Il nome Aci
Castello deriva dall'omonimo castello posto su un vicino
colle di pietra lavica e costruito nel 1076 dai Normanni. Il
primo borgo venne fondato intorno al castello e venne ceduto
dal conte normanno Ruggero ai vescovi di Catania. Intorno al
1170 venne completamente distrutto da un terribile terremoto
e solo nel 1530 fu ripopolato con l'annessione dei vicini
paesi di Ficarazzi e Aci Trezza. Nel 1647 appartenne alla
nobile famiglia Massa e ad essa rimase sino all'abolizione
del regime feudale.
Di notevole
interesse architettonico risultano essere la Chiesa Madre
con notevoli affreschi opere di Pietro Vasta (1697-1760) e
il Castello normanno, oggi sede di un Museo, costruito con
pietra lavica proveniente dal monte Etna.
È interessante
ricordare che il primo caffè letterario di tutta Europa ebbe
sede in Francia e venne fondato nel 1686 da Procopio dei
Coltelli nativo di Aci Trezza, oggi frazione di Aci
Castello, col nome di Cafè Procope per far conoscere in quel
luogo gli ottimi gelati siciliani.
Il Castello
Durante il periodo della colonizzazione greca prima, e della
dominazione romana poi, sicuramente la rocca sulla quale si
erge il castello normanno fu frequentata per la sua
posizione strategica, che permetteva il controllo del mare e
del passaggio delle navi dirette verso lo stretto di
Messina. Sebbene non si siano conservati resti di strutture
di tale periodo, a causa probabilmente della distruzione
delle fortezze costiere operata dagli Arabi, gli scrittori
antichi ci hanno lasciato il ricordo di famose battaglie
navali combattute in queste acque (Diodoro Siculo ci ricorda
quella tra lmilcone cartaginese e Leptine siracusano).
Anche i
rinvenimentì archeologici, soprattutto quelli sottomarini,
esposti nelle vetrine del Museo Civico, attestano l'antica
frequentazione di questi luoghi.
per gentile concessione di Salvo Olimpo ph
L'arrivo degli
Arabi fu segnato da un periodo sanguinoso di guerre e
distruzioni, testimoniato dagli stessi scrittori arabi.
La fortezza
sulla rupe fu distrutta dall'emiro lbrahim nel 902. Non si
sa con esattezza se il Califfo Al Moez, nel 909, fece
riedificare sulla rupe una fortificazione (kalat), che
doveva far parte di un più vasto sistema difensivo atto a
proteggere l'abitato di Aci (Al-Yag). Tra il 1071 e il 1081,
nell'ambito della conquista dell'isola da parte dei normanni
Roberto il Guiscardo e Ruggero d'Altavilla, si deve porre la
costruzione del castello di cui ancora oggi si possono
visitare le strutture superstiti ed ammirare gli splendidi
archi a sesto acuto. Il castello fu in seguito concesso ai
vescovi di Catania che proprio qui, nel 1126, ricevettero le
sacre reliquie di Sant'Agata, riportate in patria dalla
città di Costantinopoli dai cavalieri Goselino e Gisliberto.
Sono ancora visibili, all'interno di un ambiente che
probabilmente era una piccola cappella, i resti di un
affresco che ricorda appunto la consegna delle sacre
reliquie della Santa al vescovo Maurizio.
L'affresco,
purtroppo, versa in uno stato di avanzato degrado,
soprattutto a causa di "romantici" visitatori che hanno
graffito su di esso il loro nome.
Nel l169 una
disastrosa eruzione investì il paese di Aci e raggiunse
perfino la rupe che fino ad allora emergeva dal mare,
isolata dalla terraferma; la colata colmò il braccio di mare
antistante la rupe, rendendo inutile il ponte levatoio che
serviva a congiungere il castello al paese.
Il possesso del
castello rimase ai vescovi dì Catania fino al 1239.
Quando però il
vescovo Gualtiero di Palearia fu rimosso dal suo incarico da
Federico II di Svevia, il castello entrò a far parte del
Demanio Regio. Poco più tardi, durante il breve periodo
angioino (che si concluse con la rivolta dei Vespri
Siciliani del 1282), il castello tornò nuovamente in
possesso dei vescovi di Catania.
Dalla fine del
XIII secolo fino all'età dei Viceré, il castello fu
testimone della lunga lotta che contrappose gli aragonesi di
Sicilia agli angioini di Napoli. Federico III d'Aragona, re
dì Sicilia, tolse il fondo di Aci ed il relativo castello ai
vescovi di Catania e lo concesse all'ammiraglio Ruggero di
Lauria come premio per le sue imprese militari.
il porticciolo di Acicastello
Quando però
quest'ultimo passò dalla parte degli angioini, il re fece
espugnare il castello (1297) entro il quale si erano
asserragliati i ribelli. Per riuscire nell'impresa il re
fece costruire una torre mobile, dì legno, chiamata
"cicogna" (essa era alta quanto la rupe lavica ed aveva un
ponte alla sommità per rendere agevole l’accesso al
castello). Nel 1320, su concessione ancora di Federico III,
il possedimento di Aci andò a Blasco d'Alagona ed in seguito
al figlio Artale. Nel 1354, durante un assalto del
maresciallo Acciaioli, inviato in Sicilia per ordine di
Ludovico d'Angiò, il castello fu espugnato e devastato il
territorio di Aci. Artale in breve tempo organizzò una
flotta, usci dal porto di Catania e vinse gli angioini in
una dura battaglia navale condotta nel tratto di mare tra
Ognina ed il castello. In seguito a questa battaglia,
passata alla storia come "lo scacco di Ognina", il castello
fu liberato.
Nel 1396 il
castello, allora in possesso di Artale II d'Alagona, fu
nuovamente espugnato da Martino il Giovane (nipote di Pietro
lV, re d'Aragona), il quale era sbarcato in Sicilia dopo
aver contratto matrimonio nel 1391 con la regina Maria,
unica figlia di Federico lV ed ultima erede al trono
aragonese di Sicilia.
Martino,
approfittando dell'assenza di Artale II, riuscì nell'impresa
dopo aver guastato il sistema di approvvigionamento idrico
del castello, mentre l'Alagona, che aveva fatto di Aci e di
Catania l'epicentro della sua accanita resistenza contro la
presenza di Martino in Sicilia, raggiunto frettolosamente il
suo possedimento non poté far altro che constatare la
propria sconfitta e la perdita del castello, ormai dato alle
fiamme. Spesso d'estate il Comune di Acicastello ripropone
la rappresentazione di tale avvenimento storico, che per la
sua suggestività richiama grande afflusso di pubblico.
Martino fece del
castello la sua stabile dimora insieme a Bianca di Navarra
divenuta sua sposa nel 1402 dopo la morte della prima
moglie, la regina Maria. In questo periodo il castello
conobbe un breve periodo di splendore in cui furono
organizzate feste e lussuosi ricevimenti. Alla morte di re
Martino, Bianca, nominata vicaria di Sicilia da Martino II
succeduto a Martino il giovane, lasciò il castello a
Ferdinando il Giusto di Castiglia, nuovo re di Sicilia
(1412).
Nel 1416 il
primo viceré di Sicilia, Giovanni di Castiglia, ordinò
alcune opere di ristrutturazione del castello, per le quali
stanziò la cifra di 20 onze d'oro.
Giacinta
Pezzana
(Torino, 28 gennaio 1841 – Aci Castello, 4
novembre 1919) è stata un'attrice teatrale
italiana.
Iscrittasi all'Accademia Filodrammatica di
Torino nel 1857, fu respinta per mancanza di
attitudini l'anno seguente; continuò quindi gli
studi nella scuola di Carolina Gabusi Malfatti.
Esordì in teatro nel 1859 con la compagnia
Prina-Boldrini; passò quindi nella compagnia
piemontese Toselli, una compagnia dialettale
nella quale ottenne i suoi primi successi. Nel
1862 diventò prima attrice nella compagnia
Dondini, accanto ad Ernesto Rossi. Il suo
repertorio comprendeva le tragedie di William
Shakespeare, le commedie di Carlo Goldoni e i
drammi romantici.
Nel 1863 sposò lo scrittore Luigi Gualtieri, dal
quale si separò alcuni anni dopo.
Nel 1865 passò nella compagnia di Luigi Bellotti
Bon, e nel 1868 nella compagnia del Teatro dei
Fiorentini di Napoli. Costituì quindi una sua
compagnia, insieme con Luigi Monti e Guglielmo
Privato. Nel 1873 partì per una lunga tournée in
Spagna, Portogallo, in Sud America e nell'Europa
orientale, rientrando in Italia per una breve
pausa nel 1877. Nel 1879 al Teatro dei
Fiorentini portò in scena Teresa Raquin di Émile
Zola, considerata la sua interpretazione più
celebre; gli altri interpreti del dramma erano
Giovanni Emanuel e una giovanissima Eleonora
Duse.
Lasciata l'attività regolare, negli anni
successivi Giacinta Pezzana fece solo sporadiche
apparizioni e nel 1887 si ritirò ad Acicastello.
Tornò sulle scene nel 1895, ma non per stagioni
regolari, salvo qualche breve eccezione. Nel
1910 fece un'altra tournée in Sud America, e si
stabilì per qualche tempo a Montevideo, dove
aprì una scuola di recitazione.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale rientrò
in Italia. Nel 1915 interpretò il suo unico
film, Teresa Raquin, diretto da Nino Martoglio.
Si ritirò definitivamente ad Aci Castello, dove
morì nel 1919.
La Pezzana incarnò un nuovo modello di attrice a
cavallo tra Ottocento e Novecento: sobria,
elegante, dotata di fisico statuario[1],
trasformò i personaggi da lei interpretati
creandoli da capo e dando loro un respiro
"altro" rispetto alla consueta visione che si
aveva di essi[2]. Fu maestra ammirata di
Eleonora Duse e donna emancipata, come
testimoniano le sue epistole con alcuni
personaggi femminili dell'epoca tra i quali
Sibilla Aleramo. Ancora prima di Sarah Bernhardt
recitò en travesti il ruolo di Amleto,
dimostrando grande coraggio e spirito di
innovazione. |
Successivamente,
nel 1421. il viceré Ferdinando Velasquez divenne il nuovo
signore del castello e del feudo di Aci, per il quale pagò
al re Alfonso il Magnanimo la somma di 10.000 fiorini. Alla
morte del Velasquez, il castello tornò al demanio regio di
re Alfonso, che lo rivendette al suo segretario Giambattista
Platamone. Il successore di re Alfonso, Giovanni Il
d'Aragona, rivendicò il possesso del castello a Sancio,
discendente del Platamone. Questi si rifiutò di restituire
il castello, che di conseguenza fu assediato ed espugnato in
breve tempo; Sancio e suo figlio furono catturati e
segregati nel Castello Ursino di Catania, dove morirono.
Durante il XVI secolo il castello passò nelle mani di
diversi privati, finché fu adibito a sede di una guarnigione
che aveva il compito di segnalare i pericoli provenienti dal
mare alle popolazioni interne ed alle altre fortificazioni
vicine, poste lungo la costa. Allo stesso tempo il castello
assolveva la funzione di prigione: si hanno testimonianze
delle precarie condizioni in cui versavano i detenuti, che
spesso venivano lasciati morire d'inedia nelle segrete.
Anche un tesoriere comunale di Aci, Miuccio di Miuccio,
incarcerato nel 1595 per debiti contratti con il Municipio,
seguì la stessa sorte.
La prima
battaglia menzionata dalla storia fu quella che nel 414 a.C.
vide in lotta Magone generale cartaginese contro Leptine
siracusano. La vittoria dei Cartaginesi consolidò il loro
dominio sulla Sicilia Orientale. La posizione che il
Castello occupa non passò inosservata agli Arabi ed ai
Normanni, che tanta parte ebbero nella cultura della nostra
terra.
Distrutto in un
primo tempo (902) dagli Arabi fu poi ricostruito dal Califfo
Al‑Moez.
Circolò per anni
la leggenda che nel suo museo esistesse la testa del ciclope
Polifemo, in quanto per molto tempo si credette d'aver
trovato il cranio del Ciclope con un solo occhio. La scienza
ha vanificato questa leggenda, idenficando il cranio con
quello dell'elefante Falconeri, per l'appunto il nostro
elefante nano.
Non mancano a
completamento della sezione i fossili dei vegetali, tronchi,
foglie, alghe e i pesci fossili su tripoli del Messiniano
risalente a circa 8.000.000 di anni fa, periodo in cui,
chiusosi lo Stretto di Gibilterra, il Mediterraneo si
prosciugò lasciando grossi laghi.
L'uomo è stato
l'ultimo a comparire sulla terra ed ha seguito un lento e
faticoso processo detto appunto di ominazione. I calchi dei
crani acquisiti presso il Museo dell'Uomo di Parigi ci
consentono di seguire attraverso lo studio e l'analisi dei
tratti somatici
tutte le modificazioni che hanno portato
l'uomo da un aspetto simile alla scimmia all'aspetto
attuale.
A questa parte
si aggancerà la sezione archeologica con i manufatti del
paleolitico, mesolitico, neolitico nonché di età greca,
romana, medievale.
A ciò si
aggiungerà una sezione dedicata al materiale archeologico
subacqueo frutto in una recente donazione, che permetterà di
studiare la navigazione, la storia commerciale e storia
politica della nostra zona.
Interessante é
anche la notizia che nel 1571 ventiquattro prigionieri
preferirono arruolarsi nella spedizione navale che condusse
alla battaglia di Lepanto, piuttosto che continuare a stare
rinchiusi nelle tetre prigioni del castello.
Una tappa
fondamentale nella storia di Aci e del suo castello é l'anno
1528, quando l'imperatore Carlo V la rese libera da ogni
vassallaggio erigendola a Comune, dietro il pagamento di ben
72.000 fiorini.
Nel 1571, inoltre, si diede incarico a don
Vincenzo Gravina di definire lo stemma della città, rimasto
così fino ad oggi; lo stendardo veniva custodito all'interno
del castello e portato fuori per la festa patronale.
Nel seicento il
castello conobbe un rinnovato splendore, dovuto anche alla
radicale opera di ristrutturazione voluta nel 1634 dal re
Filippo III, che per l'occasione fece apporre una lapide
marmorea all'ingresso con la dicitura:
"PHILIPPUS III
DEI GRATIS REX HISPANIARUM ET INDIARUM ET UTRIUSQUE SICILIAE
ANNO DIVI 1634".
Esso venne anche
dotato di artiglieria, della quale é probabile testimonianza
il cannone murato sulla terrazza superiore.
Nel 1647 il
castello venne venduto da re Filippo IV di Spagna a Giovanni
Andrea Massa, che lo pagò 7.500 scudi.
"Madre e figlio"
(2002) di Antonio Santacroce
Il disastroso
terremoto che sconvolse la Sicilia orientale nel 1693 recò
al castello ingenti danni, che furono tuttavia riparati
negli anni successivi dai discendenti del Massa. Poche le
testimonianze relative al castello nel XVIII secolo, se si
esclude la leggenda di un povero cacciatore che venendo un
giorno a cacciare nelle vicinanze del castello, uccise per
errore una gazza di proprietà del governatore del castello,
uomo crudelissimo.
Questi fece
arrestare il cacciatore e lo fece segregare nelle prigioni
del castello, dove rimase ben 13 anni. Un giorno, saputo
dell'arrivo del Duca Massa, proprietario del castello, il
cacciatore compose un canto in suo onore; quando lo udì, il
duca volle conoscerlo e, appresane la triste storia, diede
subito ordine che venisse scarcerato.
Nel XIX secolo
il castello entrò a far parte del Demanio Comunale, ma nel
1818 un terremoto provocò nuovamente danni così gravi che
esso non poté più essere utilizzato come prigione. Carenti
le notizie storiche sulla seconda metà dell'ottocento; il
castello tuttavia ispirò in questo periodo a Giovanni Verga
la novella "Le stoffe del Castello di Trezza" che, tra
amori, tradimenti e fantasmi, narra le affascinanti vicende
di don Garzia e di donna Violante.
Il Castello dal Lungomare
Martinez
Agli inizi del
XX secolo il castello di Acicastello divenne deposito di
masserizie; durante la seconda guerra mondiale una grotta
della rupe venne usata come rifugio antiaereo.
Negli anni
1967-69 la Soprintendenza ai Monumenti della Sicilia
Orientale restaurò il castello; si trattò tuttavia di un
restauro poco filologico, del quale rimane in ricordo una
lapide all'ingresso.
Dal 1985, anno
di inaugurazione del piccolo museo posto all'interno del
castello, grazie alla promozione di diverse iniziative
culturali (mostre, convegni, visite guidate, concerti,
studio del materiale paleontologico ed archeologico), esso
sta via via assumendo sempre più la fisionomia ed il ruolo
che più si addicono ad un monumento storico ed
architettonico di tale importanza: non una muta
testimonianza storica, ma il centro propulsore di un vivo e
continuo dialogare tra i contemporanei ed il passato.
La
grotta sotto il castello
è un classico esempio di scolamento lavico, ove insieme alle
formazioni geologiche quali i «denti di cane» vive una fauna
tipica da grotta quali i ragni e i pipistrelli. I pochi
cocci rinvenuti parlano del periodo denominato
«Castellucciano», databile intorno al 1800‑1400 circa a.C.
In questa età, mentre in altre zone della Sicilia era uso
scavare le tombe a grotticella artificiale nel calcare,
nelle zone laviche intorno all'Etna (es. Adrano), data la
durezza della lava, si sfruttavano come sepolture le grotte
che si erano formate all'interno delle varie colate laviche
di età molto antica.
Certo è
necessario operare una ricerca approfondita nella zona al
fine di ben individuare i vari periodi archeologici che si
sono susseguiti nel territorio di Acicastello, visto che
esistono parecchie testimonianze che vanno dal neolitico al
periodo bizantino: resti di asce litiche, strumenti di selce
e ossidiana, ceramica preistorica, fram~ menti di età
greco~ellenistica, romana, bizantina. Le fonti classiche
parlano del fiume Aci e in relazione a questo fiume è la
statio di Acium a 9 miglia da Catania e a 24 da Naxos,
citata nell'itinerarium Antonini.
Vissuto sempre
ai piedi del Castello fu chiamato dagli Arabi «Al-Yag».
Esistono tracce di un passato medievale in un troncone di
mura costruite utilizzando la pietra lavica. Il suo nome è
legato alla leggenda del fiume Aci, che un'epigrafe
settecente~ sca posta sul prospetto della chiesa di S. Mauro
definisce «Acensitim faecunda parens»: madre feconda degli
Acesi.
I terribili
cataclismi del 1169, terremoto, maremoto, e una colata
lavica di notevoli diniensioni,, dispersero gli abitanti
della zona che si trasferirono nelle zone vicine. Colpito
dal terremoto del 1693 fu ricostruito nel 1718.
Costruito su
un'immensa rupe, prodotta da un'eruzione sottomarina,
formata da un ammasso di pillows di lava, il Castello
s'innalza scuro e imponente sulla piazza, come la prua di
un'immensa nave.
L'impianto
attuale di chiara impronta normanna lascia intravedere qua e
là resti di passate civiltà. Resti di una probabile porta
romana e una grotta che ricorda le tholos Micenee del XIII
sec. a.C. ci inducono a pensare che il Castello, proprio per
la sua posizione, sia stato abitato da civiltà diverse non
esclusi Fenici, Greci e Romani per i quali il nome era
«Rocca Satumia».
Lasciato il
borgo di Ognina, ha inizio uno dei più suggestivi litorali
della costa jonica di Sicilia, tre miglia di litorale
basaltico interrotto da sette grotte, battezzato Costa dei
Ciclopi. Risalendo, la prima località che s’incontra è Aci
Castello, facilmente riconoscibile per la rocca basaltica a
strapiombo sul mare, su cui è arroccato il Castello di
origine normanna, edificato come difesa costiera. La tappa
successiva il villaggio di pescatori di Aci Trezza con il
suo accogliente porticciolo turistico: due moli convergenti,
il Nord banchinato, che termina con una piccola darsena, e
il sud formato da due tronconi, orientati a est e nord-est.
C’è un piacevole via vai di barcaioli-taxi, di pescatori e
di imbarcazioni per la visita della Costa, il chiosco “Luna
Rossa” proprio sul molo e, sulla piazza del paese,
un’infinita scelta di trattorie e ristoranti di pesce.
«Terra vergine e
selvatica abitata da Ciclopi e Lestrigoni» così Omero
definisce la Sicilia e da qui è nata la leggenda
dell'identificazione dell'isola Lachea e dei faraglioni con
i massi che Polifemo, accecato e furente, scagliò contro
Ulisse e i suoi compagni.
Accanto a questa
leggenda è fiorita anche quella del fiume Aci, che ha dato
il nome ai vari paesi che attraversava. Il mite pastorello
Aci, era innamorato della dolce Galatea, ma Polifemo reso
folle dalla gelosia perchè pazzamente innamorato della
Ninfa5 uccide Aci con un enorme masso. Gli Dei, mossi a
pietà dallo strazio di Galatea trasformarono il pastorello
in fiume che scorrendo perenne, trova‑ pace e ristoro tra le
braccia di Galatea che l'attende nell'azzurro Ionio ove si
fondono in un abbraccio senza fine.
La fantasia
popolare ha probabilmente in tal modo spiegato eventi e cose
naturali, ammantandole di una dolce poeticità. Polifemo
potrebbe essere la personalizzazione dell'Etna, Galatea la
spuma del mare, Aci il fiume‑ che sfociava nei pressi di
Capo Mulini.
Si narra che Aci
Castello e le altre Aci traggano la propria origine da
Xiphonia, misteriosa città greca scomparsa, probabilmente
oggi in comune di Aci Catena. I poeti Virgilio e Ovidio
fecero nascere il mito della fondazione alla storia d'amore
tra una ninfa chiamata Galatea ed un pastorello chiamato
Aci, e del ciclope Polifemo. In epoca romana esisteva una
città chiamata Akis, che partecipò alle guerre puniche. La
storia della medievale Jachium e poi dell'araba Al-Yag
coincide strettamente con quella del Castello di Aci da cui
si può desumere buona parte degli avvenimenti storici ed a
cui si rinvia.
Di questo
periodo è la fondazione del Santuario di Valverde. La storia
di Aci Castello sarà praticamente condivisa fino al XVII
secolo con quella degli altri casali del territorio di Aci a
cui si può far riferimento.
Sotto il dominio
spagnolo, nel XVII secolo, il notevole sviluppo economico di
Aquilia Nuova (Acireale) causò contrasti e rivalità con gli
altri casali che chiedevano l'autonomia amministrativa. Vi
sarà quindi la separazione dei casali di Aci. Nacquero: Aci
Bonaccorsi (1652), Aci Castello (1647) (comprendente anche
Aci Trezza), Aci S.Filippo ed Aci Sant'Antonio (1628)
(comprendente anche Aci Valverde, Aci S.Lucia ed Aci
Catena).
Nel XIX secolo,
nell'allora borgo marinaro di Aci Trezza, lo scrittore
Giovanni Verga ambientò il romanzo "I Malavoglia".
Miti: "Aci e
Galatea" e "Ulisse e Polifemo"
Acicastello
ricade nel territorio di Aci, ossia quei centri che hanno
una storia che li ha accomunati per diversi secoli e la
stessa discendenza nel mito di Aci e Galatea. Il mito risale
al I secolo a.C. ed è riportato nelle Metamorfosi di Ovidio.
Il pastorello Aci amava Galatea, ninfa delle acque, che
dimorava nel mare antistante la costa acese. Ma ella era
amata anche da Polifemo, un ciclope che per quell’amore
rifiutato soleva calmare la sua ira lanciando massi
infuocati dall’Etna.
Polifemo un
giorno sorprese la candida Galatea adagiata sul petto di
Aci, impazzito dalla gelosia scaglio una parte del monte sul
suo rivale, seppellendolo. La ninfa pianse il sul amato e
l’eco di quegli strazi giunse fino a Giove che donò al
giovane nuova vita. La roccia si fessurò ed Aci fu tramutato
in limpido fiume per riversarsi in mare e riabbracciare in
eterno il suo amore. L’altro mito è legato ai luoghi si
riscontra nell’Odissea di Omero. Ulisse (Nessuno) con i suoi
uomini sbarcano sulla costa, ma si imbattono i Polifemo, che
li sorprende nella sua caverna. Fatti prigionieri, il
ciclope fa scempio di alcuni marinai, ma l’astuto Ulisse
riesce ad ubriacare Polifemo ed accecarlo del suo unico
occhio posto al centro della sua fronte. Il Ciclope furente
cerca di riprenderli, ma Ulisse ed i marinai superstiti
prendo il largo con le navi, anche se inutilmente, Polifemo
cerca di colpirli lanciando loro enormi massi, ovvero i
faraglioni che stagliano antistanti la costa di Acitrezza.
Da Aci
Castello a Capomulini
Un
arcobaleno di storia e colori. Uno dei tratti più
suggestivi della costa che offre al visitatore innumerevoli
bellezze
Aci
Castello, Aci Trezza e i faraglioni. Un panorama eccezionale
che si offre a coloro che fanno ... Se la Sicilia intera è
una terra felice per tutto quello che generosamente sa
offrire a chi la visita, la costa bagnata dal Mar Jonio è
così ricca di doni naturali e storici che di meglio è
difficile trovare.
A picco sul mare, Aci Castello, venne fondato dai Normanni:
nel 1706 un castello, attorno al quale si formò il borgo, fu
concesso da Ruggero ai Vescovi di Catania. Nel 1169 un
terremoto distrusse in parte il borgo, cosicchè la maggio
parte degli abitanti si trasferì nel territorio circostante;
successivamente il paese fu ripopolato.
Mentre il castello appartenne a Ruggero di Lauria, venendo
espugnato nel 1297 da Federico II d'Aragona, il borgo rimase
a lungo possesso dei Vescovi di Catania. Passato in seguito
agli Aragona, Aci Castello fu acquistato nel 1760 da
Giuseppe Emanuele Massa. Il castello, assai pittoresco per
la sua posizione su una roccia vulcanica e per il colore
scuro delle sue cortine, risale, come già detto al periodo
normanno (XI secolo), ma si presenta soprattutto nei
rifacimenti dei secoli XIII-XIV, con robuste torri merlate.
Sul litorale si elevano grandi spuntoni basaltici, sul
maggiore dei quali sorge il castello che dà nome al paese.
Si arriva ad Aci Trezza, un piccolo borgo di pescatori
dominato, dalla parte del mare, dai Faraglioni dei Ciclopi
le cui masse laviche nere ed appuntite emergono dalle acque
cristalline. Nell'Odissea si narra che questi fossero i
massi scagliati da Polifemo contro Ulisse che l'aveva
accecato lanciandogli un dardo infuocato nell'unico occhio.
L'eroe era poi fuggito con i suoi compagni aggrappato al
ventre delle pecore del ciclope. Di fianco si erge l'isola
Lachea, oggi sede di una stazione biologica dell'Università
di Catania.
Il porticciolo,
invaso dal sole e punteggiato di barche variopinte tirate in
secca, sembra popolato dai fantasmi dei personaggi di Verga,
la Maruzza e gli altri Malavoglia, che attendono ansiosi
scrutando il mare, nella vana speranza di avvistare la
Provvidenza con il suo carico di lupini. Ed è proprio ad Aci
Trezza che Luchino Visconti decise di girare "La terra
trema", rispettando l'ambientazione del romanzo verghiano da
cui il film è stato tratto.
Un chilometro più a nord-est si trova Aci Trezza,
fronteggiato dagli alti scogli basaltici noti come
"Faraglioni" o come "Ciclopi". A breve distanza si trovano
Cannizzaro e Ficarazzi rispettivamente a sud e ad ovest del
capoluogo. Senza dimenticare Capomulini, un piccolo borgo
caratteristico, sede di un porticciolo attraente, così come
il suo lungomare.
Arriviamo, infine, ad Acireale che trae il suo nome dalla
mitologia e precisamente dalla leggenda dei Ciclopi (cantata
dai greci e dai latini Ovidio e Virgilio), legata alla
storia d'amore tra la ninfa Galatea e il pastore Akis (in
latino Aci), perseguitato dal rivale Polifemo e trasformato
poi in fiume dal Dio del mare Poseidone. Sulle rive del
fiume Akis, oggi scomparso, vissero popolazioni primitive e,
verso la fine del VIII secolo, coloni greci vi fondarono una
città dal nome Akis, della quale non è mai stata
identificata l'esatta ubicazione.
La Sicilia 24/03/2012
I SPIDDI DO
CASTIDDAZZU
Castello di
Aci Castello, tra storia e paranormale sulle sponde del mar
Ionio
19 gennaio 2013 by
Redazione S.a.r.de.
Oggi per la rubrica“Le
Nostre Indagini” Vi proponiamo un’analisi di uno dei
monumenti della sicilia orientale più comunemente noti agli
appassionati di paranormale: Il castello Normanno di Aci
Castello. Cominciamo con alcuni cenni storici sulla fortezza
che ci permetteranno di capire meglio le origini di tali
fenomeni.
Aci Castello è il primo
centro della riviera dei Ciclopi, così chiamata per gli
scogli che emergono dal mare e che sembrano gettati da un
gigante; la leggenda narra che fu Polifemo accecato a
scagliarli contro Ulisse in fuga. Il paese fu distrutto da
un terremoto nella seconda metà del 1100 e gli abitanti
furono costretti a riparare in località vicine, che a loro
volta si svilupparono come centri autonomi e oggi sono
riconoscibili dal prefisso Aci (Acitrezza, Acireale ecc.).
Il castello di Aci
Castello, distante pochi chilometri da Catania, è famoso per
la rupe basaltica in cima alla quale sorge il castello che
da il nome al paese.
La composizione della
roccia sulla quale sorge l’edificio è estremamente rara e ne
esistono pochi altri esempi.
Si è originata da
un’eruzione vulcanica basaltica marina di oltre 500.000 anni
fa, la pietra lavica è ricoperta da una crosta vetrosa
(generata dalle alte temperature del magma) e divisa
all’interno in prismi. Questa particolare forma e struttura
è dovuta alla presenza di sabbia e argilla nel fondale
originario e dal raffreddamento repentino del magma, causato
dal contatto con l’acqua fredda del mare.
Durante il periodo della
colonizzazione greca prima, e della dominazione romana poi,
sicuramente la rocca sulla quale si erge il castello
normanno fu frequentata per la sua posizione strategica, che
permetteva il controllo del mare e del passaggio delle navi
dirette verso lo stretto di Messina.
Sebbene non si siano
conservati resti di strutture di tale periodo, a causa
probabilmente della distruzione delle fortezze costiere
operata dagli Arabi, gli scrittori antichi ci hanno lasciato
il ricordo di famose battaglie navali combattute in queste
acque (Diodoro Siculo ci ricorda quella tra lmilcone
cartaginese e Leptine siracusano).
Anche i rinvenimentì
archeologici, soprattutto quelli sottomarini, esposti nelle
vetrine del Museo Civico all’interno della fortezza,
attestano l’antica frequentazione di questi luoghi.
Poche le testimonianze
relative al castello nel XVIII secolo, se si esclude la
leggenda di un povero cacciatore che venendo un giorno a
cacciare nelle vicinanze del castello, uccise per errore una
gazza di proprietà del governatore del castello, uomo
crudelissimo. Questi fece arrestare il cacciatore e lo fece
segregare nelle prigioni del castello, dove rimase ben 13
anni. Un giorno, saputo dell’arrivo del Duca Massa,
proprietario del castello, il cacciatore compose un canto in
suo onore; quando lo udì, il duca volle conoscerlo e,
appresane la triste storia, diede subito ordine che venisse
scarcerato.
Nel XIX secolo il
castello entrò a far parte del Demanio Comunale, ma nel 1818
un terremoto provocò nuovamente danni così gravi che esso
non poté più essere utilizzato come prigione. Carenti le
notizie storiche sulla seconda metà dell’ottocento; il
castello tuttavia ispirò in questo periodo a Giovanni Verga
la novella “Le stoffe del Castello di Trezza” che, tra
amori, tradimenti e fantasmi, narra le affascinanti vicende
di don Garzia e di donna Violante.
Numerose sono le leggende
che vengono associate alla rocca di Aci Castello (Catania),
adagiata sul mare, riguardo la presenza di fantasmi che dopo
la mezzanotte si aggirano tra le stanze segrete o nelle
tetre prigioni dove la storia descrive di morti in battaglia
e di detenuti lasciati morire di fame. Di avvistamenti se ne
parla da tanti anni; ne parlò il custode di un tempo oggi
defunto, che disse di aver visto dei soldati a spasso
entrare nelle stanze dove si trova il museo civico. Pare che
qualche castellese sia rimasto una notte ad aspettare i
fantasmi munito di macchina fotografica.
Un’altra vicenda
riguarderebbe due impiegate comunali che, al termine di una
manifestazione tenutasi sul castello, si attardano a
ripulire e sistemare le stanze del maniero normanno.
L’orologio segnava le tre di notte e un leggero venticello
avvolgeva la rupe dando un po’ di frescura alle stanche
lavoratrici. Ad un tratto un rumore stridente, forse di
catene, rompe il silenzio di una sonnacchiosa notte
d’estate. Le malcapitate si guardano in faccia, capiscono
che qualcosa di strano sta accadendo, pensano entrambe la
stessa cosa ricordandosi le leggende dei fantasmi, e allora
giù di corsa per le scale del castello a gambe levate.
Anche noi di SARDe
abbiamo voluto approfondire tali argomentazioni e con i
nostri strumenti ci siamo recati all’interno del Castello
per fare alcuni scatti e monitorare alcuni ambienti nei
quali, secondo i racconti sopracitati, si sono verificate
delle attività paranormali. Qui di seguito Vi postiamo una
presentazione che racchiude diverse immagini, tra le quali
due in particolare che, grazie all’applicazione di
particolari filtri di contrasto, sembrano rivelare due volti
sulle rocce all’interno di una delle stanze.
http://sarde.altervista.org/2013/01/19/castello-di-aci-castello-sintonia-di-storia-e-paranormale-che-si-affacciano-sul-mar/
|
Aci Castello: i fantasmi del
Castello normanno
I
fantasmi del Castello normanno di Aci CastelloLa manifestazione era
appena finita. Le stante e i corridoi del Castello normanno di Aci
Castello ne erano state la location ideale. Due impiegate comunali si
erano attardate per ripulire tutto.
Ormai erano le tre di notte. E le
due donne erano stanche. Un leggero soffio di vento aleggiava intorno
alla rocca dove sorge il castello. Dava alle due donne un po’ di
refrigerio dalla calura ossessiva di quei giorni, che non dava scampo
nemmeno durante la notte.
Tutto era silente. I lavori
procedevano tranquilli, interrotti solo dalle voci delle due donne, e da
qualche loro motto salace. Ma nulla di più. Finché non lo sentirono.
Un rumore, dapprima flebile, poi
assordante. Come di qualcosa di pensante che venisse trascinano per
terra. Come se si trattasse di catene.
Le due donne si immobilizzarono di
colpo. Erano terree in volto. All’inizio fu come se non capissero. Poi
si ricordarono delle tante leggende di fantasmi che giravano intorno a
quell’antico maniero. Si guardarono. E se la diedero a gambe levate.
Tempo pochi, pochi secondi e le due
donne si ritrovarono nel mezzo di Piazza castello. Dove solo la presenza
di qualche persona in carne e ossa riuscì nuovamente a tranquillizzarle.
Un’altra storia fu poi raccontata
dal custode del castello. Questi affermò di aver visto dei soldati in
arme che si aggiravano per le stanze del museo. I fantasmi delle persone
che vennero uccise e torturate nelle sue anguste segrete.
http://www.storiedifantasmi.it/2012/06/fantasmi-aci-castello-castello-normanno/
Jean Calogero:
Catania 20 Agosto 1922 - 15 Novembre 2001. Fin
dall'adolescenza ha manifestato la sua passione
per il disegno e la pittura e ha cercato negli
studi artistici la risposta ai suoi quesiti
tecnici, alle sue costruzioni compositive, alle
sue necessità espressive.
Nella città etnea ha frequentato il Liceo
Artistico. Poi i disagi del dopo-guerra e il
bisogno di guardare lontano, verso i luoghi del
confronto delle idee, lo hanno spinto a
viaggiare e si è recato in Francia sia per
approfondire gli studi che per conoscere le
nuove tendenze dell'arte.
Nel
1947 è a Parigi dove frequenta i corsi di
pittura all'Ecole Des Beaux-Arts. La capitale
francese è il luogo ideale per le sue
aspirazioni professionali e per i suoi sogni
creativi.
Vive
in maniera intensa, dedicandosi alla pittura e
allo studio e, coinvolto dai momenti più vivaci
della vita culturale parigina, partecipa alle
mostre e ai dibattiti di maggiore rilievo.
Del
1949 è il suo primo contratto artistico, lo
firma per la Galerie Hervé di Parigi che,
notoriamente in quegli anni, seguiva gli svi-
luppi della giovane pittura europea.
Calogero fa della Francia la sua seconda patria
e inizia con coraggio e sentimento una frenetica
attività espositiva che, grazie al consenso
della critica, lo porterà in giro per il mondo.
Alle
innumerevoli mostre parigine, negli anni
cinquanta, si aggiungono le esposizioni
americane a New York (Associated American
Artists, 1952), a Los Angeles (James Vigevano
Galleries, 1953) e poi in seguito anche in
Giappone e nelle maggiori gallerie italiane.
A
Gauthier seguono George Waldemar (1956),
Francois Christian Toussaint (1957), Leonardo
Sciascia (1969) e poi in tempi più recenti Vanni
Ronsisvalle (1977), Vito Apuleo (1979) e
Francesco Gallo (1985).
Se
George Waldemar mette in evidenza lo spirito
d'avventura dell'artista ("Calogero si avvia a
conquistare nuovi continenti e isole misteriose.
I suoi vivi interessi, il suo osare, il suo
spirito d'avventura e il suo istinto come un
lirico visionario...")
Sciascia consacra Calogero tra i surrealisti:
"Direi, ecco, che Calogero è un surrealista
quale poteva nascere in Sicilia: uno che non
opera l'epanchement du rêve dans la vie réelle,
ma totalmente sfugge alla vita reale".
Nel
1957 la città di Parigi lo premia con la Grande
Medaglia d'Argento, massimo riconoscimento ad
artisti viventi, e successivamente, nel 1959,
viene inserito nel catalogo internazionale
dell'arte BENEZIT tra i più autorevoli della
pittura mondiale.
Dagli inizi degli anni settanta, dopo avere
esposto a Chicago (Florida Gallery, 1970), si fa
più presente in Italia ma mantiene il suo studio
parigino e continua ad esporre negli Stati Uniti
e in Giappone.
Dal
1971 la stampa italiana, che per vent'anni
avveva riportato l'eco delle mostre francesi e
americane, si inserisce nel vivo del dibattito
artistico riguardante Jean Calogero grazie a
Vincenzo Di Maria.
Il
25 Aprile 1971 dalle pagine de "La Sicilia" Di
Maria finalmente chiarisce il rapporto tra
Calogero e la sua terra e pubblica una visione
struggente della piccola Acicastello.
Se a
Parigi Jean Calogero rievoca la Sicilia, i suoi
miti, i suoi colori forti e luminosi, ora ad
Acicastello fa riemergere la capitale francese
carica di glamour. Parigi e la Sicilia negli
anni settanta, e anche in seguito, costituiranno
così la linea preferenziale dei suoi sogni
pittorici, dei suoi spostamenti fisici e la
critica saprà coglierne puntualmente il
significato, il valore.
Così
scrive Vanni Ronsisvalle a tal proposito: "Jean
Calogero è un buon nuotatore ed anche un buon
trasvolatore. Un viaggio, due viaggi tre
viaggi...Dal vecchio porto di Acicastello...da
questo golfo della memoria altrui, che gli
fornisce persino il bagaglio, Calogero
intraprende i suoi viaggi" (da "Viaggi
Innaturali", Roma 1977).
Negli anni novanta, lontano da ogni clamore,
vive un'intensa stagione artistica
caratterizzata dalla presenza delle città
vissute e dalle città del sogno. Il suo pennello
indagatore, i suoi colori vivaci, il suo segno
allegro e festoso viaggiano tra le nuvole e le
cupole dei luoghi cari alla memoria, tra il
cielo e l'acqua dei mari attraversati... Da Jean
Calogero - "Le città del mondo" Acicastello 1996
(Paolo Giansiracusa)
http://www.jeancalogero.it/
Come arrivare:
Acicastello, che
dista solo 9 km. da Catania, è raggiungibile in
auto o in pullman dal capoluogo etneo in circa
10 minuti, attraverso la S.S. 114 o attraverso
il lungomare La scogliera. dall'autostrada
Messina-Catania, svincolo Acireale e proseguire
sulla S.S. 114 - dall'aeroporto, tangenziale
in direzione Messina, uscire allo svincolo
Catania Est e proseguire per la S.S. 114 -
Trasporti urbani ed extraurbani:
AMT - Linea 448 Cannizzaro/Catania - Linee
334 e 335 Acicastello/Catania
Taxi Tel: 095 274135 |
|
La
cappelletta dell'Ecce Homo
|
STABILIMENTI BALNEARI
RIVIERA DEI CICLOPI
|
Acquarius
95021 Aci
Castello (CT) - Via Pezzana Giacinta, 18
095 7111550 - 095 271708
Esagono
95021 Aci Castello (CT) - Via Antonello Da Messina, 46
095 271877
La Posada
95021 Aci Castello (CT) - Via Antonello Da Messina, 32
095 274460
Bellatrix
Via Musco, 1 95121 Aci
Castello Catania
095 4911314 - 095 494765
Grotta
Smeralda
Via Antonello
Da Messina, 11 - 95021 Aci Castello (CT)
095 271576
Lungomare
Piazza del Tricolore, 1 - 95127 Catania
095 376456
Camping Ionio
Via Villini a
Mare, 2 - Catania
Tel. 095 491139
Acicastello
Via Del Porto
2 Aci Castello (CT)
095 271160
Portofino
Via S. Maria
La Scala Acireale
095 891545
La Terrazza
95024 Acireale (CT) - Via Della Marina
095 877470
|
Aldebaran
95126 Catania (CT) - Via Villini a Mare, 34
095 7137236
Lido Dei
Ciclopi
95021 Aci
Castello (CT) - Via Provinciale, 2
095 7117105 - 095 276601
La Risacca
95021 Aci Castello (CT) - Via Antonello Da Messina, 62
095 274177
La Battigia
Viale Ruggero Di
Lauria, 2 - 95127 Catania (CT)
095 387898
LiCuti
95126 Catania (CT) - Viale Ruggero Di Lauria, 4
San Telmo
Via Mollica,
Aci Castello (CT)
Tel. 095 7112410
Baia del
Gambero
Via S.G. Li
Cuti 80. 95127 Catania
095 376281 -
095 382556
Helyos
Piazza Europa
- 95129 - Catania
095 375080
Camping
Jonio
Via Acque
Casse, 39 - Catania
Tel. 095 491139
Mediterraneo
Via Gurne -
Acireale
095 877489 |
S. MAURO A
RENDI (S. Mauro appena visibile)
Se
sulla linea retta, che passa per i segnali della chiesa di S. Mauro ad
Acicastello e del castello, la prima è nascosta dal secondo, il sito
viene chiamato «S. Mauru ammucciatu»; se, invece, spostandosi la barca
(verso sud o verso nord), la chiesa di S. Mauro comincia ad
intravedersi, il sito viene detto «S. Mauru a rendi» (rendersi appena
visibile); se la barca continua ancora a spostarsi e la chiesa non
appare interamente visibile, il sito si chiama «S. Mauru affacciatu»;
quando, invece, è interamente visibile, il sito è denominato «S. Mauru
apertu».
Costeggiamo la rocca del castello di Aci, mentre il nostro
accompagnatore accenna a nomi e luoghi che sanno prevalentemente di
leggenda: Galatea, Polifemo, i Ciclopi.
I prachi 'i Santu Mauru
La nostra guida ci conduce
al largo per indicarci un sito, noto ai marinai come «S. Mauru a rendi»,
e per spiegarci come si allinea la barca tra «'u castiddazzu» e la
chiesa di S. Mauro, se si vogliono trovare dei fondali che, costituiti
per lungo ed ampio tratto da «rinazzu» (sabbia grossolana), «ospitano»,
in determinati periodi dell'anno, grandi quantità di «ciciareddu» .
Questo pesce, che appartiene alla famiglia degli Ammoditi, ama
seppellirsi con molta abilità nella sabbia? ma può anche nuotare
rapidamente. Appare in primavera, spesso in grandi sciami e in vicinanza
della costa per deporre le uova; il suo sapore è simile a quello dell'«ancileddu»
e dell'acciuga. La sua presenza (almeno nel golfo di Catania) si
riscontra esclusivamente nelle zone di «S. Mauru a rendi».
U Principi
Nella terminologia dei siti locali, a
parte le indicazioni viarie dedicate genericamente al Duca Massa e al
Principe Manganelli, il richiamo alla famiglia, dominatrice dell'antico
paese, e ai loro discendenti è U Principi.
Esso indica la zona, a sud di
Bagnaculo (e fino a Punta Uzza), che ha al centro un bel palazzo di
pietra lavica sul mare, nato nel '900 (anni '30) cioè nel momento
dell'affermazione dei bagni ... anche se il palazzo in funzione balneare
è stato nel passato poco sfruttato dai proprietari.
Così Alfredo Porto
ci ha narrato, poco prima di lasciarci, uno dei pochi episodi che in tal
senso vide protagonisti due dei giovani discendenti della stirpe
principesca nei primi momenti della 2° guerra mondiale.
Essi erano abili nuotatori e,
trovandosi in barca al largo del loro palazzo con amici, avevano voluto
impegnarsi a tornare a terra tuffandosi e nuotando in solitudine; furono
però scambiati per spie dalla milizia di sorveglianza sul Castello e
furono attesi con i fucili puntati dai militari (... e dai tanti
curiosi) al loro arrivo fra gli scogli... dove mandarono tutti a quel
paese sotto il Castello! C'è chi afferma che l'immobile fu rifugio anche
del Principe Borghese per un breve e burrascoso momento nei decenni
finali del secolo scorso.
(E. Blanco)
Località Bagnaculo in Acicastello (Santu Mauru
affacciatu)
BAGNACULO
C'ERA UNA VOLTA "LA FOSSA DEI SERPENTI"
C'era un tempo
che bastava (per modo di dire, perchè allora era un lusso
arrivarci)
un sorbetto, una capannina piena di note e colori e la
brezza marina.
|
|
l'invano tentativo del sindaco Castorina, negli
anni Novanta, di riportarla in vita. |
Alla
sera, una magica insegna sulla piazza cominciava
a prendere luce......... |
Località Fossa dei Serpenti, punto Santu Mauru
apertu.
La Praca, il
mitico campo di pallanuoto dello Sporting Club
ACI CASTELLO. –
Imperterrito, dopo aver superato il mezzo secolo di vita, il
campo di pallanuoto è tornato ieri mattina a piazzarsi ai
piedi del Castello di Aci ed è stato subito preso d’assalto
dai tanti giovani già da giorni in attesa, intenti a
«palleggiare» in acqua o fra gli scogli della Praca. Il mare
era calmo (o quasi) ma all’orizzonte i «palummeddi» (le
increspature bianche, ad indicare le onde create dal vento)
lasciavano presagire che il mare non sarebbe stato
tranquillo per molti bagnanti sulle spiagge, considerato che
il greco-levante avrebbe esercitato la sua spinta,
sconsigliando fra l’altro la tanto attesa uscita in barca ai
tanti dallo stomaco debole. Infatti, da mezzogiorno in
avanti le onde sono aumentate e sono stati parecchi a
procurarsi graffi nei tentativi di aggrapparsi allo scoglio
per salire dall’acqua. La foto, scattata nel pomeriggio, ci
mostra il campo resistere agevolmente alla spinta del vento
e delle onde: una porta è stata messa giù; ma più che il
mare sarà stata l’opera maldestra di qualcuno che avrà
cercato di aggrapparsi sopra per riposare. In ogni caso, il
campo ha ripreso la sua storica vita e, anche se non ospita
più partite di campionato, per tutta l’estate sarà
frequentatissimo da campioni e campioncini, alle prime o
alle ultime armi, maschi e femmine che, magari ormeggiando
al largo la barca (è più facile che parcheggiare per le vie
cittadine), non resisteranno al richiamo dei palloni gialli
o rosa. Il mare castellese, intanto, domenica mattina si
prepara a ricordare il suo eroe del nuoto siciliano
dell’immediato dopoguerra, Pippo Lanzafame, che proprio ai
piedi del castello costruì la sua fama di grande nuotatore.
Enrico Blanco -
Giornale "La Sicilia"
http://akis.altervista.org/blog/index.php?entryid=1220
Aci Castello nel 1966, con il bar di
Castorina
gli splendidi spalti per
vedere, in piedi, le partite di pallanuoto.
Lo S.C.
PALLANUOTO ACICASTELLO è stato fondato nel 1958, ma la sua
affiliazione alla FIN risale solo alla stagione 1964. Ha
militato con alterna fortuna dal 1964 al 1974 nei Campi di
Promozione arrivando nella stagione 1975 in SERIE C. Ha
giocato in SERIE C dal 1975 al 1991 retrocedendo poi in
SERIE D dove è rimasto fino alla stagione 1998; ma alla fine
del campionato una nuova promozione in SERIE C, nel 1999 si
e’ classificata al 3° posto. Nella stagione 2000 seconda
classificata nel girone otto di SERIE C ammesso con
ripescaggio in SERIE B, dove ha militato con buoni
risultati.
La limpida acqua della "Praca", vista da piazza
Castello
scene
girate nella Riviera dei Ciclopi ed Acireale |
|
|
La signora Maria era vedova da almeno 30 anni.
Da qualche tempo, ogni sabato e domenica, era seduta lì, nella panchina
circolare della piazza principale di Acicastello, maltempo permettendo.
Non si preoccupava tanto dei gradi centigradi, che fossero tanti o
pochi, lei era sempre seduta col suo cappellino in testa, il cappotto, i
guanti, gli stivali, la sciarpa etc.. SEMPRE!
In tanti si chiedevano come mai la
signora Maria non si fosse voluta più risposare. "Perché amava troppo
don Pippo, ecco perché...", dicevano i saputelli di turno. E
probabilmente era vero, seppur gli spasimanti non le fossero mancati.
Ogni sabato e domenica passava la sua mattinata lì, come se quella
panchina fosse sua, come se ci fosse scritto il suo nome. Non che si
facesse notare molto, tipa taciturna la signora, dai gesti minimali:
sembrava quasi una statua, col suo sguardo fisso nel vuoto. Di lei si
accorgevano solo gli abitudinari del luogo.
"Starà pensando ai tempi belli, a quando don Pippo ancora campava...",
diceva chi la conosceva superficialmente.
Qualche settimana dopo, una domenica mattina di bel sole, noto che la
signora Maria non è seduta sulla sua solita panchina. "Beh, magari starà
male, è pur sempre una signora anziana, sono cose che capitano", mi
dico. Il giorno dopo, domenica, idem.
La settimana seguente è molto piovosa, il paese è semi deserto.
Fortunatamente il week end viene risparmiato e già da venerdì pomeriggio
il meteo si sistema del tutto. Arrivo in piazza la domenica mattina
verso le undici. Faccio qualche foto al Castello, ai faraglioni di
Acitrezza che si vedono da lontano, e poi mi giro verso "la" panchina:
della signora Maria, ancora, nessuna traccia. Molto strano.
Comincio un pò a preoccuparmi, anche se io e lei non abbiamo mai
scambiato una parola in vita nostra. Ma lei è ormai una specie di
"istituzione", una di quelle presenze che ti "cunottano", se ci sono. E
che ti danno da pensare quando invece spariscono.
E così vado al bar della piazza, e con la scusa di un caffè chiedo alla
cassiera: "Mi perdoni, sà per caso che fine ha fatto quella simpatica
vecchietta che...".
Non faccio in tempo a finire la frase che la cassiera mi interrompe e mi
dice: "La signora Maria? Adesso abita col signor Franco, qui vicino, a
Vampolieri!", e mi sorride.
"Il signor Franco?", rispondo un pò attonito.
"Ma sì, il padre del gestore della pizzeria qui accanto!"
Improvvisamente mi viene un flash, che per uno che fà il fotografo è
quasi un colmo.
Ecco perchè la signora Maria stava seduta sempre lì, fissa! Di fronte a
lei c'era proprio la pizzeria!
E non fissava mica il vuoto, ma probabilmente il signor Franco, che di
sicuro la ricambiava!
E il sabato e la domenica sono i giorni in cui la pizzeria era aperta!!!
D'un tratto mi sento sollevato, e mi viene fuori un sorriso a 32 denti.
Non bisogna mai pensare al peggio, e non bisogna dare nulla per
scontato. Anche a 80 anni suonati le persone possono ancora stupire... e
innamorarsi.
Foto e testo di: Salvo Puccio
a Pracuzza
Lungomare Scardamjanu
Lo Scardamiano,
cioè lo Scaro di Damiano, ci porta invece indietro nel tempo
all'affermazione dei Massa ma non ha alcun legame con essi, anche se ci
ricorda il momento (a metà '600) di sviluppo della nostra marina, fra il
sito dove poi nacque il primo molo e la Pracuzza. Essa allora andava a
ospitare barche (sempre in numero maggiore) pronte a affrontare i lunghi
viaggi e desiderose dell'attracco finale nel rifugio veloce e sicuro a
terra, incuneandosi fra gli scogli. Damiano era un personaggio acese (sanfulippotu).
Così il cap. Paolo Muscarà nei suoi Racconti ci narra di Damiano,
vecchio pescatore misantropico e scorbutico che, dopo la morte della
madre, s'era costruito lontano dal paese un ricovero per sé e per la
barca. Vestiva in maniera strana, quasi all'orientale, e i marinai lo
chiamarono "rabbino"; i ragazzi invece "mau" (mago) e da ciò gli sarebbe
venuto il soprannome di " U Marrabinu".Muscarà , fra vicende dal sapore
quasi moderno (cioè collocate nei suoi tempi giovanili) spesso in
contrasto con modi lontani (come il sotterrare i morti nel campicello di
San Giuseppe) percorre le vicende della vita di Damiano fino alla morte,
avvenuta durante una tempesta non ben annunciata dalle condizioni del
mare al mattino.
Lungomare Scardamiano
Essa lo avrebbe colto mentre, dopo aver tirato le reti,
disperatamente cercava di raggiungere la riva e, pur contando sull'aiuto
concreto dei tanti castellesi, accorsi subito in suo aiuto, non era
riuscito nel suo intento, andando a fondo con la barca al cui interno
sarebbe poi stato trovato impigliato fra le reti.
Ho già scritto che tale nome indica
la conosciuta e ricca famiglia acese (ma originaria genovese) dei
Barabini, che possedettero terre proprio nella zona ma non si
identificano con il Damiano, che ha lasciato il suo nome alla nostra
marina perché ne era il proprietario quando cominciò (a metà '600) la
nuova vita delle barche sul mare. Si chiamava infatti Damiano Continella
e di lui sappiamo che il 26 dicembre 1643 nel firmare il contratto di
dote con la futura moglie Vincenza Maugeri, figlia del fu Abramo.
Dopo i discendenti del secentesco
Damiano, nella zona bassa dell'attuale via Fornace vi fu nel periodo
estivo l'ospizio dei Padri Riformati di Aci Catena del convento di S.
Antonino. Proprio la contrada dietro l’'Ospizio di S. Antonio è
indicata nel 1882 come Scardamiano e per mq. 825 fu comprata dal parroco
di Trezza, sac. Cristoforo Cosentini. Parti della zona soprastante
andarono invece nel tempo ai Barabini (Marrabinu) come si riscontra
ancora nei decenni finali dell’800.
(E. Blanco)
U SCOGGHIU
DU SCECCU (Lo scoglio dell'asino)
Doppiata la «Uzza», prima di puntare su Acitrezza, il nostro cicerone ci
indica ora uno scoglio di roccia lavica nera e lucente e ci informa che
nelle sue vicinanze è molto frequente la presenza di numerosi saraghi: i
petulanti e ciondoloni che dappertutto trovano dimore temporanee tra
buchi, crepacci ed anfratti. Ma non di rado, distratti come sono,
finiscono anche su distese sabbiose. Non sono peraltro pesci
viaggiatori, non indulgono ad avventurose esplorazioni e non si
allontanano molto da quel tratto di litorale in cui hanno scelto di
dimorare.
«Bastiano,
ma lo scoglio che c'entra?...».
«Ah...
sì, lo scoglio viene chiamato «'u Schogghiu d'u sceccu», perché consente
di pescare stando comodamente seduti a cavalcioni, pur dovendo «cummàttiri»
con i trafficoni e indaffaratissimi saraghi».
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