Massimo Moratti

Il 18 febbraio 1995 la squadra ritorna nelle mani della famiglia Moratti: è Massimo, figlio di Angelo, a prenderne le redini, assegnando all'ex capitano nerazzurro Giacinto Facchetti un ruolo dirigenziale. I risultati, però, faticano ad arrivare. Dopo aver concluso il campionato di Serie A 1994-1995 al 6° posto, nella stagione seguente l'Inter si piazza settima a 19 punti dal Milan campione d'Italia. Nel 1996-1997 la squadra giunge terza in campionato a 6 punti dalla Juventus e perde la doppia finale di Coppa UEFA contro lo Schalke 04 ai calci di rigore.
L'estate 1997 segna una svolta: Moratti ingaggia Luigi Simoni come allenatore e acquista per 48 miliardi di lire dal Barcellona il fuoriclasse brasiliano Ronaldo, che nel dicembre di quell'anno è eletto Pallone d'Oro. Con l'innesto del Fenomeno, che mantiene un rendimento straordinario nel suo primo anno italiano, nella stagione 1997-1998 la squadra torna ad essere competitiva e a battersi per lo scudetto insieme a una delle rivali storiche, la Juventus. I nerazzurri conducono la classifica per le prime 16 giornate prima di essere sorpassati a metà torneo dai bianconeri, campioni d'inverno. A quattro giornate dalla fine, con la Juventus capolista a quota 66 punti e l'Inter seconda a 65, le due rivali si affrontano a Torino. Il clima è molto teso a causa di polemiche suscitate da controverse decisioni arbitrali delle giornate precedenti riguardo le due squadre. Sul finire del primo tempo la Juventus passa in vantaggio con un gol di Alessandro Del Piero. 

Nella ripresa, sull'1-0, l'arbitro Ceccarini di Livorno decide di non intervenire di fronte ad un contatto in area bianconera tra Ronaldo e Mark Iuliano, parso ai più falloso e quindi punibile con il rigore. Nel proseguimento dell'azione è invece la Juventus a guadagnare il rigore, che però lo stesso Del Piero sbaglia, facendosi parare il tiro da Gianluca Pagliuca. Il finale di partita è molto acceso: Simoni, infuriato, si dirige verso Ceccarini ed è trattenuto dagli addetti. Mentre nei giorni successivi all'incontro si crea un vespaio di polemiche in tutto il paese, il giudice sportivo infligge all'Inter un totale di 10 giornate di squalifica, sommando le sanzioni all'allenatore ai giocatori. Nelle giornate successive la squadra di Simoni perde ulteriore terreno e così la Juventus vince il campionato di Serie A 1997-1998. In Coppa Italia i nerazzurri escono agli ottavi ad opera del Milan, sconfitto nel ritorno per 1-0 ma qualificato grazie al vittorioso 5-0 dell'andata. La maggiore soddisfazione dell'annata per l'Inter viene dall'Europa, dove i nerazzurri riscattano la sconfitta nella doppia finale di Coppa UEFA subita l'anno precedente contro lo Schalke 04. In quella stessa competizione, che da quell'annata è decisa dalla finale unica, l'Inter supera infatti la Lazio per 3-0 al Parco dei Principi di Parigi nel maggio 1998, mettendo in bacheca la terza Coppa UEFA della sua storia.

 

 

 

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FINALE COPPA UEFA 1997 - INTER E SHALKE04

(la formazione nerazzurra in una delle due finali)

 

 

 

 

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26 aprile 1998, trentunesima giornata di Serie A: al Delle Alpi di Torino si gioca Juventus-Inter. È la sfida scudetto, né più né meno. La squadra di Lippi è prima in classifica, ma da marzo va praticamente a braccetto con gli interisti: dopo due pareggi contro Napoli e Parma, perde il grande vantaggio che si era creata con un campionato strepitoso: Simoni e i suoi sono lì, ad un punto. Ci restano per cinque giornate, riescono ad arrivare con il minimo vantaggio allo scontro diretto. Un vantaggio che poteva essere al contrario, perché una settimana prima, in Empoli-JImmagine correlatauventus 0-1, l'arbitro Rodomonti non aveva convalidato il pareggio toscano nonostante il colpo di Bianconi fosse stato respinto da Peruzzi ampiamente oltre la linea di porta. C'era già veleno a nuotare nelle vene del derby d'Italia.

Lippi gioca con il 3-4-1-2: Peruzzi in porta, difesa a tre con Torricelli, Iuliano e Montero, centrocampo con Di Livio e Pessotto sulle fasce e Deschamps e Davids in mezzo, e poi Zidane alle spalle di Del Piero e Inzaghi. Simoni risponde con un 4-4-2 che in realtà è un 1-2-4-2, perché sono gli anni novanta e il libero non è ancora scomparso: davanti a Pagliuca c'è Fresi, ultimo uomo dietro a West, Colonnese e Zanetti; poi Moriero e Cauet ai lati di Winter e Simeone, Djorkaeff e Ronaldo in avanti. È una partita tosta, che obiettivamente l'arbitro Ceccarini non gestisce al meglio: mancano gialli da una parte e dall'altra, il principio del primo fallo gratis vale fino a un certo punto, visto che Torricelli ci casca due volte nel giro di pochi minuti e resta con la fedina intonsa.

La Juventus, poi, passa in vantaggio. Il gol è un capolavoro di Del Piero: vince la sfida a Fresi, conclude, palla ribattuta, gli arriva sul piede e in una frazione di secondo riesce a coordinarsi e a trovare lo spazio giusto fra Colonnese e Pagliuca: è il minuto 21 del primo tempo. Ronaldo, dall'altro lato, è imbrigliato e non riesce a trovare gli spazi per fare il suo solito. La partita continua a essere nervosa anche nel secondo tempo: in totale, a fine gara, saranno sei gli ammoniti. Poi, al ventiseiesimo minuto, l'episodio del veleno:Risultati immagini per juve inter ronaldo 1998 Zamorano entra in area ma è fermato da Birindelli, Ronaldo si avventa sul pallone rimpallato, Iuliano entra in ritardo sul brasiliano: corpo a corpo, Ceccarini fa proseguire. Immediato ribaltamento di fronte juventino, Zidane offre un pallone bellissimo a Del Piero, West interviene male, calcio di rigore. Casino totale: tutta l'Inter attorno a Ceccarini per protestare, si lamenta anche il solitamente pacato Simoni, che viene espulso, urla “è una vergogna”. Del Piero calcia il rigore della discordia come peggio non poteva: Pagliuca respinge con i piedi. Continua l'assalto interista ma Ronaldo è in giornata-decisamente-no.

Finisce così. La Juve va a +4. Una settimana dopo si ferma in casa del Vicenza ma l'Inter non riesce ad approfittarne, pareggiando 0-0 col Piacenza. Passa un'altra settimana, si arriva alla penultima: l'Inter gioca a Bari, la Juventus in casa col Bologna. A Torino segnano Kolyanov e Inzaghi, 1-1; in Puglia va in gol Ronaldo. A fine primo tempo, l'Inter ci crede ancora, è a -2. Segna ancora Inzaghi, +4 ristabilito, poi Baggio pareggia, e infine Superpippo fa tripletta: 3-2. L'Inter si arrende, segnano Ventola e Masinga e il Bari vince e festeggia la salvezza. Lo scudetto va alla Juventus.

Ceccarini, tempo dopo, ammetterà la colpa: quel rigore si poteva dare, dice. Poi, pochi anni fa, corregge il tiro: “ero troppo vicino, non ero nella posizione migliore per valutare, ma rivedendola avrei dato calcio di punizione a due in area”. Ne parla pure Iuliano: “L'arbitro ha sempre ragione. Quando penso a quel rigore ci rido su. Ma avremmo vinto comunque: eravamo superiori a tutti. Non si può giudicare un campionato da un episodio”.

https://www.fantagazzetta.com/rubriche/memento/28_02_2016/memento---il-rigore-su-ronaldo-218974

 

 

 

 

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Trentaduesimi di finale

Milano 16-09-1997 Inter – Neuchatel Xamax 2-0
Neuchatel 30-09-1997 Neuchatel Xamax - Inter 0-2
 

 

Sedicesimi di finale

Milano 21-10-1997 Inter - Lione 1-2
Lione 04-11-1997 Lione - Inter 1-3
 

 

Ottavi di finale

Strasburgo 25-11-1997 Strasburgo - Inter 2-0
Milano 09-12-1997 Inter - Strasbugo 3-0
 

 

Quarti di finale

Milano 03-03-1998 Inter – Schalke 04 1-0
Gelsenkirchen 17-03-1998 Schalke 04 - Inter 1-1
 

 

Semifinale

Milano 31-03-1998 Inter – Spartak Mosca 2-1
Mosca 14-04-1998 Spartak Mosca - Inter 1-2

 

 

 

FINALE

 

 

 

 

 

 

 

 

RONALDO. Per fermarlo bisognava sparagli

 

disse Miguel Angel Lotina, l’allenatore del Logrones a cui Ronaldo aveva appena segnato 2 gol. Tecnica e potenza a velocità supersonica: per due anni, dal 1996 al 1998, Ronie è stato immarcabile, “Fenomeno “Inumano ” ed “E. T. ” Il Barcellona, l’Inter e il Re al Madrid hanno beneficiato delle sue qualità. Col Brasile è diventato capocannoniere del mondiale, vincendone due. Così alla fine, più dei difensori, a fermarlo sono state le ginocchia

 A fine Ottocento re Doni Pedro III ordinò la costruzione della ferrovia e in un attimo, a ridosso delle rotaie, come cuccioli attorno a una cagna, si raccolsero disordinati gruppi di case, scatole a un piano con il tetto piatto bruciato dal sole. Bento Ribeiro, quartiere povero alla periferia nord-ovest di Rio de Janeiro, è una nidiata del genere. Qui, al 114 di rua General Cesar Obino, il 22 settembre 1976, nasce Ronaldo Luiz Nazario de Lima, figlio di Sonia e di Nelio Nazario de Lima, che hanno già messo al mondo Yone, 4 anni e Nelinho, 3. Lo chiamano Ronaldo dal nome dell’uomo che lo ha aiutato a venire al mondo: il dottor Ronaldo Valente. In realtà il vero battesimo glielo somministra il fratellino Nelinho che proprio non ce la fa a pronunciare tutte quelle consonanti diverse e semplifica: Dadado.

 Ronaldo resta a lungo Dadado, anche per gli amici che giocano nel suo cortile, un fazzoletto di terra irregolare, circondato da muri bianchi e presidiato da un albero di mango. In quel fazzoletto, appena Ronaldo riesce a mettersi in piedi, cominciano le partite di “pelada, cioè calcio da strada a piedi nudi, con la palla che a forza di strisciare sui muri e sui sassi si “spela”, appunto, e diventa sempre più simile al gomitolo di stracci che ha svezzato generazioni di fuoriclasse brasiliani. Poi arriva la prima squadretta: Tennis Club Valqueire, calcio a 5.

 La cosa buffa è che insieme alla prima maglia ufficiale, gli consegnano anche un paio di guanti perché Dadado si mette in testa di fare il portiere. Il giorno che se li toglie e decide: “Vado in attacco”, comincia ufficialmente la leggenda del Fenomeno. Allenato da polverosi anni di “pelada” Ronaldo si muove come un rettile negli spazi stretti del calcio a 5 e riempie le reti di gol, compresa quella del ricco Vasco da Gama. È qui che gli cascano addosso le prime occhiate. E il primo mini-trasferimento: Social Ramos, squadra della città, ma sempre campo piccolo, non quello grande di Zico. Ogni volta che ha un pallone al piede, Dadado gioca a sentirsi il Galinho al centro del mitico Maracanà, con la maglia del Flamengo.

 Lo sogna così tanto che riesce a procurarsi un provino vero al Flamengo. II gran giorno, mamma Sonia gli mette al polso Yorologio della prima comunione e Ronaldo parte in treno per raggiungere il centro d’allenamento dei rossoneri, a Gavea. E’ la prima grande delusione della sua vita. Al ritorno in treno, due balordi gli rubano l’orologio. Ma, soprattutto, il Flamengo, pur conquistato dal provino, non può pagargli il biglietto del treno o dei sei autobus che collegano Bento Ribeiro a Gavea, per gli allenamenti. La povertà non è una casa brutta, ma dover rinunciare ai sogni che ti sei meritato: questo impara dolorosamente Dadado.

 A 11 ci gioca così con il meno nobile Sao Cristovao e anche qui sono gol a grappoli. Tanto che un bancario di nome Alexandre Martins, a tempo perso cacciatore di talenti, avverte eccitato il compagno di sportello Reinaldo Pitta: “Ho trovato una pepita grossa così…”. Acquistano il cartellino di Ronaldo per 7.500 dollari. E’ l’intuizione che li dispenserà per sempre dal sudore. Li chiameranno il Gatto e la Volpe. Portano Ronaldo al Cruzeiro di Belo Horizonte, zona di miniere, l’ideale per raffinare la pepita. Il ragazzo si presenta a Donna Sonia: “Per favore, mamma, da oggi non chiamatemi più Dadado. Ora sono un calciatore vero. Ho 16 anni”.

 I compagni più anziani del Cruzeiro lo adottano volentieri e non solo perché il bambino di Bento Ribeiro con l’apparecchio ai denti fa tenerezza. Alla fine della stagione 93-94 i numeri dicono questo: tra campionato, coppa del Brasile e spiccioli, 54 partite, 56 gol. Cinque in una partita sola che a Belo Horizonte non dimenticheranno. Jairzinho, leggenda della Selecao, d.s. del Cruzeiro spiega: “Dare la palla a Ronaldo è aver già segnato mezzo gol”. In panca c’è un altro mondiale messicano: Carlos Alberto. Pelé viene scomodato nel paragone perché il bimbo dai denti di ferro esordisce in nazionale a 17 anni contro l’Argentina: esattamente come O’Rei.

 Carlos Alberto Parreira si porta al mondiale Usa il reuccio di Bento Ribeiro, coccolato da un’intera nazione, ma non lo fa mai esordire. Anche per questo, tutto il Brasile in coro gli urla “Burro! ‘, “Asino!”, a ripetizione. Solo che poi Parreira ci batte in finale ai rigori e l’Asino diventa di colpo un purosangue di razza da consegnare alla storia. Nella foto del trionfo, Ronaldo è sdraiato a terra, ugualmente felice, sotto la coppa, accanto a Romario. Il Gatto e la Volpe hanno venduto il Fenomeno al Psv Eindhoven, lex squadra di Romario passato al grande Barcellona. “Cosa c’è a Eindhoven?”, chiede Ronaldo. “Freddo”, risponde il Baixinho. “E poi?” “La Philips . “E poi?”, insiste Ronaldo. “Basta. Il freddo e la Philips”, tronca Romario.

 Una sera a fine allenamento, i giocatori del Psv osservano il brasiliano che si toglie un calzettone dopo l’altro e ne contano dieci, prima di scoppiare a ridere. Freddo ai piedi e al cuore: la grigia Eindhoven sta a un paio di galassie dal sole di Rio. Mamma Sonia accorre per coccolarlo e combattere la cucina olandese. Ma il regalo migliore glielo fa Vampeta, compagno di squadra, futuro interista. “E venuto un mio amico d’infanzia, si chiama Cesar. Può darti una mano. Cesar diventerà un fratello per Ronaldo e molto altro: segretario, fattorino, confidente. Insieme al fido Cesar, combattere i mulini a vento della Philips diventa molto più semplice. Anche perché da Belo Horizonte è sbarcata Nadia, studentessa aspirante modella.

Nel suo primo campionato olandese, Ronaldo segna 30 gol in 32 partite. Ad ogni centro, i tifosi caricano la R: Rrrrrrrrronaldo! Il brasiliano sorride perche la cosa lo diverte. Allarga le braccia e corre felice mostrando i suoi denti di ferro. Nella primavera del ’95 va a fare shopping a Milano e, tramite il procuratore Giovanni Branchini, stringe per la prima volta la mano a Massimo Moratti. Nel febbraio ’96 viene operato al ginocchio destro: apofisite tibiale. Suona peggio di quel che è: sofferenze di tendini e legamenti, provati dalla crescita dell’ex Dadado che ora pesa 80 kg e misura 183 cm. Si sta strappando la camicia sul corpo di Hulk che presto diventerà il Fenomeno del Barcellona.

 Il tempo di litigare con il Psv, di perdere dolorosamente la semifinale olimpica di Atlanta contro la Nigeria di Kanu, ed eccolo in Catalogna, estate del 96. Il decollo nella Liga è verticale e impressionante: 12 gol nelle prime 10 partite. Uno dei due che segna il 12 ottobre al Compostela non sarà dimenticata. Minuto 35: ruba palla a Passi nelle sua metà campo, percorre 47 metri in 11 secondi, toccando 14 volte la palla e saltando 5 avversari. Bobby Robson, tecnico del Barça, invece di esultare, si spaventa: “Com’è possibile?”. Ronaldo poi vola in Brasile, segna 3 gol alla Lituania, torna e ne fa altri 2 al Logrones. Quindi: 7 gol e due voli oceanici in 7 giorni. “Extraterrestre’ titola Marca.

 Una radio di Barcellona indice un concorso per il soprannome a Ronaldo: vincono “E.T.” e “Inumano”. Un Fenomeno, insomma. Come fermarlo? Miguel Angel Lotina, tecnico del Logrones risponde: “Io un’idea ce l’avrei: sparargli”. Pichichi della Liga (34 gol in 37 match), Ronaldo segna il rigore decisivo al Paris S.G. nella finale di Coppa Coppe. Solleva pure Coppa e Supercoppa di Spagna. Quanto basta per il premio Fifa World Player ’96: a 20 anni Ronaldo, ex portiere, è già il più forte giocatore del mondo. E’ il momento di trattare e monetizzare, pensano il Gatto e la Volpe. Ronaldo sbarca a Milano-Linate il 25 luglio 1997, alle ore 8.10. Ha un orecchino al lobo sinistro, jeans neri e camicia a scacchi. Tiene per mano la bionda Susana Werner, modella, attrice, in arte Ronaldinha.

 Alloggiano nella suite del Principe di Savoia che pochi giorni prima ha ospitato Lady Diana. Il 12 settembre a Bologna Ronaldo segna il primo gol in serie A, grazie a una finta che sdraia Massimo Paganin, poi allarga le braccia per volare di gioia sotto la pioggia. Un mesetto più tardi, tripletta in coppa Italia a Piacenza. L’ultimo gol, slalom da destra a sinistra tra cinque paletti umani, fa scattare in piedi tutto lo stadio. E passato quasi un anno esatto da Compostela (12 ottobre ’96-15 ottobre ’97): stessa strategia di conquista. L’Italia, come la Spagna, è incantata dall’Inumano. Il popolo nerazzurro comincia a cantare con orgoglio: “Il Fenomeno ce l’abbiamo noi” e a guardare ai recenti cicli di Milan e Juve senza vergogna.

 E’ arrivato l’uomo che può cambiare la storia. Infatti, 4 gennaio 1998: Inter-Juve 1-0. Ronaldo non segna, ma risolve la partita al 47′ quando decide di partire sulla fascia destra. Iuliano cerca di fermarlo, aggrappandosi e scalciando, sembra il passeggero che tenta invano di salire su un tram in corsa. Djorkaeff deve solo spingere in rete il pallone che porta l’Inter capolista a + 4 sulla Juve. 22 marzo 1998: Milan-Inter 0-3. Tra i due gol di Simeone, il Fenomeno inserisce un delizioso esterno destro che scavalca Seba Rossi. La Nord canta: “Il tabellone, guardate il tabellone! “. Peppino Prisco gongola e infierisce: “Peccato il 4-0 sbagliato da Cauet’. Dopo la doppietta alla Roma con due accelerazioni spaventose, il giallorosso Candela riconosce: “Per fermarlo ci volevano i Carabinieri”.

 Sparargli o arrestarlo: dalla Spagna all’Italia cambia poco. Ire giorni dopo la doppietta di Roma, Ronie ne segna un’altra a Mosca, su un campo infame: una lastra di ghiaccio che si trasforma in una risaia di fango. La seconda rete allo Spartak del Fenomeno è da vangelo apocrifo: in un amen scatta, cammina sulle acque, aggira il portiere e mette dentro, prima di spiegare: “Mi sembrava di essere a Bento Ribeiro, quando pioveva forte ed uscivamo a giocare nelle pozzanghere”. L’Inter e in finale di coppa Uefa. Il popolo che canta “Il Fenomeno ce l’abbiamo noi”, a questo punto, si prepara all’abbuffata.

 Ma il 26 aprile 1998 si gioca Juve-lnter: bianconeri a +2 a quattro dal termine. Del Piero porta in vantaggio la Signora, poi si scatena Ronaldo. luliano stavolta neppure ci prova a salire sul treno in corsa. Lo ferma con il corpo e con le mani. Per l’arbitro Ceccarini, e pochi altri, non è rigore. Gigi Simoni furibondo zompa in campo per rincorrerlo: “Si vergogni! Si vergogni!”. Ronaldo tuona: “Mi sento derubato. Il calcio è allegria se si gioca 11 contro 11, non 11 contro 12. Ma il mondo ha visto. Ronie, Simoni e tutti gli altri si consolano a Parigi, nel salotto del Parco dei Principi, sollevando la coppa Uefa: 6 maggio 1998, Inter-Lazio 3-0. Il Fenomeno sigilla il conto alla sua maniera: s’ingoia metà campo, sdraia Marchegiani con una finta, lo aggira e parcheggia in rete il 34° gol stagionale.

 Moratti gonfia il petto: “Ronaldo è un’enciclopedia che sfogliamo solo noi”. Tutti convinti che con un fuoriclasse del genere il futuro splenderà più di Parigi. Invece il Mondiale ’98, che Ronaldo perde nella finale con la Francia, preceduta dal misterioso malore del Fenomeno, lo introduce in un tunnel di dolore lungo quattro anni. Sulle ginocchia di Ronaldo gravano due centrali nucleari, cosce ipertrofiche, serbatoi di potenza: il segreto della sua eccezionalità atletica. Il tendine rotuleo, che collega il quadricipite alla tibia, è un ponticello che sopporta un traffico da controesodo, il filo che tiene appesa la luna al cielo. Già durante il mondiale di Francia, il ginocchio destro di Ronaldo urla la sua sofferenza. 

Il 21 novembre 1999, Inter-Lecce, quel ginocchio subisce una torsione innaturale, per colpa di una zolla infame di San Siro. Nove giorni dopo, il professor Gerard Saillant gli ricostruisce il tendine rotuleo. Il 6 aprile 2000 Ronie può mostrare i suoi dentoni sorridenti: “Oggi è nato mio figlio Ronald e ho ricevuto il permesso di giocare, forse già con la Lazio. La vita è bella”. E invece, una settimana dopo, 12 aprile, all’Olimpico di Roma, la vita lo falcia da dietro. Ronaldo rientra in campo al 13’ della ripresa e tocca cinque palloni, l’ultimo al 19′. Poi crolla a terra urlando nel mezzo di un dribbling. “Abbiamo sentito un botto, come qualcosa che si rompeva”, racconta l’arbitro Pellegrino. Il tendine rotuleo si è spezzato come un elastico, con il suono di una frustata secca. Il ponte è crollato, la luna si è staccata dal cielo. Ronaldo esce in lacrime, ripetendo “mamma” e “papà” .

 Il professor Saillant si arma nuovamente di ago e filo. Il Fenomeno rientra alla fine del 2001. Ritrova il gol a Brescia in tandem con il suo amicone Vieri, ma cozza contro il generale Cuper, che ne rallenta il rilancio e gli grava la spalle con sacchi di sabbia da portare saltellando sui gradoni. Convivenza difficile, ma il 5 maggio 2002 Ronaldo è comunque titolare nel match della grande rivincita sul destino: ancora l’Olimpico, ancora la Lazio, per la scontata festa scudetto. Invece finisce di nuovo in lacrime. L’Inter perde in modo assurdo e consegna lo scudetto alla Juve.

 Il Fenomeno si asciuga la lacrime al Mondiale nippo-coreano che vive da re assoluto: trascina il Brasile al titolo con 8 gol (capocannoniere), due alla Germania in finale. Nella notte del trionfo di Yokohama, si scorda però di pronunciare la parola Inter. Nessuna parola di riconoscenza per Moratti che lo ha trattato come un figlio; che quando Lippi spiegava “Ronaldo è uguale agli altri ‘, precisava “Ronie è un po’ più uguale degli altri”; che gli ha versato un miliardo di lire al mese anche da fermo. Nessuna promessa al popolo nerazzurro che lo attende come re del mondo per riprendere la caccia alla Juve. Scappa come un ladro. Il Gatto e la Volpe lo trascinano al ricco Real e spartiscono con Pinocchio.

 A Madrid segna, vince e se la gode. Il Paese dei Balocchi: conquista Liga, Champions, coppa Intercontinentale, supercoppa di Spagna, altro Pallone d oro, altro Fifa World Player, 1 titolo da Pichichi, 104 gol in 177 partite ufficiali nelle merengues. Dopo cinque anni, il Fenomeno rifinisce il tradimento all’Inter, passando al Milan. Al primo derby in rossonero (11 marzo 2007) segna all’amico Julio Cesar, compagno della ex Ronaldinha. Gattuso si inginocchia ai suoi piedi. Poi l’Inter ribalta il risultato (2-1), ma il gol del Fenomeno è rimasto come uno sfregio su tanti cuori nerazzurri. I 7 gol di Ronaldo sono decisivi nella risalita al quarto posto, buono per la Champions. Il resto della storia in rossonero è un rosario di infortuni.

 Alla scadenza del contratto, Ronaldo torna in Brasile. Riparte nel 2009 dal Corinthians. Tra gossip, polemiche e scommesse sul suo peso, non smette di fare le cose di sempre: segnare e vincere. Festeggia campionato Paulista e coppa del Brasile, conta 35 gol in 69 match, prima di annunciare in lacrime l’addio, nel febbraio e nel giugno del 2011: “Soffro troppo e non mi riescono più le mie giocate . Nei bar si può discutere quanto si vuole se Ronaldo sia davanti o dietro a Pelé, Maradona o Messi nella storia del pallone. Ma una cosa è certa, inconfutabile e oggettiva: il calcio che ha mostrato il Fenomeno dal 96 al 98, cioè tecnica e potenza in velocità, non lo ha mai mostrato nessun essere umano su questa terra.

http://storiedicalcio.altervista.org/blog/ronaldo-il-fenomeno.html

 

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Thuram ricorda: "Quando Ronaldo fece sentire me e Cannavaro piccoli piccoli"

“La prima volta che affrontai Ronaldo ero al Parma. Iniziò la partita, e dopo un pó me lo ritrovai davanti. Lui ti puntava, e accarezzava la palla in un modo inconsueto che rimanevi incantato". Lillian Thuram, ricorda a margine di un evento tutta la classe del Fenomeno nerazzurro, come evidenzia calciomercato.com: "Tutto questo però lo faceva ad una velocità mai vista prima.

Quel giorno, mi saltò di netto con un doppio passo. Stava andando spedito verso la porta, e gridai a Fabio: (Cannavaro n.d.r) mettilo giù mettilo giù... Fabio gli fece fallo, e l'arbitro lo ammonì.

Azione successiva, di nuovo uno contro uno, si allunga la palla in velocità, e non potetti fare altro che stenderlo... Subito dopo Fabio mi guardò è disse: Lilly qua finiamo in 9 stasera, come lo fermiamo questo qui?.

Ronaldo sentì tutto, si girò verso di noi e disse in un italiano molto scadente: scusatemi sto esagerando. Ci guardammo in faccia io e Cannavaro senza dire nulla. Con quelle parole ci fece sentire piccoli piccoli, quasi impotenti... Anche questo era il Fenomeno".

 

 

 

 

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Dal 1998 e fino al 2007 si dà una nuova ritoccata alla tradizione: il logo è sempre tondo e al centro ci sono le solite lettere intrecciate, ma in campo nero, attorno a cui ci sono due cerchi concentrici più sottili, uno blu e uno nero, quindi un cerchio blu molto più spesso degli altri, recante le scritte, bianca, Inter in alto e 1908 in basso, e, a chiudere, altri due cerchi, uno nero e uno giallo. La stella non è più a sormontare, ma al centro del logo, spostata a destra, a proseguire i rami della lettera C. Infine dal 2007 il ritorno allo stemma originale, il primo, con la sola aggiunta della stella al centro insieme alle lettere e due “edizioni speciali”: nel 2007/08 la comparsa di un ulteriore cerchio concentrico dorato, leggermente distanziato dallo stemma, con le scritte 1908-2008 in alto e 100 ANNI INTER in basso, per festeggiare, appunto, il centenario; nel 2009/10 un ulteriore cerchio concentrico bianco rosso e verde, per celebrare il centenario del primo scudetto.

http://www.sportmain.it/2014/07/09/la-storia-del-logo-dellinter-dai-colpi-di-pennello-alle-stelle-rubate/

 

 

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Nell'estate 1998 arriva all'Inter Roberto Baggio, reduce da un'ottima esperienza al Bologna. Il Codino, tuttavia, sin da subito non è schierato con continuità e non riesce ad essere decisivo per la squadra: anche per questo nel 1998-1999 l'Inter è artefice di un'altra stagione negativa. Estromessa ai quarti di finale della Champions League dal Manchester United (poi vincitore della manifestazione), in campionato delude ancora una volta, giungendo ottava cambiando addirittura 4 allenatori.


 

La serata del divin codino

Ottavo appuntamento con la rubrica "RewInter" che coincide con una partita scolpita nella storia nerazzurra, ovvero Inter-Real Madrid datata 25 novembre 1998. Una gara che si rivelò spettacolare, al contrario di una stagione, quella 1998-1999, maledettamente negativa, che si concluse con l'ottavo posto in campionato, con soli 46 punti conquistati, l'eliminazione in semifinale di Coppa Italia per mano del Parma e l'uscita dalla Uefa Champions League contro il Manchester United di Sir Alex Ferguson, in seguito alla sconfitta per 2-0 di Old Trafford nella gara d'andata e del pareggio casalingo per 1-1 nel return match.Risultati immagini per roberto baggio inter real madrid

Stagione particolare anche per la questione legata agli allenatori: nel '98-'99, infatti, furono ben 4 i tecnici che si susseguirono sulla panchina interista. La stagione iniziò con il confermato Luigi Simoni, che venne poi esonerato dopo la vittoria casalinga contro la Salernitana, al quale succedette Mircea Lucescu, anch'egli sollevato dall'incarico dopo la sconfitta per 4-0 sul campo della Sampdoria, nella 26a giornata. Dopo la "parentesi" Luciano Castellini, il campionato fu portato a termine da Roy Hodgson, ma le sorti non cambiarono. Inter fuori da qualsiasi competizione europea dopo sette anni, dopo la sconfitta nel pareggio Uefa contro il Bologna. Unica consolazione si rivelò il riconoscimento di "Squadra mondiale dell'anno", assegnato dall'IFFHS.

Tornando alla gara, un'Inter particolarmente ispirata sconfisse il grande Real Madrid, grazie alla super prestazione del grande Roberto Baggio, che nel giro di 7 minuti mise in ginocchio gli spagnoli con una meravigliosa doppietta. Le altre reti della gara furono realizzate dal futuro centrocampista di Inter e Milan Clarence Seedorf, mentre il momentaneo vantaggio dei padroni di casa portò la firma cilena di Ivan Zamorano.

Uefa Champions League 1998-1999, Girone eliminatorio: Milano, stadio "Giuseppe Meazza":

Lo stadio di San Siro presenta il pubblico delle grandissime occasioni per una gara che vede i nerazzurri opposti ad un avversario leggendario: a Milano arriva il Real Madrid di Guus Hiddink, e dell'allora Presidente Lorenzo Sanz, che può contare su una rosa assolutamente di primissima fascia: per la quinta gara del girone eliminatorio, infatti, il tecnico olandese mandò in campo giocatori del calibro di Roberto Carlos (ex di turno, tanto rimpianto), Raul, Redondo e lo stesso Seedorf, optando per coppia d'attacco Mijatovic-Savio.

Luigi Simoni, dal canto suo, risponde con il Fenomeno Ronaldo in coppia con Zamorano, al quale subenRisultati immagini per roberto baggio inter real madridtrò colui che nel secondo tempo divenne il vero man of the match, ovvero il Divin Codino Roberto Baggio. In difesa l'esperienza di Bergomi guida West, Galante e Colonnese, mentre a centrocampo la grinta di Simeone, i "piedi" di Sousa e Winter e la velocità di Moriero completano gli 11 di Simoni.

Passando alle azioni salienti della partita, l'Inter passa in vantaggio al 6' della seconda frazione di gioco, grazie ad una deviazione, probabilmente fortuita, di Ivan Zamorano su un tiro di Ronie da circa 20 metri. Deviazione decisiva che mette fuori causa il portiere del Real Illgner,  che non può fare altro se non veder entrare la sfera alla propria sinistra.

Dopo soli 8 minuti, però, il Real Madrid risponde con Clarence Seedorf, che pone la propria firma sul pareggio dei Blancos, in seguito ad uno spunto molto bello del brasiliao Savio che, liberatosi sull'out di sinistra del nigeriano Taribo West, pennella all'interno dell'area piccola nerazzurra una palla dolcissima che arriva sulla testa dell'olandese, che non può sbagliare. 1-1 e tutto da rifare per Ronaldo e compagni.

Al 23' del secondo tempo, però, entra Roberto Baggio al posto di Zamorano, e la musica cambia. Siamo al minuto 85 e Simeone è autore di una grande percussione palla al piede, azione che lo porta a servire proprio l'ex Bologna che, allargatosi, calcia e spiazza il portiere ospite. 2-1 e Inter vantaggio, con San Siro che esplode. Dopo soli 7' arriva la vera e propria "apoteosi", con il Divin Codino che si libera di Illgner in uscita, beffandolo con un preciso dribbling, per poi depositare il pallone di sinistro nella porta sguarnita.

L'Inter completò in maniera magistrale il proprio girone eliminatorio, conludendolo al primo posto, in seguito alla vittoria, nell'ultima giornata, sul campo dello Stadion Graz-Liebenau, "casa" dello Sturm Graz.

Serata indimenticabile per l'Inter e per tutti i tifosi interisti. Questa sera l'Europa è... nerazzurra.

http://www.fcinternews.it/rewinter/inter-real-madrid-3-1-25111998-la-serata-del-divin-codino-137304

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Nell'estate 1999 la dirigenza acquista Christian Vieri, versando alla Lazio 90 miliardi di lire e assume Marcello Lippi, il quale, dopo anni di successi con la Juventus, nella stagione precedente si era dimesso a febbraio per gli scarsi risultati ottenuti. La coppia d'attacco Vieri-Ronaldo fa già sognare i tifosi, ma una serie di danni fisici occorsi ai due bomber impedisce all'Inter di recitare un ruolo di protagonista in campionato. Ad essere colpito dalla sfortuna è soprattutto Ronaldo, che il 12 aprile 2000, proprio in occasione del suo ritorno in campo dopo un infortunio, rischia di essere costretto al ritiro dall'attività agonistica per un nuovo gravissimo infortunio al ginocchio. Al termine di una stagione travagliata la squadra si piazza quarta e vince lo spareggio per l'ingresso in Champions League contro il Parma del 23 maggio 2000.

 

 

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Anche la stagione 2000-2001 si rivela fallimentare. Ad agosto i meneghini vengono clamorosamente estromessi dalla Champions al terzo turno preliminare dagli svedesi dell'Helsingborg, dopo che Alvaro Recoba fallisce un rigore decisivo al 90° minuto della partita di ritorno al Meazza. Ancora scottata dall'eliminazione, la squadra perde nell'esordio in campionato sul campo della Reggina, provocando il duro sfogo, documentato dalla televisione, dell'allenatore Marcello Lippi, che si rivolge ai giocatori con toni rabbiosi. Due giorni più tardi sulla panchina dell'Inter è chiamato Marco Tardelli, ex gloria bianconera e nerazzurra, campione del mondo nel 1982 e allora commissario tecnico della Nazionale italiana Under-21, con cui pochi mesi prima ha vinto il campionato europeo. Malgrado il cambio della guida tecnica, l'Inter stenta e l'11 maggio 2001 va incontro ad un pesantissimo crollo in casa nel derby contro il Milan (0-6). I nerazzurri chiudono il torneo al 5° posto davanti ai cugini, qualificandosi in Coppa UEFA. Marco Tardelli non viene confermato sulla panchina della squadra. Al termine di quella stagione scoppia lo scandalo dei passaporti falsi, riguardante la naturalizzazione illecita di alcuni calciatori extracomunitari. Tra le società coinvolte figura anche l'Inter. Il direttore sportivo Gabriele Oriali patteggia 20.000 euro di ammenda e Álvaro Recoba subisce una squalifica totale di 2 anni, poi ridotta dalla FIGC a 6 mesi di radiazione nelle competizioni nazionali con diffida.

 

 

 

di Francesco Bianco

Era un traguardo che attendevamo, ma con spiriti evidentemente differenti. Noi trepidavamo per festeggiare, per emozionarci e per sognare un'altra stagione, per prolungare di qualche altro fotogramma quel film che dura ormai da diciassette anni; lui per sorridere un'ultima volta, sentirsi leggero e smettere senza rimpianti.

È giusto così, forse. A guardare la grazia e la semplicità con Roberto Baggio realizza i suoi gol più belli, si rischia di dimenticare i guai e le sofferenze che ne hanno accompagnato la carriera. Ripercorrere le tappe che lo hanno portato a duecento (quinto miglior realizzatore di sempre nella massima serie) è più un omaggio dovuto che effettivamente necessario. Chiunque segua il campionato italiano dagli anni ottanta, non può non avere la memoria gonfia delle prodezze di Roby, dal calcio di punizione che non impedì al Napoli di vincere il suo primo scudetto al sinsitro che ha privato il Parma di una vittoria importante per la lotta al quarto posto. In mezzo, pur escludendo Nazionale, Coppe Europee, Coppa Italia e altre competizioni, una serie infinita di gioielli di ogni fattura: calci di punizione e di rigore, conlcusioni al volo, tiri di controbalzo, colpi di testa, serpentine ubriacanti, pallonetti, destri e sinistri. Tutto questo ben di Dio Baggio lo ha guadagnato a dispetto di una carriera non propriamente felicissima: andò via dalla Juventus all'indomani della vittoria del primo scduetto di Lippi, lasciando a Del Piero, Vialli e Ravanelli la gioia di alzare al cielo la Coppa dei Campioni; al Milan lasciò poca traccia, pagandone le conseguenze anche in Nazionale (dove non ha giocato, da titolare, altro che un campionato del mondo); a Bologna, quando qualcuno aveva forse smesso di credere in lui, è risorto dalle sue ceneri, segnando le ventidue reti stagionali che restano tutt'ora il suo record; poi l'Inter, ancora una "grande", alla quale Roby non riuscì ad esprimersi ai suoi livelli. Erano i tempi del difficile e rapporto con Lippi; Baggio giocò poco, ma riuscì a congedarsi con la doppietta al Parma nello spareggio che regalò all'Inter un posto in Champions League. A Brescia, ancora una volta, un Baggio completamente diverso: rivitalizzato da Mazzone, più esperto ed astuto, raffinato come e più che in passato. Azzardo nel dire che forse, da un punto di vista squisitamente tecnico e stilistico, il miglior Baggio si è visto proprio in queste ultime stagioni, con la maglia delle Rondinelle. La doppietta contro la Fiorentina, nell'Aprile del 2002 (dopo il recupero record dall'infortunio al ginocchio, patito nella semifinale di Coppa Italia col Parma), ha emozionato una nazione intera, che si è illusa di poterlo rivedere all'opera in una rassegna mondiale. Così non è stato, peccato. L'ultimo obiettivo di Baggio è così diventato arrivare a quota 200, per poter dire addio. Peccato ci sia già arrivato.

L'Inter ritrova Ronaldo e con il brasiliano anche il gusto della vittoria. Ma le reti decisive sono firmate da Baggio e c'è grande gioia a San Siro (78.829 paganti, oltre 5 miliardi di incasso). Con questa vittoria,l'Inter scavalca il Real Madrid ed è prima nel girone. L'ultimo turno a Graz non sembra proibitivo. Primo tempo con diverse occasioni sciupate da interisti e madrileni, poi (50') un tiro di Ronaldo è deviato da Zamorano che consuma la vendetta dell'ex. Dopo 8', guizzo di Savio e pareggio dell'ex sampdoriano Seedorf. La classe di Baggio (85' e 95') firma una serata di livello.

 

 

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Nell'estate seguente Moratti decide di puntare su Hector Cuper, tecnico argentino che nelle due stagioni precedenti aveva condotto il Valencia a due finali consecutive di Champions League (entrambe perse). Lo scudetto è conteso per la maggior parte dell'annata tra i nerazzurri e la Roma campione d'Italia in carica. Quando mancano solo 5 giornate al termine l'Inter ha 6 punti di vantaggio sulla Juventus, terza dietro ai capitolini. In queste cinque settimane, tuttavia, accade l'imponderabile: l'Inter totalizza solo 7 punti sui 15 disponibili, mentre la Juve non ne lascia per strada neanche uno. Al 29° turno il club di Moratti perde 2-1 in casa con l'Atalanta e, nella stessa giornata, la Juventus vince sul campo del Perugia 4-0 e la Roma pareggia 2-2 Risultati immagini per inter 2001 lazioin trasferta contro il Venezia. A questo punto la Beneamata si trova in testa con 3 punti di vantaggio sulle avversarie, appaiate in classifica prima che, nei successivi tre turni di campionato, la Juventus riesca a scavalcare la Roma. L'ultima giornata si disputa il 5 maggio 2002 con la classifica seguente: Inter 69, Juventus 68, Roma 67. È proprio nell'ultimo atto di un torneo così avvincente che si concretizza una delle sorprese più grandi degli ultimi decenni della Serie A. Il 5 maggio, in un Olimpico colmo di tifosi interisti (persino i sostenitori laziali, gemellati con quelli dell'Inter, inneggiano al tricolore prossimo per la compagine di Milano) la squadra di Cuper è sconfitta per 4-2 dalla Lazio e il risultato, unito alla vittoria per 2-0 della Signora sul campo dell'Udinese e a quella della Roma al Delle Alpi contro il Torino, vede l'Inter scavalcata da ambedue le contendenti: la Juventus (71 punti) conquista il suo 26° scudetto e la Roma (70) l'ingresso diretto in Champions a scapito dei milanesi, i quali, dopo aver mancato la grande occasione di riconquistare il tricolore dopo tredici anni, subiscono anche la beffa di dover affrontare, nella stagione successiva, il turno preliminare della massima competizione calcistica continentale. Il cammino in Coppa UEFA si interrompe in semifinale ad opera del Feyenoord, poi vincitore della competizione.

 

http://video.gazzetta.it/5-maggio-2002-lazio-infrange-sogni-scudetto-inter/2510149e-122d-11e6-b22a-1711752c54fe

 

 

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Nonostante il finale d'annata disastroso, per la stagione 2002-2003, che prende il via senza Ronaldo (ceduto al Real Madrid su richiesta del giocatore, a causa di insanabili contrasti con l'allenatore Cuper), Moratti rinnova la fiducia a Hector Cuper, che conduce la squadra al secondo posto finale in Serie A, a 7 punti dalla Juventus campione e a 4 dal Milan terzo. Christian Vieri è il capocannoniere del torneo con 24 gol. In Champions League i nerazzurri sono eliminati in semifinale dal Milan (poi campione d'Europa), nel primo derby di Milano nella storia delle coppe europee. La partita di andata, Milan-Inter, termina a reti inviolate; il ritorno, Inter-Milan, finisce 1-1 e consente ai rossoneri di passare il turno in virtù del gol segnato in trasferta. Proprio nella partita di ritorno si mette in luce Obafemi Martins, 19enne attaccante nigeriano cresciuto nel settore giovanile dell'Inter e autore dell'1-1 finale.

 

 

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Inter, Vieri: "Io e Ronaldo la coppia dei sogni. Moratti? L'ho perdonato"

Bobo si confessa a Sky Sport e parla delle sue sei stagioni in nerazzurro: dal rimpianto di aver giocato poco con il brasiliano al caso dei pedinamenti e delle intercettazioni subite.

07 APRILE 2017 - MILANO

Gioie, amarezze, rimpianti e nostalgie. In una parola, emozioni. Christian Vieri si confessa a Sky Sport e ripercorre gli anni più intensi della sua carriera: quelli con indosso la maglia numero 32 dell'Inter. "Dovevamo vincere e non eravamo attrezzati per farlo: Juve e Milan erano più forti di noi - esordisce Bobo a I Signori del Calcio, che andrà in onda domani sera 23.45 -. Abbiamo perso uno Scudetto da soli, il 5 maggio 2002, ed è stato molto pesante: secondo me, se avessimo vinto lì, sarebbe cambiato tutto. E invece Ronaldo è andato via, Cuper dopo 4 mesi è andato via, tanti giocatori sono andati via".

 LA COPPIA DEI SOGNI — Proprio la coppia con il Fenomeno aveva fatto sognare i tifosi dell'Inter: quando nel 1999, Massimo Moratti acquistò Vieri dalla Lazio, si era assicurato i due attaccanti più forti del mondo in quel periodo. La sfortuna, però, si accanì su di loro: a causa dei rispettivi infortuni, in tre stagioni riuscirono a giocare insieme soltanto 14 partite. "Ci facevamo male una volta lui, una volta io; una volta lui, una volta io. Non abbiamo mai giocato 20-30 partite insieme. Però eravamo la coppia dei sogni, perfetti", racconta l'ex centravanti, che ancora non si dà pace per la cessione del brasiliano al Real Madrid nel 2002. "Io l'avevo detto al presidente: 'Non cederlo, non cederlo! Ha vinto il Mondiale e lo cedi ora? Lo stiamo aspettando e lo cedi ora? E io che faccio qua?' - svela ancora Vieri -. Però era o lui o Cuper. Quello che eravamo io e Ronaldo all'Inter rimane e rimarrà per sempre! Cioè, i due più forti che l'Inter abbia mai avuto!".

 SPIATO — Nonostante non abbia vinto neanche un trofeo con la maglia dell'Inter, Bobo resta particolarmente legato ai colori nerazzurri. Tanto da aver pure perdonato Massimo Moratti per averlo fatto pedinare e intercettare. "Non ce n'era proprio motivo: non facevo niente! Tutti dicevano che Vieri usciva la sera, ma lo facevo solo la domenica, come tutti. Quindi non c'era nessuna cosa per far sì che mi dovessero intercettare o pedinare, non c'era un perché - si difende -. Io, quindi, guardo alla parte di quei sei anni in cui ho giocato, i compagni, i gol, anche le sconfitte. Tutto quanto è sempre e comunque bello, perché giocare titolare nell'Inter è sempre una cosa importante". Il tempo, poi, aiuta a cicatrizzare le ferite e a dimenticare le amarezze. "Ormai non ci penso più. Se ho perdonato il presidente Moratti? Ma sì, è stato il mio presidente per sei anni, mi ha comprato a 90 miliardi, mi ha fatto dei contratti alti e gli sarò sempre riconoscente per questo - conclude Vieri -. Ho fatto 132 gol e gli ho fatto vendere tante magliette col numero 32! Quindi, ho la coscienza a posto". E vivranno tutti felici e contenti.

http://www.gazzetta.it/Calcio/Serie-A/Inter/07-04-2017/inter-vieri-ronaldo-moratti-scudetto-5-maggio-intercettazioni-190576972756.shtml

 

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Nell'estate 2003 inizia la terza stagione di Cuper, il quale è esonerato ad ottobre a seguito delle deludenti prestazioni dell'Inter ed è sostituito da Alberto Zaccheroni. A gennaio, nel calciomercato invernale, è richiamato dal prestito al Parma il giovane attaccante brasiliano Adriano, che, dopo aver esordito con l'Inter nel 2001 e aver realizzato molti gol con Fiorentina (6 gol) e Parma (23 gol) tra il 2002 e il 2004, segna gol importanti nel suo primo scorcio di stagione da titolare con la formazione nerazzurra. Il tecnico romagnolo finisce il campionato alle spalle di Milan, Roma e Juventus, centrando quel 4° posto che era l'obiettivo minimo dell'Inter dopo un avvio amaro. Tuttavia ciò non è sufficiente alla conferma per l'annata seguente. Intanto, nell'inverno 2003, è stato trovato positivo al nandrolone il nerazzurro Mohammed Kallon. La società si è dichiarata estranea alla vicenda, posizione che né il calciatore né il suo avvocato finora hanno mai smentito.

 

 

 

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L'Inter di Mancini
A giugno 2004 Roberto Mancini è ufficialmente il nuovo allenatore dell'Inter. Il tecnico ritrova il centrocampista Dejan Stankovic e porta con sé a Milano dalla Lazio i difensori Giuseppe Favalli e Siniša Mihajlovic? e dal Chelsea l'ex compagno di squadra in biancoceleste Juan Sebastián Verón. La squadra può contare su un attacco sulla carta molto forte (Adriano, Vieri, Martins, Recoba), ma non riesce ad andare incontro alle grandi aspettative suscitate in estate, pareggiando ben 18  partite su 38 e giungendo terza in campionato dietro Juventus e Milan. In campo internazionale viene estromessa dalla Champions League ai quarti di finale ancora dal Milan con questi risultati: Milan-Inter 2-0; Inter-Milan 0-3 a tavolino (match sospeso nel secondo tempo per lancio di bengala dei sostenitori nerazzurri sul risultato di 1-0 per i rossoneri, subito dopo una rete annullata a Esteban Cambiasso). Il club di Moratti è comunque capace di mettere in bacheca un trofeo dopo sette anni. I nerazzurri conquistano infatti la quarta Coppa Italia il 15 giugno 2005 nella finale contro la Roma, imponendosi sia all'andata che al ritorno: 2-0 allo Stadio Olimpico con una doppietta di Adriano e 1-0 al Meazza con gol di Siniša Mihajlovic?.

 

 

 

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La compagine meneghina comincia il 2005-2006 con il piede giusto: il 20 agosto 2005 si aggiudica la seconda Supercoppa Italiana della sua storia dopo quella del 1989, grazie a una rete di Juan Sebastián Verón nei supplementari contro la Juventus al Delle Alpi (1-0). Il campionato parte con la fuga della Juventus. Soltanto Milan e Inter sono in grado di mantenere l'impetuoso passo dei bianconeri, prima che un vistoso calo dei rossoneri permetta ai nerazzurri di occupare stabilmente la seconda piazza della classifica. N
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el derby d'Italia di ritorno, disputato a marzo, l'Inter ripone le speranze di una rimonta che avrebbe dell'incredibile, ma viene sconfitta per 2-1 a San Siro con gol decisivo di Alessandro Del Piero. Il passo falso, unito alla precedente sconfitta con la Fiorentina, favorisce il notevole recupero del Milan, capace di rimontare 14 punti all'Inter e 11 alla Juventus. Alla fine, però, sono ancora i bianconeri a celebrare lo scudetto, davanti al Milan e all'Inter, staccata nettamente di 12 punti. In Champions League, nonostante le prime sfide a porte chiuse a San Siro a causa dei fatti del derby di Champions, il cammino dei nerazzurri è in discesa. Dopo il primo posto nella fase a gironi, la squadra sconfigge l'Ajax agli ottavi, ma esce inopinatamente dal torneo ai quarti di finale per mano degli spagnoli del Villarreal, malgrado la vittoria per 2-1 nel match di andata al Meazza. Il ritorno al Madrigal termina infatti 1-0 per gli avversari, che si qualificano alle semifinali in virtù del gol messo a segno da Diego Forlán al primo minuto di gioco della sfida di San Siro.

Ai nerazzurri resta così la Coppa Italia, che vincono per la seconda volta consecutiva, ancora contro la Roma. Dopo il pareggio all'Olimpico (1-1 con reti di Cruz per l'Inter e di Mancini per la Roma) al ritorno la formazione milanese prevale per 3-1 (gol di Cambiasso, Cruz e Martins per l'Inter e di Nonda per la Roma), conquistando il trofeo per la quinta volta nella sua storia.A seguito dello scandalo del calcio italiano il 26 luglio 2006 il Commissario Straordinario della FIGC Guido Rossi, recepito il parere positivo di una commissione di "tre saggi" (Gerhard Aigner, Massimo Coccia e Roberto Pardolesi) appositamente creata, assegna d'ufficio all'Inter il 14° scudetto della sua storia, proclamandola Campione d'Italia in seguito ai provvedimenti della Corte Federale: retrocessione in Serie B della Juventus prima in classifica e 30 punti di penalizzazione inflitti al Milan secondo classificato dalla Corte Federale. Eccezion fatta per alcuni pareri isolati, la società e la tifoseria assumono una linea celebratrice dello scudetto, riassunta dall'opinione del presidente Facchetti il quale definì il trofeo "scudetto della correttezza".

 

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quarti finale Champions League

E' morto Giacinto Facchetti "Ci lascia una persona perbene"

Dopo una grave malattia si è spento il presidente dell'Inter. "Ha stretto i denti, ha lottato fino alla fine da vero campione"

 

ROMA - Una grande foto troneggia sul sito dell'Inter. E' il volto sorridente di Giacinto Facchetti, stella nerazzurra e attuale presidente della società. Facchetti se n'è andato a 64 anni, stroncato da una grave malattia. Un lutto che colpisce la società di Moratti e l'intero calcio italiano. Una vita in nerazzurro quella di Facchetti, <B>E' morto Giacinto Facchetti<br>"Ci lascia una persona perbene"</B>prima come giocatore e poi come dirigente. Una classe innata, un'eleganza in campo, uno stile confermato anche da dirigente. "Se ne va una persona perbene" si legge sul sito dell'Inter.

 Ma non se ne va solo un grande nerazzurro, se ne va un giocatore che è stato 94 volte in Nazionale. Per ricordarlo, la squadra azzurra giocherà mercoledì a Parigi contro la Francia con il lutto al braccio. Come Scirea, Facchetti è stato simbolo di attaccamento alla maglia, lealtà, correttezza. Espulso una sola volta in tutta la carriera, ne parlava qualche volta con rimpianto.

 E il suo nome è in tutte le filastrocche, in tutte le formazioni imparate a memoria da quelli che hanno intorno ai cinquant'anni. Sarti, Burgnich, Facchetti... ma mitica formazione dell'Inter di HH, l'Inter di Angelo Moratti.

 Nato a Treviglio, in provincia di Bergamo, il 18 luglio 1942. Il salto nel calcio che conta ci fu nel 1960-1961, quando Helenio Herrera rimase colpito dalle sue qualità e lo volle a tutti i costi nella sua Inter per il finale di stagione. Il Mago Herrera fece di lui uno dei più grandi giocatori italiani di sempre, impiegandolo come laterale sinistro con compiti sia difensivi che offensivi. Facchetti verstì la maglia nerazzurra fino al 1978 (18 stagioni), collezionando con la maglia nerazzurra 634 partite e 75 gol. Nel suo palmares vantava 4 scudetti, 2 Coppe Intercontinentali, due Coppe Campioni e una Coppa Italia. Sotto la sua presidenza l'Inter ha vinto due Coppe Italia e una Supercoppa italiana. Poi l'addio al calcio giocato e il passaggio alla dirigenza sempre al fianco dell'Inter. E' vice-presidente, membro del Cda, direttore tecnico. Il 30 gennaio 2004 Massimo Moratti gli lascia la massima carica: Facchetti è il primo calciatore della storia nerazzurra a essere nominato Presidente.

 Ha potuto almeno vedere lo scudetto sulle maglie dell'Inter. In prima persona aveva vissuto le polemiche dell'ultimo scandalo. Il giorno dopo la vittoria sulla Roma, Marco Materazzi ha voluto portargli la Supercoppa vinta, in ospedale. Dedicata al presidente anche quella.

 Toccanti le parole che si leggono sul sito dell'Inter: "Giacinto Facchetti ci ha lasciato troppo velocemente per non confondere, in questi attimi, il dolore e la rabbia, il senso d'ingiustizia e la preghiera. Ci ha lasciato dopo aver giocato, con determinazione e stile, l'ultima partita. Spinto nel campo del dolore da un destino nascosto, improvviso, bastardo. L'atleta, nella testa e non solo nel fisico, nella morale e nei riti di una vita quotidiana all'insegna della lealtà e dello sport, ha lasciato il posto all'uomo di 64 anni sorpreso, colpito, ferito, ma non vinto. Ha stretto i denti, ha combattuto sorretto dall'affetto dei suoi cari, di Massimo Moratti, di tutta l'Inter e di tutti gli interisti, mai abbandonato dal campionato infinito di amici che aveva, che ha, che lascia attoniti, storditi, in Italia e nel mondo".

http://www.repubblica.it/2006/09/sezioni/sport/calcio/morto-facchetti/morto-facchetti/morto-facchetti.html

(4 settembre 2006)

 

 

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Il 26 agosto 2006 l'Inter si presenta alla sfida di Supercoppa Italiana a San Siro come favorita, con la coccarda della Coppa Italia sulla manica sinistra e lo scudetto sul petto. Sebbene quello dell'Inter sia un double ottenuto a tavolino, in passato l'accoppiata era riuscita solo a Torino, Juventus, Napoli e Lazio. In campo giocano dall'inizio Zlatan Ibrahimovic e Patrick Vieira, fiori all'occhiello di una campagna-acquisti faraonica e provenienti dalla decaduta Juventus. Ceduto Obafemi Martins, in panchina c'è Hernán Crespo, altro grande acquisto (prelevato dal Chelsea), tornato in nerazzurro dopo tre anni. Nei primi 30 minuti di gioco la Roma realizza tre gol (Mancini e doppietta di Aquilani), ma sul finire della prima frazione il nuovo acqui
https://www.mimmorapisarda.it/inter/2021/40.jpgsto Patrick Vieira segna il gol che riapre la partita. Nel secondo tempo, infatti, Crespo, subentrato ad Adriano e ancora Vieira vanno in gol per il 3-3 su cui si chiudono i 90 minuti regolamentari. I supplementari danno poi merito ad un'Inter con maggiore qualità e forza fisica rispetto ad una Roma che accusa una preoccupante flessione fisica. La punizione di Luís Figo fissa il risultato sul 4-3 per la formazione nerazzurra e le consegna la terza Supercoppa Italiana della sua storia, la seconda consecutiva.
Il 4 settembre 2006, pochi giorni dopo la vittoria in Supercoppa, un grave lutto colpisce l'Inter, oscurandone l'atmosfera di ottimismo in vista della nuova stagione: muore, infatti, a Milano, il presidente Giacinto Facchetti, già bandiera nerazzurra negli anni sessanta e settanta, gravemente malato da alcuni mesi.
Nella stagione 2006-2007 l'Inter torna a dominare la scena italiana: ottiene il primato assoluto delle vittorie consecutive in campionato (17, record per i campionati europei di 1° livello) e occupa stabilmente la vetta della classifica di Serie A con molti punti di vantaggio sulla seconda in classifica. Anche il cammino in Coppa Italia è ottimo: raggiunge la terza finale consecutiva con la Roma. Non è mai accaduto prima che le stesse squadre si sfidassero in finale per tre anni di fila. L'avventura in Champions League dei nerazzurri si conclude, però, agli ottavi di finale, dove l'Inter è eliminata dal Valencia per la regola dei gol fuori casa. Con un doppio pareggio, 2-2 nell'andata al Meazza e 0-0 nel ritorno al Mestalla, si qualificano infatti gli spagnoli.

Intanto in Serie A l'Inter prosegue il suo dominio incontrastato. Il 18 aprile, però, subisce la prima sconfitta in campionato, ad opera della Roma, vittoriosa per 3-1 a San Siro. Si tratta della prima sconfitta dopo 39 partite consecutive di imbattibilità in tutte le competizioni. Il 22 aprile i nerazzurri conquistano il 15° scudetto, il primo vinto sul campo dopo 18 anni, con 5 giornate di anticipo sulla fine del campionato, grazie alla vittoria per 2-1 contro il Siena in trasferta e alla contemporanea sconfitta della Roma a Bergamo contro l'Atalanta.

 

 

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Stagione 2007/08, sembra tutto apparecchiato per il trionfo nerazzurro, il 27 febbraio 2008 Zanetti pareggia il gol di Totti, l’Inter va a più 9 sulla Roma, sembra fatta, invece non è così, serve lui, Zlatan Ibrahimovic, l’uomo scudetto.

Risultati immagini per ibra inter parma 2008PARMA-INTER, IL DILUVIO E LE LACRIME SCUDETTO

Da quel gol di Zanetti succede di tutto all’Inter. I nove punti di vantaggio vengono ben presto dilapidati, prima Zalayeta punisce i nerazzurri al San Paolo, poi due turni dopo l’Inter si ferma a Genova con un 1-1 contro i rossoblu, prima della sfida interna contro la Juventus finita 2-1 per i bianconeri.

E’ un calvario, Roberto Mancini ha già annunciato l’addio a fine stagione dopo la disastrosa sfida col Liverpool in coppa, l’Inter pareggia con la Lazio poi perde il derby alla giornata numero 36 per 2-1, vedendo arrivare la Roma a meno 4, 81 punti contro 78. Al peggio non c’è fine, la gara scudetto contro il Siena vede Materazzi fallire un rigore al minuto 78, si resta sul 2-2, la Roma batte l’Atalanta ed è a meno 1.

In tutto questo pellegrinaggio manca lui, l’Uomo Scudetto, Zlatan Ibrahimovic, ai box per problemi al ginocchio.

 “Domenica a Parma vieni con noi, anche zoppo”, questo Mancini su Ibra e il 18 maggio 2008 Zlatan è in panchina insieme a Toldo, Burdisso, Pelè, Crespo e Jimenez. La Roma è a Catania, contro la squadra allenata da Walter Zenga. Bastano 8 minuti e Mirko Vucinic porta in vantaggio i giallorossi, è sorpasso, lo scudetto prende la via di Roma. Nel diluvio del Tardini, con Mancini all’ultima panchina, serve il tocco del Dio svedese. Minuto 51, fuori Cesar, dentro Zlatan Ibrahimovic con un ginocchio malconcio.

 “Chi se ne frega”, dice lui, primo tiro, fuori di poco.Risultati immagini per ibra inter parma 2008 scudetto

Minuto 62, Ibra prende palla, sa che se vuole vincere deve far da sé, controllo, finta, tiro e palla in rete con Pavarini battuto, la pioggia aumenta, ma l’Inter è in vantaggio.

Minuto 79, Maicon crossa, Ibra al volo segna, 2-0, scudetto in nerazzurro, Parma in Serie B, ma Zlatan ha deciso così, è lui il miglior giocatore al mondo.

L’Inter è campione d’Italia e contemporaneamente il Catania ferma sull’1-1 la Roma, Walter Zenga può esultare due volte.

PARMA – INTER 0 – 2

Marcatori: 61’, 78’ Ibrahimovic (I)

Parma (4-4-2): Pavarini 6; Coly 6, Paci 6,5, Couto 6, Castellini 6,5; Morrone 6, Parravicini 6 (86’ Moretti sv), Cigarini 6 (64’ Lucarelli 5,5); Reginaldo 6 (76’ Antonelli 6), Budan 6, Gasbarroni 5,5. A disp:Bucci, Zenoni, Martinez, Corradi. All: Manzo 6,5

Inter (4-3-3): Julio Cesar 7; Maicon 6,5, Rivas 6,5, Materazzi 6,5, Maxwell 6; J. Zanetti 6,5, Vieira 6,5, Stankovic 6; Balotelli 6,5 (76’ Pele’6), Cesar 6,5 (50’ Ibrahimovic 8), Cruz 6,5. A disp: Toldo, Burdisso, Jimenez, Crespo, Suazo.

All: Mancini 6

Arbitro: Rocchi 6,5

Note: giornata umida tempestata da pioggia battente e tuoni. Campo in discrete condizioni.

https://www.spaziointer.it/2017/05/18/accadde-oggi-ibra-luomo-scudetto/

 

 

 

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Zanetti: "Ci credevo: ora l'Inter è nella storia" 

 

Giovedì, 27 Maggio 2010Risultati immagini per champions league 2010

MILANO - Per capitan Zanetti, Massimo Moratti è "come un padre", José Mourinho "un uomo di grande personalità e dalla idee chiare", che ringrazia "per quanto ha dato all'Inter, tantissimo" e al quale augura "che la nuova avventura possa essere di successo".

Il giocatore simbolo dell'era nerazzurra di Massimo Moratti si gode la vittoria della tripletta che "ci ha portato nella storia" e annuncia che giocherà "almeno altri due-tre anni": questo e molto altro ancora ha raccontato stamane Javier Zanetti rispondendo alle numerose domande dei tifosi, oltre 1600, che hanno potuto esaudire le loro curiosità grazie alla video-chat, vista in tutto il mondo, organizzata a Il Corriere della Sera, in via Solferino.

"In 15 anni di Inter ho visto passare tantissimi campioni e tanti allenatori, forse - ripensandoci - mi sarebbe piaciuto che Simeone potesse rimanere più a lungo con noi. Perché così tanti stranieri all'Inter? Io l'ho detto sempre che questo non è problema, è vero che ci sono tanti stranieri e pochi italiani, ma quello che conta è fare bene per l'Inter, non conta di quale nazionalità sei. Qual è stato il periodo più difficile trascorso in nerazzurro? Ci sono stati tanti momenti difficili, ma il 1999 credo che sia stato il momento più brutto, credo che allora si toccò il fondo. Il Cinque Maggio? Una data difficile da digerire, perché nel 2002 - stando a vedere tutto quello che si è saputo dopo - poteva finire diversamente, meno male che quest'anno in quella data abbiamo vinto la Coppa Italia. Con quale grande campione mi piacerebbe un giorno giocare in squadra, all'Inter? Con Lionel Messi. L'avversario più difficile che ho avuto? Nedved e da marcare Kakà, che in qualsiasi momento può fare la differenza. Se il nuovo allenatore che arriverà deve avere più polso o più dialogo? Entrambe le cose, come Mourinho. Il vantaggio che troverà il nuovo allenatore è che trova un gruppo già formato. Io credo che mister Mourinho in questi due anni abbia fatto un ottimo lavoro insieme a noi e noi volevamo continuare con lui questo cammino di successi, ma lui ha preferito la sfida con il calcio spagnolo e noi gli auguriamo ogni bene. Balotelli? È giovane, ha commesso qualche errore, che speriamo non si ripeta più, perché lui può diventare un grande campione. Se ci stiamo godendo la vittoria della tripletta? Credo che dobbiamo stare tranquilli e felici per quello che abbiamo fatto, anche se non ci rendiamo quasi conto, l'ho detto ai miei compagni 'siamo entrati nella storia vera'. Io credo che tutti i miei compagni sappiano che qui si sta molto bene, soprattutto adesso che abbiamo intrapreso una strada vincente.

Che differenze di emozioni ci sono state tra alzare le tre coppe conquistate quest'anno? La cosa più bella è vincere. Vincere il primo traguardo, con la sfida con la Roma, è stato emozionante. Vincere lo scudetto lottato fino all'ultimo è stato ancor più emozionante. E poi abbiamo chiuso la terna vincente a Madrid, con un trofeo che mancava da tantissimo tempo, quindi credo che questa emozione sia stata la più forte, anche perché siamo entrati nella storia vera. Ho sempre creduto che il momento dell'Inter sarebbe arrivato, ho continuato a crederci e ha funzionato. Tante volte ho pensato che non me ne sarei mai andato dall'Inter, che non avrei mai lasciato l'Inter da sconfitto, che sarebbe arrivato il nostro momento: eccolo. Se oltre a fare il calciatore ho avuto un altro sogno nel cassetto? Mi piace molto la musica, magari fare il cantante. Cosa farò dopo la carriera da calciatore? Sinceramente non ci ho ancora pensato, ma di sicuro mi piacerebbe avere un ruolo che mi permetta di essere utile in questa società. Se ho mai pensato di lasciare l'Inter? Nell'anno difficile con Tardelli ho avuto l'offerta del Real Madrid, ma dopo aver parlato con Moratti gli ho detto che la mia intenzione era di rimanere e lui mi disse che la sua era quella di avermi ancora nell'Inter. Moratti e Mourinho? Sono due persone diverse, per me Moratti è come un padre, per tutto quello che mi ha dato e per il fatto di aver creduto in me quando ero uno sconosciuto, non lo dimentico. Il mister ha personalità forte e idee molto chiare. Quale allenatore vorrei ora? È difficile scegliere, ci sono tanti allenatori che possono fare bene. Si parla di Capello e Hiddink? Grandissimi allenatori entrambi. Quando smetterò di giocare? Mi sento bene, vorrei giocare almeno altre due-tre stagioni. Provando nel frattempo a superare il record di Beppe Bergomi di 759 presenze in nerazzurro. Che cosa ho preso dall'Italia? L'Italia mi ha fatto crescere tantissimo, ho preso la vostra cultura. La maniera di vivere in Argentina è molto diversa da quella di qui. Quanto pesa il mancato scudetto del 1998? Tantissimo, quella partita lì per tutti noi era importante, ma sappiamo come è andata. Il miglior allenatore che ho avuto? Simoni, Cuper e Mourinho. Cosa ne penso di Calciopoli 2? Vergognoso quello che si sta dicendo dell'Inter, il parlare di Facchetti, l'Inter non ha fatto niente, ha sempre creduto nel lavoro, nella buona fede ed è stata sempre danneggiata. Adriano alla Roma? Credo che farà bene, credo che lo stare in Brasile per un po' gli abbia fatto bene. Cosa ho detto a Mourinho alla fine della partita di Madrid quando l'ho abbracciato? Gli ho detto 'Sei un grande e grazie'. Se Santon è il mio erede? Davide è un giovane che ancora deve crescere, però per quanto ha dimostrato è una grandissima promessa che diventerà un grandissimo campione".

 

 

L'Inter è campione d'Europa, Diego Milito ora è Re

L'Europa torna nerazzurra dopo 45 anni. Una fantastica doppietta del Principe Milito fa esplodere il Santiago Bernabeu e tutta Milano. Impazziti i 50.000 di Piazza del Duomo

di Lorenzo Nicolini - 22/05/2010

 Dopo 45 anni l'Inter torna sul tetto d'Europa. Il regno nerazzuro ha un sovrano che da Principe è diventato Re: Diego Alberto Milito. L'argentino con una doppietta manda ko il Bayern Monaco e regala Champions League e 'triplete'. Dopo la Coppa Italia e lo scudetto numero 18, l'Inter corona una stagione straordinaria vincendo anche la vecchia Coppa dei Campioni. La vittoria dell'Inter fa sorride anche il resto d'Italia. Il trionfo nerazzuro a Madrid, regala al calcio italiano la conferma dei quattro posti nell'Europa che conta per la stagione 2011-12. Grazie al trionfo nerazzurro, infatti, l'Italia supera la Germania nel ranking Uefa riprendendosi la terza posizione con 64,338 punti dietro solo a Spagna e Inghilterra.

Una vittoria colta con l'umiltà della grande squadra. L'Inter ha sofferto prima e punto poi. José Mourinho ha messo in campo una squadra perfetta sempre letale nelle ripartenze. Grande possesso palla del Bayern pericoloso però solo con Robben che taglia il campo da destra verso sinistra. I nerazzurri però sono troppo cinici. Nel primo tempo il ritmo è basso. Il primo tiro pericoloso è di Sneijder su punizione. I bavaresi fanno più del 65% di possesso palla, ma al 34' Julio Cesar rilancia un pallone lungo che Milito spizza di testa per Sneijder. L'argentino ridà la sfera al Principe che con una finta beffa Butt e spara un tiro sotto la traversa. Il Bernabeu esplode! 1 - 0 Inter. Passano pochi minuti e Milito restituisce il favore a Sneijder. L'ex Real però non ringrazia si lascia ipnotizzare da Butt.

Van Gaal, striglia i suoi negli spogliatoi. In avvio di ripresa, Muller ha l'occasione di cambiare l'inerzia del match ma Julio Cesar è impeccabile nel respingere la conclusione a colpo sicuro del giovane attaccante tedesco. Il Bayern continua a premere e sfiora in tre occasioni il gol. La più grande è sui piedi di Robben che con un tiro a giro prova a riaprire il match ma Julio Cesar è super e vola anche in questa circostanza.

Nel momento di maggior pressione dei bavaresi però arriva il colpo del ko. In contropiede Milito punta Van Buyten ai 20 metri ubriacandolo: finta, dribbling a rientrare e destro sul palo più lontano. Tripudio interista e 2 - 0! Mourinho nel finale concede anche la passerella al Re Milito. Il Bayern ci prova ancora ma non c'è più nulla da fare. Dopo 45 anni la coppa dalle grandi orecchie torna a casa Moratti! Josè Mourinho dopo la vittoria della Champions ha iniziato a piangere, molto. Dopo gli abbracci con i giocatori e dopo aver alzato la Coppa, Mou è andato a salutare i tifosi nerazzurri con una bandiera portoghese tra le mani battendosi la mano sul cuore. Un chiaro segno di addio? Vedremo, ora è festa interista.

 

Il Re Milito, a fine gara non sta nella pelle: "Sono troppo felice, è stata una stagione unica, mai stato così felice. E' per il presidente e per i tifosi, lo meritavano davvero", dice il Principe con le lacrime agli occhi, "Il calcio dà sempre la rivincita, ho lottato sempre, dato il massimo, e anche se ho 30 anni sono felice come mai. Lo merita il presidente, la società. Sono felicissimo, vediamo il prossimo anno. Se resto? Speriamo, ma nel calcio non si sa mai. Ringrazio a tutti quelli che mi hanno portato qua, ma ho offerte importanti e vediamo".

Piazza Duomo esplode di gioia. Migliaia di tifosi nerazzurri a Milano sotto la Madonnina per festeggiare la conquista della Champions League e il "triplete" della squadra di Mourinho. Quarantacinque anni dopo, è di nuovo Grande Inter. Emozionatissimo il Presidente Moratti: "Mou voleva farmi piangere? Io ho pianto poco, ha pianto molto lui. Questo vuol dire che è molto affezionato, speriamo non sia un segno di pentimento. Spero che questa Coppa resti nel cuore di tutti, sono felicissimo io come tutti i giocatori e tutta l'Inter. E' stata una Coppa bellissima, strameritata, una roba seria insomma. Quando parleremo del futuro? Non so, stanotte festeggiamo poi vediamo...".

Gioia anche per l'ultimo arrivato, Goran Pandev: "Sono felicissimo, devo ringraziare tutti perchè mi sono stati tutti vicini da quando sono qui e sono contento che dopo tanti anni l'Inter ha vinto alla Champions. Se me lo dicevano otto mesi fa? Sicuramente non ci credevo, perchè non avevo un buon periodo alla Lazio, però poi sono arrivato qua e sapevo che volevamo vincere tutto, e abbiamo vinto tre trofei! Sono felice, veramente tanto tanto tanto. Mourinho? Speriamo che non vada via, la squadra è fortissima ma speriamo resti così. Io non sono uno che si emoziona tanto, ma ringrazio mia moglie e mio figlio per quello che hanno fatto per me".

Commosso anche Chivu: "La maglia? La terrò forse, o la darò a qualcuno, vedremo! Non è facile vincere tutto. E' frutto di un lavoro fatto in un anno intero, da parte di tutti, abbiamo messo il carattere e abbiamo capito che avremmo vinto tutto ciò soltanto se eravamo una squadra. Ci mancava una Coppa europea, ma finalmente abbiamo capito cosa ci voleva e l'abbiamo vinta. Ci voleva fortuna, un po' di tutto: la Champions si vince anche con i dettagli, ma siamo tutti contenti per stasera e per tutto questo anno fantastico. L'infortunio? Non sapevo se tornavo, è una gioia fantastica per me".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con un boato lo stadio di San Siro ha accolto i giocatori dell'Inter, appena arrivati a Milano dopo essere sbarcati, poco prima delle 5, all'aeroporto di Malpensa. Sul pullman della squadra partito dallo scalo varesino non era salito l'allenatore Jose Mourinho: lo 'Special One' è infatti partito da Madrid su un aereo diverso da quello deicalciatori, volando insieme ai suoi familiari. Sugli spalti sono presenti circa 35.000 spettatori: i primi erano arrivati intorno alle 2, diversi hanno abbandonato il Meazza non riuscendo a resistere sino all'arrivo dei campioni d'Europa. All'ingresso sul terreno di gioco, i nerazzurri - capeggiati da Zanetti e Angelo Mario Moratti con la Coppa dei Campioni - sono stati accolti con applausi e cori inneggianti all'impresa di Madrid. Tanti quelli per Milito, eroe della serata spagnola e per il capitano alla 700esima gara in maglia interista. Lo speaker dello stadio ha esortato il pubblico presente a dedicare un lungo applauso alla memoria di Peppino Prisco e Giacinto Facchetti. In un tripudio di fumogeni e fuochi d'artificio, la squadra ha mostrato ai tifosi rimasti in Italia la Coppa dalla grandi orecchie, durante un lungo giro di campo. Sul rettangolo di gioco assenti il presidente Massimo Moratti - rimasto a Madrid insieme a Marco Tronchetti Provera -, l'allenatore, Jose Mourinho, Julio Cesar e Wesley Sneijder già in volo verso rispettivamente Brasile e Olanda. Tra i giocatori più applauditi Milito, con indosso la magliadi Zanetti e lo stesso capitano che, rivolgendosi ai tifosi, ha ricordato come la squadra si sia meritata la vittoria finale, cercata con convinzione ma "non senza difficoltà, già dopo la vittoria negli ottavi di finale contro il Chelsea". La festa di San Siro, con il sole a fare capolino nel cielodi Milano, è durata circa mezz'ora, prima dei saluti finali e il 'rompete le righe' al termine di una nottata da ricordare a lungo

 

  

La vittoria per 2-0 contro l'FC Bayern München di sabato ha visto i detentori del titolo della Serie A completare una storica tripletta, alla loro prima finale di Coppa dei Campioni dopo 38 anni.I nerazzurri non vincevano questa competizione da quando lo avevano fatto per due stagioni consecutive tra il 1964 e il 1965, quando la mano di Angelo Moratti e il lavoro di Helenio Herrera in panchina avevano portato i frutti più desiderati. La 'Grande Inter' del passato è stata la grande ispirazione di Massimo Moratti. José Mourinho e Massimo Moratti hanno costruito un bel rapporto di stima reciproca durante il biennio del portoghese a San Siro, e il presidente non nasconde il suo apprezzamento per il portoghese nonostante il suo futuro sia incerto: "È un grande allenatore, Lavora duramente, è intelligente e certe volte sorprende la gente con le sue idee. È un comunicatore, un motivatore; non è facile trovare tutte queste qualità in una persona sola. Abbiamo vinto questo titolo anche perché abbiamo una persona come lui nel gruppo". Oltre a Mourinho e Moratti, una terza 'M' ha giocato un ruolo fondamentale nella stagione da incorniciare dell'Inter, prima italiana a completare la tripletta - è quella dell'autore di 30 splendidi gol stagionali Diego Milito, che ha segnato i gol decisivi in finale di Coppa Italia, nell'ultima gara di campionato contro l'AC Siena e in finale di UEFA Champions League. "Sapevo che Diego era un goleador, ma ha fatto molto meglio di quanto mi aspettassi", ha detto il 65enne petroliere Morat ti. "È un giocatore fantastico e segna molto, ma è anche un ragazzo straordinario. Da un punto di vista umano è molto positivo per la squadra. Vorrei solo dargli un abbraccio perché Diego è fantastico. Vorrei ringraziarlo davvero tanto". Tra i 'ragazzi speciali' dell'Inter c'è di diritto anche il capitano Javier Zanetti, primo giocatore ingaggiato da Moratti 15 anni fa, che merita una parola in più. "La finale è stata la sua 700esima partita con l'Inter", ha ricordato Moratti. "È stato il primo giocatore che ho preso all'Inter. È stata una mia scelta personale, l'ho visto giocare con l'Argentina Under 21 quando nessuno lo conosceva in Italia. I giornali scrivevano 'Chi è Zanetti?', ma ora credo che potrebbe vincere il Pallone d'Oro per la carriera che ha fatto; il suo modo di giocare è fantastico". Non esistono riconoscimenti personali per i presidenti dei club di calcio, ma José Mourinho è orgoglioso di aver potuto dare a Moratti qualcosa a cui teneva tantissimo: poter mettere la sua foto con la Coppa dei Campioni accanto a quella in bianco e nero di suo padre Angelo che veste i muri del centro sportivo della Pinetina. "Per molti anni [Massimo Moratti] ha sognato di avere una foto come quella di suo padre con la Coppa dei Campioni", ha detto. "Sono molto, molto contento di avergliela potuta dare". (Uefa.com)

 

 

 

 

Moratti, nel nome del padre. Come Angelo, adesso ha vinto ovunque

di Roberto Omini

 Campioni d'Europa come gli interisti non ce ne sono. Campioni d'Europa con tanta gioia da spargere intorno, la gioia di nipoti, figli, papà, nonni e anche qualche bisnonno: ne avete mai vista di così intensa, genuina, forte, colorata, appassionata? E' come una vita nuova che sgorga, nonostante cinque scudetti e varie Coppe(tte) dell'ultimo quinquennio, è la vita nuova della Grande Inter: la sola squadra italiana che abbia pieno possesso di quell'aggettivo.

E allora nel momento del trionfo va benone specchiare i due mondi lontani quasi mezzo secolo, da papà Angelo al figlio Massimo, cos'è la dinastia Moratti e quel filo che la lega - perenne - alla vita interista, al non badare a spese, a spendersi fino in fondo per arrivare al massimo. Paragonarsi? "Io non me lo sogno nemmeno, non esistono paragoni fra me e mio papà: lui ha scritto la leggenda di un'Inter che non si spegnerà mai". E' Massimo Moratti a spingersi in questo non-paragone, sollevando oggi la Champions al cielo, ma senza scalfire mai l'idea che questa sia un'Inter che possa cancellare una traccia: la traccia degli immortali di allora.

Ecco, appunto. L'Inter di allora con l'Inter di oggi, Herrera e poi Mourinho, Angelo e poi Massimo. I paragoni?

Giuliano Sarti fra i pali un po' si rivede in Julio Cesar, nella composta armonia dei gesti, niente è lasciato allo spettacolo: ma Sarti era Sarti, e parava pure a mani nude. Maicon a destra è il Facchetti di allora (a sinistra): quanto sia forte il brasiliano lo sappiamo, ma il Giancintone ha aperto le porte a un nuovo modo di essere terzini difensori e attaccanti, dopo di lui una valanga di imitatori.

Chivu è terzino e pure stopper e anche libero (centrocampista, quando serve), come lo era Tarcisio Burgnich, la Roccia, insuperabile e con une ventennale carriera vicina al mito: e come lui ce ne sono stati pochi.

In una intervista, il figlio di Armando Picchi ha detto che "Lucio ha negli occhi la stessa luce malinconica e severa del papà". E' un bel confronto, Lucio è un portento, ma Picchi è una pagina inimitabile del ruolo di difensore e insieme allenatore: dava lui i consigli al Mago.

Samuel è il Muro. Aristide Guarneri, senza la pretesa di vestirsi da fenomeno, sbrigava il lavoro al centro della difesa con la semplicità del galantuomo: quasi impossibile annotare errori.

Javier Zanetti, a centrocampo, è una storia a parte di quest'Inter campione: nel senso che il corrispettivo di mezzo secolo fa può essere il compianto Tagnin, oppure Bedin: la fatica loro, è la fatica di oggi, col sapore di una storia che per Zanetti è davvero fenomenale: 700 partite.

Cambiasso è il metronomo del centrocampo: all'epoca, era Luis Suarez a farla da padrone. E su Luisito non c'è paragone che tenga, quando c'era lui in campo l'Inter non perdeva mai la bussola: trascinava compagni, allenatore, tifosi.

Da Jair, brasiliano dinoccolato, imprevedibile e imprendibile c'è forse una ragione di somiglianza con Balotelli, assai meno con Pandev. Siamo alla soglia dell'impossibilità di annotare somiglianze.

Per Sneijder occorre scomodare accostamenti insoliti: Suarez un po' ci si rivede, ma la stoffa di Luis è inimitabile; dovesse servire, occorre vedere un certo Mario Corso, il suo divino piede sinistro. Ma come Mario Corso non c'è mai stato (né ci sarà) nessuno.

Eto'o, il centravanti disposto a tutto, ora. Leggero e rapido come la folgore, com'era Mazzola: Mazzola che a 21 anni demoliva il Real Madrid, voleva la maglia di Di Stefano, gli si avvicinò Puskas e gli disse: "Ho giocato contro tuo papà Valentino, tu ne sei il segno erede, la mia maglia ti appartiene".

Milito, infine: con quello sguardo da argentino triste e implacabile, un po' il volto che era di Peirò, o prima di lui di Aurelio Milani. Centravanti avanti con gli anni, capaci di scoprirsi campioni.

Fra Herrera e Mourinho si spargono mille storie leggendarie, ma la Leggenda del Mago non è imitabile: lui ha inventato un ruolo, quello dell'allenatore, del provocatore, dell'istrione.

Per tutto questo, oggi l'Inter è Campione, erede di quella Grande Inter. Ma niente paragoni, come dice Massimo Moratti guardando lassù. A papà Angelo.

22 maggio 2010

 

 

Nel 1965 era ancora un bambino. Tutto quel metallo luccicante portato a braccia da 11 giovanotti che vedevo spesso in TV, in bianco e nero,  mi sembrava una cosa assolutamente consueta. Credevo che l'Inter fosse come il Carosello, ogni sera presente e pronto ad allietare le nostre case.  Invece un giorno è finito anche il Carosello. E da allora capii che niente è eterno, nemmeno la stella dell'Inter.   Ho dovuto aspettare 45 anni.... per vederla risplendere. Grazie Massimo!

(Mimmo Rapisarda)

 

 

 

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Mourinho: "Ecco perché con l’Inter è stata una storia d’amore"

 

L’allenatore: "A Milano è stato tutto speciale, avevo un gruppo con le ultime occasioni di vincere qualcosa di importante in carriera. Sono un allenatore con ambizioni e desideri, sono sicuro che non concluderò la mia carriera qui allo United"

Mai così diversi: Inter-Milan, derby degli opposti Il Liverpool domina, lo United resiste: 0-0

Il presente a Manchester, il passato all’Inter e il futuro… chissà. Di certo l’ultima panchina su cui si sederà José Mourinho non sarà quella dei Red Devils. A confessarlo è lo stesso allenatore portoghese, che in una lunga intervista a TeleFoot ha parlato a tutto campo della sua carriera, soffermandosi in particolare sulla "storia d’amore" che lo ha legato all’Italia e ai colori nerazzurri dal 2008-2010. Queste le considerazioni del portoghese.

"Nel corso della mia carriera ci sono stati alcuni momenti bellissimi ma anche qualche controversia - ha ricordato l’allenatore ai microfoni della tv francese - ci sono stati momenti non molto belli, ma non mi dispiace per la mia carriera. La Champions con il Porto? Vincere in Europa con il club del tuo paese è speciale perché entri nella storia del club ma anche della tua Nazione. L’unica cosa che posso dire è che sono ancora un allenatore con ambizioni, desideri di provare altre cose e nuove esperienze. Credo, anzi, sono sicuro che non concluderò la mia carriera qui allo United".

A Milano una storia d'amore. Poi, le solite parole dolci per l’Inter: "Con i nerazzurri è stato tutto speciale perché ho avuto una relazione d’amore con un gruppo di giocatori che poteva essere all’ultima occasione di vincere qualcosa di importante in carriera. Insieme abbiamo regalato alla famiglia Moratti e a tutto il popolo interista una gioia incredibile”. Poi il Real Madrid: “Quando ho iniziato a lavorare con i Blancops l’ho fatto perché in quel momento volevo andare esattamente lì, per sconfiggere il Barcellona. Nello stesso modo in cui quando ho deciso di venire allo United sapevo che non sarebbe stato facile, ma io sono così. Posso aggiungere che io lavoro bene quando sono sereno e nella terza stagione in Spagna non era così".

E ancora: "Mio figlio un giorno mi ha detto che ‘vincerò molto contro Messi ma mai con lui in squadra’. Non lo dimenticherò, è un mio rimpianto. Pep a Barcellona? Un giorno potrò raccontare la verità, come sono realmente andate le cose, ma non oggi. Ci sono cose nella mia carriera che preferisco preservare, ma quando sarò molto vecchio, chissà… Zizou vince, quindi è un grande allenatore. Penso sia il migliore e che gli verrà riconosciuto questo perché lo merita". Infine, tanto calcio francese: "Il PSG è una squadra speciale, di qualità, giovane, magica. Mio figlio abita a Londra ma davanti ad una scelta ha deciso di volare a Parigi per vedere una partita perché lì c’è un ambiente fantastico".

Paul Pogba può scrivere la storia del calcio, ma non ha ancora trovato il suo spazio con la Francia - ha concluso - è un peccato che Benzema non sia in Nazionale, non so bene i motivi delle sue ripetute esclusioni ma è un grosso peccato che nel miglior momento della sua carriera con questa esperienza non possa dare una mano alla sua Nazionale".

 

https://sport.sky.it/calcio-estero/premier-league/2017/10/15/manchester-united-intervista-telefoot-mourinho-inter.html

 

 

 

 

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Massimo Moratti, addio in quattro mosse

Il presidente onorario sbatte la porta e rinuncia a tutte le cariche nell’Inter. Ecco che cosa è accaduto davvero e che cosa potrebbe accadere nel prossimo futuro

Si è alzato dalla poltrona e se n’è andato. La porta non chiusa, ma sbattuta. Diciannove anni dopo il suo ingresso, a venti giorni dal primo anniversario dalla cessione del pacchetto di maggioranza, Massimo Moratti non ricopre più alcuna carica nell’Inter e ha ritirato i suoi esponenti (il figlio Angelomario, Rinaldo Ghelfi e Alberto Manzonetto) dal consiglio d’amministrazione. Un passo che costringe Erick Thohir a ricomporre il cda ma lascia intatto il pacchetto azionario nelle mani dell’ex patron nerazzurro. Ma il gesto di ieri certifica lo strappo, riassumibile in quattro mosse. Slegate e connesse allo stesso tempo. E destinate ad aprire un nuovo e definitivo corso dell’Inter. Senza Moratti.

Thohir non si è solo preso la maggioranza della Beneamata, le ha subito cambiato i connotati. Partendo con l’esclusione di tutti gli uomini del (ex) presidente. Via il dottor Combi, via il direttore sportivo Branca e benservito anche alla colonia argentina, spina dorsale del Triplete e pertanto mai scalfita dai pessimi risultati seguiti alla notte di Madrid.

Dell’Inter di Moratti non è rimasto più nessuno. Probabilmente non pensava che il passaggio sarebbe stato così tranchant e credeva di poter avere ancora operativamente voce in capitolo con il 29,5% del capitale.

Moratti aveva scelto Ivan Ramiro Cordoba come team manager. L’ex centrale era il trait d’union tra lo spogliatoio e le stanze dei bottoni nerazzurre. Il magnate indonesiano ha rescisso consensualmente il contratto con l’ex giocatore senza star lì a pensarci più di tanto. L’ex capitano Javier Zanetti è stato nominato vice-presidente, ma al momento “studia” da dirigente (Thohir ha anche puntualizzato sulla conoscenza dell’inglese). Un ruolo più che altro di facciata, perché l’uomo simbolo della gestione Moratti non ha alcuna delega specifica.

La rottura si sostanzia però lunedì scorso, in sede di approvazione del bilancio. L’Inter chiude l’anno con una perdita di 103 milioni. È una pesante eredità morattiana. Per quanto Thohir abbia varcato la soglia d’ingresso con un’operazione sostanzialmente soft per il suo portafogli, si è accollato tutti i debiti e la ristrutturazione della società sarà un percorso a ostacoli fino al maxisaldo del 30 giugno 2019 (184 milioni di euro in un’unica soluzione). Una strada resa ancora più tortuosa dalle possibili sanzioni Uefa per la violazione del fair play finanziario, che escluderebbero l’Inter dalle competizioni europee privandola dei relativi (ricchi) guadagni. Ecco spiegate le esternazioni del ceo Bolingbroke (“Ci sono norme che vietano di gestire il club come nel passato. Siamo pronti a raddrizzare ciò che è andato storto”) e dello stesso Thohir che ha benedetto le regole di Platini perché “evitano che qualcuno usi le società come un giocattolo”.

Abituato a cambiare giocatori e allenatori come fossero figurine, Moratti ha dovuto ascoltare l’allenatore dell’Inter arrivato quasi allo sberleffo pubblico. Forte delle parole dei vertici, Mazzarri ha risposto per le rime all’ex patron che a precisa domanda sulla panchina dell’Inter aveva messo in discussione WM in caso di mancati risultati. “Non ho tempo per rispondergli…” è stato il lapidario commento del toscano che proprio Moratti aveva voluto all’Inter. Troppo per chiunque, figuriamoci per chi è stato un romantico presidente umorale dal portafoglio largo e dall’esonero facile.

https://www.gqitalia.it/sport/calcio/2014/10/24/massimo-moratti-addio-in-mosse/