Invitare a cena un catanese : 5 cose che non dovete arrisicarvi a fare
Silvia Trigilio 22/10/15
Avvezzo al mare e solito alla montagna (etnea, s’intende), imbattibile
venditore, essere dotato di indubbio fascino, inconfutabile ingegno, raro senso
artistico, invidiabile loquela, insuperabile nella produzione di supercazzole di
sicuro effetto e freddure che vi lasceranno disarmati.
Il catanese eccelle in tutto (persino in modestia), perché il suo DNA possiede
un gene su cui gli scienziati non sono ancora riusciti a pronunciarsi e che
dunque manca di una vera e propria denominazione scientifica: quello che gli
permette di cascari sempri a ditta, ovvero, cavarsela in ogni situazione,
risultando peraltro oltremodo simpatico.
Se decidete di invitare a cena un catanese, quindi, dovete essere preparati:
siete tenuti a conoscere per filo e per segno le 5 cose che non vi dovete
arrisicare (azzardare) a dire o a fare. Menza parola…’mbare!
1. I convenevoli, “picchì su i maccarruni c’allinchiunu a
panza”
A differenza di quanto detto a proposito del pescarese, il catanese non è
interessato alla cura dei dettagli e non presta attenzione ai convenevoli. Il
suo pragmatismo lo porta a badare alla sostanza piuttosto che alla forma, picchì
a chiacchiera è bella, ma su’ i maccarruni c’allinchiunu a panza (la chiacchiera
è bella, d’accordo, ma è con i maccheroni che ci si sazia…), quindi prendete il
detto alla lettera: piatti abbondanti. Anche perché Egli possiede due
caratteristiche che riescono a farvi innamorare di lui per essendo letali alla
vostra sensibilità: può ironizzare su tutto con un tempismo e una fantasia
linguistica schiacciante, e non ha peli sulla lingua, quindi siate vigili,
accura.
La cosa più carina e premurosa che potrebbe dirvi, di fronte ad una parca
portata, è “’Mbare, nun c’era mancu bisognu c’alluddavi u piattu” (amico,
compagno, fratello, stando così le cose potevi evitare di sporcate il piatto).
2. Mai dire Calcio Catania
Ogni volta che un catanese mette al mondo un altro catanese, insieme al gene
della catanesità, gli trasmette delle verità inconfutabili che nessuno mai si
sognerebbe si sfidare:
1. Sant’Agata, Santa Patrona della città
2. Catania Calcio (che resti fra noi, l’ordine di priorità è inverso).
Quindi (ancora una volta) accura: il calcio è sempre un buon argomento per
rompere il ghiaccio durante una cena, ma non con un catanese, non in questo
periodo. Perché non sarebbe carino da parte vostra rigirare il coltello nella
piaga e perché potreste fare le quattro del mattino e andare a letto con in
testa l’eco di un nome, che ai rossazzurri fa ormai lo stesso effetto della
parola “Palermo”: Pulvirenti.
3. Menù vegetariano: “Ah cchi ti paru ‘na capra?”
E con questo non vogliamo dire che la sensibilità vegana e vegetariana non abbia
toccato la città etnea, anzi. Ma sopravvive con forza una compagine autentica,
ancorata alla tradizione del territorio e alla sua storia, che tutela con
rigore uno stendardo dell’identità: a puppetta ‘i cavaddu. E la polpetta di
cavallo, badate bene, non va considerata un piatto tipico, ma un obbligo etico e
morale, un simbolo che parla della città quanto il Liotro che sovrasta la Piazza
del Duomo e l’Etna che si staglia in tutta la sua maestosità contro il cielo e
dietro i palazzi di una via Etnea percorsa da bravi chistiani e mammoriani.
Il panino con la carne di cavallo è un rito che un catanese deve periodicamente
rispettare, preferibilmente compiendo un pellegrinaggio da Achille, in via
Plebiscito, o ‘na ‘za Paola, nei pressi del Castello Ursino.
Per concludere: prima di rischiare di perdere la sua amicizia proponendogli un
menù vegetariano, assicuratevi che abbia realmente abbracciato questa filosofia
di vita, o vi sentirete probabilmente dire “Evva?! A chi ti pari ca sugni na
capra?”
4. Non bestemmiare: la parmigiana dev’essere bella
‘nsivata
Se volete fare i salutisti di fronte ad una parmigiana, livatici manu: la
parmigiana, dev’essere bella ‘nsivata (unta a dovere). Quindi niente melanzane
arrostite ma rigorosamente fritte perché sarebbe una bestemmia culinaria
insostenibile. Insostenibile quanto chiamare l’arancino “arancina”: a Catania è
peccato mortale, lo sapevate no?
5. Non ti offendere ‘mbare: “sapi bello, ma u miu sapi
ancora chiù bello”
A questo punto, avete deciso di inserire nel vostro menù il vostro cavallo di
battaglia (no, stavolta la polpetta non c’entra) sperando che il catanese si
pieghi al complimento? Ma allora siete veramente ‘ntonteri! Noneeee!!! Perché
anche se avete vinto il “bastaddu affucatu award” (ipotetico premio per il
miglior cavolfiore viola affogato, che a Catania viene denominato, per
l’appunto, bastaddu), il catanese porterà la forchetta alla bocca esternando
piacere e soddisfazione, vi farà dei gran complimenti, vi chiederà cosa ci
mettete e “quantu ‘u lassasti ‘ndo focu, u bastaddu?”. È a quel punto, quando
penserete di avercela fatta, quando sarete convinti di avergli strappato la
vittoria, che lui vi colpirà alle spalle con un : “Bello sapi ‘mbare, bello pi
daveru, ma nun t’affenniri, chiddu da me campagna sapi ancora ‘chiù bello!” (E’
squisito, squisito davvero, amico mio, ma senza offesa, gli ortaggi delle mie
terre hanno un gusto superiore).
Perché di qualunque cosa si tratti, il catanese sa farla meglio, anzi, come dice
Mattia Serpotta, illustre studioso di catanesità, “Se un inglese non sa fare
qualcosa, si ferma e impara. Se un catanese non sa fare qualcosa, si ferma e te
la spiega”.
Infine, un monito, un suggerimento, un consiglio: se volete penetrare l’animo
del catanese fino in fondo, dovete imparare a leggere bene tra le righe,
sviscerare le metafore e stare dentro la sua ironia. E se c’è un modo per farlo,
è capire che per un catanese, tra il dire e il fare, c’è di mezzo un ‘mbare, con
tutto l’universo di significati che questa parola racchiude e che un catanese ha
saputo spiegare in modo ineguagliabile in un suo post.
A te che hai deciso di invitare a cena un catanese, buon appetito, ‘mbare.
Autore: Eugenio Schininà
http://www.ilgiornaledelcibo.it/invitare-a-cena-un-catanese-cose-da-non-fare/
ALCUNI PROVERBI SICILIANI SUL CIBO
Pani e vinu rinforza ‘u schino
(pane e vino rinforzano la schiena)
Furmaggiu, pira e pani, non è cibu di viddani
( formaggio pere e pane sono cibo di contadini )
Lu bonu vinu, fa bonu sangu
( buon vino fa buon sangue)
Trigghi, sardi e masculini di Jnnaru e opi di Marzu
( triglie, sarde ed alici a Gennaio ope a Marzo )
Lu cafè santiannu e u ciucculatu ripusannu
( il caffe caldissimo la cioccolata riposata )
Metti lu pani a li denti ca la fami si senti
( metti il pane fra i denti che la fame si sente )
Risu, m’accalu e non mi isu
( il riso considerato poco energetico fa abbassare ma non ti
da la forza di rialzarti )
Vinu vecchiu e ogghiu novu
( consuma vino invecchiato ed olio nuovo )
Cu mangia vavalaggi caca corna e cu mangia carrubbi caca
ligna
( tutto dipende dalla qualità della materia prima che si usa
)
Lassa chi mangiari e non chi fari
( lascia da mangiare ma mai ciò che devi fare )
Quannu c’è broru assai minuzza pani, accussi si fannu li
scialati boni
( a tanto brodo aggiungi pane e ti sazierai )
Falla comu la voi sempri è cocuzza
( Cucinala come vuoi sempre zucca rimane )
Diu manna ‘u viscottu a cu non havi denti
( Dio è generoso con chi non può usufruirne )
Di lu voscu ‘na bedda faciana, di lu mari ‘na bella murina,
di lu ciumi ‘n’ancidda di tana, di la jiaggia ‘na bedda jiaddina
( da ogni zona la sua preda: dal bosco un fagiano, dal mare
una murena, dal fiume un anguilla e dal pollaio una gallina )
A tavula ci voli facci di monicu
( a tavola ci vuole faccia da monaco ossia mai vergogna )
Tri sunu li boni muccuni: ficu, pessica e muluni
( tre sono i buoni bocconi: fichi, pesche e meloni )
Solo
l'immaginazione oggi può riprodurre le ricette di Vincent La Chapelle,
cuoco francese famoso per il servizio prestato alle dipendenze di Lord
Chesterfield sino al 1732 e poi del principe Guglielmo d'Orange.
Fu
autore di un ricettario ricco di preparazioni complicate e di
ingredienti non solo costosi ma, ormai, inottenibili: dove procurarsi,
avendo i soldi, cinquanta lingue di canard o d'oca per preparare degli
entremets da servire caldi?
La
raffinatezza esula dal nostro secolo. Nessuno potrebbe mai presentare un
autentico pranzo proprio così come lo concepivano e gustavano le
élites del XVIII secolo, ma alcune fra le ricette di La Chapelle sono
oggi riproponibili, ed una di queste è la "entrèe de pommes
d'amour".
Barbara
Keatcham Wheaton ne riferisce con qualche imbarazzo la preparazione
dicendo che di norma se ne servono due per piatto, e sono "delle
collinette di carni bianche messe su a forma di seni e serviti
caldi", e che il realismo era spinto sino alla imitazione dei
capezzoli col prosciutto ed alla utilizzazione della pelle d'un tenero
maialino di latte.
La
Chapelle assicurava che facevano bella figura, e ne proponeva una
variante a base di pesce da servire nei giorni di magro.
Dovette
arridergli successo perché lo si è ritrovato in tanti menus sebbene
– tiene a dire la Keatcham Weaton – "questa cruda allusione al
martirio di Sant' Agata non sia ritenuta di gusto da tutti".
L'imitazione
sorprendente a tavola è praticata da millenni. Il primo esempio che
viene in mente per noi è quello legato alle paste alimentari, a
cominciare dal "fari 'na pampina di pasta" e fino a tutte le
fogge che se ne manipolano.
Essendo
vegetariano, Empedocle offrì in sacrificio un bue di pasta di mandorla;
a Serse fu servito del pesce ottenuto abilmente sagomando delle carote;
Ateneo riferisce di un cuoco che ad Atene apparecchiò "carne
salata alla maniera del pesce salato", cosa assurda perché la
carne costava più del pesce; per non dire delle mille e mille surprises
della cena di Trimalcione.
Idoli
di pane si trovano segnalati, all'epoca di Carlo Magno e Pipino, nello
"Indiculus superstitionum et paganiarum". Ma sempre Ateneo
riferisce un passo di Sosibio che nel suo saggio su Alcmane dice che si
chiamano "kribanai" dei soffici panetti dalla forma di
mammella.
Nel
commento alla edizione datane dalla Salerno si apprende che queste
brioches venivano consumate in occasione di banchetti rituali
organizzati a Sparta dalle donne allorché veniva intonato un canto per
celebrare una "Vergine", nella quale alcuni hanno voluto
riconoscere Artemide.
Singolare
testimonianza, se si considera l'analogia, almeno nella foggia, con un
dolce monacale che qualche pasticciere ancora oggi ripropone. A farne a
Catania erano gli Amato : nel loro catalogo del 1859 offrivano
"Paste di Miele dette minne di Vergine" ma non più in quello
del 1906.
Meno
singolare apparirà ciò a chi ricorda che Artemide era venerata quale
protettrice delle ragazze e che ex-voto raffiguranti seni e vulve sono
stati trovati nel santuario di Artemide Kalliste, e da chi sa che anche
a Mineo c'è l'Arcudìa, la "grotta dell'orsa", legata a
misteriose riunioni femminili.
Un
anonimo messinese F. R. D., un "gulutu" che viveva nel 1857 a
Palermo, celebrando le produzioni dolciarie dei monasteri palermitani ne
canta in una ottava che inizia con questi versi: "Di li Virgini poi
li beddi minni / quanto eccellenti su, tutti lu sannu" e che è
chiusa dal distico "Biniditta la mamma chi li vinni / biniditti ddi
manu chi li fannu".
Un
analogo componimento, stampato anonimo a Palermo in quegli stessi anni,
è reticente perché si autocensura elogiando "li beddi pastizzotti…
vuccuni di suli Cavaleri, /e cu' li tasta poi ci torna arreri".
A
parlarne in uno scritto che celebra la vita a Palermo nel '700 è poi
Pitré che testualmente scrive: "In tutto l'anno tenevansi in alta
fama le suore del monastero delle Vergini con le impareggiabili loro
"sussameli" e, meglio, con certi loro pasticci, il nome de'
quali, "minni d'i Virgini" (mammelle di vergine) si presta
ancora oggi ad un bizzarro, e un po' salace bisticcio".
Nell'ultimo
monastero a produrre e vendere dolci rimasto a Palermo per tutti gli
anni '60 del secolo scorso, "e Virgini" – com' era inteso
– si potevano acquistare conchiglie e pastizzotti che, privi di liffia
e poco più grandi di un bocconotto, non suscitavano associazione
indecente alcuna nella maggior parte degli acquirenti. E mentre nell'
attesa si rifletteva, e si stabiliva un dialogo intimo che non sfiorava
mai l'indiscrezione, la amabile modestia con la quale ti accoglievano da
dietro la grata e te li porgevano attraverso la ruota, persuadeva che si
trattava non di induzione tentatrice ai vari peccati della Gola ma di
antico exemplum convincente, bonaria lezione salutare ad edificazione.
Senza
che sapessero del rito delle donne spartane, e senza che riflettessero
sul messaggio recondito, subliminale, di tali simboli archetipici di
identità femminile, nel pestare mandorle e zucchero nei mortai sino
allo sfinimento e nel manipolare quei pastizzotti e quelle conchiglie
con amore, e segnando i tempi di lievitazione e di cottura col recitare
paternostri o credi, esse dovevano essere convinte della forza di tale
catechesi che, sbocconcellata, andava dritta al cuore per quel di
mistico e di misterioso che ogni pezzo racchiudeva e che ci fa, quindi,
ricordare dei milloi che a Enna era devozione mangiare in occasione
della festa di Demetra e, pur restando evidenti le intenzioni devote, fa
escludere che tali dolci corrispondano agli apparati concettuali della
Controriforma.
E'
ipotesi plausibile che a La Chapelle se non da "esprit mal tourné"
l'idea sia venuta da dolci analoghi a quelli siciliani manipolati da
monache francesi.
Chiaro,
se non esplicito, era quel messaggio, servito sui piatti nel secolo
libertino, quando il cibo era mezzo di seduzione, per la atmosfera di
intimità, pei piaceri che si gustano, per l'attesa di voluttà destata.
Legami
sottili ci fanno conoscere eterne rappresentazioni dei valori di Verità
e Devozione sempre presenti nel nostro quotidiano.
(Carmelo
Spadaro di Passanitello)
|
-
Per
eliminare i cattivi odori rimasti nel forno, dopo averlo pulito, cuocetevi
alcune bucce d'arancia a 180°C.
-
Se
la torta raffreddata resta attaccata alla teglia, rimettetela nel forno
caldo per qualche minuto.
-
Molte
ricette consigliano di aggiungere il prezzemolo solo a fine cottura. In
effetti, a contatto con il calore perde sapore e colore. Perciò è
opportuno metterne una parte durante la cottura e il resto alla fine: magari
mescolato a un poco di aglio tritato.
-
Per
evitare che i piselli, dopo la cottura, perdano il bel colore verde e
appaiano spenti e sbiaditi, aggiungete un poco di zucchero all'acqua.
-
Non
digerite la peperonata? Provate ad aggiungere alla salsa di pomodoro un
cucchiaino di zucchero.
-
E'
curioso, ma per regalare un pizzico di sapore in più alle preparazioni
basta unire un poco di zucchero alle vivande salate e un poco di sale a
quelle dolci.
-
L'uovo
in frigorifero va conservato, con la parte piccola verso il basso. La sua
freschezza si riconosce dal fatto che, se immerso in acqua fredda, non resta
a galla e una volta aperto nel piatto si presenta tondo e duro nel tuorlo e
denso nell'albume.
-
Prima
di cucinare le uova, ricordarsi che non bisogna cuocerle subito dopo averle
tolte dal frigorifero. Per farle rendere al meglio, bisogna lasciarle per
qualche minuto a temperatura ambiente.
-
Il
modo migliore per sgusciare bene un uovo sodo? Rotolatelo sul tavolo con il
palmo della mano, la sua superficie si sgretolerà, e il guscio si
staccherà facilmente.
-
Volete
l'insalata croccante? Mettetela il un recipiente con acqua e ghiaccio per
qualche minuto. Scolatela e asciugatela con delicatezza, poco prima di
condirla.
-
Le
mele dureranno più a lungo, se li sistemate con il picciolo rivolto verso
il basso, un altro suggerimento: evitate di tenerle insieme con altra
frutta.
-
Se
dovete usare il cioccolato per i dolci, mettetelo in frigorifero. Il freddo
lo rende duro, e sarà più facile spezzarlo o grattugiarlo.
-
Per
cuocere bene una pizza, ungete la teglia con un filo d'olio. Non usate sulla
teglia la carta da forno o il foglio di alluminio, perché con il calore a
200° la carta si brucia, e il foglio di alluminio tende ad attaccarsi.
-
Le
bistecche diventeranno più morbide, se le lasciate immerse in un composto
di olio e aceto, per 2 ore circa, girandole di tanto in tanto.
-
Per
mantenere il basilico intatto e fresco almeno per un paio di giorni, non
mettetelo in frigorifero perchè va a male, ma immergete il suo gambo in un
recipiente pieno d'acqua.
-
Se
immergete una monetina di rame (c'è ne sempre qualcuna in casa), nell'acqua
del vaso dei fiori freschi, questi si manterranno freschi molto di più.
-
Per
impedire che l'aglio germogli, mettetelo in un contenitore, dopo averlo
diviso a spicchi e copritelo con del sale grosso da cucina.
-
Per
fare risplendere la vostra caffettiera d'alluminio, strofinatela con sale
fino e aceto per qualche minuto. Il risultato è assicurato.
-
Per
evitare che i bottini si stacchino, cuciteli con il filo di seta.
-
Per
far sparire l'odore del melone dal frigorifero, mettetegli dentro per una
notte, una patata sbucciata tagliata a metà.
-
Per
pulire le superfici di vetro senza lasciare tracce, mescolate 1 litro
d'acqua e un tappo di ammorbidente liquido.
http://www.grifasi-sicilia.com/piccolisegretiincucina.htm
|
Segreti
e curiosita' sulla cucina siciliana
Un
viaggio nelle curiosità della cucina siciliana, è una sorta di
navigazione nei percorsi formatisi nel corso dei secoli in un patrimonio
alimentare unico in Italia.
Spaghetti,
maccheroni, vermicelli, a giudicare da quanto ci tramanda un vecchio
documento conservato al Museo Nazionale della paste alimentari di Roma,
nascono intorno all'anno 1000, a Trabia in provincia di Palermo. Da qui
la pasta, fatta essiccare al sole della Sicilia, veniva spedita nei
paesi mussulmani. La fantasia dei Siciliani nel condire la pastasciutta
è ormai nota in tutto il mondo; sono infatti innumerevoli le varietà
di sughi e salse che concorrono alle varie preparazioni ottenendo
intingoli da carni, pesci, verdure, frutti di mare, uova e formaggi.
Nel
Cinquecento in Italia la pasta era considerata una stranezza o un lusso.
Facevano eccezione i Siciliani chiamati già allora "mangiamaccheroni".
La maggior parte della pastasciutte
siciliane sono sempre arricchite con altri ingredienti che la fanno
diventare un sostanzioso piatto unico. Il motivo di questa
caratteristica è da ricercare nel fatto che una volta la pasta asciutta
rappresentava la sola portata del pasto della maggior parte degli
abitanti dell'Isola.
Forse
in nessuna regione d'Italia come la Sicilia gli ortaggi occupano
un posto così importante in cucina.
E'
stato il regno vegetale per molto tempo a fornire alle classi popolari
il cibo principale per la loro alimentazione quotidiana. Le donne
Siciliane poi con la loro creatività arricchivano questi ortaggi con
fantasiose modifiche che contribuivano a far diventare la preparazione
un piatto da servire come portata unica.
Il
pesce spada viene pescato nei mesi da aprile a settembre quando,
seguendo dalla notte dei tempi lo stesso itinerario, giunge a gruppi nel
mare Mediterraneo dal mar dei Sargassi e attraversa lo stretto di
Messina.
Nella
Valle del Belice, si produce un formaggio pressoché unico nel suo
genere. Il suo nome è "vastedda"
(nel dialetto siciliano è il termine con cui si indica una forma di
pane) deriva dalla sua forma rotonda (20 / 25 cm di diametro) e di forma
schiacciata, con il bordo molto convesso, e si tratta di un formaggio
ottenuto dal latte intero della pecora della Valle del Belice.
La
"vastedda" è un formaggio fresco che viene prodotto tutto
l'anno ma che dà il meglio di sé solo nel periodo estivo perché solo
in questa stagione il latte prodotto da questi animali è ai massimi
livelli di aromaticità è dì presenza dei ,componenti che consentono
la fermentazione.
La
peculiarità della "vastedda" è la lavorazione a pasta
filata, rarissima nei formaggi di latte ovino, in quanto la caseina del
latte di pecora non facilita la filatura.
Crispeddi
o Fritteddi (Frittelle) Le frittelle
in Sicilia, sono tradizionali nel periodo Natalizio, in alcune zone
vengono preparate per S. Giuseppe (19 marzo) e per S. Martino (11
Novembre). In altre zone si preparano per tutte due le Festività,
oppure per tutto l'anno.
Caciu
all'Argentera Questo formaggio,
prende il nome da un argentiere fallito. Questi non potendo comprare la
carne, perchè costava molto, si mise a preparare questo formaggio,
perchè il suo odore gli ricordava le buone pietanze a base di carne. Vastiedda
Ragusana Nella zona di Ragusa si
differenzia nella forma a ruota, nel
suo impasto vengono mescolati semi sambuco.
Esso
è caratteristico nella Festa di Pentacoste;
la
tradizione popolare gli attribuisce valore propiziatorio
e
quindi esso viene consumato in grande quantità.
Salmoriglio.
Il nome "Salmoriglio"
proviene da "Salamoia". E' una tipica salsa siciliana con la
quale si condiscono tutte le carni ed i pesci arrostiti; in Sicilia per
"arrostire" si intende solo la cottura alla brace. La salsa
viene spalmata sui cibi prima, durante e dopo la cottura.
Miele
di Ferula.
A Sortino si produce
il miele di Ferula, tra i più buoni d'Italia. Il suo nome deriva dal
legno di cui sono fatte le arnie.
Cuccìa.
L'origine di questo piatto e araba. E' tradizionale per il giorno S. Lucia (13
dicembre), il suo uso è propiziatorio. La leggenda narra che a causa di
una tremenda carestia il popolo stava morendo di fame, quando
all'improvviso arrivò nel porto di Palermo una nave carica di frumento,
era il 13 dicembre............
La
"Scacciata" è tipica del Catanese; il ripieno però
varia da luogo a luogo ed anche il nome della focaccia cambia secondo la
forma. Infatti se è rettangolare, bassa e schiacciata viene detta
"scaccia" o "scaccetta"; se è rotonda e cotta in
una tortiera perchè ben gonfia e ricca "'mpanata". Il ripieno
è in genere semplice, ma può essere più o meno elaborato. Si hanno
scacce con ricotta e pezzetti di salciccia fresca; scacce con prezzemolo
tritato grosso e pezzetti di alici salate; scacce con pomodoro e cipolla
soffritta; ed ancora 'mpanate con cavolfiori ed olive nere; "'mpanate"
di agnello e patate; "'mpanate" di palombo e pomodoro. Sono
tutte preparazioni cotte entro una "crosta" di pasta di pane
il cui ripieno può essere crudo o parzialmente precotto.
Sfinciuni.
E' un piatto di antica tradizione
siciliana e con alcune variazioni assume nomi diversi, come "sciavazza"
o "sciaguazza". Uno "Sfinciuni" famoso veniva
preparato dalle suore del Monastero di San Vito a Palermo e viene
tuttora chiamato "sfinciuni di Santu Vitu". In molte famiglie
legate alla tradizione culinaria viene preparato lo "sfinciuni"
che si differenzia per la giunta abbondante di salciccia fresca e più
formaggio; si ricopre con un'altra sfoglia prima di passarlo in forno.
E' una portata assai nota anche nel napoletano tant'è che molti
ritengono che sia una specialità campana.
Gnocchi.
Nel ragusano li chiamano "gnucchitti"
e vengono conditi con sugo di pomodoro o di carne, e pecorino,
costituendo una specialità locale, nel trapanese "gnucchitieddi";
in altre zone li chiamano anche "cavati", "cavatieddi",
"cavatuna" ("cavato" da "incavato" per la
forma schiacciata): Spesso vengono confezionati non solo a forma di
conghigliette, ma schiacciati col pollice su una grattugia, o su un
"pettine", in modo che all'esterno rimanga impressa in
superfice l'impronta con la relativa rigatura. Gli "gnocculi
busiati" del marsalese e di Erice non sono che i "maccaruna di
casa".
Cincina
(pesce) Questi piccolissimi
pesciolini, molto graditi ai Siciliani, assumono in Sicilia diversi nomi
a seconda del luogo in cui vengono pescati. A Catania, vengono chiamati "nunnata"
o "muccu"; a Messina, "mazzulara" oppure "maiaticu";
a Trapani "sparacataci"; in altre località "russuliddu".
Pasta
"Incasciata" Nel
Dialetto "Incasciata" significa incassata, cioè sistemata
nella cassa, dello stampo; alcuni, confondendola con altre specialità
dell'agrigentino, la chiamano "incaciata" per la funzione
legante dell'abbondante formaggio impiegato.
Giuggiulèna
(Torrone di Sesamo) Torrone del
periodo natalizio, fatto con l'aggiunta di semi di Sesamo. In alcune
zone viene chiamato con il nome "Giuggiulèna", o "Giurgiulena",
dall'arabo "Giulgiulàn", in altre zone viene chiamato "Cubbaita",
dall'arabo "Qubbiat" Giuggiulèna (Nougat of Sesamo)
Mustazzola.Il
nome "Mustazzola", era già noto nel XV secolo, ed è oggi
registrato come uno dei vocaboli più antichi siciliani.
Cùscusu
Il
"Cùscusu" è un piatto di provenienza araba, assai
popolare nella Sicilia occidentale e nelle isole vicine. Cùscusu
Sarde
a "beccaficu". Il
Beccafico è un uccello che si nutre di fichi; molto grasso
e gustosissimo, si cattura preferibilmente tra luglio e settembre, e si
prepara ben farcito e guarnito. Le
sarde prendono il nome "a beccaficu", perchè sono molto
appetitose e grasse come l'omonimo uccello. "
Le
Melanzane, che sono originarie dell'India, sono molto usate nella
gastronomia siciliana, - fino al 1400 furono considerate velenose.
Sembra che la loro commestibilità.
sia
stata decretata dai frati Carmelitani Siciliani, che dopo averle
cucinate, le fecero conoscere fuori dai loro Conventi. Oggi vengono
preparate e cucinate in svariati modi; dalle Melanzane alla Parmigiana,
(il termine deriva dal tipo di Melanzana coltivata in Sicilia; ( la
Petronciana ). Alla "Caponata", imbottite, ripiene di
formaggio, acciughe e capperi e cotte al forno. "A quaglie",
specialità palermitana, e altre ancora. Melanzana (Eggplant)
Cannoli.
Secondo la tradizione Siciliana, i
Cannoli vengono regalati alle famiglie amiche, e il loro numero non deve
essere meno di dodici.
Cuddura.
La caratteristica di questo dolce
siciliano, e quella di preparare della pasta di pane più o meno dolce,
al cui interno vanno sistemate delle uova sode col guscio. Altri nomi
che viene chiamato: "panarieddi ccu l'ova" "cudduredda",
"campanaru", "aceddu ccù l'ova", "ciciliu",
"palummeddi". Cuddura
Da
Le ricette di casa Grifasi - I dolci Siciliani - Ricette di Natale
http://www.grifasi-sicilia.com/curiositacucinasiciliana.htm
|
Come
riconoscere il pesce fresco?
Intervista
al dott. Omiccioli
Le
numerose ricette che riceviamo dai lettori e le centinaia che
vengono stampate dal nostro portale sono l’ulteriore conferma dell’aumentato
interesse per la gastronomia. Sempre più spesso la redazione riceve
mail dai lettori che cimentandosi in cucina con il pesce ci scrivono
per sapere come fare a riconoscere il pesce fresco.
Del resto per la buona riuscita di qualsiasi ricetta dalla più
semplice alla più elaborata la freschezza del pesce è
fondamentale.
A questo proposito abbiamo intervistato uno dei nostri
collaboratori, il dott. Omiccioli al quale abbiamo chiesto di
svelarci i segreti per riconoscere il pesce fresco.
Dott.
Omiccioli, che indicazioni può dare ai nostri lettori per
riconoscere il pesce fresco?
Non è così difficile come sembra riconoscere il pesce fresco….
direi che è molto più difficile pulirlo e cucinarlo!
Mi capita spesso di dover spiegare come scegliere il pesce e non
manco mai di dire che il pesce va scelto con 3 sensi. Partiamo
innanzitutto con l’odorato.
Il pesce fresco deve avere un odore tenue e salmastro deve insomma
ricordare la salsedine. Ricordate che il pesce quando è fresco non
‘puzza’ ma, diciamo così, profuma di mare.
Veniamo alla vista. Prima di comprare osservate bene gli occhi che
devono essere vivi e in fuori con la cornea trasparente e lucida. E
quindi mi raccomando…. non comprate mai pesci privi degli occhi o
della testa! Sempre parlando di occhi volevo sottolineare che a
questa regola fanno eccezione i bivalvi che se freschi hanno gli
occhi chiusi.
Il pesce fresco deve, inoltre, avere un colore iridescente, quasi
metallico. Le branchie devono avere un colore rosso o rosaceo e
devono essere umide. Le scaglie, tranne che per alcuni pesci come ad
esempio i cefali le cui scaglie si staccano facilmente anche quando
è fresco, devono essere brillanti e aderire al corpo che deve
essere rigido o arcuato. Le costole e colonna, poi, devono essere
aderenti alla parete addominale e ai muscoli dorsali.
Ma veniamo al tatto. Innanzitutto il pesce, se fresco, ha una carne
soda ed elastica. Per verificarlo provate a premere sul pesce con un
dito, se levandolo rimane l’impronta significa che non è fresco.
Il corpo, inoltre, deve essere rigido e mettendolo in verticale non
deve afflosciarsi. Se messo in acqua, poi, deve affondare.
Le
stesse regole valgono anche per i molluschi?
No, ci sono delle differenze. Per esempio, i molluschi cefalopodi
come le seppie, a differenza degli altri pesci, devono avere gli
occhi brillanti e neri e il corpo umido.
L’odore non deve essere acidulo. Parlando invece dei molluschi con
la conchiglia, che devono essere assolutamente comprati vivi,
bisogna prestare attenzione che il corpo aderisca bene alla
conchiglia (o al guscio). Aggiungo infine che la conchiglia deve
essere lucida,chiusa e pesante.
E
i crostacei?
I crostacei, che sono anche questi assolutamente da comprare vivi,
devono avere la corazza di colore rosso intenso e la polpa soda.
Queste
indicazioni valgono per chi decide di cucinare il pesce a casa e per
chi invece va al ristorante? Come fa distinguere il pesce fresco?
L’unica cosa che posso dire è che è fondamentale scegliere
ristoranti che si conoscono bene. Anche per il pesce che si consuma
al ristorante la prima cosa a cui prestare attenzione è l’odore.
Mai mangiare pesce il cui odore ricorda l’ammoniaca, che è spesso
usata per conservarlo, e mai mangiare pesce crudo come sushi o
carpaccio in locali non conosciuti.
Il pesce fresco, come tutti sanno bene, è un alimento estremamente
deperibile e va consumato nel giro di 12-24 ore così da evitare di
innescare il processo di deperimento causato dagli enzimi
proteolitici, dai batteri e dal calore che lo alterano creando
tossine nocive al nostro organismo.
Per stare dalla parte del sicuro, inoltre, sarebbe buona regola
scegliere pesci di stagione e pesci nostrani. Di stagione perché se
da una parte è più facile che siano freschi è anche vero che ogni
specie di pesce ha un suo periodo durante il quale le sue qualità
nutrizionali ed organolettiche sono nel momento migliore. Nostrano
perché il nostro è un pesce sottoposto a molti controlli ed è
quindi preferibile al pesce d’importazione.
E
quindi, meglio consumare pesce italiano?
Direi proprio di si. Il nostro pesce, mi riferisco in particolare al
pesce azzurro del Mediterraneo, contiene un considerevole apporto di
principi nutritivi rispetto ai pesci che vivono in altri mari oltre.
Come ormai mi auguro tutti sapranno, il pesce contiene un’alta
percentuale di acidi grassi essenziali omega 3 e un’alta
percentuale di proteine che varia dal 6% al 20%. Inoltre è ricco di
diversi minerali come iodio, calcio, fosforo, potassio e rame oltre
a vitamine del gruppo A e D e B.
A
cura di Chiara Angeloni
http://www.mareinitaly.it
|
U PUTIARU di Angela Marino
Per cominciare, cerchiamo di capire cos’era la “putia”(la bottega).
C’erano vari tipi di botteghe: “la putia di lu mastru d’ascia , di lu firraru,
di lu custureri, di lu varberi”(la bottega del falegname, del fabbro, del sarto,
del barbiere)… e così via per tutti gli artigiani che un centinaio di anni fa
rendevano la vita possibile nei paesi e nelle città siciliane.
Nelle “putie” artigianali si lavorava, si ricevevano i clienti, ma anche gli
amici, si parlava del più e del meno…
Un proverbio siciliano dice:” Fari casa e putia” riferendosi alla fortunata ma
non rara situazione di chi era riuscito a crearsi un luogo di lavoro adiacente
alla propria abitazione.
“LA PUTIA” tout court, invece,era un’altra cosa.
Era il negozio degli alimentari: un grande pianterreno con le pareti piene di
scaffali stracolmi; con parte del pavimento occupato da “carteddri”(ceste),
sacchi, “curriotta e burnii”(contenitori in legno per le acciughe salate e in
ceramica per le olive) e con in fondo un grande banco su cui era poggiata la
“valanza” (bilancia) e alcune invitanti bocce di vetro che contenevano
caramelle, cioccolatini, confettini colorati ed altre leccornie.
Niente calcolatrice o registratore di cassa: i conti venivano fatti “a menti” o
su un pezzo di carta, le merci “date a credenza” (a credito) venivano segnate su
un quaderno, e gli incassi conservati nel “casciuni”(cassetto) del banco.
La putia era quasi un supermercato per la varietà e la quantità delle merci che
vi si potevano acquistare: dalla pasta alla frutta, alla farina, ai formaggi, ai
salumi…e poi ancora biscotti, cioccolatini, caramelle acciughe salate, olive,
olio, detersivi, carbone, etc etc etc… ma niente acqua o latte…in quei tempi la
prima si riempiva al “cannolu”( fontanella) e il secondo lo portava fino a casa
“lu picuraru”(il pastore) con le sue capre.
“Lu putiaru” o, più spesso. “la putiara” presiedevano tutto questo ben di Dio,
coadiuvati talvolta dai familiari o da aiutanti- ragazzini che pagavano con
quattro soldi.
Una brava “putiara” cortese, pulita, precisa, ben fornita …poteva fare la
fortuna del suo esercizio , in quanto la concorrenza era spietata.
Quando io ero molto piccola, la spesa, non andavano a farla le signore come
avviene adesso, ma i ragazzini e le ragazzine che spesso arrivavano alla “putia”
con una lista scritta dalla mamma, dalla nonna o da qualche vicina di casa.
La “putiara” leggeva la lista, vi scriveva i prezzi, si pagava e consegnava
l’eventuale resto ai ragazzini con mille raccomandazioni tipo: ”mettitilli
‘nsacchetta… accura a unni li perdiri..ca po’ a to ma’ cu la senti!…” ( mettili
in tasca, attento a non perderli…che poi tua madre chi la sente) e poi li
aiutava a mettere gli acquisti dentro una “coffa”(borsa dalla tipica forma,
fatta con paglia o “giummarra” intrecciata) o in una “beca” (classica borsa
della spesa ) , infatti i sacchetti di plastica non esistevano ancora… anzi, non
esisteva neanche la plastica…
Ogni tanto, la “putiara” regalava ai suoi giovani clienti “ un carameli" o “un
ciccolatu" o, dopo lo sbarco degli americani, “na ciunka”( un cheving gum) e
così se li teneva cari…
Vicino a casa mia c’erano 3 “putii” e noi eravamo clienti di tutte e tre: la
più vicina a casa nostra era quella di Assuntina, poi c’era quella celeberrima
della ”Zza Ciccineddra e, un po’ più lontana quella della “Zza Cicia”. Ma nel
resto del paese ce n’erano tante altre.
“Li putii” perdettero la loro centralità con la nascita dei supermercati, ma
non scomparvero del tutto, ancora adesso ne sopravvivono , anche in città; ma
,soprattutto nei piccoli centri, è possibile trovarne di molto convenienti e ben
fornite.
http://www.siciliafan.it/lu-putiaru-la-putiara-il-bottegaio-la-bottegaia-angela-marino/
Agnolotti
siciliani - Si tratta di una pasta farcita di forma quadrata o
rettangolare, il cui ripieno è normalmente costituito da ricotta,
salsiccia, salvia e cannella.
Anelli
- Piccoli anelli di pasta di semola di grano duro, utilizzati
soprattutto nella preparazione di timballi e pasticci da forno. I
condimenti maggiormente utilizzati per questo tipo di pasta sono i ragù
di carne arricchiti di formaggio, in particolare di caciocavallo e i
sughi di melanzana, sempre con l’aggiunta di dadini di formaggio
locale. Sono preparati con semola di grano duro e acqua e normalmente
trafilati al bronzo. Una vera specialità siciliana, ottimi per le paste
al forno, come vuole la tradizione isolana.
Cannaruzzini
- I comuni rigatoni, in Sicilia prendono il nome di cannaruzzuni. Questo
tipo di pasta era tradizionalmente utilizzata nei matrimoni che si
festeggiavano in casa, anche in questo caso sotto forma di timballo di
carne macinata, uova sode, sugo, pepe nero, peperoncino piccante.
Catanesella
- E’ un maccherone grosso e corto, tipico di Catania, anche questo
impiegato soprattutto nella preparazione dei timballi.
Capiddu
d’ancilu - Il nome significa “capello d’angelo” o capelvenere.
Si tratta quindi di spaghettini finissimi spezzettati, da servire in
brodo o con un sugo molto leggero e possibilmente semplice. Con questo
tipo di pasta viene preparata la scuma cc’u meli, la spuma con il
miele, dolce dal gusto particolarmente delicato.
Cuscusu
- Come è facile intuire si tratta del classico cous cous arabo. Viene
realizzato facendo piccole palline di farina di semola ed acqua, che
vengono preparate in un apposito contenitore detto mafaradda, dove la
semola viene lavorata con le mani in senso rotatorio, bagnandola con
acqua salata fino a quando non prendere la forma di piccolissimi grani.
In un secondo momento viene condita con un filo d’olio d’oliva e
quindi messa ad essiccare su un canovaccio.
Il Cuscusu viene cucinato a vapore, con un recipiente particolare, la
cuscusera, e subisce diverse cotture, prima di essere condito.
Normalmente si condisce con verdure e aromi, ma nelle zone in cui è
particolarmente diffuso, come il Trapanese, costituisce la base per la
zuppa di pesce o viene portato in tavola con carne di agnello, di
maiale, fave e finocchietto selvatico, di cui in Sicilia si fa ampio
utilizzo.
Ditalini - E’ un tipo di pasta corta, cilindrica, rigata o liscia,
tipica della tradizione popolare siciliana. Viene normalmente condita
con preparazioni semplici. In certi casi solo con ricotta fresca
stemperata in qualche cucchiaio dell’acqua di cottura o con i
broccoli, a cui vengono aggiunti uva sultanina, pinoli, caciocavallo o
pecorino.
Filatu
- E’ una sorta di vermicello tirato a mano. Il nome infatti deriva
dall’atto di filare l’impasto di semola o di farina di grano duro,
uova e zafferano.
Lasagne
cacate - Piatto tipico del periodo natalizio, diffuso
principalmente nell'area di Modica in provincia di Ragusa, ma molto noto
anche nella Sicilia occidentale. La tradizione vuole che la ricetta di
queste lasagne sia stata elaborata durante il dominio aragonese. Il nome
si riferisce ironicamente al fatto che un tempo il loro consumo era
riservato esclusivamente alla nobiltà. “Cacato” sta infatti ancora
oggi per persona un po’ snob. Si tratta di lasagne all’uovo, larghe,
con il bordo arricciato, condite con ragù ricchi e corposi, a base di
carne, ricotta e altri formaggi. Gli ingredienti della ricetta classica
prevedono uova intere, di ragù di salsiccia e cotenna di maiale,
pomodoro, ricotta fresca, pecorino grattugiato, sale e pepe.
Maccaruna
- I Maccaruna, o Maccarruna, fatti in casa, sono una tipica pasta
siciliana. Il termine indica diversi tipi di pasta, tutti preparati
secondo l’uso tradizionale del ferretto. La tradizione vuole che la
pasta non manchi per Carnevale, sulle tavole dei siciliani. E la pasta
favorita sono proprio li maccaruna dí zitu a stufato o cu lu sucu di
carne di maiale, immancabile per li sdírri, come per Sammartino- per
cui si dice ad ogní porcu veni lu sò Carnílivari. Nel trapanese i
maccheroni si chiamano Busiati. In questo caso l’impasto è reso senza
uova e il condimento tradizionale è costituito dal noto pesto alla
trapanese, a base di pomodori, mandorle, aglio, basilico e pangrattato.
Le origini di questa pasta si perdono nel tempo. Se ne trova una ricetta
nel Liber de arte coquinaria, scritto dal cuoco Maestro Martino vissuto
attorno alla metà del XV secolo. L’impasto è preparato con farina di
grano duro, sale,
uova (sebbene alcune ricette non ne prevedano l’uso)
e acqua tiepida. Da questa si ricavano bastoncini dello spessore di un
grissino e della lunghezza di 20 cm circa. I bastoncini vengono poi
lavorati per
l’ottenimento dei maccheroni, premendo gli spiedi sulla
pasta. A questo punto vengono sfilati e lasciati essiccare all’aria
aperta. In questo caso l’abilità della massaia, soprattutto in tempi
andati, si misurava sul numero di maccheroni che era capace di preparare
per volta.
Maccu
di granu - Si tratta di una particolare tipologia di pasta che ricorda
il Cuscusu. Viene infatti reso da frumento macinato, dapprima
grossolanamente tra due sassi e in un secondo momento lessato in acqua
salata e condito con olio, sale, pepe e finocchietto selvatico,
particolarmente utilizzato nella cucina isolana. In tempo di guerra,
questo piatto rappresentava una pietanza comune e diffusa, in molti casi
consumata anche in sostituzione di pane e pasta.
Scialbò
- Altra tipologia di lasagne con i bordi arricciati, nota anche come
Reginella. Tipica della zona centrale della Sicilia, ed in particolare
di Enna, prende il nome dal francesismo con cui si indicava la ruche di
ornamento delle vesti femminili. La ricetta del condimento di queste
lasagne è caratterizzata da una miscela di sapori che rimanda alle
tradizioni della grande cucina nobiliare siciliana: ragù di carne
tritata, cipolla, pomodoro, insieme a zucchero, cannella e cioccolato.
Taccuna
di mulinu - E’ il nome che prendono le lasagne fatte in casa nel
siracusano, in particolare a Noto. La loro particolarità è
nell'impasto, che deve 'ncutugnári, cioè essere lavorato sino ad
assumere la forma e la consistenza voluta. Dalle sfoglie che se ne
ricavano si fanno dei rotoli che vengono tagliati con un coltello e poi
distesi ad asciugare all'ombra e al fresco, per almeno 2 ore. Taccúna
deriva con tutta probabilità da táccu, la stecca del biliardo così
chiamata dagli spagnoli e quindi, per somiglianza alle lunghe strisce di
pasta, sottili ed eleganti. Queste grossolane tagliatelle sono condite
solitamente con un sugo di pomodoro al quale vengono aggiunte melanzane
fritte e un’abbondante spolverata di ricotta salata.
Tagghiarina
- Anche in questo caso si tratta di tagliatelle dalla sfoglia piuttosto
spessa, ma non tipicamente isolane. Si servono condite con sughi vari,
sebbene il più utilizzato in Sicilia sia quello con le fave.
Al
ritorno dal loro viaggio sulla Luna, gli astronauti americani dissero di aver
visto da lassù il pennacchio di fumo emesso dai quattro crateri dell'Etna e
come questo, valicando il Mediterraneo, giungesse visibile fino alle foci del
Nilo. Per questo fenomeno, che si ripete sin dall'epoca greco-romana, gli
Egiziani di Alessandria e del Cairo chiamano catanese il vento che spira
dall'Etna verso ii delta del Nilo. Apollodoro era il cuoco catanese di
Cleopatra, che seppe srotolarla giovinetta dal tappeto dove l'aveva avvolta,
innanzi agli occhi artoniti di Cesarione (il rampollo che la regina d'Egitto
scodellò a Cesare cinquantenne). La storia concesse un inatteso bis a Cleopatra
quando, dopo qualche giorno dalle funeste idi di marzo, risalendo il Nilo sulla
barca d'oro e con le seriche vele porporine gonfiate dal catanese verso Luxor,
proprio Apollodoro seppe tranquillizzare la sua regina e l'amante romano - il
potente Marc'Antonio, onorato da Cleopatra come Dionisio vivente - allorchè,
portate dal vento, piovvero dal cielo minuscole palline nere sulle sue
afrodisiache vivande che stava cucinando sul cassero. Disse che si trattava del
ripuddu, scorie eruttate dall'Etna e che tanto bene facevano agli ortaggi e alla
frutta del litorale del suo Paese, sull'altra sponda.
Dopo
che gli Arabi si stabilirono in Sicilia, impiantando agrumi e gelsomino alle
falde del vulcano più grande d'Europa, allo spirare del catanese sul delta del
Nilo, in quel vento profumato si avvertirono nitidi effluvi di zagara e
gelsomino d'Arabia, come pare accada ancora oggi.
Questi
aneddoti per introdurre un argomento, gli ingredientii culinari afrodisiaci
catanesi - e come procurarseli - che mi sta particolarmente a cuore.
Catania
ha quattro mercati. I due maggiori sono il grandioso Ortofrutticolo di via
Amerigo Vespucci, che si estende per una superfice di 70.000 mq, e il mercato
Ittico di via Cristoforo Colombo, dove le contrattazioni cominciano alle 3 e si
concludono alle 10, con un movimenro di pesce locale fresco e congelato di circa
7.000 tonnellate annue. Ma noi qui non ci occuperemo di questi, del resto simili
a quelli di altre grandi città. Piuttosto, in forza del famoso adagio
"dimmi come mangi e ti dirò chi sei", ci occuperemo dei due mercati
popolari minori, al minuto: "a Fiera o luni" (la fiera del lunedì, ma
oggi aperto tutti i giorni esclusa la domenica) e la millenaria Pescheria.
Cominceremo verso le 8.30 dalla Fiera nella centralissima piazza Carlo Alberto,
a due passi da via Etnea e da via Umberto. Si apre con la sua ridda di
ombrelloni policromi innanzi al santuario di Maria SS. del Carmine dove, non
molto dissimile dai souk nordafricani, si incrociano e si affastellano in
esaltante confusione, frammiste alle tante offerte non commestibili, le
bancarelle di ortaggi e verdure, pesci, carni, formaggi, legumi, frutta fresca e
secca, olive salate e cunzate, nell'allettante maniera catanese (che le vuole
condite con giardiniera all'aceto, funghi all'olio, origano, prezzemolo, aglio e
rosso peperoncino). Le olive nere, grosse e brillanti, sono presenti in vane
prezzature, anche infornate e sempre condite con olio locale e sedano.
Sono
pronte per entrare nella pietanza afrodisiaca per eccelleuza dei meno abbienti
(che non possono permettersi per il loro costo aragoste, astici, gamberoni
imperiali e "occhi di bue", su cui torneremo): il pescestocco con le
verdure amarognole. Qui lo stocco viene lessato a trance con i caliceddi,
verdura spontanea delle vigne, condita da olio d'oliva, aglio e peperoncino, ed
è la risposta catanese al celeberrimo pescestocco alla messinese. A chi mi
dovesse chiedere in che cosa consiste il potere afrodisiaco che attribuisco alla
ricetta del pescestocco verde con olive nere e i caliceddi, non ho difficolta a
rispondere che la valenza gastronomica erotica è insita nel mirabile connubio
fra le scaglie del pescestocco "ragno" e il brodo verde nel quale
viene lessato, prodotto dalla verdura gradevolmente amarognola, perchè
cresciuta nell'orto e nella vigna dell'Etna, cioè in quell'humus del ripuddu
"radioattivo", ricco di azoto e potassio. Questi due elementi sono
anche quelli che consentono al pistacchio di Bronte di presentare in dosi
massicce la miracolosa vitamina E, detta della fertilità. Infine il caviale di
olive nere (snocciolate) ed il peperoncino conferiscono alla pietanza altri
input atti a stimolare un reale erotismo in individni non troppo vecchi o
malandati.
Sempre
a base di fresche derrate presenti in questo mercato, sono qui lieto di indicare
altre corroboranti minestre a basso costo e di sperimentato valore nel suscitare
un sano sentimento erotico. Se accanto ai ricci, i cui coralli condiscono
spaghetti afrodisiaci, ci sono anche superbe vongole vive che spruzzano ancora
schizzi d'acqua, dopo averle acquistate (Un chilogrammo è bastevole per
un'energetica zuppa per due persone), torniamo in cucina, dove la sera prima
abbiamo ammollato mezzo chilogrammo di ceci giganti. Lessiamo i ceci in acqua
salata con una cipolla, rosmarino e qualche pomodorino di Pachino. Quando
diventano teneri, facciamo aprire le vongole vive - dopo averle ben lavate in
acqua e sale marino - in una padella di ferro con olio extra vergine d'oliva
profumato da due spicchi d'aglio di Randazzo e due rotelline di peperoncino
fresco. Spruzziamo un generoso sorso di vino secco dell'Etna e, una volta che si
sono aperte tutte le vongole, uniamole col loro sughetto profumato alla zuppa di
ceci scolati avendovi trattenuto un po' del brodo di cottura dei legumi. Perchè
mai, da tempo immemorabile si direbbe in Sicilia amuri a brodu di ciciri? E
questo detto è più antico del Vespro, allorquando i francesi venivano
riconosciuti imponendo loro di dire Ia parola ciciri, che non sapevano
pronunciare esattamente c pertanto finivano irrimediabilmente passati a fil di
spada. Da quegli avvenimenti storici nacque anche il truculento canto di sapore
gastronomico:
Ntà
n'ura fa distrutta dda simenza: fu ppì tunnina salata la Franza!
L'energetico
impiego di zuppe di verdure, con crostacei, pesci o carni, è cosa antichissima
dalle parti della nostra Magna Grecia, a cominciare dalla famosa vellutina di
fave secche, con profumo di finocchietto selvatico. Si tratta della stessa che,
a sentire Aristofane nella sua commedia Le rane, consentì ad Ercole in una
delle sue fatiche, di spulzellare, dopo aver appunto ingoiato una enorme zuppa
di fave, ben diecimila vergini in una sola notte! Nessuna meraviglia, quindi, se
il catanese amoroso si nutre ancor oggi con maccu di favi, in cui si possono
sminuzzare spaghetti e, freddo e rappreso nella sua gelatina, può essere
gustato anche a trance fritte, assieme alle polpettine di neonata, pesciolini
minuti detti maccu. Già, macco e maccu per l'imminente battaglia amorosa! Chi
scrive queste note crede di aver tutte le carte in regola per sentirsi
abilitato, come addetto ai lavori, nel dare consigli sull'argomento, per aver
pubblicato nel 1992 a Parigi presso l'editore Robert Laffont, in francese, ii
libro, poi tradotto in vari lingue (meno che in italiano), Cinq mille ans de
cuisine aphrodisiaque, con le ricette galanti di ieri e di oggi dei cinque
continenti. Non ho voluto l'edizione italiana per mettere in difficolta le mie
tante fans che mi copiano, cosi come è accaduto per il mio Il libro d'oro della
cucina e dei vini di Sicilia (Mursia, Milano, 5 ed.), trovando tutto facilmente
a portata di mano, visto che dal plagio non ci si salva. Comunque ringrazio la
Vita, che mi ha fatto nascere tra l'antica gente dell'Etna, cosa che mi consente
- a 75 anni passati - di essere ancora attivo, soprattutto per merito delle
potenti derrate catanesi che, oltre all'additivo erotico, hanno più gusto e
più profumo degli stessi prodotti agricoli che nascono in Australia o nelle due
Americhe. Ecco perchè, giornalmente, resto estasiato davanti alle bancarelle
dei mercati popolari di Catania. 0 chi belli pipi ajiu! canta il venditore di
peperoni rossi, gialli e verdi che scintillano al sole. Non dice "quanto
sono buoni", ma mette in risalto la loro bellezza, cosi come il vicino
venditore di broccoli, nella sua vivace abbanniata, loda sempre la bellezza,
anzichè la bontà dei suoi broccoli neri che possono finire lessati con la
pasta o, meglio, affucati: cioè affogati, facendo stufare nel vino rosso le
cime, assieme a pezzetti di caciocavallo ragusano piccante e acciughe salate e
spinate. Ma i broccoli dell'eros popolare catanese finiscono anche in una
ricetta che Catania condivide con Roma, dopo averne coniato l'elogio poetico
senza pan che vi trascrivo:
Senta
'n ciàuru di brocculi fritti: Lu mè cori 'nzalata si fa!
che
si può tradurre: "Mi stuzzica talmente il profumo dei broccoli fritti, che
il mio cuore per il desiderio di mangiarli si assottiglia a fettine come per
Insalata!". Scusate se è poco. Friggere le cime dei broccoli in olio
d'oliva assieme a pezzetti d'aglio e d'acciuga salata e peperoncino. Poi
immetterli in una zuppetta di ali e filetti di razza, pesce di poco costo
chiamato in Sicilia picara e nel Lazio, dove la fecero conoscere i pescatori
siciliani immigrati, arzilla.
Stiamo
per concludere il nostro iter nel primo mercato di piazza Carlo Alberto, ma non
possiamo non accennare alla profusione d'offerta di basilico majore dalle grandi
foglie verdi che finiscono sulla pasta alla Norma, con le melenzane fritte e la
ricotta salata grattugiata per imbianchire come una nevicata i sottostanti
spaghetti o maccheroni rossi di salsa.
Questa
offerta di basilico, prezzemolo, cipolle ed altro viene fatta al centro della
strada di scorrimento, fra i barili marinari di acciughe, sarde salate e aringhe
affumicate, davanti alle affollate bancarelle di olive condite, formaggi e
ricotta fresca (con quella speciale in cavagna di giunco: ideale per cassate e
tipiche crispelle fritte rotonde, scacciate come le fanno a Catania con la tuma
filante, dette sfince, dall'etimo arabo sfang,
frittella, assieme a quelle oblunghe con l'acciuga salata). Date un'occhiatina,
verso i margini della piazza, anche alle bancarelle di vestiti usati: per sole
mille lire potrete trovare capi nuovi griffati, come ben sanno le signore bene
di Catania, ma anche i turisti stranieri che giolosamente affollano questo
mercato che chiamano, stando ben attenti alle borse, "mercato dei
ladri", per l'indottrinamento ricevuto dagli autisti dei loro pullman. La
domenica mattina la piazza si trasforma in "Mercato delle Pulci", con
le buone occasioni. Percorrendo via San Gaetano alle Grotte, in ambo i lati
affollata dalle più disparate offerte di casalinghi scarpe, borse, vestiti,
musicassette, telefilm, ecc., eccoci in piazza Stesicoro dove vediamo di spalle
la statua del genio catanese Vincenzo Bellini.
Dall'altra
parte di via Etnea sono visibili i resti dell'anfiteatro romano che fu secondo
solo al Colosseo. Poichè sono già le 10,30, affretteremo il nostro passo,
percorrendo via Etnea, salotto di Catania, verso ii mare, alla volta della
spagnolesca piazza Duomo, con la chiesa di Sant'Agata. Ma prima avremo modo di
ammirare la facciata della Collegiata, l'Universitià e Palazzo degli Elefanti,
sede del Comune, davanti alla statua simbolo della città: l'elefante in pietra
lavica sulla fontana del Vaccarini, lì posto dopo il terribile terremoto del
1693. Di fronte a Palazzo dei Chierici accanto al quale s'erge la Fontana dell'Amenano,
il flume sotterraneo di Catania, che dà il nome alla fontana, sbocca nella
famosa "acqua a lenzuolo", sede del più antico mercato della città e
che molto si avvale della scenografla barocca prestata dai palazzi che la
racchiudono. Qui, in pieno giorno, brillano le grandi lampade sotto le volte del
massiccio arco detto di Carlo V e la porta che immetteva al Porto Vecchio,
l'unica rimasta delle otto che si aprivano nell'antica cinta muraria. Le lampade
servono a far
brillare con impensabili riflessi i grandi pesci: tonni,
pescespada, cernie, continuamente annacquati e che vengono allegramente
affettati dalle sapienti mannaie dei più capaci marinai catanesi. Un vero
spettacolo di pesci grandi e pesci piccoli, con i masculini, le acciughine
fresche del golfo di Catania, poi spinate e cotte con aglio, prezzemolo e
peperoncino, cotte solamente in virtù dell'agro di limone che le sbianchisce.
Hanno potere afrodisiaco? Mah! Gli anziani catanesi amanti del pesce azzurro del
golfo sostengono di si: questa pietanza, ormai divenuta un antipasto, una volta
veniva offerta al pasto della sera alle giovani coppie, assieme alla lattuga
bollita e condita con pepe, aglio e olio e a un uovo à la coque, cotto nel
brodo della lattuga. Il trittico di questa parca cena ha, in effetti, tutti gli
elementi atti a favorire una rapida digestione, foriera di ottima
predisposizione all'amore. Ma, su questo argomento, le massime preferenze vanno
a Catania alle grandi patelle reali madreperlacee, dette "occhi di
bue" alle quali, anche dai sub, viene data un'implacabile caccia, tant'è
che il prezzo al
chilogrammo ormai supera le 40.000 lire. Il mollusco dalle
virtù afrodisiache viene consumato crudo, ma più spesso arrostito sui carboni
e condito col salmoriglio, oppure fritto e fatto a pezzetti da servire assieme
agli spaghettini aglio, olio e peperoncino. Molti scrittori catanesi, oltre al
sottoscritto, si sono occupati di erotismo gastronomico, a partire dal poeta
vernacolare Domenico Tempio, alla fine del '700. Sintomatico è che il primo
libro moderno di gastronomia afrodisiaca sia stato pubblicato nel 1962 proprio a
Catania da Olimpio Rompini: peccato che nel suo La cucina dell'amore, che
occhieggia quella francese, non si sia soffermato su quella locale. Forse più
utile risulta la lettura di Antonio Aniante, Vitaliano Brancati ed Ercole Patti,
che qua e là nelle loro opere fanno affiorare i piatti del gallismo locale a
tavola. Anche certi film hanno contribuito all'indicazione di Catania come la
"culla della cucina afrodisiaca".
Peccato che non se ne sia mai
accorto il turismo, quello ufficiale, che avrebbe tutto l'interesse a promuovere
questa istanza, mentre non muove un dito per fare scomparire lo sconcio del
quartiere "a luci rosse" in San Berillo, nel cuore della città, con
tante irriducibili vestali di colore. Ma torniamo ai nostri meravigliosi pesci:
chi può, si procura alla Pescheria le bellissime aragoste, gli astici, le
triglie di scoglio, i luvari imperiali, gamberoni e gamberi rosati di nassa e
quant'altro qui scarica giornalmente la ricca e varia cornucopia del dio
Nettuno, che a Catania rivolge un occhio particolare a Venere Anadiomene,
ritrovata senza testa a Siracusa. I veri "devoti" della dea dell'amore
nata dalle spume del mare, sono qui a Catania, anche se talvolta non sanno di
professare un culto antecedente a quello di Sant'Agata, la Santuzza cittadina.
Attorno alla Pescheria, dalla pittoresca piazza Pardo, dove si trova una
simpatica trattoria nella quale torneremo, c'è tutto un dedalo di vie che
s'intersecano con l'andamento della casbah del vicino Maghreb. Ogni porta è una
bottega che espone la sua varia mercanzia: carni fresche, appena macellate,
polli, tacchini, agnelli, capretti, maiali, vitelli, carne di struzzo e poi
ghirlande di salsicce variamente disposte, involtini di vitello, falsomagri da
cuocere. Poi ortaggi e verdure, le buonissime melanzane "seta",
fichidindia. E poi ancora, senza soluzione di continuità, interiora di vitello
a fortissima evocazione erotica: il "caldume" detto in dialetto
quadumi; la popolare trippa, cantata dal maggior poeta erotico catanese Miciu
Tempio, che fa augurare al suo emblematico personaggio Mmetta, omu mangiuni:
...
tutta La sciara 'ntrà 'na botta canciarisi si vulissi in trippa cotta!
In
questo quartiere pieno di colore e di vita (in mattinata, poi nel pomeriggio la
ressa si rarefà) c'è grande profusione di legumi secchi, di farine (compresa
quella di ceci per far paneLLe alla palermitana), semola per incocciare cuscus e
poi tutta la frutta candita che serve per decorare cassate e cannoli, le
ciliegine rosse che vanno poste sulle cassatine glassate a forma di seni con
crema e che, ancor oggi, si ritengono votive per il seno reciso a Sant'Agata.
Qui si vende tutta la frutta secca che serve per la composita pasticceria
siciliana: mandorle, nocciole, noci, pistacchi verdi di Bronte. E poi ancora uva
passa, pinoli, cedri canditi, accanto a cataste di meloni d'inverno o angurie
estive e tanti pomodori costolati. San Marzano e pomodori di Pachino. Ma si è
fatto mezzogiorno e la visione di tante godurie crude, risvegliando l'appetito,
induce subito a cercare cibi cotti. Nell'ambito di questo colorato mercato ci
sono almeno due simpatiche trattorie esclusivamente votate alla cucina popolare
locale. La mia personale preferenza va alla trattoria La Paglia, per avere
conosciuto il fondatore Turi, ora scomparso. Ci troviamo in via Pardo 23, nel
cuore della Pescheria, con vetrine che si aprono anche sull'omonima piazza
Pardo, fra le bancarelle dei grandi pesci: qui sono stati girati alcuni film di
successo. Ora la cuoca-patronne è la focosa Maria La Paglia, figlia del
fondatore, che gestisce assieme ai figli il vivace esercizio, dove il menù
comincia con il rituale bicchiere di "zibibbo" secco offerto come
aperitivo. Lo accompagneremo alla fatidica "sarda a beccafico" appena
fritta e che consiste in due sarde spianate, aperte a libro, che racchiudono una
stuzzicante farcia di mollica di pan carrè torrefatta con olio in padella,
assieme a pezzetti d'aglio e acciuga salata spianata, poco uovo e formaggio,
prezzemolo, peperoncino e scagliette di olive bianche in salamoia. Una volta che
le due sarde rinserrano la farcia, vengono passate nell'uovo battuto, infarinate
e subito fritte d'ambo le parti nell'olio. La farcia non viene irrorata da succo
di limone e arancia, come avviene a Palermo dove, per l'omonima preparazione,
una sola sarda viene arrotolata sulla farcia e poi messa a cuocere in una teglia
per 10 minuti in forno. I catanesi ripudiano il succo d'agrumi perchè ritengono
la beccafico palermitana un po' sdolcinata: ma hanno sicuramente torto essendo
ben valide le due varianti. Poi si procede con l'antipasto che può essere
composto da insalatina tiepida di polpo condito a strica sale, oppure da
gelatina di maiale e vitello con alloro, spezie e succo di limone detta zuzo.
Quindi spaghetti al nero di seppie in un sapido intingolo che più nero non si
può. Come secondo, fatevi consigliare. Ma non chiedete mai espressamente piatti
della "cucina afrodisiaca", non vi capirebbero nemmeno. La praticano,
e basta.
Naturalmente
fin qui abbiamo parlato di espressioni della cucina popolare ritenuta
tradizionalmente erotica, essenzialmente povera. Ma Catania dispone di ben altri
"santuari" di voluttuosa ed elevata gastronomia.
Aperitivo
"Angelica Bionda", con fumante "scacciatina dell'Arcunè",
tuma e frutti di mare, antipasto nella scultura di pesce-limone con spuma di
baccalà rosato ai gamberi di nassa e medaglioni di aragosta o astice o tartufi
di mare. Poi il primo piatto che mi ha dato tante soddisfazioni: "alghe
sultana nel pomo d'amore" alla bottarga. Sfogliatina di petali di roda al
grill, con cuore di filetto di spigola maneggiato in salsa di coralli di ricci
di mare.
|
COME RICONOSCERE UNA BUONA PIZZA
AL RISTORANTE: LE DRITTE DEL CAMPIONE MONDIALE
Adriana Angelieri 08/06/17
Interviste
Un giorno un anonimo disse: “Per i puristi
esistono solo due vere pizze: la Marinara e la Margherita”. Siete d’accordo?
Io non mi sento una purista della pizza, ma
devo dire che ho sempre pensato che se in un ristorante la margherita è buona,
il resto del menù non può esser da meno. Per togliere ogni dubbio, qualche
giorno fa, mentre conducevo l’intervista (che vi consiglio di leggere) a Giorgio
Sabbatini, campione mondiale di pizza di quest’anno, dopo millemila domande
sulla pizza che lo ha portato sul trono (la 10 pomodori interpretati in una
margherita), ho sparato il domandone: come si fa a riconoscere una buona pizza
al ristorante?
Con la disponibilità che solo chi ama il
cibo ed ama condividere può avere, il campione mi ha dato le sue dritte e poi mi
ha anche detto cosa ne pensa della nuova tendenza a definire la pizza un piatto
“gourmet”. Curiosi?
“La pizza si valuta attraverso il gusto e la
cottura” – così comincia Sabbatini. “È fondamentale che sia cotta bene. Ai
ragazzi che seguono i miei corsi dico sempre: quando per voi è cotta, datele
ancora un minuto perché secondo me è cruda.”
Ed io sorrido, memorizzo e prendo appunti. Ed
ecco cosa bisogna guardare per riconoscere una buona pizza al ristorante.
La forma del cornicione
Avete presente i bordi della pizza? Alcuni li
adorano, altri li lasciano sempre sul piatto perché non amano mangiarli. Io li
mi mando giù molto volentieri. Sarà per la consistenza croccante o perché a
volte sono intrisi di sugo. Ad ogni modo, secondo i consigli di Sabbatini la
prima cosa da guardare, e toccare, è proprio questa parte: il cornicione. “Deve
essere colorato, ma non bruciato” – dice il campione. Quindi, controllate che le
croste non siano color nero carbone.
Restando in tema bordi della pizza, segnatevi
quest’altra dritta: se vi trovate davanti ad un cornicione dalla forma regolare,
con un diametro piuttosto lineare, allora, state per addentare una pizza fatta
come Sabbatini comanda. Al contrario, un perimetro irregolare, non che sia
immangiabile, ma non rientra tra i criteri dettati dal campione.
La bolla nera
Se dovesse capitarvi di trovare delle bolle
nere lungo il perimetro del cornicione sappiate che non sono indice di una
scarsa qualità del piatto, anzi. Stando alle parole di Sabbatini vanno bene e
sembrano essere caratteristiche della tradizionale pizza napoletana. “È una
questione di procedimento di lavorazione e di maturazione del prodotto” –
spiega.
Il sotto della pizza
Ultima dritta: “Guardare sempre il sotto
della pizza”. L’ultima cosa a cui badare, e poi giuro che vi lascio addentare il
bottino, è il colore della parte inferiore della pasta. Sollevate la pizza con
un coltello e date un’occhiata al colore: “se è giallo paglierino vuol dire che
durante il processo di lavorazione il cereale ha lavorato bene, non ha subito
shock termici e stress”.
Pizza Gourmet: cosa ne pensa il campione del
mondo?
In questo campo sono cambiate alcune cose
rispetto a qualche anno fa, precisa Sabbatini. Un tempo i pizzaioli prestavano
molta attenzione alla base della pizza, tralasciando la parte superiore, quindi
i condimenti spesso adagiati, senza criterio sulla pizza. Oggi, gli accostamenti
e gli ingredienti vengono scelti con particolare cura. “I pizzaioli seguono gli
insegnamenti degli chef e prestano maggiore attenzione anche alla stessa qualità
dei prodotti. Stanno attenti alle varie cotture, lasciando il più possibile
inalterati i profumi e rispettando i prodotti.”
A questo punto, mentre lo stomaco borbotta
(per forza: a furia di parlare di pizza!), mi viene naturale fare una
riflessione: in un mondo in cui anche la sosta in autostrada è diventata
gourmet, possiamo parlare anche di pizza gourmet o è una contraddizione?
“Assolutamente sì. È molto ricercata, ma non
è gourmet.” – risponde il maestro – “La pizza vince perché è un piatto semplice,
legato alla convivialità. Un pasto che unisce, come il sabato e la domenica in
famiglia.”
pizza margherita
Ci penso un attimo ed effettivamente la pizza
mi ricorda situazioni piuttosto familiari: i nonni in campagna con il forno a
legna, le serate con gli amici. Voi cosa pensate a riguardo?
Come avrete capito: la pizza è una cosa
seria! Ed anche la curiosità, per quanto mi riguarda lo è. Per questo non posso
lasciare andare il campione mondiale di pizza senza chiedergli quale sia la sua
preferita. “Una margherita con due fette di prosciutto crudo di Norcia
possibilmente.” – risponde.
http://www.ilgiornaledelcibo.it/pizza-buona-ristorante-consigli-sabbatini/
Tutte le proprietà dell’acqua “vugghiuta”.
Il digestivo siciliano dal potere afrodisiaco
Chi di noi non è mai ricorso a una bevanda calda che faciliti
la digestione? Ce ne sono tante in commercio di tisane, molte a base di
finocchio, considerato digestivo per eccellenza, altre più di moda negli ultimi
tempi! Ci è capitato spesso di fare un’abbuffata in compagnia, per le feste o
per qualche speciale occasione con amici e parenti. Spesso ci lasciamo andare ma
poi son dolori e arriva quel gonfiore caratteristico e quel tanto conosciuto mal
di “panza”.
E se in casa non abbiamo preparati, camomille, tisane o
altro, un buon canarino è “l’acqua supra u focu” per alleggerire lo stomaco e
agevolare la digestione.
Lo si prepara mettendo a bollire l’acqua con 3 pezzetti di
scorza di limone. Tre è il numero giusto. Mentre bolle, l’acqua assume quel
colore giallo intenso che dà il nome alla bevanda. Se poi vogliamo aumentarne
l’effetto aggiungiamo 3 pezzettini di foglia d’alloro e un cucchiaino di
zucchero e il risultato è garantito, così la nostra pancia poco alla volta si
rasserena e si placa la turbolenza. Se poi si esorcizza ripetendo “vivi ca ti
passa tuttu” l’effetto calmante è immediato e sicuro.
Non ci sono basi scientifiche né studi di medicina applicata,
ma sono noti e sanno di miracoloso gli effetti delle proprietà del limone e
dell’alloro per la presenza dei loro olii essenziali, magari combinati con una
punta di bicarbonato.
Una leggenda può servire ad incentivare l’uso del canarino
cui vanno attribuiti poteri afrodisiaci. Si racconta infatti che il “canarino”,
con l’aggiunta di un po’ di vino, sia stato offerto dalla regina Climene a
Dafni. Questi era nato in un bosco di alloro, vicino alla vallata del fiume
Irminio nel ragusano, era sposo della ninfa Achenais, che gli fece giurare di
non esserle mai infedele, ed era genero della temibile Era.
Pare infatti che la semplice “‘acqua vugghiuta” mescolata al
vino siciliano sia un afrodisiaco incredibile. Infatti Dafni, dopo aver bevuto
l’intruglio si scordò di moglie e suocera e si scatenò in una appassionata notte
d’amore con la regina, mettendo in atto tutte le più efficaci strategie
dell’arte amatoria.
Fulmini e saette da parte della suocera Era che, per
punizione, lo accecò. La leggenda narra che il povero Dafni trascorse tanti anni
tra le campagne siciliane a comporre e declamare pastorali e a urlare il proprio
dolore senza trovare mai pace. Disperato alla fine cercò di uccidersi
buttandosi da una rupe, la Rocca di Cefalù, ma il dio Dionisio lo trasformò in
uno scoglio.
Secondo la tradizione quella rupe sorge ancora oggi sul mare
di Cefalù, e in quel luogo sembra si respiri un’aria di tristezza. La rupe è
oggi inserita nel registro dei luoghi e dell’identità della memoria della
Regione Siciliana.
FONTE
Carne di manzo - E' la carne dei bovino di 3-4 anni di età (manzo
è chiamato anche il bovino femmina che non abbia mai partorito), che
è stato castrato per favorirne l'ingrasso precoce, ottenendo così
una carne qualitativamente migliore. Il suo contenuto in acqua è
basso, mentre piuttosto elevata (10-15%) è la percentuale di grasso.
Questo tipo di carne tende a scomparire, date le attuali tendenze
dietetiche.
Carne di vitellone - E' derivata dall'animale abbattuto nel
pieno della maturità, fra i 12 e i 18 mesi. Contiene meno acqua
rispetto alla carne di vitello, mentre un po' più elevato è,
generalmente, il contenuto in proteine. Per la conformazione dei
tagli, il colore, la consistenza e il sapore, è fra le carni più
pregiate. I vitelloni più rinomati sono quelli delle razze
Marchigiana, Chianina e Romagnola.
Carne di bue - E' la carne dei bovino castrato che ha superato i
quattro anni e mezzo di età. Pur essendo di elevato valore
alimentare e di qualità eccellente, questo tipo di carne tende a
scomparire dal mercato in quanto, non essendo più necessario per i
lavori nei campi, il bue viene macellato prima.
Carne di vacca - E' ottenuta dal bovino femmina, generalmente
macellato alla fine della cosiddetta carriera economica (produzione
di vitelli e latte). Mentre una volta tale periodo corrispondeva
all'età di 12-14 anni, quindi le carni ottenute erano di una qualità
piuttosto scadente, oggi si tende ad accorciare questo periodo (6-8
anni), ottenendo così carni dei tutto simili, dal punto di vista
organolettico, a quelle che nel passato si ottenevano dai manzi
(circa 20% di proteine, e 4-8% di grassi), ma a un prezzo
generalmente più basso.
1 -
SCAMONE – Ideale per fettine all’inglese
alla griglia,
Divide il roast-beef dall'anca ed è formato da grosse
masse muscolari. Ottimo per bistecche ed arrosti.
A CATANIA: Osso piatto
Codone
E' un taglio di prima categoria che comprende le ultime
vertebre della schiena. Fornisce gustose bistecche,
ottimi brasati e arrosti
Fetta di mezzo E'
la parte esterna della coscia, posta sopra la rosa. Si
usa per arrosti, brasati e involtini
A CATANIA: Dietrocoscia |
2 -
MAGATELLO – Ideale per tonnato,
cotolette, arrosti,
Detto anche girello, si trova proprio a contatto della
coda. Di forma stretta e allungata, serve per fare
scaloppine ed è ottimo lessato e servito con salse
A CATANIA: Lacerto |
3 -
ROSA o SOTTOFESA – Ideale per cotolette,
brasato, bollito.
E' situata nella parte
superiore della coscia ed è particolarmente adatta per
fare ottime bistecche
A CATANIA: Sfasciatura |
4 -
FESA – Ideale per scaloppine, fettine,
arrosti.
A
CATANIA: Fesa |
5 -
PESCE – Ideale per goulash, bollito,
brasato, stufato,
Sta tra il magatello e il geretto e serve per bolliti e
stracotti
A CATANIA: Judiscu |
6
- GERETTO (ossobuco)
E' carnoso, ricco di tendini e contiene un osso con
midollo. serve per ossobuchi, lo stinco arrosto e per il
brodo
A CATANIA: Ossobuco o Appennituri |
7 -
NOCE – Ideale per scaloppine, fettine,
arrosto.
Noce
E' un taglio pregiato a forma quasi di "palla" adatto
per fettine, arrosti e scaloppine
A CATANIA: Vausa
Spinacino E' uno
dei tagli di seconda categoria del quarto posteriore. E'
piccolo, situato sotto la noce ed è particolarmente
adatto per fare polpettoni ripieni e rotoli farciti. Lo
si può anche tagliare a tasca. |
8 -
FILETTO – Ideale ai ferri, crudo,
burghignonne.
E' il taglio più pregiato (e anche più costoso): è
formato da un fascio di muscoli che passano sotto le
vertebre dorsali e che restano generalmente inattivi.
Per tale motivo la loro carne è tenerissima. Si può
mangiare crudo, arrostito, in tournedos.
A CATANIA: Filetto |
9
- LOMBATA – Ideale per bistecche,
costate, carpaccio |
10
- ROAST BEEF –
ovvero
Controfiletto. E' situato nella parte centrale
della schiena. Intera e completa di osso serve per
preparare ottimi arrosti. Tagliata fornisce le cosidette
entrecotes da cuocere in padella o alla griglia e,
quando comprende filetto e controfiletto, diventa la
famosa "fiorentina".
A CATANIA: Trinca |
11 -
COSTATE – Ideale per bistecche,
costate, carpaccio.
Le coste della croce
Comprendono 5-6 costole con una discreta quantità di
carne. E' un taglio ricavato dai muscoli che coprono le
prime vertebre dorsali, abbastanza pregiato, ma non
eccessivamente costoso. E' adatto per bolliti e per
brasati; tuttavia, disossato e arrotolato, può dare
anche un buon arrosto.
A CATANIA: Costate della lunga |
12 -
BIANCOSTATO – Ideale per bollito,
macinato per ragù.
Detto anche "spuntatura di lombo", è la "pecora nera"
del quarto posteriore perchè appartiene alla terza
categoria. Può fornire ottimi bolliti e, disossato, si
usa per lo spezzatino. Ha carne saporita e morbida per
la presenza del grasso. In cottura aumenta di volume.
A CATANIA: Puntine della costa |
13 -
PANCIA - Ideale per spezzatino, stufato,
bollito.
E' un taglio piatto e lungo usato per arrosti
arrotolati. Gli strati di muscolo si alternano con
strati di grasso che danno alla carne sapore e
morbidezza.A
CATANIA Buttunera:
Scalfo E' un
taglio situato nella parte anteriore della coscia. E'
molto ricco di grasso e di membrene che vanno in gran
parte eliminate, prima di utilizzarlo per spezzatini,
oppure per farne carne tritata.
A CATANIA: Mastrocosta |
14 -
REALE – Ideale per arrosti, spezzatino,
goulash, bollito, stufato.
E'
composto da una grossa massa di muscoli DEL COLLO, nella
quale si distinguono due parti: quella superiore a
venatura più magra e quella inferiore più grassa. Adatto
per spezzatini e carne tritata.
Il bianco costato di reale
Di forma piatta è composto in parti uguali da osso e carne
venata di grasso. Va bene per fare bolliti.
A CATANIA: Gabbia pescatta
Il fusello Lungo e
stretto è collocato tra il cappello del prete e il collo. Ha
carne piuttosto magra ed è un taglio indicato per brasati,
bolliti e spezzatini
A CATANIA: Osso di spalla
|
15 -
SPALLA – Ideale per cotolette, brasato,
scaloppine,, stufato.
Il fesone di spalla o Cappello del
Prete è un buon
taglio di seconda categoria, contiguo al cappello del
prete. Dalla parte centrale, che ha una forma regolare,
si ottengono scaloppine, bistecche e fettine per
involtini. Intero è adatto per brasati e stracotti.A
CATANIA: Policiata
Il brione
Denominato anche polpa di spalla è, in pratica, la
continuazione del fesone di spalla. Ha una forma
piuttosto irregolare, è ricoperto da una pellicina che
va asportata o incisa prima della cottura. E' adatto per
fare brasati, bolliti e ragù.A
CATANIA: Ovo di spalla |
16 -
PUNTA – Ideale per bollito, arrosti -
E'
un taglio di terza categoria posto vicino al geretto
anteriore. E' un pezzo che viene abbastanza
sottovalutato, invece è piuttosto gustoso e in genere si
usa per fare tasche farcite. E' tuttavia ottimo come
arrosto.
Il
fiocco Si trova
accanto alla punta di petto e ne ha le stesse
caratteristiche e i medesimi impieghi. |
Costate in
vendita alla Pescheria di Catania
Nomi dei tagli di carne in
alcune città italiane
|
BARI
|
BOLOGNA
|
CATANIA
|
MESSINA
|
MILANO
|
NAPOLI
|
PALERMO
|
REGGIO CALABRIA
|
ROMA
|
TORINO
|
Gamboncello
|
Lanterna
|
Piscione
|
Pisciuni
|
Geretto posteriore
|
Gamboncello
|
Piscione
|
Pisciuni
|
Musc.post
|
Musc.post.
|
Sfasciatura
|
Scannello
|
Sfasciatura
|
Sfasciatura
|
Rosa
|
Natica
|
Natica, Sfasciatura
|
Entrocoscia
|
Scannello
|
Fesa
|
Pezza a cannello
|
Gommosa
|
Vausa
|
Tanno
|
Noce
|
Bavosa
|
Bausa
|
Bausa
|
Rosa
|
Boccia grande
|
Lacerto
|
Girello
|
Lacerto
|
Lacerto
|
Magatello
|
Lacerto
|
Lacerto
|
Lacerto
|
Girello
|
Coscia rotonda
|
Coscio di lombo
|
Piccione
|
Judisco
|
Judisco
|
Pesce
|
Colarda
|
Tedesco
|
Tudisco
|
Piccione
|
Pesce
|
Dietrocoscia
|
Culatta
|
Dietrocoscia
|
Controlacerto
|
Fetta di mezzo
|
Dietrocoscia
|
Dietrocoscia
|
Dietro codata
|
Controgirello
|
Infuori
|
Colarda
|
Fetta
|
Osso piatto
|
Codata
|
Scamone
|
Colarda
|
Sottocoda
|
A codata
|
Pezza
|
Sottofiletto spesso
|
Filetto
|
Filetto
|
Filetto
|
Filetto
|
Filetto
|
Filetto
|
Filetto
|
Filetto
|
Filetto
|
Filetto
|
Scorzette, Costate rigate
|
Roastbeef. Lombo,
|
Trinca
|
Trinca Costata
|
Roastbeef
|
Scorza filetto, Costa
|
Trinca, Costata
|
Trinca
|
Lombo, Costa
|
Sottofiletto, Costata
|
Pancettone
|
Finta cartella
|
Mastrocosta
|
Pancetta
|
Scalfo
|
Pancettone
|
Pancia
|
Mastrocosta
|
Spuntatura di lombo
|
Spezzato
|
Pancettone, Pancetta
|
Bigolo, Pancia
|
Bottoniera, Pancetta
|
Pancetta
|
Bamborino
|
Pancia
|
Pancia, Bruschetto
|
Mastrocosta, Bollito
|
Pancetta, Petto sottile
|
Pancia, Punta di petto
|
Appiccatura
|
Costa
|
Pancetta
|
Piatto di costa
|
Costato di reale, della croce
|
Costata
|
Gabbia
|
Gabbia
|
Spuntature
|
Spezzato
|
Rosciale
|
Costa di sottospalla
|
Costata della lunga
|
Sfilatura di costa
|
Costa della croce o reale
|
Sottospalla
|
Spinello
|
Lattughello
|
Fracosta
|
Sottospalla
|
Spalla
|
Polpa di spalla
|
Policiata
|
Spallone
|
Fesone di spalla, cappello da prete
|
Spalla
|
Piano di spalla
|
Scorza di spalla
|
Polpa di spalla
|
Spalla
|
Lacertino di spalla
|
Polpa di spalla
|
Osso di spalla
|
Vrazzulieddu
|
Fusello
|
Lacertiello
|
Sfasciatura
|
Osso di lingua
|
Sbordone
|
Rollino
|
Gamboncello
|
Polpa di spalla
|
Ovo di spalla
|
Ovo di spalla
|
brione
|
Spalla
|
Ovo di spalla
|
Ovo di spalla
|
Pulcio
|
Nocetta di spalla
|
Gamboncello
|
Gamba anteriore
|
Manuzza
|
Manuzza
|
Geretto anteriore
|
Gamboncello
|
Manuzza
|
Manuzza
|
Muscolo anteriore
|
Muscolo anteriore
|
Punta di petto
|
Punta di petto
|
Punta
|
Tronco di petto
|
Punta di petto
|
Punta di petto
|
Bruschetto
|
Fetta con osso bianco
|
Petto grosso
|
Punta di petto
|
Rosciale
|
Guido
|
Collo
|
Sapura
|
Collo
|
Locena
|
Spinello
|
Spezzato
|
Collo, Gioara
|
Collo
|
Piscione
|
Mozzicone
|
Muscolo appendituri
|
Appendituri
|
Nervetto
|
Piscione
|
Imperatore
|
Pisciuni
|
Campanello
|
Boccia piccola
|
|
Carne
di vitello - E' ottenuta dal bovino macellato immaturamente, a
circa 120 giorni di età, quando ha raggiunto il peso di
230-250 kg, dopo essere stato alimentato fin dalla nascita
esclusivamente con latte. Le carni di vitello sono molto
tenere per il superiore contenuto in acqua e il minore
contenuto in grasso. Per tale motivo è preferibile cuocere
queste carni lentamente. Il contenuto in ferro, nonostante il
colore più pallido rispetto alle altre carni bovine, come
pure il contenuto in proteine, sono gli stessi delle altre
carni bovine.
|
1
-Il filetto
E' assai più piccolo di quello del manzo, è un taglio
pregiato, tenero e anche abbastanza costoso. Intero dà il
meglio di sè cucinato arrosto, a fette o medaglioni, va cotto
in padella con erbe e aromi.
2 - La fesa francese
E' un taglio di prima scelta che corrisponde alla
"rosa" del bovino adulto ed è composto dalle stesse
fascie muscolari. Questa parte è quella preposta per le
paillardes, ma di qui si ricavano anche le scaloppine e le
fettine per preparare gli involtini.
|
|
3
- La noce Si
trova sotto la fesa francese e, come quest'ultima, può
essere usata per vari tipi di scaloppine, oltre che
per ottimi arrosti.
|
|
4
- La sottofesa E' un taglio situato
sempre nella coscia. Ottimo per arrosti, fettine,
involtini e anche brasati
|
5
- Lo scamone Precede la coscia vera
e propria. La parte inferiore prende il nome di
arrosto di codino. E' ottimo arrosto e a fette.
|
|
6
- I nodini Hanno per base le
vertebre lombari e sono composti dal filetto e dal
controfiletto divisi da un sottilissimo osso piatto
centrale collegato con l'osso superiore, tozzo e
massiccio, con il quale forma una specie di
"T".
|
7
- Il carrè Comprende la parte
dorsale del bovino. Dalle prime 7 vertebre anteriori
si ricavano le costolette, riconoscibili per l'osso
che assomiglia all'asticella di una bandiera e la
rosetta di carne compatta. La loro
"collocazione" ottimale è quella delle
famose costolette alla milanese (impanate e fritte),
ma si possono anche preparare alla griglia, in padella
e persino con intingoli.
|
|
8
- Il magatello E' un taglio situato
proprio sotto la coda. Ha la forma di
"siluro" e pesa al massimo un chilo e mezzo.
Se lo si affetta diventa la classica scaloppina, se
acquistato intero è insuperabile per la preparazione
del famoso vitello tonnato.
|
9
- Il codone (o codoncino) Confina con lo scamone
ed è un taglio indicato soprattutto da tagliare a
fettine. Davvero speciale se lo si usa per preparare
le scaloppine alla pizzaiola.
|
|
10
- Il pesce o piccione E' un piccolo taglio di
seconda categoria, arriva al massimo ad un chilo di
peso. Intero va bene per i bolliti, macinato per la
preparazione di polpette, polpettoni e ripieni.
|
11
- Lo spinacino E' uno dei pochi tagli
di terza categoria del quarto posteriore (insieme al
geretto) e si usa per far tasche farcite.
|
|
12
- Il geretto posteriore E' la parte alta della
gamba e viene sezionato per preparare gli ossobuchi.
Intero si chiama stinco.
|
13
- Il collo Costituito da una
grossa massa muscolare, richiede una lunga cottura
perchè è ricco di tessuto connettivo. Si adatta bene
a stracotti, bolliti, spezzatino e, tritato, è
gustoso per polpette e polpettoni. Se lo si cuoce
intero bisogna avere cura di tagliarlo in senso
perpendicolare alla fibra perchè resti tenero e non
filaccioso.
|
|
14
- Il reale Si trova vicino al
collo e viene ricavato dai muscoli che coprono le
prime vertebre dorsali. Si tratta di un taglio
piuttosto tenero. Intero va bene per umidi, bolliti e
per la carne tritata. A fette fornisce ottime
bistecche e involtini. Ma è indicato anche per i
classici spezzatini.
|
15
- Il cappello del prete Proviene dai muscoli
della spalla. Infatti è una delle parti in cui viene
divisa quest'ultima. Ha forma allungata e si adatta
alle lunghe cotture. Infatti va bene per bolliti,
umidi e spezzatini.
|
|
16
- Il fusello Taglio di seconda
categoria; anche lui proviene dai muscoli della
spalla. Si utilizza soprattutto per gli spezzatini. Se
lo volete cuocere intero, preferite un umido o un
bollito.
|
17
- Il brione E' un taglio molto
irregolare, di seconda categoria. Data la sua
struttura, se si cuoce intero in umido o brasato va
preferibilmente legato. Si adatta anche alla
preparazione di ottimi bolliti, ma soprattutto è il
pezzo ideale per straccetti e spezzatini.
|
|
18
- La punta di petto Forma un taglio unico
con la pancia e viene suddiviso nei seguenti
sottotagli: fiocco di punte (costituita dai muscoli
addominali). La punta di petto è ottima arrostita, ma
viene utilizzata prevalentemente per fare rotoli
farciti. La parte della pancia, o pancetta, è piatta,
piuttosto grassa e ricca di cartilagini, si utilizza
per preparare i teneroni. Si divide il pezzo di carne
in strisce larghe 2-3 cm. e si arrotola ciascuna su se
stessa, si lega e si rosola con olio, salvia, aglio e
rosmarino. Si sfuma con vino bianco e si continua la
cottura per circa 2 ore a recipiente aperto.
|
19
- La fesa di spalla
Completa di osso,
prende anche il nome di aletta o copertina di spalla.
E' adatta per i bolliti. Se disossata, si chiama fesa
di spalla e si può utilizzare per spezzatini, arrosti
farciti e arrotolati, umidi e scaloppine
|
|
20
- Il fiocco E' un taglio di terza
categoria. Si usa soprattutto lessato ed è un pezzo
indispensabile per la preparazione dei tradizionali
bolliti di carne misti.
|
|
|
|
|
|
1
- Il collo E' un taglio
(corrispondente al reale della carne bovina) ricco di carne alternata
con strati di grasso. Usato quasi esclusivamente in salumeria per la
preparazione della coppa. Se si trova fresco, va cotto arrosto o
brasato. La parte più vicina alla testa fornisce il guanciale.
2 - La spalla Viene usata generalmente per la preparazione del prosciutto
cotto di spalla. Fresca, può essere cucinata arrosto oppure stufata.
|
|
3
- Il carré Si
estende dalla settima costola fino quasi alla coda. E' uno dei
tagli più pregiati e costosi. Intero è ottimo arrostito.
|
|
3A
- Lonza Si
tratta del carré disossato che praticamente corrisponde al
roast beef del manzo. La lonza è posizionata sopra il filetto
e ha una forma allungata, quasi rettangolare. Intera è ottima
arrosto, tagliata a fettine va cotta in padella come una
scaloppa.
|
3B
- Lombata Si
ricava sempre dal carré disossato che comprende lonza,
filetto e muscolo centrale. Ottima arrosto e saltata in
padella.
|
|
3C
- Braciola Si
tratta del carré intero tagliato a fette tra una costola e
l'altra. Le braciole si possono cucinare in padella con aromi
e spezie ma sono superlative anche alla griglia e impanata
|
4
- Il filetto E'
una fascia di muscoli (tenerissimi) che si trovano sotto la
lonza. Ha forma sottile e allungata (35 cm per 7-8), carne
molto magra, un po' più scura delle altre. Può essere
cucinato arrosto (intero) oppure tagliato in scaloppine e a
medaglioni.
|
|
5
- Le puntine Sono
il prolungamento in basso delle costole del carré. Si tratta
di un taglio piatto e molto economico, usatissimo per la
preparazione di ricette regionali. Ottime cotte in forno, in
padella e grigliate
|
6
- Il cosciotto E'
uno dei tagli più pregiati e normalmente viene utilizzato per
preparare il prosciutto crudo. Fresco può essere cucinato
arrosto: all'inglese, con la cotenna, o alla francese, senza.
A proposito di cotenna: appena sotto c'è la fascia grassa,
ovvero il lardo.
|
|
7
- La pancetta Si
trova sotto le puntine e si può usare fresca per fare ottimi
arrosti. Ma viene spesso stagionata o affumicata.
|
|
Quali sono i tempi di cottura della carne
di maiale?
La carne di maiale non è tutta uguale. Scopri tagli e cottura
per piatti di successo!
Del maiale, si sa, non si butta via niente. Eppure proprio
questo motivo è alla base di un nostro atteggiamento quasi schizofrenico nei
suoi confronti: adoriamo gli insaccati, ma tremiamo per i grassi saturi,
vogliamo carni sempre più magre e impazziamo per il lardo. Ma insomma, dove sta
la verità?
Un pregiudizio da sfatare sul maiale
Il maiale viene comunemente guardato con sospetto, perché la
sua carne è ritenuta grassa dai più. In realtà non è del tutto vero visto che si
tratta di una carne bianca, la cui la digeribilità non è poi così diversa dalle
altre carni in uso. Inoltre oggigiorno si allevano maiali magri di peso non
superiore ai 150 kg e con contenuti di grasso molto vicini a quelli dei bovini
adulti.
Cottura bovina e cottura suina
La carne bianca del maiale ci può trarre in inganno perché in
cottura sembra comportarsi come quella rossa. In verità si tratta di un nostro
errore, ovvero quello di cuocere il suino con gli stessi identici tempi della
carne di vitello. Solo che in questo modo la carne risulterà stopposa, gommosa e
difficile da mandar giù.
Tagli magri e tagli grassi del maiale
Per cuocere al meglio il nostro maiale, bisogna fare
attenzione alla distinzione tra parti magre e parti grasse, poiché a seconda del
taglio varia anche il tipo di cottura. I tempi giusti per cuocere i tagli magri
del maiale, come ad esempio le braciole, le costolette o i carré, sono appena
superiori alla carne di bovino. In questo modo la nostra carne risulterà più
digeribile, oltre che più morbida e più gradevole al palato. Per i tagli grassi,
invece, come i tagli della coscia, del fianco o della spalla, sono adatte
cotture in umido e in stufato: basti pensare alla tradizionale preparazione del
classico ragù napoletano, dove la carne usata è polpa di maiale, coscia o
spalla, lardellata con lardo o pancetta, dai tempi estremamente lunghi, ma dalle
grandi soddisfazioni assicurate. L’importante comunque quando cuoci la carne di
maiale è che deve essere cotto a una temperatura minima di 60°C in modo da
eliminare la Trichina, un parassita che si può trovare nei muscoli del suino e
che è molto dannoso per la salute umana.
Filetto di maiale
In Italia Settentrionale e centrale questo taglio è
abbastanza utilizzato e si cucina di solito arrostito intero, in forno come
quello bovino, o a fette; molte ricette del filetto di vitello e di manzo si
adattano anche a quello di maiale. Per il classico filetto, quindi è bene
rosolare la carne in burro chiarificato che regge bene l’alta temperatura almeno
3, 4 minuti per lato, poi si può procedere sfumando con, vino rosso, oppure un
bicchierino di Cognac, panna fresca, aggiustare di sale e pepe e lasciar
cuocere per almeno altri due minuti. Invece, costolette e arrosti, che derivano
anch’essi dal taglio del lombo, sono anche adatti per una cottura senza
aggiunta di liquido.
Arrosto di Maiale
Per un buon arrosto di maiale, il taglio più indicato sarebbe
la spalla, ma a meno di disporre di un forno molto grande e di tanta pazienza
essendo molto grosso e difficile da trattare e pulire meglio dedicarsi alla
coppa, detto anche capocollo. Questo taglio è la parte dei muscoli del collo e
del dorso. Ottima accompagnata da aromi, trito di verdure, ma anche con castagne
e cipolle, è ideale anche tagliata aperta e farcita con altri ingredienti, come
polpa di vitello, pancetta o prosciutto crudo. La cottura è ovviamente molto
lunga, si parte in forno da una rosolatura iniziale di 30 minuti e poi una
cottura vera e propria con l’aggiunta di liquido (come brodo, vino o liquore)
verdure e aromi, per almeno un’altra ora. Verifica inserendo la sonda del
termometro da cucina che la temperatura al cuore oscilli tra i 63 e i 65°C se il
peso della carne a crudo è compreso tra i 3-4 kg, altrimenti . Solo allora si
potrà ritenere cotto a puntino.
Giulia Ubaldi
http://www.lacucinaitaliana.it/tutorial/le-tecniche/scuola-di-cucina-la-carne-di-maiale-quali-sono-i-tempi-di-cottura/?utm_source=facebook&utm_medium=cpc&utm_campaign=PPA_tempi_di_cottura_carne
|
1
- Il collo E' un taglio molto
saporito ed economico. ha carne piuttosto consistente che, per
diventare tenera e succosa, richiede una lunga e lenta cottura. E' un
pezzo adatto soprattutto per preparare spezzatini, oppure per brasati
e se tagliato a fette molto sottili é ottimo per fare rotoli farciti.
2 - La spalla Ha una forma rettangolare, con carne soda e abbastanza
gelatinosa, ma comunque piuttosto tenera. Viene venduta quasi sempre
già disossata, per questo è speciale per essere farcita, arrotolata
e arrostita in forno a sul fornello.
|
|
3
- Il carrè E'
uno dei 2 tagli pregiati dell'agnello, ottimo arrostito. Se lo
si taglia a fette tra un osso e l'altro, fornisce le
costolette che devono essere sempre un po' spesse affinchè
non induriscano in cottura. Si cuociono in padella, sulla
griglia (diventano così le famose scottadito) oppure in forno
con le patate.
|
|
4
- La sella E'
un taglio che si trova fra le ultime costolette del carrè e
l'attaccatura del cosciotto. E' una parte molto carnosa e si
presta particolarmente a essere arrostita o brasata. La sella
comprende anche i due filetti dalla carne tenerissima. Questi
ultimi, tagliati a fette piuttosto spesse, forniscono dei
medaglioni che sono ottimi da cuocere alla griglia oppure in
padella con salsine delicate.
|
5
- Il petto E'
un taglio che si trova nella parte inferiore dell'animale.
Molto ricco di grasso e larghi ossi che vanno in genere
eliminati prima di arrotolarlo e cuocerlo arrosto. Può venire
anche farcito. Data la struttura dura e gelatinosa della sua
carne, richiede una lunga e lenta cottura sia in casseruola
sia in forno.
|
|
6
- Il cosciotto E'
l'altro taglio pregiato dell'agnello da cui, intero o
disossato, si ottiene un eccellente arrosto. Generalmente il
cosciotto viene prima fatto marinare per qualche ora con olio
e erbe aromatiche oppure con vino bianco e verdure fresche
(sedano, carota, cipolla) in modo che acquisti ancora più
sapore. Poi va cotto in forno. I tempi di cottura prevedono,
per un cosciotto ben cotto, almeno 20 minuti per ogni 500 g di
peso a crudo.
|
|
Il ragù di carne
è una delle
preparazioni culinarie più popolari del nostro paese, eppure
l’origine del suo nome non è italiana. La parola “ragù”, infatti, è
un adattamento del francese “ragoût”, derivato dal verbo “ragoûter”,
che significa "risvegliare l'appetito" (non si poteva effettivamente
utilizzare un termine più azzeccato per definire un cibo così
ghiotto). Anticamente si riferiva a dei piatti di carne stufata
immersa in un ricco sugo che divenne in seguito il condimento di
altre pietanze.
Attualmente la parola “ragù”
identifica genericamente un sugo a base di carne che viene cotta a
lungo e a fuoco lento assieme ad altri ingredienti, diversi a
seconda della tradizione di ogni regione. Le varianti di ragù
italiano sono infatti moltissime. Si va dalle ricette più classiche,
a base di carne di manzo macinata grossa, cucinata con grassi, odori
e salsa di pomodoro; a quelle più saporite, che utilizzano pancetta
o salsiccia; ci sono poi i ragù di cacciagione, dal gusto molto
deciso, fatti con carne marinata e profumata da abbondanti spezie ed
erbe aromatiche; oppure i ragù più raffinati, in bianco, in cui il
gusto della carne predomina su quello di tutti gli altri
ingredienti.
I ragù che gareggiano per
notorietà, sia in Italia che all’estero, sono sicuramente quello
“alla bolognese” e quello “alla napoletana”. La ricetta del primo,
vanto della cucina emiliana, nel 1982 è stata addirittura depositata
dalla delegazione bolognese dell'Accademia Italiana della Cucina
presso la Camera di Commercio di Bologna. Gli ingredienti ufficiali
sono: manzo macinato grosso, pancetta di maiale, passata di
pomodoro, carote, sedano, cipolla, vino bianco secco, latte intero,
brodo, olio d’oliva o burro, sale, pepe e panna liquida
(quest’ultima facoltativa). Ovviamente non si può parlare di ragù
alla bolognese se non accompagnandolo alle tagliatelle all’uovo,
pasta immancabile nella cucina emiliana.
A Napoli il ragù ha origini
“leggendarie”. Si narra che intorno al 1300 questo irresistibile
sugo fu in grado di rabbonire un nobile crudele che abitava in un
noto palazzo della città partenopea. La moglie, riconoscente, decise
di chiamare suo figlio “raù”. E a rendere omaggio al ragù napoletano
ci ha pensato anche Eduardo De Filippo in tempi più recenti con la
sua poesia recitata nella commedia “Sabato domenica e lunedì”: 'O
rraù ca me piace a me m' 'o ffaceva sulo mammà... (Il ragù che piace
a me, me lo faceva solo mia madre). D’altronde la preparazione del
ragù, a Napoli, è un vero rituale di famiglia, lungo e paziente. Il
sugo viene fatto cuocere per circa cinque ore, poi lasciato riposare
per altre 24, trionfando infine nel tradizionale, succulento pranzo
della domenica: gli ziti col ragù.
Anche in Piemonte troviamo una
“curiosità” sul ragù, legata alla storia della regione. Stiamo
parlando del “ragù alla Cavour”, il sugo dedicato al noto statista
torinese. Camillo Benso era un amante della buona cucina e si
racconta che la utilizzasse volentieri come “strumento diplomatico”
per portare dalla sua parte gli antagonisti politici, seducendoli
con banchetti di Palazzo pantagruelici. Diverse pietanze tipiche
piemontesi, molto gradite al Conte, portano il suo nome (oltre al
ragù troviamo gli Agnolotti e la Finanziera alla Cavour). Il ragù
alla Cavour è fatto con fegatini di pollo e rigaglie, conditi con
abbondante burro e aromatizzati con Brandy o Marsala. Una vera
ghiottoneria, in grado di far arrendere qualsiasi nemico.
Un altro ragù tipico del
Piemonte, più conosciuto di quello “alla Cavour”, è il sugo
preparato con la pregiata carne di razza piemontese fatta cuocere a
lungo, a fiamma bassa, insieme ad ortaggi ed erbe aromatiche. Lo si
cucina in due modi: in bianco, profumato con vino bianco o marsala;
oppure con polpa o concentrato di pomodoro, solitamente insaporito
da un corposo vino rosso regionale. Entrambi i ragù sono perfetti
per condire le paste locali, come gli agnolotti o i tajarin, ma
rendono golosa qualsiasi pastasciutta.
...Se vi è venuta voglia di ragù,
vi suggeriamo di assaggiare quelli proposti nel nostro shop, dei
comodi e gustosi sughi pronti, preparati con soli ingredienti
naturali e di prima qualità, secondo le migliori ricette della
tradizione piemontese.
http://landsofgoodness.com/it/blog/il-ragu-di-carne-b181.html
La
tannura è un fornello a carbone portatile, (simile ad un piccolo
barbecue), generalmente realizzato in ferro, tipicamente usato in
Sicilia. Il nome deriva probabilmente dall'atanor, la fornace degli
alchimisti. Di forma cubica e sorretto su quattro piedi, è costituito
da una camera con sportellino frontale di accesso, sovrastata da una
griglia asportabile munita di sponde per il contenimento della brace.
Nella
camera inferiore si immettono frammenti di legno o paglia di facile
accensione per attizzare il carbone (carbonella) posto sulla griglia
sovrastante; la ventilazione, che può anche essere forzata con un
mantice od un ventaglio, favorisce la più rapida e più intensa
combustione della carbonella quando lo sportellino è aperto; nella
stessa camera si raccolgono per caduta le ceneri di combustione. Nella
parte superiore, sulle sponde, si pone il contenitore per la cottura dei
cibi, che può essere una pentola (in siciliano pignata), una padella
(in siciliano paredda o padedda), una griglia o una graticola (in
siciliano rarigghia, radigghia). La
tannura viene chiamata anche cufuni, fornellu o fucuni.
la
versione moderna, ricavata da vecchie bombole
di
gas metano, del fucuni (o cufularu) catanese.
|
FUOCONE
- LA SPINA in
L'amante del paradiso 1997: "...vede tutto scuro scuro, lo
stabbio..., il mestolo, il fuocone..." (p. 280).
Italianisation
de sic. fucuni, enregistré par Piccitto II 140 "fornello portatile
di terracotta o di ferro .2. rudimentale fornello approntato con pietre
per cucinare all'aperto...", cf. Rohlfs 282 fucune
"focolare". Sic. fucuni, calabr. fucune < calabro-sic. focu
'feu' < lat. FOCU(M) 'id.'.
Arrostire
la carne sul fuoco è un compito alla portata di chiunque. Per preparare
un’ottima brace, invece, bisogna seguire qualche accorgimento.
Innanzitutto
ogni amante del barbecue deve prepararsi con largo anticipo, accendendo
il fuoco molto prima della cottura dei cibi: in questo modo avrà
disposizione una scorta di brace sufficiente e, soprattutto, senza
fiammate improvvise.
Preparazione
Per
una grigliata che si rispetti, poi, occorre scegliere un tipo di carne
con piccole venature di grasso (braciole di maiale, costine di agnello e
filetti di manzo) e accompagnarla con una buona marinatura.
Prima
della cottura, i cibi vanno immersi in una miscela composta da tre
ingredienti base: olio, acidi (aceto, limone o vino bianco) e aromi. Le
bistecche, ben irrorate, saranno così più morbide e saporite e,
durante la cottura, non si seccheranno.
La
marinatura, fondamentale per dare un qualcosa in più alla nostra brace,
permette agli amanti del barbecue di sprigionare la propria fantasia e
di sperimentare diversi sapori. A nostra disposizione, infatti, ci sono
diversi tipi di olio (extravergine di oliva, di semi, di noce), di aceto
(di vino rosso, di vino bianco, balsamico e di mele), di erbe aromatiche
(rosmarino, timo, dragoncello, basilico, alloro) e di spezie (chiodi di
garofano, semi di finocchio). Senza dimenticare sale, pepe e aglio.
Per
rendere più saporita le nostre portate basta scegliere una composizione
di nostro gradimento, facendo attenzione ad utilizzare una stessa
quantità di olio e aceto (o limone). Una volta preparato l’intingolo,
la carne può essere immersa per un periodo medio di due ore. Per quest’ultima
operazione vanno usati solo contenitori di plastica, ceramica, acciaio
inox e vetro e mai quelli in rame o alluminio.
E
se vogliamo marinare anche altri cibi, dobbiamo preparare di nuovo il
tutto: nella carne, infatti, ci sono dei batteri che muoiono anche a
basse temperature, ma non nella nostra marinata.
Combustibile
Prima
ancora di iniziare a cuocere gli alimenti, occorre scegliere un tipo di
combustibile adatto al cibo che stiamo per mettere sulla griglia: il
legno di ulivo è indicato per cuocere il pesce e la carne d’agnello,
quello di ciliegio va bene con le carni rosse, mentre la quercia s’abbina
con tutto. Da evitare, se possibile, le cassette della frutta e il
legname resinoso (pino e abete).
Il
tipo di combustibile usato per la brace incide fortemente sul sapore dei
cibi cotti sulla griglia: si può scegliere tra la legna comune e la
carbonella, e va evitato l’uso di materiale di cui non conosciamo la
provenienza, come i residui di cantiere e i legni verniciati.
Chi preferisce la legna, invece, può scegliere tra le tipologie “dure”
(faggio, quercia, ulivo, faggio e alberi da frutto in generale),
ricordando che il pino e l’abete, molto resinosi, possono andare bene
per avviare il fuoco perché altamente infiammabili, ma non per la
cottura degli alimenti: il loro sapore, infatti, sarebbe compromesso
dalla resina.
Per accendere la carbonella ci sono le diavoline o altri prodotti
reperibili sul mercato, come stecche, bustine, zollette e liquidi
infiammabili, ma non bisogna mai usare l’alcool o altri prodotti
simili, soprattutto per ravvivare il fuoco: si corre il rischio di gravi
ustioni.
Con ogni tipo di combustibile, comunque, bisogna aspettare che la fiamma
viva lasci il passo alla brace ardente: una quarantina di minuti e la
carne può essere messa a cuocere, cercando di mantenere la griglia a
una distanza corretta. I cibi non vanno mai cotti sulla fiamma perché
si carbonizzano e possono produrre sostanze pericolose per l’organismo.
Il bello di un barbecue a carbone sta nella sua semplicità. Alla base
di un buon barbecue a carbone c'è una griglia per il carbone su cui
mettere il combustibile. Sopra a questa c'è una griglia di cottura. Un
coperchio con prese d'aria completa il tutto. Semplicissimo.
Le griglie di cottura sono generalmente costruite in alluminio nichelato
o cromato. Una griglia di cottura più spessa, e di materiale più
pesante, durerà più a lungo e distribuirà e tratterrà meglio il
calore. Le griglie trattate con smalto porcellanato sono normalmente una
caratteristica positiva. Le migliori griglie vengono prodotte in ghisa ,
acciaio inossidabile, o alluminio o ghisa smaltata.
Cottura
Il
risultato della brace dipende dalla sua temperatura: se questa è troppo
alta, infatti, gli alimenti si arrostiscono, perdono il loro sapore e si
fanno eccessivamente duri.
E’
meglio prepararsi prima, avendo cura di iniziare a cuocere quando non ci
sono più le fiamme e quando si è formato un leggero strato di cenere
bianca sulla carbonella o sulla legna.
Per
capire quando è giunto il momento di adagiare la carne sulla griglia,
si può usare il palmo della mano: se riusciamo a tenerlo ad una decina
di centimetri dalla carbonella sopportando il calore per tre secondi,
allora possiamo procedere con la cottura (5 secondi è il tempo indicato
per il pesce, la verdura e le carni bianche, che richiedono una
temperatura leggermente più bassa). Per non alterare la temperatura,
inoltre, dobbiamo evitare di aggiungere legna durante la cottura.
L’ottima
riuscita del barbecue dipende anche dall’ottima cottura degli
alimenti: ma quando bisogna toglierli dalla griglia? Per capirlo, si
possono usare i termometri per alimenti che ci sono in commercio oppure
si può semplicemente levare la bistecca dalla brace e tagliarne un
pezzetto. Diverso il discorso per il pesce: basta aprirlo un po’ con
una forchetta e verificare se si sfalda facilmente. In ogni caso, i due
alimenti non vanno cotti insieme: il loro grasso, infatti, libera gli
odori, alterando il sapore dell’uno e dell’altro.
Qualche
trucco
La
prima regola è quella di non avere fretta: si inizia a cuocere solo
quando la fiamma è spenta del tutto e resta solo la brace (ben rossa
per la carne, velata da uno strato di cenere per i pesci piccoli o le
carni delicate).
La
brace deve essere disposta in modo differente a seconda della quantità
e della qualità dei cibi da cuocere e, soprattutto, deve essere
disposta in modo tale che si possa aumentare o diminuire l'intensità
calorica secondo necessità: è meglio ammucchiare più brace
sull'esterno, in modo da aumentare l'uniformità del calore.
La
griglia deve essere sempre posta in anticipo sulla brace e deve essere
ben calda quando vi si poggiano gli alimenti, per evitare che i cibi si
attacchino e che si rovinino nel momento in cui devono essere girati.
FUOCONE - LA SPINA in L'amante del
paradiso 1997: "...vede tutto scuro scuro, lo stabbio..., il mestolo, il
fuocone..." (p. 280).
Italianisation de sic. fucuni,
enregistré par Piccitto II 140 "fornello portatile di terracotta o di
ferro .2. rudimentale fornello approntato con pietre per cucinare
all'aperto...", cf. Rohlfs 282 fucune "focolare". Sic. fucuni, calabr.
fucune < calabro-sic. focu 'feu' < lat. FOCU(M) 'id.'.
Arrostire
la carne sul fuoco è un compito alla portata di chiunque. Per preparare
un’ottima brace, invece, bisogna seguire qualche accorgimento.
Innanzitutto ogni amante del barbecue deve prepararsi con largo
anticipo, accendendo il fuoco molto prima della cottura dei cibi: in
questo modo avrà disposizione una scorta di brace sufficiente e,
soprattutto, senza fiammate improvvise.
Preparazione
Per una grigliata che si rispetti, poi, occorre scegliere un tipo di
carne con piccole venature di grasso (braciole di maiale, costine di
agnello e filetti di manzo) e accompagnarla con una buona marinatura.
Prima della cottura, i cibi vanno immersi in una miscela composta da tre
ingredienti base: olio, acidi (aceto, limone o vino bianco) e aromi. Le
bistecche, ben irrorate, saranno così più morbide e saporite e, durante
la cottura, non si seccheranno.
La marinatura, fondamentale per dare un qualcosa in più alla nostra
brace, permette agli amanti del barbecue di sprigionare la propria
fantasia e di sperimentare diversi sapori. A nostra disposizione,
infatti, ci sono diversi tipi di olio (extravergine di oliva, di semi,
di noce), di aceto (di vino rosso, di vino bianco, balsamico e di mele),
di erbe aromatiche (rosmarino, timo, dragoncello, basilico, alloro) e di
spezie (chiodi di garofano, semi di finocchio). Senza dimenticare sale,
pepe e aglio.
Per rendere più saporita le nostre portate basta scegliere una
composizione di nostro gradimento, facendo attenzione ad utilizzare una
stessa quantità di olio e aceto (o limone). Una volta preparato
l’intingolo, la carne può essere immersa per un periodo medio di due
ore. Per quest’ultima operazione vanno usati solo contenitori di
plastica, ceramica, acciaio inox e vetro e mai quelli in rame o
alluminio.
E se vogliamo marinare anche altri cibi, dobbiamo preparare di nuovo il
tutto: nella carne, infatti, ci sono dei batteri che muoiono anche a
basse temperature, ma non nella nostra marinata.
Combustibile
Prima ancora di iniziare a cuocere gli alimenti, occorre scegliere un
tipo di combustibile adatto al cibo che stiamo per mettere sulla
griglia: il legno di ulivo è indicato per cuocere il pesce e la carne
d’agnello, quello di ciliegio va bene con le carni rosse, mentre la
quercia s’abbina con tutto. Da evitare, se possibile, le cassette della
frutta e il legname resinoso (pino e abete).
Il tipo di combustibile usato per la brace incide fortemente sul sapore
dei cibi cotti sulla griglia: si può scegliere tra la legna comune e la
carbonella, e va evitato l’uso di materiale di cui non conosciamo la
provenienza, come i residui di cantiere e i legni verniciati.
Chi preferisce la legna, invece, può scegliere tra le tipologie “dure”
(faggio, quercia, ulivo, faggio e alberi da frutto in generale),
ricordando che il pino e l’abete, molto resinosi, possono andare bene
per avviare il fuoco perché altamente infiammabili, ma non per la
cottura degli alimenti: il loro sapore, infatti, sarebbe compromesso
dalla resina.
Per accendere la carbonella ci sono le diavoline o altri prodotti
reperibili sul mercato, come stecche, bustine, zollette e liquidi
infiammabili, ma non bisogna mai usare l’alcool o altri prodotti simili,
soprattutto per ravvivare il fuoco: si corre il rischio di gravi
ustioni.
Con ogni tipo di combustibile, comunque, bisogna aspettare che la fiamma
viva lasci il passo alla brace ardente: una quarantina di minuti e la
carne può essere messa a cuocere, cercando di mantenere la griglia a una
distanza corretta. I cibi non vanno mai cotti sulla fiamma perché si
carbonizzano e possono produrre sostanze pericolose per l’organismo.
Il bello di un barbecue a carbone sta nella sua semplicità. Alla base di
un buon barbecue a carbone c'è una griglia per il carbone su cui mettere
il combustibile. Sopra a questa c'è una griglia di cottura. Un coperchio
con prese d'aria completa il tutto. Semplicissimo.
Le griglie di cottura sono generalmente costruite in alluminio nichelato
o cromato. Una griglia di cottura più spessa, e di materiale più
pesante, durerà più a lungo e distribuirà e tratterrà meglio il calore.
Le griglie trattate con smalto porcellanato sono normalmente una
caratteristica positiva. Le migliori griglie vengono prodotte in ghisa ,
acciaio inossidabile, o alluminio o ghisa smaltata.
Cottura
Il risultato della brace dipende dalla sua temperatura: se questa è
troppo alta, infatti, gli alimenti si arrostiscono, perdono il loro
sapore e si fanno eccessivamente duri.
E’ meglio prepararsi prima, avendo cura di iniziare a cuocere quando non
ci sono più le fiamme e quando si è formato un leggero strato di cenere
bianca sulla carbonella o sulla legna.
Per capire quando è giunto il momento di adagiare la carne sulla
griglia, si può usare il palmo della mano: se riusciamo a tenerlo ad una
decina di centimetri dalla carbonella sopportando il calore per tre
secondi, allora possiamo procedere con la cottura (5 secondi è il tempo
indicato per il pesce, la verdura e le carni bianche, che richiedono una
temperatura leggermente più bassa). Per non alterare la temperatura,
inoltre, dobbiamo evitare di aggiungere legna durante la cottura.
L’ottima riuscita del barbecue dipende anche dall’ottima cottura degli
alimenti: ma quando bisogna toglierli dalla griglia? Per capirlo, si
possono usare i termometri per alimenti che ci sono in commercio oppure
si può semplicemente levare la bistecca dalla brace e tagliarne un
pezzetto. Diverso il discorso per il pesce: basta aprirlo un po’ con una
forchetta e verificare se si sfalda facilmente. In ogni caso, i due
alimenti non vanno cotti insieme: il loro grasso, infatti, libera gli
odori, alterando il sapore dell’uno e dell’altro.
Qualche trucco
La prima regola è quella di non avere fretta: si inizia a cuocere solo
quando la fiamma è spenta del tutto e resta solo la brace (ben rossa per
la carne, velata da uno strato di cenere per i pesci piccoli o le carni
delicate).
La brace deve essere disposta in modo differente a seconda della
quantità e della qualità dei cibi da cuocere e, soprattutto, deve essere
disposta in modo tale che si possa aumentare o diminuire l'intensità
calorica secondo necessità: è meglio ammucchiare più brace sull'esterno,
in modo da aumentare l'uniformità del calore.
La griglia deve essere sempre posta in anticipo sulla brace e deve
essere ben calda quando vi si poggiano gli alimenti, per evitare che i
cibi si attacchino e che si rovinino nel momento in cui devono essere
girati.
Evitare di cuocere i cibi sulla fiamma, ma accertarsi che questa sia
completamente spenta prima della cottura. Nel primo caso, gli alimenti
si bruciano esternamente; nel secondo, invece, si cuociono in maniera
uniforme.
Aggiungere il sale sulla carne solo al termine della cottura. Il sale
estrae l’acqua e le sostanze nutritive dagli alimenti, rendendoli meno
saporiti e più stopposi.
Come combustibile preferire una carbonella di qualità: non usare mai il
legno che, ricco di resina, rischia di rovinare il sapore dei cibi.
Per una buona cottura la carbonella deve essere ardente e coperta dalla
cenerespenta. Basteranno all'incirca 10/15 minuti per una grigliata
perfetta.
Una volta adagiata la carne sulla griglia, bisogna evitare di girarla di
continuo per permettere una cottura uniforme.
Evitare di rigirare continuamente la carne sulla griglia: salsicce,
spiedini e bistecche vanno cotti bene prima da un lato e poi dall'altro.
Mai condire la carne prima della cottura: eviterete così di indurirla o
bruciarla sul barbecue.
Dopo la cottura sistemare i cibi su un tagliere con bordi scanalati e
farli riposare un po' prima del taglio.
Le verdure alla brace sono più saporite se cotte a temperature basse.
Prima di cuocere la carne è meglio non togliere il grasso: la mantiene
più tenera (e comunque si scioglie durante la cottura).
Una volta spenta, la brace va tolta dal barbecue, che altrimenti rischia
di rovinarsi. Infine, bisogna ricordarsi di coprirlo, per proteggerlo
dall’umidità e dalla pioggia.
Non lasciare mai incustodito il barbecue, fino al completo spegnimento
delle braci, soprattutto se vi trovate all’aperto può essere pericoloso.
Dopo ogni cottura, il barbecue va pulito a fondo. Per eliminare il
grasso residuo, la griglia può essere scaldata oppure strofinata con
cuscinetti abrasivi o spazzole con setole metalliche. Per i più precisi,
in commercio ci sono sgrassatori specifici.
www.carnealfuoco.it
LEGGENDE E FALSI MITI
|
LA NOTTE DOPO LA PIZZA
GONFIORI ADDOMINALI E TANTA SETE? ECCO PERCHÉ
Passare una notte con disturbi intestinali, sete, insonni,
dopo una piacevole serata in pizzeria, è cronaca di un numero sempre più
crescente di persone di ogni età!
La pizza e’ un piatto regionale ed nazionale, da valorizzare
con ingredienti di valore nutrizionale e gastronomico.
Una buona pizza per essere tale non deve procurare sete e non
deve essere indigesta. Purtroppo sempre più spesso mangiamo pizze preparate con
farine troppo ricche di proteine, glutine, amido resistente, con additivi e
stabilizzanti. Farine per pizze con il 20-30% di farina Manitoba, con elevato
contenuto di proteine e di glutine.
Vengono utilizzate farine molto forti (w da 280 a 420). Con
queste farine la pizza è un concentrato di glutine, che forma un impasto robusto
in grado di “reggere” pomodoro e mozzarella oppure altri ingredienti.
Se il tempo della lievitazione non è adeguato durante la
cottura ad alte temperature si ha la reazione di Maillard con formazione di
proteine glicate: unione di glucosio con un aminoacido delle proteine delle
farine. Le proteine glicate sono molecole aggressive contro le pareti
intestinali e se assorbite nel sangue, possono danneggiare il sistema vascolare
e la matrice extra cellulare. Inoltre nella pizza è presente l’amido resistente,
“resistente” perché non digerito dagli enzimi digestivi dell’intestino tenue. Le
farine per lo più usate dai pizzaioli (non tutti però, onore e merito ai veri
pizzaioli) possono risultare non compatibili con il nostro intestino. Le parti
della pizza che non vengono digerite nel tenue transitano nel colon, dove
vengono “mangiate” da miliardi di batteri con produzione di gas (meteorismo),
con comparsa di disturbi intestinali: diarrea, sindrome colon irritabile!
Inoltre si ha un richiamo di acqua dal sangue all’interno dell’intestino con
comparsa di sete prolungata nella notte! Una pizza pesa 150 g (base) con una
dose di carboidrati attorno a 90 g circa, in grado di far salire la glicemia
dopo averla mangiata, con secrezione di insulina! Contiene circa 20 grammi di
proteine!
La qualità e la salubrità della pizza dipendono dalle farine
usate, dal tempo di lievitazione e dalle temperature di cottura, oltre dagli
ingredienti utilizzati per infarcire la pizza! La pizza realizzata in casa, con
farine meno ricche di proteine e senza farina Manitoba, con giusti, lunghi tempi
di lievitazione e temperature di cottura non troppo elevate, non procura la
stessa sintomatologia della pizza mangiata in pizzeria. La pizza può essere
realizzata anche con farine ottenute da grani di varietà antica, assai più sani
e più nutritivi dei grani varietà moderne.
Fonte: Prof PierLuigi Rossi
http://www.direttanews24.com/la-notte-dopo-la-pizza-gonfiori-addominali-e-tanta-sete-ecco-perche/
|