto d'Europa. Con il sisma del 1693 rovinò paurosamente sulla chiesa distruggendola. Nell'immagine è possibile vedere il Palazzo o Loggia del Senato e l'Elefante, simbolo di città, allora senza la «ricostruzione» fattane da Vaccarini, dunque senza obelisco e senza le insegne di Sant'Agata. Nella piazza c'erano anche banche e le botteghe degli orefici e degli argentieri. Nei giorni della festa di Sant'Agata era addobbata di arazzi e di luci e ospitava una fiera ricca di mercanzie.

 

 

Posta sull'abside, risale al 1802 ed è munita di colonne e ampi finestroni che illuminano la chiesa. Il campanile fu costruito per la prima volta nel 1387 alla sinistra del prospetto, arretrato di circa 70 metri rispetto alla facciata ed era alto oltre 70 metri. La torre a base quadrata misurava circa 15 metri di lato.

La sua storia è molto accidentata in quanto subirà diversi crolli e quindi molte riedificazioni. Nel 1662 venne ulteriormente innalzata per l'inserimento di un orologio e fu portata alla vertiginosa altezza di circa 100 metri.

 

L'11 gennaio del 1693, a causa del forte terremoto che investì la città, crollò, travolgendo anche la chiesa: sotto le sue macerie morirono oltre 7.000 fedeli raccolti in preghiera. Venne riedificata assieme alla chiesa dopo il terremoto del 1693, con alla sommità la campana maggiore fusa nel 1619 del diametro di 1.80, caduta dalla torre nel corso del terremoto ma rimasta integra, unitamente alla campana del popolo del 1505. Tra il 1868 e il 1869 l'architetto Carmelo Sciuto Patti realizzò il campanile e la lanterna della cattedrale di Catania.
Si accede al sagrato attraverso una scalinata in marmo che culmina in una cancellata in ferro battuto ornata con 10 santi in bronzo. Il sagrato è diviso dalla piazza del Duomo da una balaustra in pietra bianca ornata con cinque grandi statue di santi in marmo di Carrara.

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 Lucio Sciacca, “Catania com’era” - Vito Cavallotto Editore

foto di Andrea Mirabella

 

 

LA CAMPANA DEL DUOMO DI CATANIA

 

In vetta al campanile troviamo la campana,fu fusa nel 1614 e precipitata nel crollo della chiesa durante il devastante terremoto del 1693. Recuperata, restaurata e ricollocata nell'attuale campanile,che fu ricostruito in breve tempo.

La campana porta il nome di Agata,in onore della Patrona della città,è alta due metri e venti centimetri,pesa 7716 chilogrammi.

E' tra le piu' grandi campane Italiane dopo San Pietro,il Campidoglio, il Duomo di Milano.

Ha scolpita queste parole : "Pisu centu cantàra e 'na pisa ,cu' non ci cridi,mi scinni e mi pisa" .Cioè (per chi non è Catanese):"il mio peso è di cento quintali e quattro chilogrammi,chi non ci crede mi scenda giu' e lo controlli !".

La campana del Duomo durante il terremoto del 1693 crollo' e fini',senza particolari danni,tra gli scogli del porto Saraceno (grosso modo nei pressi di Piazza Borsellino,ex Alcalà),dove venne recuperata, restaurata e dopo alcuni anni ricollocata nell'attuale campanile...

 

 

 

Nella parte finale del campanile, notare le statue attorno alla campana piccola che sono simili a quelle dell'Eretteo. Nel 1700, in architettura era in uso replicare particolari dell'arte ellenica.

 

 

O sacra campana del Duomo

Che al vespro d’autunno con lenti

Rintocchi sui vènti lamènti

L’audace miseria dell’uomo,

Nell’ombra solinga raccolto

Feconda di mesti pensieri,

Dolente dell’oggi, del jeri,

Intènto al domani, io t’ascolto.

La fine del pallido giorno

Lamenta, o campana romita:

Io canto dell’alba il ritorno,

L’amor, la giustizia, la vita.

 

(Mario Rapisardi)

 

IL CAMPANILE

Tra il 1851 ed il 1858 l'architetto Carmelo Sciuto Patti, su incarico di monsignor Felice Regano,progetta e dirige i lavori per la costruzione del nuovo campanile della Cattedrale di Catania. Il complesso intervento finalizzato a ricollocare le antiche campane (tra cui il noto Campanone la più antica campana esistente in città datata 1388 ma rifusa numerose volte nei secoli - la prima fusione del Campanone fu voluta sa Simone del Pozzo nel XIV secolo) obbliga il progettista a cercare una soluzione d'innesto tra la nuova fabbrica, le antiche strutture normanne e la rielaborazione sette-ottocentesca della basilica cattedrale.

Utilizzando l'accesso e parte del corpo scala già esistente nello spessore murario della Cappella del SS.Crocifisso, Carmelo Sciuto Patti sviluppa il suo campanile come una torretta circolare a doppio ordine, segnata da semicolonne binate concluse da capitelli corinzi nel piano delle grandi campane e da paraste coronate da volute a fogliami nel secondo ordine, dove pone l'orologio. La torre campanaria è conclusa da un cupolino contrassegnato da costoloni in pietra bianca che, secondo una delle sue proposte progettuali, doveva avere in chiusura una teoria di angeli che sostenevano le campane minori e una croce.

 

 La Cupola e il Campanile sul porto di Catania

Durante l'esecuzione dei lavori l'elemento di completamento del campanile viene sostituito da un ulteriore ordine, una sorta di lanterna a tempietto ,arricchita da cariatidi in pietra bianca d'autore sconosciuto, all'interno della quale vengono poste le due campane minori. L' opera architettonica, dal dichiarato gusto neoclassico, è spinta verso l'alto da una croce in ferro innestata su una sfera.La costruzione del nuovo campanile del Duomo di Catania impone dunque la demolizione delle strutture più antiche della preesistente torretta campanaria, della quale si conserva il rilievo e il ridisegno della facciata laterale dell'Aula Capitolare dove Carmelo Sciuto Patti realizza la balaustra di completamento del progetto, sullo stile di quella esistente opera di Carmelo Battaglia. La contemporaneità degli interventi giustifica l'affidamento delle opere in un unico appalto.

In seguito al sisma del 13 dicembre 1990 le cariatidi in pietra che trovavano posto nella parte sommitale del campanile sono state rimosse e sostituite con calchi;gli originali si conservano all'interno del Museo Diocesano di Catania

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di Albarosa D'Arrigo - 'Assessorato della Regione Siciliana "Carmelo e Salvatore Sciuto Patti Archivi di Architettura tra '800 e '900 .

 

grazie a Milena Palermo per Obiettivo Catania

https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/

 

 

 

Il terremoto del Val di Noto che solo in città fece 16mila vittime

Domenica 11 Gennaio 2015

Oggi ricorre il 322° anniversario dell'apocalittico terre-maremoto - il più forte ed esteso sisma italiano degli ultimi millenni (stimato pari a 7,4 scala Richter) e definito dai contemporanei "spaventevole", "lastimoso", "horrendo" - che distrusse Catania e tutte le città del Val di Noto con oltre 60mila vittime.

In tante chiese delle province sud-orientali della Sicilia oggi vengono ricordati i morti di quella disastrosa calamità naturale, con speciali atti di affidamento ai santi patroni. Tre furono le scosse violente che devastarono la città: la prima, la notte di venerdì 9 gennaio, lesionò molte case dove perirono dieci popolane; la seconda, domenica 11 alle 14, dopo paurose oscillazioni fece rovinare la torre campanaria del Duomo, alta 100 metri e fatta costruire dal vescovo domenicano messinese Simone del Pozzo nel 1388, sulle tre navate del tempio normanno che crollarono, ad eccezione delle absidi, delle due cappelle del transetto, del prospetto principale e della sagrestia del vescovo Michelangelo Bonadies.

Sotto le macerie della Cattedrale morirono soffocati oltre 7mila catanesi in preghiera penitenziale davanti alle reliquie di S. Agata, che erano state esposte a furor di popolo nel cappellone maggiore nella speranza che fosse evitata la temuta catastrofe alla città, che contava appena 30mila abitanti.

 

foto di Antonio Treccarichi

 

Il campanone di S. Agata pesante 7.616 chilogrammi precipitò sulla vicina spiaggia che lambiva la cinta muraria di mezzogiorno, ma non si ruppe. La terza scossa, terrificante, avvenne alle ore 15 come raccontò un superstite estratto vivo dalla macerie, il filosofo e storico francescano Francesco Privitera.

«Ecco all'improvviso replicò fiero e gagliardo il terremoto, durando per lo spatio d'un De Profundis. Cadde tutta la città di Catania rovinata e distrutta, divenne un aggregato di pietre. Alzato il polve sino al cielo, come lo videro cò spavento coloro che stavano per di fuori nelle pianure. Restarono dei viventi circa seimila, ed incontrandosi l'uno all'altro lacrimavano come novi al mondo, con dolcissimi amplessi, nel vedersi vivi».

Su una delle lapidi marmoree dell'epocale terremoto, apposta sul prospetto di ponente dell'aula capitolare, sotto i balconi della canonica, che si affaccia sulla villetta del Duomo, in latino un'iscrizione così recita severamente: "A Dio Uno e Trino/ Il giorno 9 gennaio del 1693 un forte terremoto scosse Catania tutta, il giorno 11 dello stesso mese la distrusse, tolse la vita a 16.000 cittadini, fugò i rimasti incolumi, attrasse i forestieri a rubare. Queste cose ci ammoniscono di scegliere al primo terremoto un rifugio nei campi e di custodire la Città. Nell'anno della salute 1725".

Tra le lapidi cittadine, la sola in italiano, segnaliamo quella che si trova sulla facciata del teatro Sangiorgi (anno 1900) in via Antonino di San Giuliano 235-237: "D. O. M. (Dio Ottimo Massimo) / Ferma le piante, e leggi o passegiero/ A. 9 di gen. ° 1693 trema Catania a scosse/ di fiero terremoto, e replicando all. 11/ del mederno con tutte, le sue grandezze/ con 16 mila catanesi sepolta da sassi, / deleritta da vivi, derubata da ladri ri/ mane. In simil fato à fuggir le mura a ri/ covrarti nei campi, a custodir la/ città questo marmo ti/ insegni cossi viverai/ an: do: 1693".

Antonino Blandini

 

 

 

 

Il sagrato del 1857, con la parte centrale contenente una stella ad otto punte.

 

 

 

 

Il prospetto è a tre ordini compositi in stile corinzio e attico completamente in marmo di Carrara. Il primo ordine è costituito da sei colonne di granito di fattura antica provenienti forse dal Teatro Romano. Il secondo ordine ha anch'esso sei colonne grandi e due piccole poste ai lati dell'ampio finestrone centrale.

 

 

 

Al primo livelllo, statua di sant'Agata al centro sopra la porta centrale.

Sant'Euplio a destra e san Berillo a sinistra.

 

Ma il più notevole vestigio architettonico dell'antico Duomo, la decorazione cioè della sua porta maggiore, non si trova più qui. Adattata alla Casa comunale dopo la rovina del 1693, forse perchè giudicata poco conveniente ad un luogo sacro, fu poi trasferita al Santo Carcere, dove anche oggi attira l'attenzione dei curiosi e degli studiosi, tra i quali molto si è discusso intorno al suo carattere. È normanna e contemporanea della primitiva fabbrica del 1094? Oppure è sveva, e fu poi sovrapposta, due secoli dopo, alla cattedrale?

Monsignor di Marzo, storico e critico egregio dell'arte siciliana nell'evo medio ed al principio dell'età moderna, le nega il carattere normanno-siculo e vi trova l'influenza di altri stili. Il normanno-siculo, infatti, porta con tanta evidenza l'impronta mussulmana, che si suole più precisamente designare coi nomi di arabo-normanno-siculo; più tardi, invece, l'orientale profusione degli arabeschi negli intagli e nelle sculture ornamentali andò scemando a profitto di elementi interamente diversi: l'ibrido simbolismo e la barbara imitazione del classico che prevalsero nell'Italia settentrionale, particolarmente in Lombardia, e si associarono sempre più strettamente alle forme teutoniche.

Questa porta dell'antico Duomo ne è per l'appunto, dichiara il di Marzo, un esempio, col suo congegno prospettico e simmetrico di quattro ordini di stipiti, nei tre angoli dei quali stanno tre colonnine per ciascun lato, faccettate a quadretti e strisce a zig-zag (chevron), e sui quali sono impostati quattro ordini di archi a pieno centro; e particolarmente con la serie delle figure simboliche che sorgono sulle piccole basi dell'architrave.

Ridotte a cinque, da sei che erano dapprima, rappresentano un'aquila, una scimmia, un leone, una tigre ed un uomo seduto in sedia curule, al quale manca da qualche tempo il capo; la figura scomparsa era quella d'una donna in supplice atteggiamento. Che cosa significa questo rebus marmoreo?

La soluzione che gli fu data sarebbe una prova storica da aggiungere all'artistica per negare l'origine normanna della porta ed assegnarla al periodo svevo. Rammentando la distruzione di Catania ordinata da Federico II, si volle che la figura dell'uomo seduto rappresentasse lo stesso Imperatore, e che gli animali simboleggiassero i suoi sentimenti verso amici e nemici, e che la donna fosse la città impetrante grazia dallo Svevo crudele.

Spiegazione plausibile, la quale non persuade tuttavia i sostenitori della normannità del monumento; i quali, giudicando che gli emblemi svevi sono indipendenti dal resto degli adorni, sostengono che furono sovrapposti sull'architettura di Ruggero ai tempi di Federico.

tratto da "Catania" di Federico De Roberto - ISTITUTO ITALIANO D'ARTI GRAFICHE 1907

 

Il portone principale in legno è costituito da trentadue formelle, finemente scolpite. Ai lati della porta centrale, su due alti supporti, sono poste le statue in marmo di san Pietro e san Paolo.

primo registro: partendo dall'alto a sinistra: nel primo registro sono i tre armoriali del vescovo Ansgerio, di papa Urbano II e di Ruggero I di Sicilia con relative didascalie in quanto i tre protagonisti della fondazione della cattedrale, mentre chiude la serie la riproduzione di un rapace in volo oltre le nubi in tempesta con la didascalia aera imbes quae transcreditur;

nel secondo registro sono rappresentati gli armoriali dei corrispettivi protagonisti della ricostruzione della cattedrale (rispettivamente vescovo, papa e sovrano), ossia Pietro Galletti, Papa Clemente XII e Carlo III di Spagna con relative didascalie. chiude la serie lo stemma di Catania con la didascalia dei motti civici;

il terzo registro rappresenta quattro attributi della diocesi e rispettive didascalie, ossia un volatile nel nido mentre lede il proprio petto per sfamare i propri pulcini (simile all'icona cristiana del pellicano; il motto è charitas omnia suffert), un uomo barbuto schiacciato da un vulcano alle cui spalle si erge la croce della Risurrezione a cui l'uomo è incatenato per la caviglia (la posa della figura ricorda iconograficamente Atlante, ma si rifà al mito di Tifeo; il motto è subiacet imperio), un albero battuto dai venti (due paffuti volti soffianti) da cui cadono diverse foglie (il motto è solum sicca convellunt) e infine un volatile al rogo in una pira il cui motto è spes sancta crociata nescit;

il quarto registro rappresenta gli attributi della patrona di Sant'Agata e sono un altare su sono posati una spada delle tenaglie e una corda schiacciate da un piatto su cui sono i seni della santa (il motto è urbis praesidium et munimen), una fornace da cui fuoriescono vampate di fuoco e sovrastata dai seni coronati e dal cuore in fiamme (il motto è inestinguibilis amor), un messale aperto con la dicitura noli offendere Patriam Agathae quia ultrix iniuriarum est che sovrasta i simboli imperiali (corona e scettro) capovolti (il motto è impietas pietate refellitur), chiude infine un arcobaleno che sovrasta una tavola con le ali spiegate su cui è l'acronimo M.S.S./H.D./et/P.L. (chiaramente indicante la tavola angelica della tradizione; il motto è foedus eternum)

(Wikipedia)

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Se questa singolare decorazione dell'ingresso principale dell'antico Duomo dev'essere oggi cercata al Santo Carcere, un'altra porta della cattedrale rifatta è rimasta al suo posto e possiede anch'essa un suo proprio valore. Attribuendola ad Antonello Gagini, figlio di quel Domenico che, trasferitosi da Bissone, «delle parti di Lombardia», in Palermo, sollevò, con l'opera propria e dei valenti eredi, la scultura siciliana ad altezze prima ignorate, gli scrittori catanesi credettero di attribuirle il massimo pregio; ma non s'accorsero di ledere nello stesso tempo le ragioni della cronologia.

L'iscrizione della porta dice infatti che questa fu eretta nell'anno 1577, ed allora Antonello Gagini era morto non da sette anni soltanto, come avvertì il già citato Musumeci, ma da quaranta, come nota il di Marzo, che registra nel 1536 la morte dello scultore palermitano. Escluso dunque il Gagini come autore dell'opera, sorge un'altra questione: è essa tutta d'una mano e d'una età, oppure risulta composta dall'accozzamento di pezzi greci o romani con altri di moderna fattura? Il Musumeci giudica antichi, e provenienti probabilmente dalle decorazioni dell'Odeo, il bel fregio del cornicione e le colonne composite, nei piedistalli delle quali si vedono scolpiti a mezzo rilievo gruppi di Tritoni e Nereidi di squisito lavoro, e graziosi Ippocampi nello zoccolo; solo l'architrave e gli stipiti sarebbero moderni.

Oltre che per la differenza del tratto, il Musumeci giudica antichi i pezzi dianzi mentovati anche perchè hanno un carattere mitologico poco adatto alla destinazione sacra della porta; ma l'Hittorf, architetto del re Carlo X venuto a studiare i monumenti siciliani, nega l'antichità di questi ornamenti, e con lui la nega il di Marzo, rammentando che il classicismo del Cinquecento ricorse liberamente a soggetti pagani nella ornamentazione di opere cristiane.

Ad ogni modo, sia tutta cinquecentesca la porta in quistione, o sia composta di frammenti antichi e di pezzi moderni, sopra un punto non può cader dubbio: sull'artefice che la eseguì, tutta o parte.

La somiglianza fra gli ornati a risalto e delle mensole di questa porta esterna con quelli della porta interna per la quale si penetra nella cappella del Crocefisso, eretta quattordici anni prima, nel 1563, attesta che uno solo fu lo scultore delle due opere.

Ora, se anche questa porta interna fu indebitamente attribuita al Gagini, il Musumeci dimostrò, coi documenti trovati nell'archivio della chiesa, che fu eseguita da Gian Domenico Mazzola; e il di Marzo, confermando il fatto, corregge soltanto la desinenza del nome e la patria dell'artefice: il Mazzolo o Masolo — e non Mazzola — figlio di un Battista da Carrara, non fu «Scarpellino catanese»: nacque invece anch'egli a Carrara e dimorò in Messina donde venne in Catania procuratore del padre a riscuoterne i crediti, ed a lavorare questa porta, la quale è giudicata fra le migliori sue opere, fra le più delicate e perfette.

tratto da "Catania" di Federico De Roberto - ISTITUTO ITALIANO D'ARTI GRAFICHE 1907

 

 

 

 

 

Le due grandi finestre ovali ai lati del grande portone sono accompagnate dai due acronimi riferiti alle frasi legate al culto della Santa: MSSHDEPL e NOPAQVIE.

 

 

LE STATUE ESTERNE DELLA CATTEDRALE

 

I pilastri maggiori, prospicienti su piazza Duomo, furono in quello stesso scorcio di tempo ornati con cinque grandi statue di marmo, pure di vescovi, beati, santi catanesi. Nel primo Novecento, a completamento dell'opera, furono collocate altre statue, quattro sui pilastri prospicienti la via Vittorio Emanuele e due, quella di San Pietro e quella di San Paolo, fra gli intercolonni ai lati della porta centrale.

 

Santa Lucia, patrona di Siracusa

San Leone III vescovo di Catania nato a Ravenna nel 720 d.C

 

San Iacopo episcopo, vescovo di Catania

 

Sant'Everio, vescovo di Catania

 

San Paolo, ingresso cattedrale

San Pietro, ingresso cattedrale

San Attanasio, vescovo di Catania

 

Santa Rosalia, patrona di Palermo

Beato Bernardo Scammacca

 

San Attalo martire, vescovo di Catania 1 sec d.C.

 

San Sesto martire

Statua della Fede

 

 Dello stesso periodo è la statua marmorea della Fede collocata nella parte occidentale della villetta, la quale villetta - secondo l'attendibile testimonianza di G. Rasà Napoli - era “ doviziosa di piante arboree ed erbacee esotiche, con nel centro una vasca circolare, circuita da parapetto in ferro, con getto grande e zampillante... “ . E giacché siamo nella villetta è il caso di dare uno sguardo alle due lapidi collocate nei muri perimetrali della Chiesa.

 


 

La prima, sistemata accanto alla superstite porta del Cinquecento, reca l'atto di nascita della Chiesa stessa, di cui è coeva; l'altra, collocata sotto i balconi dell'aula capitolare, porta la data del 1725 e il seguente testo: “Il giorno 9 gennaio 1693 un forte terremoto scosse Catania tutta, il giorno 11 dello stesso mese la distrusse, tolse la vita a sedicimila cittadini, fugò i rimasti incolumi, attrasse i forestieri a rubare. Queste cose ci ammoniscono di scegliere al primo terremoto un rifugio nei campi, e di custodire là città “ .

 

 

 

 

 

 

 

 

Raffaele Leone, che fu l'architetto della Fabbriceria del Duomo dal 1926, sono dovuti i ritrovamenti più significativi e l'aspetto attuale dell'interno della cattedrale. In seguito allo svellimento del pavimento furono rivelate le strutture murarie romane delle Terme Achillee, i cui due ambienti rettangolari, rinvenuti all'inizio delle navate laterali, erano stati usati come fondazione delle torri normanne. Un altro grande ambiente romano fu rinvenuto sotto la parte anteriore della navata principale: un muro che si prolunga sotto le fondazioni della pilastrata destra della nave. Gli scavi misero in luce anche diversi strati di pavimentazione: il pavimento originario, dal quale emergono le basi delle colonne romane; un pavimento in pietra giuggiulena dal quale emergevano, con diversi interassi, i pilastri d'epoca sveva, riconoscibili da una cornice che corre in basso al fusto; infine un pavimento cinquecentesco a losanghe, rinvenuto sotto il precedente livello di calpestio della navata centrale, presso il quarto pilastro di sinistra. Il pavimento a stella del settecento fu demolito e sostituito con una riproduzione marmorea dell'originale. Importante è stata la scoperta di un cammino di ronda, che circondava tutte le pareti esterne del presbiterio, percorreva i muri del transetto e si collegava al ballatoio (che gira attorno alle pareti esterne delle absidi, protetto da merlatura).

 

Il restauro, conforme alle direttive del Consiglio Superiore delle Belle Arti., fu così eseguito:

Transetto: furono restaurate le tre finestre del braccio sinistro , che il grande finestrone settecentesco aveva soppresse e, sul lato destro, fu ricostruito l'antico paramento esterno; le pareti furono intonacate in tinta neutra a grana ruvida, in modo da assorbire ogni eccesso di luce; le vetrate della nave e del transetto furono rifatte completamente.

Abside maggiore: impegnativi furono i lavori per la costruzione della monofora ad arco acuto, che era stata soppressa da un seicentesco rosone; le tombe regali, ancorate ai muri,   furono  asportate e sistemate  nella Cappella della Madonna; anche le pitture parietali, già restaurate trent'anni prima, a causa dell'asportazione delle tombe, furono svellate, ma risistemate nella stessa abside; il coro ligneo fu restaurato ed integrato dei pezzi mancanti.

Cappella della Madonna: furono qui sistemate le tombe degli aragonesi.

Cappella del SS Sacramento: fu rifatto, come nel transetto, l'intonaco delle pareti, del catino e dell'imbotte;

Navata centrale: fu intonacata come nel transetto; furono scrostate le strutture  in pietra calcarea per la valorizzazione dell'architettura settecentesca; fu scrostata ed impermeabilizzata la volta; fu ripavimentata secondo il disegno dell'architetto; fu  rifatta la zoccolatura in marmo; furono rifatte completamente le vetrate

Navate laterali: fu posta una zoccolatura come nella navata centrale; furono restaurati gli altari.

http://www.cormorano.net/catania/arte/restauro.htm

 

Il vasto e grandioso interno presenta una pianta a croce latina ed è ripartito in tre navate. Sul fondo dell'altar maggiore era stato sistemato, sul finire dell'Ottocento, un pregevole organo, acquistato in Francia dal card. Dusmet.  Nel 1924, il card. Nava, dopo averlo fatto ingrandire, lo fece trasferire a ridosso della porta grande, dove trovasi tuttora (a suonare quest'organo fu chiamato in quell'epoca don Marziano Perosi, fratello del celebre Lorenzo).

Ai lati della navata centrale, erano allineate alcune vecchie panche e vi campeggiava un monumentale pulpito settecentesco, in legno pregiato, finemente decorato in oro. Entrambe le cose furono eliminate a seguito degli imponenti restauri iniziati nel 1956 e ultimati tre anni dopo, alla vigilia del Congresso Eucaristico Nazionale voluto dall'arcivescovo Guido Luigi Bentivoglio (in quella fausta occasione venne consacrata
l'Italia al Cuore Immacolato di Maria).
A proposito di questi restauri, l'architetto Giacomo Leone fra l'altro scrisse: « ... Un avvenimento di tale eccezionalità non accadeva da oltre un secolo, da quando cioè i nostri facili predecessori, con estrema leggerezza, avevano dato un volto tanto nuovo quanto volutamente falso all'architettura interna del nostro massimo tempio. Allora, lo stucco lucido ricopri del suo freddo colore tutta la Chiesa infiltrandosi ovunque e mascherando ibridamente una superficie decorativa di eccezionale valore intrinseco...
Grazie a questi lavori, dunque, fu possibile mettere in luce pregevolissime testimonianze del passato (specialmente normanne e settecentesche). Furono del pari eliminate e sistemate quelle cose che occupavano spazi preminenti e inopportuni, a scapito del buon gusto e dell'armonia architettonica della fabbrica.
http://www.cataniaperte.com/cronologia/libri/cavallotto_sciacca_catania_com_era_inelenco.PDF

 

 

 

Il grande organo è del 1877, ma la sua parte lignea fu rifatta nel 1926 da Giambattista Sangiorgio e trasferito sulla parete interna della facciata a spese del cardinale Francica Nava. Sulla stessa parete vi è la cantoria.

 

 

Dopo 20 anni la Cattedrale ritrova la voce: al via il restauro dell'organo a canne
Lavoro da 570mila euro, finanziato dalla Fondazione Banco di Sicilia con l'Arcidiocesi etnea e l'8x1000 della Cei

CATANIA - La «voce» della Cattedrale di Catania tornerà a farsi sentire: è cominciato, infatti, il restauro dell'antico organo a canne «zitto» da venti anni. Lavori attesi da oltre cinque anni, e che rischiavano di saltare nel caso in cui non fossero arrivati i fondi. E invece lo strumento non è più presente in Cattedrale, mancherà da Catania fino al 2014 quando termineranno i lavori. Come un enorme puzzle, gli operai della ditta Mascioni - la stessa che ha realizzato l'organo del Duomo di Milano, e molti strumenti in tutto il mondo - lo hanno già smontato per trasportarlo a Varese, dove lo stanno restaurando pezzo per pezzo.

 


Un lavoro certosino che costa ben 570mila euro, finanziato dalla Fondazione Banco di Sicilia con l'Arcidiocesi etnea e l'8x1000 della Cei. «L'organo - spiega all'Italpress il canonico organista Giuseppe Maieli - è la voce della Cattedrale, il suono che essa ha durante la liturgia. Da venti anni non potevamo sentirlo più, sostituito da uno strumento elettronico, e invece potrà tornare a suonare in occasioni solenni come i Pontificali e per concerti. Durante il restauro sarà anche modificato: da pneumatico, con la trasmissione ad aria, diventerà meccanico. Probabilmente anche il coro sarà spostato nella cantoria». Gli operai hanno smontato canne lunghe anche tre metri, enormi assi di legno, pezzi di stagno e piombo, e lasciato solo lo scheletro in legno. Non è la prima volta che l'organo viene smontato: in origine, infatti, si trovava sull'altare maggiore, sotto l'arco dell'abside. A spostarlo, nel 1927, furono gli organieri siciliani Laudani e Giudici. L'organo ha 135 anni: è stato commissionato dal cardinale Dusmet e realizzato nel 1877 dall'organaro francese Nicolas Theodore Jaquot su progetto dell'abate Couturier.

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/palermo/notizie/arte_e_cultura/2012/10-aprile-2012/dopo-20-anni-cattedrale-ritrova-voce-via-restauro-organo-canne-2004016421019.shtml

 

 

 

 

 

L'ORGANO "JAQUOT "della Basilica Cattedrale di Sant 'Agata

Di manifattura francese (ditta Jaquot tra le migliori dell'800),l'organo fu costruito nel 1877 e collocato all'interno dell'abside ,dietro l'altare maggiore.

Il corpo è sostenuto da quattro colonne di marmo avorio in stile corinzio come il coro,mentre la cantoria, ricca di stucchi dorati ,si innalza per 9,25 m. ed è larga 7,30 m.senza coprire gli affreschi decorativi dell'abside.

Lo strumento è stato più volte ampliato,svecchiato, ripulito e persino "traslocato"da un estremo all'altro (posizione attuale)

Già nel 1884 si rese necessario un primo intervento dello stesso Jaquot poiché la sonorità dello strumento non copriva l'intera cattedrale e successivamente nel 1926 il Cardinale Giuseppe Francica Nava (il cui mandato duro dal 1895 al 1928)ordinò ad una ditta organaria di Palermo (Alfio Laudani e Giovanni Giudici) lo svecchiamento dello strumento pur mantenendo le peculiarità dell'organo.

E fu proprio sempre nel 1926 che fu spostato l'organo dopo la ripulitura, e collocato sul portale interno principale, ubicato nell'attuale cantoria appoggiata su 4 colonne in stile neogotico che si congiungono al prospetto ottocentesco.

In foto l'organo Jaquot nella sua primaria collocazione a fine 800 nell'abside.

 

Fonte carmeloscandurra

 

 

 

 

 

Le sopraelevazioni degli altari presenti in entrambe le navate, sono costituite da opere pittoriche caratterizzate da monumentali cornici in stile barocco di legno scolpito e dorato. La ricostruzione post terremoto del Val di Noto del 1693 determina l'uniformità degli stili e delle forme pur mantenendo un elevato carattere di magnificenza e opulenza. Pochi dipinti tra i capolavori esposti, hanno superato indenni il disastroso evento sismico, gran parte del patrimonio artistico attuale, in particolare il ciclo fiammingo, è dovuto al mecenatismo attuato da illuminati prelati.

 

 

Prima campata: Altare dedicato a San Giorgio, dipinto San Giorgio e il drago opera di Girolamo La Manna del 1624. Seconda campata: Altare dedicato a san Francesco da Paola, dipinto San Francesco di Paola opera di Giuseppe Guarnaccia.

 

Il quadro del "DIVO GIORGIO" ricorda il santo protettore delle tante battaglie per riconquista normanna dell'isola, le figure dei mori che reggono il sarcofago del monumento commemorativo rappresentano la sottomissione degli arabi all'opera di ricristianizzazione operata dal casato degli Altavilla. La cruenza di molteplici eventi si traduce nel tempo in duraturi periodi di pacifica e costruttiva convivenza che hanno lasciato impronta d'eccellenza in tutti i campi dello scibile umano. Il messaggio intrinseco odierno non è tanto il senso di oppressione, di dominio, di giogo che il particolare contesto storico d'inizio millennio ha attribuito, quanto il ruolo di base, sostegno, fondamento, pilastro, apporto, contributo che il contesto arabo ha arrecato nel meridione d'Italia.

Nel periodo bizantino, a Catania furono innalzate molte chiese, S. Giorgio sorse nello spazio dove era il tempio pagano di Iside e dove, sotto i Normanni, venne costruita la cappella della Madonna, al Duomo. Ivi venne rinvenuta una lapide, che dice: O inclito Giorgio, che abiti i cieli insieme agli angeli, e ti è concesso di visitare i luoghi terreni, non sdegnare di abitare questo luogo che è tuo. Nel Duomo si conserva una reliquia del suo braccio.

Terza campata: Altare dedicato alla Madonna delle Grazie, dipinto Madonna delle Grazie e Santi con san Gaetano e san Filippo Neri opera di Giovanni Tuccari del 1741, eseguita su commissione di Pietro Galletti arcivescovo di Catania già vescovo di Patti.

Quarta campata: ingresso navata sinistra con portale esterno opera di Giovan Battista Mazzolo del XVI secolo, per stile più affine alla mano del figlio Giandomenico, già autore delle decorazioni della Cappella del Crocifisso.

Quinta campata: Altare di sant'Antonio abate, dipinto Sant'Antonio Abate nel deserto opera di Guglielmo Borremans del 1730, committente Pietro Galletti.

Addossato al pilastro il monumento sepolcrale del vescovo Carmelo Patanè opera di Raffaele Leone.

Sesta campata: Altare di Sant'Agata, dipinto Martirio di Sant'Agata opera di Filippo Paladini del 1605.

Addossato al pilastro è collocato il monumento sepolcrale di Corrado Maria Deodato Moncada opera concepita da Antonio Calì.

Altare di San Berillo, dipinto San Pietro consacra San Berillo primo vescovo della città, opera di Andrea Suppa.

Addossato al pilastro il monumento sepolcrale del Cardinale Giuseppe Francica-Nava de Bontifè.


 

 

Transetto: “La chiesa cattedrale è quella nella quale si trova la cattedra del vescovo, segno del magistero e della potestà del pastore della Chiesa particolare, nonché segno dell’unità di coloro che credono in quella fede che il vescovo proclama come pastore del gregge.”( Cerimoniale dei Vescovi n. 42): La cattedra, è il simbolo della responsabilità del vescovo. Da quel luogo infatti il Vescovo presiede l'assemblea liturgica e spiega le Sacre Scritture, rappresentando Cristo stesso, e conferma la fede della comunità radunata.

Invito alla riflessione, alla preghiera, al rinnovo delle promesse battesimali e, poi, ad uscire, per consegnare con maggiore coraggio la testimonianza di fede che ci è stata trasmessa.

(Mons. Scionti)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mons. Bonaventura Ottavio Secusio, diplomatico, nacque nel 1558 da una delle primarie e più cospicue famiglie di Caltagirone e morì a Catania il 29 Marzo 1618 in qualità di Vescovo.

Studiò nel Collegio dei Gesuiti di Caltagirone nel 1570 passando poi all’Università di Catania a perfezionare gli studi.

Tornato in Patria entrò nell’Ordine dell’Osservanza di San Francesco, ed occupò la carica dei Minori Osservanti. Fu Nunzio Apostolico di Clemente VIII.

Incaricato dal Cardinale Aldobrandini, nipote di Clemente VIII, di condurre trattative fra il Re Filippo II di Spagna ed Enrico IV di Francia, vi riuscì brillantemente ricevendo dal Pontefice, in compenso il titolo di “Patriarca di Costantinopoli”.

In seguito portò a compimento altre trattative di pace tra Enrico IV ed il Duca di Savoia Carlo Emanuele.

Fu Canonico di San Pietro, Patriarca di Costantinopoli, Vescovo di Patti nel 1600, Arcivescovo di Messina nel 1605, e morì Vescovo di Catania nel 1618.

I suoi resti mortali si trovano sepolti nella Cattedrale di Catania.

Scrisse le seguenti opere: -“Statuta constitutiones et decreta pro salubri redimine totius seraphicae religiones” (inseriti nella Cronologia dell’Ordine di San Francesco); “Historia pacis intr Philippum II hispaniarum et Henricum IV gagliarum reges”; “Costitutiones synodales Ecclesiae catanensis” .

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Nel 1610 volle decorare il fercolo di Sant'Agata, a proprie spese, con 20 lampade di finissimo argento, mentre nel 1638 il senato di Catania vi volle aggiungere, a spese di alcuni devoti, 22 lame di argento, scolpite a bassorilievo con il martirio e la traslazione di Sant’Agata, col nome del donatore in ciascuna di esse.

 

 

 

 

 

 

 

LA SAGRESTIA  Catania – “Questa sagrestia a maggior gloria di Dio e al culto della sua sposa Sant’Agata e per la maggior comodità da tanto tempo desiderata di questa cattedrale, Fra Michelangelo Bonadies, vescovo di Catania, incominciata dalle fondamenta, la compì bella di quegli ornati di cui risplende, nell’anno della salute 1675”. Recita così la scritta che campeggia sulla lapide della sagrestia della Cattedrale del capoluogo etneo, che sabato 1 Dicembre alle ore 10.00, dopo la Santa Messa – alla presenza di autorità religiose e cittadine – verrà restituita ai catanesi in tutto il suo splendore. Si tratta di un manufatto ligneo unico nel suo genere, scampato al terremoto del 1693 – insieme al sacrario Capitolare e alle mura perimetrali della Basilica dedicata alla nostra Martire – che per oltre cinquant’anni non è stato fruibile.

 

Ancora e sempre del Gagini è stato creduto il piccolo lavacro di marmo della sacrestia: attribuzioni che dimostrano come da quell'artista geniale o dalla sua scuola uscisse quanto di buono possiede la Sicilia in fatto di scultura. Di forma rettangolare e simile ad un sarcofago, questo lavacro ha una decorazione a mezzo rilievo di puttini, cornucopie ed altri motivi ornamentali. Che sia leggiadra, basta aver occhi per accertarlo; a chi veramente appartenga non si può dire; e del resto Catania ha, per buona sorte, opere non dubbie del Gagini, delle quali sarà tenuto parola più tardi.

tratto da "Catania" di Federico De Roberto - ISTITUTO ITALIANO D'ARTI GRAFICHE 1907

 

 

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Sacrestia (affresco Giacinto Platania): la colata lavica del 1669 ci ricorda la fragilità del nostro territorio, che è anche fragilità della condizione umana; dopo le numerose calamità naturali che si sono abbattute sulla città, i nostri padri si sono sempre rialzati e hanno ricostruito, lasciandosi guidare soprattutto dalla forza della fede cristiana: “Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi” (2 Cor. 4,8-9) (cenni storici sulla topografia della città prima del terremoto)

(Mons. Scionti)

 

 

Per ora, restando nella cattedrale, anzi nella stessa sacrestia, il grande affresco del Mignemi merita una breve menzione, non già perchè abbia valor d'arte, ma per la scena storica, grandiosa e terribile, che rappresenta: la spaventosa eruzione del 1669, la più formidabile dei tempi moderni. In fondo al quadro l'Etna solleva la gigantesca sua mole; nel secondo piano, ai fianchi del monte, si erge il nuovo cratere dei Monti Rossi, dal quale un fiume di fuoco scende per le più basse pendici fino alla città, ne investe e scavalca le muraglie occidentali, ne invade ed incendia i sottoposti quartieri, ne circuisce e diminuisce il castello, per gettarsi finalmente in mare, restringendo il porto dal quale escono a forza di vele e di remi le navi cariche di atterriti fuggiaschi.

 tratto da "Catania" di Federico De Roberto - ISTITUTO ITALIANO D'ARTI GRAFICHE 1907

 

 

Cappella del Crocifisso (portale Giandomenico Mazzola): il mistero della Croce è presente nella vita di ogni uomo; dalla Risurrezione di Gesù, il cristiano ha certezza che tale mistero si apre sempre ad una dimensione Gloriosa: “La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio” (1 Cor. 1,18)

(Mons. Scionti) Alla fine del braccio di croce sinistro è ubicata la Cappella del SS. Crocefisso opera di Domenico Mazzola (1577).

La cappella non è molto luminosa e contiene un grande crocifisso contornato da due statue della Madonna Addolorata e di san Giovanni. Altro elemento importante è una Via crucis.

 

 

 

 

 

Cappella del SS. Sacramento: “Secondo la struttura di ciascuna chiesa e le legittime consuetudini locali, il Santissimo Sacramento sia conservato nel tabernacolo in una parte della chiesa di particolare dignità, elevata, ben visibile e decorosamente ornata” (Redemptionis sacramentum n. 130). L’adorazione davanti alla custodia Eucaristica esprime l’amore fra Cristo e la sua Chiesa che di fatto si concretizza sacramentalmente nella celebrazione dell’eucaristia, vero luogo dell’incontro con Cristo Sposo.

(Mons. Scionti)

 

UNA COLONNA ....MISTERIOSA 

Siamo in Cattedrale ed esattamente in fondo alla navata sinistra nella cappella denominata del Sacramento.

La descrizione museale della cattedrale dice "un tempo era la cappella privata della nobile Famiglia Gravina -Cruyllas, alla parete è affissa la lapide che riferisce di detta famiglia mentre ai piedi dell'altare le sepolture di alcuni suoi membri".

Tutta qui la descrizione di una cappella appartenuta alla nobile famiglia che oltretutto "adottò "Vincenzo Bellini permettendo i suoi studi. Ma in questa cappella che è compresa nell'impianto normanno della struttura religiosa, si notano 4 colonne di cui non si parla e la differenza di una (esattamente in fondo a sinistra) rispetto alle altre 3.

Ciò è dovuto al fatto che nel 1953-54 furono fatti dei lavori di restauro e fu deciso di eliminare le pitture dalle colonne tranne in una lasciata forse per ricordo.

(Milena Palermo e Antonio Trovato)

 

 

L' altare, attorno al quale la Chiesa è riunita nella celebrazione dell'Eucaristia, rappresenta i due aspetti di uno stesso mistero: l'altare del sacrificio e la mensa del Signore, e questo tanto più in quanto l'altare cristiano è il simbolo di Cristo stesso, presente in mezzo all'assemblea dei suoi fedeli sia come la vittima offerta per la nostra riconciliazione, sia come alimento celeste che si dona a noi.” ( Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1383).

E’ simbolo di Cristo Gesù che con l’offerta obbediente e amorosa di sé al Padre è divenuto per noi vittima, sacerdote e altare. “L'incorporazione a Cristo, realizzata attraverso il Battesimo, si rinnova e si consolida continuamente con la partecipazione al Sacrificio eucaristico, soprattutto con la piena partecipazione ad esso che si ha nella comunione sacramentale. Possiamo dire che non soltanto ciascuno di noi riceve Cristo, ma che anche Cristo riceve ciascuno di noi. […]L'Eucaristia si pone come fonte e insieme come culmine di tutta l'evangelizzazione, poiché il suo fine è la comunione degli uomini con Cristo e in Lui col Padre e con lo Spirito Santo” (GIOVANNI PAOLO II,Lett. enc., Ecclesia de Eucharistia, 22)

(Mons. Scionti)

Ambone: “Il luogo dal quale viene annunciata la parola di Dio: L’importanza della parola di Dio esige che vi sia nella chiesa un luogo adatto dal quale essa venga annunciata, e verso il quale, durante la Liturgia della Parola, spontaneamente si rivolga l’attenzione dei fedeli”(Cfr. IGMR n. 272): è il luogo dell’annuncio della Buona Notizia.

Il mattino di Pasqua quando le donne andarono al sepolcro trovarono un angelo che disse loro: “Perché cercate il vivente tra i morti? Non è qui è risorto! Andate a dire ai suoi”. L’Ambone richiama quindi il sepolcro vuoto sul quale siede l’angelo del Signore, messaggero della Risurrezione per la comunità cristiana di tutti i tempi. Per questo all’ambone si proclamano le scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento, tutte orientate a spiegare il mistero della Risurrezione di Gesù, centro della nostra fede.

 

 

Il ciclo di affreschi furono commissionati al pittore romano Giovanni Battista Corradini dal vescovo Innocenzo Massimo il quale guidò la diocesi dal 1623 al 1633.L'artista decora il catino absidale con l'incoronazione di Sant'Agata e alle pareti dell'abside ,in riquadri, rappresenta alcuni santi vescovi della città, tra i quali San Berillo, accompagnati, nella parte inferiore, da martiri catanesi, fra i quali S.Euplio, compatrono della città e figure di Santi fra i quali S.Stefano protomartire.  Tutti gli affreschi insieme all'abside si salvarono miracolosamente dal terremoto del 1693 che distrusse la Cattedrale. Il Santo Martire Euplio viene raffigurato dall'artista romano con il Vangelo in mano e le palme del martirio.

"A Catania,Sant'Euplo, martire:secondo la tradizione, durante la persecuzione dell'imperatore Diocleziano, fu gettato in carcere dal governatore Calvisano perché trovato con il libro dei Vangeli tra le mani;interrogato più volte, fu battuto a morte per aver risposto di serbare con vanto il Vangelo nel suo cuore" (dagli Atti del martirologio romano)

 Ambone ed altare risalgono al 2000 anno in cui si preferì sistemare lo spazio presbiteriale secondo i dettami del Concilio Vaticano II sostituendo l'antico altare,oggi custodito nella Cappella della Madonna, con quello attuale in bronzo commissionato dal vescovo Bommarito allo scultore Dino Cunsolo insieme all'ambiente e al porta cero pasquale.

(Milena Palermo)

Abside maggiore: “Lo spazio epifanico della gloria. Secondo un’antica tradizione ispirata dalla concezione cosmica della salvezza che “viene a visitarci dall’Alto”… l’abside, rivolto verso Oriente, da dove sorge il sole, assurge a spazio simbolico… per questo il tema peculiare del programma iconografico che spesso decora splendidamente le pareti absidali è “il ritorno nella gloria del Cristo risorto, proprio da dove egli è asceso al cielo” (cfr. Catania, splendore del barocco, EAC, pag. 23).

Trova così giustificazione la raffigurazione del trionfo di S. Agata nel catino absidale, affiancata da altri cristiani della Chiesa di Catania, che hanno subito il martirio per mantenersi fedeli alla fede in Gesù Cristo e completata dalle scene, rappresentanti il suo martirio, in bassorilievo sugli stalli del coro ligneo sottostante.

(cenni storico artistici area presbiteriale – altare Nava e altare Cunsolo)

 

 

Il Presbiterio. Questo grande spazio, protetto ai lati da due imponenti colonne che rappresentano ad oggi l’unica testimonianza dell’antica cattedrale romanica, si divide in due aree differenti: in basso un coro ligneo e in alto un abside decorato con straordinari affreschi su una superficie di 580 mq.

 Al centro dell'abside realizzata in pietra lavica dell'Etna e risalente alla prima edificazione della chiesa, è inserita una grande finestra monofora del XII secolo con una vetrata moderna. L'altare è in marmo policromo e sulla sommità è presente una base in argento atta ad ospitare il busto reliquiario di sant'Agata nel corso dei festeggiamenti in suo onore.

 Al centro della parete è presente l’affresco “Trionfo di S. Agata” che celebra l’incoronazione delle martire catanese. A destra e a sinistra sono rappresentati alcuni santi vescovi etnei (tra cui San Berillo). In basso si scorgono le figure di Sant’Euplio, compatrono della città, e S. Stefano protomartire. Nella parte inferiore è presente una grande finestra monofora del XII secolo. La decorazione degli affreschi è ultimata dalla celebre intestazione in onore di Sant’Agata.

 Salvatore Rocca

http://www.vivict.it/sicilia-in-arte/sicilia-arte-presbiterio-della-cattedrale-catania/

 

I bassorilievi del Coro. Nella prima metà dei trentacinque scomparti che lo compongono è sceneggiata la vita ed il supplizio della vergine, la seconda illustra la storia della sua spoglia terrena: il trasporto a Costantinopoli ordinato nel 1040 dal generale bizantino Giorgio Maniace e compito a dispetto della tempesta scatenatasi il giorno della partenza; l'apparizione in sogno della santa, una notte dell'aprile 1126, al francese Gisliberto o Giliberto, comandante delle guardie dell'imperatore Giovanni Comneno, per manifestargli la volontà di essere restituita alla patria; l'accordo del soldato francese col compagno calabrese Goscelmo o Goselino; le loro titubanze e i loro nuovi sogni più chiari; la discesa da entrambi operata in S. Sofia, durante la notte del 20 maggio; lo scoprimento del sarcofago e il trafugamento della salma ridotta a pezzi e nascosta nelle faretre per eludere la vigilanza delle guardie alle porte; il successivo imbarco, l'approdo e l'indugio a Smirne ed a Corinto; il nuovo sogno e la nuova apparizione di Agata dolente della loro lentezza; l'arrivo in terra italiana a Taranto e la perdita, nel trarre dalle faretre e nel ricomporvi le reliquie, di una mammella; il miracolo del latte che questa diede a una bimbolina che la ritrovò e la portò alle labbra; l'ultimo sbarco finalmente a Messina; l'incontro col vescovo Maurizio al castello di Aci e il trionfale ingresso in Catania, il 17 agosto. Opera della fine del Cinquecento, eseguita per conto del vescovo Corionero e del suo successore Rebida, queste sculture del Coro furono scoperte... da Alessandro Dumas, nel 1835. La Speronare, come tanti altri libri di viaggio del romanziere di Montecristo, è uno dei più curiosi libri che si possano leggere: formicolante di errori, zeppo di fiabe da far dormire in piedi, rivela nondimeno il nativo senso artistico dello straordinario scrittore. Così, dei bassorilievi del Coro catanese egli ha ragione di dire che «nessuno vi fa attenzione, nessun libro ne parla, nessun cicerone pensa a mostrarli, mentre sono una delle cose più notevoli di quella chiesa». Certo, come osserva il di Marzo, la forma non ne è esente da qualche libertà, e l'esecuzione ne è qua e là trascurata, ma nell'insieme riescono charmans de naïveté, come dice il Dumas; il quale però, passando a descriverli, inciampa negli svarioni. Il lavoro della fine del Cinquecento è attribuito al secolo precedente; il proconsole Quinziano diventa Quintiliano, Goselino e Giliberto si riducono ad un solo, Guiberto; nè il romanziere si cura di ricercare se proprio tutti i libri tacciono di questi bassorilievi, se l'autore ne è addirittura ignoto. Poca fatica sarebbe occorsa a conoscerne il nome: bastava cercarlo nelle Osservazioni sulla storia di Catania del Cordaro, dove, con lo stile tutto suo, questo scrittore mette in evidenza il pregio del lavoro. «Il vescovo Corionero che la chiesa catanese governò dal 1589 al 1595, i sedili di legno allestì nel coro della cattedrale ove è il martirio di S. Agata inciso, lavoro del napolitano Scipione Guido» — più precisamente, di Guido: — «a quale opera tuttora dagli stranieri per la sua perfezione si ammira».

tratto da "Catania" di Federico De Roberto - ISTITUTO ITALIANO D'ARTI GRAFICHE 1907

 

 

La parte inferiore venne realizzata dall’intagliatore e scultore napoletano Scipione Di Guido nella seconda metà del ‘500.

Negli stalli (34 in totale) che arricchiscono questa straordinaria opera è possibile intravedere diverse scene in bassorilievo che ricordano la vita di Sant’Agata, il martirio e la traslazione da Costantinopoli a Catania delle reliquie della Patrona di Catania. Gli affreschi che sovrastano la parte superiore dell’area vennero commissionati all’artista romano Giovanni Battista Corradini dall’allora Vescovo di Catania, Innocenzo Massimo.

 Salvatore Rocca

http://www.vivict.it/sicilia-in-arte/sicilia-arte-presbiterio-della-cattedrale-catania/

 

 

Come disse l'epigrafe di Mario Rapisardi quando fu restituita da Parigi alla natale Catania la salma di Vincenzo Bellini, «questa basilica in cui dormono dimenticate le ossa di tanti re, diverrà da questo giorno famosa per la tomba di Vincenzo Bellini». La quale è posta sotto il secondo pilastro di destra, ed è ornata di un piccolo monumento del fiorentino Tassara.

Il maggior Catanese dei tempi moderni, il cantore della Norma, della Sonnambula e dei Puritani, era degno, per la soavità dell'anima sua e per l'universalità della sua gloria, di riposare accanto alla più gloriosa e soave sua concittadina dei tempi andati, Sant'Agata.

La salma del musicista, morto a Parigi nel 1837, restò sepolta al Père Lachaise per circa quarant'anni, fino al 1876, quando ne fu tratta e trasportata in Sicilia e deposta nella terra natale; la martire suppliziata in vita come già si è narrato, non fu risparmiata neppure dopo morte, e la sua salma fece più lunghi e travagliosi viaggi, come narrano i bassorilievi del Coro della sua chiesa.

Il Coro. Nella prima metà dei trentacinque scomparti che lo compongono è sceneggiata la vita ed il supplizio della vergine, la seconda illustra la storia della sua spoglia terrena: il trasporto a Costantinopoli ordinato nel 1040 dal generale bizantino Giorgio Maniace e compito a dispetto della tempesta scatenatasi il giorno della partenza; l'apparizione in sogno della santa, una notte dell'aprile 1126, al francese Gisliberto o Giliberto, comandante delle guardie dell'imperatore Giovanni Comneno, per manifestargli la volontà di essere restituita alla patria; l'accordo del soldato francese col compagno calabrese Goscelmo o Goselino; le loro titubanze e i loro nuovi sogni più chiari; la discesa da entrambi operata in S. Sofia, durante la notte del 20 maggio; lo scoprimento del sarcofago e il trafugamento della salma ridotta a pezzi e nascosta nelle faretre per eludere la vigilanza delle guardie alle porte; il successivo imbarco, l'approdo e l'indugio a Smirne ed a Corinto; il nuovo sogno e la nuova apparizione di Agata dolente della loro lentezza; l'arrivo in terra italiana a Taranto e la perdita, nel trarre dalle faretre e nel ricomporvi le reliquie, di una mammella; il miracolo del latte che questa diede a una bimbolina che la ritrovò e la portò alle labbra; l'ultimo sbarco finalmente a Messina; l'incontro col vescovo Maurizio al castello di Aci e il trionfale ingresso in Catania, il 17 agosto.

Opera della fine del Cinquecento, eseguita per conto del vescovo Corionero e del suo successore Rebida, queste sculture del Coro furono scoperte... da Alessandro Dumas, nel 1835. La Speronare, come tanti altri libri di viaggio del romanziere di Montecristo, è uno dei più curiosi libri che si possano leggere: formicolante di errori, zeppo di fiabe da far dormire in piedi, rivela nondimeno il nativo senso artistico dello straordinario scrittore.

Così, dei bassorilievi del Coro catanese egli ha ragione di dire che «nessuno vi fa attenzione, nessun libro ne parla, nessun cicerone pensa a mostrarli, mentre sono una delle cose più notevoli di quella chiesa». Certo, come osserva il di Marzo, la forma non ne è esente da qualche libertà, e l'esecuzione ne è qua e là trascurata, ma nell'insieme riescono charmans de naïveté, come dice il Dumas; il quale però, passando a descriverli, inciampa negli svarioni. Il lavoro della fine del Cinquecento è attribuito al secolo precedente; il proconsole Quinziano diventa Quintiliano, Goselino e Giliberto si riducono ad un solo, Guiberto; nè il romanziere si cura di ricercare se proprio tutti i libri tacciono di questi bassorilievi, se l'autore ne è addirittura ignoto. Poca fatica sarebbe occorsa a conoscerne il nome: bastava cercarlo nelle Osservazioni sulla storia di Catania del Cordaro, dove, con lo stile tutto suo, questo scrittore mette in evidenza il pregio del lavoro. «Il vescovo Corionero che la chiesa catanese governò dal 1589 al 1595, i sedili di legno allestì nel coro della cattedrale ove è il martirio di S. Agata inciso, lavoro del napolitano Scipione Guido» — più precisamente, di Guido: — «a quale opera tuttora dagli stranieri per la sua perfezione si ammira».

 

da "Catania" di Federico De Roberto                                 

ISTITUTO ITALIANO D'ARTI GRAFICHE — EDITORE 1907

 

 dall'ingresso all'altare

 

 

 

 

Prima campata: Fonte battesimale, affresco raffigurante San Giovanni Battista e il Battesimo di Gesù nel fiume Giordano, opera di Giovanni Tuccari del 1741 - 1743.

Seconda campata: Altare dedicato a Santa Febronia, dipinto Martirio di Santa Febronia, opera di Guglielmo Borremans del 1730 commissionata da Pietro Galletti in omaggio alla Patrona di Patti, precedente sede dell'apostolato del vescovo. Tutte le opere del pittore fiammingo sono realizzate durante il soggiorno catanese dell'artista nel 1730 per l'abbellimento del tempio nuovamente ricostruito.

 Di fronte all'altare, addossata ad uno dei dodici pilastri che separano la navata da quella centrale, è collocato il monumento funebre del musicista catanese Vincenzo Bellini. Le sculture realizzate in marmo di Carrara e bronzo sono opera di Giovanni Battista Tassara, la targa reca inciso l'incipit dell'aria de La sonnambula « Ah! Non credea mirarti si presto estinto fiore… »

(Felice Romani)

 

Terza campata: Altare dedicato a Santa Rosalia, dipinto Gloria di Santa Rosalia di Guglielmo Borremans del 1730, opera commissionata da Pietro Galletti in omaggio alla Patrona di Palermo.

La tomba del Cigno

.........Il corteo s'avviò alle ore 16,00 al suono delle campane della città, il Sarcofago era tirato da tre quadriglie di cavalli neri, tenuti a mano da valletti in costume del XIV Secolo, mentre i cordoni erano retti dai Maestri Pietro Platania e Pietro Antonio Coppola, dal Comm.  Francesco Florido e da altre Autorità. Apriva il corteo un reparto di carabinieri a cavallo, una compagnia di fanteria, ed associazioni cittadine. Dietro il carro seguivano i congiunti di Bellini: La sorella Maria, il fratello Carmelo ed il nipote Ascanio Balzan. Durante il percorso dai balconi, venivano lanciati fiori da una moltitudine di persone commosse ed osannanti al Ricordo del Maestro.
In Piazza Duomo si arrivò alle ore 18 e sulla porta della Cattedrale era collocato un drappo con la scritta del poeta Mario Rapisardi che così recitava: (QUESTA BASILICA, IN CUI DORMONO DIMENTICATE, LE OSSA DI TANTI RE, DIVERRA' DA QUESTO GIORNO FAMOSA, PER LA TOMBA DI VINCENZO BELLINI).

All'interno della Cattedrale era stato allestito un catafalco che accolse la cassa, era parato a lutto ed illuminata con molti ceri. La Delegazione che aveva avuto in consegna la salma a Parigi, coprì il feretro con un drappo bianco di raso, ricamato in oro ove si leggevano i titoli delle opere del Musicista, fra ghirlande di alloro e di quercia. Molte furono le testimonianze dei musicisti Catanesi e non , fra questi il Maestro Coppola, che per l'occasione compose un brano eseguito dal coro formato da 200 fanciulle e da lui personalmente dirette, mentre alla fine l'orchestra eseguiva l'omaggio a Bellini del maestro Mercadante.
L'indomani 24 Settembre alle ore 10 venne eseguita la messa da Requiem del maestro Coppola, alla presenza di autorità fra i quali spiccava la presenza dell'Arcivescovo Mons. Dusmet. Nello stesso giorno, nei vari giardini pubblici della
Città, vennero eseguiti dalle bande cittadine concerti musicali dedicati a Bellini, in questo modo si conclusero le funzioni in onore del Grande Musicista.
Ed ora scavando fra le informazioni storiche che ora si possono trovare fra le varie biblioteche e principalmente nel libro "Catania nella storia contemporanea- 1693.1921" Autori i Prof, Giovanni Merode e Vincenzo Pavone, per i tipi della Scuola Salesiana del libro di Barriera (Catania) che mi auguro possa essere presto ripubblicato e da dove ho attinto le maggiori e preziose informazioni e che a livello esclusivamente privato, mi onoro di essere stato, con la mia famiglia, amico del Prof. Giovanni Merode con il quale, nel rispetto della differenza anagrafica e di cultura in quei momenti, ho condiviso la passione e l'amore per la nostra città oltre la passione per la musica lirica.

 


Concludendo questa cronaca "dell'uomo della strada" riprendo il racconto sulla traslazione della salma di Vincenzo Bellini, trascrivendo ciò che gli autori del libro sopra menzionato, scrivono:
"il 24 Settembre 1876 nella mattinata fu un pellegrinaggio continuo dei cittadini catanesi ad onorare la salma del Musicista,
il 25 Settembre la Cattedrale rimase chiusa per procedere alle rifiniture del sepolcro, il 26 Settembre c.a. alle ore 17 alla presenza di molte Autorità civili ed ecclesiastiche, venne eseguita la ricognizione del cadavere dal Prof. Cesare Federici, dopo, il chimico Mariano Zuccarello effettuò una nuova imbalsamazione, giacchè quella del 1835 dei chimici francesi era risultata difettosa.
Questa è la descrizione della vestizione dei resti fatta dagli autori: "AI PIEDI, SU CALZE DI COLORE AVANA, VENNERO POSTE PICCOLE PANTOFOLE ROSSE RICAMATE DA UN GRUPPO DI DAME CATANESI. IL CORPO VENNE AVVOLTO DA UN GRANDE SUDARIO E CALATO NELLA GRANDE CASSA DI EBANO?".

Il 28 Settembre, la Giunta Comunale stipulò un contratto con lo scultore romano Giulio Monteverde per la realizzazione di un grande monumento in onore del Musicista, nei primi giorni di Ottobre il Cav. Giuseppe Giuliano fondava il Circolo Bellini con lo scopo di riunire in una sola famiglia tutti i letterati ed artisti catanesi.
Il 23 Ottobre avvenne l'inumazione della salma nella Cattedrale.
Il monumento fù posto all'altezza del secondo pilastro a destra e fu realizzato dallo scultore Giambattista Tassara di Firenze, ex garibaldino dei mille, su progetto del prof: Salvino Salvini per incarico del Consiglio Comunale.
Nel sepolcro venne deposta la cassa di ebano con i resti del Musicista ed accanto fù posta una lastra di marmo con la scritta: (A VINCENZO BELLINI, NATO IN CATANIA IL 3 NOVEMBRE 1801, MORTO A PUTEAUX, PRESSO PARIGI, 23 SETTEMBRE 1835, RESTITUITO ALLA TERRA NATALE 22 SETTEMBRE 1876, QUI TUMULATO 23 OTTOBRE 1876). Il sepolcro venne coperto da una grande lapide in marmo con la scritta (BELLINI)
Ed ora in conclusione, tratto dal volume sopra citato, vi elenco le risultanze della ricognizione cadaverica eseguita sul corpo del "Cigno".
"Nella cassa a sinistra, in una teca di piombo, venne trovato il cuore. Tagliate le bende si trovava che i peli del sopracciglio erano esistenti, il naso completo perfettamente conservato, però alquanto schiacciato. I capelli e i peli del petto si erano conservati. Il colore della pelle era bruno-bituminoso, somigliante alle mummie, i tratti del viso tirati, i denti completi e bianchi. Alcune parti del corpo si trovavano in mediocre conservazione, altre in stato di sfacelo. l'addome era distrutto". Dalla ricognizione risultava che l'altezza del corpo sorpassava metri 1,79; la circonferenza della testa era di cm. 55, di cui 29 alla parte posteriore e 26 a quella anteriore.
Ho voluto raccontare da "uomo della strada" le grandi onorificenze alla salma di Vincenzo Bellini dopo 41 anni dalla morte.
di Salvatore Marchese
http://www.carrettosiciliano.com/sicilia-story/59-i-comuni-etnei/95-catania.html?start=2

 

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LA CATTEDRALE FU PARATA A LUTTO PER IL RITORNO DI BELLINI A CATANIA

 Al Museo belliniano è esposto un magnifico dipinto di cui non si legge l'autore, che rappresenta il momento in cui le spoglie del maestro Vincenzo Bellini furono accolte in Cattedrale dopo 41 anni dalla sua morte a Puteax (Francia).In basso a sinistra sul pilastro si legge "Catafalco a Bellini in Catania 24 settembre 1876 " e le lettere finali di una firma "....otta"(forse Pasquale Liotta?).

Il dipinto combacia perfettamente con la cronaca dell'evento pubblicata dallo scrittore Federico De Roberto il 15 ottobre 1876 sul giornale nazionale "Illustrazione italiana ".

Nella narrazione di De Roberto si intuisce il grande festeggiamento a Bellini che durò giorni e a cui partecipò tutta la cittadinanza, ma anche le autorità civili ed ecclesiastiche,i parenti del maestro Bellini e persino turisti venuti da ogni parte.Le spoglie furono accolte cerimoniosamente al porto saraceno dove arrivarono in nave ,archi trionfali e festoni fioriti adornarono le vie principali e nell'aria echeggiavano le note sublimi delle opere belliniane. Il lungo corteo funebre parti da piazza Cavour, dove era stato allestito un grande arco trionfale, alle 3 e 3/4 e arrivò davanti la Cattedrale di Sant'Agata alle 6 ......e qui il grande De Roberto scrive :

"Alle 6 il carro giunse alla Cattedrale, sul cui frontone in una coltre nera era scritto:Questa Basilica- ove dormono dimenticate le ossa di tanti Re-diventerà questo giorno famosa per la tomba di Vincenzo Bellini (scritta dal poeta Mario Rapisardi)

Il feretro fu portato nella chiesa che era tappezzata di velluto nero, dalle arcate pendevano cortine di velo nero, l'abside era occupato da un palco ove 200 ragazzi cantarono uno stupendo coro del maestro Coppola. Il feretro fu posto sopra un catafalco a due ordini. Il primo poggiava sopra una scala di tre gradini, era tappezzato di mortella e cipresso che disegnavano delle arcate gotiche occupate da genii in argento. Il secondo ordine era tappezzato di velluto nero con trofei musicali, in argento. Su di esso fu posto il feretro coperto da una coltre di raso bianco con ricami in oro. Nei tripodi di bronzo ardeva l'incenso, mentre tutta la Chiesa era illuminata.

Quella sera, al Giardino Bellini, ove era accorsa una folla immensa, si suonarono pezzi di Bellini accolti da fragorosi e ripetuti applausi.

La domenica 24 la Chiesa era trasformata in cappella ardente.Con l'assistenza dell'arcivescovo e del rappresentante la R.Casa si cantò la gran messa da Requiem del maestro Coppola, diretta da lui medesimo. La messa è veramente grande. I canti funebri e celestiali vi abbondano, i cori sono stupendi!E tutto ciò unito ai motivi grandiosi dell'Agnus Dei e del Miserere ,fa un insieme degno di chi la scrisse e di quello a cui è diretta.

Fu poi discoperto il monumento sepolcrale, opera dello scultore Tassara, composto d'un basamento in cui sarà incastrato un bassorilievo rappresentante una scena della Norma. Sul basamento è un'urna, su cui il Genio della Melodia depone una corona. Il tutto è sormontato da un'arcata che finisce con una croce a braccia uguali e sul cui fondo un bassorilievo rappresenta l'apoteosi di Bellini. L' apoteosi e il Genio sono in gesso, non essendo arrivati quelli in marmo. Ai piedi del monumento è la tomba su cui sta scritto:BELLINI

(Federico De Roberto)

 

grazie a Milena Palermo per Obiettivo Catania

https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/

 

 

Quarta campata: Cappella altare dedicato al Sacro Cuore di Gesù, statua Sacro Cuore di Gesù.

 

 

Quinta campata: Altare dedicato a Sant'Antonio di Padova, dipinto Sant'Antonio di Padova opera di Guglielmo Borremans del 1730.

Addossato al pilastro il monumento sepolcrale del vescovo Emilio Ferrais opera dello scultore Pietro Pappalardo.

Sesta campata: Altare dedicato alla Sacra Famiglia, dipinto Sacra Famiglia opera di Pietro Abbadessa.

Dirimpetto a questo altare, addossato al pilastro, è collocato il monumento funebre di Mons. Domenico Orlando morto nel 1839.

Settima campata: Altare dedicato a Santa Maria, dipinto Maria Corredentrice opera di Emanuele Di Giovanni del 1961.Sotto la mensa riposa Giuseppe Benedetto Dusmet.

 

Addossato al pilastro il cenotafio del Cardinale, monumento funebre fino alla beatificazione, opera di Filadelfo Fichera.

 

Il Cardinale Dusmet
La popolazione catanese lo venera come un santo, anche se santo ancora non è. La sua tomba in cattedrale é sempre coperta di fiori e, nello stesso Duomo, a iniziativa del priore mons. Nicolò Ciancio, é stato allestito un museo con i suoi cimeli. Se avremo un panettello noi lo divideremo con il prossimo: e a questa massima uniformò tutta la sua vita. Per soccorrere i catanesi durante le epidemie di colera vendette la sua croce pettorale che la popolazione poi riscattò.
Nato a Palermo il 15 agosto 1818, dal marchese Luigi Dusmet e dalla nobildonna Maria Dragonetti, a 5 anni fu ammesso nella Badia benedettina di San Martino delle Scale. Pronunziò i voti monastici il 15 agosto 1840. Abate del monastero benedettino di San Nicolò l'Arena di Catania, ricondusse i confratelli a più severa disciplina.
Lasciò con grande dignità, e per ultimo, dopo aver protestato con le autorità governative, il monastero che veniva incamerato, come tutti i beni degli Ordini religiosi, dal nuovo Regno d'Italia. Nominato arcivescovo di Catania, fu creato cardinale nel 1888 ma la porpora non alterò, anzi fe' risplendere vieppiù le sue virtù monastiche e sacerdotali, la sua carità e la sua pietà. Dieci anni dopo la morte, il suo corpo venne traslato dal cimitero nella cattedrale. Il 7 gennaio 1931 l'arcivescovo mons. Carmelo Patanè introdusse la causa per la sua beatificazione. Il 15 luglio 1965 Papa Paolo VI firmò i! decreto sull'eroicità delle virtù del Servo di Dio, proclamando Dusmet Venerabile. Perché diventi santo occorrono ancora due miracoli.

http://www.cormorano.net/catania/cultura/dusmet.htm

La Campana del 3 aprile toglieva ogni residua speranza. "In questo giorno sacro a S. Benedetto (il martedì) e alla vigilia della festa di S. Giuseppe (il mercoledì), i due Santi Patroni del nostro amatissimo Cardinale Arcivescovo, che ne porta i nomi, La Campana sperava di poter dare qualche buona notizia alla nostra cittadinanza sulla preziosa salute di Lui. Invece essa deve mestamente e laconicamente dichiarare che l'amatissimo infermo è molto più aggravato e i timori di una perdita irreparabile crescono sempre. Pare che i due gloriosi Santi preferiscano averlo presto con loro, al lasciarlo per qualche tempo ancora fra noi. La Campana non aggiunge altro"...

Fra tante commozioni, l'infermo "manteneva una inalterabile calma e una edificante pazienza, immerso nel pensiero dell'eternità, recitando giaculatorie con aspirazioni ardenti al Paradiso, raccomandandosi alle preghiere dei suoi.

La speranza dell'imminente vita eterna si alternava con il timore e il dolore dei peccati e umilmente chiedeva: Non mi lasciate in purgatorio; la responsabilità di un vescovo è grande. Signore, abbreviate il mio purgatorio, perché io possa godere presto in Paradiso".

Unica preoccupazione terrena era ancora la sua missione di carità. In un momento di vaneggiamento si rivolse al p. della Marra: Luigi, vedi là quel poveretto vestito di bianco? Gli hai dato nulla? E il segretario lo assicurava, per calmarlo, di aver provvisto a tutto.

Come si vive così si muore, aveva esclamato pochi mesi prima il cardinale Dusmet, assistendo all'agonia del suo vicario, mons. Castro.

Lo stesso si verificava ora. Era voce unanime che moriva un santo. Dal medico curante che in pubblico dichiarò: Sto curando un angelo, sono convinto che il cardinale Dusmet è un Santo, a quelli che lo paragonavano a S. Giuseppe, tanto la sua morte era quella dei giusti.

"Alle 13.30 - riferiva il Corriere di Catania del 5 aprile - S.E. le cui forze erano estremamente prostrate, fu assalito dalla febbre. Questa ringagliardì rapidamente, tanto da far temere prossima una catastrofe, Assistevano l'infermo, recitando preghiere, mons. Caff, l'Abate di Montecassino d'Orgemont, p. Marra e p. Cannata. I fratelli di S.E. erano inconsolabili, d. Postiglione, quantunque visibilmente abbattuto dalle lunghe veglie, era sempre instancabile intorno al letto dell'illustre infermo ... Alle ore 16, per prolungare di alcune ore la preziosa esistenza, si ricorse alla respirazione artificiale.

 

 

 

Il Sindaco, cav. Sapuppo, informato dello stato grave di S.E., corse all'arcivescovado offrendosi a mons. Caff e al p. Marra per tutto quanto potesse occorrere ... Verso le ore 20 l'agonia è divenuta più che mai angosciata. Fu sospesa la respirazione artificiale ... In queste ore estreme non rimasero che i dottori Coco e Postiglione ad assisterlo, e monsignore Caff e l'Abate di Montecassino a pregare".

"Verso le 21 - depone don Brancati - varii Salesiani ci recammo in episcopio. Ci fermammo però solamente due: don Motta Giovanni ed io già sacerdote, per passarvi la notte". Essi però rimasero nel salone che precedeva la piccola camera del cardinale con gli altri familiari ed ecclesiastici.

Così, circondato dal rappresentante della sua Chiesa e da quello di S. Benedetto, con lo sguardo fisso alla sua cara Sacra Famiglia, "spirò serenamente": erano circa le 22.30 del 4 aprile 1894, sacro quell'anno a S. Giuseppe. La sua preghiera di morire nella festa del Patriarca di Nazaret era stata ascoltata!

"Verso le 22.30 - continua don Brancati - ritornò fra noi - che eravamo nel salone - il dottore e si sedette. Noi con a capo il padre Della Marra domandammo Come sta? E l'altro: Come deve stare? sempre lo stesso - era questa la risposta che dava quando, all'allontanarsi un momento dal letto, veniva interrogato - Passò forse un minuto e poi il dottore disse: E' inutile che nasconda, il Cardinale è andato in Paradiso. Può immaginarsi lo schianto, il pianto, il dolore.

Il segretario si ritirò affranto dal dolore. Noi entrammo nella camera del defunto. Ne uscì il vescovo Caff e l'abate; noi ci fermammo col dottor Postiglione per comporre la salma. Con le lagrime agli occhi ci accingemmo all'invidiabile impresa. Eravamo tutti convinti di toccare un Santo. Gli baciai la fronte, le mani, gli chiusi la bocca con un nastro di amitto. Gli tolsi le calze che poi gli dovetti mettere di nuovo...; quello che ci colpì fu l'assoluta povertà della camera e di tutto il resto. Inutile cambiare la camicia bagnata dal sudore della morte, non ce n'era un'altra. Fu vestito con la sua logora tonaca di benedettino - non aveva detto: Occorre andare in Paradiso con l'abito di San Benedetto? - Gli si pose il rocchetto, la croce di rame e la berretta cardinalizia.

Io presi la mia corona e con essa toccai le mani del Servo di Dio. Altri mi imitarono. Il sacerdote Cosentino, lagrimando, prese anche egli la sua corona e toccando la sacra spoglia mi ripeteva: Che bella idea lei ha avuto; avremo così  un ricordo perenne del nostro Cardinale, una reliquia del nostro santo.

Io però avevo una vera reliquia, perché, quando tolsi il nastro col quale avevo stretto la bocca del Servo di Dio, lo conservai come preziosa reliquia; anzi mi ricordo che presso le labbra del Servo di Dio si era formata una crosticina che si mosse e quindi fece un pò di sangue che bagnò la fettuccia.

Nel salone arcivescovile due poveri cavalletti con quattro assicelle, un materasso ed una semplice coltre, che scendendo ai lati copriva tanta estrema poverà, ecco la grande camera ardente del Cardinale Dusmet.

Con affetto e venerazione profonda vi si collocò il prezioso cadavere aggiungendovi un cuscino per porre il capo. Quattro semplici ceri completavano l'apparato. Intanto si prepararono due altarini ed io ebbi la grande ventura di celebrare per il primo la S. Messa, presente cadavere. Poi celebrò il mio confratello don Motta, indi seguirono altre Messe ai due altari". Così don Brancati.

Ma naturalmente non tutti potevano conoscere ogni particolare. Quando si dovè avvolgere la salma, non fu possibile trovare un lenzuolo. L'abate d'Orgemont, sorpreso, uscì nell'esclamazione: Un lenzuolo funebre anche data la carità e la povertà del card. Dusmet, dovrebbe trovarsi! Come per la biancheria, così per il lenzuolo, la difficoltà fu tolta in quei momenti di smarrimento doloroso dal canonico Marcenò, che andò a ritirarne presso la sua famiglia.

Quando la mattina del giorno 5 aprile ... s'intesero i funebri rintocchi del campanone della cattedrale ... non si può descrivere quello che allora successe... tutti piangevano, tutti i negozianti chiusero i negozi, i cocchieri si ritirarono in casa con le loro carrozze, anche i protestanti chiusero la loro chiesa evangelica, ed era comune sulle bocche di tutti l'esclamazione: E' morto, è morto il Padre, è morto il santo Cardinale.

(Tratto da: Tommaso Leccisotti, Il Cardinale Dusmet, O.V.E., Catania 1962)

 

 

 

 

 

 

6 la lapide che ricorda il vescovo Giovanni Orosco De Arzès

 

 

MAUSOLEO DEL VESCOVO DI CATANIA  PIETRO GALLETTI

(San Cataldo, 29 ottobre 1664 – Catania, 6 aprile 1757)

È il mausoleo più maestoso della Cattedrale, ricco di sculture e mi sono spesso chiesta il significato delle due figure maschili in basso che sembrano terrorizzate!

Ebbene la mia curiosità è stata esaudita poiché, un giorno, il professore colonnello Corrado Rubino mi  lasciò ,tra i commenti, una preziosa e dettagliata spiegazione che ovviamente copio e incollo qui  per tutti!

 

Come scrive Rubino,le due figure maschili rappresentano due Mori ed aggiunge :

<<E' il mausoleo più ricco e spettacolare. Presenta le figure di due mori che reggono il sarcofago del monumento commemorativo e che rappresentano la sottomissione degli arabi dopo l'opera di ricristianizzazione operata dagli Altavilla. Ma ovviamente questa interpretazione va spiegata. Premettiamo che Pietro era il rampollo della famiglia Galletti dei principi di Fiumesalato e marchesi di San Cataldo. Rinunciò al titolo in favore del fratello per arruolarsi nella "milizia della Chiesa Cattolica".

Fu anche reggente unico del Sant’Uffizio dell’inquisizione della Sicilia. Quindi una figura "operativa" e non di certo "contemplativa". Ebbe anche una spiccata propensione verso le belle arti e si avvalse dell’opera dei più talentuosi artisti operanti in Sicilia, da mecenate contribuì all’abbellimento strutturale e all’arricchimento del patrimonio pittorico della cattedrale di Sant’Agata ed è probabile che egli stesso abbia contribuito al progetto del suo mausoleo.

 

Esso presenta una peculiarità che lo accomuna a diverse altre opere presenti in cattedrale: il legame con le radici normanne di tutto l'impianto basilicale.

Così come il quadro del "DIVO GIORGIO" ricorda il santo protettore delle tante battaglie per riconquista normanna dell'isola, le figure dei due mori che reggono il sarcofago del monumento riportano alla memoria quegli arabi (che nell'immaginario del VI e VII secolo vengono assimilati ai pirati moreschi) sottomessi dagli Altavilla.

Ma il racconto degli scontri e dei massacri con il susseguirsi degli eventi, si è tradotto in duraturi periodi di pacifica e costruttiva convivenza che hanno lasciato impronta d'eccellenza in tutti i campi dello scibile umano.

Il messaggio non è tanto il senso di oppressione, di dominio, di giogo che il particolare dei due mori esprime, ma che non si riscontra nei fieri volti, quanto il ruolo di base, sostegno, fondamento, pilastro, apporto, contributo che il contesto arabo ha arrecato nel meridione d'Italia.

(Corrado Rubino)

 

7  Ingresso Salone Bonadies

 

 

Mons. Michelangelo Bonadies. Antonino Giuseppe Bonadies (Bongiorno) nacque il 21 ottobre 1603 nella terra di Sambuca, diocesi di Girgenti, cittadina che ha sempre espresso umori democratici.

 Assai scarne le notizie sui suoi consanguinei: il padre, Pietro, era un artigiano appartenente a una famiglia di probabile origine spagnola; la madre, Margherita Roccaforte, era una casalinga.

 Di vivida intelligenza, manifestò presto predisposizione per la vita religiosa e, il 21 ottobre 1621, a diciotto anni, entrava far parte dell’ordine dei francescani, per la precisione dei Frati minori osservanti e riformati di San Francesco, «per professarvi quella Regola che lo avrebbe reso spettacolo di grandi virtù cristiane e religiose non solo, ma un Grande della Chiesa, della Cultura e della Scienza».

 Prese il nome di Michelangelo (Michelangelus) e, «ornato di somma dottrina», si distinse per la lucidità dell’ingegno e l’interesse per varie discipline, la storia e il diritto in particolare. Seguì con profitto il corso di studi in filosofia e teologia senza, però, conseguire titoli accademici: secondo le consuetudini francescane, egli non frequentò corsi universitari poiché il titolo di studio acquisito all’interno del proprio istituto era considerato, per serietà e severità di studi, equipollente alla laurea.

 Nella bolla pontificia di nomina, si sostiene che il Bonadies era «Sacrae Theologiae, professorem»; il presbitero e storico palermitano Antonio Mongitore (1663-1743) lo definì «theologus doctissimus» e lo storico catanese Vito Amico (1697-1762) lo giudicò «eximius Theologus», ma anche «chiarissimo per dottrina, prudenza ed integrità di costumi».

Il I giugno 1624 ricevette i quattro ordini minori dal vescovo di Agrigento, don Ottavio Ridolfi (1582-1624); il 19 settembre 1626 il suddiaconato dal vescovo di Siracusa, don Paolo Faraone (1629); il 20 marzo 1627 il diaconato dal vescovo di Cefalù, don Manuel Esteban Muniera (1631); il 23 settembre 1628 il presbiterato dal vescovo di Agrigento, don Francesco Traina (165l). L’8 settembre 1633 il custode dei Frati minori riformati di Sicilia, Val di Mazara, consegnò un attestato d’idoneità a fra Michelangelo da Sambuca «ad munus praedicationis quocunque tempore obtigerit exercendum et publice artes interpretandum et sacram theologiam aliis legendum».

Docente di filosofia e teologia, il Bonadies fu più volte eletto ministro provinciale “in Val di Mazara” e, poi, segretario generale; fu, inoltre, tre volte definitore generale, «delle quali l’ultima volta – secondo lo Scaturro – nei Capitoli adunati nella Spagna l’8 giugno 1658», anno in cui divenne superiore generale del suo ordine e, secondo quanto riporta lo storiografo francescano Pietro Tognoletto, fu anche qualificatore della Santissima Inquisizione nel Regno di Sicilia.

Nell’intestazione degli atti ufficiali, il Bonadies appuntò, fra i vari titoli, quello di aver fatto parte «del consiglio di sua cattolica Maestà». Lo storico medioevalista Domenico Ligresti lo definì «esimio teologo, provinciale per la Sicilia, visitatore, segretario e ministro Generale […] rimasto in carica sino al 1686, dando dimostrazione di grandi capacità anche nella gestione del patrimonio».

Su una cosa il giudizio fu unanime: il Bonadies era senz’altro un «uomo grave e prudente, esperto delle cose del mondo et atto ad ogni maneggio come s’è fatto conoscere nelle cariche da lui esercitate et in particolare quando è stato Generale». Apparve, insomma, colto, erudito, dalla profonda cultura, caritatevole, buono per morigeratezza dei costumi,

 L’8 giugno 1658 celebrandosi a Toledo, in Spagna, il Capitolo Generale dell’Ordine nel Real Convento di San Juan de Los Reyes, il Bonadies fu eletto ministro generale dell’ordine dei Frati minori, carica che mantenne fino al 1664 e che gli diede l’occasione di perfezionare le sue doti di governo e d’istituire rapporti di conoscenza e di apprezzamento con alte autorità politiche e religiose. Aggiunse alle eminenti cariche ricoperte, anche «la santità della vita e la dottrina».

 Pare che il Bonadies godesse di grandi considerazioni all’interno della corte del re di Spagna, di Sicilia e di Napoli Filippo IV d’Asburgo (1605-1665) il quale, conquistato dalle qualità umane e morali del Bonadies, il 2 aprile 1665 lo propose come vescovo di Catania al papa Alessandro VII (Fabio Chigi, 1599-1667), che accettò benevolmente la candidatura.

 La pubblicazione di questo saggio monografico da parte del valente studioso Michele Vaccaro, è opera grandemente meritoria, attraverso cui la cittadina di Sambuca di Sicilia vede, ancora una volta, riportare alla “luce” un suo grande figlio, uno dei tanti personaggi che nel corso dei secoli hanno dato lustro a questa terra meravigliosa, patria di poeti, scrittori, pittori e tant’altra gente valorosa.

 

da Michelangelo Bonadies, di Michele Vaccaro.

 

 (Serafino Spezia di Villarossa)

http://www.recensionilibri.info/recensioni/saggi/michelangelo-bonadies-michele-vaccaro.html

 

 

 

 

 

 

 

Giovanni Corroniero, spagnolo, già inquisitore generale della Sicilia, vescovo dal 1589 al 1592, è ricordato come «padre dei poveri»; Giovan Domenico Rebiba (1595-1604) non voleva abbandonare la povera diocesi di Ortona per trasferirsi nella più ricca Catania, e fu «mite nel governo, misericordioso e generoso verso i poveri»; Giovanni Ruiz de Villoslada (1605-7) da Roma, dove si trovava, appena nominato scrisse che si desse soccorso ai poveri e giunto a Catania diede fondo alle risorse della Mensa in aiuto agli affamati in quegli anni di carestia; Bonaventura Secusio (1609-1617) di Caltagirone, appartenente ai frati minori osservanti, si era distinto nelle scienze teologiche e nell’eloquenza, era stato Ministro generale del suo ordine ed assieme al cardinale Aldobrandini aveva operato diplomaticamente per la conclusione di un trattato di pace tra Spagna e Francia, ottenendo in seguito le nomine di patriarca di Costantinopoli, vescovo di Patti, arcivescovo di Messina ed infine di Catania; Giovanni Torres de Osorio, spagnolo, ebbe in Sicilia le cattedre di Siracusa e di Catania (1619) prima di essere trasferito nella sua patria ad Oviedo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1620 (la peste s'era diffusa a Catania)Torres andò ad occupare un altro posto a Spagna, e a Catania, in giugno, venne Innocenzo Massimo romano. Recatosi in visita per la diocesi, a Castrogiovanni (Enna), la sua condotta e quella dei suoi famigliari indispose talmente il popolo che lo avrebbe ammazzato se non correva a nascondersi nel collegio dei Gesuiti, e nascostamente non fosse ritornato a Catania.

Abbellì la cattedrale e rivesti di marmi, e di pietre nobili l' altare di s. Agata ...; il che dovendo essere seguito da altre imprese, richiedeva somme significanti di denaro, e cosi decise di tagliare a man bassa, e vendere il bosco di s. Agata sul monte Etna.

Il senato fece conoscere al re l'immenso danno di quel disboscamento e dalla corte di Filippo IV ...si decretò l' assoluta proibizione al vescovo della perniciosa sua risoluzione, ma si ordinò ai Ministri che lo obbligassero a restituire quanto avea cominciato ad introitare. Fu dopo accusato al papa da Catania, e ... Massimo fu chiamato a Roma.

Il 2 agosto del 1633 un mortale attacco di apoplessia lo tolse di vita alla età di 52 anni. Gli fu eretto nella cattedrale un sepolcro con una lunga iscrizione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Protetta da un'alta cancellata in ferro battuto vi è la maestosa cappella dedicata a sant'Agata. Nella parete sinistra di essa si apre la porta dorata finemente decorata che da accesso alla camera sotterranea chiamata dai catanesi a cammaredda, dentro cui vengono custoditi il busto reliquiario di sant'Agata e lo scrigno con le sue reliquie. Nella cappella, decorata da un affresco che raffigura santa Lucia orante sulla tomba di sant'Agata per invocare la guarigione della madre inferma, vi è il monumento funebre del viceré Ferdinando Acugna grande devoto della martire Agata. Sull'altare della cappella è situato un bassorilievo rappresentante sant'Agata incoronata da Dio con san Pietro e san Paolo con gli evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni.

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 Lucio Sciacca, “Catania com’era” - Vito Cavallotto Editore

 

 

Cappella di S. Agata: “Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei propri persecutori.” (BENEDETTO XVI, Lett. ap. In forma di “motu proprio” Porta Fidei, (cenni storico artistici altare, retablo, monumento sepolcrale Vicerè, sacello, affreschi; cenni storici S. Agata e periodo delle persecuzioni)

(Mons. Scionti)

 

Accanto la Cappella di Sant'Agata dal lato esterno ,è posta un'epigrafe latina a testimonianza e memoria di un viceré spagnolo che donò la luce perenne alla Cappella attraverso la lunga lampada d'argento collocata al centro della Cappella, un tempo funzionante ad olio ed oggi elettrica, ciò come ringraziamento a Sant'Agata per aver protetto Catania dall'eruzione del 1669

Il testo dice:

"Più chiaramente rifulgerai, o città chiarissima, appunto per quella cagione per cui tremebonda piangevi l'estinzione del tuo nome.L'Etna, quantunque rotti i fianchi l'11 marzo di questo anno 1669 ,per quattro lunghi mesi congiurasse al supremo eccidio di Catania circondando la stessa città di infocati confini rese tuttavia più evidente la liberazione della patria giurata da Agata Vergine e Martire catanese, ed eterno' il trionfo e la corona della sua trionfatrice. Laonde l'Ecc.mo Viceré D. Francesco Fernandez De Cueva duca di Alburqueque, pose in nome del Re,oltre le perpetue lampade di fuoco e fiamme dell'Etna questa lampada d'argento alla vigilantissima Vergine Agata per la rivendicata incolumità di Catania. E perché mai mancasse l'olio istitui anche un annuo censo per scrittura, presso il notaro Pappalardo, nel di' 6 Marzo della 8*indizione 1670 "

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Note di Milena Palermo per Obiettivo Catania

https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/

 

 

 

La cancellata

In ferro battuto, fu realizzata nel 1926 su progetto dell'architetto Salvatore Sciuto Patti. Sopra di essa 10 statuine in bronzo opera del catanese Sebastiano Puglisi Caudullo (1798-1842).Sino al 1956 stavano sulla cancellata esterna della Basilica ma dopo un tentativo di trafugamento vennero trasferite qui.

Le statue da sinistra a destra sono: Beato Bernardo Scammacca, San Fortunato, Sant'Euplio, San Berillo, San Pietro, San Paolo, San Leone, Santo Stefano, San Ponziano e il Beato Guglielmo Scammacca. Al centro i simboli agatini: Croce, Corona, Giglio e Palma.

Fonti storiche della diocesi di Catania con informazioni aggiunte di Antonio Trovato

 

Aperta la cancellata, ecco cosa c'è all'interno:

 

 

 

La macchina centrale eretta sull'altare, rappresentante la vergine catanese incoronata dai Ss. Pietro e Paolo; la porta del sacello scavato nel muro di sinistra, adorna di colonnine sostenute da arpie ed a loro volta sostenenti una decorazione nel mezzo della quale è ripetuta la figura della Santa ritta sull'elefante; e nel lato destro il monumento sepolcrale di don Ferrante de Acuña, vicerè di Sicilia, sono le sole sculture della fine del Quattrocento che restino in Catania: opere di squisita fattura, segnatamente le teorie d'angeli che si svolgono nel fregio della macchina centrale.

Dalla porta del sacello, chiusa da una doppia cancellata, i dignitari ecclesiastici penetrano nel ricettacolo, dove sono dipinte a fresco le figure di Giliberto e Goselino, e nella cui più recondita nicchia si custodiscono il Busto e lo Scrigno:

questi sono tratti fuori, e dopo una breve esposizione sull'altare maggiore, sono disposti nel ferculo che aspetta alla porta della chiesa: allora al grave suono del campanone, fuso e rifuso cinque volte dal 1388 al 1614, e pesante più di mille chilogrammi, una folla di devoti insaccati in grandi tuniche bianche e col capo coperto da un berretto di velluto nero, trascina la Bara preceduta dalle candelore per la cerchia delle antiche mura, troppo poca parte delle quali è ancora visibile qua e là, alla Marina, al Santo Carcere e in via del Plebiscito.

tratto da "Catania" di Federico De Roberto - ISTITUTO ITALIANO D'ARTI GRAFICHE 1907

 

 

 

A Cammaredda. L'ingresso del sacello, che conserva le sacre reliquie di Sant'Agata custodite al suo interno. Trattasi di una piccola stanzetta ricavata nella muratura, chiusa da un cancelletto dorato adornato da un meraviglioso portale in marmo dorato, opera dell'artista messinese Antonello Freri il quale lavorò alla decorazione della cappella dal 1495 su commissione di Maria D'Avila alla morte del marito il Viceré Ferdinando d'Acuña.

Tra le mura della chiesa madre dell’arcidiocesi etnea trova collocazione, alla destra del magnifico altare, uno spazio ristretto ma straordinario per i preziosi segreti che custodisce. Questo locale prende il nome di Sacello di Sant’Agata (dal  latino sacellum) e conserva i simboli inequivocabili della Fede etnea, ovvero le sacre reliquie traslate da Costantinopoli nel XII secolo.

Sono tante le leggende alimentate dalla tradizione popolare che hanno accompagnato nei secoli l’esistenza di questo misterioso vano, inaccessibile a molti (sono autorizzati a tenere le chiavi solo il Parroco della Cattedrale, il Cerimoniere e il Sindaco di Catania) e visibile soltanto nei giorni delle festività. Tra queste, la presunta esistenza di fiume sotterraneo, identificato nell’Amenano, che scorrerebbe sotto le fondamenta della Cattedrale e che condurrebbe in un sepolcro segreto preceduto da sette cancelli dove si troverebbero le spoglie della Santa etnea. Ovviamente questa storia è priva di fondamento poiché le membra sono collocate all’interno di reliquiari antropomorfi posti dentro il famoso scrigno in argento sbalzato e il busto ricoperto di gioielli.

La “cammaredda” – questo il nome che i catanesi hanno attribuito al Sacello – comprende degli spazi ampi circa un metro e mezzo ricavati a seguito di alcuni scavi eseguiti nelle mura dell’abside principale della chiesa.

Il Sacello si trova alla sinistra dell’altare dedicato a Sant’Agata ed è accessibile attraverso un porta bronzea decorata con marmi dorati a spese di Maria di Avila, moglie del Viceré Ferdinando De Acuña. Proprio davanti il Sacello è presente il Mausoleo in ricordo del sovrano. L’intera cameretta è decorata con affreschi secolari dall’importante valore artistico.

Sulla parete frontale si trova il dipinto più antico che raffigura una “Pietà” ad opera di un pittore anonimo di Galatina risalente alla fine del 300. Sopra questa immagine sono rappresentati la “Morte del Vicerè Ferdinando de Acuña” e “Madonna col Bambino” (1467-1535) di Antonello de Saliba, discendente del grande maestro Antonello da Messina. Sulla parete di sinistra si può osservare invece un “David”. A destra si trovano invece un “armadio” d’argento che custodisce il busto reliquiario e in basso lo scrigno.

Salvatore Rocca

http://www.vivict.it/sicilia-in-arte/sicilia-arte-sacello-santagata/

 

 

 

Il Sacello e la sua storia (video)

 

LA VERITA'  OLTRE LA CREDENZA POPOLARE

"Sant'Agata, comunque è posta lateralmente nella stanzetta. Non è messa chissà da quale parte. Non c'è neanche alcun fiume sotterraneo che scorre e nessun ascensore: non si scende e non si sale, non c'è dove andare".

Entrando, sulla destra, c'è una specie di armadio e ci sono due ante d'argento molto preziose.  Aperte le ante, c'è il busto reliquiario con Sant'Agata e, sotto, lo scrigno contenente le 7 relique.  Per estrarli, si entra nella stanzetta con un piccolo carrellino che può essere sollevato fino al busto.  Insomma, è un'operazione semplicissima”.

 “Non ci sono neanche passaggi segreti”, Maieli sfata un altro bisbiglio leggendario. “Ci sono ovviamente, però, dei percorsi che portano dalla cattedrale al campanile. È pur sempre una basilica normanna. Allora, non si pensava a delle vie ordinate con scale e corridoi a norma come oggi. Certo, percorrerli dà un po' l'idea del castello, ma non c'è nulla di tetro in tutto ciò.

Ce n'è poi un altro, all'interno della cappella della Madonna che ci conduce alla casa del Vescovo. Era ovvio che fosse escogitato un simile sistema. Non si può pensare che il Vescovo, per entrare nella sua chiesa, debba passare dall'esterno. Quindi, un percorso esiste. Ma, anche in questo caso, non c'è nulla di fantasioso. Ci sono semplicemente delle porte che si chiudono e si aprono come in qualsiasi casa. Dovesse piovere, scusando la battuta, il Vescovo arriverebbe asciutto”.

Sotto il pavimento della Cattedrale, come in ogni chiesa immaginata prima delle vicende napoleoniche, vi è una cripta per seppellire i defunti. Secondo alcune leggende metropolitane, vi sarebbero custoditi dei tesori. Nulla di tutto ciò anche in questo caso: “Ci sono soltanto i corpi di alcuni dei nostri vescovi del passato. Ma è tutto chiuso. Sono zone inaccessibili”.

http://catania.livesicilia.it/2014/02/04/ascensori-passaggi-e-tesori-le-leggende-del-duomo_279436/

 

APPROFONDISCI

 

 

 

 

Ciò spiega, proprio di fronte al sacello di Sant'Agata, la presenza del monumento sepolcrale del Viceré rappresentato in ginocchio in atteggiamento di preghiera.  Nella parte superiore del monumento si legge la seguente epigrafe :

Regnando il grande Ferdinando, Re di Spagna e di Sicilia, Viceré di Sicilia Fernando Acuña, fu qui sepolto.

Questo monumento di pietà gli è stato innalzato, con le lacrime agli occhi ,dalla sua cara sposa,Maria Avila. Egli di costume era Catone, di cuore Cesare. In lui splendette ogni genere di virtù. Abbi sempre dinanzi agli occhi questo esemplare di virtù così sarai approvato in cielo e in terra.Visse 40 anni. Morì il 2 dicembre dell'anno del Signore 1494. Questo è il sepolcro a splendido ricordo del Buon Don Fernando de Acuña Viceré, il quale servì tanto Dio e il suo Re,da esser degno di fama e gloria.

Alla base del monumento un'altra epigrafe recita: Qui giace Don Fernando d'Acuña Viceré di Sicilia, castigliano per patria, figlio del Conte de Buèdia dell'illustre stirpe de Acuña.Di aspetto e di animo regale, cultore di ogni virtù e di lettere ,strenuo nelle armi. Lo piange la schiera degli onesti e dei dotti e quantunque il suo corpo giace sottoterra, la sua pia anima gode tuttavia la gloria dei beati .  foto da http://www.flickriver.com/photos/hen-magonza/sets/72157622859898711/

 

 

L'altare donato alla città da Papa Pio IX nel 1926, nell'ottavo centenario della Traslazione delle Reliquie di Sant'Agata da Costantinopoli a Catania, è sormontato da un magnifico retabolo anch'esso in marmo dorato,decorato nella parte superiore dallo stemma della casata aragonese (stemma dei Re Cattolici), in omaggio ai regnanti del tempo, fiancheggiato da due stemmi cittadini con i rispettivi elefanti. Alla base del retablo 4 angeli con i rispettivi simboli della passione.

Nella parte superiore dell'altare al centro lo stemma dei Re Cattolici e ai lati gli stemmi di Catania con l'elefante, in omaggio ai Regnanti Spagnoli tanto devoti e generosi verso Sant'Agata. ....accanto alla cancellata della Cappella a destra un'epigrafe ricorda la luce perpetua della Cappella voluta dal duca di Alburqueque

Al centro della Cappella pende una grande lampada d'argento posta appena fuori l'abside, è un ex voto che "l'eccellentissimo viceré Francesco Fernandez e Lacueva duca di Alburqueque "pose a nome del Re quale perenne ringraziamento a Sant'Agata per aver salvato Catania dall'eruzione del 1669.E perché mai mancasse l'olio istituì un censo annuo presso il notaio Pappalardo il 6 marzo del 1670 (oggi è illuminata dall'elettricità ).

(Fonti storiche della diocesi di Catania con informazioni aggiunte di Antonio Trovato)

foto da http://www.flickriver.com/photos/hen-magonza/sets/72157622859898711/

 

 

 

 

Il monumento sepolcrale del vescovo Andrea Riggio ricorda la sua elezione nel 1693, anno in cui la città era un ammasso di rovine in seguito al sisma che l'aveva completamente rasa al suolo e i suoi stemmi di riconoscimento.

Andrea Riggio (Palermo, 10 marzo 1660 – Roma, 15 dicembre 1717) è stato un vescovo cattolico italiano. Fu vescovo di Catania dal 1693 al 1717, prelato domestico del Papa e patriarca latino di Costantinopoli. Secondogenito del principe Luigi Riggio Giuffrè, nacque a Palermo il 10 marzo 1660. All'età di trentatré anni, nel 1693, giunse a Catania, città della cui diocesi sarebbe stato il nuovo vescovo.

Proprio durante il suo viaggio verso Roma per ottenere l'investitura vescovile dalle mani del Papa, Catania e la sua intera diocesi fu colpita da uno storico tragico evento, il terremoto dell'11 gennaio 1693, che rase al suolo la città mietendo circa sedicimila vittime.

Andrea Riggio fu nominato vescovo da papa Innocenzo XII il 20 aprile 1693, e non tardò a fare rientro nella sua Catania, che, stravolta dal sisma, piangeva ancora le sue innumerevoli vittime. Da nuovo vescovo egli si dovette rimboccare le maniche non solo per la cura delle anime, tragicamente provate in quel triste

Si adoperò così per la ricostruzione della Cattedrale, del Seminario, del Palazzo Vescovile, di una decina di chiese, cercando di riassestare il bilancio delle parrocchie e dei monasteri della diocesi. Fu così che, nell'agosto del 1712, inaugurò e benedisse la Cattedrale, per la costruzione della quale aveva anche investito del proprio denaro.

Il vescovo Riggio dovette però combattere anche contro la diffidenza del Palazzo Senatorio e del Tribunale della Monarchia, che nell'intraprendenza del capo della chiesa catanese videro un ostacolo ai loro progetti, in modo particolare sul tema della libertà e dell'immunità ecclesiastiche.

Tra il Palazzo Senatorio e il Vescovado si svilupparono così degli attriti, che crebbero nel corso di alcuni eventi. Nel 1699, infatti, un reo confesso di omicidio, mentre veniva portato al patibolo, incrociò sulla strada il vescovo. In questi casi era usanza a quell'epoca che il popolo potesse chiedere la grazia al vescovo, e così avvenne. Il vescovo Riggio concesse la grazia, ma i soldati riportarono il condannato nelle prigioni, senza metterlo in libertà. Questo atto di prepotenza fu giudicato dal Riggio come un affronto, e organizzando una sorta di sommossa, riuscì a farsi consegnare il prigioniero e a liberarlo. Un altro episodio che suscitò le ire della Corte di Spagna, fu quello che vide come movente la costruzione nottetempo del famoso Arco di san Benedetto, in Via dei Crociferi, per collegare le due ali del monastero delle benedettine, separate dall'asse viario di via Crociferi. Nonostante il progetto della costruzione di questo arco fosse stato bandito dai Giudici del Real Patrimonio, il vescovo Riggio diede il via all'opera, minacciando di scomunica chiunque l'avesse contrastato.

Ma l'episodio decisivo fu quello che avvenne nel 1713, quando il Viceré mandò un drappello di soldati a Catania per costringere il vescovo Andrea Riggio a lasciare la città, colpevole di aver aiutato nella fuga alcuni briganti che si erano rifugiati in una chiesetta privata. Il vescovo, allora, lasciò Catania per raggiungere Siracusa, scomunicando il capitano, il tenente e i soldati, e lasciando l'interdetto sulla Cattedrale e sulla diocesi di Catania. Il vescovo Riggio trascorse gli ultimi anni della sua vita a Roma, dove fu nominato, nel frattempo, prelato domestico del Pontefice e Patriarca latino di Costantinopoli. Morì con in cuore il desiderio di tornare nella sua Catania il 15 dicembre 1717, a soli 57 anni, colpito da un'emorragia cerebrale. La sua salma fu trasferita a Catania nel 1727, accolta da una folla di cittadini riconoscenti e consapevoli della grave perdita che la città aveva subito e dei torti che il vescovo Andrea Riggio aveva dovuto subire. Le spoglie mortali del vescovo furono inumate nella cappella di sant'Agata, all'interno della Cattedrale.

(fonte Wikipedia)

 

 

 

 Dalla parte opposta, il monumento sepolcrale del Cardinale Camillo Astalli è arricchito da un'epigrafe che ricorda come egli fu eletto per benignita' di Filippo IV Re di Spagna vescovo di Catania e protettore dei Regni di Napoli e Sicilia nel 1661.Morì nel 1663 a soli 44 anni .

Camillo Astalli (Sambuci, 21 ottobre 1616 – Catania, 21 dicembre 1663) è stato un cardinale e vescovo cattolico italiano.

Appartenente alla nobile famiglia Astalli, ai tempi ormai economicamente decaduta, studiò al Collegio Romano e si laureò in diritto civile ed ecclesiastico alla Sapienza, il 2 aprile 1640, iniziando la carriera di avvocato concistoriale. In seguito al matrimonio del fratello Tiberio con Caterina Maidalchini, nipote di Olimpia Maidalchini, potente cognata di Innocenzo X Pamphilj iniziò la sua ascesa nella gerarchia ecclesiastica. Sotto la protezione di Donna Olimpia l'Astalli divenne assistente del Segretario di Stato, cardinale Giovanni Giacomo Panciroli, il quale lo propose alla carica di cardinal nepote, che era rimasta vacante per la rinunzia alla porpora di Camillo Pamphilj.

Papa Innocenzo X lo creò cardinale prete nel concistoro segreto del 19 settembre 1650 col titolo di San Pietro in Montorio. Addirittura, lo adottò nella famiglia Pamphilj, concedendogli l'uso del nome e dello stemma, e gli fece dono di una notevole rendita, del palazzo Pamphili in piazza Navona e della villa fuori Porta San Pancrazio.

Questo inaspettata generosità del pontefice, gli mise però contro la famiglia Pamphilj e in particolare Donna Olimpia, tanto che, complice, una serie di scelte politiche sbagliate, nonché una certa inettitudine a ricoprire incarichi di alto rilievo nella Curia romana, ben presto cadde in disgrazia presso la Corte papale, cosicché il 3 febbraio 1654 fu allontanato da Roma e mandato a reggere la Diocesi di Ferrara. L'Astalli però non accettò tale incarico e la cosa fece talmente infuriare Innocenzo X che gli revocò tutti i privilegi, annullando addirittura la sua adozione nella famiglia Pamphilj (1655) e lo esiliò a Sambuci. Alla morte del papa, in segno di disprezzo, l'Astalli si presentò al funerale senza i paramenti a lutto.

Il pontefice successivo, Alessandro VII, lo riammise alla corte papale e gli restituì parte dei suoi benefici. Su indicazione di Filippo IV il 14 luglio 1661 fu nominato vescovo di Catania, dove morì il 21 dicembre 1663.

Grazie al suo interessamento il pontefice Alessandro VII autorizzò la celebrazione con rito doppio dell'ufficio di Sant'Agata in tutta la Sicilia.

(fonte Wikipedia)

 

 

Demolita dai Normanni la torre bizantina di San Giorgio (primo protettore di Catania) nel vecchio abside del Duomo, di fianco la cappella di S. Agata e sul transetto fu eretta la cappella della Madonna (della Vergine o del Rosario), luogo in cui vengono conservati i sarcofaghi dei Reali aragonesi in Sicilia.

 

 

 

 

 

La foto del 10 marzo 1878 raffigura l'interno della cattedrale, parata a lutto, con al centro un catafalco, in occasione del trigesimo di Papa PIO IX morto il 7 febbraio 1878, sormontato dallo scrigno di Sant'Agata.

 

 

 

 

7 Il salone Bonadies è una sala quadrata con pochi arredi ricavata dalla zona originale e primaria della cattedrale normanna e intitolata al

 vescovo Michelangelo Bonadies che qui convocò un sinodo diocesano nel 1668 durato fino al XX secolo.

La sala è pressoché vuota ed adornata solo di pochi oggetti sacri legati al culto di Sant'Agata e una mappa antica della diocesi di Catania e pochissimi arredi settecenteschi. Viene aperta nella giornata dedicata alla notte dei musei.

Entrare in questa sala aperta al pubblico solo in rarissime occasioni significa avere l'esatta percezione della vera Cattedrale di Catania distrutta purtroppo dal terremoto del 1693 e successivamente danneggiata dai bombardamenti del 1943.

Attiguo al salone un terrazzo su mura perimetrali del transetto e delle absidi caratterizzati da feritoie e camminamenti di ronda, visibili all'esterno solo dal cortile interno dell'adiacente Palazzo Arcivescovile. Accessibile dal transetto della navata destra.

(Milena Palermo)

anima in legno rivestita da lamina in argento, proveniente dal sacello di Sant'Agata

(Francesco e Antonio Martinez, 1732)

 

Si configura, per un aspetto molto cospicuo, quale museo della Cattedrale e della sede vescovile medesima, poiché ne custodisce prioritariamente tutto l’arredo mobile storico. Passibile di ulteriori ampliamenti è invece l’acquisizione di arredi e opere che possano attestare in modo compiuto le vicende storiche, culturali e religiose del vasto territorio della diocesi. Le opere di provenienza diocesana acquisite al museo attestano prevalentemente vicende e momenti della vita di alcune chiese, regolari e secolari, del territorio. Problematiche di conservaziontutela, allestimento, ma anche di congruenza artistica, hanno imposto una suddivisione tipologica per categorie (argenti, paramenti, sculture, dipinti etc.) che presentano esigenze espositive analoghe ma al tempo stesso problematiche artistiche, funzionali e liturgiche affini fra loro.

 

 

In questo criterio generale sono state inserite alcune eccezioni, legate o all’aspetto degli ambienti o alla inamovibilità delle opere. Inamovibile, per evidenti motivi funzionali risulta ad esempio, il fercolo argenteo della Santa Patrona, che si trova in un ambiente e ad una quota diversi dalla sala che custodisce il gruppo di opere a lei dedicate.
Un attento restauro condotto nel rispetto delle caratteristiche morfologiche e tipologiche del fabbricato e della destinazione di questo a sede museale, hanno permesso di dare il giusto risalto e la giusta collocazione alle opere d’arte che in esso sono raccolte e custodite.
Il museo risulta suddiviso in due sezioni: la prima, dedicata agli arredi liturgici della Cattedrale, si snoda nelle sale del secondo piano e si conclude al piano successivo nella cappella; la seconda, che accoglie gli arredi di altre chiese della città e della diocesi, si svolge nelle sale del terzo e del quarto piano. Il percorso si conclude infine nelle terrazze panoramiche dalle quali è possibile ammirare dall’alto la città barocca.

 

 

L'Archivio Storico Diocesano di Catania conserva una preziosa e abbondante documentazione, prevalentemente cartacea, relativa ai secoli XIV-XX e consultabile fino all'episcopato Ferrais (1930). Le antiche carte occupano al presente uno spazio complessivo di circa 1000 metri lineari di scaffalatura. Dalla rifondazione normanna (1092) il vescovo ha esercitato piena giurisdizione non solo sulle comunità che al presente costituiscono la diocesi ma anche su parte dei comuni che, dai primi decenni dell'Ottocento, formano le diocesi di Acireale, Caltagirone, Nicosia, Piazza Armerina.

Il materiale documentario dell'Archivio, pertanto, nell'insieme permette di ricostruire eventi socio-religiosi e vissuto delle popolazioni di una larga fascia del territorio centro-orientale dell'isola e riveste per la storia della città di Catania un ruolo fondamentale almeno per due ragioni fondamentali. La locale prestigiosa Università degli Studi, avviatasi in seguito alla bolla di Eugenio IV del 1444, che nel vescovo ebbe il Gran Cancelliere fino alla fine del sec. XVIII.

 

dal terrazzo del museo

 

L'altra ragione è dovuta alla irreparabile perdita dell'Archivio Storico della città, andato distrutto nell'incendio del Palazzo municipale verificatosi nel dicembre 1944. Nell'Archivio sono concentrati pure i Registri canonici delle chiese sacramentali della città, in conseguenza della prerogativa del vescovo unico parroco della città e della diocesi.

È possibile, in tal modo, una consultazione unitaria dell'anagrafe ecclesiastica cittadina, disponibile dalla seconda metà del sec. XVI ai primi decenni di questo secolo, e sostitutiva dell'anagrafe civile istituita nei primi decenni del sec. XIX. In questi anni se ne è iniziata l'acquisizione su supporto ottico informatizzato, CD-ROM, dai precedenti microfilm limitatamente al centro storico della città. Al momento i dati sono fruibili agli studiosi mediante 2 terminali per la consultazione in sala studio.

In tal modo, insieme ad una maggiore tutela del documento, potrà agevolarsi la ricerca genealogica, sempre più richiesta in questi ultimi anni. E' stata al contempo ultimata la stesura dell'inventario dell'Archivio della Mensa Vescovile, ricco di documentazione per la storia economica del territorio diocesano. Ad essa appartenevano amplissimi possedimenti assegnatigli dai Normanni, dalla pianura di Catania ai boschi e alle nevi dell'Etna.

Sono altresì consultabili presso la sala studio di questo Archivio Storico Diocesano, l'Archivio del Capitolo della Cattedrale di Catania (consultabile solo per la parte inventariata) l'Archivio della Collegiata S. Maria dell'Elemosina di Catania e l'Archivio della Congregazione dei Santi Pietro e Paolo di Catania.

 

 

 

 

Piazza Duomo, Via Etnea, 8 - 95124 Catania - Tel. 095 281635

Orari di apertura: Da Lunedì a Venerdì ore 9.00 - 14.00

Martedì e Giovedì ore 15.00 - 18.00  Sabato ore 9.00 - 13.00 - Domenica e Festivi su prenotazione

 

 

fotografie di Salvo Puccio

il piano terreno del Museo, dove si conserva il fercolo, che all'alba del 4 febbraio viene fatto uscire in piazza Duomo per

accogliere il busto e lo scrigno di Sant'Agata.

 

 

Il termine “fercolo” deriva dal latino “Fero Cultum”: portare in  processione l’immagine degli Dei per il culto, usanza risalente già al tempo degli antichi greci.

La ragione che diede origine al fercolo fu quella di rendere agevole il trasporto del busto reliquiario e dello scrigno di Sant’Agata per le vie della città, durante la festa, ma anche una esigenza di gusto, cioè il voler inquadrare in una cornice armonica le più antiche e preziose opere della città di Catania.

Secondo una “Cronaca Siciliana” del XVI secolo del notaio Antonio Merlino, le reliquie di Sant’Agata venivano portate su una bara in legno dorato, a spalla dagli ignudi, cioè devoti scalzi, la processione si avviava dalla Porta di Ferro, snodandosi a sera per la Porta dei Canali, passava dal Castello Ursino e vi entrava, nel solo giro esterno delle antiche mura. Nel 1514 cominciò la costruzione del nuovo fercolo in puro stile rinascimentale (m. 2,75 x 1,46) e decorazioni in arabesco, poiché il precedente era andato distrutto e fu affidata a Vincenzo Archifel orafo e maestro argentiere napoletano (a Catania dal 1486 al 1533), il quale ideò questo stupendo lavoro artistico, realizzato a spese del vescovo di Catania Nicola Maria Caracciolo, ma completato poi dai catanesi Paolo, Giuseppe e Giacomo Aversa nel 1638, che vi inserirono le 6 colonne di finissimo intaglio corinzio, mediante fusione di due candelabri d’argento purissimo, che fanno d’appoggio alla copertura argentea a scaglie ricamate da foglie di acanto e fiorami ed ornata con le statue in argento massiccio dei 12 apostoli, alte 1,5 palmi, fatte realizzare a sue spese dal vescovo Giovanni Corrionero, per un peso complessivo del solo argento di libbre 711, once 10 e quarti 3, dove una libbra romana corrispondeva a 453,6 gr., mentre una oncia è 1/16 d’oncia. I festoni mobili nel 1743 furono raddoppiati, mentre i vasi portafiori allineati alla base furono aggiunti man mano nei secoli ed era portato a spalle dopo ci fu la necessità di poggiare il fercolo sopra dei zamponi in legno e procedeva a strappo, in quanto non aveva ruote, bensì mezzelune in ferro che strisciavano sul lastricato, tuttavia, l’intensità della fede era tale da essere messa duramente alla prova, soprattutto nelle salite. Nel 1515 venne nominato vescovo Gaspare Pau, mentre il 4 febbraio 1519, sotto il regno di Carlo V, il nuovo fercolo, nato dall’amore dei catanesi per Sant’Agata e dalla deputazione dipendente dal municipio, composta dal Priore e dal Tesoriere della Cattedrale, dal Patrizio (Sindaco), dai 4 Giurati (assessori), fu inaugurato e per la prima volta uscì il 4 febbraio 1519, mentre il vecchio fercolo in legno dorato scolpito nel 1554 fu donato alla città di Troina per servirsene nel giro della statua di S. Silvestro, monaco di San Michele, devotissimo in vita di Sant’Agata .

Nel 1610 il Patriarca mons. Bonaventura Secusio, Vescovo di Catania, volle decorarlo, a proprie spese, con 20 lampade di finissimo argento, mentre nel 1638 il senato di Catania vi volle aggiungere, a spese di alcuni devoti, 22 lame di argento, scolpite a bassorilievo con il martirio e la traslazione di Sant’Agata, col nome del donatore in ciascuna di esse.

Di questo fercolo si trovano due descrizioni, l’una fatta nel 1641, riguardante le 22 piastre incise a bassorilievo, l’altra dal Duca di Carcaci nel  1847, con la misura di tutti i pezzi componenti l’artistico capolavoro. A giudizio di tutti gli storici e dei più valenti incisori, era ritenuto come un monumento sacro di gran pregio, il cui lavoro d’intaglio vinceva di gran lunga quello del purissimo argento in parte dorato.

Col terremoto del 1693 l’assetto urbanistico della città mutò radicalmente, rimanendo pochissimo della vecchia città, per cui, il fercolo tracciò le linee per la ricostruzione, creando così un comodo percorso per la processione.Nel 1712 fu stabilita la suddivisione dei giri (interno ed esterno) il 4 e il 5 febbraio, toccando tutti i quartieri della città, tuttavia, nel tempo i giri subirono delle interruzioni, per via di terremoti ed eruzioni: le lave del 1669 avevano modificato la riva del mare e la topografia della città, per cui, sulle lave che lambirono Castello Ursino fu tracciata la strada del Gallazzo, divenuta poi via Della Vittoria, quindi, via Plebiscito.Nel mese di febbraio del 1735 Guglielmo Scammacca, con l’intento di far pulire e biancheggiare il fercolo della Santa Patrona, se lo fece portare a casa propria, affidandolo a due argentieri Ottavio Manduca e Bartolomeo Bartolotta che, in sua presenza, effettuarono la pesatura di tutto l’argento di cui esso si componeva: in tutto cantara 2 (1 cantaro: 65 kg.) e 84 rotoli (rotolo misura araba Regno delle due Sicilie (453,60 gr.), ancora in uso a Malta.

Ecco dunque che la “Vara” di sant’Agata, uno stupendo fercolo firmato Gianbattista Vaccarini, tutto e solo di pesantissimo argento, decorato con delfini in rilievo (simbolo della città di mare), illuminato da una pioggia di lampade dal sapore orientale, issato su una slitta quasi magica (inventata dal suo artefice per meglio scivolare sulle “basole” di pietra lavica) che si alza, gira su se stessa e si abbassa per abbordare angoli e crocicchi stradali. Eccolo dunque andarsene in giro per tutta la notte e oltre, nel mattino del giorno dopo, assolutamente indifferente ai tempi, alle regole ed ai riti della liturgia, spinto e sospinto da picciotti deliranti intorno al mezzo busto nudo della santa, completo delle mammelle che il centurione Quinziano le aveva fatto strappare per costringerla alle nozze.( Antonio Merlino XVI)

Nell'aprile del 1943 mentre il conflitto mondiale era in pieno svolgimento una bomba cadde nei pressi di porta Uzeda, risparmiando la cattedrale però distrusse tutto il fercolo.

Dal FB Sant’Agata propizia stella

 

 

 

 

 

Le terme Achilliane sono delle strutture termali di Catania datate al IV-V secolo e situate sotto Piazza del Duomo. Vi si accede mediante un corridoio con volta a botte ricavato nell'intercapedine tra le strutture romane e le fondamenta della Cattedrale, il cui accesso è costituito da una breve gradinata di epoche diverse posta a sinistra della facciata. Il nome dell'impianto è dedotto da un'iscrizione su lastra di marmo lunense ridottasi in sei frammenti principali molto lacunosi, risalente probabilmente alla prima metà del V secolo, oggi esposta all'interno del Museo civico al Castello Ursino.

 L'epoca di fondazione dell'edificio è ancora discussa, ma si ritiene probabile che esistesse già nel IV secolo: l'esistenza dell'edificio in epoca costantiniana è ipotizzata in base al reimpiego all'interno della cattedrale di un gruppo di capitelli del periodo, che potrebbero provenire da questo edificio. Sepolti dai terremoti del 4 febbraio 1169 e dell'11 gennaio 1693, i resti - già noti in antico - furono dapprima liberati dal principe di Biscari. Nel 1856, durante la realizzazione della galleria che passa sotto al Seminario dei Chierici (oggi sede della Pescheria) si trovarono dei ruderi che pure furono attribuiti allo stesso edificio, pertinenti forse ad un calidarium, in quanto vi erano presenti tracce di un pavimento ad ipocausto. La struttura doveva estendersi fino alla via Garibaldi, dove si trovarono altri avanzi. Secondo la ricostruzione planimetrica ottocentesca del complesso, la parte attualmente visitabile comprendeva probabilmente solo una parte del frigidarium. Dal 1974 al 1994 furono chiuse perché considerate insicure. Furono riaperte dopo un restauro del comune (1997) e nuovamente richiuse per problemi di allagamento. Dopo i lavori di pavimentazione della piazza del Duomo (2004-2006) - nel corso dei quali si è ritenuto doveroso coprire l'estradosso della copertura (che si trova alla stessa quota della piazza) con una poderosa piastra d'acciaio per rinforzare l'impiantito della piazza stessa - l'edificio termale è stato nuovamente riaperto al pubblico.

Il tempio è stato più volte distrutto e riedificato dopo i terremoti e le eruzioni vulcaniche che si sono susseguite nel tempo. La prima edificazione risale al periodo 1078-1093 e venne realizzata sulle rovine delle terme Achilliane risalenti ai Romani, su iniziativa del conte Ruggero, acquisendo tutte le caratteristiche di ecclesia munita (cioè fortificata). Già nel 1169, un terremoto catastrofico la demolì quasi completamente, lasciando intatta solo la parte absidale. 

Nel 1194 un incendio creò notevoli danni ed infine nel 1693 il terremoto che colpì il Val di Noto la distrusse quasi completamente. I resti normanni consistono nel corpo dell'alto transetto, due torrioni mozzi (forse coevi al primitivo impianto) e le tre absidi semicircolari, le quali, visitabili dal cortile dell'Arcivescovado, sono composte da grossi blocchi di pietra lavica, gran parte dei quali è stata recuperata da edifici romani di età imperiale. Porzioni di muro d'ambito e il muro di prospetto sono stati inglobati dalla ricostruzione settecentesca.

Il monumento fu costruito nel II secolo, la data precisa è incerta, ma il tipo di architettura fa propendere per l'epoca tra gli imperatori Adriano e Antonino Pio. Fu raggiunto dalla lava del 252-253 ma non distrutto. Nel V secolo Teodorico re degli Ostrogoti lo utilizzò quale cava di materiale da costruzione per la edificazione di edifici in muratura e, successivamente nell'XI secolo, anche Ruggero II di Sicilia ne trasse ulteriori strutture e materiali per la costruzione della Cattedrale di Sant'Agata, sulle cui absidi si riconoscono ancora le sue pietre perfettamente tagliate usate, forse, anche nel Castello Ursino in età federiciana. Nel XIII secolo, secondo la tradizione, furono adoperati i suoi vomitoria (gli ingressi) da parte degli Angioini per accedere nella città durante la cosiddetta Guerra dei Vespri.

 

 

Nel secolo successivo gli ingressi furono murati e il rudere venne inglobato nella rete di fortificazioni Aragonese (1302). Una messa in sicurezza del rudere si ebbe con il piano di costruzione delle mura di città nel 1550; venne abbattuto il primo e il secondo piano e con le sue stesse macerie avvenne il riempimento delle gallerie. Dopo il terremoto del 1693, fu definitivamente sepolto per poi essere trasformato in piazza d'armi. In seguito vennero costruite sopra la copertura nuove case e la Chiesa di San Biagio (detta 'A Carcaredda, cioè la fornace).

http://it.wikipedia.org/wiki/Piazza_del_Duomo_(Catania

 

 

La parte di edificio oggi visitabile è costituita da una sala centrale a pianta rettangolare con quattro pilastri su cui si impostano le volte. Al centro di questo ambiente si trova una vasca originariamente rivestita in marmo, così come di marmo sono alcune lastre, in frammenti, che dovevano costituire la pavimentazione del vano.

 

 

 

 

 

 

 

 

Piazza Duomo, Via Etnea, 8 - 95124 Catania - Tel. 095 281635

Orari di apertura: Da Lunedì a Venerdì ore 9.00 - 14.00

Martedì e Giovedì ore 15.00 - 18.00  Sabato ore 9.00 - 13.00 - Domenica e Festivi su prenotazione

 

 

 

Il Palazzo vescovile, fondato insieme alla Cattedrale nell'XI secolo, estese le sue dimensioni nel XVI secolo con la realizzazione dei bastioni a difesa della Marina. Il Palazzo comprende il Seminario dei Chierici, il Vescovato, la Porta Uzeda (1672), la Casa del Fercolo e il recente Museo dell'Arcivescovato, da cui è possibile vedere scorrere il fiume Amenano da un oblò sul pavimento. Un tempo comprendeva anche il trecentesco campanile di Simone del Pozzo, il più alto campanile al suo tempo, con i suoi quasi 100 metri, crollando durante il sisma del 1693 cadde sulle navate della Cattedrale portandole con sé.

Il Vescovo

S.E. Mons. Salvatore Gristina è nato a Sciara (PA) il 23 giugno 1946, ha compiuto gli studi presso il Seminario Arcivescovile di Palermo. Ha conseguito la Laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Palermo e la Licenza in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Lateranense.

È sacerdote dal 17 maggio 1970 ed è stato Vicario Parrocchiale ed insegnante nelle Scuole Statali dal 1970 al 1974.

Ha frequentato la Pontificia Accademia Ecclesiastica (1974-1976), conseguendo il relativo diploma in Scienze diplomatiche, e successivamente ha prestato servizio - in prosieguo di tempo - come Addetto di Nunziatura, Segretario di Nunziatura ed Uditore di Nunziatura presso le Rappresentanze Pontificie in Costa d’Avorio (1976-1980), Trinidad e Tobago (1980-1983) e Brasile (fino al 1984).

Rientrato nell’Arcidiocesi di Palermo, vi è stato Parroco, dal 1984 al 1988, prima di essere nominato, nel 1988, Vicario Generale dell’Arcidiocesi e Moderatore della Curia Arcivescovile. 

Il 16 luglio 1992, è stato eletto Vescovo titolare di Musti di Numidia e Ausiliare dell’Arcidiocesi di Palermo, dove è stato il primo collaboratore dell’Em.mo Card. Salvatore Pappalardo e, dal 1996, dell’Em.mo Card. Salvatore De Giorgi.

Riceve l'Ordinazione episcopale nella Cattedrale di Palermo il 3 ottobre 1992.

Il 23 gennaio 1999, Mons. Gristina venne trasferito alla sede vescovile di Acireale.

Il 7 giugno 2002 è stato promosso Arcivescovo di Catania, dove ha iniziato il suo ministero pastorale il 6 agosto 2002, con la presa di possesso dell'Arcidiocesi.

 

 

 

Storia dell’Arcidiocesi di Catania

 La storia del cristianesimo a Catania ci rimanda già alla civiltà degli antichi romani; è durante le persecuzioni degli imperatori Decio e Diocleziano si compie il sacrificio della patrona di Catania e dell’Arcidiocesi, la martire Agata nel III secolo e in seguito agli inizi del IV secolo l’esempio del diacono Euplo.

Recenti studi hanno dichiarato priva di fondamento l’antica tradizione locale, che sostiene primo vescovo di Catania San Berillo di Antiochia, ordinato dall’Apostolo Pietro e venuto nel capoluogo etneo nel ’42.

A cominciare del V secolo la Diocesi di Catania è storicamente documentata; dopo la dominazione saracena, è stata rifondata dal Papa Urbano II, con bolla del 9 marzo 1092. Nel XIX secolo, dato il vasto territorio, si pensò bene alla creazione delle nuove Diocesi di Caltagirone, Piazza Armerina, Nicosia ed Acireale.

In seguito alla bolla di Pio IX “Romana Ecclesia” del 4 settembre 1859, entrata in vigore il 17 aprile 1860, la Chiesa di Catania veniva elevata a sede Arcivescovile, immediatamente soggetta alla Santa Sede.

A causa di incertezze storiche non si hanno i nomi dei vescovi dei primi secoli, e di conseguenza anche l’esatto numero dei pastori che hanno governato la Diocesi. Il 25 novembre 2000, la chiesa catanese è stata elevata ad Arcidiocesi Metropolitana avendo come suffraganee le Diocesi di Acireale e Caltagirone.

 

   Gli Arcivescovi

San Berillo †[12]

San Severo (o Everio) ? †[13]

San Serapione † (IV secolo ?)[14]

San Severino ? †[13][15]

Fortunato † (menzionato nel 515)

Elpidio I † (559 - ?)

Elpidio II ? †[16]

Leone I † (prima del 591 - dopo il 604)

Iovino ? †[17]

Magno † (VI - VII secolo)[18]

Giovanni † (VII secolo)[18][19]

Costantino I † (seconda metà del VII secolo)[18]

Giorgio † (menzionato nel 679)

Giuliano † (menzionato nel 680)

San Giacomo ? †[20]

San Sabino ? †[21]

San Leone II ? †[22]

Teodoro † (menzionato nel 787)

San Severo † (802 - 814)[23]

Eutimio † (menzionato nell'869/870)

Teodoro II † (IX secolo)[24]

Costantino II † (IX secolo)[18]

Antonio † (IX secolo)[18]

Leone III † (menzionato nel 997)

Sede soppressa

Angerio, O.S.B. † (9 marzo 1092 - 1124)

Maurizio, O.S.B. † (1125 - 1131)

Giovanni † (1141 - 1145) (vescovo eletto)

Iveno † (1145 - 1155)[25]

Bernardo † (1156 - 1162) (vescovo eletto)

Guglielmo di Blois † (1167) (vescovo eletto)

Giovanni Aiello † (1167 - febbraio 1169 deceduto)

Roberto, O.S.B. † (febbraio 1170 - dopo novembre 1179) (vescovo eletto)[26]

Anonimo † (menzionato il 4 febbraio 1183)[27]

Simone, O.S.B. † (prima di aprile 1189 - dopo settembre 1191)

Leone IV † (menzionato nel 1194)

Ruggero Orbus , O.S.B.† (prima di aprile 1195 - dopo agosto 1206 deceduto)

Gualtiero di Pagliara (da Palearia) † (19 dicembre 1207 - dopo novembre 1229 deceduto)

Heinrich von Bilversheim † (1231 - dopo maggio 1232 dimesso)[28]

Oddo Capocci † (prima del 7 dicembre 1254 - dopo il 4 luglio 1256 dimesso) (vescovo eletto)[29]

Sede vacante (ca. 1232-1266)

Angelo Boccamazza † (prima del 7 luglio 1257 - dopo il 31 marzo 1289)[30]

Gentile Orsini, O.P. † (1296 - 1303 deceduto)

Leonardo de Flisco (Fieschi) † (10 gennaio 1304 - 21 marzo 1331 deceduto)

Nicola † (13 marzo 1332 - ? deceduto)[31]

Nicola de Grelis, O.S.B. † (24 novembre 1339 - ? deceduto)

Geraldo Oddone, O.F.M. † (27 novembre 1342 - 1348 deceduto) (amministratore apostolico)[32]

Juan de Luna † (30 maggio 1348 - dopo gennaio 1355 deceduto)

 

 

Marziale, O.S.B. † (4 dicembre 1355 - 1375 deceduto)

Elie de Vaudron † (14 maggio 1376 - 1378 deposto)

Simone del Pozzo, O.P. † (16 dicembre 1378 - circa 1398 deceduto)

Elie de Vaudron † (1378 - 1388 deceduto) (antivescovo)

Pietro de Alagona, O.F.M. † (5 agosto 1388 - 1396) (antivescovo)

Pietro Serra † (1396 - 1397 dimesso) (antivescovo)

Roberto † (circa 1398 - circa 1408)[25]

Mauro Calì, O.F.M. † (1408 - 1411 deposto)

Andrea de Pace † (1409 - 1411) (antivescovo)

Tommaso de Asmari, O.S.B. † (5 febbraio 1411 - 1415) (antivescovo)

Mauro Calì, O.F.M. † (1416 - 1418) (antivescovo)

Giovanni de Podionucis (Jean de Puinoix), O.P. † (28 febbraio 1418 - 1431 deceduto)

Giovanni Pesce, O.F.M. † (21 novembre 1431 - 3 febbraio 1447 nominato vescovo titolare di Filippopoli)

Giovanni de Primis, O.S.B. † (3 febbraio 1447 - 21 gennaio 1449 deceduto)

Arias de Avalos † (14 febbraio 1449 - 1450 deceduto)

Guglielmo Bellomo † (2 ottobre 1450 - 1472 deceduto)

Giuliano della Rovere † (13 gennaio 1473 - 23 maggio 1474 nominato arcivescovo di Avignone, poi eletto papa con il nome di Giulio II)

Francesco Campolo † (1474 - 1475 deceduto) (vescovo eletto)

Giovanni Gatto † (18 agosto 1475 - 8 febbraio 1479 nominato vescovo di Cefalù)

Bernardo Margarit † (8 febbraio 1479 - 1486 deceduto)

Alfonso Carillo de Albornoz † (8 novembre 1486 - 27 giugno 1496 nominato vescovo di Ávila)[33]

Giovanni Daza (de Hach, de Aza) † (27 giugno 1496 - 14 febbraio 1498 nominato vescovo di Oviedo)

Francesco De Sprats (des Prades) † (14 febbraio 1498 - 9 febbraio 1500 nominato vescovo di Astorga)[34]

Diego Ramírez de Guzmán † (26 giugno 1500 - 23 ottobre 1508 deceduto)

Jaime de Conchillos, O. de M. † (25 febbraio 1509 - 1º ottobre 1512 nominato vescovo di Lérida)

Gaspare Ponz † (4 aprile 1513 - 14 ottobre 1520 deceduto)

Matthäus Schiner † (1º novembre 1520 - 30 settembre 1522 deceduto) (amministratore apostolico)

Pompeo Colonna † (27 febbraio 1523 - 18 gennaio 1524 dimesso) (amministratore apostolico)

Marino Ascanio Caracciolo † (18 gennaio 1524 - 24 luglio 1524 dimesso)

Scipione Caracciolo † (24 luglio 1524 - 28 ottobre 1529 deceduto)

Marino Ascanio Caracciolo † (29 novembre 1529 - 9 marzo 1530 dimesso) (per la seconda volta)

Luigi (Ludovico) Caracciolo † (9 marzo 1530 - 1º settembre 1536 deceduto)

Marino Ascanio Caracciolo † (1536 - 8 gennaio 1537 dimesso) (per la terza volta)

 

 

Nicola Maria Caracciolo † (8 gennaio 1537 - 15 maggio 1567 deceduto)

Antonio Faraone † (9 febbraio 1569 - 29 luglio 1573 deceduto)

Giovanni de Orosco Arzés † (11 agosto 1574 - 28 marzo 1576 deceduto)

Vincenzo Cutelli † (11 settembre 1577 - 1589 dimesso)

Giovanni Corrionero † (2 marzo 1589 - 9 luglio 1592 deceduto)

Sede vacante (1592-1595)

Giovanni Domenico o Giandomenico Rebiba † (11 dicembre 1595 - 16 febbraio 1604 deceduto)

Giovanni Ruiz de Villoslada † (5 dicembre 1605 - 1607 deceduto)

Bonaventura Secusio, O.F.M. † (10 giugno 1609 - marzo 1618 deceduto)

Giovanni Torres de Osorio † (19 ottobre 1619 - 29 maggio 1624 nominato vescovo di Oviedo)

Innocenzo Massimo † (1º luglio 1624 - 1633 deceduto)

Ottavio Branciforte † (2 marzo 1638 - 14 giugno 1646 deceduto)[35]

Marco Antonio Gussio † (22 agosto 1650 - luglio 1660 deceduto)

Camillo Astalli-Pamphilj † (4 luglio 1661 - 21 dicembre 1663 deceduto)

Michelangelo Bonadies † (22 aprile 1665 - 27 agosto 1686 deceduto)

Francesco Antonio Carafa † (24 novembre 1687 - 26 agosto 1692 deceduto)

Andrea Riggio † (9 marzo 1693 - 15 dicembre 1717 deceduto)[36]

Sede vacante (1717-1721)

Álvaro Cienfuegos, S.J. † (20 gennaio 1721 - 21 febbraio 1725 nominato arcivescovo di Monreale)

Alessandro Burgos † (20 febbraio 1726 - 20 luglio 1726 deceduto)

Raimondo Rubí, O.Cart. † (26 novembre 1727 - 20 gennaio 1729 deceduto)

Pietro Galletti † (28 novembre 1729 - 6 aprile 1757 deceduto)

Salvatore Ventimiglia, C.O. † (19 dicembre 1757 - 11 dicembre 1771 dimesso)

Corrado Maria Deodato de Moncada † (10 maggio 1773 - 23 ottobre 1813 deceduto)

Sede vacante (1813-1816)

Gabriele Maria Gravina † (23 settembre 1816 - 24 novembre 1817 nominato arcivescovo titolare di Melitene)

Salvatore Ferro Berardi † (16 marzo 1818 - 15 dicembre 1819 deceduto)

Sede vacante (1819-1823)

Domenico Orlando, O.F.M.Conv. † (24 novembre 1823 - 21 aprile 1839 deceduto)

Felice Regano † (11 luglio 1839 - 30 marzo 1861 deceduto)

Sede vacante (1861-1867)

Beato Giuseppe Benedetto Dusmet, O.S.B. † (22 febbraio 1867 - 4 aprile 1894 deceduto)

Giuseppe Francica-Nava de Bontifè † (18 marzo 1895 - 7 dicembre 1928 deceduto)

Emilio Ferrais † (7 dicembre 1928 succeduto - 23 gennaio 1930 deceduto)

Carmelo Patané † (7 luglio 1930 - 3 aprile 1952 deceduto)

Guido Luigi Bentivoglio, O.C.S.O. † (3 aprile 1952 succeduto - 16 luglio 1974 ritirato)

Domenico Picchinenna † (16 luglio 1974 succeduto - 1º giugno 1988 ritirato)

Luigi Bommarito (1º giugno 1988 - 7 giugno 2002 ritirato)

Salvatore Gristina, 7 giugno 2002 - 8 gennaio 2022

Luigi Renna dall'8 gennaio 2022

 

 

 

Mons. Salvatore Ventimiglia. In un periodo storico in cui la Chiesa recupera il Suo vero ruolo fuori da ogni pericolosa “mondanità spirituale”, grazie a Papa Francesco, è bene ricordare un esempio che fu in tal senso – alla fine del Settecento – il Vescovo di Catania, Monsignor Salvatore Ventimiglia, il cui nome resta legato alla città grazie all’omonima Opera Pia che – dalla Sua origine – presta servizio ai poveri ed agli anziani malati.

Poco o nulla sappiamo noi Suoi concittadini del Nostro Vescovo e, pertanto, cercherò di recuperare l’imperdonabile gap, cominciando da qualche notizia biografica.

Nato a Palermo il 15 luglio del 1721 da Vincenzo, principe di Belmonte e da Maria Anna Statella, dei principi di Villadorata, giovanissimo entrò nel Collegio dei Gesuiti dove sviluppò, insieme ad un’immensa cultura, anche una predisposizione alla vita contemplativa che acuì un carattere sempre piu’ schivo ed introverso, oppresso com’era dalla sensazione di non essere degno dell’abito talare, a causa dei Suoi peccati.

Mentre il fratello Giuseppe andava ricoprendo, in virtù dell’acquisito titolo di principe, incarichi sempre piu’ importanti a Palermo e presso la Corte di Napoli, Salvatore veniva ordinato sacerdote nel 1744 e, dopo 9 anni, conseguiva la laurea in Studi giuridici presso l’Università “La Sapienza” di Roma.

Al ritorno nella città natale, venne nominato – giovanissimo – Vicario generale della Curia e, in tale incarico, si conquistò la stima e la benevolenza dei Suoi concittadini. Come Bergoglio, infatti, Ventimiglia non predicava la semplicità ma la praticava cercando di costringere il mondo ecclesiastico ad adeguarsi.

Nel 1758, alla morte del Vescovo di Catania, Pietro Galletti, su segnalazione di Carlo III, Papa Benedetto XIV Lo nominò alla guida della Diocesi catanese. Fu in questo incarico che il neo vescovo dimostrò dinamismo e grande voglia di innovazione portando avanti un’importante opera di moralizzazione della diocesi che, negli ultimi 70 anni, aveva dato un’immagine non esattamente consona al proprio ruolo.

Non lesinò sforzi per la riorganizzazione della Curia né per la ricostruzione delle parrocchie dopo il distruttivo terremoto del 1693, per la costruzione di nuovi edifici, per la riorganizzazione dell’Università e per la riscrittura – in siciliano – del Catechismo per renderlo a portata di mano anche della popolazione non istruita e ciò in ossequio alle direttive dettate dal Concilio di Trento. La Sua attenzione fu rivolta particolarmente ai poveri ed ai vecchi, costretti a vivere una vita ai limiti della dignità umana, e – a tale scopo – fondò nel 1760 l’Albergo generale dei poveri, meglio noto come Ospizio Monsignor Ventimiglia, prima struttura del genere realizzata in città. La cronaca ci ricorda come, in occasione della carestia del 1763, lo stesso Ventimiglia impegnò la Sua argenteria per far fronte alle maggiori necessità di ricovero. L’Albergo, a seguire, fu beneficiato di una cospicua rendita annua derivante dal patrimonio personale dell’alto prelato ed, infine, istituito erede universale dei beni derivanti dalla propria eredità familiare.

 Nella Sua opera di moralizzazione, il Ventimiglia fece stampare un Manifesto con cui abrogava i diritti di prelievo collegato alle visite pastorali ed avocò a sé le proprie spese personali e dei Suoi rappresentanti, proibendo – tra l’altro – ogni privilegio derivante dall’appartenenza al Clero ed ogni dono che, d’abitudine, veniva offerto al Vescovado.

 Va da sé che tale comportamento, che cancellava di fatto uno status quo consolidato, creò una situazione di attrito e di continuo e crescente malcontento all’interno della Curia che mise in atto tutta una serie di manovre atte a limitare il potere del vescovo innovatore.

  dispiaceri, uniti ad un carattere tendente al pessimismo, Lo fecero scivolare in una sorta di depressione che Lo spinse a presentare le proprie dimissioni da Vescovo di Catania. Dimissioni respinte, una prima volta, da Papa Clemente XIII ma che il successore, Papa Clemente XIV, non potè fare a meno di accettare davanti alla irrevocabilità della decisione.

 Salvatore Ventimiglia, nominato Vescovo di Nicodemia, ritornò alla vita contemplativa che Gli era propria e ciò che fece, in quel di Palermo, negli ultimi 25 anni della Sua vita è difficile sapere.

 Ciò che sappiamo è che l’amore per la città di Catania rimase intonso tanto che, per dimostrare devozione alla città ed ai catanesi, donò un cereo per la festa di Sant’Agata. E’ quello che, ancora oggi, apre la processione di Sant'Agata il 4 e 5 febbraio di ogni anno.

 a Sua avventura terrena ebbe fine, nella Sua città natale, l’8 aprile del 1797.

 Come si diceva, il Suo nome resterà per sempre legato alla città di Catania dove tutt’oggi esiste l’Opera Pia Monsignor Ventimiglia, nata dalla fusione tra l’antico Albergo dei poveri e l’Istituto psichiatrico San Benedetto, con lo scopo di assistere i bisognosi in genere e, in particolare, le persone anziane e disabili. Così com’era nei desideri del “Vescovo dei poveri”.

 Da ciò che è stato scritto, si evince la “vicinanza” tra la figura di Papa Bergoglio e quella di Monsignor Ventimiglia. Simili le modalità di intervento: comunità aperte e fraterne; evangelizzazione di ogni abitante delle città; assistenza ai poveri ed ai malati…ciò che, in fondo, dovrebbero essere le linee guida intrinseche alla Chiesa ma che, secoli di storia, ci insegnano non essere stato sempre così.

 Onore al merito, pertanto, a Papa Francesco ed all’umile servitore di Dio, Monsignor Ventimiglia.

 Silvia Ventimiglia – Gennaio 2014

http://blog.siciliansecrets.it/2014/12/14/monsignor-salvatore-ventimiglia-il-vescovo-dei-poveri/

 

Piccola, aggraziata, la meno imponente. Ma forse anche per questo attrae e richiama l’attenzione degli occhi di tutti. Ed anche per questo, forse, è la prima di tutte, quella che apre la parata della festa di Sant’Agata. Parliamo della candelora di monsignor Ventimiglia, nota anche come “cannalora di Sant’Aita”. Un excursus storico “tragico”, se così possiamo dire. Ma l’amore, la fede e la voglia di continuare la storia ha prevalso sugli episodi che si sono avventati sul suo percorso.

Il cereo fu fondato nel 1766 per volere di monsignor Ventimiglia. Lo scoppio della seconda guerra mondiale rischiò di farla scomparire dalla storia. I bombardamenti del 1943, infatti, la distrussero quasi interamente. Poi, però, quel che rimase fu l’inizio della rinascita: nel 1952, il geometra Giacomo Tropea propose il progetto per la ricostruzione, successivamente approvato dal Comune. Oggi, quindi, la candelora continua a far sfilare i suoi circa 250 chilogrammi per le vie della città in occasione delle festività agatine.

Date le sue dimensioni “minute”, la struttura è divisibile in tre pezzi, a differenza delle altre che solitamente sono composte da quattro parti diverse: una base, una parte intermedia; una superiore; in quest’ultima sono presenti delle statue raffiguranti i patroni di Catania: Sant’Agata, Sant’Euplio, l’Immacolata.

Ad oggi, il cereo è in gestione del Comune ed è custodito nella chiesa di San Placido dall’Associazione Cattedrale Sant’Agata. L’ultimo piccolo restauro risale al 1999.

http://newsicilia.it/cronaca/verso-santagata-storia-amore-candelora-monsignor-ventimiglia-pubblicare-per-lunedi-mattina/47643

 

 

Intervista a Mons. Bommarito

 

Con una intervista cominciammo 14 anni fa, con una intervista chiudiamo. Nell’ottobre del 1988, a pochi giorni dal suo insediamento a Catania, l’Arcivescovo Mons. Luigi Bommarito ci rilasciò in esclusiva alcune anticipazioni sul suo programma pastorale, mettendo l’accento soprattutto sulla drammatica situazione della città etnea, lacerata non solo dall’antico problema della disoccupazione ma anche da una disamministrazione cronica e soprattutto da una criminalità arrogante, che quasi quotidianamente insanguinava le strade di Catania e di alcuni centri della provincia.

Ora che Mons. Bommarito è giunto al termine del suo mandato episcopale nella diocesi etnea abbiamo cercato di fare con lui un bilancio di questi 14 intensi anni di sua permanenza a Catania.

 

Gli chiediamo: quando Lei giunse a Catania, 14 anni fa, questa città viveva in piena emergenza criminalità e si dibatteva fra amministrazioni instabili e lunghi vuoti di potere. Come giudica la Catania che oggi Lei lascia?

Risultati immagini per bommarito luigiQuando arrivai a Catania non sapevo della città se non quanto i giornali continuamente scrivevano, che cioè era un covo della criminalità, una trincea avanzata della mafia, un luogo dove dominavano gli interessi mafiosi. Sono arrivato e ho constatato che quello che scrivevano i giornali era verissimo ma anche che Catania non era tutta mafia, che era intelligenza, bontà, generosità, laboriosità. Più andavo conoscendo la città e la diocesi, più andavo approfondendo le problematiche pastorali delle parrocchie e più mi rendevo conto che c’erano le potenzialità per superare questa difficile, se non tragica, situazione. Un giorno sì e uno no, c’era un morto ammazzato, e quando per alcuni giorni non ce n’erano, poi ne arrivavano tre in una volta sola. Ho capito che Catania aveva le potenzialità per vincere queste grandi difficoltà. Un cumulo di circostanze, dovute alle pubbliche amministrazioni che diventavano via via più stabili, alla magistratura che diventava sempre più presente e puntuale, alle forze dell’ordine che non demordevano e anche alle nostre parrocchie, al processo di rieducazione delle coscienze - perché la mafia oltre ad essere un fenomeno di violenza è un fenomeno culturale che si vince con la rieducazione, con la legalità da far capire e da far assimilare lentamente ma costantemente… - , questo cumulo di circostanze ha fatto sì che le cose cambiassero. Credo che la Catania di oggi sia ben lontana dalla Catania di allora. 14 anni hanno infatti creato una situazione estremamente positiva. Questo, naturalmente, non significa che non ci siano problemi da risolvere o ingiustizie da riparare o che il fenomeno della disoccupazione che ancora angoscia tantissime famiglie non debba essere tenuto presente da parte di tutte le autorità o che non ci siano quartieri che vadano attenzionati al massimo e dove la mafia ancora recluta nuove forze… Significa solo che si può guardare all’avvenire con serena speranza purché non si abbassi mai la guardia.

Anche la Diocesi che Lei trovava nel 1988 era molto diversa. Come la lascia adesso?

Questo è un giudizio che non posso dare io…Credo che si siano realizzate tante piccole cose. Io amo dire che sono stato spettatore di quanto qui è stato fatto da sacerdoti impegnati e laboriosi, da parrocchie veramente "avanguardiste" anche nelle metodologie pastorali, da gruppi ecclesiali quanto mai fervorosi, da religiose e religiosi estremamente attenti a seguire il Vangelo nelle scuole, nelle opere loro affidate, nelle comunità ecclesiali dove sono impegnati. Ho trovato una diocesi molto laboriosa e sacerdoti capaci di grandi realizzazioni per il Regno di Dio, delle quali è inutile fare l’elenco ma di cui sono stato testimone ammirato e gioioso, perché tutto quello che si fa in servizio nel cammino del Vangelo è per noi sacerdoti sempre motivo di gratitudine al Signore e a quelli che si impegnano, ed è motivo di consolazione.

Nella relazione sulla Diocesi che qualche mese fa ha inviato alla Santa Sede Lei ha citato i punti salienti e le conquiste più significative della Chiesa catanese. Tenendo presente questo documento, un bilancio di questi 14 anni si può fare?Risultati immagini per papa wojtyla catania

 Un bilancio si può fare ma preferirei che lo facessero altri, persone serene, obiettive - e ce ne sono tante -, che potrebbero essere interpellate per sapere se la Diocesi ha camminato e ha raggiunto qualche traguardo. Io credo che Mons. Domenico Picchinenna, mio predecessore, che aveva avuto il compito di creare comunione e solidarietà e fraternità, questo compito l’ha svolto in maniera esimia ed esemplare. Io gli sono profondamente grato e gliene sarò sempre perché egli continua a sostenere, con la sua preghiera e con le sofferenze tipiche dell’età avanzata, il cammino di questa nostra Chiesa catanese.

 C’è un episodio del suo episcopato catanese che Lei ricorda con particolare affetto e commozione?

 Sono tanti i momenti che ricordo. Per esempio, sono sempre stati esaltanti le giornate delle ordinazioni sacerdotali e diaconali e soprattutto la consacrazione episcopale del mio Vicario generale Mons. Salvatore Pappalardo, chiamato a reggere la Chiesa di Nicosia. La visita pastorale del Papa, poi, è stata un avvenimento bellissimo, anche perché si è svolta con qualche mese di ritardo rispetto a quando doveva avvenire, e questo ci ha aiutato molto. E’ proprio vero che la Provvidenza scrive dritto su righe storte. Infatti, grazie a quel ritardo abbiamo avuto il tempo di organizzarci meglio, abbiamo dovuto ridurre i programmi predisposti prima e non siamo stati travolti dalla situazione. Ho capito in quella occasione come Catania sia come l’Etna, che pare tranquillo e calmo e ad un certo punto erutta con tutta la sua potenza. Questa città, quando è presa dall’entusiasmo, diventa travolgente. Simpaticamente travolgente. Con il Papa è stato così.

 Una domanda che si pongono in molti: adesso cosa farà Mons. Bommarito? Resterà a Catania, tornerà al suo paese o…?

 Intanto farò il Vescovo. Essere Vescovi emeriti non significa essere ex-preti. Continuerò a seguire il Signore là dove potrò fare un po’ di bene. Quotidianamente mi piovono inviti un po’ da tutte le parti, da Catanzaro, da Roma, da Genova, da Lampedusa…Sono tantissime le manifestazioni d’affetto che mi stanno arrivando. Naturalmente, dovrò fare una selezione, anche perché non sono più giovanissimo. Cercherò di servire al meglio il cammino del Regno là dove la Provvidenza mi chiama. Sono molti anche quelli che mi hanno pressantemente invitato a rimanere a Catania. Certamente per un po’ tornerò nella casa paterna, a Terrasini. Poi vedremo. Mi devo dare a Dio, adesso. Certo avrò più tempo per studiare, per approfondire, per riflettere.

 Il 6 agosto si insedierà il nuovo Arcivescovo, Mons. Salvatore Gristina. Che consigli si sente di dare al suo giovane successore?

 No, niente consigli. Troverà dei problemi qui, ma anche tante ricchezze e tante potenzialità. E saprà certamente come affrontare gli uni e come valorizzare le altre. E’ giovane, è preparato, ha maturato una bella esperienza come sacerdote e parroco prima, e come Vicario e Vescovo ausiliare della diocesi di Palermo dopo, nonché come Pastore della Chiesa di Acireale. E poi è affabile e sensibile. Mi creda: l’avvicendamento alla Chiesa fa solo bene.

Salvo Nibali

 

http://www.cataniaperte.com/societa/articoli/bommarito/corpo.htm

 

Un grande personaggio appartenente ad uno stampo di uomini che oggi rimpiangiamo, essendo noi rassegnati alla pochezza politica dei giorni nostri. Ma più che politica, è una questione di palle che oggi non sto vedendo più.

Anche se qualcuno diceva che era più uno scaltro manager che un prete, a me stava bene così. Se andava a battere i pugni sulle scrivanie dei palazzi per togliere dalla strada un po’ di ragazzi difficili, a me stava bene. Più che un prelato, era un uomo che la città amava e per questo spero che la Diocesi di Catania cominci a pensare ad un piccolo posticino per farlo riposare, come merita, in Cattedrale.

Negli anni ’90 mi contattò l’Arcivescovado annunciandomi che Bommarito voleva far visita alla Facoltà di Agraria. Col Preside di allora organizzai tutto e quel giorno, dopo averlo ricevuto al suo arrivo con tutti i "santi" crismi che il cerimoniale impone (uniche e rare occasioni in cui mi si poteva vedeva incravattato, infatti in questi avvenimenti mi chiedevano fra le risate “chi sta arrivando?”), lo accompagnai nella Biblioteca grande dove lo aspettavano tutti.

Quel giorno capimmo subito di che pasta era fatto: mai in difficoltà, con grande abilità dialettica e uno sguardo sornione alla Don Camillo glissava o rafforzava gli argomenti a suo piacimento come giocando al flipper, senza mai fare Tilt. Poi, con l’ironia che lo ha sempre contraddistinto, ci raccontò di cose antiche e divertenti vissute durante la sua infanzia nelle campagne di Terrasini (furbacchione, era ad Agraria!). Ma se ci avesse raccontato anche di Tom & Jerry, saremmo stati tutti lì ad ascoltarlo a bocca aperta!

Ricordo con piacere il momento in cui, prima di passare alla canonica benedizione della Facoltà e di ricevere la targa-ricordo, volle a tutti i costi farmi i pubblici complimenti.

Grazie Monsignore, riposa in pace. Catania non dimentica.

MR

 

 

TUTTI PAZZI PER QUELLA FANCIULLA.

L'anima di questo luogo non si identifica soltanto con l'Etna, il vulcano che la domina maestosamente con il suo grande cono, c'è anche Sant'Agata, la patrona di Catania, cui la comunità dedica grandi festeggiamenti.

La festa in suo onore ricorre dal 3 al 5 febbraio ed è tra le più pittoresche d'Italia; illuminati dalle cannalore (candelore), grandi ceri di legno intagliato, alti diversi metri, i volti trasudati dei fedeli si distinguono in mezzo a quelli che, nelle lunghe pause del faticoso trasporto in processione, si frenano in una danza caratteristica detta l'annacata.

 

La leggenda narra che, all'alba del 17 agosto 1126, la città di Catania fu scossa da un evento molto atteso: le spoglie della Santa rientrarono in patria da Costantinopoli, e gruppi di devoti, insieme al vescovo, ai canonici e al clero si riversarono per le strade indossando ancora le vesti della notte; da quel giorno, ogni anno, i cosiddetti "nudi" ricordano la patrona: trasportando il simulacro vestiti di un camice bianco (il "sacco", simbolo una camicia da notte), i nudi sono la rappresentazione degli uomini che operarono in quella notte leggendaria.

Il "sacco" viene completato da un cordoncino stretto alla vita, da un berretto di velluto nero, da guanti bianchi e dal caratteristico fazzoletto che si sventola per incitare i cittadini al grido "Citatini, viva Sant'Aita!".
Il grido di "Viva Sant'Aita" ha un significato storico: secondo quanto scrive S. Romeo in Vita e culto di Sant'Agata, "mentre la bella giovinetta, dopo gli altri cimenti, era provata col fuoco della brace e dè rottami, il popolo catanese, tocco a quello strazio indegno, rompesse in alti clamori, imponendo à carnefici di cessare, e gridasse: Viva, viva, Agata e non muoia!... Spirata quell'anima beata e riposto il corpo nel sepolcro, i catanesi sono certificati dall'angelo, che Agata per loro non era morta, ma che siccome collo spirito era andata a vivere accanto allo Sposo Divino, colla sua protezione, si farebbe viva immezzo à loro discendenti, sepolta la giovinetta, la gente se ne andava ripetendo: E pur viva Agata, viva S. Agata! Il qual grido, che fu poi seguitato per tutte le età future, si rinnova da noi e si manterrà quanto il tempo lontano".

Questo grido si ripete sempre durante i giorni di festa alzandosi dalla processione, tra gli evviva e la commozione di tutti, quando la vara (il simulacro del Santo) muove circondata da centinaia di ceri.

Il lungo corteo raggiunge anche i quartieri più antichi, manifestando fino a tarda notte. Secondo la tradizione, gli enormi ceri inseriti in grossi candelabri di legno, scolpiti con statue di angeli e Santi, e rappresentazioni del martirio della Santa, venivano donati dalle congregazioni e rappresentavano le offerte della cera alla Sant'Agata.

"Attualmente - riporta M. A. Di Leo in Feste popolari di Sicilia - le candelore che sfilano in processione sono 11 così distribuite: la più piccola è stata fatta costruire da Monsignor Ventimiglia dopo l'eruzione lavica del 1766; seguono quella degli abitanti del quartiere S.Giuseppe La Rena e quella degli ortofrutticoltori, costruita in stile gotico; poi la candelora dei pizzicagnoli, in stile liberty; le candelore dei pescivendoli, fruttivendoli, macellai, pastai, panettieri, bettolieri, in stile barocco e rococò; ultima è la candelora fatta realizzare dal Cardinale Dusmet, per il circolo di S.Agata." .

 

La processione delle reliquie ha inizio il 4 febbraio e parte da Porta Uzeda; fuori della città il pesante carro di S. Agata viene fatto sostare davanti alla chiesa del Carmine e a quella di Sant'Agata la Vetere, poi torna nella Cattedrale e il giorno successivo procede nella zona interna della città. Sopra il carro della Sant'Agata è ospitato il bellissimo busto d'argento dorato e impreziosito di gemme e di una corona che pesa un chilo e mezzo, opera dell'orafo Giovanni di Bartolo; all'interno del busto sono conservate le reliquie di S.Agata.

http://www.guidasicilia.it/ita/main/province/patrono.jsp?IDProvincia=CT

 

 

in attesa del rientro di Agata il 6 mattina

VAI ALLA FESTA DI  SANT'AGATA

 

 

 

 

 

 

 

 

GRAZIE

per le foto: Francesco Raciti Salvo Puccio e Andrea Mirabella; per i preziosi suggerimenti: Milena Palermo e Antonio Trovato per OBIETTIVO CATANIA; Giorgio Coniglione per Catania 1669; Turi Salvatore Giordano; Andrea Raimondo per TAM.