"Soltanto il mare gli brontolava la
solita storia lì sotto, in mezzo ai faraglioni perché il mare non ha
paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di
qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo
tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra
quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico.”
(Giovanni Verga, I Malavoglia)
Proseguendo verso nord si giunge ad Acitrezza, la cittadina
di pescatori teatro del romanzo di Verga I Malavoglia. E'
famosissima è una caratteristica cittadina sul mare,
famosa per il suo castello in pietra lavica, eretto nel
1.076. Alcune sale del castello ospitano il museo civico. Ai
piedi del castello vi è una splendida scogliera su un mare
limpido dai vividi colori. Soprattutto d'estate è meta di
turisti e villeggianti, che invadono le sue spiagge
rocciose, le sue vie e la sua superba piazza a picco sulla
scogliera lavica per godere lo scenario di luci e di colori
e la magica atmosfera tipicamente mediterranea. Proseguendo
verso nord si giunge ad Acitrezza, la cittadina di pescatori
teatro del romanzo di Verga I Malavoglia. E' famosissima
anche perchè abbraccia nel suo mare anche perchè abbraccia
nel suo mare l'isola Lachea ed i Faraglioni, che diedero lo
spunto alla leggenda omerica di Ulisse e Polifemo,
descritta nell'Odissea.
foto di Antonio Treccarichi
LE
"PIETRE" DI ACITREZZA
Sito noto per essere il luogo in cui
Giovanni Verga ambientò il romanzo “I Malavoglia”, ricade all'interno
dell'Area Marina Protetta "Isole dei Ciclopi", area di particolare
pregio naturalistico che si estende fino a Capo Molini nel Comune di
Acireale (CT).
Le “Isole dei Ciclopi” costituiscono
questo piccolo arcipelago formato da tre isolotti principali (Lachea,
Faraglione Grande e Faraglione Piccolo) e da quattro grandi scogli
disposti ad arco rispetto alla costa. Sono così chiamate perché, secondo
la leggenda, rappresenterebbero i massi scagliati da Polifemo ad Ulisse
durante la sua fuga.
Le rocce che formano l’arcipelago si
sono originate durante la prima delle quattro fasi dell’evoluzione
dell’Etna, chiamata Prima fase o fase pre–etnea. Circa cinquecentomila
anni fa, a seguito dallo scontro tra le placche euroasiatica ed
africana, iniziò un lungo periodo di attività sottomarina che, con
l’emissione di lave basiche, diede origine all’Isola Lachea e ai
Faraglioni.
www.geositidisicilia.it/
_____________________________________
Ognuno degli “scogli” ha un nome,
benedetto dai pescatori del luogo e aggiunto dal sottoscritto sulla
splendida foto aerea di Luca Barone.
Se qualcuno l’ho sbagliato, prego i
Trizzoti DOC di correggermi.
M.R.
U
FARAGGHIUNI D'ACEDDI (Il faraglione degli uccelli)
Usciti dall'ambito del mare di Aci Castello, il nostro accompagnatore ci
conduce ora ad Acitrezza, nella terra dei Malavoglia, laddove il
carattere forte e generoso della natura di Sicilia trova la sua massima
espressione nell'incantevole scogliera e nei mitici faraglioni, che
ricordano le antichissime vicende del mondo omerico e la storia della
nostra marineria.
Siamo
nei pressi dei Faraglioni, vicino al primo dei tre poetici scogli, dove
tra la roccia nidificavano i passeri; è per questo che venne chiamato
«'u faragghiuni d'aceddi» .
Ecco perchè si chiama "U faragghiuni d'aceddi"
Nei pressi dell'imboccatura del porticciolo, il
posto dove tempo addietro c'erano «'i du
frati»: due scogli identici, che
affioravano durante la bassa marea. Pericolosi per la navigazione,
vennero eliminati.
Più
avanti si trova una secca detta «'a Petra
'a sappa», così chiamata perché popolata
dalle onnipresenti spaventatissime salpe (Box salpa), che quando fuggono
lo fanno con tale precipitazione che si dirigono indifferentemente verso
il fondo o verso il largo; l'importante per loro è fuggire il più
freneticamente possibile.
Una serie
infinita di luoghi, di riferimenti e di allineamenti in mare, di cui è
ricchissimo il vocabolario del marinaio e di cui diamo solo qualche
cenno, giacché non possiamo elencarli tutti:
Il faraglione grande O Faraglione di
Santa Maria
-
«'i
Prachi 'i S. Mauru»
, un sito
conosciuto soprattutto perché nelle sue vicinanze è possibile la cattura
di buone quantità di pagelli («lùvuri»);
- «'a
Pitrudda»
,
punto di riferimento a sud dell'isola Lachea;
- «'a
Ciacca 'e l'isula , ppa chesa 'i S. Giuvanni»
, allineamento che serve a trovare le coordinate per la ricerca di una
grande secca dove sono presenti rilevanti quantità di «sàuri».
Poi il nostro
accompagnatore — che non smette mai di parlare — ci indica «'u
Scogghiu d'u zu' Janu»,
tra il faraglione centrale e quello degli uccelli, il cui nome trae
origine dalle controversie tra «'u zu' Janu» e un delfino, che si
trastullava con i suoi «bulèstrici» .
Passando ora a ridosso del faraglione più grande ,
il simpatico «Bastiano» non dimentica di informarci che in fondo al mare
c'è «'a Testa 'e Mussolini».
Sul
momento la notizia ci lascia un po' perplessi, però ci viene subito
spiegato che si tratta solo di un frammento di roccia, la cui forma
richiamava (nel profilo) la testa di Mussolini, staccatosi dal
faraglione in seguito alla magna tempestas maris della notte tra il 31
dicembre 1972 e il 1° gennaio 1973.
La testa del mostro
Tra
gli scogli di Acitrezza, non può certo fare a meno di indicarci —
sorridente — «'u
Lettu d'a zita»:
una secca in prossimità dello «Scaru nicu»,
affiorante durante la bassa marea, dove è possibile, inquinamento
permettendo, stendersi comodamente a prendere il bagno, come sdraiati
sul letto della fidanzata.
_______________________________________________________________
descrizioni tratte, a spezzoni, da "Luci sulla scogliera" di Pippo Testa
e Mimmo Urzì - Edizioni Greco in Catania
IL BANACHER
In città non si parla d'altro. In programma per sabato una
serata speciale per ricordare, rivivere e festeggiare i
"primi quarant'anni" della storica discoteca
La Sicilia, giovedì 29 Maggio 2014
In città non si parla d'altro. L'attesa cresce man mano che
si avvicina la data. Una data che è destinata a entrare
nella storia della night life catanese (per la quantità di
gente che presenzierà all'evento), come nella storia è
entrato il giorno che si sta festeggiando: la "prima" del
Banacher, quaranta anni fa, anno 1974. Quarant'anni densi di
vita, personaggi, musica, aneddoti, amori, primi baci, miti
della canzone italiana, regie piene di giovani dalle belle
speranze e dai grandi sogni, vinili e tormentoni. Quaranta
anni segnati dalla presenza e dallo spirito dei fratelli
Enzo e Paolo Aronica che nel 1974 scommisero tutto
sull'attività dell'intrattenimento notturno, dopo i primi
successi del '70 con lo Snoopy e il Charlie Brown e aprirono
la discoteca all'aperto più grande d'Europa. Per generazioni
e generazioni di catanesi, infatti, il Banacher ha
rappresentato il primo approccio con il mondo sociale, la
prima uscita serale da soli con gli amici, il primo bacio.
Da qualche anno Paolo non c'è più, ma sabato sera una
ventata di amarcord soffierà fortissima tra le palme
secolari del Banacher sussurrando il suo nome. Ci saranno le
foto a ricordarlo, come quella con una giovanissima Ornella
Vanoni, ci saranno gli amici di sempre, ci sarà il patron
Enzo Aronica, i figli e chi lo ha voluto bene.
«Per festeggiare saranno riuniti i protagonisti del passato
e del presente - spiega Mimmo Polizzi, che coordina i
tantissimi gruppi organizzativi uniti per l'evento - alla
consolle ci sarà il grande ritorno di chi oggi è un trend
setter o un rinomato chef, un politico, un giornalista e di
chi non ha rinunciato alla passione per vita notturna ed è
ancora "in pista" per far ballare le nuove generazioni.
Abbiamo suddiviso le aree musicali in "Yesterday" (1974-
1990), Millennium (1991/2004) e "Today" (2009-2014) per
accontentare tutti i gusti, dal rock al pop, dalla disco
all'house music. Ci sarà anche Davide Cordova, la drag queen
Fuxia la cui vita ha ispirato il film di Sebastiano Riso
"Più buio di mezzanotte" presentato a Cannes».
Carlo Corona e Aurelio Sapuppo curano la mostra fotografica
che raccoglie storici scatti della movida catanese,
ricordando il compianto produttore e manager Checco Virlinzi.
Su Facebook impazzano i video-inviti prodotti ed editati da
Carlo Corona. C'è Salvo Di Dio, quello che faceva le serate
del martedì anni '70. C'è Nico Negretti che non ha un'età, è
Nico e basta. Lui è nato facendo cocktail e continua a
farli. C'è Giulio Fortini che sfoglia le pagine di Look '87,
spolvera vecchi inviti e articoli del giornale, C'è il Mick
Jagger etneo, Gigi Tropea che improvvisa una sfilata, ci
sono Toti Vitale, Zapato, Carlito e Carmelo Quartarone.
Chissà quanti altri ci saranno sabato sera a festeggiare 40
anni di movida notturna a Catania.
EVA SPAMPINATO
|
Acitrezza è sicuramente una delle
perle del Mediterraneo, una località ambita dai turisti di
tutto il mondo, perchè offre uno scenario stupendo con il
suo bellissimo mare, con i faraglioni e con il suo
caratteristico porticciolo turistico. E' anche molto nota
per i suoi ristoranti, ove si cucina con arte antica e
sapiente il pesce fresco del suo mare, che ha un sapore
unico, perchè vive in un habitat particolare prodotto dalla
roccia lavica dei suoi fondali.
Aci Trezza si riconosce
per i suoi faraglioni, scogli in pietra lavica, che la
leggenda vuole fossero stati lanciati dal Ciclope contro la
nave di Ulisse che lo aveva accecato; non lontana è la
piccola isola Lachea (nome che significa “pianeggiante”),
sfrangiata sul mare aperto, meta amata per passeggiate
romantiche (sull’isola ci sono anche due musei, uno, vicino
alla battigia, sede del laboratorio della stazione marittima
di biologia, l’altro, nella zona alta, con esemplari
provenienti dalla Riserva). L’intera area è infatti
protetta, anche per quanto riguarda i fondali che
comprendono formazioni vulcaniche “pre-etnee” e sono una
meta molto apprezzata dai sub e dai sea-watchers con
maschera e boccaglio.
Sulle
onde della provvidenza
"Dopo la
mezzanotte il vento s'era messo a fare il diavolo, come se
sul tetto ci fossero i gatti del paese, e a scuotere le
imposte. Il mare si udiva muggire attorno ai faraglioni che
pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di S. Alfio, e
il giorno era apparso nero peggio dell'anima di Giuda"
Si ripercorre
l'ultimo viaggio della "Provvidenza", partendo dal porto di
Acitrezza spostandosi verso Capo Mulini e giungendo sin dove
sfocia il fiume Aci. Si ammira il paesaggio, un intreccio di
verde e di azzurro, cu cui si stagliano gli "scogli
giganteschi" sul mare "bello e traditore" e poco distante il
piccolo golfo, l'elevarsi improvviso d'una rupe erta, ritta
sul precipizio spumeggiante de mare. L'abilità degli uomini
l'ha trasformato in un imprendibile maniero, alto
sull'abisso nero di lava, ruvido di crepacci e trabocchetti.
È la singola rocca di Acicastello.
scene girate al
Monastero dei Benedettini, Piazza Duomo, Acitrezza
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Il Cantiere
peschereccio Rodolico.
ll cantiere
peschereccio di Acitrezza nasce verso la fine del 1800
grazie a Salvatore Rodolico che insieme al figlio
Sebastiano cominciano a costruire barche a remi e a vela per
i committenti di Catania. L'originario cantiere era
stanziato nella zona denominata "stagnitta", ne è memoria
una piccola via che porta il nome
di: "Via Rodolico". Gli strumenti utilizzati al tempo, per
dar vita alle barche di legno, erano l'ascia, la sega a
mano, il chianozzo
(pialla a mano), il chiano (pialla lunga) e i virrina (i
trapani a mano). Gli anni '60 segnano l'inizio di una
stagione florida per il cantiere che, passato nelle mani di
Salvatore Rodolico (figlio di Sebastiano), comincia a
costruire imponenti pescherecci di legno. Le commesse erano
tantissime: arrivavano dalla Toscana, dalle isole Eolie e
dall'isola D'Elba. Intanto il cantiere si era stanziato
all'interno del porto di Acitrezza, proprio dirimpetto
all'isola Lachea, mentre andava sviluppandosi la pesca con i
pescherecci anche a Trezza. Grazie alla gran quantità di
commesse, anche da Acitrezza, il cantiere diede in quegli
anni lavoro a più di 20 persone. Oggi non costruisce più
imponenti pescherecci, l'ultimo risale al 1989, ma continua
ad esistere grazie ai lavori di manutenzione e costruzione
di piccole barche di legno. Passato in mano al giovane
Sebastiano Rodolico (figlio di Salvatore) continua nella sua
secolare arte di dar vita alle barche a legno. La tecnica,
seppur con qualche variante dovuta alla nuova tecnologia, è
sempre la stessa: "il fasciame di legno viene attaccato con
la chiodatura zincata, poi il comento (le fessure tra un
legno e l'altro) vengono chiuse con la stoppa catramata e
quindi con la lanata (un pennellone) si passa, sul fasciame
esterno, la pece per proteggere lo scafo (oggi sostituita
con stucchi e pittura)". Le barche che solcano il mare di
Trezza sono resistenti come una volta e l'arte dei maestri
d'ascia attira, oggi anche, tantissimi turisti che
percorrendo il Lungomare dei Ciclopi rimangono estasiati nel
vedere quegli artigiani al lavoro.
Il testo e
le foto provengono da:
www.acitrezzaonline.net
Trezza, la battaglia
dell'ultimo mastro d'ascia
L'avvocato: «Non si
può considerare quella bottega alla stregue delle pizzerie:
quello è un pezzo di storia da tutelare»
di Alfredo Zermo
Aci Trezza. Da che mondo
era mondo, all'Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li
avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in
figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull'acqua.
Centoquaranta anni fa Giovanni Verga scriveva così della
famigliuola di padron ‘Ntoni, ma oggi quelle stesse parole
tornano attuali per raccontare la storia dei Rodolico,
laboriosa famiglia trezzota che costruisce barche di legno
da quattro generazioni e che conserva nelle mani un'arte
difficilmente tramandabile se non in bottega ma che ora
rischia di scomparire, cancellata da una burocrazia cieca e
insensibile, dietro la quale secondo voci di paese si
nascondono pure interessi privati ancora poco chiari.
Le mani di Giovanni
Rodolico, ultimo mastro d'ascia in attività nella Riviera
dei Ciclopi, sono segnate dal lavoro, sono ruvide, nodose
come la corteccia e dure come il tek. Sono le mani di un
vero e proprio artista, mani che in tanti anni hanno solo
misurato, lavorato, plasmato, dipinto tavole di legno. E che
ora fanno incredibilmente fatica alle prese con tutte le
"carte bollate" che sta affrontando per salvare la sua
attività, il Cantiere Rodolico, una pluridecorata bottega
artigiana che da oltre cento anni ha sede nel cuore del
porto di Aci Trezza, ma che qualcuno oggi non vuole più.
Le male lingue dicono che
dietro il tentativo di smantellare lo storico cantiere ci
sia il progetto di riconversione dello scalo di Aci Trezza
in porto totalmente turistico. E la recente approvazione da
parte del Consiglio comunale di Aci Castello dell'atto di
indirizzo del nuovo piano regolatore del porto già puzza di
bruciato. Si prevede infatti che i pontili galleggianti
siano gestiti dal Comune, come il campo boe, per attuare una
riconversione degli operatori della pesca trezzota (in grave
crisi) in ormeggiatori e operatori portuali.
Ed è proprio il Comune
castellese che ha ha accelerato l'agonia della famiglia
Rodolico che negli anni ha già dovuto combattere contro
l'avvento della vetroresina prima e contro un mercato sempre
più industriale poi. Mentre oggi si trova a combattere
contro un "mostro" chiamato burocrazia.
Da quando l'area del
cantiere da demanio marittimo è passata sotto la competenza
del Comune, per i Rodolico è cominciato un "calvario". Prima
il rifacimento del Lungomare di Acitrezza che ha costretto i
proprietari a ricostuire e ridimensionare il cantiere, poi
le multe per occupazione abusiva di suolo pubblico, poi le
richieste di adeguamento a varie norme con conseguente
acquisto di nuovi macchinari, poi le sanzioni per il mancato
smaltimento di rifiuti speciali, poi le cartelle esattoriali
per le tasse dei rifiuti non pagate e adesso anche la
pretesa dell'Imu sul demanio pubblico in concessione (?).
Con richieste di pagamenti per migliaia e migliaia di euro.
E addirittura con la revoca della concessione per quei poco
più che cento metri quadri occupati oggi dallo storico
cantiere che una volta era il "padrone" dell'area portuale.
«Siamo stati costretti a
notificare al Comune il ricorso contro la decadenza della
concessione - afferma l'avvocato Gatenao Spoto Puleo, al
quale la famiglia Rodolico si è affidata cercare di
districarsi fra sanzioni, ricorsi e notifiche - ma la nostra
intenzione è quella di continuare a dialogare con
l'amministrazione per salvare la storica attività del mastro
d'ascia.
Non vogliamo arrivare alla battaglia legale, ma
speriamo di convincere il Comune che non si può considerare
il cantiere navale alla stregua delle pizzerie. Quello è un
pezzo di storia e come tale va tutelato».
Basterebbe stare qualche
ora lì, davanti ai Faraglioni, per rendersene conto e vedere
turisti che quotidianamente si avvicinano per immortalare
quell'artista che nel suo piccolo antro suda e si sbraccia
per dare forma a un pezzo di legno. Oppure intere classi
dell'Istituto Nautico portate lì in gita didattica dai
professori per capire come si fa a costruire una barca senza
progetto e senza computer ma con la sola arte conservata
nelle mani del mastro d'ascia.
Filippo Drago, il sindaco
di Aci Castello, da cui dipende la frazione di Aci Trezza,
meno di un mese fa si era detto disposto ad "accompagnare" i
Rodolico in un percorso normativo che permettesse al
cantiere di essere messo in regola e continuare la sua
storia. «Ma quando sembra che si possa trovare una soluzione
- racconta ancora l'avvocato Spoto Puleo - succede qualcosa
che cambia le carte in tavola, come la richiesta di pagare
per un anno la concessione su oltre 1.000 metri quadri porto
quando il cantiere ne occupa poco più di 100. E oggi tra
l'altro non costruisce più grandi pescherecci, ma si limita
al restauro di poche e piccole imbarcazioni in legno».
Gianni Rodolico,
mastro d'ascia di Acitrezza, ha il suo nome annotato in uno
speciale Libro d'Oro dell'Eccellenza Artigiana Italiana: un
prezioso manufatto sul quale i MAM hanno apposto la loro
firma, e che dunque andrà ad arricchirsi con autorevolezza
nelle edizioni future, accogliendo i nomi dei nostri Tesori
Viventi, Insignito della medaglia "Maestro d'Arte e Mestiere
2020".
Soddisfazioni trizzote
e non solo.
Le barche di legno
trezzote sono state anche inserite nel Registro regionale
delle eredità immateriali della Sicilia. Una tradizione che
oggi ha pure la possibilità di essere tramandata ancora da
padre in figlio, visto che il primogenito di Giovanni vuole
guardagnarsi il titolo di mastro d'ascia.
Al fianco della famiglia
Rodolico oggi si schiera quasi un intero paese. Sono partite
raccolte di firme, raccolte di fondi per sostenere le spese
legali, gruppi di opinione sui social network e sono in
programma anche manifestazioni di piazza in difesa di questo
baluardo della tradizione marinara della città dei
Malavoglia. Una vera e propria iniezione di fiducia e di
coraggio per Giovanni che non vuole arrendersi al "mostro"
chiamato burocrazia mentre il padre Salvatore - iscritto nel
1986 nell'Albo d'onore dei maestri d'ascia del Ministero
della Marina mercantile - è pronto a incatenarsi alla porta
del suo storico cantiere per difendere l'arte di famiglia.
Certo è strano che in un
paese che finisce ogni anno su Striscia la Notizia per la
fognatura che scarica a mare sotto piazza Padre Pio, si
facciano tanti sforzi per affossare un'attività tradizionale
che è anche un richiamo turistico e non si faccia quasi
nulla per chiudere quello scempio che inquina costantemente
la Riviera dei Ciclopi.
All'amministrazione è
arrivato ora anche l'appello del Centro Studi Acitrezza: «Il
panorama di pontili galleggianti e motoscafi - scrive il
presidente Antonio Castorina - non è lo scenario adeguato
all'isola Lachea e ai Faraglioni. Da millenni questo
specchio di mare ha visto solcare barche in legno realizzate
alla maniera tradizionale e le istituzioni pubbliche hanno
l'onere di battersi perché continui la storia». Speriamo che
le istituzioni, molto spesso tacciate di sordità, stavolta
aprano bene le orecchie.
La Sicilia, maggio 2015
Mari, ca pari
chianu e po' t'affunni, ccu vaddi e munti capricciusi e
strammi;
ca teni l'angileddi
supra l'unni e li virdischi 'ntra li to' carammi...
Mari, ca ccu lu
celu ti cunfunni, ca fai tantu caminu e non hai iammi,
ca vesti nudu e
di ricchizzi abbunni, ca nun si' focu e puru jetti ciammi.
Tu, ca tiatru
si' di tanti drammi, tu ca dilitti nn'hai, tristi e
prufunni,
tu, ca fa'
lacrimari a tanti mammi; mi sai diri chi è, ca di 'sti
spunni,
sulu chi ti
taliu 'stu cori 'nciammi? Mi sai diri chi è? Mari,
arrispunni!
(Nino Martoglio)
La
terra trema
Un paesino di
poveri pescatori siciliani e di grossisti di pesce. 'Ntoni
Valastro, stanco dei soprusi dei grossisti, convince la sua
famiglia a mettersi in proprio e ad ipotecare la casa per
far fronte alle spese. Dopo un periodo di buona pesca,
'Ntoni, durante una tempesta, perda la barca e, non potendo
riscattare l'ipoteca, anche la casa. Il dissesto economico
porta la famiglia alla disgregazione. Dopo la morte del
nonno e diverse disgrazie che hanno colpito la famiglia,
'Ntoni abbandona la lotta. Nonostante nei titoli di testa de
"La terra trema" non appaia alcun esplicito riferimento a
Verga ed a "I Malavoglia", il film ha molti debiti con la
struttura narrativa e drammatica del romanzo, con i suoi
luoghi e personaggi.
Il regista
Luchino Visconti, ispirato dall'attenzione sociale con la
quale lo scrittore Giovanni Verga aveva trattato nel romanzo
"I Malavoglia" i problemi dei poveri pescatori, ideò una
trilogia di film sulla condizione dei lavoratori siciliani
nel difficile periodo economico che seguì alla seconda
guerra mondiale.
Il primo film doveva riguardare la vita dei pescatori, il
secondo quella dei braccianti agricoli e il terzo quella dei
minatori. Visconti, però, realizzò soltanto il primo, "La
terra trema".
I tre film erano stati ideati originariamente come
documentari per aiutare la campagna propagandistica del
Partito comunista italiano in vista delle elezioni politiche
del 18 aprile 1948.
Nell'estate del 1947 il regista Visconti compì un
sopralluogo in varie località della Sicilia e quindi, per
ambientare il primo dei tre documentari, quello riguardante
le condizioni di lavoro dei pescatori, scelse Acitrezza, lo
stesso paese nel quale Verga aveva localizzato il romanzo "I
Malavoglia".
Il film, girato in bianco e nero, con una rigida
interpretazione dei canoni del neorealismo, venne
interpretato esclusivamente da attori non professionisti,
tutti pescatori o abitanti di Acitrezza, che parlavano, in
presa fonica diretta, il dialetto locale.
Come assistenti alla regia Visconti scelse due giovani,
Francesco Rosi e Franco Zeffirelli, che sarebbero diventati
entrambi registi di grande successo. Rosi era incaricato di
tenere il "diario di lavorazione", mentre Zeffirelli aveva
la responsabilità delle comparse, dei costumi e della scelta
degli ambienti.
scene interamente
girate ad Acitrezza
|
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Le riprese cominciarono nell'autunno del 1947. Non c'era una
sceneggiatura: gli attori recitavano dialoghi che venivano
scritti poco prima che cominciassero le riprese della
giornata e che gli assistenti alla regia facevano "tradurre"
lì per lì in dialetto siciliano.Il Partito comunista aveva
stanziato per l'operazione la somma di 30 milioni di lire
che però, dopo appena poche settimane di riprese, si
dimostrò assolutamente insufficiente. Visconti allora,
sospesa la lavorazione del film, si recò a Roma dove, per
procurarsi il denaro necessario per la prosecuzione,
vendette alcuni gioielli di famiglia e, per ultimare la
pellicola, si procurò un finanziamento integrativo del
produttore Salvo D'Angelo della casa di produzione
"Universalia Film".
A
questo punto, Visconti, ormai svincolato dal rapporto
finanziario con il Partito comunista, modificò il proprio
progetto: il film abbandonò lo stile del documentario e
cominciò a diventare una specie di trasposizione
cinematografica del romanzo "I Malavoglia" di Verga.
Visconti, però, in aderenza alla propria ideologia personale
marxista, apportò una modifica fondamentale: mentre l'opera
dello scrittore è un ritratto corale "senza speranza"
soffuso di pietà e di rassegnazione, il film fa intravedere
una possibilità di riscatto attraverso la "rivoluzione"
contro i soprusi sociali.
L'opera venne presentata alla Mostra Cinematografica di
Venezia del 1948 dove suscitò molti consensi da parte dei
critici; il massimo premio della manifestazione, il "Leone
d'oro", però, venne assegnato al film britannico "Amleto" di
Laurence Olivier. Al film di Visconti venne attribuito un
premio "per i suoi valori stilistici e corali".
Il film, della durata di 157', distribuito nelle sale
cinematografiche, non ebbe molto successo commerciale, in
gran parte per l' incomprensibilità del dialetto "stretto"
che parlavano gli interpreti. Ne venne fatta quindi una
seconda versione, più breve (dalla durata complessiva di
105') e con una nuova colonna sonora nella quale gli
interpreti erano "doppiati" con un dialetto siciliano
"italianizzato", più comprensibile.
La pellicola, indicata dalla critica come uno dei documenti
più significativi della corrente cinematografica del
neorealismo, è stata recentemente restaurata. A distanza di
mezzo secolo dalla realizzazione del film, Acitrezza ha
dedicato a Luchino Visconti una delle piazze del paese,
accanto a quella intitolata a Verga.
Gli
interpreti del film
Antonio
Arcidiacono – 'Ntoni Giuseppe Arcidiacono – Cola
Giovanni Greco – nonno Nelluccia Giammona – Mara
Agnese Giammona – Lucia Nicola Castorina – Nicola
Rosario Galvagno – maresciallo Lorenzo Valastro –
Lorenzo Rosa Costanzo – Nedda
La trama
Il
giovane 'Ntoni Valastro incita gli altri pescatori di
Acitrezza a ribellarsi ai soprusi dei grossisti di pesce.
Dalle proteste nasce un tumulto e i pescatori vengono
arrestati; ma poi gli stessi grossisti li fanno rilasciare
non potendo fare a meno della loro manodopera.
'Ntoni convince
i propri familiari a mettersi in proprio, ipotecando la casa
per far fronte alle spese. Un'eccezionale pesca di acciughe,
che vengono "salate", sembra inizialmente favorire
l'iniziativa, ma una tempesta fa naufragare la barca. La
famiglia Valastro, così, è costretta a vendere le acciughe
salate ai grossisti ad un prezzo irrisorio e, non potendo
pagare l'ipoteca, perde anche la casa.
Il dissesto economico fa disgregare la famiglia. 'Ntoni, non
potendo trovare lavoro, si abbrutisce all'osteria e viene
abbandonato dalla fidanzata. Suo fratello Cola si fa
abbindolare da alcuni contrabbandieri e si associa ad essi.
Il nonno muore. La sorella di 'Ntoni, Mara, afflitta dalla
situazione nella quale versa la famiglia, si ritiene ormai
indegna del fidanzato, il muratore Nicola, e scioglie il
fidanzamento. La sorella minore, Lucia, si lascia irretire
dalle lusinghe del maresciallo del paese ed è ridotta alla
condizione di "donna disonorata", particolarmente pesante
nella Sicilia dell'epoca.
Alla fine, 'Ntoni si rassegna e piega la testa: va a
chiedere lavoro, assieme ai fratelli più piccoli, ai
grossisti. Ma, sebbene "vinto", appare consapevole che in
futuro la lotta comune con gli altri pescatori riuscirà a
sconfiggere i soprusi dei grossisti.
© Umberto D’Arrò
http://www.acitrezza.it/il-porto/57-la-terra-trema
LA
TERRA TREMA.
Regia: Luchino
Visconti Sceneggiatura: Luchino Visconti Fotografia: G. R.
Aldo Musica: Luchino Visconti, Willy Ferrero Montaggio:
Mario Serandrei (Italia, 1948) Durata: 160' Prodotto da:
Salvo D'Angelo
PERSONAGGI E
INTERPRETI 'Ntoni: Antonio Arcidiacono Cola: Giuseppe
Arcidiacono
Il nonno: Giovanni Greco Mara: Nelluccia Giammona Lucia:
Agnese Giammona
Quando si parla
di cinema nello Jonio, e soprattutto di Verga, è impossibile
da dimenticare l'incontro tra lo scrittore e il regista
Luchino Visconti.
Le bellezze
paesaggistiche siciliane hanno ospitato vari set
cinematografici, a partire dalla cittadina di Aci Trezza -
che nel 1948 ospitò Luchino Visconti ed il suo gruppo di
lavoro per la realizzazione de "La terra trema".
La città dei
faraglioni collaborò non solo come teatro della
rappresentazione con chiari contorni urbani e con le sue
bellezze, ma anche con alcuni dei suoi abitanti, circa una
trentina, che furono coinvolti nel film come attori, i cui
nomi non furono però citati nei titoli di coda ma che
comunque restarono nella memoria cittadina e che sognarono
spesso un rifacimento del film.
Il regista
Luchino Visconti, ispirato dall'attenzione sociale con la
quale lo scrittore Giovanni Verga aveva trattato nel romanzo
"I Malavoglia" i problemi dei poveri pescatori, ideò una
trilogia di film sulla condizione dei lavoratori siciliani
nel difficile periodo economico che seguì alla seconda
guerra mondiale.
Il
primo film doveva riguardare la vita dei pescatori, il
secondo quella dei braccianti agricoli e il terzo quella dei
minatori. Visconti, però, realizzò soltanto il primo, "La
terra trema".
I tre film erano
stati ideati originariamente come documentari per aiutare la
campagna propagandistica del Partito comunista italiano in
vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948.
Nell'estate del
1947 il regista Visconti compì un sopralluogo in varie
località della Sicilia e quindi, per ambientare il primo dei
tre documentari, quello riguardante le condizioni di lavoro
dei pescatori, scelse Acitrezza, lo stesso paese nel quale
Verga aveva localizzato il romanzo "I Malavoglia".
Il film, girato
in bianco e nero, con una rigida interpretazione dei canoni
del neorealismo, venne interpretato esclusivamente da attori
non professionisti, tutti pescatori o abitanti di Acitrezza,
che parlavano, in presa fonica diretta, il dialetto locale.
Come assistenti
alla regia Visconti scelse due giovani, Francesco Rosi e
Franco Zeffirelli, che sarebbero diventati entrambi registi
di grande successo. Rosi era incaricato di tenere il "diario
di lavorazione", mentre Zeffirelli aveva la responsabilità
delle comparse, dei costumi e della scelta degli ambienti.
Le riprese
cominciarono nell'autunno del 1947. Non c'era una
sceneggiatura: gli attori recitavano dialoghi che venivano
scritti poco prima che cominciassero le riprese della
giornata e che gli assistenti alla regia facevano "tradurre"
lì per lì in dialetto siciliano.
Il Partito
comunista aveva stanziato per l'operazione la somma di 30
milioni di lire che però, dopo appena poche settimane di
riprese, si dimostrò assolutamente insufficiente.
Visconti allora,
sospesa la lavorazione del film, si recò a Roma dove, per
procurarsi il denaro necessario per la prosecuzione,
vendette alcuni gioielli di famiglia e, per ultimare la
pellicola, si procurò un finanziamento integrativo del
produttore Salvo D'Angelo della casa di produzione
"Universalia Film".
A questo punto,
Visconti, ormai svincolato dal rapporto finanziario con il
Partito comunista, modificò il proprio progetto: il film
abbandonò lo stile del documentario e cominciò a diventare
una specie di trasposizione cinematografica del romanzo "I
Malavoglia" di Verga. Visconti, però, in aderenza alla
propria ideologia personale marxista, apportò una modifica
fondamentale: mentre l'opera dello scrittore è un ritratto
corale "senza speranza" soffuso di pietà e di rassegnazione,
il film fa intravedere una possibilità di riscatto
attraverso la "rivoluzione" contro i soprusi sociali.
L'opera venne
presentata alla Mostra Cinematografica di Venezia del 1948
dove suscitò molti consensi da parte dei critici; il massimo
premio della manifestazione, il "Leone d'oro", però, venne
assegnato al film britannico "Amleto" di Laurence Olivier.
Al film di Visconti venne attribuito un premio "per i suoi
valori stilistici e corali".
Il film, della
durata di 157', distribuito nelle sale cinematografiche, non
ebbe molto successo commerciale, in gran parte per l'
incomprensibilità del dialetto "stretto" che parlavano gli
interpreti. Ne venne fatta quindi una seconda versione, più
breve (dalla durata complessiva di 105') e con una nuova
colonna sonora nella quale gli interpreti erano "doppiati"
con un dialetto siciliano "italianizzato", più
comprensibile.
La pellicola,
indicata dalla critica come uno dei documenti più
significativi della corrente cinematografica del
neorealismo, è stata recentemente restaurata.
A distanza di
mezzo secolo dalla realizzazione del film, Acitrezza ha
dedicato a Luchino Visconti una delle piazze del paese,
accanto a quella intitolata a Verga.
La trama - Il
giovane 'Ntoni Valastro incita gli altri pescatori di
Acitrezza a ribellarsi ai soprusi dei grossisti di pesce.
Dalle proteste nasce un tumulto e i pescatori vengono
arrestati; ma poi gli stessi grossisti li fanno rilasciare
non potendo fare a meno della loro manodopera.
'Ntoni convince
i propri familiari a mettersi in proprio, ipotecando la casa
per far fronte alle spese. Un'eccezionale pesca di acciughe,
che vengono "salate", sembra inizialmente favorire
l'iniziativa, ma una tempesta fa naufragare la barca. La
famiglia
Valastro, così, è costretta a vendere le acciughe salate ai
grossisti ad un prezzo irrisorio e, non potendo pagare
l'ipoteca, perde anche la casa.
Il dissesto
economico fa disgregare la famiglia. 'Ntoni, non potendo
trovare lavoro, si abbrutisce all'osteria e viene
abbandonato dalla fidanzata. Suo fratello Cola si fa
abbindolare da alcuni contrabbandieri e si associa ad essi.
Il nonno muore. La sorella di 'Ntoni, Mara, afflitta dalla
situazione nella quale versa la famiglia, si ritiene ormai
indegna del fidanzato, il muratore Nicola, e scioglie il
fidanzamento. La sorella minore, Lucia, si lascia irretire
dalle lusinghe del maresciallo del paese ed è ridotta alla
condizione di "donna disonorata", particolarmente pesante
nella Sicilia dell'epoca.
Alla fine,
'Ntoni si rassegna e piega la testa: va a chiedere lavoro,
assieme ai fratelli più piccoli, ai grossisti. Ma, sebbene
"vinto", appare consapevole che in futuro la lotta comune
con gli altri pescatori riuscirà a sconfiggere i soprusi dei
grossisti
fonti:
www.sicilycinema.it/ e
www.acitrezza.it
Tra
mitologia e folklore
La riviera dei
Ciclopi, lungo cui si snoda il Parco Letterario Giovanni
Verga, è nota per le vicende mitologiche pervenuteci dai
grandi poeti dell'antichità: Omero e Virgilio. La leggenda
vuole che i tre faraglioni, situati lungo la costa di
Acitrezza, siano i massi lanciati da Polifemo, contro la
nave di Ulisse che fuggiva, il gigante Polifemo ritorna
ancora nel mito di Aci e Galatea, geloso dell'amore tra i
due giovani il Ciclope uccide Aci scagliandogli addosso un
enorme masso. "L'Arcipelago" dei Ciclopi, intorno al 1750,
diventa teatro di una nuova e originale tradizione popolare
rappresentata dalla pantomima "U pisci a mari". La
rappresentazione è legata ai festeggiamenti in onore di San
Giovanni Battista, patrono di Acitrezza, che si svolgono
ogni anno il 24 giugno. La pantomima rappresenta, con i toni
della parodia, l'antica arte della pesca del pesce spada.
Tutta la cultura , la storia, la tradizione di un popolo
indissolubilmente legato al mare, si trova in questa
messinscena che per l'occasione riempie il paese. Uno
squarcio di vita quotidiana che ispirò in passato il verismo
di Verga.
I
Malavoglia
La vicenda
narrata si svolge tra il 1863 ed il 1875. il lento
decadimento di una famiglia, conosciuta da Ognina a Trezza
col nomignolo di Malavoglia, ma che nel libro della
parrocchia si chiama Toscano. I personaggi, legati ai pochi
beni che possiedono, sono sottomessi alla legge della
miseria. Le loro azioni rispondono al dovere, all'onore, al
sacrificio e sottolineano il senso di rassegnazione in cui
prevale "l'ideale dell'ostrica" rappresentato da casa,
lavoro e famiglia che regola il loro esistere. Il dramma
nasce dal contrasto tra diverse concezioni di vita. Da una
parte coloro che vogliono rompere con la tradizione per
trovare un riscatto umano: il nipote 'Ntoni. Dall'altra i
rappresentanti di una società arcaica, ostili ad ogni idea
di progresso, legati al passato: padron 'Ntoni. Grazie alla
scrittura sapente che riproduce alcune caratteristiche del
dialetto (i "motti"), il romanzo fa parlare il mondo
raccontato. Un mondo che non c'è più, che si fondava sulla
figura del patriarca e trovava il suo significato in poche
cose semplici, come la casa del nespolo,la barca della
"Provvidenza", le strade impolverate di Acitrezza, il carico
di lupini che naufraga, i proverbi di padron 'Ntoni ricchi
di una saggezza che non serve più.
www.parchiletterari.it
Il
museo della CASA DEL NESPOLO
Si
può "entrare" nelle pagine de "I Malavoglia" percorrendo il
cuore della vecchia Trezza, all'interno della quale si trova
quella "Casa del Nespolo", la casa dei Malavoglia dalla
quale - dice Verga - "si sentiva russare il mare".
Il Museo "Casa del Nespolo" è ospitato in una vecchia
abitazione del centro storico di Aci Trezza, a fianco della
chiesa di San Giovanni. La struttura architettonica è quella
tipicamente siciliana della metà del XIX secolo, con
cortile, un piccolo orto e l'ingresso caratterizzato da un
arco in pietra lavica a tutto sesto. L'interno è articolato
in due stanze: la prima, la sala "La terra trema", raccoglie
fotografie, locandine e varie testimonianze dell'omonimo
capolavoro cinematografico di Luchino Visconti, da lui
girato proprio ad Acitrezza, nel 1947, con un cast di attori
scelti interamente fra gli abitanti del piccolo borgo
marinaro. La seconda, la "Stanza dei Malavoglia", ospita
testimonianze del mondo dei pescatori trezzoti della metà
dell'Ottocento, con una raccolta di antichi strumenti di
lavoro e suppellettili della vita quotidiana. Interessanti
le foto scattate personalmente da Giovanni Verga e la
raccolta di lettere al fratello Pietro.
Informazioni:
http://www.museocasadelnespolo.info/
Questa è la storia di Padron
‘Ntoni, del figlio Bastianazzo e della moglie Maruzza, e dei
nipoti ‘Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia, poveri pescatori di
Aci Trezza, la cui unica ricchezza era la “casa del
nespolo“. Questa è la storia della Provvidenza, la barca con
cui aveva tentato di far fortuna con un carico di lupini,
andato irrimediabilmente perduto durante una tempesta,
gettando definitivamente sul lastrico la famiglia Toscano,
detta I Malavoglia. Una storia detestata da molti studenti
del liceo perché scorcio troppo duro di una letteratura
verista, quella di Giovanni Verga, e di una Sicilia che
teneva imprigionati e distruggeva chiunque cercasse di
cambiare la propria sorte arricchendosi.
Un romanzo che gli
appassionati di letteratura hanno amato per la forza della
parola con cui vengono raccontati frammenti di vita
siciliana dei primi del ’900 e che possono rivivere in
quello che un tempo era un antico borgo di pescatori. Oggi è
un paese, che vive molto ancora di turismo e di pesca, in
provincia di Catania. Se da una parte è vero che potrete
rimanere delusi dal “Porto dei Malavoglia“, diventato ormai
una colata di cemento, è altresì vero che, nascosta tra le
viuzze di Aci Trezza, riuscirete a vivere l’atmosfera di
quel duro romanzo verghiano nel Museo Casa Del Nespolo,
gestito dall’Associazione Culturale Fantasticheria, in Via
Arciprete Salvatore De Maria, 15.
L’albero di nespole
all’interno del cortile vi accoglierà prima di entrare
all’interno della casa. Una casa umile, piccolissima, fatta
solo di due stanze, che ci permette di comprendere le
condizioni di indigenza e miseria in cui vivevano all’epoca.
La struttura è quella tipicamente siciliana della metà del
XIX secolo, con cortile, orto e ingresso caratterizzato da
un arco in pietra lavica a tutto sesto.
L’interno è costituito da due
sale: la prima, dedicata al film La terra trema di Luchino
Visconti, raccoglie fotografie, locandine e varie
testimonianze dell’omonimo capolavoro cinematografico,
girato proprio ad Acitrezza. La seconda, invece, detta la
Stanza dei Malavoglia, raccoglie testimonianze del mondo dei
pescatori trezzoti della metà dell’Ottocento, antichi
strumenti di lavoro e suppellettili della vita quotidiana.
All’interno è possibile trovare alcuni preziosi documenti
come le lettere di Verga al fratello Pietro e un album
fotografico, contenente una raccolta di immagini scattate
dallo stesso scrittore, che racchiude lo spirito verista del
tempo.
Pinella Petronio
U pisci
a mari - 16 - 25
GIUGNO 2005 La pantomima "U pisci a mari" è una tradizione
popolare trezzota che risale intorno al 1750, anno
dell’inaugurazione della statua lignea del Santo Patrono di
Acitrezza, San Giovanni Battista.
Tale pantomima è
un rito propiziatorio, parodia della pesca del pesce spada
che si svolgeva anticamente nello stretto di Messina, dove
un marinaio da un’alta antenna (il "rais") piantata in mezzo
ad una barca, spia il pesce che passa per lo stretto; in
un’altra barca a lancia più piccola quattro marinai sono
pronti al remo, e quando il grido della guardia annuncia la
comparsa del pesce essi vogano di tutta forza: il "rais"
dirige il corso, pronunziando parole in dialetto, in modo
che il cetaceo venuto sotto tiro, viene inforcato
furiosamente con la fiocina alla quale starebbe attaccato un
capo di canape fatto fermo sulla barca.
Il pesce viene
così ferito e s’inabissa tirandosi la corda, che è
sufficientemente lunga, ma ben presto muore e viene tirato
su rosseggiante fra le grida festose di altre barche di
curiosi e di quello che sta all’antenna che manda
benedizioni, e che cambierebbe in maledizioni o imprecazioni
se il colpo dovesse fallire.
La pesca del
pesce spada rappresenta, per il popolo protagonista, la
continua lotta ingaggiata con gli elementi naturali, per
sopravvivere in una terra che come pane ha il pesce. Ad
Acitrezza è precisamente questa scena, che si vuole imitare,
ma l’azione assume un che di comico, di folkloristico, di
esagerato.
Il faraglione di mezzo, u
scogghiu do zu Janu, il faraglione d'aceddi
I geositi
castellesi nell'Atlante Nazionale
18 gennaio 2011
ACI TREZZA. Saranno
inseriti anche i siti di particolare interesse geologico
castellesi nell'Atlante Nazionale dei Geositi. Le
funzionarie del Dipartimento Territorio dell'assessorato
regionale Territorio e Ambiente, Elga Arini e Ina Lo Cascio,
proprio oggi, hanno effettuato un sopralluogo nel Castellese
per censire i siti di maggiore pregio geologico per la
redazione del futuro "Catasto regionale dei Geositi" e,
successivamente, dell'Atlante nazionale dei Geositi e dei
percorsi turistico-naturalistici che mettano in rete i
geositi presenti ad Aci Castello, Catania, San Gregorio e
Acireale.
Le funzionarie regionali
hanno visitato - raccogliendo le informazioni necessarie
alla compilazione del database (con tanto di foto, tempi di
percorrenza dei percorsi proposti e coordinate) - i siti
dell'Isola Lachea e dei Faraglioni dei Ciclopi di Aci Trezza
per i particolari megapillow (la riserva naturale gestita
dal Cutgana, il centro interfacoltà dell'Università di
Catania diretto da Maria Carmela Failla), i basalti
colonnari presenti nell'area portuale di Aci Trezza, il
Castello Normanno e la zona rocciosa sottostante ad Aci
Castello e gli affioramenti basaltici come i "panettoni"
presenti nei fondali dell'Area marina protetta Isole
Ciclopi, già compresi in diversi percorsi subacquei
realizzati dall'ente gestore dell'area protetta istituita
dal ministero dell'Ambiente.
Rientreranno nei
percorsi anche Monte Ferro e l'area argillosa presenti nella
collina Vampolieri e a Ficarazzi oltre alle grotte a
scorrimento lavico della riserva naturale Complesso
Immacolatelle e Micio Conti di San Gregorio (gestita dal
Cutgana). Le funzionarie regionali sono state guidate lungo
il percorso dal direttore dell'Amp Isole Ciclopi, Emanuele
Mollica, dal geologo e direttore della riserva naturale
"Grotta Palombara", Sandro Privitera, dagli operatori del
Cutgana (Emanuele Puglia, Mauro Contarino e Giovanni Magnato)
e dal geologo Danilo Cavallaro del Dipartimento di Scienze
geologiche dell'Università di Catania.
http://www.bda.unict.it/Pagina/It/Cutgana_2/0/2011/01/18/4294_.aspx
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FESTA
DI SAN GIOVANNI - U PISCI A MARI (clicca qui)
Iscritto da più di dieci
anni nel Registro delle Eredità Immateriali della Regione
Siciliana, “U pisci a mari” diventa un appuntamento fisso
per gli amanti delle manifestazioni in cui tradizione,
folklore, cultura e religione vivono in simbiosi
scambiandosi sapientemente i ruoli durante lo svolgimento
della manifestazione. Da più di due secoli, con pochissime
varianti, davanti all'incantevole scenario dei faraglioni di
Aci Trezza, la pantomima si svolge in uno specchio d'acqua
circondato da svariate imbarcazioni e una moltitudine di
persone, incuranti del forte caldo. Una pantomima di cui in
altre circostanze è stato già spiegato e raccontato cosa
essa simbolicamente rappresenti per il territorio e per i
pescatori del luogo. In questa occasione si sottolinea
l'importanza della partecipazione del pubblico (non
necessariamente la gente del luogo, anzi, negli anni è
cresciuta esponenzialmente la presenza di curiosi e turisti)
e, soprattutto, il ruolo delle donne, vere e proprie custodi
degli accessori necessari per la vestizione dei protagonisti
della pantomima. Così facendo si preserva una tradizione
che tiene sempre più a tutelare e a divulgare una vera e
propria identità trizzota. Evviva Acitrezza, Evviva U pisci
a mari!
(Massimo Vittorio)
Il
trezzoto che inventò il sorbetto.
Nel lontano 1660
un certo Francesco Procopio De Coltelli lasciò la natia
Acitrezza per conquistare Parigi, Non partì con un carico di
lupini, ma con uno speciale utensile che serviva a
fabbricare sorbetti e granite. Forte della tradizione in
materia, importata secoli prima in Sicilia dai lungimirati
musulmani, Procopio capi che la specialità nostrana poteva
avere successo anche in altre parti del inondo. E così
inventò la sua ricetta vincente: lo zucchero al posto del
miele (come nell'uso arabo) e il sale mescolato al ghiaccio
nelle giuste proporzioni per aumentarne la durata.
Ma
non fu vita facile per il pescatore mancato. Passarono molti
anni prima che Procopio potesse mettere a punto un sorbetto
doc, e ad ogni tentativo fallito faceva ritorno nella sua
Acitrezza e scoraggiato prendeva il largo, oltre i
Faraglioni. Ma in quel fatidico 1660 riuscil finalmente ad
aprire il suo primo caffè-gelateria nella capitale
transalpina, addirittura con la benedizione del sovrano
Luigi XIV, il mitico Re Sole, il quale era rimasto deliziato
dal gusto "rnediterraneo" dei suoi sorbetti. La sua fama si
propagò velocemente, al punto che dovette ampliare il suo
locale e trasferirsi alla rue de l'Ancienne Cornédie
Francaise, aprendo il famoso Cafè Procope. Il gelataio
trezzoto divenne così Francois Procope De Couteaux, fu
invitato alla corte di Versailles per ricevere dal re un
ambito riconoscimento: "le Iettere patenti", una sorta di
concessione esclusiva per produrre le cosiddette "acque
gelate" (l'odierna granita), e poi gelati di frutta, "fiori
d'anice e di cannella" e gelati al succo di limone e
d'arance.
Un secolo più
tardi sarebbe nato anche il celebre "Cafè Napolitainse" del
partenopeo Tortoni.
E le vicende di
questi due bar italiani si sarebbero incrociate più volte,
luoghi che testimoniano grandi eventi storici e culturali,
che lasceranno il segno in Europa.
Il Café Procope
diventerà il ritrovo ideale di illuministi di grande fama,
quali Voltaire, Rosseau, D'Alembert, Diderot; si dice che
alcuni di loro abbiano lasciato manoscritti, tutt'oggi
consultabili a chi abbia voglia di visitare questo locale,
nel cuore del quartiere latino di Parigi. Non solo. Negli
anni della rivoluzione francese il bar sarà frequentato dai
capi del movimento giacobino, dai vari Roberspierre, Danton,
Marat e Saintjust; qualche storico francese sostiene che sia
stato anche teatro di omicidi durante gli anni del terrore.
E invece, trent'anni dopo, nel vicino Cafè Tortoni, si
davano appuntamento il sommo Gioacchino Rossini e un giovane
siciliano, di Catania, che aveva appena composto un'opera
che avrebbe scosso definitivamente il melodramma europeo. Il
dramma musicale in questione è "I Puritani", e l'artista è
quel tale Vincenzo Bellini, giovane di belle speranze che
suscitava l'ammirazione del grande autore di "Barbiere di
Siviglia". Rossini preferiva le paste napoletane del
"Tortoni", mentre Vincenzino avrebbe sicuramente gustato una
granita di limone nel "Procope", fondato da quel conterraneo
venuto da Acitrezza.
Sulla magica Riviera dei
Ciclopi sorge Aci Trezza, antico borgo marinaro che si
specchia sulle acque cristalline del mare. Il nome Riviera
dei Ciclopi si rifà ad un episodio cantato dal mitico Omero
nell'Odissea. Si tratta dell'episodio in cui Ulisse, per
sfuggire al terribile Ciclope Polifemo che lo aveva
catturato insieme ai suoi compagni, acceca il gigante nel
suo unico occhio con un dardo infuocato. L'eroe poi fugge
con i suoi compagni aggrappato al ventre delle pecore del
ciclope. Polifemo, travolto dal dolore e dalla rabbia
scaglia contro la nave di Ulisse in fuga tre massi, che
tutt'ora si trovano di fronte ad Aci Trezza a testimoniare
l'episodio e che prendono il nome, per usare un'espressione
Verghiana, di Faraglioni.
Piccolo borgo di
pescatori dominato, dalla parte del mare, dai Faraglioni dei
Ciclopi le cui masse laviche nere ed appuntite emergono
dalle acque cristalline. Nell'Odissea si narra che questi
fossero i massi scagliati da Polifemo contro Ulisse che
l'aveva accecato lanciandogli un dardo infuocato nell'unico
occhio. L'eroe era poi fuggito con i suoi compagni
aggrappato al ventre delle pecore del ciclope.
Il porticciolo,
invaso dal sole e punteggiato di barche variopinte tirate in
secca, sembra popolato dai fantasmi dei personaggi di Verga,
la Maruzza e gli altri Malavoglia, che attendono ansiosi
scrutando il mare, nella vana speranza di avvistare la
Provvidenza con il suo carico di lupini. Ed è proprio ad Aci
Trezza che Luchino Visconti decise di girare La terra trema,
rispettando l'ambientazione del romanzo verghiano da cui il
film è stato tratto.
Dopo la
mezzanotte il vento s'era messo a fare Il diavolo, come se
sul tetto ci fossero tutti i gatti del paese, e a scuotere
le imposte. Il mare si udiva muggire attorno ai fariglioni
che pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di
Sant'Alfio ed il giorno era apparso nero peggio dell'anima
di Giuda ...
Le barche del
villaggio erano tirate sulla spiaggia, e bene ammarrate alle
grosse pietre sotto il lavatoio...
Sulla riva
c'era soltanto padron 'Ntoni, per quel carico di lupini che
ci aveva in mare colla Provvidenza e suo figlio Bastianazzo
per giunta
tratto da I
Malavoglia di Giovanni Verga
L'autore della
"Odissea" aveva scritto che la "Terra dei Ciclopi" era
un'isola del Mediterraneo: fu un poeta del quinto secolo
avanti Cristo, Euripide, nel dramma satiresco "Ciclope", a
localizzare la "Terra dei Ciclopi" nella fascia costiera che
separa l'Etna dal mare.
La leggenda
passò poi nella letteratura romana e venne ripresa da
Virgilio che nel libro III della "Eneide" immaginò una sosta
di Enea in Sicilia durante il viaggio da Troia verso il
Lazio. L'esule troiano -secondo i versi di Virgilio- approdò
vicino all'Etna e qui incontrò un ex compagno di Ulisse,
Achemenide, il quale gli raccontò il modo in cui Ulisse
aveva sconfitto Polifemo.
In realtà i
Faraglioni sono masse laviche nere e appuntite che emergono
dalle acque. L'isola Lachea, il più grande di questi scogli,
è oggi sede di una stazione biologica dell'Università di
Catania e riserva naturale protetta e ospita varie specie
animali e tra cui la Lacerta, una specie endemica presente
solo in quest'isola.
Il porticciolo
di Aci Trezza, invaso dal sole e punteggiato di barche
variopinte tirate in secca, sembra ancora popolato dai
personaggi di Verga, la Maruzza, Padron 'Ntoni, La Mena,
Bastianazzo con la sua barca la Provvidenza e da tutti gli
altri Malavoglia. Qui infatti, lo scrittore catanese
Giovanni Verga si ispirò per scrivere il suo capolavoro "I
Malavoglia", che narra le vicende sfortunate di una famiglia
di pescatori che lottano contro il destino avverso per
risollvare le loro sorti dopo il naufragio della
Provvidenza. Sembra di vederli ancora dalla costa di Aci
Trezza scrutare il mare, nella vana speranza di avvistare la
barca con il suo carico di lupini.
E ancora ad Aci
Trezza che Luchino Visconti decise di girare "La terra
trema" (1948) , rispettando l'ambientazione del romanzo
verghiano da cui il film è stato liberamente tratto. Ancora
una volta protagonista è una famiglia di pescatori sfruttati
nella loro povertà dai commercianti grossisti. Il giovanè
Ntoni Valastro chiede ai pescatori di ribellarsi ma alcuni
di essi vengono arrestati e poi fatti rilasciare dagli
stessi grossisti cui serviva manodopera. Disposta a lottare
contro l'oppressione, la famiglia Valastro ipoteca la casa
per comprare una barca e lavorare in proprio. Un'eccezionale
pesca di acciughe sembra aiutarli ma più tardi una tempesta
distrugge la barca. Costretti a vendere le acciughe ai
grossisti ad un prezzo irrisorio, perdono la casa e la
famiglia si disgrega tra una sciagura e l'altra. 'Ntoni si
rassegna così a lavorare per i grossisti e anche se
umiliato.
U pisci a mare.
Oggi la pantomima si è vestita di altri colori. Tra le
bancarelle stracolme di oggetti, carrettini traboccanti di
arachidi e ceci tostati e assordanti fuochi d’artificio, u
Raisi, colui che dirige la pesca, si avvia a balzelloni
sulla spiaggia, ostentando, in modo caricaturale, calzoni
corti, un cappellaccio, stracci rossi, una fascia purpurea a
tracolla.
Con fare
minaccioso muove una canna di foglie fresche sulla mano
destra ed un ombrello sulla sinistra. Alcuni pescatori,
vistosamente ornati in rosso, con marcata gestualità
iniziano la calata della barca.
Il loro compito
è quello di arpionare u pisci, provetto nuotatore che
furtivamente s’immerge nello specchio di acqua teatro della
pantomima, nascondendosi tra le numerose imbarcazioni. In
uno scenario scandito dalle urla della gente, ha così inizio
la pesca.
U Raisi,
dall’alto di uno scoglio, avvista la preda, lancia segnali,
urla frasi arcaiche ed incita i marinai a catturarla. Il
pesce, dopo vari tentativi, viene preso e levato a bordo, ma
riesce a scappare. I pescatori imprecano, si accapigliano e
u Raisi, disperato, si getta in acqua.
Salvo Olimpo photo
L’inseguimento
del pesce si ripete e questa volta la preda viene ferita e
catturata, macchiando di rosso il mare. Due pescatori
tengono saldamente il pesce-uomo per le braccia e le gambe e
minacciano di squartarlo con una grande mannaia. Urlano la
bontà delle carni. Ma a pochi metri dall’approdo il pesce
fugge definitivamente, scomparendo tra i flutti. Poi, tra
l’entusiasmo generale, i pescatori capovolgono la barca e
ritornano a terra in un gioco di spruzzi che coinvolge tutti
gli spettatori.
Questa festa è
considerata una delle manifestazioni popolari più importanti
della Sicilia. Nella semplicità della rappresentazione,
recitata, come già detto, da pescatori locali, è presente
tutta la profondità del rapporto tra l’uomo e il mare, il
pescatore e la preda, da Verga ad Hemingway. Il susseguirsi
di momenti di conquista del pesce spada e della perdita
della preda, sino al capovolgimento dell’imbarcazione,
rappresentano l’alternarsi della ricchezza e della povertà,
della felicità e della disperazione, della vita e della
morte..
Le
villeggiature ad Acitrezza
di
Francesco Strano -
da Catania con
amore
Il catanese che,
oggi, pronto a tutto, pur di evadere da una città che sente
sempre meno "sua", si avventura tra la folla, le colonne
immobili di auto, il rombo delle moto, i gas di scarico, la
sporcizia, il frastuono degli impianti stereo a tutto
volume, la volgarità della gente, la cementizzazione
sfrenata, la distruzione dell'antico, che oggi distinguono
Acitrezza, non può immaginare quale paradiso fosse questo
vecchio borgo di pescatori negli anni '50.
uell'epoca, il
catanese, ripresosi dalle rovine della guerra, cittadino
orgoglioso di una città davvero viva e operosa,
rivitalizzato dal primo miracolo economico, conquistati il
frigorifero, l'automobile e i primi segni di quel benessere
che si sarebbe in seguito trasformato nel consumismo più
sfrenato, ma, ancora, egli, ingenuo e ignaro, scopriva la
villeggiatura a mare. Superati i confini di Ognina, antico
golfo, nel quale si mescolavano miseria e nobiltà, con i
bagnanti portati in spiaggia dai mezzi pubblici, che
ammiravano, senza rancore e senza invidia, gli abitanti
delle splendide ville sul mare non ancora inquinato e i soci
del Circolo Canottieri Jonica, il catanese scopriva
Acitrezza, angolo incontaminato di Sicilia e di mare,
abitato da gente semplice e cordiale, accogliente come solo
i puri sanno essere.
Ricordo ancora
benissimo la prima casa di villeggiatura della mia famiglia,
una piccola casa di pescatori, due vecchi sposi abbronzati e
rugosi, con un esercito di figli, tutti sani e sorridenti,
dediti alla pesca e ai genitori, in un'atmosfera ancora
vagamente verghiana. Ricordo che all'imbrunire era quello il
vero inizio della giornata dei trizzoti sulla spiaggia del
porticciolo cominciavano i preparativi per la pesca
notturna: le Iampare" portate giù da casa che si accendevano
a una a una come enormi lucciole di speranza, l'odore
dell'acetilene che si spandeva per l'aria, le barche calate
in acqua a forza di braccia, scorrendo sulle 'Talanghe"
scivolose di grasso, al ritmo di urla di incoraggiamento, le
reti avvolte con cura a occupare i posti destinati, gli
"specchi" lustri pronti a mostrare i magici fondali, il
rumore dei remi, fissati agli scalmi, affondati con dolcezza
e vigoria nell'acqua con la tipica voga dei pescatori. Tutto
questo rappresentava uno spettacolo irrinunciabile per noi
villeggianti, così come il ritorno delle barche, lo scarico
del pesce ancora guizzante, dei polpi, dei ricci, dei
crostacei; ed era una partecipazione gioiosa e sincera ai
successi di quella brava gente, dalla quale acquistavamo i
frutti di quel mare pescoso e profumato.
La
mattina, poi, a frotte noi ragazzini di città ci
rovesciavamo sulle spiagge, gareggiando in agilità coi
piccoli indigeni in temerarie corse a balzi sugli scogli
neri e ruvidi, o in destrezza nella caccia agli "aranci di
mare", servendoci di due corte canne, una, con una putrida
sarda legata in cima, per invogliare i poveri crostacei ad
allungare le chele, l'altra
munita di un cappio rudimentale ma micidiale fatto col filo
da lenza, pronto a stringere iii una presa invincibile la
preda, tanto più ambita quanto più grossa e ribelle. Anche i
gamberetti grigi, che ancora popolavano le rive, venivano
catturati, questi con le mani, e subito sacrificati crudi al
nostro fresco appetito. E con curiosità e rispetto stavamo a
guardare (seri anche noi, perché, forse senza rendercene
conto, comprendevamo che quello faceva parte del "Iavoro" e
della lotta eterna dell'uomo col mare per strappargli da
vivere) i lavori di rattoppo delle reti, stese ad asciugare
al sole per tutta la loro lunghezza sulla spiaggia, lavori
fatti dai vecchi, servendosi anche dei piedi nudi, con le
dita infilate tra le maglie, per stendere la trama e
cogliere le falle, che venivano riparate con veloce abilità.
Tra questi due
poli di partecipazione alla vita degli abitanti, noi
villeggianti inserivamo le schegge del nostro essere
cittadini e il nostro modo di vivere e godere di quella
semplicità, in un'atmosfera di vacanza perpetua (almeno per
noi ragazzi, perché la maggior parte dei padri pendolava tra
il lavoro in città e il riposo in paese).
E ricordo i bagni
molti con l'ausilio di salvagente (camere d'aria dismesse o
grosse zucche legate ai fianchi) i tuffi sempre più audaci,
le prime passerelle, in legno per non alterare il paesaggio
e la natura, sulle quali consumare veloci intervalli tra
interminabili raccomandazioni materne: "è da stamane che sei
in acqua!", "guarda che dita grinzose!", "ti prenderai un
malanno, non sei un pesce!". Su quelle spiagge, su quelle
passerelle nascevano anche i primi amori giovanili, tra
sguardi e mute promesse, che poi la sera si tramutavano in
passeggiate mano nella mano, in baci furtivi, in promesse di
amore eterno, che la fine dell'estate portava via con sé, a
colmare uno scrigno senza fondo e senza tempo.
E non mancavano
neanche allora i riti, semplici e spontanei: il mottarello o
la coppa del nonno da acquistare nel piccolo chiosco della
piazzetta (si trova ancora oggi lì nello stesso posto, dopo
aver visto generazioni di mangiatori di gelati, resistente a
tutto e a tutti), le serate all'arena allora ce n'erano due
a servire gli abitanti di due zone diverse, che non si
mischiavano mai, chissà perché nei cui programmi comparivano
con feroce costanza i film con Nazzari, Vallone, Stanlio e
Ollio; e anche lì, nel buio complice, le tenere coppiette
consumavano le loro prime emozioni. I ragazzi più grandi
organizzavano mitiche, e, per noi ragazzini,
irraggiungibili, feste da ballo, la cui musica (Platters,
Dallara, Modugno, Perry Como, Presley e altri divi
dell'epoca) arrivava sfumata sulle spiagge, dove noi ne
godevamo senza la sorveglianza dei genitori, tutti intenti a
controllare i ballerini.
E i
genitori, infine, la sera si riunivano per interminabili
partite a carte, nelle quali facevano da padroni i classici
poker e scopone, ma anche la canasta, allora in gran voga, e
un gioco con carte siciliane, poi tramontato, lo
"schipetaro", che provocava accese discussioni e grandi
risentimenti, almeno per una sera; altre volte, in comitive,
andavano alle famose serate al Lido dei Ciclopi, serate mai
più eguagliate per divertimento e varietà di idee.
Quanto
altro ci sarebbe da ricordare! Le gite sulle barche dei
marinai, colme fino all'incoscienza e, a volte, al
capovolgimento; una indimenticabile nottata su un cutter,
passata a pescare "angileddi", che venivano sventrati,
infarinati e fritti, passando in non più di cinque minuti
dal mare ai nostri stomaci, attraverso palati stupiti di
tanto sapore; i bagni notturni all'isola Lachea nelle notti
di luna piena; una gustosa indimenticabile zuppa di
tartaruga di mare, portata viva in casa e successivamente
macellata e cucinata in un sugo mai più eguagliato, a mia
memoria; le visite esaltanti nelle due più grosse e famose
rivendite di pesce, quelle di Lorenzo "il giovane" e di
Lorenzo "il vecchio", che rivaleggiavano in varietà di pesce
freschissimo esposto con arte e fantasia in enormi
ghiacciaie, che attiravano curiosità e ammirazione per la
varietà e i colori del contenuto; le scorpacciate di frutti
di mare crudi, abbondanti fino all'autolesionismo; l'offerta
devota, che immancabilmente i miei nonni, nel ripartire per
Catania, dopo la loro visita domenicale, depositavano
nell'altarino (ancor oggi esistente) posto di fronte alla
fermata dell'autobus;
i tanti amici di allora, le famiglie
di villeggianti, che avevano formato con la nostra un
microcosmo che si ritrovava ogni anno, tanti nomi e tanti
volti, alcuni nitidi, altri più sfocati, ma tutti ben vivi
nel ricordo di un'epoca indimenticabile e irripetibile, resa
ancor più preziosa per me e mio fratello Nino, allora appena
un bambino, dalla guida brillante, gioiosa, amorevole e
ricca di valori dei miei splendidi genitori, Pippo e Ilia,
sempre teneramente innamorati, sempre ammirati e ricercati
da tutti.
E poi veniva settembre, e con settembre Acitrezza si
svuotava dei catanesi che ripartivano, caricando i camion di
masserizie, in un intrecciarsi, nel contempo allegro e
malinconico, di saluti e foto frettolose; molti, come noi a
Nicolosi, si trasferivano per
vivere diverse, ma ugualmente
intense, vacanze in montagna, altri tornavano a Catania, ma
in una Catania diversa da quella di oggi, una città dalla
quale non si desiderava fuggire, ma che si lasciava per una
villeggiatura da godere, come un'amante, per tornarvi
sempre, immancabilmente e con desiderio, come dalla moglie
amata.
Aspetto da pirata, il pescatore Sebastiano Greco dagli
Anni 70 fino all’anno scorso ha prestato il suo aspetto ed
il suo viso al personaggio centrale della pantomima U pisci
a mari, che ogni anno si tiene nel giorno di San Giovanni
davanti lo Scalo dei Malavoglia
La campana di San Giovanni batte il
primo quarto dopo le nove nello stesso momento in cui
Bastiano Greco risale dal porticciolo di Trezza per venire a
sedersi alla fontana fra la scalinata in pietra lavica di
piazza Verga ed il vecchio attracco dirimpetto la matrice,
in quello scorcio letterario descritto ne I Malavoglia e
immortalato ne La terra trema. Giunge a petto nudo, con il
costume a pantaloncino, le scarpe di gomma, i capelli lunghi
e biondi, il naso bruciato dal sole, l’orecchino d’oro che
sembra un riccio uscito fuori dai suoi boccoli dorati.
Il suo nome, abbastanza comune in
Sicilia, non dirà molto, ma il volto è di quelli già visti
da qualche parte in tv, o sui libri, o forse semplicemente
porta cucito addosso l’aspetto del marinaio bravo a
«riconoscere le stelle sempre uguali sempre quelle
all’Equatore e al Polo Nord».
Bastiano Greco è un trezzoto doc che,
dagli Anni 70 fino all’anno scorso, ha prestato il suo
aspetto ed il suo viso al rais della pantomima U pisci a
mari, che ogni anno si tiene nel giorno di San Giovanni
davanti l’antico Scalo dei Malavoglia, ruolo che gli ha dato
la notorietà di una star. Amatori e professionisti lo hanno
immortalato per decenni ed il suo viso spicca sempre in
qualche mostra fotografica, in qualche documentario in tv o
in qualche video caricato su Youtube.
«Non so nemmeno quando ho iniziato a
fare il rais»,
dice posando le parole sulla
gestualità che ne tratteggia la personalità di uomo del Sud,
tutto sole e voglia di raccontare.
«Quarant’anni addietro di certo.
L’anno scorso ho detto basta perché è una cosa faticosa fare
il rais. È stato un ruolo che mi ha dato notorietà mondiale,
visto che ci sono filmati su internet caricati da Los
Angeles».
Aver dato corpo per così tanto tempo a
quel personaggio ha condotto alla quasi identificazione fra
lui ed il suo alter ego, anche se, in fondo, non si sente
affatto rais.
«Impersonarlo non è cosa facile. U
pisci a mari è la vita dei pescatori, lo puoi vedere come
uno spettacolo, ma rappresenta chi va in mare per portare la
pagnotta a casa. È una metafora sulla vita del pescatore e
sulla vita in generale: se ti fai scappare il pesce che dai
da mangiare ai tuoi figli? Io, comunque, col rais non mi
identifico, mi ha dato tanta notorietà, ma io non sono un
comandante, la mia personalità è altra».
La campana di San Giovanni suona un
altro quarto e scendiamo al vecchio molo attorniato dai
Faraglioni dei Ciclopi, «quello che si vede nella Terra
trema», dove la sua barca blu di legno è ormeggiata accanto
ai pescherecci su cui si preparano le reti per la notte.
«Usciamo. Porto questi amici a fare un
giro attorno all’isola Lachea: sedetevi lì, nel salottino
degli innamorati”.
Bastiano ma sei proprio trezzoto?
«La mia è una famiglia di pescatori, e
pescatore e marinaio sono stato anche io. Sono nato nel
“tondo” di mia nonna, il tavolo rotondo attorno cui
giocavamo a carte e ci scaldavamo, perché sotto c’era la
“conca”. Vedi, in fondo a Trezza siamo tutti un po’
Malavoglia, per noi la famiglia è sempre sacra. E anche oggi
continua a essere così: moderni, ma uniti come ai tempi di
Verga».
L’isola è vicina. La raggiungiamo in
breve fra un aneddoto e poche vogate di mestiere assestate
da Bastiano che inizia a circumnavigarla. Il mare dei
Malavoglia, quieto, si lascia accarezzare dai remi,
splendendo di verde sotto la barca. Rientriamo dal versante
di mezzogiorno, illuminato dal sole, nel quale spicca la
proboscide, una roccia bianca ad arco nella parete che
sembra davvero il nasone d’un pachiderma:
«Ma non è un elefante, è un mammuth e
le zanne ce le ho io».
Davanti alla casetta dell’isola
Bastiano si ferma e indica lo scoglio dal quale ogni
domenica d’estate si tuffa.
«La gente si ferma qui, con le barche,
i pedalò, i materassini e mi aspetta. Quando mi vede
arrivare mi acclama. Ma più del tuffo vogliono vedere come
mi arrampico sullo scoglio, dicono che sembro un ragno. E io
li accontento.
Salgo lentamente, tutti iniziano a
fare il coro come allo stadio e io faccio crescere l’attesa.
Poi mi affaccio e giù per tre volte. Il primo è il volo
dell’angelo, il secondo la capriola, il terzo la verticale.
E alla fine applausi e richieste di bis. Un tipo come te
avrà di certo un soprannome.
«Ne ho diversi. Mi chiamano Bastianu u
Signuri per questo mio aspetto, capelli lunghi e biondi,
occhi chiari, assomiglio a Gesù Cristo. Altri mi chiamano
Conan, Polifemo, Ulisse, ma io preferisco Bastianu u Signuri,
anche perché ho tanta fede in Dio».
Che significano i capelli lunghi e
l’orecchino a boccolo?
«L’orecchino significa che sono un
pirata. Me lo ha dato una sirena, ma quando la stagione
finisce glielo devo restituire».
Ride sottecchi, forse per vedere
l’effetto che fa. Non svela chi è la sirena, un personaggio
reale o una creatura mitologica, e non glielo chiediamo. In
fondo preferiamo immaginare che Polifemo, a fine estate,
vada su un qualche scoglio delle lave dell’Etna per
incontrare una sirena e renderle indietro l’orecchino. E
magari salutarla con un bacio sulla bocca.
testo e foto di Pietro Nicosia
pienicosia@gmail.com
da Vivere settimanale di società,
cultura e tempo libero vivere@lasicilia.it Anno XIX - n. 747
25 settembre 2014
La storia di
Bastiano, il Caronte di Aci Trezza
di Daniele Giustolisi - 3
Mar 2014
È un mattino di fine
inverno e i pallidi raggi solari sferzano timidamente l’aria
marina. L’incontro è sul molo di Aci Trezza, dove Verga
immaginava storie di umili uomini vinti dalla modernità.
Eccolo, Bastiano mi attende: è sulla sessantina, apparterrà
alla quarta generazione di quella “buona e brava gente di
mare” raccontata nel romanzo I Malavoglia. È tarchiato con
occhi azzurri e una lunga chioma dorata un po’ sfiorita.
Nonostante la fredda stagione, il suo petto è nudo e
vigoroso con abbronzatura color cuoio. Non appena mi vede,
questo gentile Caronte mi sorride in lontananza invitandomi
a salire sulla sua barca.
Bastiano con la sua
barca...
Bastiano, mi aspettavo di
trovare più pescatori.
Oggi Trezza è molto
diversa rispetto a quello che la gente ricorda o immagina.
Sono rimasti pochi pescatori e anche pochi pesci. Le
tecniche intensive di raccolta non permettono più al mare di
autoregolarsi e la conseguenza è che il pesce dei nostri
mercati proviene sempre più da altri mari. Il nostro,
purtroppo, è quasi spopolato.
Tu non sei pescatore ma
traghetti in estate le persone da questo molo all’isoletta
di Lachea. Di cosa ti occupi in questo periodo?
Quando nasci qui sei già
pescatore, come mio nonno e mio padre. Io invece da ragazzo
giravo il mondo sulle navi. Da tanti anni ormai lavoro solo
in estate, traghettando le persone fino all’isola e con
quello che guadagno ci vivo tutto l’anno. In questo periodo
la mattina presto vado a puppi (polpi n.d.r)e a mezzogiorno
faccio sempre il bagno a mare. Poi torno a casa, dove vivo
con mia sorella e mio papà. Come si dice qui “in estate
lavora, in inverno arriposa”.
Lo sai che su internet
alcuni video riguardano te e i tuoi spettacolari tuffi dai
faraglioni?
Sì,
mia nipote mi ha informato. Mi fa molto piacere ma non li ho
guardati. Non ho internet e ho troppe cose da fare il
giorno: la manutenzione della barca, la pesca, i lavori di
casa. I tuffi li faccio perché mi piace farli, la gente
apprezza e sono davvero contento. Da quando lavoro solo
tutto va per il meglio...
Da solo? Eppure, stando
al romanzo di Verga e al film “La Terra Trema” di Visconti,
da queste parti l’abbandono del gruppo porta solo sventure.
Eh Visconti…(si perde in
un pensiero) qualcuno di quel film ancora vive…Prima
lavoravo in una cooperativa, poi a causa di divergenze ho
preferito continuare da solo. Sono un tipo pacifico e quello
che m’interessa è solo lavorare. Oggi ho una clientela
numerosa che ogni anno aumenta dimostrandomi affetto, e di
questo gioisco molto.
In inverno il tempo è
incerto, come organizzi le tue attività?
U Signuruzzu raccomandava
ai suoi di comprendere i segni del cielo e della terra.
Cerco di farlo pure io: qui le mareggiate sono rare, però è
importante conoscere ogni piccolo segnale quando si è in
mare. Mi aiutano anche i proverbi dei vecchi pescatori, ad
esempio “A tramuntana u pisci s’intana, co ponenti u pisci è
nenti”.
Mentre parliamo Bastiano
pulisce a fatica una murena, pescata al mattino. La mangerà
a pranzo con la famiglia. Gli scarti li getta agli avidi
gabbiani che lo attorniano intuendo il loro giorno
fortunato. Prima di andare, però, vorrei chiedergli chi sia
Concetta, nome che leggo sul legno della sua barca. Sembra
intuirlo e sospira dolcemente. Preferisco allora rimanere
all’ombra di quel mistero.
Vado. Supero con la
macchina il cartello “Catania” che segnala il confine con
quel mondo, abitato dai poveri perdenti verghiani. Una fila
chilometrica di macchine strombazza in circonvallazione, tra
le ansie e le nevrosi urbane. Ripenso allora a quel sorriso
sereno di Bastiano e non so più con certezza chi tra me e
lui sia il vinto e il vincitore.
http://www.siciliatoday.net/quotidiano/articolo.php?Vinto-o-vincitore-La-storia-di-Bastiano-il-Caronte-di-Aci-Trezza-4354
scene girate ad
Acitrezza, Pozzillo, Acireale
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"E arrivammo
alla terra dei Ciclopi superbi e senza legge, i quali,
fidando negli dei immortali, non piantano, non arano mai:
nasce tutto
senza semina e senza aratura, il grano, l'orzo e le viti che
fioriscono di grappoli sotto la pioggia di Zeus.
Assemblee
non conoscono, né consigli, né leggi, vivono in cave
spelonche sulle cime più alte dei monti,
ciascuno
comanda alle mogli ed ai figli, non si curano gli uni degli
altri.
Davanti al
porto, non troppo vicina né troppo lontana dalla terra dei
Ciclopi,
c'è un'isola
piatta e selvosa, dove vivono capre selvatiche, in gran
numero."
(Odissea di Omero)
Ulisse, dopo
l'assedio di Troia, nel suo pellegrinaggio lungo il
Mediterraneo per tornare nell\'isola di Itaca approda in
un\'isola, la \"Terra dei Ciclopi\", dove chiede ospitalità
al gigantesco e selvaggio Polifemo, ministro di
Efesto, il dio del fuoco .
Il gigante
Polifemo, signore del luogo, lavorava con gli altri ciclopi
nella sua fucina, all'interno dell\'Etna, dove venivano
fabbricati i fulmini per Zeus e si creavano opere mirabili
come l'armatura di Achille.
Il ciclope
uccide alcuni compagni di Ulisse e li divora. Per salvarsi,
Ulisse fa ubriacare di vino il rozzo gigante, gli acceca
l'unico occhio e così può tornare ad imbarcarsi.
Il ciclope accecato tenterà di colpirlo lanciandogli come
massi le cime di alcuni monti identificate dalla leggenda
nei "Faraglioni di Acitrezza".
Omero,autore della "Odissea" aveva scritto che la "Terra dei
Ciclopi" era un'isola del Mediterraneo. Fu Euripide, poeta
del quinto secolo avanti Cristo, nel dramma satiresco
"Ciclope", a localizzare la "Terra dei Ciclopi" nella fascia
costiera che separa l'Etna dal mare.
La leggenda venne ripresa successivamente da Virgilio che
nel libro III della "Eneide" immaginò una sosta di Enea in
Sicilia durante il viaggio da Troia verso il Lazio. L'esule
troiano approdò, secondo Virgilio, vicino all'Etna e qui
incontrò un ex compagno di Ulisse, Achemenide, il quale gli
raccontò il modo in cui Ulisse aveva sconfitto Polifemo.
http://www.siciliasud.it/luoghi-faraglioni-acitrezza
La leggenda vista da Litterio
Litterio:
Sig. La Rosa, mi lassassi stari, non mi dicissi
nenti ca ancora mi batte il cuore e mi pussano
le vene e mi tremano le gambe..., ho fatto gli
esami! e se cci dico come è finita, lei manco
cci crede .... . è successo che tutto il mondo è
rimasto senza parole, con la bocca aperta, ca
pecchè non se lo aspettava nuddo uno schezzo di
questo, non ci credevo ai miei vavarelli quannu
ho liggiuto "Litterio Scalisi: sbocciato ". Sig.
La Rosa, dal dispiacere mi hanno m'pannate le
corna degli occhi, ho avuto un furrioni di testa
e ho svenuto, ca se lei mi dava un pizzilone io
non lo sentivo e in quel momento preciso ho
pinzato... "mi buttano ammezzo a una strada, io
mi oppongo a questa sbocciatura. io cci faccio
causa..."
La
Rosa: ma a chi fa causa, scusi?
Litterio: ancora no sacciu ma a qualcuno u
dinunziu;... il dispiacere ca mi ho preso, e
tutti l'amici miei.. i parenti..i canuscenti...
i vicini i casa, una collira di mortu! Mi hanno
fatto persino le condoglionanze comu lutto, mi
hanno mannato littri di solitudini,...
telegrammi,... pacchi.
La
Rosa: che cosa le hanno domandato all’esame??
Litterio: mi parli dell'uomo crectus, "L'uomo
ci dissi iù è un uomo... bello... normale, ma
se incontra ppe caso una donna ca è una casa di
salute, di botto addiventa homo erectus, senza
viagra. Poi mi dissi: mi parli di Creta..."Creta
cci nn'è assai nda parti do Librinu e San
Giorgio...
"E
allora Corfù"??... mi disse iddu
“Corfù a fari chiccosa? ? " cci dissi iù
Poi
all'ultimo mi disse: “parlami della Macedonia”
“In
che senso?” ci dissi iù.
“Mi
parli dell'antica Macedonia e mi dica almeno
quattro nomi di "dei"
Diana: Dea dè sigaretti,
Minerva: Dea dei posperi; Mercurio: Dei
termometri; Pollo Ca quannu mossi cu vuleva
l'ala, cui petto, cui a coscia... " .
Per completare l'opira, mi
addomandò: “Parlami di Ulisse".
Iù,
ca a storia di Ulisse a conoscevo megghio dei
miei taschi u taliai 'ntrigno 'ntrigno nelle
palle degli occhi e ci scattiai tuttu così 'nda
facci, u dubbai... "Ulisse era mpiscatore ca un
giorno passò da Trizza per fare una chilata di
pesce azzurro ma appoi vedendo quella bella
vista do mari coi Faracoglioni, ci fici u cori
nicchi nacchi, pecciò attraccò a vacca e si
frimmò.
Non
ava abbiatu ancòra l’ancora ca si prisintò il
guardiano del faro, un certo Poli Fremmo. U veru
nomu veramenti era Poli, sulu ca siccomu quannu
era nicu era troppu tostu, so nanna ci diceva
"Poli, fremmo...Poli, fremmo " e ci 'arristau
'Poli Fremmo "
Questo Poli Fremmo era molto più alto di lei,
signor La Rosa, e poco poco... più alto di
mia......e quanno tuppuliani a so potta, dissi
"Cu ieee?"
Ulísse, appena visti a Poli Fremmo ci desi 1000
lire ppò posteggio da barca e ci dissi; "tè ccà,
dacci n'occhiu!" Poli Fremmo, ca giustu giustu
era orbu di n'occhio, si offese e accuminiò a
fari comu m’pazzu: pigghiò due marinari ca
erunu con Ulisse, e sì calò a tipu masculini
cruri. Ulisse, arrivò a scappari, pigghiò u remu
e ci spunnò l'autru occhiu e finì ca Poli Fremmo
mischinu, macari vulennu, non potti chianciri
mancu ccu n'occhiu.
Basta, doppu tanti petrapezie Ulisse arrivò a so
casa. A casa però si pigghiò bello dispiaciri,
un dispiaciri di chiddi ca ti fanu caminari cca
testa bassa in quanto in cui attruvò a so
mugghieri ccu tanti froci...
La
Rosa: Proci!
Litterio: Sù erunu Proci no sacciù! Però
assumigghiavanu tutti pari a Ciiicciu... Comu
Ulisse visti a so muggheri con tutti ddi froci
si misi manu 'e capiddi, pigghiò pi 'mpegnu
'ncavaddu e ci u 'mannò a so muggheri. So
muggheri comu visti du bellu cavaddu ci arrirenu
l'occhi. Ulisse invece si pigghiò di nervi,
nisciu l'accendino e ci desi a focu. Appoi con
l'uccellulare ci telefonò a so muggheri e ci
disse: "Troia,... brucia... chiama i pumperi ".
A
stu puntu il maestro membro interno, si alzò con
gli occhi di fora e mi fici una voltariore
domanta: "Come si chiamava il figlio di Ulisse?
Iù
ddocu mi alzai di scattu, lo fissai, mi fissò e
ci dissi: "Mi si acconsenta, signò maestro, ma
ci devo fare annotare che Ulisse, il matologico
Ulisse che lei sta pallando, figli n’aveva dui e
no uno come dici lei…. due…. unu masculu e una
fimmina.
U
masculi si chiamava Telecom, a fimmina Teletna.
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Manifestazioni
- aprile –
maggio Concorso di pittura estemporanea “Piazza d’Arte”
(mostra itinerante per 4 domeniche, una in ogni frazione)
Rappresentazioni teatrali
- 25 agosto Le
Verghiane (rappresentazioni teatrali di opere e novelle del
Verga) – Acitrezza - 25 agosto Presa del Castello.
Rappresentazioni in costume delle gesta di Re Martino - 23
settembre Per la rassegna verghiana “Lungo i sentieri di
Trezza” (di G. Ferro). Drammatizzazione delle gesta dei
protagonisti dei “Malavoglia” all’interno della casa del
Nespolo.
Rappresentazioni musicali
- luglio
Rassegna di musica Jazz - agosto “Musicastello” rassegna
internazionale di musica classica da camera sul castello che
offre una cornice straordinariamente magica. (manifestazione
itinerante lungo l’itinerario dei castelli della provincia
Etnea). Il successo della rassegna dipende sicuramente anche
dalla scelta di programmi musicali, sempre affidati ad
esecutori di grande livello. Rivolti non soltanto agli
intenditori e cultori, ma accessibili ad un vasto pubblico.
Feste
religiose
- 15 gennaio
Festa patronale di S. Mauro (Acicastello) - 24 giugno Festa
patronale di S. Giovanni Battista (Acitrezza) - 15 – 23
luglio Edizione estiva della festa in onore di S. Mauro - 22
agosto Festa dell’Immacolata (Cannizzaro) - 1ª domenica
d’agosto Festa Madonna della Provvidenza (Ficarazzi)
Tradizioni locali
- 24 – 25
giugno Pantomima “U pisci a mari” durante la festa di S.
Giovanni (Acitrezza)
Manifestazioni sportive
- Traversata Nazionale “Trofeo Riviera dei Ciclopi”
(percorso di circa 3 miglia, Torre Normanna – Isola Lachea e
ritorno) valevole come prova per designare il campione
italiano del “Grand Prix di Fondo”.
Sagre
-
fine luglio Sagra del Pesce “Il Padellone” – durata 2
giorni - agosto Sagra del Pane Condito - 8 e 9 agosto
Sagra del Polpo
Ristoranti, pizzerie e pub:
Al Gattopardo - Via
Litteri, 88 - Tel. 095-711.6111 - Da Federico - p.zza Verga
- Acitrezza - Tel. 095-276364 - Holidays Club - Via dei
Malavoglia - Acitrezza - Tel. 095-711.6811 - La Bettola -
Via IV Novembre, 65 - Tel. 095-271596 - Selene - Via Mollica
- Tel. 095-494444 - Il Gabbiano - Piazza Giovanni Verga
Tel. 095276117 I Malavoglia - Lungomare dei Ciclopi, 167
Tel. 0957116556 - Il Nespolo Via Provinciale, 276 Tel.
3489127823 Da Gaetano P.za Verga, 119 Tel. 095276342 - La
Cambusa del Capitano Via Marina, 65 Tel. 095276298 Lachea
P.za Verga, 1 Tel. 095276537 - Nuovo Polifemo Via Maganuco,
2 Tel. 095276814 Galatea Via Livorno, 146/a Tel. 095277913 -
Villa Eden Via Provinciale, 295 Tel. 095277201
I FaraglioniLungomare
Ciclopi, 109 Tel. 095276067 - Il Classico Via Provinciale,
66 Tel. 03394113835 Il Canguro Via Scalazza, 27/pl.A Tel.
095276277 - Baia Blu P.za Principe Campo Fiorito, 4 Tel.
0957116518 L'Arcobaleno Via Provinciale, 212 Tel. 0957116635
- Europa Via Provinciale, 5/e Tel. 0957116038 Da Pellegrino
P.za G. Verga, 5 Tel. 095276060 - Pizza Fantasy Via
Provinciale, 312 Tel. 0957116221 L'Aragosta Lungomare
Ciclopi, 157 - Birra a Gò Gò Via Provinciale, 11/a
Il Tramezzino Via
Provinciale, 213 Tel. 0957116581 - Vicolo Cieco Via
Provinciale, 45 Tel. 095276505
Alberghi:
Baia Verde - Via
Angelo Musco,8 - Tel. 095-491522 - President Park Hotel -
Via Litteri, 88 - Tel. 095-711.6111 Sheraton Catania - Via
A. da Messina, 45 - Tel. 095-271557 - Galatea Sea Palace -
Via Livorno, 146 - Tel. 095-711.6902
I Faraglioni -
Acitrezza - Via Lungomare, 115 Tel. 095-276744 - Lachea -
Acitrezza ss.114 - via Dusmet, 4 Tel. 095-276784 Eden
Riviera - Acitrezza - Via Litteri, 57 - Tel. 095-277760
Notizie
Utili
Azienda
Soggiorno e Turismo di Acicastello Tel. 095-604521 opp.
605372 Museo del Castello: p.zza Castello - Tel. 095-271026
- Chiuso Lunedì.
Come
arrivare d Acitrezza: è ad
appena un chilometro a nord da Acicastello. Acicastello, che
dista solo 9 km. da Catania, è raggiungibile in auto o in
pullman dal capoluogo etneo in circa 10 minuti, attraverso
la S.S. 114 o attraverso il lungomare La scogliera.
dall'autostrada Messina-Catania, svincolo Acireale e
proseguire sulla S.S. 114 - dall'aeroporto, tangenziale in
direzione Messina, uscire allo svincolo Catania Est e
proseguire per la S.S. 114 - Trasporti urbani ed
extraurbani:
AMT - Linea 448 Cannizzaro/Catania - Linee 334 e 335
Acicastello/Catania Taxi
Tel: 095 274135 -
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