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LA STORIA DI UNA MAGLIA
INTER STORY - di Enzo Anderloni -
La guardi, la riguardi, la pieghi con cura, come se si trattasse di una reliquia. L'ultima carezza, discreta, e la riponi con cura nel cassetto. Un rito, qualcosa di sacro, appunto, che si ripete ogni volta che ti capita tra le mani l'oggetto di culto per eccellenza: la maglia della tua squadra del cuore, la maglia dell'lnter. "Camera tua è un disastro, tutto in disordine! Perché non metti a posto tutto come fai con quella maglietta?! ". Nero e azzurro. I colori che il pittore Giorgio Muggiani, tra i fondatori della società, mise insieme all'oro disegnando quel mitico logo quasi cento anni fa e che da allora ci sono entrati nel sangue. Due colori accostati che profumano di storia, che rievocano vittorie epiche anche passati attraverso l'obbiettivo del fotografo d'epoca, in bianco e nero: il nerazzurro spicca anche nelle immagini che lo traducono in "nero e grigio". Quanto è nerazzurra quella maglia, al Prater di Vienna in Coppa Campioni, edizione '63-64 (la prima conquistata dalla Grande Inter). Eppure, oltre alla registrazione della parlantina impostata e cadenzata di Nicolo Carosio, cosa ci rimane di quella sfida? Delle immagini sgualcite, delle fotografie graffiate che riportano le undici camisetas blancas degli spagnoli che corrono affianco a delle casacche a strisce apparentemente nere e grigie. In realtà, nerazzurre. Ma quali origini hanno quelle strisce? Perché quei due colori? Già allora le maglie di Corso e Mazzola, Burgnich e Facchetti, Picchi e Suarez avevano quasi sessantanni di storie, di episodi e di aneddoti alle spalle. Adesso quei sessantanni sono diventati quasi un secolo, e gli aneddoti sono esponenzialmente aumentati. Tanto da diventare storia. E per provare a ricostruirla questa storia della maglia a strisce nerazzurre, quella che lega la bella maglia in tessuto hi-tech di oggi al cotone grezzo (o alla lana) di una volta siamo '"o" andati fino all'ombelico del nostro mondo. Nel ventre del Meazza di San Siro, c'è infatti il museo che raccoglie ogni cimelio possibile e immaginabile (anche inimmaginabile, per la verità) appartenente alla storia del F.C. Internazionale Milano. Come quella sorta di gilet a strisce
verticali nerazzurre, che il direttore del museo, Onorato Arisi
(nonché collezionista, storico dell'lnter e interista storico dalla
passione viscerale) ci spiega essere stato il premio scudetto per
coloro che nel 1910 regalarono il primo tricolore alla società. E' il
più antico capo nerazzurro in circolazione. Un pezzo unico, come tanti altri esposti al museo. E
sono tutti pezzi suoi. Ha impiegato quasi tutti i suoi 50 anni (a
proposito li ha compiuti in agosto ma festeggiati pochi giorni fa con
una serata fantasmagorica proprio al Meazza: tanti auguri, Onorato!)
per metterli insieme. Battendo ogni pista, andando a cercare giocatori
in pensione, parenti di giocatori in pensione, grandi tifosi,
collezionisti di memorabilia. Passando al setaccio tutti i mercatini
finché ha potuto. Fino a quando cioè non è diventato una celebrità
nel settore e si è visto sistematicamente raddoppiare "ad
personam" il prezzo di ogni reperto. E' a lui che ci siamo
rivolti per provare a ridisegnare le tappe evolutive che portano la
divisa nerazzurra fino alla Nike di oggi. E a lui abbiamo chiesto
notizie della prima maglia. Quella che al museo non c'è. E che
secondo lui non esiste nemmeno più.
Tuttavia non esiste un pezzo di carta, un documento ufficiale
che confermi la veridicità della supposizione. La storia mette a
verbale l'atto di fondazione con i suoi 43 soci ma della scelta dei
colori non dice nulla. Storia e leggenda si mescolano alle dicerie
popolari, così come quella di un presunto anatema lanciato dai nostri
quarantatre, che abbandonarono i rossoneri con una minaccia: "Non
vincerete niente per tanti anni quanti siamo noi". Se l'albo
d'oro è affidabile e se la matematica non è un opinione, dal 1907,
anno della scissione, al 1951, anno della vittoria del primo scudetto
del Milan dopo la "maledizione", ci sono di mezzo proprio 43
campionati in bianco. Ma torniamo a noi, a quella maglia che
accompagnò la squadra anche attraverso la Prima Guerra Mondiale. Una
maglia, va ricordato, senza elementi distintivi per i giocatori: non
c'erano né i nomi né i numeri sulla schiena. E infatti i cronisti
dell'epoca faticavano a trascrivere le formazioni, spesso elencate
alla rinfusa, mescolando nomi e ruoli. E il nove di Altobelli, l'undici di
Rummenigge, il dieci di Matthaeus. Da allora in poi il nerazzurro
resta ma i cambiamenti più o meno importanti da un punto di vista
estetico hanno cadenza annuale. A sancirlo, nella stagione '81-'82,
c'è una rivoluzione: la comparsa, sulle casacche della squadra, dello
sponsor. L'Inter è la prima società a stamparsi sul petto il nome
dell'azienda partner: Inno-Hit, prodotti dell'elettronica di consumo.
E' il marketing, con le sue regole, ad apportare da quel momento i
cambiamenti più significativi. L'obiettivo della
pubblicità è
quello, per definizione, di rendere visibile un marchio, un prodotto,
un'azienda. Per questo motivo si adottano delle soluzioni grafiche che
permettano allo sponsor di ottenere buona visibilità. Così la
tonalità del blu viene smorzata, le bande nere si restringono e così
via. L'altra novità di quegli anni fu l'introduzione di un nuovo
stemma: un biscione forse troppo stilizzato (fino al punto di essere
chiamato vermicello) per durare negli anni. E infatti, non durò. Il
resto è storia, ma recente. Le tonalità si smorzano, si riaccendono,
tornano ad essere più soavi; le bande che si allargano e si
restringono; inserti gialli che compaiono (anni di grazia 2001-02 e
2002-03) e poi spariscono esattamente come sono venuti. Maglie
rugbistiche, cioè a bande orizzontali, che evocano nottate d'Uefa
vittoriose all'ombra della Tour Eiffel (a proposito, le bande
orizzontali, blu e grigio-azzurre, sono di ritorno sui campi europei
in questa stagione) e divise da trasferta modello anni '60 (bianche
con pochi ma significativi tocchi di nerazzurro). Il percorso storico
della maglia dell'lnter si ferma qui, alle nuove maglie ufficiali che
non sono ancora da museo: vivono ogni nuova sfida da protagoniste sul
campo in questa stagione, addosso ai nostri eroi, con i loro nomi a
grandi lettere sulla schiena. Gente che va a caccia di quelle imprese
che porteranno le maglie domani a fare da gloriosi souvenir nelle
bacheche del Museo di San Siro. Onorato Arisi è pronto ad afferrarle,
catalogarle, accendere i riflettori su di loro. Era il sogno della sua
vita, l'ha realizzato e continua a viverlo. La sua collezione cresce
giorno dopo giorno. L'ultima emozione gliel'ha regalata un grande ex,
il suo amico Hansi Muller che si è presentato alla festa di
compleanno con la maglia usata da Adriano nel recentissimo
Germania-Brasile, autografata e dedicata dal nostro formidabile
bomber. Sarebbe da esposizione. Ma probabilmente è troppo privata.
Come privatissima è la nostra, quella che magari, all'insaputa di
tutti, teniamo sotto il cuscino, cullando sogni di gloria. In nero e
azzurro.
LINKS AI MIGLIORI SITI DEDICATI ALL'INTER
che ringrazio, per il loro contributo alla creazione di queste pagine nerazzurre.
I DERBY DELLA MADONNINA
Il derby di Milano è la stracittadina calcistica che mette di fronte le due squadre di Milano, i nerazzurri dell'Inter e i rossoneri del Milan. Colloquialmente è detto anche derby della Madonnina, dalla caratteristica statua della Madonna Assunta posta in cima al Duomo di Milano. Storicamente il tifo per l'Inter era emanazione della borghesia cittadina, a differenza di quello del Milan supportato a maggioranza dalle classi popolari. Infatti, i tifosi nerazzurri soprannominavano quelli rossoneri casciavìt, che in milanese significa «cacciaviti», proprio per indicare l'estrazione operaia della maggior parte di quei tifosi milanisti che a loro volta apostrofavano i loro rivali baùscia, termine dialettale milanese che significa «sbruffone», essendo allora la tifoseria interista composta perlopiù dalle classi altolocate: il tifoso nerazzurro poteva permettersi il "lusso" di andare a San Siro in motoretta (muturèta, altro soprannome dato agli interisti dai milanisti); d'altro canto, i rossoneri erano i tramvèe (cioè in grado di arrivare allo stadio solo coi mezzi pubblici). Questo divario tra le due tipologie di tifosi andrà spegnendosi sul finire degli anni sessanta del XX secolo, in coincidenza con l'avvenuta riconfigurazione dell'assetto socio-economico dell'Italia e della realtà lombarda. A livello di palmarès si tratta di uno dei match di maggior prestigio nel panorama europeo e tra i più noti in quello mondiale. Le due squadre contendenti sono, infatti, le sole formazioni europee di una stessa città a essersi laureate campioni continentali, avendo vinto la Coppa dei Campioni/UEFA Champions League, nonché campioni del mondo, avendo conquistato sia la Coppa Intercontinentale sia la successiva Coppa del mondo per club FIFA (record quest'ultimo, limitatamente all'Intercontinentale, condiviso con le due squadre di Madrid, il Real e l'Atlético). Il derby di Milano è stato inoltre uno dei pochi in Italia ad aver assegnato trofei ufficiali quale ultimo atto di un torneo, nella Coppa Italia 1976-1977 e nella Supercoppa italiana 2011. (wikipedia)
17 Feb 1910 5-1 3
PETERLY, ENGLER, CAPRA
LIBRI SULL'INTER
LUOGHI MILANESI DELL'INTER
Ristorante L'Orologio Via Giuseppe Mengoni (angolo Piazza Duomo 20) La sera del 9 marzo 1908 nel ristorante ‘Orologio’ in via Megoni viene fondato il Football Club Internazionale da un gruppo di dissidenti del Milan Football and Cricket Club. I colori sociali vengono scelti da uno dei fondatori, il pittore futurista Giorgio Muggiani: «Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l’azzurro sullo sfondo d’oro delle stelle. Si chiamerà Internazionale, perché noi siamo fratelli del mondo». La tradizione dice anche che la scelta del colore blu viene fatta poichè, al tempo, venivano molto utilizzate matite che avevano alle due estremità i colori blu e rosso: un ulteriore indizio per distinguersi ancora più chiaramente dai rivali del Milan.
Casa Natale di Giuseppe Meazza In zona Porta Vittoria nacque Giuseppe Meazza, calciatore e poi allenatore a cui fu intitolato lo Stadio in zona San Siro. A 16 anni entrò nella prima squadra dell'Internazionale e a 17 esordì, segnando 3 gol nella prima partita. Grandissimo campione, militò per anni nell'Inter e divenne un mito del calcio italiano. Vinse 2 Campionati del Mondo con la Nazionale Italiana nel 1934 e nel 1938.
foto da: http://www.passioneinter.com/notizie-nerazzurre/cittadella-inter/
I CAMPI DI CALCIO DELL'INTER
Campo di Ripa di Porta Ticinese - Ripa di porta Ticinese, 113/115 Il primo campo da gioco dell'Internazionale, in terra battuta e delimitato da cassette di frutta. Lungo uno dei lati scorreva il Naviglio Grande: per questo erano sempre a disposizione barche per recuperare i palloni finiti in acqua.
1913 - 1930 - Campo Goldoni/Fossati - via Goldoni 61, corrispondente all'attuale Piazza Novelli Dal 1913 venne utilizzato il Campo Goldoni. Nel 1928, nel decennale della morte, venne intitolato a Virgilio Fossati, secondo capitano nerazzurro. Dopo il crollo della tribuna nel 1930, il campo venne chiuso e l'Inter si trasferì all'Arena Civica, che aveva una capienza di 30 000 posti, dove disputò i suoi incontri fino al 1947
fonte: http://contropiede.ilgiornale.it/zizi-cevenini-il-primo-fuoriclasse-dalla-bocca-larga/
1930 - 1947 - Arena Civica Gianni Brera Viale Giorgio Byron, 2. Dal 1930 al 1947, e poi occasionalmente fino al 1958, l’Inter giocò le partite interne all’Arena Civica. Vi si era trasferita dopo che le tribune del vecchio stadio Goldoni-Fossati erano crollate, causando diversi feriti. L’ultima partita giocata qui, eccezionalmente, dall’Inter fu il 10 dicembre 1958: gara di Coppa delle Fiere contro il Lione, vinta per 7-0..
Il primo scudetto della storia interista (1909/10) è legato a doppio filo all'Arena Civica, e non solo: contro la Juventus il 28 novembre 1909 viene consegnata alla storia la prima vittoria in assoluto in campionato dell'Inter. Il campo ufficiale era in Ripa di porta Ticinese, ma spesso era in condizioni pietose e al limite della praticabilità e così il Comune di Milano aveva concesso ai nerazzurri di disputare all'Arena Civica (che in quel periodo veniva utilizzata per altre manifestazioni, sportive e non, tra cui il tiro al piccione e le battaglie navali) le gare interne durante tutto il periodo invernale. Nel 1913 venne costruito il campo di via Goldoni, nuova casa dell'Inter, ma per le partite più importanti ci si continuava a trasferire all'Arena grazie alla sua maggiore capienza: è così che gli scudetti del 1919/1920 e del 1929/1930 vennero conquistati su entrambi i campi, addirittura quello del 1930 sotto la guida di Arpad Wiesz su tre campi poiché quando quello di via Goldoni divenne inagibile a causa del crollo della tribuna, la Beneamata disputò la partita decisiva per lo Scudetto contro la Juventus a San Siro, esordendo di fatto in quella che solo nel 1947 sarebbe diventata anche la sua casa.
DAL 1947 - Stadio San Siro Piazzale Angelo Moratti. Lo stadio San Siro, voluto dall'allora presidente del Milan Piero Pirelli, è costruito nel 1925 nell’omonimo quartiere milanese, nelle vicinanze dell’Ippodromo del Trotto. Progettato da Ulisse Stacchini e Alberto Cugini come campo ufficiale della squadra di calcio Milan F.C., è inaugurato nel 1926 con un derby amichevole vinto dall’Inter per 6-3. L’opera affascina gli spettatori, con i suoi sette ingressi (quindici nelle grandi occasioni), le due biglietterie, le tre tribune scoperte e quella d’onore, che può ospitare 9.000 posti a sedere sui 30.000 complessivi. La struttura rimane di proprietà rossonera fino al 1935, quando è acquistata dal Comune di Milano e dal 1947 diventa l’impianto ufficiale anche dell’Inter, che fino ad allora disputava le sue partite all’Arena Civica. Nel corso della sua storia lo stadio San Siro è stato più volte ristrutturato e ampliato: nel 1939 le quattro tribune lineari sono collegate con le quattro curve creando un unico anello dalla capienza di 55.000 spettatori. Nel 1955, con la costruzione del secondo anello la capienza sale a 100 mila spettatori e il 25 aprile 1956 sono inaugurati i posti popolari in occasione della partita Italia - Brasile (3 - 0). Nel 1980 lo stadio San Siro è intitolato a Giuseppe Meazza, grande giocatore sia nella squadra dell’Inter, dove esordisce appena diciassettenne, che in quella del Milan. In occasione dei mondiali del 1990, quando lo stadio Meazza San Siro è scelto per ospitare la partita inaugurale, gli architetti Ragazzi e Hoffner progettano la costruzione di un terzo anello indipendente, sostenuto da 11 enormi torri cilindriche esterne, oltre a un nuovo impianto di illuminazione e ad un sistema di riscaldamento del manto erboso. Il Meazza assume il suo aspetto attuale. “La Scala del calcio” ha ospitato partite di Mondiali e Coppa Europa, finali di Coppa dei Campioni-Champions League, oltre alle partite di campionato. Numerosi anche gli artisti italiani e internazionali che hanno scelto lo stadio Meazza San Siro per i loro concerti.
TUTTO SU SAN SIRO
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Mick Jagger | ||||
Il giorno che diventai nerazzurro per sempre. In quel Catania-Inter del 28.3.1971, io c'ero. Tipico dei ragazzini, la notte prima non riuscii nemmeno a dormire pensando di veder giocare la squadra del mio cuore: l’Inter! Era l’Inter zeppa di vice Campioni del mondo ai Mondiali di Messico ‘70: Mazzola, Facchetti, Burgnich, Bertini, Boninsegna e prossimi a conquistare lo scudetto. Ero seduto nella tribuna laterale ma quando vidi sbucare le squadre fuori dagli spogliatoi, cominciò a battermi il cuore. In quella partita, stranamente, l'Inter giocò con la divisa ufficiale con quell'azzurro bellissimo sulle maglie che oggi non si usa più. Non potevo rimanere là, dovevo vederli da vicino e scesi in curva fin dietro alle porte, proprio vicino alla bandierina del calcio d'angolo per vedere meglio le azioni, fino a vedere che marca di scarpini usava Bordon! Quel giorno il Cibali era un pantano, ma c’era abbastanza verde da far spiccare quei colori indossati dalla pantera Jair, da Mariolino Corso, dallo stantuffo Bertini e dal CENTRAVANTI Boninsegna. Il vedere le mie figurine Panini lì davanti, in carne ed ossa, mi faceva venire i brividi. Quando smise di piovere, seppur inzuppato dalla testa ai piedi, ero ancora lì e al settimo cielo. L’erba bagnata emanava un fresco odore e potevo sentire Bordon mentre incitava Bellugi a lanciare il pallone verso l’ennesima cavalcata di Facchetti. Mi sembrava di stare in mezzo ai miei campioni e non al Cibali, ma a San Siro. Cosa potevo desiderare di più a 13 anni? Oggi tutto questo sarebbe stato normale, ma negli anni Settanta no, era diverso e irraggiungibile. Clamoroso al Cibali, in quel pomeriggio si realizzò un sogno! Per essere lì presente, abbracciato a Bonimba, sarei stato disposto anche a patteggiare con la famiglia per un corso di ripetizione e recupero di matematica (per me il massimo della pena, quindi figuratevi). Clamoroso al Cibali! In quel pomeriggio si realizzò un sogno! M.R.
LA MIA FORMAZIONE IDEALE
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