Carlo Rinaldo
Masseroni
nasce a Milano il 4 gennaio 1891
e muore a Sanremo il 30 gennaio 1957. Attorno alla sua figura è nata
una storia dell’imprenditoria locale, legata alla Ursus Gomma, la
più grande azienda di calzature in gomma e articoli tecnici presente
in Vigevano nel secolo scorso.
Cercando fra le carte e conversando con persone che l’hanno
conosciuto, c’è chi dice che il nome Masseroni è di origine
francese. Sarebbe arrivato in Italia al seguito di Napoleone, e il
ceppo lo si trova nel Monferrato e successivamente nel Milanese . Masseroni
era anche un soggetto caricaturabile. La “Gazzetta dello Sport”, ma
soprattutto il “Guerin Sportivo” ritraeva con poche linee e curve un
“cumenda” dal sigaro in bocca dal sicuro atteggiamento, dai simboli
sportivi uniti a simboli imprenditoriali per saldare i “percettori
di opportunità” che nelle strategie di mercato prendono il nome di
Marketing.
Nel 1942 acquista l’Inter
divenendo il 14° presidente della storia del Club. Durante la sua
gestione, i nerazzurri vincono due scudetti nel 1953 e nel 1954.
L’anno successivo cede la società ad Angelo Moratti. Muore
improvvisamente nel 1957 a causa di un infarto. Era il 1942, l’Italia era in
piena II Guerra mondiale e il campionato era interrotto. Masseroni
si convinse e in poco tempo si appassionò così tanto ai colori
dell’Inter che ne fece la sua ragione di vita. La sua presidenza
fece storia per motivi calcistici e non. Fu lui ad annunciare
nell’ottobre del ’45 che la società sarebbe tornata a chiamarsi
Internazionale dopo che il regime fascista aveva imposto per quasi
15 anni il nome Ambrosiana. Ma anche dal punto di vista sportivo
Masseroni s’impegno a fare grande l’Inter. Acquistò campioni di
valore internazionale come Benito Lorenzi, lo svedese Skoglund ,
l’olandese Faas Wilkes e l’ungherese Nyers.
I primi anni della sua Inter
furono di alto livello ma avari di successi. Tra il ’48 e il ’52,
infatti, i nerazzurri arrivarono due volte secondi e due volte terzi
lasciando il titolo a Torino, Juventus e Milan. Ma quelle stagioni
posero le basi per grandi vittorie. Nell’estate del ’52 Masseroni
chiamò sulla panchina dell’Inter Alfredo Foni che da giocatore aveva
vinto il Mondiale del ’38. L’Inter divenne imbattibile e vinse due
campionati consecutivi dopo un’astinenza durata 13 anni. L’anno
successivo, nel ’55, Masseroni lasciò la società ad Angelo Moratti.
E fu l’inizio di un’altra grande Inter.
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DA POZZANI A MASSERONI
Si
fa sentire la perdita di Meazza. Il secondo posto del 1940-41 è solo
una illusione e negli anni seguenti, l'Inter perde quota. Nel
1941-42, uno squallido dodicesimo posto convince Pozzani a lasciare
in favore di Masseroni, industriale della gomma. Il quale comincia
con alcuni errori clamorosi ,il maggiore dei quali è l'acquisto dei
cinque famosi bidoni (Zapirain, Bovio, Volpi, Pedemonte e Cerioni)
nella stagione 1946-47.
Gli anni successivi, videro l'Inter perdere lentamente quota. La
perdita di Meazza cominciò a farsi sentire sensibilmente, come del
resto era logico. Tra l'altro, era ormai scoppiata la guerra e
l'infausta decisione di Mussolini di entrarvi al fianco della
Germania nazista, spargeva grandi incognite sul futuro e non
invogliava certo a fare investimenti. Il 1940-41, vide l'Inter
arrivare seconda confermandosi perciò su alti livelli, ma nel torneo
successivo, la realtà venne alla luce in maniera clamorosa e il
mancato adeguamento dell'organico, produsse un dodicesimo posto che
ebbe il solo vantaggio di evitare la clamorosa retrocessione di una
squadra che era palesemente in crisi.
Dopo un crollo simile, l'unica strada era quella di una mezza
rivoluzione, che in effetti si realizzò in quanto la scarsità di
risultati convinse infine Pozzani a farsi da parte a favore di
Masseroni, un industriale della gomma che era anche grande
appassionato di ciclismo. La sua prima mossa, e non poteva essere
altrimenti, fu l'allontanamento del tecnico Ivo Fiorentini,
avvicendato da Giovanni Ferrari, appena pasato dal calcio giocato
alla panchina. Sotto la guida di Ferrari, l'Inter riuscì a risalire
parzialmente la china, ottenendo il quarto posto. Non c'era comunque
molto da recriminare, visto che ormai la guerra era arrivata anche
nel nostro paese ed era arrivato il momento di fermare i campionati
e pensare a salvare il salvabile tra bombardamenti alleati e
rastrellamenti nazifascisti, in una Italia spaccata in due.
Finalmente, però, la guerra ebbe fine e, in una Italia da
ricostruire, il calcio tornò ad occupare il suo posto privilegiato.
Il primo torneo del dopoguerra, fu anche quello che vide il ritorno
dei gironi territoriali, resi necessari dalle difficoltà do
movimento causate dalla distruzione delle infrastrutture viarie.
Anche in casa Inter, si ebbe un gradito ritorno, quello appunto
della vecchia denominazione sociale, nella quale non compariva più
il richiamo all'Ambrosiana. La squadra, affidata a Carcano, era però
ancora in fase di riassestamento e non andò oltre un appena discreto
quarto posto finale, che imponeva a Masseroni un deciso intervento
sul mercato.
Il presidente si attivò per trovare giocatori in grado di far salire
a qualità della rosa e pensò di averli trovati in questi giocatori
sudamericani, tutti o quasi provvisti di ottime referenze. Si
trattava di Zapirain, Pedemonte, Cerioni, Volpi e Bovio. In
particolare, Bibiano Zapirain era stato un vero e proprio mito nella
sua squadra di club, il Nacional di Montevideo, mentre anche Bovio
aveva saputo guadagnarsi grandi benemerenze con il Penarol. Se
qualcuno pensava che fosse arrivata la soluzione dei problemi
palesati negli anni precedenti, l'inizio del torneo si incaricò
di
smentire tutto. I cinque sudamericani, dimostrarono subito di essere
un clamoroso equivoco. Qualcuno di loro era anche molto dotato,
Zapirain e Bovio su tutti, ma non erano assolutamente adatti al
calcio rapido ed essenziale che caratterizzava la serie A. Poi, a
gennaio inoltrato, Bovio, Volpi e Cerioni fecero addirittura perdere
le loro tracce, senza destare eccessivo rimpianto, peraltro e a
Carcano non rimase che da prendere atto della sua impossibilità a
restare sulla panchina. Fu Nino Nutrizio a portare la squadra fuori
dalle secche della bassa classifica, cogliendo un decimo posto
finale, che se non era desolante, poco ci mancava. Ne', andava
meglio l'annata successiva, introdotta da una campagna acquisti
confusa e senza un preciso filo conduttore. Arrivavano infatti tanti
discreti giocatori come Fiorini, Pangaro, Susmel e Quaresima, una
giovane promessa come Benito Lorenzi, di cui si sarebbe parlato a
lungo, un ottimo giocatore come Fattori, ma anche tante mediocrità a
partire dall'ungherese Garay, che non potevano certo ovviare ai
difetti palesati negli anni precedenti. Il risultato finale, era un
ulteriore arretramento, un dodicesimo posto che la diceva lunga
sulla reale qualità dei tanti innesti fatti. L'unica nota lieta
dell'anno, era costituita dall'esplosione di Lorenzi, che andava a
confermare quanto di buono si sapeva di lui. Per il resto, era un
disastro. E considerato che il Grande Torino, non dava segni di
cedimento, era ormai chiaro che ci voleva un deciso mutamento nella
conduzione della squadra.
http://www.enciclopediadelcalcio.it/Inter4.html
Nelle stagioni sportive 1943-1944 e 1944-1945,
il campionato italiano di calcio non venne disputato a causa della
seconda guerra mondiale. Tuttavia il calcio non si fermò ed il
campionato di Serie A venne sostituito da varie competizioni a
livello locale, non tutte però ritenute ufficiali.
1943-1944
Tornei con squadre di Serie A, Serie B e Serie
C:
Il Campionato Alta Italia (ufficialmente
Divisione Nazionale) si disputò nel 1943-1944 nelle regioni
dell'Italia settentrionale occupata dalle truppe tedesche. Il primo
posto nel torneo fu ottenuto dai VV.FF. Spezia, che nel triangolare
finale ebbero la meglio su Torino e Venezia. Il titolo, inizialmente
equiparato allo scudetto, fu per lungo tempo disconosciuto, salvo
poi essere assegnato allo Spezia Calcio, come titolo onorifico, nel
2002 per delibera FIGC. Il Campionato Alta Italia fu l'unica
manifestazione ufficiale fra quelle menzionate nella voce.
1944-1945
Tornei con squadre di Serie A, Serie B e Serie
C:
Il Torneo benefico lombardo si disputò in
Lombardia nel 1944-1945 e fu vinto dal Como.
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Dopo la caduta del
regime fascista, il 27 ottobre 1945 il presidente Masseroni annuncia
con toni gloriosi che "l'Ambrosiana torna a chiamarsi solo
Internazionale". L'Inter saluta questo storico avvenimento senza
fare faville, e alterna brillanti prestazioni (come uno storico 6-2
sul "Grande Torino") ad altre ben più fiacche. Il Campionato Misto
Serie A-B 1945/46 è la prima e unica edizione "non a girone unico"
dal 1929-30: nonostante la qualificazione ottenuta con la seconda
piazza nel Campionato Alta Italia, nel Girone Finale la squadra di
Carlo Carcano chiude soltanto al quarto posto.
l'Ambrosiana
torna
a chiamarsi solo Internazionale
L'Inter saluta
questo storico avvenimento senza fare faville, e alterna brillanti
prestazioni (come uno storico 6-2 sul "Grande Torino") ad altre ben
più fiacche. Il Campionato Misto Serie A-B 1945/46 è la prima e
unica edizione "non a girone unico" dal 1929-30: nonostante la
qualificazione ottenuta con la seconda piazza nel Campionato Alta
Italia, nel Girone Finale la squadra di Carlo Carcano chiude
soltanto al quarto posto.
Con la fine della guerra e le
imposizioni di regime, la società torna ad essere solo Inter e il
logo torna verso la tradizione, pur se con delle differenze: la
forma è nuovamente tondeggiante, solo che le quattro lettere
intrecciate sono in campo bianco, circondate dai due cerchi
concentrici nero e azzurro. Poi nel 1960 un nuovo cambio radicale,
del tutto fuori dalla tradizione: scudetto diviso a metà, a sinistra
a strisce nerazzurre, a destra il biscione e un pallone sormontato
dall’anno di fondazione, 1908, il tutto sottostante ad un piccolo
triangolo a lati curvi con le quattro lettere. Tra il 1961 e il 1963
a questo se ne affiancò anche un altro, un ovale a strisce
nerazzurre recante al centro un biscione dorato e, in alto, una
banda nera con la scritta Inter dorata, sormontata dalle lettere F C
dorate in campo blu.
http://www.sportmain.it/2014/07/09/la-storia-del-logo-dellinter-dai-colpi-di-pennello-alle-stelle-rubate/
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Il 1946/47 parte con i
migliori propositi: confermato Carcano, Masseroni ottiene dalla FIGC
il permesso di tesserare calciatori stranieri e acquista i
sudamericani Bovio, Cerioni, Pedemonte, Volpi e Zapirain, che
diventano noti in Italia con il soprannome di "cinque bidoni" per la
loro leggendaria inadeguatezza al calcio. Zapirain si fa notare solo
come giocatore di biliardo, mentre Bovio, criticato a causa del
sovrappeso, si caratterizza per comportamenti oggi impensabili: nel
gennaio 1947, dopo un esaltante primo tempo a Modena, nella ripresa
lascia la squadra in dieci pur di rimanere abbracciato alla stufa
dello spogliatoio. Pochi giorni dopo Bovio, Cerioni e Volpi fuggono
in Sudamerica e fanno perdere le loro tracce. Masseroni salva le
sorti della squadra affidandone la gestione tecnica a Nino Nutrizio
e all'allenatore-giocatore Giuseppe Meazza, tornato all'Inter a
trentasei anni suonati. La coppia riesce nell'impresa e, nell'ultima
partita di Meazza, i tifosi festeggiano una comoda salvezza al
decimo posto.
Soltanto l'idolo della folla è confermato in panchina, e questo gli
causa forti problemi di comunicazione con i propri giocatori, tanto
da renderne necessario l'esonero e il ritorno di Carcano. Questi,
non potendo più contare sul trascinatore dell'Andata Bruno Quaresima
bloccato da un infortunio, decide di far girare la squadra attorno
all'estro del giovane Benito Lorenzi, che si era già distinto
all'inizio della Stagione. Alla fine del 1947/48, tuttavia, la terza
piazza conquistata al giro di boa si riduce solo a un sofferto
dodicesimo posto.
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INTER MILAN 4-4-
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ISTVAN NYERS
E' stato un po' l'Ibrahimovic degli anni
Cinquanta. Non certo per il fisico, ma per il suo essere irregolare
e atipico già in un calcio molto
anarchico come quello dei suoi tempi. Istvan Nyers (tra l'altro
l'idolo giovanile di un certo Roberto Boninsegna) è stato un campione
della storia dell'Inter, oggi purtroppo un po' dimenticato. A
rinfrescarne la memoria, e la classe, ecco però il libro "Istavn
Nyers, le Grand Etienne" (di Francesco Rovida, Urbone Publishing),
una vera e propria opera di archeologia interista che non può
mancare nella libreria di un vero nerazzurro.
"Abbiamo deciso di pubblicarlo nel 2015 in
occasione del decennale della sua morte (avvenuta in povertà e
solitudine, ndr)", ci racconta Rovida, che ha ricostruito con
precisione e passione le tappe della carriera di Nyers. "Se dovessi
descriverlo con tre aggettivi, sceglierei: apolide, geniale e
antesignano in campo e fuori".
Nyers avrebbe potuto far parte della grande
nazionale magiara, ma dopo poche presenze preferì la libertà di
apolide, scappando dall'Ungheria comunista per andare a giocare dove
voleva. A segnare la sua carriera fu soprattutto Helenio Herrera,
nella doppia veste di procuratore e allenatore: fu il Mago a volerlo
a Parigi allo Stade Français, da lui stesso guidata in panchina,
strappandolo dalla squadra del Viktoria Zizkov.
Nell'Inter Nyers fu determinante per la
conquista degli scudetti del 1953 e del 1954: attaccante esterno
formidabile, segnò la bellezza di 133 reti in 182 partite tra il
1948 e il 1954, settimo cannoniere della storia nerazzurra.
Dribbling ubriacanti e tiri potenti erano tra le sue caratteristiche
principali: "Era un giocatore capace di vincere le partite da solo.
Celebre un derby vinto 3-0 con una sua tripletta. In questo simile a
Zlatan, non nelle caratteristiche fisiche", racconta ancora Roveda.
Un cavallo brado, ingestibile: "Un George
Best prima di George Best". Difficile pensare a Nyers nel
super-tattico calcio di oggi: "Probabilmente oggi non ghiocherebbe,
ma per sua scelta".
https://www.panorama.it/sport/calcio/bonimba-voce-inter/istvan-nyers-libro-inter-anni-cinquanta/
Il 1948/49 diventa tristemente famoso come l'anno della tragedia di
Superga. L'Inter fa grandi acquisti: arrivano l'apolide Istvan Nyers,
detto "Etienne" per le origini francesi, il difensore Attilio
Giovannini e la punta Gino Armano, gettando le prime basi per un
glorioso futuro. I nuovi campioni però non offrono il gioco
richiesto da mister Astley, che viene sostituito a metà Stagione da
Giulio Cappelli. Il nuovo allenatore conduce una sfrenata rimonta
fino a raggiungere il secondo posto solitario, cinque punti davanti
alla Juventus e altrettanti dietro a quel Torino che proprio con
l'Inter gioca la sua ultima partita ufficiale.
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Il Campionato 1949/50 riprende con i migliori propositi. il
"tulipano volante" Faas Wilkes infiamma gli spalti, ma insiste
troppo nelle azioni personali, mentre il dualismo Amadei-Lorenzi
toglie serenità alla squadra. Alla fine l'Inter mette le mani su un
terzo posto al di sotto delle aspettative. Il nuovo allenatore è
Aldo Olivieri, la fiducia in Lorenzi è tale da portare alla cessione
di Amadei e l'addio del centrocampista Aldo Campatelli porta
Masseroni a cercare un nuovo campione del settore, trovato nello
svedese Lennart Skoglund, detto "Nacka" per la regione d'origine. Il
finale di Campionato è caratterizzato da una rimonta su un Milan in
declino, ma l'Inter non è abbastanza incisivo e lo Scudetto 1950/51
rimane affare dei rossoneri per un solo punto. Nell'estate che
precede il Campionato 1951/52 il presidente dà fiducia all'organico,
rimpolpato solo dal portiere Giorgio Ghezzi. La squadra soffre però
sulla continuità di rendimento, particolarmente evidente per
Skoglund e Wilkes, e arriva solo terza.
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Lennart Skoglund :246 presenze e 57 retiIl 1952/53 inizia con una
rivoluzione tattica. Il nuovo allenatore è il Dottor Alfredo Foni,
un precursore del catenaccio, che reinventa Ivano Blason libero e
scarta l'estroso Wilkes in favore di un più concreto Bruno Mazza,
acquistato per pochi soldi. La nuova impostazione di gioco non piace
alla critica, ma sbaraglia gli avversari all'insegna del "prima non
prenderle": l'Inter è Campione d'Italia. In seguito alle pesanti
critiche riguardo al gioco troppo difensivistico, nella Stagione
successiva Foni decide di proporre un modello di calcio più estroso
e aggressivo.
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A inizio Stagione Nyers è escluso
dalla rosa per aver richiesto un aumento di stipendio, ma alla
vigilia della partita contro il Milan Masseroni cede alle sue
richieste pur di farlo giocare: segna una tripletta, gli unici tre
gol dell'incontro, e l'Inter si aggiudica il derby. Skoglund è
invece protagonista assoluto di un leggendario 6-0 sulla Juventus.
In un Campionato in cui tutti i nerazzurri hanno il loro momento di
gloria, l'Inter si impone in volata e, davanti alla Juve per un solo
punto, è Campione d'Italia 1953/54.
QUEI DUE.
Il campione svedese chiudeva la
carriera in nerazzurro nel 1959. Lui e Benito Lorenzi, binomio
indimenticabile dell’Inter anni cinquanta
MILANO - Sarà anche stato
un altro calcio, ma ogni tanto ricordarne i protagonisti fa bene.
Tornare alle origini, affrancarsi da un tempo ritmato dalla fretta
compulsiva di vincere, è ricordarsi chi si è stati. Come oggi,
giocava la sua ultima partita in nerazzurro
nel 1959, contro il Bari, Lennart Skoglund, due scudetti vinti nel
52-53 e nel 53-54. Era arrivato a ventun anni, dopo aver giocato in
Svezia, suo Paese d'origine ed essere stato corteggiato dai
brasiliani del San Paolo.
Parlare di Skoglund e non di
Benito Lorenzi detto Veleno sarebbe riduttivo. Lo svedese e il
toscano erano diversissimi, ma alleati sul campo e nella vita. La
Milano degli anni cinquanta aveva stregato Skoglund, che si aggirava
per via Montenapoleone all'ora dell'aperitivo.
Era una Milano diversa, una città
dove la passeggiata a quell'ora la facevano un po' tutti e proprio
per vedere personaggi famosi. Gli anni cinquanta erano il passaggio
dalla Seconda Guerra Mondiale, col suo strascico di profondo dramma,
al desiderio collettivo di riprendersi in mano la vita, e di
godersela fino in fondo.
Biondo, bravissimo, fragile,
Skoglund trovava in Lorenzi, piccolo, nero e deciso, non per niente
era detto Veleno, una specie di fratello maggiore. Lorenzi in questo
aveva preso, a sua detta, il ruolo molto sul serio. Se Lennart
esagerava di notte rischiando di non arrivare alla partita in
perfetta forma, Benito lo chiudeva in casa, lasciandogli solo un
litro di latte.
Fu diverso anche l'epilogo delle
loro vite.
Lorenzi si spegne a ottantadue
anni nel 2007, e dall'Inter non si era mai staccato del tutto.
Skoglund scompare ancora
giovane, a quarantasei anni, nel 1975. Lo trovano nella sua casa di
Stoccolma, il mondo si è dimenticato di lui e lui forse vuole
dimenticare il mondo.
www.inter.it
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BENITO
LORENZI, detto "Veleno".
Il dopoguerra immediato, nel
segno del “Grande Torino”, propone già i sintomi di una rivalità che
Inter e Juventus coltivavano sin dai tempi del neonato girone unico.
Ed una rivalità fra squadre, necessariamente, trascina confronti tra
i rispettivi giocatori di maggior fama. A Milano, il 12 ottobre
1947, quando l’Inter batte la Juventus per 4-2, non accade, a prima
vista, nulla di anormale. È la solita classica, con San Siro pieno
come un uovo. La Juventus di Sentimenti IV°, portiere goleador,
schiera in formazione talenti in piena esplosione, come Carletto
Parola, centromediano già osannato per la rovesciata che fa sognare
tutti ragazzini, e Boniperti che è appena diciottenne.
L’Inter, che contrappone un altro
portiere di talento, Franzosi, è la ruvida determinazione del
granitico Fattori e schiera, come mezzala destra, un giovanotto
nervosetto ma di indubbia classe, che, in pochissimo tempo, ha
conquistato la pur esigente platea di San Siro. Benito Lorenzi è il
suo nome: i difensori bianconeri, in particolar modo Rava, patiscono
più del lecito il ragazzo e non possono impedirgli di portare in
vantaggio l’Inter con un gran goal, prima del riposo. Lorenzi trova
anche il modo di ripetersi nella ripresa, sicché finisce per essere
l’uomo partita di quel duello bianco/neroazzurro.
Il racconto di Carletto Parola. «Rava
è stato in tutto e per tutto un campione. Ricordo una partita del
1947 a Milano con l’Inter dove ha esordito questo mattocchio di
Lorenzi. Fischio e via, Lorenzi mi fa due goal. Rava non ci vedeva
più, quello dopo ogni goal ci prendeva in giro, io dicevo a Pietro
“stai tranquillo”, ma d’improvviso diventò rosso come un peperone,
(quando arrossiva come un peperone guai a chi gli capitava sotto)
mollò un cazzottone a Lorenzi che s’abbassò e beccò in pieno
Quaresima, che rimase steso più di cinque minuti. “Che c’è, le
bombe?”, disse quando si riprese». Come primo impatto non c’e
davvero malaccio. Buon per la squadra bianconera che, nell’incontro
di ritorno, l’Inter deve rinunciare a questa nascente cannoniere.
4 novembre 1948, Inter vincente a
Torino, 1-0, goal risolutore, a metà ripresa, di Amadei. Su azione
personale di Lorenzi, riportano le cronache del match. Ed i giornali
sottolineano un’ottima prestazione dell’attaccante interista che,
pur non segnando, mette a soqquadro l’intera retroguardia juventina.
Partita di ritorno: è il 6 marzo del 1949, 1-1. Ancora Amadei eppoi
pareggio di Muccinelli. Lorenzi così così, Angeleri ha fatto su di
lui una guardia sopraffina.
Torneo 1949/50, scudetto che
andrà nuovamente alla Juventus; ritroviamo qui le tradizione dei
grandi scontri fra le due società, con Lorenzi sugli scudi nella
qualità di guastafeste.
13 novembre 1949, il Comunale
torinese straripa di folla e, ad ogni azione, il boato della folla
sembra far sprofondare le gradinate stracariche. L’Inter è vicina
alla Juventus in classifica e, per di più, comincia la partita in
modo esemplare, con Tulipano Wilkes che lascia tutti a bocca aperta
andando a fare goal all’incolpevole Viola. Il pareggio di John
Hansen sembra ridare slancio alla Juventus, ma nessuno ricorda che
Veleno Lorenzi è specializzato in goals terribilmente importanti. Un
attimo di indecisione della difesa bianconera e Benito castiga i
suoi avversari con la rete del nuovo vantaggio nerazzurro. Nel
finale burrascoso, che premierà il gran premere degli avanti
bianconeri per tutto il secondo tempo, Lorenzi si eclissa dalla
partita. La Juventus vince la partita ed ipoteca il campionato: uno
scudetto con largo anticipo, distaccando di sette punti il Milan ed
undici l’Inter.
Juventus ed Inter, col Milan
terzo incomodo, dominano i campionati. Il giorno della befana del
1952, lo scontro diretto è ancora una sagra delle emozioni. Primo
tempo nerazzurro, ripresa bianconera, finisce 3-2 per la “Zebra”, ma
ancora una volta Lorenzi fa passare momenti di panico alla difesa
juventina. In chiusura del primo tempo, Rinone Ferrario, suo angelo
custode, nonostante giochi un’ottima partita e sia un fior di
marcatore, lo vede soltanto quando è troppo tardi e Veleno segna uno
dei suoi goal beffardi ed irresistibili. Finché vince la Juventus
tutto bene. Lorenzi crea guai, ma non risolve la partita. Ma nel
match di ritorno, a San Siro, Lorenzi segna e risolve. Troppo tardi
replicheranno Boniperti e John Hansen.
L’anno dopo Benito supera sé
stesso costruendo, con le proprie prodezze, lo scudetto nerazzurro:
la squadra di Foni, con una difesa ermetica ed impenetrabile
imperniata sui terzini Blason e Giacomazzi, trova nelle folgorazioni
di Lorenzi, oltre che nelle serpentine di Skoglund e Nyers, la
soluzione tattica per liquidare la concorrenza.
La Juventus è avversaria
irriducibile, ma nello scontro diretto deve soccombere: primo tempo
incertissimo, difese che prevalgono sugli attacchi. Poi,
improvvisamente, Lorenzi realizza l’1-0. Raddoppia Skoglund in
chiusura, ma è quasi inutile. Rimontare un goal all’Inter, infatti,
con la difesa che si ritrova, è impresa ardua anche per gente come
Præst e John Hansen.
27 ottobre 1957, una generazione
di calciatori è tramontata dalla prima volta: adesso gli assi
forestieri della “Vecchia Signora” non si chiamano più Hansen e
Præst, ma Sivori e Charles, e la Juventus sta tornando
prepotentemente al vertice. Anche l’Inter allinea un fuoriclasse
straniero, argentino come Omar: si chiama Angelillo ed è,
naturalmente, il sorvegliato speciale dell’attacco nerazzurro, che
rispolvera, per l’occasione, un Lorenzi ormai al tramonto. Segna
l’Inter e per la Juventus ci vuole tutta la classe di Charles per
evitare la sconfitta. Goal di Lorenzi, naturalmente, per un grande
commiato.
Molti ricordano Benito Lorenzi
come un cattivo in campo. Il giorno dell'esordio in maglia
nerazzurra, contro l’Alessandria, si fece espellere ed ai Mondiali
di Svizzera del 1954, nella partita contro i padroni di casa, rifilò
un calcione all’arbitro brasiliano Viana. Ecco il racconto di
Veleno. «Come al solito dissero che ero stato io. Sì, certo qualche
calcio glielo sferrai pure io, ma ero uno degli ultimi, gli altri lo
avevano già spintonato, scalciato, se lo meritava. E quando entrò
nello spogliatoio corse incontro ad un certo signor Andreolo, ex
campione del mondo che era il nostro accompagnatore, come per
chiedergli protezione visto che era sudamericano come lui. Per tutta
risposta Andreolo, quando gli fu a tiro, gli piazzò un cazzotto in
faccia. Quel Viana non arbitrò più, fu radiato e perdonato solo
trent'anni dopo».
Quando, contro la Fiorentina, il
compagno Stefano Nyers sbagliò un goal clamoroso, Lorenzi lo colpì
costringendo l’ungherese ad allontanarsi dal campo. Richiamato
bruscamente all’ordine («rientra che i conti li facciamo dopo»),
alla seconda occasione Nyers segnò e rincorse Lorenzi per
restituirgli il favore.
Era anche noto per strizzare, di
nascosto, i testicoli degli avversari per sbilanciarli durante i
contrasti aerei e non si tratteneva mai dall’usare il suo
taglientissimo vernacolo toscano per provocare gli avversari. Sua
l’invenzione del soprannome Marisa, affibbiato a Giampiero Boniperti
con grande disappunto dell’interessato. In pieno stile anche la
provocazione a John Charles. Veleno, infatti, non fu tanto tenero
nei confronti della Regina d’Inghilterra, definendola una donna di
facili costumi. La provocazione non ebbe effetto, perché il Gigante
buono, rispose pacificamente: «Non è la mia regina, io sono
gallese».
Il soprannome di Veleno, però,
non deriva dai giornalisti, che si limitarono ad appropriarsene, ma
dalla madre Ida, che lo chiamava così per i suoi trascorsi di
bambino molto vivace. Anche il nome Benito nacque da uno scherzo,
voluto dal nonno del calciatore come sfottò verso il nascente regime
fascista, che lo aveva costretto a chiudere la sua panetteria.
Ma il massimo lo raggiunse
durante un derby Inter-Milan, quando venne fischiato un rigore assai
dubbio a favore dei rossoneri. Lorenzi andò dal proprio
massaggiatore e si fece consegnare un pezzo di limone. Mentre
l’arbitro Lo Bello era distratto dalle proteste dei giocatori in
campo, lo posizionò rapidamente appena sotto il pallone, posato sul
dischetto degli undici metri. Nonostante le grida dei tifosi, il
rigore venne tirato da Cucchiaroni, ala sinistra del Milan, che non
si era accorto di niente. Il tiro sbilenco fece uscire il pallone di
oltre sei metri e la partita si chiuse sull’1-0 per gli interisti.
Tutto questo, però, costrinse Veleno ad una rapida fuga negli
spogliatoi per evitare l’invasione di campo dei tifosi avversari,
infuriati.
http://ilpalloneracconta.blogspot.it/2009/11/benito-lorenzi.html
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Nel 1954 il presidente e
patron Carlo Masseroni è ormai appagato dalle vittorie in Serie A e
inizia una lunga trattativa con il petroliere Angelo Moratti per la
cessione della società. Senza nuovi arrivi stranieri (il Ministro
Andreotti ha chiuso le frontiere dopo la figuraccia a Svizzera '54)
il vuoto lasciato da Giovannini vuole essere colmato da Giorgio Bernardin, che però
non convince in linea con le prestazioni generali della squadra:
alla fine del 1954/55 l'Inter arriva solo ottava.
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