È sul lato settentrionale di piazza Duomo. Prima del 1508, anno in cui fu finalmente edificato compiutamente, il patrizio e i giurati (come dire il sindaco e l'attuale giunta) si riunivano sotto un portico (pressappoco dove il palazzo è adesso) che diede il nome di Loggia al palazzo comunale. Con il terremoto dell'11 gennaio 1693 l'edificio andò completamente distrutto.
La costruzione dell'edificio, uno dei pochi in Italia realizzato con quella destinazione, iniziò, dopo alcuni scontri con il vescovo Riggio, nel 1695 sotto la direzione del bravo capomastro G.B. Longobardo e certo architetto veneto Sanarelli, fermatisi nel 1701 per carenza di finanze pubbliche alla prima elevazione. Successivamente (1732) si incaricò per il completamento dell'opera il giovane G.B. Vaccarini di orientamento artistico berniniano, collaborato dal più giovane Giuseppe Palazzotto. Il Vaccarini ebbe anche l'incarico di realizzare nel centro della piazza una fontana utilizzando alcuni cimeli storici cari ai catanesi, primo fra tutti il leggendario elefante di pietra lavica di origini bizantine, diventando il simbolo civico della città. Vaccarini fece anche la corte interna. Nel 1780 fu completato il prospetto settentrionale, su piazza università, dal regio ingegnere Carmelo Battaglia. A tutt'oggi l'edificio è sede della municipalità. La pianta del palazzo è quadrata. Dei quattro prospetti il migliore è quello di mezzogiorno, realizzato da Vaccarini che innalzò l'edificio dai pilastri che trovò iniziati; le lesene, arricchite di bugne a diamante e a cuscino fino al primo piano, proseguono poi basse e lisce fino all'architrave della trabeazione, senza capitello. Il portone è compreso fra quattro colonne di granito a coppie che sorreggono la splendida tribuna, sulla cui sopracornice stanno le armi di Catania e ai lati del timpano due statue rappresentanti la Giustizia e la Fede. Per le bugne e i paramenti Vaccarini usò il calcare di Siracusa.
Realizzate le altre sopraelevazioni, l'Associazione Artistica femminile chiese ed ottenne un ampio locale per tramandare l'usanza della "Conversazione delle dame" così pure il "Circolo Unione" frequentato dagli uomini per le loro riunioni; ambedue i locali strettamente riservati ai soci di origine nobile. Di conseguenza subito dopo si ritenne indispensabile, sempre all'interno del Palazzo Municipale, reperire un locale per impiantare un "caffè" a loro riservato. Privilegi che naturalmente vennero annullati nel secolo successivo. Il nuovo centro, denominato Piazza Duomo, assunse una maestosità scenografica per come l'avevano previsto Camastra ed i suoi collaboratori e si confermò subito il centro di ogni iniziativa, religiosa, culturale, commerciale; luogo da dove iniziavano tutte le attività cittadine, comprese quelle politiche che ancora oggi detiene. Di fatto vi erano le sedi da dove si dipartivano i maggiori poteri della città; ancora oggi la piazza non ha perso l'immagine scenografica barocca che gli si è voluta assegnare, ricevendone unanimi apprezzamenti per l'elegante struttura architettonica che la costituisce.
Una delle più amare pagine della recente storia di Catania è rappresentata dalla distruzione del Palazzo Municipale avvenuta nel 1944, in occasione del richiamo alle armi dei giovani ad armistizio avvenuto. A seguito dell'armistizio firmato proprio in Sicilia tra i rappresentanti d'Italia e le forze alleate, i cittadini del Meridione d'Italia consideravano ormai terminata la guerra. Quando invece nel dicembre del 1944 i siciliani vennero richiamati alle armi, ritennero di non dover rispondere alla chiamata per una guerra che al Sud era del tutto cessata ed ormai decisa, per cui ognuno cercava di riprendere una vita assieme ai familiari sopravvissuti, per anni rimasti abbandonati tra infinite difficoltà di ogni genere. I giovani che compivano 18 anni non comprendevano il senso di una ripresa belligerante e non sapevano contro chi, tenuto conto che le poche notizie radio, da una parte e dall'altra della "linea gotica" erano volutamente confuse, inesatte e controindicanti. Ne seguirono proteste e manifestazioni di ribellione, soprattutto in Sicilia dove la gran parte pensava di poter costituire un'altra "stella americana" a grande autonomia. Il 14 dicembre del 1944, in occasione di una delle tante spontanee proteste popolari contro il nuovo richiamo alle armi, un gruppo di sconsiderati teppisti si mescolò alla folla protestante e, da nessuno ostacolati, tentarono di occupare alcuni importanti uffici, quali la Prefettura, il Municipio, il Distretto Militare, il Tribunale. Mentre in nessuno degli altri riuscirono perché difesi da forze dell'ordine di presidio, i rivoltosi invasero il Palazzo Municipale, poco presidiato e male difeso. Come facilmente accade in queste situazioni, alcuni facinorosi, insieme agli indipendentisti, organizzatori della protesta, aizzarono la teppaglia, interessata invece esclusivamente al saccheggio, alla distruzione ed alla rapina di ogni cosa. Ciò fu reso possibile per l'incertezza di quanti avevano in quella occasione la responsabilità di tutelare la più importante istituzione pubblica della città e, piuttosto che intervenire, si allontanarono, frettolosamente da porte secondarie, consigliando ad emularli anche i vigili urbani presenti che volevano organizzare una doverosa azione di difesa. L'edificio abbandonato venne depredato e dato alle fiamme con grave danno per la distruzione dell'arredamento e degli archivi storici.
Dopo un iniziale comprensibile scoraggiamento per l'immane impegno finanziario da affrontare, in un momento di grave difficoltà economica e smarrimento sociale, dovuto ad un lungo, difficile periodo bellico, la nuova classe politica volle dare un segnale forte per la ripresa dell'intera comunità, decidendo di affrontare subito il grave e significativo problema. Ogni ostacolo venne superato dalle nuove forze democratiche presenti in consiglio comunale, di qualsiasi orientamento politico, con alto senso del dovere da parte di tutti i responsabili del tempo, senza distinzione di appartenenza, primo fra tutti l'allora sindaco Domenico Magri. I lavori di restauro iniziati nel 1946, furono portati a compimento nel 1952 e l'edificio venne inaugurato il 14 dicembre dello stesso anno, ad otto anni esatti dal disgraziato evento distruttivo. All'inaugurazione si volle dare al popolo un forte segno politico di ricostruzione morale. La dignitosa sala del consiglio comunale non ancora adorna di affreschi era però piena di entusiasmo e di calore umano dei rappresentanti del popolo, dei funzionari che avevano collaborato con slancio, di cittadini che vollero partecipare ad un significativo evento storico. Catania riebbe il suo settecentesco palazzo municipale, carico di storia cittadina che rappresenta oggi, più che mai, una preziosità di quella architettura del tardo barocco siciliano, apprezzata dal mondo culturale mondiale. Al momento dell'inaugurazione la struttura architettonica dalle armoniose linee del Vaccarini risultava imponente, ma fredda, perché disadorna al suo interno. E solo l'entusiasmo dei tanti che si erano prodigati per il raggiungimento del significativo obiettivo, faceva dimenticare quel che ancora mancava. Molto era già stato raggiunto e la consapevolezza di poter continuare una strada già tracciata, lasciava ben sperare. La vera resurrezione morale e politica della città iniziava infatti da quella significativa seduta consiliare presieduta da Magri. Una personalità che godeva di vasti apprezzamenti sia nel mondo cattolico dal quale proveniva, sia da quello universitario verso cui era indirizzato, e da parte dei cittadini che in precedenza, con larghi consensi, lo avevano eletto al Senato della Repubblica. Timoniere colto, di indiscussa onestà, di grande entusiasmo e amore per la sua Catania. L'intero consiglio comunale gli riconosceva meriti per guidare la ripresa della città. Difficile la scelta di affreschi per soffitti e pareti del Palazzo al fine di impreziosirli, anche se, nel 1954, in occasione del primo riordino della stanza del Sindaco, per la verità modesta anche in arredi, ne venne affrescato il soffitto dal valente pittore catanese Carmelo Comes. Oltre la sala consiliare, si arredò in modo dignitoso e funzionale tutta la zona di rappresentanza: la sala della Giunta, la stanza del segretario generale, del capo di gabinetto, dei consiglieri ed "alla meno peggio" i settori della ragioneria e dell'ufficio tecnico resi funzionali ed efficienti, rappresentando il prosieguo delle determinazioni consiliari e della giunta; alcuni salottini di ricevimento, per lascito testamentario provenienti da nobili famiglie, vennero regalati all'ECA (Ente Comunale Assistenza) e da questi al Comune. Il grosso problema restava quello dell'arredamento del salone dei ricevimenti (oggi sala Bellini), oltre alla cura di tutti gli altri locali di rappresentanza. Comprensibili incertezze vi furono nelle scelte dell'arredo e per l'affresco di un ambiente nato barocco, ma riportato alle nuove esigenze, lontano dalle ipotesi settecentesche del Vaccarini. "La verifica del buon risultato - conclude Lucio Sciacca - si ebbe in occasione della visita, il 10 settembre del 1959, del legato pontificio, cardinale Marcello Mimmi, per l'inaugurazione del XVI Congresso Nazionale Eucaristico svoltosi a Catania; in quella circostanza i risultati ricevettero i meritati consensi". In seguito la Giunta nelle varie occasioni importanti, quale la visita dei Presidenti della Repubblica Giovanni Gronchi, Antonio Segni, Sandro Pertini, e, per ultimo quella del Papa Giovanni Paolo II, deliberò, di volta in volta, l'acquisizione di mobili, tappeti, passatoie, lampadari e suppellettili varie. L'interessamento di Magri da Sindaco prima e da parlamentare e Ministro della Repubblica dopo, riportarono, in quel periodo a Catania, con un'operazione culturale e politica di alto livello, importanti quadri di noti autori, prima fra tutte le grandiose opere di pittura dalle caratteristiche scenografiche del pittore zafferanese Giuseppe Sciuti. Alcune ottenute "in affidamento a tempo indefinito" dalla galleria di arte moderna di Roma e altre acquistate dagli eredi del Maestro o di grandi autori, ottenuti per donazione di famiglie nobiliari o per essere meglio valorizzate, trasferite nel palazzo, insieme a tanti altri reperti archeologici provenienti dal museo del Castello Ursino. I sontuosi tendaggi, altre opere e suppellettili di coronamento ed una adeguata illuminazione, rendono le sale accoglienti oltre che funzionali.
L'INGRESSO
All'interno del palazzo esiste
un cortile quadrangolare con portici su due lati. Nell'androne del palazzo
vengono conservate due carrozze del settecento di cui una berlina che viene
usata durante i festeggiamenti di Sant'Agata per portare il Sindaco alla
Chiesa di Sant'Agata alla Fornace per la processione del giorno 3 febbraio.
Al balcone usano affacciarsi le autorità nel giorno della patrona
Sant'Agata, quando esse escono dal Palazzo sulla carrozza senatoria
(originale del XVIII secolo) per recarsi a consegnare alle autorità
religiose le chiavi della città.
LE CARROZZE DEL SENATO ALL'INTERNO DEL CORTILE
Dall'atrio occidentale si può accedere a una bella scalinata attribuita all'architetto Sebastiano Ittar (1778 - 1847), figlio di Stefano. La struttura esterna è rimasta sempre pressoché immutata, mentre l'interno ha subito diverse ristrutturazioni. Ecco perché l'edificio si chiama palazzo degli Elefanti. Vaccarini adornò i frontoni dei balconi con l'iniziale della patrona (A) e con elefanti per richiamare l'emblema della città. Sul prospetto principale, nei sei balconi del primo piano, sono scolpiti, alternati, quattro elefanti e due A. Identica decorazione nel prospetto di Via Etnea e quello di via Merletta. - tratto da "http://www.sicilie.it/wiki/Catania_-_Palazzo_degli_Elefanti"
Lo scalone d'onore che si apre sulla corte interna fu inserito infine nel XIX secolo da Stefano Ittar.
L'ingresso principale dal cortile è servito da un monumentale scalone rettangolare a tenaglia in marmo bianco di Carrara, con larghi passamani finemente sagomati ed intarsiati, pure in marmo, sostenuti da una ringhiera marmorea con le caratteristiche forme ovali privilegiate dal Vaccarini. La principale "branca iniziale a volo centrale" è seguita dalle due laterali parallele, tutte di grande ampiezza che conducono al vestibolo del piano nobile dell'edificio.
Giulio Cesare rifiuta di guardare la testa di Pompeo - dipinto di Giuseppe Sciuti Gradevole l'illuminazione in tutto l'ambiente e nelle scale in particolare, costituita da punti luce, rafforzati da statue-lanterne in bronzo, lungo lo scalone e completate da un imponente lampadario in bronzo e cristallo al centro del vestibolo di arrivo. Anche qui fanno da cornice gradevole una serie di quadri del cinquecento e del settecento di ampiezza adeguata alle pareti che li contengono, i numerosi tappeti, una bacheca contenente il Gonfalone della città, donato dal Lyceum Club il giorno dell'inaugurazione, il gruppo marmoreo Paolo e Francesca, donato dagli eredi del catanese maestro Carmelo Mendola, autore della Fontana dei Malavoglia di piazza Giovanni Verga. Merita particolare attenzione la grande tela dello Sciuti che rappresenta Giulio Cesare in una scena sacrificale storica, collocata sull'alta parete, alla biforcazione dello scalone.
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LA POLTRONA UTILIZZATA PER PAPA GIOVANNI PAOLO II, IN OCCASIONE DELLA SUA VISITA A CATANIA
SALA GIUNTA
sala Giunta
Sala Giunta - L'adultera - dipinto di Giuseppe Sciuti
sala Giunta
San Sebastiano dopo il primo martirio - dipinto di Giuseppe Sciuti
Sala Giunta - La spedizione di Pisacane a Sapri, dipinto di Giuseppe Sciuti
SALONE BELLINI
L'arredamento del Salone dei Ricevimenti (Salone Bellini) ha come punti centrali di riferimento la grandiosa "Restauratio Aerarii", tra le più riuscite opere scenografiche dello Sciuti che, per una lunghezza di otto metri ricopre l'intera parete sud del salone; l'arredamento della parete è completato da un divano multiposti e da poltrone alle estremità, con ai fianchi oggetti di antiquariato in sintonia. Due consolles del settecento con superficie di marmo intarsiato e specchiere in stile veneziano, affiancate da poltrone e bei candelabri adornano il lato sud del salone che dà sulla piazza Duomo. Nella testata ovest del salone, in comunicazione con la Sala Giunta, un prezioso salotto veneziano del settecento con ricca specchiera ed altri pezzi coordinati, affiancati da due statue in legno rappresentanti due mori, secondo l'uso dell'arredamento di epoca veneziana.
Il municipio aperto piace a catanesi e turisti Il sindaco Bianco, "è una gioia vedere questi miei concittadini scoprire il Municipio, che molti non avevano mai visto. Ho intenzione di ripetere frequentemente questa apertura anche negli altri mesi dell'anno" Sono stati anche oggi numerosi i visitatori del Palazzo degli elefanti per il Municipio aperto, iniziativa voluta dal sindaco di Catania Enzo Bianco che è sempre stata confortata da un considerevole afflusso di cittadini e turisti attirati dalla possibilità di ammirare le opere d'arte del Municipio e ascoltare musica di qualità.
"Anche in questa domenica di sole - ha detto il sindaco di Catania Enzo Bianco - centinaia e centinaia di persone si sono avvicendate nel Palazzo degli elefanti aperto ai cittadini, alle famiglie e anche a tanti turisti che incredibilmente sono a Catania anche nel mese di gennaio. Devo dire che è una gioia vedere questi miei concittadini scoprire il Municipio, che molti non avevano mai visto. Ho intenzione di ripetere frequentemente questa apertura anche negli altri mesi dell'anno, per consentire ai Catanesi di conoscere la storia della loro città, un Palazzo municipale che è in realtà un museo e che è la casa di tutti i cittadini. C'erano come detto molte famiglie e tanti bambini. E sono felice di averli accolti personalmente come occorre fare quando si ama la propria città". Come sempre molto seguite le visite alla scoperta del Palazzo, un'autentico scrigno di tesori, organizzate grazie all'accordo tra l'Assessorato alla Cultura e l'Associazione guide turistiche Catania presieduta da Giusy Belfiore, che ha illustrato le opere d'arte i colleghi Giulia De Marco, Elfi Mayer, Antonio Scalisi e Annalisa Tavasci. Particolarmente apprezzate dai turisti le grandi tele di Giuseppe Sciuti che fanno parte della mostra permanente del pittore risorgimentale. http://www.cataniatoday.it/video/municipio-aperto-concerto-14-gennaio-2018.html
Alla testata est un arazzo originale fiammingo del XVII secolo alla parete, tra i due accessi, uno al corridoio e l'altro alla stanza del Sindaco. Un grande tavolo del settecento in marmo intarsiato, su un pregiato tappeto persiano, con poltrone veneziane con a capotavola la più preziosa di esse (attribuita al Brustolon), utilizzata durante la visita di Papa Giovanni Paolo II, che oggi fa bella mostra nel vestibolo del grande scalone d'ingresso. Completano un tappeto francese Aubisson di grandissime dimensioni e due grandi lampadari in bronzo dell'ottocento oltre ad antichi bracci illuminanti.
Salone Bellini - "Restauratio Aerarii" - dipinto di Giuseppe Sciuti Gli erari (dal latino aes, che significa moneta di rame ma in questo caso anche imposta fissa sulla persona) erano i cittadini della Roma antica esclusi dalla suddivisione in 30 tribù introdotta da re Servio Tullio. Erano sottoposti a un'imposta fissa sulla persona, fissata in maniera arbitraria dai censori.
SALA DEL CONSIGLIO
GLI UFFICI
La Loggetta, con il caratteristico tetto a cupolette, denominata "corridoio dei sindaci", perché destinata a contenere i ritratti dei sindaci del secondo dopoguerra, collega il vestibolo dello scalone di rappresentanza con il corridoio del Sindaco, anch'esso arricchito da oggetti d'arte, con funzione di disimpegno della parte più rappresentativa del Palazzo. Nell'ultimo periodo tale ampio corridoio di disimpegno è stato arricchito da reperti di antiquariato; al centro fa bella mostra una ricca bacheca in permanente esposizione di oggetti preziosi donati o assegnati, come la campanella dei lavori consiliari, le medaglie commemorative o guadagnate in occasione di eventi importanti della storia della città.
GABINETTO DEL SINDACO
II gabinetto del Sindaco oggi si presenta arredato con gusto, impreziosito da oggetti di antiquariato, acquistati nel tempo o avuti in regalo. Alle pareti ben rivestite figurano alcune tele pregiate, tra le quali spicca, sulla parete est, tra due grandi finestre, dove resta sistemato un imponente tavolo da lavoro, un quadro di S. Agata.
Un elefante, simbolo della città, in maiolica di Faenza fa bella mostra di sé, all'angolo sud ovest. Appropriato sistema di illuminazione, completato da lampadario di cristallo di murano al centro del soffitto affrescato (come già detto) nel 1954 dal Comes, contribuisce alla sobria ma raffinata eleganza dell'ampia stanza. Si trova in un angolo della stanza del Sindaco sin dal lontano 1955 quando fu acquistato tra i numerosi oggetti di decoro collocati al Palazzo degli Elefanti. Il palazzo fu ricostruito seguendo il progetto originario ma per molti anni resto spoglio al suo interno, senza addobbi e senza i fasti che nell'800 lo avevano conclamato a salotto cittadino . Fu dopo l’incendio del 1944, durante la lunga e proficua sindacatura dell'avvocato Luigi La Ferlita che si pensò ad arredare il Palazzo ed oltretutto si colse l'occasione di una visita prestigiosa poiché il 3 novembre 1955 era atteso il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Furono mesi di preparazioni per trasformare le sale in luogo di rappresentanza, furono acquistati arredi ,tappeti tra cui quelli rossi per lo scalone monumentale, sculture, quadri, argenterie e suppellettili di vario genere.....insomma tutto ciò che potesse servire ad ospitare degnamente il Presidente dal Sindaco La Ferlita considerato già nel suo iniziale mandato tra i Sindaci più importanti d'Italia. Fu appunto durante questi preparativi che arrivò l'elefante, uno splendido esemplare in maiolica faentina firmato dall'artista Cacciapuoti e che venne sistemato adeguatamente su un piedistallo di noce scolpito e decorato dalla falegnameria comunale. (Lucio Sciacca)
Raffinati tendaggi, adeguati tappeti persiani di antiquariato impreziosiscono il vasto ambiente. Due salottini di incontro, posizionati uno di fronte all'altro lungo le pareti nord e sud della stanza completano l'arredamento. _______________________
«ENZO BIANCO: Mi ricandido sindaco di Catania per completare l'opera» 18/12/2016 - di Ernesto Romano Il primo cittadino etneo, tra bilancio dei primi tre anni e futuro, punta a un nuovo mandato: «La città si salva se tutti insieme ci rimbocchiamo le maniche»
CATANIA - Tre anni alla guida dell’amministrazione comunale: uno step importante, un passaggio ideale per fare un primo bilancio delle cose fatte e di quelle da fare. Il sindaco Enzo Bianco ha voluto condensare i primi 36 mesi del suo mandato in un volume (il terzo) che analizza questi tre anni «difficili ma stimolanti», così li definisce. «Il libro - esordisce - sulle 549 cose fatte (ma conto di toccare quota 1.000 alla fine del mandato) racconta un lavoro molto faticoso, che mi ha costretto a stare molto meno di quanto vorrei tra la gente, in assoluto uno degli aspetti che amo di più del fare politica. Il lavoro di sindaco mi ha assorbito completamente e in più si sono aggiunti gli impegni come sindaco metropolitano, presidente del Consiglio dell’Anci (l’associazione dei Comuni italiani, ndr) e quello di capo della delegazione a Bruxelles di sindaci e di presidenti di Regione italiani. La mia giornata è piena di appuntamenti, di impegni, ma nonostante non sia più un ragazzino, affronto tutto con grande entusiasmo». «Al Comune abbiamo lavorato sodo - continua Bianco - e i frutti si cominciano a vedere. E’ come se fossi stato tre anni chiuso in un garage a riparare un’auto scassata. Vi faccio solo un esempio: quando sono arrivato, in organico c’era un solo dirigente che doveva occuparsi, da solo, di personale, anagrafe, decentramento e ragioneria generale: un’assurdità. Ebbene, grazie alla recente nomina di otto dirigenti, la situazione è radicalmente mutata. Il nuovo responsabile dell’Urbanistica, per dirne una, ha trovato sul tavolo, tra le altre cose, ben 350 pratiche di diniego di concessione edilizia. E’ bastato studiare le carte per capire che per la stragrande maggioranza erano state rigettate perché mancava un documento... Così siamo riusciti a salvarle quasi tutte e ciò significherà sbloccare un intero comparto, quello dell’edilizia, che versa in una crisi profonda. Da qui la possibilità di dare lavoro e respiro a centinaia di famiglie in difficoltà. Ecco, ho bisogno accanto a me di gente che risolva i problemi, non di gente che mi dica solo quello che non posso fare. Ora ho una squadra motivata che mi permette di vedere tanticchia di lustru dopo anni di buio fitto». - Una mano considerevole, sicuramente, viene dai finanziamenti del Patto per Catania, del Pon Città metropolitana e del Patto per la Sicilia. Se dovesse scegliere, qual è l’opera che l’ha reso più orgoglioso? «Se devo proprio scegliere - risponde dopo averci pensato un po’ - guardo all’immediato futuro, a martedì prossimo, quando il ministro Delrio verrà a inaugurare la stazione Stesicoro della Metropolitana. Una svolta epocale in termini di mobilità per i catanesi, che potranno arrivare finalmente in pieno centro senza essere schiavi dell’auto. Ma vorrei anche parlare delle opere che, pur non “vedendosi”, risultano determinanti nell’ottica di una città efficiente e sicura. Parlo, ad esempio, del grande progetto per il completamento dell’impianto di depurazione consortile e l’estensione della rete fognaria. Ciò permetterà di superare la procedura di infrazione comunitaria che pesa sulle spalle della città dal 2009, quando fu accertato che l’80% dei liquami finiva in mare». - Lei è alla quarta esperienza da sindaco: se dovesse sintetizzare questo lungo percorso in poche parole? «Direi che sono passato dall’immagine, un po’ folkloristica, di “Enzo, ‘u ciuraru”, come simpaticamente venivo definito da alcuni durante i miei primi mandati, cioè del sindaco che si era curato solo dell’aspetto esteriore della città (cosa che fra l’altro rivendico assolutamente e che rifarei perché in quegli anni la città era bellissima e apprezzatissima) a un’immagine più concreta. C’è stato il periodo dell’effervescenza giovanile, ora c’è quello della maturità data dall’esperienza, che mi ha permesso, grazie alla rete di rapporti e relazioni che ho intessuto in tutti questi anni, di raggiungere gli obiettivi prefissati. L’entusiasmo, però, è sempre quello dei primi anni». - Situazione delle casse comunali: il predissesto resta un incubo? «Non nego che abbiamo attraversato momenti molto difficili, ma nel contempo abbiamo fatto enormi passi avanti per mettere in sicurezza i conti del Comune, dopo aver ereditato una situazione di predissesto». - Catania è una città che mostra segni di degrado evidenti, viene percepita come sporca, insicura e incivile. E possibile invertire questa deriva e offrire un’immagine meno negativa? «Occorre un lavoro meticoloso e capillare, come quello che stiamo facendo, di rigenerazione urbana, a partire dalle misure per il consolidamento del patrimonio edilizio per finire con quelle che garantiranno il risparmio energetico. Nei giorni scorsi ho partecipato a un incontro con l’Ance e a gennaio abbiamo fissato un vertice sul centro storico nel quale presenteremo la nostra idea prima di portarla in Consiglio comunale». - Sempre più giovani catanesi decidono di completare il ciclo di studi fuori, pur amando la propria città. Non vedono prospettive e, soprattutto, non vogliono accontentarsi e tirare a campare. Per questo vanno via. E si tratta di ragazzi di cui la città avrebbe un bisogno vitale. «E’ vero ed è un fenomeno che ha molteplici motivazioni, in primis la mancanza di occasioni di lavoro. Però io sono ottimista e credo che solo attraverso le politiche di sviluppo potremo riuscire ad attirarli per farli restare qui o, ancora meglio, per riportarli qui. Da questo punto di vista gli investimenti sul porto, sull’aeroporto, sulla cultura, sul turismo, sulla metropolitana, su corso dei Martiri possono offrire grandissime opportunità dal punto di vista professionale e occupazionale. Ma penso anche all’incubatore di imprese che l’Enel ci ha promesso di realizzare a Passo Martino e che permetterebbe a cento giovani di avviare un’attività a costo zero». - C’è ancora tanto da fare e lei ha sempre detto che sarebbero stati necessari due mandati per realizzare tutto il programma... «E lo confermo. In questi mesi ho ricevuto numerosi attestati di stima e proposte di candidarmi alla Regione o di tornare a Roma. Ma io non mi muovo di qui: voglio assolutamente completare l’opera avviata tre anni fa, ovviamente se i catanesi lo vorranno». - I catanesi sono molto esigenti e quasi sempre scontenti... «Io mi rivolgo a tutti, ma in particolare a quelli che vogliono contribuire veramente alla rinascita della città. Non fa il bene di Catania chi critica tutto a prescindere, standosene comodamente seduto davanti al televisore o davanti a un computer. La città si salva se tutti ci rimbocchiamo le maniche e lavoriamo per migliorarla. Il traffico si elimina se tutti decidiamo che è sbagliato parcheggiare in doppia fila o non rispettare le regole minime di convivenza civile. La città è pulita se tutti contribuiamo a mantenerla tale. E a questo proposito vorrei raccontare un episodio, piccolo se vuole, ma secondo me enorme. Siamo alle prese con la rivoluzione della raccolta differenziata dei rifiuti. Ebbene, sapete che al villaggio Santa Maria Goretti, cioè in periferia, abbiamo raggiunto il 60% di differenziata? Sembra un miracolo ma è vero. Un risultato raggiunto grazie all’opera di sensibilizzazione della preside dell’istituto Fontanarossa, Patrizia Tumminia, e del parroco, Paolo Riccioli. E’ la dimostrazione che quando si lavora tutti insieme, come dovrebbe fare una comunità, tutto è possibile».
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