La rana pescatrice è diffusa dal Mare del Nord (compreso il Mar Baltico) all'Atlantico (fino alle coste nordoccidentali africane) comprese le coste islandesi. È inoltre presente nel Mediterraneo (più diffuso nella parte occidentale) e nel Mar Nero. Abita le acque di fondale sabbiose e sassose comprese tra i 20 e 1000 metri. La rana pescatrice presenta una testa massiccia ricoperta di creste ossee e spine, appiattita e allargata, di forma ovale, così come la parte anteriore del corpo; il corpo è conico e la pelle è priva di squame. La bocca è molto grande e rivolta verso l'alto, con numerosi denti acuti: la mascella inferiore è prominente rispetto a quella superiore. Nella mandibola e lungo il corpo sono presenti delle appendici cutanee a forma di frange. La colorazione è bruno-olivastra o violacea sul dorso e bianca nel ventre; le pinne sono orlate di scuro. Il primo raggio della pinna dorsale è estremamente sviluppato e dotato in punta di una piccola escrescenza carnosa. Quest'appendice, utilizzata per cacciare, è chiamata illicio. La livrea è tendenzialmente bruna. Può raggiungere dimensioni ragguardevoli: sono stati pescati esemplari di 200 cm di lunghezza per 57 kg di peso. La femmina raggiunge la maturità sessuale attorno ai 14 anni, per dimensioni di circa 90 centimetri, il maschio intorno ai 6, per circa 50 centimetri. Specie affine è Lophius budegassa, che presenta frange cutanee meno sviluppate, peritoneo di colore scuro, ciuffo dell'illicio non lobato, colorazione del dorso più rossiccia e, in genere, dimensioni inferiori (fino a 70 cm). È una specie dalle abitudini solitarie, che passa la maggior parte del tempo infossata sul fondo, in attesa delle prede. Durante il giorno rimane quasi invisibile: con le pinne pettorali scava un avvallamento per rimanere nascosta nella sabbia, e adagiata sul fondo, può iniziare la caccia: usa il primo raggio della pinna dorsale (illicio), dotato di un ciuffetto lobato, come se fosse una canna da pesca: quando una preda incuriosita dai movimenti dell'illicio si avvicina per ingoiare la finta esca, la rana pescatrice porta prima l'appendice un po' all'indietro, poi ingoia l'animale che si è avvicinato. Riproduzione E' un pesce solitario, si riproduce da gennaio a giugno. Nonostante molte specie dei Lophiiformes siano caratterizzati da parassitismo sessuale, a volte obbligato, questo non è il caso del L. piscatorius. Le uova vengono rilasciate in aggregati gelatinosi che si schiuderanno in larve, molto diverse dall'individuo adulto, che condurranno vita pelagica. Pesce prelibato dalle carni magre, viene commercializzata fresca, congelata o surgelata. Il suo sapore è diverso a seconda della provenienza: quelle pescate in Adriatico hanno carni sode ed un gusto delicato, quelle pescate in Sicilia, per la diversa alimentazione, a volte hanno carni con un sapore più intenso.
La
cernia è un pesce di notevoli dimensioni dall’aspetto possente,
che può raggiungere il metro di lunghezza e i
Le cernie appartengono alla famiglia dei Serranidi, di cui ricordiamo specie più slanciate come la Spigola ed altre tozze come la Cernia di fondo (Polyprion americanum), quest’ultima con due spine sull’opercolo, mandibola molto prominente e capo con creste scabrose. Le altre cernie che abitano i mari italiani hanno un colore più chiaro e sono meno diffuse; fra queste ricordiamo anche la cernia rossa (Mycteroperca rubra), la cernia bianca (Ephinephelus aeneus) con sopra il capo 2-3 strie bianche oblique, la cernia nera (Ephinephelus carinus) e la cernia dorata (Ephinephelus alexandrinus).
Questi grossi pesci vivono solitari, annidandosi spesso tra le rocce ed occupando un territorio definito. La cernia è un predatore vorace che si nutre di molluschi, crostacei e pesci; si riproduce in estate ed è ermafrodita proteroginico (prima è femmina , poi a 80 cm i maschi raggiungono la maturità); può vivere anche 40-50 anni. La cernia vive lungo la costa rocciosa sino alla profondità di alcune centinaia di metri, ed occasionalmente si spinge sui fondali detritici posti ai margini delle praterie di Posidonia. E’ comune in Mediterraneo, Atlantico orientale; è presente in tutti i mari italiani, dove conduce vita solitaria presso grotte ed anfratti. La cernia è una specie molto ambita dai pescatori subacquei; viene catturata in modo professionale con palangari di profondità, con reti a strascico e con tremagli. Dato il suo lento ritmo di accrescimento, è una specie che non viene ancora allevata, ma sono in corso tentativi di ripopolamento. Nell’acquistare le cernie bisogna fare attenzione, in quanto per la maggior parte sono importate, fresche o congelate (controllate la lucentezza della pelle e dell’occhio). Le carni sono ottime e bianche. Uno dei modi migliori per gustarla, date le sue notevoli dimensioni, è al forno o ai ferri tagliata in tranci; per i pesci di taglia piccola è da gustare soprattutto in frittura.
La gallinella (o Pesce Prete) è un pesce appartenente alla famiglia dei Triglidi, e come tale presenta un capo massiccio, corazzato con piastre ossee; la testa di questa specie è larga e ampia, gli occhi sono piccoli; la bocca, decisamente grande si trova alla base del capo; la linea laterale è poco pronunciata. Le pinne pettorali sono ampie, a forma di ventaglio e oltrepassano l’inizio della pinna anale; sono di color viola scuro, orlate di azzurro e spesso presentano nella parte interna una macchia blu scura, con punti azzurri o biancastri. I tre raggi anteriori ed inferiori delle grandi pinne pettorali sono liberi, filiformi e provvisti alle estremità di papille gustative.
I Triglidi usano tali raggi come arti per appoggiarsi e muoversi sui fondali in cerca della preda: la gallinella è un pesce vorace che si nutre, soprattutto nelle ore notturne, di crostacei, molluschi e di piccoli pesci. La colorazione del dorso è bruno-rossiccia o arancio, rosa ai lati e bianco argentea sul ventre. La gallinella può raggiungere il peso di 6 Kg e la lunghezza di 70 cm, ma è comune da 20-30 cm. Altre specie simili appartenenti alla stessa famiglia sono di dimensioni minori e presentano la linea laterale e il capo con caratteristiche diverse, in genere con scudi ossei e spine più pronunciate; anche il colore offre validi elementi distintivi. Il cappone lira (Trigla lyra) si distingue dalla mazzola per l’escrescenza ossea che mostra davanti al muso, quasi a formare un rostro e per le lunghe spine sugli opercoli. Il cappone ubriaco (Trilgloporus lastoviza) si distingue per le strisce verticali oblique che circondano il corpo. L’angioletto (Eutrigla gurnardus) è molto più piccolo e presenta una macchia nera sulla prima pinna dorsale. Il cappone imperiale (Aspitrigla cuculus) ha la linea laterale formata da scaglie larghe e piatte, molto sviluppate verticalmente. La riproduzione della gallinella inizia a dicembre e si protrae fino ad aprile.
La gallinella è comune in Mediterraneo, Atlantico e in Mare del Nord; abita i fondi sabbiosi e fangosi della piattaforma continentale. Gli esemplari più giovani amano stare abbastanza vicino alla costa e spesso penetrano nelle lagune salmastre; gli adulti si spostano invece al largo, fino a 200 m di profondità. La gallinella è la specie di triglide più importante per la pesca italiana; viene pescata con reti a strascico e reti da posta; in estate e in autunno si pescano soprattutto i giovani, di circa 200 grammi, che nei mesi invernali raggiungono la loro taglia migliore, 400 grammi. Le gallinelle dell’Adriatico sono leggermente più grosse di quelle pescate negli altri mari italiani. La gallinella pescata in Adriatico ha carni più morbide di quella pescata in altri mari italiani, il modo migliore per gustarla è bollita, molto indicata per la zuppa di pesce.
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Lo scorfano rosso è la specie di scorfano più grossa e corpulenta che vive nei nostri mari; il corpo è molto robusto, tozzo e la testa è grande, provvista di numerose creste, spine e con numerosi filamenti cutanei anche sulla linea laterale. Si differenzia dagli altri scorfani per la mascella inferiore ricca di appendici cutanee. Le appendici sopraorbitali sono grandi e frastagliate; le pinne pettorali sono grandi ed arrotondate. Le grosse e robuste spine della pinna dorsale e degli opercoli possono pungere provocando un dolore intenso. Lo scorfano rosso può raggiungere i 60 cm di lunghezza, ma è comune da 20 a 30 cm. Il colore dello scorfano è molto variabile trattandosi di un pesce mimetico; di solito è bruno-rossastro con macchie più scure. Di solito a metà della pinna dorsale si nota una macchia nera, ma questo non è un carattere distintivo; lo scorfano rosso riesce a mimetizzarsi bene sui fondali rocciosi e fra le alghe su cui trova dimora. Può essere confuso con lo Scorfanotto (Scorpena notata), più piccolo ma dalla colorazione simile, e di minor pregio commerciale. Si riconosce bene invece dallo scorfano nero (Scorpena porcus) per le appendici carnose più sviluppate. È carnivoro e si nutre soprattutto di pesci, crostacei e molluschi; si riproduce in primavera ed in estate. Lo scorfano rosso è un pesce demersale e solitario, vive immobile su fondi rocciosi, sabbiosi e fangosi da 15 m fino a profondità di 200 m, tra le praterie marine, dove si nasconde in anfratti e tane; il suo habitat ideale è rappresentato soprattutto dalla base delle scogliere profonde. Contrariamente alle altre specie di scorfano, si dedica alla caccia anche durante il giorno. E’ molto frequente in Mediterraneo, Adriatico e in Oceano Atlantico. Lo scorfano rosso si cattura con tremagli, reti a strascico, nasse e abbocca molto facilmente anche alle lenze. Non è una specie molto abbondante e si trova sui mercati in quantità limitate. Lo scorfano rosso è un pesce molto apprezzato e impiegato soprattutto nella zuppa di pesce. Le sue carni sono sode, compatte e di ottima qualità. Viene commercializzato sia fresco che congelato. Può essere cucinato al forno, in guazzetto o semplicemente bollito.
Lo scorfano nero è un pesce dal corpo tozzo e profilo dorsale convesso, vive appoggiato sul fondo, cercando di mimetizzarsi tra le alghe e le rocce; la livrea mimetica è formata in tutti gli Scorpenidi da numerose frange cutanee, presenti soprattutto sul capo, che li rende completamente invisibili. Lo scorfano nero, rispetto ad altre specie di scorpene, ha filamenti e appendici cutanee non molto sviluppate. La testa è massiccia ornata di creste e spine, gli occhi sono grandi, subito dietro si notano due spine e una appendice cutanea.
La colorazione può variare dal nero al bruno, con bande trasversali più chiare e più scure; spesso si nota una macchia nera a metà della pinna dorsale (tipica degli individui di sesso maschile). Può raggiungere la lunghezza di 24 cm, ma è comune da 10 a 15. È un vorace predatore notturno, che si nutre di granchi, pesci, invertebrati bentonici, che cattura mimetizzandosi sul fondo. Si riproduce da maggio ad agosto e raggiunge la maturità sessuale a tre anni di età. Questo scorfano può essere confuso con altre specie affini, come lo scorfano rosso (Scorpena scrofa) che presenta una colorazione più chiara (rosso-arancio) e numerose appendici cutanee sparse sul capo, sulla mandibola e sui fianchi; lo scorfanotto (Scorpena notata) invece è un piccolo scorfano di colore rosso con una evidente macchia nera sulla pinna dorsale. Lo scorfano nero è una specie di abitudini spiccatamente bentoniche che vive lungo le coste rocciose e nelle praterie di Posidonia. E' molto comune in Mediterraneo, Atlantico e Mar Nero. E’ una specie costiera che si trova generalmente entro i primi 30 m di profondità, nascosta tra gli scogli, ma la si può trovare fino a 150 m. Lo scorfano viene pescato principalmente con reti da posta, nasse, con palangari di fondo, reti a strascico e abbocca facilmente anche a lenze a mano. Le maggiori catture si registrano in Alto Adriatico ed in Tirreno. Lo scorfano nero è una specie di discreto interesse commerciale, abbastanza apprezzato; le sue carni toste si prestano bene per fare buone zuppe di pesce e brodetti.
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LA PESCA CON LE NASSE. Se chiedete a un "saddaru" (pescatore di sardine o alici) che cosa significa "'ncarammari 'a tratta" (impigliare la "tratta", un tipo di rete atta alla cattura di alici e sardine.) egli, non solo lo farà con dovizia di particolari ma vi parlerà pure delle nasse, che in determinate circostanze possono fare impigliare la rete quando non controllate a vista, vengono lasciate in mare incustodite per uno o due giorni. Le nasse, in questo caso, funzionano da relitti temporanei e la "tratta", mossa dalla corrente, va dritta su di esse e sicuramente vi si impiglia. Quando per trarre a bordo le reti non si usava ancora il verricello, ma la forza delle braccia, erano sforzi inauditi e notevoli perdite di tempo per poterle issare; cosicché quando due barche andavano di conserva ed una di esse tardava, per portare a termine l'operazione di liberare la rete dalle nasse, quella che per prima raggiungeva il porto, ignorandone i motivi del ritardo, chiedeva all'altra se per caso non avesse preso le nasse. Da tale fatto trae origine, nel gergo marinaro, il detto con il quale si vuole rimproverare il ritardo a qualcuno, a cui si dice: "e chi pigghiasti 'i nassi?". Queste sono delle gabbie a forma di tronco di cono, che una volta venivano preparate dagli stessi marinai con giunchi vegetali e verghe d'ulivo. Sono state oggi soppiantate da quelle confezionate con rete di plastica, di più lunga durata e rapida realizzazione. Le nasse (Preventivamente "gniscati" (provviste di esca) con carne salata, sardine semisalate o altro) servono per la cattura di alcuni pesci, compresi polipi e seppie. _____________________ tratto da "Il Golfo di Catania e i suoi pescatori" di Pippo Testa e Mimmo Urzì - Edizioni Greco, Catania - 1992
Ha corpo tozzo, con testa massiccia fornita di bocca molto ampia (apertura fino a sotto il bordo posteriore dell'occhio), coperto di squame, salvo che sul muso nella regione sottorbitaria, sulla gola e sulle mascelle. L'opercolo nell'angolo superiore possiede due spine alle quali si avvicinano quelle della cresta sopraorbitaria che sono più piccole anteriormente e più robuste posteriormente. Al disotto dell'occhio vi è una cresta senza spine. Il preopercolo ha cinque punte, di cui la seconda è in genere la più sviluppata. Gli occhi sono molto grandi. Davanti, all'inizio del bordo anteriore, sono armati con una spina e piccole spine si trovano anche al disopra delle aperture nasali. Possiede 4 o 5 file irregolari di denti aghiformi e piccoli nella mascella e 3 o 4 nella mandibola. Altri denti si trovano nel vomere e nei palatini.
La pinna dorsale possiede 12 raggi spinosi anteriormente e altrettanti molli nella parte posteriore, che è più corta ma più alta. L'anale ha tre spine di cui la seconda è la più lunga. La codale è poco incavata al centro e ha le estremità ad angolo vivo. Le pinne pettorali sono molto ampie e posseggono i primi due raggi semplici e sottili, seguiti da nove ramificati all'estremità e da 8 più spessi non ramificati e con l'estremità libera. La colorazione è rossa, che sfuma a rosa sui fianchi e bianco sul ventre. L'interno della bocca è nero azzurrastro. E' una specie che vive in profondità da 100 a 1000 m. In alcune zone risale fino a fondali di circa 20 metri in vicinanza della costa. Si riproduce dalla dell'autunno e al principio dell'inverno. L'alimentazione carnivora. Si cattura con reti a strascico e con palangresi di profondità. Può raggiungere i 30 cm di lunghezza (mediamente 20-25 cm). Sulle coste italiane è comune nel Tirreno e raro in Adriatico. http://www.operagastro.com/atlas/pesci/s/scorfanofondale.htm
Scorfani di fondale alla Pescheria di Catania
Ha il corpo ovale compresso lateralmente, con evidente altezza del corpo, che è ricoperto di squame abbastanza grandi (30-33 sulla linea laterale, la quale segue il profilo del dorso, fino ad abbassarsi bruscamente al termine della dorsale. La testa conica ha la bocca poco protrattile, con la mascella superiore appena prominente. I denti sono superiormente 10-12, con i due centrali più grandi e prominenti e con la mascella inferiore con 10-16 denti. Anche in questa specie il preopercolo è finemente dentellato nel margine posteriore. Sotto l'occhio ha 4 serie di squame caratteristiche. Gli occhi sono di media grandezza e circondati da una serie di pori. Altri pori si trovano sulla nuca e nello spazio interorbitale. Le narici sono piccole e poco visibili. La pinna dorsale è unica ed è sostenuta anteriormente da un numero di raggi spinosi inferiore a quello dei raggi molli che sostengono la seconda parte e il suo margine posteriore è arrotondato come quello dell'anale. La codale è spatolata, con contorno quasi quadrangolare e gli angoli appena arrotondati. Le pettorali sono tondeggianti e si inseriscono appena un poco innanzi alle ventrali. La colorazione varia secondo il sesso, la stagione, l'ambiente, la taglia e gli stimoli esterni. Domina una colorazione rossiccia su cui vi sono macchie nerastre e bianche. Alle volte il verde assume tonalità smeraldine. Frequenta i bassi fondali delle coste rocciose tra i sassi e le alghe del fondo e nelle praterie di zostere e posidonie. Il maschio prepara il nido con alghe e sabbia a profondità inferiore al metro. Le uova sono ricoperte di un muco che aderisce al fondo e alle alghe. Si nutre di Molluschi (Gasteropodi, Bivalvi e Anfineuri) Ofiure, Anellidi, Echinidi, Briozoi, Gamberi e Ostracodi e viene pescato con nasse, retini e lenze. Raggiunge la dimensione di 15 cm. E' una specie esclusiva mediterranea ed è comune su tutte le coste italiane (frequente nel Tirreno, meno nell'Adriatico).
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La tracina è un pesce dal corpo allungato e compresso lateralmente; la mandibola è prominente, gli occhi sono ravvicinati tra loro e spostati verso l’alto. L’opercolo è fornito di una robusta e lunga spina velenifera. Possiede due spine dorsali: la prima, più piccola, è nera e fornita di 6 raggi spinosi veleniferi; la seconda è molto più lunga, quasi quanto la pinna ventrale. Il dorso è bruno-verdastro, i fianchi sono bianco giallognoli e presenta numerose linee oblique brune, nere alternate con altre blu e gialle sottili; il ventre è biancastro. Può raggiungere i 40 cm di lunghezza e i 700-800 grammi di peso; più di frequente è sui 20-25 cm. La riproduzione avviene in primavera-estate e la maturità sessuale è raggiunta dopo i primi tre anni di età. La tracina drago si nutre di piccoli invertebrati, soprattutto crostacei, e di piccoli pesci. Esistono altre tre specie di tracine, 2 di dimensioni leggermente maggiori, dotate ugualmente di spine velenose: la tracina raggiata (Tracinus radiatus) con due creste ossee sul capo, e la tracina ragno (Trachinus araneus) priva di questo carattere (come la specie in questione) con delle macchie scure sui fianchi. Una specie conosciuta a molti è la tracina vipera (Echiichthys vipera), giallastra e di piccole dimensioni, al massimo 15 cm, senza spinette sul capo, che si trova spesso in fondi sabbiosi litorali e costieri poco profondi e che provoca ai bagnanti punture dolorose inaspettate. La tracina vive su fondali sabbiosi o ghiaiosi lungo la costa fino a 300 m di profondità, più comune da 5 a 10 m in estate, mentre in inverno migra in acque più profonde. Rimane quasi sempre infossata, lasciando sporgere soltanto gli occhi e la prima pinna dorsale, in attesa di gamberi e piccoli pesci, che afferra scattando fulmineamente in avanti con forti colpi di coda; subito dopo si insabbia nuovamente. La prima pinna dorsale nera è spesso rivolta in alto, probabilmente per scoraggiare i possibili aggressori. È molto diffusa lungo tutte le coste italiane, in particolare in Alto Adriatico; oltre al Mediterraneo, è comune in Mar Nero, e in Oceano Atlantico. La tracina viene pescata con reti a strascico, sciabiche e reti da posta; appena pescata è necessario tagliare le spine velenifere, la cui puntura provoca forti e persistenti dolori. La tracina ha carni bianche, sode, di sapore delicato e molto apprezzata in alcune regioni; viene usata soprattutto per la zuppa di pesce di cui è una dei principali ingredienti.
LE PUNTURE DELLE TRACINE: SINTOMI E RIMEDI Le tracine sono tra i pesci più velenosi presenti nel Mediterraneo. Il loro veleno, altamente tossico e simile a quello di alcuni serpenti, è secreto da ghiandole e iniettato, attraverso dei canaletti, dagli aculei presenti presso gli opercoli e nella prima pinna dorsale. Chi viene punto da una tracina prova un dolore folgorante, simile a quello prodotto da un morso di vipera, tanto più intenso quanto più in profondità l'aculeo è penetrato nella carne. Quasi istantaneamente interviene un senso di intorpidimento della parte lesa che si gonfia. Possono poi manifestarsi altri sintomi: difficoltà di respirazione, tachicardia, convulsioni, delirio. Solo in casi eccezionali, però, una puntura di tracina può causare la morte. Vediamo quali sono le precauzioni da prendere durante la pesca e i rimedi cui fare ricorso in caso di puntura. Anzitutto, chi va a pesca di tracine deve avere con sé un retino per salpare il pesce e un paio di robusti guanti di pelle per maneggiarlo senza correre il rischio di pungersi. Una volta salpata, la tracina va immobilizzata col piede calzato o con una fiocina o un bastone e, ancora prima di slamarla, le si recideranno gli aculei. Bisogna tenere presente che l'azione del veleno conserva intatto il suo potere anche molte ore dopo la morte del pesce. La cottura lo rende innocuo. In caso di puntura, incidere o mordere la ferita e suggere il veleno, quindi disinfettarla con acqua ossigenata. Come primo antidoto sulla parte offesa si deve usare una soluzione di ammoniaca, che lenisce il dolore, oppure applicare gli appositi stick antiveleno acquistabili in farmacia. Dopo qualche ora il dolore scompare, ma resterà più a lungo l'enfiagione. Se le punture sono più d'una o sono molto profonde, recarsi immediatamente in un posto di pronto soccorso.
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Il grongo come tutti gli anguilliformi ha un corpo serpentiforme, con le pinne dorsale e anale saldate alla caudale. Il capo è grande, il muso è lungo ed arrotondato, la bocca è ampia con le labbra sporgenti ed è munita di denti robusti. La mascella inferiore non è protratta in avanti e le scaglie sono assenti: queste sono le caratteristiche che permettono di distinguerlo dall'anguilla. Il colore varia a seconda dello stadio di sviluppo, da nerastro a grigio chiaro, ricoperto da una pellicola mucosa. La riproduzione avviene in estate; l'accrescimento dei giovani è molto rapido. Si ciba di pesci,molluschi e crostacei e smette di nutrirsi quando si avvicina il periodo della deposizione. Può raggiungere dimensioni e peso notevole, 2,5 m di lunghezza e 50 kg di peso.
Il grongo è una specie bentonica, che si adatta a diversi tipi di fondale, roccioso, sabbioso e fangoso; comune nei mari italiani, si trova da 10 a 1000 m di profondità. Si riproduce in estate a profondità notevoli (600-800 m), in aree ben precise in Mediterraneo, una di queste è stata individuata nei pressi della Sardegna. Si pesca con nasse, parangali e reti a strascico.
Ha carni buone, ma
ricche di lische.Il grongo predilige i fondali rocciosi, dove trova
caverne e anfratti utili come nascondigli, ma è possibile trovarlo
anche all'interno dei porti e sui fondali sabbiosi. La profondità a
cui si può trovare è molto varia: da pochi metri fino ad alcune
centinaia.
u Ugghiu
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Distribuzione: Bermuda, Florida (USA), Bahamas e le Antille in
Brasile. Questa specie spesso solitaria barriere coralline e detriti
rocciosi tra 0 metri e 12 metri. Come tutte le anguille E. catenata
conduce una vita segreta uscire solo di notte o torturato dalla
fame.
Manutenzione
Un serbatoio di 500 litri sarà dotato di nascondigli o caverne dove
ha trascorso la maggior parte del suo tempo, lasciando quel punto il
muso. L'arredamento sarà solida base per la murena è molto
aggressiva, rischia di distruggere vedere vetro rotto in una roccia
gettando involontariamente quando si viaggia. Si dovrebbe evitare la
presenza di un riscaldatore in vasca perché potrebbe Moray s'occasionnant
ustioni e difficile da trattare. Le anguille sono i campioni
d'evasione: è perché è imperativo che il serbatoio, che è destinato
ad essere completamente chiuso.
Il morso della murena è assai temuto. La murena è sempre stata considerata, fin dall'antichità, un pesce pericoloso e sanguinario, probabilmente anche a causa del suo aspetto minaccioso, tanto che molti miti raccontano di come gli schiavi romani venissero gettati in acque infestate da murene per essere giustiziati. In realtà la fama di animale spietato è immeritata perché la murena diventa aggressiva con l'uomo solo se infastidita o ferita, altrimenti è un pesce che ama la sua tranquilla tana e non si avvicina agli umani. Una volta, però, che più o meno accidentalmente si viene morsi da una murena questa ferita è veramente dolorosa, perché, oltre ai denti acuminati, la saliva della murena contiene una sostanza tossica che può sovrainfettare la ferita. Questa tossina è comunque resa innocua dal calore. Le carni della murena sono buone ed apprezzate ma solo quelle degli esemplari più grandi, perché i piccoli sono molto liscosi. Alcune specie di murena, in particolar modo quelle dei mari tropicali, possono causare avvelenamenti da ciguatera, e comunque bisogna prestare molta attenzione alla preparazione e alla cottura anche della murena nostrana, eliminando immediatamente la testa perché la sua saliva contiene una sostanza tossica, e procedendo a cotture molto lunghe che fanno scomparire completamente la tossicità dalle sue carni. Di solito viene consumata in zuppa o in agrodolce, o due gustose ricette siciliane che la vedono protagonista sono la murena in salsa oro (fritta e poi ripassata in una salsa di pomodoro) o la murena alla pantesca con capperi e cipolle. http://www.cibo360.it/alimentazione/cibi/pesce/murena.htm
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La musdea viene anche chiamata Pastenula nera, in Liguria “mustella di scoglio”, per distinguerla da una specie molto simile la “mustella di fondale”(Phicis blennoides). La musdea è un pesce bentonico relativamente alto e compresso ai lati, la mandibola è sporgente e la bocca è munita di un barbiglio; le pinne dorsali sono contigue, la prima è triangolare, la seconda decorre lungo tutto il resto del dorso fino alla pinna caudale; quest’ultima di forma triangolare con il margine posteriore convesso. Le pinne ventrali sono assottigliate ed assomigliano a due lunghi barbigli, mentre quelle anale decorre lungo la parte posteriore del ventre fino alla coda. Il colore e nerastro con riflessi rossastri, lungo tutte le pinne si osserva una banda marginale nera. Può raggiungere 65 cm più comune da 10 a 40 cm.
Si riproduce in primavera; i giovani sono pelagici argentati con il dorso azzurro. Vive su fondali sabbiosi e rocciosi e si trova in tutto il Mediterraneo; è attiva soprattutto di notte quando caccia crostacei e piccoli pesci, mentre di giorno resta nascosta in fessure fra le rocce. Può raggiungere profondità di 650 m, ma è frequente a profondità minori di 200 m. Viene catturata con reti a strascico, tramagli, palamiti di fondo e nasse. Carni molto delicate e digeribili; si consuma fresca. |
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Il palombo è un piccolo squalo che può raggiungere una lunghezza massima di 160 cm, più frequentemente gli individui di questa specie misurano 60-90 cm. Il palombo è viviparo cioè gli embrioni si sviluppano completamente nel corpo della madre ed i giovani vengono partoriti a sviluppo completato, dopo una gravidanza di circa 10 mesi. La forma ricorda da vicino quella dello squalo classico, la pelle o zigrino è relativamente liscia rispetto a quella di altri squali; la colorazione è variabile solitamente di un grigio uniforme sul dorso e chiara ventralmente. La bocca è munita di piccoli denti ed è situata in posizione inferiore rispetto al capo; la seconda pinna dorsale è più piccola della prima, la pinna caudale ha il lobo inferiore meno sviluppato del superiore.
Possiede cinque fessure branchiali, a volte si possono trovare individui maculati che in passato hanno fatto pensare all’esistenza di più specie in Mediterraneo. Sebbene esista effettivamente un altra specie in Mediterraneo, il Palombo stellato (Mustelus punctulatus), le diversità cromatiche sono da considerarsi come variabili all’interno della stessa specie. Comune in tutto il Mediterraneo, in particolar modo in Sicilia dove le catture sono più abbondanti. Si tratta di una specie con abitudini demersali; vive su fondali fangosi a medie profondità e fino a 100 m; forma piccoli banchi e si ciba di molluschi, piccoli crostacei e pesci. La fecondazione avviene a giugno ed i piccoli nascono a marzo, dopo nove mesi d'incubazione. La maggior parte delle catture in Mediterraneo avvengono in Sicilia con reti a strascico, con palangresi di profondità e tremagli. Le carni sono buone e molto apprezzate rispetto a quelle di altri squali; così può succedere che altre specie simili per forma e dimensioni siano spacciate, una volta tagliata la pelle e la testa, per palombi. Si può consumare fresco, congelato, a trance o intero.
LA PALUMMARA. Era chiamata "palummara" una rete che veniva calata in precise circostanze e della quale diamo un breve cenno in ragione del fatto che, da circa quarant'anni, non è più in uso. Si trattava di una rete usata con barche a remi e veniva calata durante le mareggiate, specificatamente quando "il temporale era già fatto" e issata quando il mare si era ancora placato. Gli equipaggi erano costituiti in prevalenza da giovani forzuti pescatori che, anche se "il temporale era già fatto" (cioè con la caduta del vento, quando cioè le onde si presentano con profili semplici, non frastagliati - marevecchio), dovevano ugualmente affrontare i pericoli di un mare ancora fortemente agitato. La rete era di cotone, tessuta con filo di grossa sezione, perché doveva servire a catturare i palombi, squaloidi del peso di 15/20 chilogrammi, che accostavano durante le tempeste marine. La pesca con la "palummara" non viene più esercitata perché le prede sono divenute rarissime. Le poche che di tanto in tanto accostano - peraltro di piccole dimensioni - vengono talvolta catturate dai "bulèstrici". _____________________ tratto da "Il Golfo di Catania e i suoi pescatori" di Pippo Testa e Mimmo Urzì - Edizioni Greco, Catania - 1992
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Pesce affusolato che può raggiungere e a volte superare gli 80 cm di lunghezza; il capo è ampio e piuttosto appiattito, la bocca è larga e munita di denti aguzzi e taglienti, le pinne dorsali differiscono fra loro: la prima triangolare ha pochi raggi, la seconda di altezza inferiore si sviluppa per buona parte del dorso; pinna caudale triangolare di colore grigio argentato. Il ciclo biologico del nasello è conosciuto soprattutto per quanto riguarda l’Adriatico: i naselli adulti vivono a profondità elevate 100-200 m, in Adriatico nei pressi della fossa di Pomo; la riproduzione avviene tutto l’anno e dalle profondità si ha l’emissione verso la superfice di uova da parte degli adulti, ogni femmina ne emette diversi milioni.
Dalle uova planctoniche si sviluppa la larva, i giovani naselli conducono una vita pelagica predando soprattutto crostacei. Con la crescita migrano in profondità e cambiano alimentazione, pesci e cefalopodi entrano a far parte della loro dieta; raggiunta la maturità sessuale si insediano sui fondali più profondi. Il nasello è sottoposto ad un intensa pressione di pesca; grazie al suo particolare modo di vita riesce comunque a mantenere una popolazione relativamente abbondante. Gli adulti sfuggono alla cattura con le reti e assicurano un costante incremento della popolazione, tuttavia questa specie è oggi minacciata, soprattutto in Adriatico, per la recente diffusione della pesca con i palamiti di profondità ai quali abboccano soprattutto gli adulti e per lo strascico che con le moderne tecnologie si spinge fino alle aree di riproduzione un tempo non raggiungibili.
E' una specie necto-bentonica, presente in tutti i mari italiani, dove vive a profondità variabili da 70 a 700 m. La distribuzione batimetrica del nasello cambia in relazione all'alimentazione ed alla riproduzione. Il nasello è una specie longeva, può raggiungere 20 anni di età e più di un metro di lunghezza. Il nasello mediterraneo è la più importante specie commerciale per diverse marinerie italiane; si pesca con reti da traino, tremagli di profondità e palamiti. Il pescato è composto prevalentemente da giovani; quelli di taglia grande sono catturati al di sotto dei 200 m di profondità. Ha carni bianche e delicate, si può consumare fresco o congelato; il consumo da fresco offre più garanzie rispetto all’origine. Vi è una specie africana senegalese molto simile venduta di solito congelata. In molte regioni italiane viene chiamato “merluzzo”, non deve essere però confuso con il merluzzo del Mare del Nord venduto di solito essiccato con il nome di baccalà o stoccafisso.
Il Pesce San Pietro è una varietà di pesce di acqua salata, appartenente alla famiglia delle Zeidae. Si tratta di un animale solitario, che predilige una vita isolata, piuttosto che condivisa con un gruppo di simili. Si riproduce in diversi periodi dell’anno, in base al luogo in cui vive, e si nutre principalmente di piccoli pesci, cefalopodi e crostacei, catturandoli con un’improvvisa apertura della bocca. La caratteristica fisica principale del Pesce San Pietro sta nella macchia scura sul fondo bianco della pelle: la leggenda narra che sia stato San Pietro in persona a catturare questo pesce con le mani, imprimendogli il tocco delle dita, visibile ancora adesso. Si tratta di un pesce che può raggiungere i 90 cm di lunghezza e gli otto chili di peso. Il corpo è ellissoidale, particolarmente schiacciato e la bocca è larga, a formare di imbuto quando è spalancata. Gli occhi sono grandi e la testa presenta diverse protuberanze e spine. Presenta lunghe appendici filamentose che si propagano dalla spina dorsale. Le pinne pettorali sono di dimensioni medie, quelle ventrali piuttosto lunghe, mentre quella caudale è trasparente e tondeggiante. Il Pesce San Pietro predilige fondali sabbiosi, ad una profondità di circa 200 metri, delle acque temperate e tropicali, in particolare nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Spesso si trova anche al livello costiero, e non è raro catturarlo in acque basse. Per 100 grammi di prodotto il Pesce San Pietro offre un valore energetico di 77,4 kcal., 16,2 grammi di proteine, 1,2 grammi di carboidrati e 0,9 grammi di grassi. Si conserva a -18° fino alla data di scadenza, a -12° per un mese, a -6° per una settimana e per tre giorni nello scomparto del ghiaccio. In frigorifero può essere conservato per un giorno e si consuma entro le 24 ore, previa cottura. Il Pesce San Pietro viene considerato pregiato e le sue carni sono molto saporite: è tenero e semplice da pulire, le sue lische sono poche e facilmente individuabili data la grandezza. Il sapore ricco della carne si sposa con il valore nutrizionale ottimale del prodotto. Prima di essere consumato è necessario pulire accuratamente il pesce, lavandolo ed eviscerandolo. Si consiglia di consumarlo nella sua interezza, anche se molti preferiscono cucinare esclusivamente i filetti più carnosi. Per il suo valore nutritivo piuttosto contenuto, il Pesce San Pietro viene prediletto da chi è attento alla linea e, spesso, inserito all’interno di diete ipocaloriche e piatti light. Per il suo gusto deciso, è un alimento estremamente versatile ed al centro di numerose ricette della cucina italiana. Il Pesce San Pietro può essere cucinato all’acqua pazza, in un unico piatto a base di pesce e verdure: si tratta di una ricetta facile e veloce e particolarmente indicata per il periodo estivo, data la freschezza degli ingredienti. Può essere servito appena cotto o freddo, in ogni caso manterrà la sua consistenza fresca e succosa. Nel periodo autunnale è consigliato cucinare questo pesce in crosta di patate: si tratta di un secondo piatto ottenuto dai filetti del pesce cotti in forno su un letto di patate e olio di oliva. Un piatto saporito, ma semplice da preparare, spesso preferito durante le feste natalizie. Se cuciniamo, invece, il Pesce San Pietro al forno con aggiunta di asparagi e olive, otterremo un ottimo connubio fra il mare e la campagna, in una ricetta di semplice realizzazione, ottima come secondo piatto. Per i bambini che hanno qualche difficoltà a mangiare il pesce, si consiglia di preparare i filetti alla milanese, in quanto si presentano nel piatto come una classica cotoletta di carne impanata e fritta. L’impanatura è fatta con uovo e pangrattato e la cottura avviene nel burro, rendendo la frittura leggera e priva di residui oleosi. fonte: http://www.chioggiapesca.it/?pesci=pesce-san-pietro
Pesci alla Pescheria di Catania
PESCATI PREVALENTEMENTE AL BOLENTINO O MULINELLO. VISTE LE LORO DIMENSIONI, SE NE CONSIGLIA LA FRITTURA OPPURE UTILIZZARLI IN UNA ZUPPA.
Il pesce prete (Uranoscopus scaber) vive praticamente in tutto il Mediteranno nascosto tra la sabbia a profondità comprese tra i 10 ed i 100 metri. È anche conosciuto come pesce lanterna o lucerna. È un pesce assolutamente inconfondibile a causa della testa molto grande e piatta con occhi, narici e bocca rivolti verso l’alto. La bocca è molto grande ed armata di denti appuntiti con un’appendice vermiforme inserita sulla mandibola. Dietro l’opercolo branchiale sporge una lunga e robusta spina velenifera. Le pinne dorsali sono due: la prima è piccola, di colore nero e di forma triangolare mentre la seconda è lunga ed opposta alla pinna anale, le pettorali sono grandi e la pinna caudale tronca. Il colore è bianco sul ventre e sulla pinna anale mentre il dorso ed i fianchi sono bruni, talvolta con macchiette chiare. Il pesce prete raggiunge i 30 cm di lunghezza anche se le catture si aggirano sempre sui 15 cm.
Questa specie ha degli organi elettrici dietro gli occhi, le scariche che producono sono debolissime e la loro funzione non è ben nota. Il fatto che vi sia una grossa differenza tra le caratteristiche delle scariche emesse dal maschio e dalla femmina pare suggerire che quest’attività elettrica abbia un ruolo nel corteggiamento. Si tratta di un predatore che si nutre di piccoli pesci che cattura grazie ad una tecnica simile a quella di tutti i pesci piatti. Il pesce prete infatti rimane infossato sulla sabbia per tutta la parte della giornata agitando in acqua un piccolo filamento boccale per attirare le prede. Se una preda si avvicina viene immediatamente divorata con una rapidità di cattura incredibile. Il pesce prete si riproduce in tarda primavera immettendo in acqua delle uova pelagiche. I piccoli pesci una volta raggiunti i 5 cm migrano verso il fondale dove condurranno per tutta la vita uno stile bentonico. http://www.ilgiornaledeimarinai.it/il-pesce-prete-uranoscopus-scaber/
Il
garizzo ha corpo ovale, muso appuntito e occhi grandi. La
colorazione è grigio bruna sul dorso e argentea sui fianchi, al
centro del corpo al di sotto della linea laterale si trova una
macchia rettangolare scura. Raggiunge una lunghezza massima di
U pisci bannera (o Cepola)
Ha corpo nastriforme e lungo, che si restringe verso l'estremità posteriore. La pelle è ricoperta di squame piccolissime, ovali, non disposte a embrice e con superficie liscia. La testa è corta, con muso breve e tronco e con occhio relativamente molto grande. L'apertura boccale è obliqua e ampia e la mascella superiore è protrattile. Denti abbastanza sviluppati e ricurvi indietro Ha una sola pinna dorsale che partendo dalla regione nucale arriva fino alla coda ed è formata da 67 o 68 raggi. L'anale, con 60 raggi, ha un andamento simile alla dorsale. Le pinne pettorali e ventrali sono corte e il loro margine libero è tondeggiante. La caudale è a pennello, con molti filamenti. La colorazione è rossa, più scura dorsalmente e sfumata al rosa argenteo ventralmente. I fasci muscolari traspaiono con tonalità più scure da sotto la pelle. Le pinne pari sono rosa o giallo-arancio e la caudale è rossa. Presente una macchia rossa tra il 5° e il 10° raggio della pinna dorsale. E' un pesce che vive sui fondali fangosi e detritici fino a circa 200 m di profondità. Si riproduce in primavera. Si alimenta di plancton, di larve di altri organismi e di piccoli crostacei. Si pesca con le reti a strascico sui fondi fangosi e detritici. Arriva al massimo a 60 cm di lunghezza. Ha carni molle e non sempre apprezzate. Presente su tutte le coste italiane, più comune nell'Adriatico.
COME nasce la sabbia? In molti modi, ma quello che stiamo per illustrarvi potrebbe sorprendervi. Parleremo di un pesce che tritura il corallo e lo trasforma in sabbia finissima: il pesce pappagallo. Il pesce pappagallo vive nelle acque tropicali di tutto il mondo. Ingerisce pezzi di corallo sminuzzato, ne ottiene dei minuscoli bocconi di cui si nutre ed espelle il resto sotto forma di sabbia. Per riuscire a macinare il corallo, il pesce pappagallo si serve di forti mascelle a forma di becco e di robusti denti situati nella faringe. Alcune specie possono vivere anche vent’anni, senza che i denti si consumino. In alcune zone è più la sabbia prodotta da questo pesce con il suo intenso lavoro di sbriciolamento del corallo di quella che si forma con qualunque altro processo naturale. Alcuni ricercatori calcolano che in genere un pesce pappagallo produce un centinaio di chili di sabbia ogni anno. Il pesce pappagallo svolge un altro importante compito. Contribuisce alla pulizia del corallo raschiando a fondo la parte ormai morta che si ricopre di alghe e altri organismi vegetali. La particolare dieta del pesce pappagallo serve perciò a mantenere in buone condizioni la barriera corallina. Dove mancano questi o altri pesci erbivori, la barriera si infesta velocemente di alghe e altre forme vegetali marine. Come spiega un libro sull’argomento, “si ritiene che se non fosse per gli erbivori le barriere coralline come le conosciamo oggi non esisterebbero” (Reef Life). Tutta questa attività durante il giorno richiede il giusto riposo la notte, e anche in questo il pesce pappagallo risulta piuttosto originale. Di notte la barriera corallina è piena di pericoli a causa dei molti predatori in agguato. Il pesce pappagallo normalmente dorme in una fenditura tra le rocce, ma non sempre questo nascondiglio basta a proteggerlo da uno squalo affamato. Per stare più al sicuro, alcuni pesci pappagallo si “coprono per la notte”. Secernono cioè un muco protettivo trasparente nel quale si avvolgono come fosse una camicia da notte. Alcuni biologi marini ritengono che questo involucro maleodorante li protegga dai predatori. Il pesce pappagallo è tra i pesci più appariscenti e attraenti della barriera corallina. Maschi e femmine spesso si rivestono di colori sgargianti, che poi mutano andando incontro all’età adulta. Ma la cosa più bella è che questo pesce, nelle zone in cui non è oggetto di pesca indiscriminata, risulta piuttosto avvicinabile. Per questo motivo è molto facile osservarlo. Avvicinarsi a un pesce pappagallo e ascoltarlo mentre sgranocchia il corallo è un’esperienza che pochi visitatori della barriera corallina dimenticano. E mentre il pesce pappagallo sfoggia tutta la sua eleganza, mantiene l’ambiente pulito per il bene delle creature della barriera corallina e per la gioia degli esseri umani. FONTE: https://www.jw.org/it/pubblicazioni/riviste/g201506/pesce-pappagallo-fabbrica-sabbia/
Donzella (in Sicilia nzuraddo o viriola) Il corpo è affusolato, compresso lateralmente ed ha squame piccole, che sono 73-80 sulla linea laterale. Quest'ultima è parallela al profilo dorsale e non è molto evidente. La pelle è protetta da un leggero strato di muco. La testa é conica, con occhi piccoli e rotondi. La bocca è minuta ed è dotata di labbra carnose, non molto sviluppate. I denti si trovano su due file per ogni mascella e i due anteriori sono più grandi e caniniformi; la serie interna ha denti piccolissimi. La pinna a dorsale (9 raggi spinosi e 12 molli) è unica; i primi tre raggi sono più grandi ed evidenti. L'anale (3 raggi spinosi e 11-12 molli) è sviluppata e lunga più della metà della dorsale. Le pettorali e le ventrali sono corte e spatolate. La caudale ha il margine posteriore arrotondato. La colorazione è vivace e nella livrea degli esemplari più grossi vi è quasi sempre una macchia nera all'altezza delle pettorali. Le livree sono indipendenti dal sesso, tanto che possono trovarsi maschi e femmine con entrambe le livree. Frequenta le zone costiere con fondo roccioso o detritico e sassoso. Di notte ha l'abitudine di seppellirsi nella sabbia del fondo e nella stagione invernale si spinge anche a oltre 120 m di profondità. Di giorno è molto attiva e va alla ricerca di molluschi, echinoidi e crostacei, di cui si nutre. E' una specie ermafrodita proteroginica e si riproduce da aprile a luglio; le uova sono pelagiche e galleggianti. Si pesca con nasse e abbocca facilmente alle lenze. E' ottimo per la zuppa di pesce o per fare un brodetto con cui condire gli spaghetti. I maschi adulti possono raggiungere la dimensione massima di 25 cm. E' frequente ovunque.
E' la sola specie del genere presente nel Mediterraneo, con tre varietà riferite alla colorazione della livrea (lineolata, unimaculata e torquata, quest'ultima, di taglia maggiore e di sesso maschile, si distingue per la fascia verticale ciano bordata di rosso e frequenta acque più calde. Ha corpo fusiforme compresso lateralmente. La testa è priva di squame ed ha bocca piccola, con denti in una sola fila nelle mascelle; i due centrali sono uncinati e più grandi. Le narici sono piccole e poste davanti all'occhio. Le squame sono grandi, 26-31 lungo la linea laterale, che segue il profilo del dorso quasi fino alla fine della dorsale. Quest'ultima è unica e ha più raggi molli che spinosi; l'altezza è uniforme. L'anale è lunga e bassa e la codale è più o meno forcuta (nei maschi adulti è quasi filamentosa agli estremi). Le pettorali e le ventrali hanno la stessa altezza di inserzione della dorsale. La colorazione è vivace, nella unimaculata è presente sempre una macchia nella parte dorsale, nella forma lineolata la macchia nera e la tinta violacea spariscono in modo da evidenziare le squame verdi con sottili striature verticali rosse (la testa è rosso scarlatta con vermicolazioni azzurre), nella forma torquata il corpo si colora di verde azzurro con una fascia verticale ciano brillante, bordata su ogni lato da rosso scarlatto. La pinna dorsale è bordata superiormente di celeste in tutte e tre le varietà. L'anale ha fasce colorate, ed il margine libero è verde. La codale è azzurra con raggi rossi, le pettorali hanno una macchia nerastra all'estremità e le ventrali variano dal giallo al verdastro fino al rosa violaceo. E' una specie costiera e abita fondi rocciosi fino a circa 20 m di profondità. La varietà unimaculata spesso si trova in gruppi numerosi, mentre le altre due varietà sono quasi sempre isolati. La riproduzione avviene da giugno a luglio, il maschio, nella sua splendida livrea, è super vivace e scaccia con forza ogni intruso. Le uova sono pelagiche, molto simili a quelle della donzella. L'alimentazione è carnivora e come quella degli altri labridi. Si pesca occasionalmente con nasse e tramagli. Abbocca di rado alle lenze. La dimensione massima è intorno ai 20 cm per la varietà torquata, 10 cm per l'unimaculata. Presente nel Mediterraneo, specie nella parte meridionale, raro nel Mar Ligure e nell'Adriatico settentrionale, comune nel Tirreno centrale ed al sud.
Corpo
meno allungato di quello del suo congenere S. cabrilla, abbastanza
alto non molto compresso, coperto di scaglie abbastanza grandi
ctenoidi. Le guance e gli opercoli sono muniti di scaglie; ne è
privo il muso (acuto e affilato). Occhio proporzionalmente meno
grande di quello della perchia. Bocca ampia obliqua con la mandibola
lievemente più avanzata della mascella, che è protrattile. La
bocca è munita di denti piccoli, insieme ad altri più grandi a
forma di canini e volti indietro. Tre spine all'angolo superiore
dell'opercolo e margine posteriore del pre-opercolo seghettato.
Sciarrani assieme ad altre varietà per zuppe, alla Pescheria di Catania
Spesso si incontra vicino alle tane dei polpi. E' comune in prossimità della costa, ma sempre su fondi rocciosi e non sulla sabbia e raramente sui fondi ghiaiosi privi di vegetazione. Le due porzioni (ovarica e testicolare) giungono a maturitá in tempi quasi coincidenti, rendendo così possibile l'autofecondazione. Si trovano adulti con i prodotti sessuali maturi nei mesi da maggio a luglio e le loro uova sono sferiche, trasparenti con goccia oleosa lievemente più piccola della specie congenere. Sia le uova che gli stadi larvali sono pelagici. Si nutre soprattutto di pesci più piccoli. Abbocca sia alle lenze a mano che ai palangresi, e si cattura anche con i tramagli e con le nasse. Ha dimensioni tra i 15 e i 20 cm. E' diffusa in tutto il Mediterraneo. In Italia è molto comune specie nel Tirreno. “U Buddaci” è un pesce che vive alla giornata, dotato di grossa testa e di una bocca grande e piena, capace di inghiottire di tutto. Ironicamente alla stessa specie appartengono i messinesi, o buddace, perché creduloni, chiacchieroni a vuoto e politicamente indifferenti.
Nel Mediterraneo la famiglia è presente con una sola specie. Ha corpo ovale piuttosto alto e compresso lateralmente, coperto di squame molto grandi (da 24 a 30 lungo la linea longitudinale massima). L'opercolo è rivestito di quattro serie di squame e porta una debole spina all'angolo postero-superiore. Il preopercolo è leggermente seghettato all'angolo e al margine inferiore. L'occhio è relativamente grande, la bocca è piccola e tagliata obliquamente. In ambedue le mascelle vi sono minutissimi denti conici villiformi, collocati in quattro serie. Ha una sola pinna dorsale distinta in due parti, di cui la prima, composta di raggi spinosi, è più lunga, mentre la seconda è più alta e a forma di lobo, a contorno tondeggiante. L'anale è circa un terzo della dorsale e un poco più bassa e la codale è profondamente forcuta. Le pettorali sono lunghe all'incirca quanto la testa e di forma spatolata e le ventrali posseggono il primo raggio molle notevolmente prolungato e terminante in punta.
La linea laterale segue il profilo del dorso fino all'estremità della pinna dorsale, si interrompe a tale altezza per riprendere più in basso, poco visibilmente, al centro del peduncolo codale. La colorazione è castagno scuro o caffè nel dorso e sui bordi delle scaglie, che sono più chiare al centro, in modo da far apparire il pesce come striato longitudinalmente. Allo stato giovanile ha una colorazione intensamente azzurra, quasi luminescente. Ha abitudini quasi pelagiche ma in stretta vicinanza della costa, si incontra in branchi numerosi, come sospesi a mezz'acqua. Gli stadi giovanili presentano fotofobia e si ritrovano ammassati in vicinanza delle scogliere nei punti più oscuri e più in ombra, all'ingresso delle grotte o delle cavità delle rocce. La riproduzione avviene nei mesi da giugno a luglio. Le uova sono munite a un polo di un ciuffetto filamentoso adesivo col quale vengono fissate sulle rocce o in altre zone adatte. Dopo 70 ore dalla fecondazione la larva è già sgusciata ed è lunga poco più di due millimetri e mezzo. L'alimentazione è carnivora e si nutre di organismi dello zooplancton, specialmente di copepodi e altri crostacei. Si può catturare coi tramagli e con le nasse, oppure con retini a bilancia innescati con esche adatte. Arriva a 15 cm. di lunghezza totale, ma la misura media è 8-12 cm.
MUNACEDDI Il pesce, da sempre, rappresenta una portata di notevole interesse gastronomico. In fatto però di gusti, è chiaro che ci si regola secondo i propri: c'è chi preferisce il pesce cosiddetto a fetta (pescispada, pagri, ricciole, ecc.), chi invece quello che i buongustai definiscono con le spine (donzelle, girelle, castagnole o "munaceddi", ecc.). Questi ultimi, che sono pesci piccoli per costituzione, di color marrone con macchie nere, si catturano con un attrezzo chiamato, appunto, "munaciddaru" il quale è costituito da un cerchio di tondino di ferro del diametro di quattro metri circa che porta una rete a piccola maglia, a forma di cono rovesciato. Al cerchio sono legate quattro cordicelle le cui estremità sono congiunte ad un'altra corda che fa capo alla barca. All'interno della rete viene calato - a parte - un contenitore di piombo entro cui viene sistemata, a guisa di pastetta, la mangianza (pane, formaggio, ecc.). Detto contenitore viene quindi manovrato dal marinaio in modo tale che la mangianza si sparpagli all'interno della rete e possa così attirare i piccoli pesci. Dopo aver atteso pazientemente che i pesci si "inquadrino" nell'area dell'attrezzo, questi si trae a bordo molto velocemente affinché essi non escano dalla rete. I "munaceddi" - quelli più grossi - diventano una ghiottoneria cucinati in umido con cipolla e pomodoro. Quelli più piccoli, invece, vengono solitamente cucinati "fritti 'ncastagnati", con contorno di cipolle di Calabria, oppure di peperoni arrostiti. La bontà del pesce pescato nel nostro mare, in particolare quella di "opi" e "munaceddi", è ricordata persino da una vecchia canzone ormai dimenticata: _____________________ tratto da "Il Golfo di Catania e i suoi pescatori" di Pippo Testa e Mimmo Urzì - Edizioni Greco, Catania - 1992
Appartenente
alla famiglia dei gobidi, è un pesce di modeste dimensioni, il
maschio raggiunge una lunghezza
massima di
Come
sopra. Appartenente
alla famiglia dei gobidi, è un pesce di modeste dimensioni, il
maschio raggiunge una lunghezza massima di
Il pesce pettine è un Labride dal corpo molto schiacciato sui fianchi e con profilo della testa quasi verticale; la bocca è piccola, situata in basso e con due 2 denti acuti in ciascuna mascella, i denti inferiori sporgono anche quando il pesce ha la bocca chiusa. La superficie del corpo è scivolosa: la livrea femminile è di color roseo, rossastro o giallastro, leggermente più scuro sul dorso, mentre le guance e l’opercolo sono striati trasversalmente di blu; quella maschile è verde-grigia; gli esemplari piccoli sono rosa. Il pesce pettine è una specie ermafrodita proteroginica (inizialmente è femmina, successivamente a circa 17 cm di lunghezza avviene l’inversione sessuale); si riproduce in estate e vive circa 5 anni. Solo in rari casi raggiunge i 25 cm di lunghezza, è più frequente attorno ai 15 cm.
Si nutre di molluschi (principalmente bivalvi e gasteropodi), echinodermi e di crostacei. Quando si sente in pericolo si infossa rapidamente nella sabbia con il capo in avanti, scavando una buca profonda fino a 20 cm; passa in quel modo quasi tutto l’inverno. Il pesce pettine è abbastanza comune alle Isole Eolie, lungo la costa calabra (dove è chiamato “surice”) e siciliana; si trova solitamente su fondali sabbiosi e fangosi o coperti di vegetazione, a 15-35 m di profondità. In inverno scende a profondità maggiori. È distribuito, oltre che in Mediterraneo, in Atlantico orientale ed occidentale; abita le coste atlantiche africane e penetra nelle acque dell’Egeo. Il pesce pettine si cattura con tremagli, sciabiche e abbocca facilmente anche alle lenze. Quando il pescatore tenta di staccarlo dalla lenza può voltarsi di scatto per mordergli le mani e i sui denti sono così affilati che, per quanto piccoli, possono causare anche qualche fastidio. Il pesce pettine è una specie particolarmente apprezzata in Calabria, ha una carne bianca, compatta, di ottimo sapore. Un modo in cui se ne suggerisce la cottura è fritto.
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