Massimo Moratti
Il 18 febbraio 1995 la
squadra ritorna nelle mani della famiglia Moratti: è Massimo, figlio
di Angelo, a prenderne le redini, assegnando all'ex capitano
nerazzurro Giacinto Facchetti un ruolo dirigenziale. I risultati,
però, faticano ad arrivare. Dopo aver concluso il campionato di
Serie A 1994-1995 al 6° posto, nella stagione seguente l'Inter si
piazza settima a 19 punti dal Milan campione d'Italia. Nel 1996-1997
la squadra giunge terza in campionato a 6 punti dalla Juventus e
perde la doppia finale di Coppa UEFA contro lo Schalke 04 ai calci
di rigore.
L'estate 1997 segna una svolta: Moratti ingaggia Luigi Simoni come
allenatore e acquista per 48 miliardi di lire dal Barcellona il
fuoriclasse brasiliano Ronaldo, che nel dicembre di quell'anno è
eletto Pallone d'Oro. Con l'innesto del Fenomeno, che mantiene un
rendimento straordinario nel suo primo anno italiano, nella stagione
1997-1998 la squadra torna ad essere competitiva e a battersi per lo
scudetto insieme a una delle rivali storiche, la Juventus. I
nerazzurri conducono la classifica per le prime 16 giornate prima di
essere sorpassati a metà torneo dai bianconeri, campioni d'inverno.
A quattro giornate dalla fine, con la Juventus capolista a quota 66
punti e l'Inter seconda a 65, le due rivali si affrontano a Torino.
Il clima è molto teso a causa di polemiche suscitate da controverse
decisioni arbitrali delle giornate precedenti riguardo le due
squadre. Sul finire del primo tempo la Juventus passa in vantaggio
con un gol di Alessandro Del Piero.
Nella ripresa, sull'1-0,
l'arbitro Ceccarini di Livorno decide di non intervenire di fronte
ad un contatto in area bianconera tra Ronaldo e Mark Iuliano, parso
ai più falloso e quindi punibile con il rigore. Nel proseguimento
dell'azione è invece la Juventus a guadagnare il rigore, che però lo
stesso Del Piero sbaglia, facendosi parare il tiro da Gianluca
Pagliuca. Il finale di partita è molto acceso: Simoni, infuriato, si
dirige verso Ceccarini ed è trattenuto dagli addetti. Mentre nei
giorni successivi all'incontro si crea un vespaio di polemiche in
tutto il paese, il giudice sportivo infligge all'Inter un totale di
10 giornate di squalifica, sommando le sanzioni all'allenatore ai
giocatori. Nelle giornate successive la squadra di Simoni perde
ulteriore terreno e così la Juventus vince il campionato di Serie A
1997-1998. In Coppa Italia i nerazzurri escono agli ottavi ad opera
del Milan, sconfitto nel ritorno per 1-0 ma qualificato grazie al
vittorioso 5-0 dell'andata. La maggiore soddisfazione dell'annata
per l'Inter viene dall'Europa, dove i nerazzurri riscattano la
sconfitta nella doppia finale di Coppa UEFA subita l'anno precedente
contro lo Schalke 04. In quella stessa competizione, che da
quell'annata è decisa dalla finale unica, l'Inter supera infatti la
Lazio per 3-0 al Parco dei Principi di Parigi nel maggio 1998,
mettendo in bacheca la terza Coppa UEFA della sua storia.
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FINALE COPPA UEFA 1997 - INTER E
SHALKE04
(la formazione nerazzurra in una
delle due finali)
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26 aprile 1998, trentunesima
giornata di Serie A: al Delle Alpi di Torino si gioca
Juventus-Inter. È la sfida scudetto, né più né meno. La
squadra di Lippi è prima in classifica, ma da marzo va
praticamente a braccetto con gli interisti: dopo due
pareggi contro Napoli e Parma, perde il grande vantaggio
che si era creata con un campionato strepitoso: Simoni e
i suoi sono lì, ad un punto. Ci restano per cinque
giornate, riescono ad arrivare con il minimo vantaggio
allo scontro diretto. Un vantaggio che poteva essere al
contrario, perché una settimana prima, in
Empoli-Juventus 0-1, l'arbitro Rodomonti non aveva
convalidato il pareggio toscano nonostante il colpo di
Bianconi fosse stato respinto da Peruzzi ampiamente
oltre la linea di porta. C'era già veleno a nuotare
nelle vene del derby d'Italia.
Lippi gioca con il 3-4-1-2:
Peruzzi in porta, difesa a tre con Torricelli, Iuliano e
Montero, centrocampo con Di Livio e Pessotto sulle fasce
e Deschamps e Davids in mezzo, e poi Zidane alle spalle
di Del Piero e Inzaghi. Simoni risponde con un 4-4-2 che
in realtà è un 1-2-4-2, perché sono gli anni novanta e
il libero non è ancora scomparso: davanti a Pagliuca c'è
Fresi, ultimo uomo dietro a West, Colonnese e Zanetti;
poi Moriero e Cauet ai lati di Winter e Simeone,
Djorkaeff e Ronaldo in avanti. È una partita tosta, che
obiettivamente l'arbitro Ceccarini non gestisce al
meglio: mancano gialli da una parte e dall'altra, il
principio del primo fallo gratis vale fino a un certo
punto, visto che Torricelli ci casca due volte nel giro
di pochi minuti e resta con la fedina intonsa.
La Juventus, poi, passa in
vantaggio. Il gol è un capolavoro di Del Piero: vince la
sfida a Fresi, conclude, palla ribattuta, gli arriva sul
piede e in una frazione di secondo riesce a coordinarsi
e a trovare lo spazio giusto fra Colonnese e Pagliuca: è
il minuto 21 del primo tempo. Ronaldo, dall'altro lato,
è imbrigliato e non riesce a trovare gli spazi per fare
il suo solito. La partita continua a essere nervosa
anche nel secondo tempo: in totale, a fine gara, saranno
sei gli ammoniti. Poi, al ventiseiesimo minuto,
l'episodio del veleno: Zamorano entra in area ma è
fermato da Birindelli, Ronaldo si avventa sul pallone
rimpallato, Iuliano entra in ritardo sul brasiliano:
corpo a corpo, Ceccarini fa proseguire. Immediato
ribaltamento di fronte juventino, Zidane offre un
pallone bellissimo a Del Piero, West interviene male,
calcio di rigore. Casino totale: tutta l'Inter attorno a
Ceccarini per protestare, si lamenta anche il
solitamente pacato Simoni, che viene espulso, urla “è
una vergogna”. Del Piero calcia il rigore della
discordia come peggio non poteva: Pagliuca respinge con
i piedi. Continua l'assalto interista ma Ronaldo è in
giornata-decisamente-no.
Finisce così. La Juve va a +4. Una
settimana dopo si ferma in casa del Vicenza ma l'Inter
non riesce ad approfittarne, pareggiando 0-0 col
Piacenza. Passa un'altra settimana, si arriva alla
penultima: l'Inter gioca a Bari, la Juventus in casa col
Bologna. A Torino segnano Kolyanov e Inzaghi, 1-1; in
Puglia va in gol Ronaldo. A fine primo tempo, l'Inter ci
crede ancora, è a -2. Segna ancora Inzaghi, +4
ristabilito, poi Baggio pareggia, e infine Superpippo fa
tripletta: 3-2. L'Inter si arrende, segnano Ventola e
Masinga e il Bari vince e festeggia la salvezza. Lo
scudetto va alla Juventus.
Ceccarini, tempo dopo, ammetterà
la colpa: quel rigore si poteva dare, dice. Poi, pochi
anni fa, corregge il tiro: “ero troppo vicino, non ero
nella posizione migliore per valutare, ma rivedendola
avrei dato calcio di punizione a due in area”. Ne parla
pure Iuliano: “L'arbitro ha sempre ragione. Quando penso
a quel rigore ci rido su. Ma avremmo vinto comunque:
eravamo superiori a tutti. Non si può giudicare un
campionato da un episodio”.
https://www.fantagazzetta.com/rubriche/memento/28_02_2016/memento---il-rigore-su-ronaldo-218974
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Trentaduesimi di finale
Milano 16-09-1997 Inter – Neuchatel Xamax
2-0
Neuchatel 30-09-1997 Neuchatel Xamax - Inter
0-2
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Sedicesimi di finale
Milano 21-10-1997 Inter - Lione 1-2
Lione 04-11-1997 Lione - Inter 1-3
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Ottavi di finale
Strasburgo 25-11-1997 Strasburgo - Inter 2-0
Milano 09-12-1997 Inter - Strasbugo 3-0
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Quarti di finale
Milano 03-03-1998 Inter – Schalke 04 1-0
Gelsenkirchen 17-03-1998 Schalke 04 - Inter
1-1
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Semifinale
Milano 31-03-1998 Inter – Spartak Mosca 2-1
Mosca 14-04-1998 Spartak Mosca - Inter 1-2 |
FINALE
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RONALDO. Per fermarlo
bisognava sparagli
disse Miguel Angel Lotina,
l’allenatore del Logrones a cui Ronaldo aveva appena segnato 2 gol.
Tecnica e potenza a velocità supersonica: per due anni, dal 1996 al
1998, Ronie è stato immarcabile, “Fenomeno “Inumano ” ed “E. T. ” Il
Barcellona, l’Inter e il Re al Madrid hanno beneficiato delle sue
qualità. Col Brasile è diventato capocannoniere del
mondiale, vincendone due. Così alla fine, più dei difensori, a
fermarlo sono state le ginocchia
A fine Ottocento re Doni Pedro
III ordinò la costruzione della ferrovia e in un attimo, a ridosso
delle rotaie, come cuccioli attorno a una cagna, si raccolsero
disordinati gruppi di case, scatole a un piano con il tetto piatto
bruciato dal sole. Bento Ribeiro, quartiere povero alla periferia
nord-ovest di Rio de Janeiro, è una nidiata del genere. Qui, al 114
di rua General Cesar Obino, il 22 settembre 1976, nasce Ronaldo Luiz
Nazario de Lima, figlio di Sonia e di Nelio Nazario de Lima, che
hanno già messo al mondo Yone, 4 anni e Nelinho, 3. Lo chiamano
Ronaldo dal nome dell’uomo che lo ha aiutato a venire al mondo: il
dottor Ronaldo Valente. In realtà il vero battesimo glielo
somministra il fratellino Nelinho che proprio non ce la fa a
pronunciare tutte quelle consonanti diverse e semplifica: Dadado.
Ronaldo resta a lungo Dadado,
anche per gli amici che giocano nel suo cortile, un fazzoletto di
terra irregolare, circondato da muri bianchi e presidiato da un
albero di mango. In quel fazzoletto, appena Ronaldo riesce a
mettersi in piedi, cominciano le partite di “pelada, cioè calcio da
strada a piedi nudi, con la palla che a forza di strisciare sui muri
e sui sassi si “spela”, appunto, e diventa sempre più simile al
gomitolo di stracci che ha svezzato generazioni di fuoriclasse
brasiliani. Poi arriva la prima squadretta: Tennis Club Valqueire,
calcio a 5.
La cosa buffa è che insieme alla
prima maglia ufficiale, gli consegnano anche un paio di guanti
perché Dadado si mette in testa di fare il portiere. Il giorno che
se li toglie e decide: “Vado in attacco”, comincia ufficialmente la
leggenda del Fenomeno. Allenato da polverosi anni di “pelada”
Ronaldo si muove come un rettile negli spazi stretti del calcio a 5
e riempie le reti di gol, compresa quella del ricco Vasco da Gama. È
qui che gli cascano addosso le prime occhiate. E il primo
mini-trasferimento: Social Ramos, squadra della città, ma sempre
campo piccolo, non quello grande di Zico. Ogni volta che ha un
pallone al piede, Dadado gioca a sentirsi il Galinho al centro del
mitico Maracanà, con la maglia del Flamengo.
Lo sogna così tanto che riesce a
procurarsi un provino vero al Flamengo. II gran giorno, mamma Sonia
gli mette al polso Yorologio della prima comunione e Ronaldo parte
in treno per raggiungere il centro d’allenamento dei rossoneri, a
Gavea. E’ la prima grande delusione della sua vita. Al ritorno in
treno, due balordi gli rubano l’orologio. Ma, soprattutto, il
Flamengo, pur conquistato dal provino, non può pagargli il biglietto
del treno o dei sei autobus che collegano Bento Ribeiro a Gavea, per
gli allenamenti. La povertà non è una casa brutta, ma dover
rinunciare ai sogni che ti sei meritato: questo impara dolorosamente
Dadado.
A 11 ci gioca così con il meno
nobile Sao Cristovao e anche qui sono gol a grappoli. Tanto che un
bancario di nome Alexandre Martins, a tempo perso cacciatore di
talenti, avverte eccitato il compagno di sportello Reinaldo Pitta:
“Ho trovato una pepita grossa così…”. Acquistano il cartellino di
Ronaldo per 7.500 dollari. E’ l’intuizione che li dispenserà per
sempre dal sudore. Li chiameranno il Gatto e la Volpe. Portano
Ronaldo al Cruzeiro di Belo Horizonte, zona di miniere, l’ideale per
raffinare la pepita. Il ragazzo si presenta a Donna Sonia: “Per
favore, mamma, da oggi non chiamatemi più Dadado. Ora sono un
calciatore vero. Ho 16 anni”.
I compagni più anziani del
Cruzeiro lo adottano volentieri e non solo perché il bambino di
Bento Ribeiro con l’apparecchio ai denti fa tenerezza. Alla fine
della stagione 93-94 i numeri dicono questo: tra campionato, coppa
del Brasile e spiccioli, 54 partite, 56 gol. Cinque in una partita
sola che a Belo Horizonte non dimenticheranno. Jairzinho, leggenda
della Selecao, d.s. del Cruzeiro spiega: “Dare la palla a Ronaldo è
aver già segnato mezzo gol”. In panca c’è un altro mondiale
messicano: Carlos Alberto. Pelé viene scomodato nel paragone perché
il bimbo dai denti di ferro esordisce in nazionale a 17 anni contro
l’Argentina: esattamente come O’Rei.
Carlos Alberto Parreira si porta
al mondiale Usa il reuccio di Bento Ribeiro, coccolato da un’intera
nazione, ma non lo fa mai esordire. Anche per questo, tutto il
Brasile in coro gli urla “Burro! ‘, “Asino!”, a ripetizione. Solo
che poi Parreira ci batte in finale ai rigori e l’Asino diventa di
colpo un purosangue di razza da consegnare alla storia. Nella foto
del trionfo, Ronaldo è sdraiato a terra, ugualmente felice, sotto la
coppa, accanto a Romario. Il Gatto e la Volpe hanno venduto il
Fenomeno al Psv Eindhoven, lex squadra di Romario passato al grande
Barcellona. “Cosa c’è a Eindhoven?”, chiede Ronaldo. “Freddo”,
risponde il Baixinho. “E poi?” “La Philips . “E poi?”, insiste
Ronaldo. “Basta. Il freddo e la Philips”, tronca Romario.
Una sera a fine allenamento, i
giocatori del Psv osservano il brasiliano che si toglie un
calzettone dopo l’altro e ne contano dieci, prima di scoppiare a
ridere. Freddo ai piedi e al cuore: la grigia Eindhoven sta a un
paio di galassie dal sole di Rio. Mamma Sonia accorre per coccolarlo
e combattere la cucina olandese. Ma il regalo migliore glielo fa
Vampeta, compagno di squadra, futuro interista. “E venuto un mio
amico d’infanzia, si chiama Cesar. Può darti una mano. Cesar
diventerà un fratello per Ronaldo e molto altro: segretario,
fattorino, confidente. Insieme al fido Cesar, combattere i mulini a
vento della Philips diventa molto più semplice. Anche perché da Belo
Horizonte è sbarcata Nadia, studentessa aspirante modella.
Nel suo primo campionato
olandese, Ronaldo segna 30 gol in 32 partite. Ad ogni centro, i
tifosi caricano la R: Rrrrrrrrronaldo! Il brasiliano sorride perche
la cosa lo diverte. Allarga le braccia e corre felice mostrando i
suoi denti di ferro. Nella primavera del ’95 va a fare shopping a
Milano e, tramite il procuratore Giovanni Branchini, stringe per la
prima volta la mano a Massimo Moratti. Nel febbraio ’96 viene
operato al ginocchio destro: apofisite tibiale. Suona peggio di quel
che è: sofferenze di tendini e legamenti, provati dalla crescita
dell’ex Dadado che ora pesa 80 kg e misura 183 cm. Si sta strappando
la camicia sul corpo di Hulk che presto diventerà il Fenomeno del
Barcellona.
Il tempo di litigare con
il Psv, di perdere dolorosamente la semifinale olimpica di Atlanta
contro la Nigeria di Kanu, ed eccolo in Catalogna, estate del 96. Il
decollo nella Liga è verticale e impressionante: 12 gol nelle prime
10 partite. Uno dei due che segna il 12 ottobre al Compostela non
sarà dimenticata. Minuto 35: ruba palla a Passi nelle sua metà
campo, percorre 47 metri in 11 secondi, toccando 14 volte la palla e
saltando 5 avversari. Bobby Robson, tecnico del
Barça, invece di esultare, si spaventa: “Com’è possibile?”. Ronaldo
poi vola in Brasile, segna 3 gol alla Lituania, torna e ne fa altri
2 al Logrones. Quindi: 7 gol e due voli oceanici in 7 giorni.
“Extraterrestre’ titola Marca.
Una radio di Barcellona indice
un concorso per il soprannome a Ronaldo: vincono “E.T.” e “Inumano”.
Un Fenomeno, insomma. Come fermarlo? Miguel Angel Lotina, tecnico
del Logrones risponde: “Io un’idea ce l’avrei: sparargli”. Pichichi
della Liga (34 gol in 37 match), Ronaldo segna il rigore decisivo al
Paris S.G. nella finale di Coppa Coppe. Solleva pure Coppa e
Supercoppa di Spagna. Quanto basta per il premio Fifa World Player
’96: a 20 anni Ronaldo, ex portiere, è già il più forte giocatore
del mondo. E’ il momento di trattare e monetizzare, pensano il Gatto
e la Volpe. Ronaldo sbarca a Milano-Linate il 25 luglio 1997, alle
ore 8.10. Ha un orecchino al lobo sinistro, jeans neri e camicia a
scacchi. Tiene per mano la bionda Susana Werner, modella, attrice,
in arte Ronaldinha.
Alloggiano nella suite del
Principe di Savoia che pochi giorni prima ha ospitato Lady Diana. Il
12 settembre a Bologna Ronaldo segna il primo gol in serie A, grazie
a una finta che sdraia Massimo Paganin, poi allarga le braccia per
volare di gioia sotto la pioggia. Un mesetto più tardi, tripletta in
coppa Italia a Piacenza. L’ultimo gol, slalom da destra a sinistra
tra cinque paletti umani, fa scattare in piedi tutto lo stadio. E
passato quasi un anno esatto da Compostela (12 ottobre ’96-15
ottobre ’97): stessa strategia di conquista. L’Italia, come la
Spagna, è incantata dall’Inumano. Il popolo nerazzurro comincia a
cantare con orgoglio: “Il Fenomeno ce l’abbiamo noi” e a guardare ai
recenti cicli di Milan e Juve senza vergogna.
E’ arrivato l’uomo che può
cambiare la storia. Infatti, 4 gennaio 1998: Inter-Juve 1-0. Ronaldo
non segna, ma risolve la partita al 47′ quando decide di partire
sulla fascia destra. Iuliano cerca di fermarlo, aggrappandosi e
scalciando, sembra il passeggero che tenta invano di salire su un
tram in corsa. Djorkaeff deve solo spingere in rete il pallone che
porta l’Inter capolista a + 4 sulla Juve. 22 marzo 1998: Milan-Inter
0-3. Tra i due gol di Simeone, il Fenomeno inserisce un delizioso
esterno destro che scavalca Seba Rossi. La Nord canta: “Il
tabellone, guardate il tabellone! “. Peppino Prisco gongola e
infierisce: “Peccato il 4-0 sbagliato da Cauet’. Dopo la doppietta
alla Roma con due accelerazioni spaventose, il giallorosso Candela
riconosce: “Per fermarlo ci volevano i Carabinieri”.
Sparargli o arrestarlo: dalla
Spagna all’Italia cambia poco. Ire giorni dopo la doppietta di Roma,
Ronie ne segna un’altra a Mosca, su un campo infame: una lastra di
ghiaccio che si trasforma in una risaia di fango. La seconda rete
allo Spartak del Fenomeno è da vangelo apocrifo: in un amen scatta,
cammina sulle acque, aggira il portiere e mette dentro, prima di
spiegare: “Mi sembrava di essere a Bento Ribeiro, quando pioveva
forte ed uscivamo a giocare nelle pozzanghere”. L’Inter e in finale
di coppa Uefa. Il popolo che canta “Il Fenomeno ce l’abbiamo noi”, a
questo punto, si prepara all’abbuffata.
Ma il 26 aprile 1998 si gioca
Juve-lnter: bianconeri a +2 a quattro dal termine. Del Piero porta
in vantaggio la Signora, poi si scatena Ronaldo. luliano stavolta
neppure ci prova a salire sul treno in corsa. Lo ferma con il corpo
e con le mani. Per l’arbitro Ceccarini, e pochi altri, non è rigore.
Gigi Simoni furibondo zompa in campo per rincorrerlo: “Si vergogni!
Si vergogni!”. Ronaldo tuona: “Mi sento derubato. Il calcio è
allegria se si gioca 11 contro 11, non 11 contro 12. Ma il mondo ha
visto. Ronie, Simoni e tutti gli altri si consolano a Parigi, nel
salotto del Parco dei Principi, sollevando la coppa Uefa: 6 maggio
1998, Inter-Lazio 3-0. Il Fenomeno sigilla il conto alla sua
maniera: s’ingoia metà campo, sdraia Marchegiani con una finta, lo
aggira e parcheggia in rete il 34° gol stagionale.
Moratti gonfia il petto:
“Ronaldo è un’enciclopedia che sfogliamo solo noi”. Tutti convinti
che con un fuoriclasse del genere il futuro splenderà più di Parigi.
Invece il Mondiale ’98, che Ronaldo perde nella finale con la
Francia, preceduta dal misterioso malore del Fenomeno, lo introduce
in un tunnel di dolore lungo quattro anni. Sulle ginocchia di
Ronaldo gravano due centrali nucleari, cosce ipertrofiche, serbatoi
di potenza: il segreto della sua eccezionalità atletica. Il tendine
rotuleo, che collega il quadricipite alla tibia, è un ponticello che
sopporta un traffico da controesodo, il filo che tiene appesa la
luna al cielo. Già durante il mondiale di Francia, il ginocchio
destro di Ronaldo urla la sua sofferenza.
Il 21 novembre 1999, Inter-Lecce,
quel ginocchio subisce una torsione innaturale, per colpa di una
zolla infame di San Siro. Nove giorni dopo, il professor Gerard
Saillant gli ricostruisce il tendine rotuleo. Il 6 aprile 2000 Ronie
può mostrare i suoi dentoni sorridenti: “Oggi è nato mio figlio
Ronald e ho ricevuto il permesso di giocare, forse già con la Lazio.
La vita è bella”. E invece, una settimana dopo, 12 aprile,
all’Olimpico di Roma, la vita lo falcia da dietro. Ronaldo rientra
in campo al 13’ della ripresa e tocca cinque palloni, l’ultimo al
19′. Poi crolla a terra urlando nel mezzo di un dribbling. “Abbiamo
sentito un botto, come qualcosa che si rompeva”, racconta l’arbitro
Pellegrino. Il tendine rotuleo si è spezzato come un elastico, con
il suono di una frustata secca. Il ponte è crollato, la luna si è
staccata dal cielo. Ronaldo esce in lacrime, ripetendo “mamma” e
“papà” .
Il professor Saillant si arma
nuovamente
di ago e filo. Il Fenomeno rientra alla fine del 2001. Ritrova il
gol a Brescia in tandem con il suo amicone Vieri, ma cozza contro il
generale Cuper, che ne rallenta il rilancio e gli grava la spalle
con sacchi di sabbia da portare saltellando sui gradoni. Convivenza
difficile, ma il 5 maggio 2002 Ronaldo è comunque titolare nel match
della grande rivincita sul destino: ancora l’Olimpico, ancora la
Lazio, per la scontata festa scudetto. Invece finisce di nuovo in
lacrime. L’Inter perde in modo assurdo e consegna lo scudetto alla
Juve.
Il Fenomeno si asciuga la
lacrime al Mondiale nippo-coreano che vive da re assoluto: trascina
il Brasile al titolo con 8 gol (capocannoniere), due alla Germania
in finale. Nella notte del trionfo di Yokohama, si scorda però di
pronunciare la parola Inter. Nessuna parola di riconoscenza per
Moratti che lo ha trattato come un figlio; che quando Lippi spiegava
“Ronaldo è uguale agli altri ‘, precisava “Ronie è un po’ più uguale
degli altri”; che gli ha versato un miliardo di lire al mese anche
da fermo. Nessuna promessa al popolo nerazzurro che lo attende come
re del mondo per riprendere la caccia alla Juve. Scappa come un
ladro. Il Gatto e la Volpe lo trascinano al ricco Real e spartiscono
con Pinocchio.
A Madrid segna, vince e se la
gode. Il Paese dei Balocchi: conquista Liga, Champions, coppa
Intercontinentale, supercoppa di Spagna, altro Pallone d oro, altro
Fifa World Player, 1 titolo da Pichichi, 104 gol in 177 partite
ufficiali nelle merengues. Dopo cinque anni, il Fenomeno rifinisce
il tradimento all’Inter, passando al Milan. Al primo derby in
rossonero (11 marzo 2007) segna all’amico Julio Cesar, compagno
della ex Ronaldinha. Gattuso si inginocchia ai suoi piedi. Poi
l’Inter ribalta il risultato (2-1), ma il gol del Fenomeno è rimasto
come uno sfregio su tanti cuori nerazzurri. I 7 gol di Ronaldo sono
decisivi nella risalita al quarto posto, buono per la Champions. Il
resto della storia in rossonero è un rosario di infortuni.
Alla scadenza del contratto,
Ronaldo torna in Brasile. Riparte nel 2009 dal Corinthians. Tra
gossip, polemiche e scommesse sul suo peso, non smette di fare le
cose di sempre: segnare e vincere. Festeggia campionato Paulista e
coppa del Brasile, conta 35 gol in 69 match, prima di annunciare in
lacrime l’addio, nel febbraio e nel giugno del 2011: “Soffro troppo
e non mi riescono più le mie giocate . Nei bar si può discutere
quanto si vuole se Ronaldo sia davanti o dietro a Pelé, Maradona o
Messi nella storia del pallone. Ma una cosa è certa, inconfutabile e
oggettiva: il calcio che ha mostrato il Fenomeno dal 96 al 98, cioè
tecnica e potenza in velocità, non lo ha mai mostrato nessun essere
umano su questa terra.
http://storiedicalcio.altervista.org/blog/ronaldo-il-fenomeno.html
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Thuram ricorda:
"Quando Ronaldo fece sentire me e Cannavaro piccoli piccoli"
“La prima volta che affrontai
Ronaldo ero al Parma. Iniziò la partita, e dopo un pó me lo ritrovai
davanti. Lui ti puntava, e accarezzava la palla in un modo
inconsueto che rimanevi incantato". Lillian Thuram, ricorda a
margine di un evento tutta la classe del Fenomeno nerazzurro, come
evidenzia calciomercato.com: "Tutto questo però lo faceva ad una
velocità mai vista prima.
Quel giorno, mi saltò di netto
con un doppio passo. Stava andando spedito verso la porta, e gridai
a Fabio: (Cannavaro n.d.r) mettilo giù mettilo giù... Fabio gli fece
fallo, e l'arbitro lo ammonì.
Azione successiva, di nuovo uno
contro uno, si allunga la palla in velocità, e non potetti fare
altro che stenderlo... Subito dopo Fabio mi guardò è disse: Lilly
qua finiamo in 9 stasera, come lo fermiamo questo qui?.
Ronaldo sentì tutto, si girò
verso di noi e disse in un italiano molto scadente: scusatemi sto
esagerando. Ci guardammo in faccia io e Cannavaro senza dire nulla.
Con quelle parole ci fece sentire piccoli piccoli, quasi
impotenti... Anche questo era il Fenomeno".
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Dal 1998 e fino al 2007 si dà una nuova
ritoccata alla tradizione: il logo è sempre tondo e al centro ci
sono le solite lettere intrecciate, ma in campo nero, attorno a cui
ci sono due cerchi concentrici più sottili, uno blu e uno nero,
quindi un cerchio blu molto più spesso degli altri, recante le
scritte, bianca, Inter in alto e 1908 in basso, e, a chiudere, altri
due cerchi, uno nero e uno giallo. La stella non è più a sormontare,
ma al centro del logo, spostata a destra, a proseguire i rami della
lettera C. Infine dal 2007 il ritorno allo stemma originale, il
primo, con la sola aggiunta della stella al centro insieme alle
lettere e due “edizioni speciali”: nel 2007/08 la comparsa di un
ulteriore cerchio concentrico dorato, leggermente distanziato dallo
stemma, con le scritte 1908-2008 in alto e 100 ANNI INTER in basso,
per festeggiare, appunto, il centenario; nel 2009/10 un ulteriore
cerchio concentrico bianco rosso e verde, per celebrare il
centenario del primo scudetto.
http://www.sportmain.it/2014/07/09/la-storia-del-logo-dellinter-dai-colpi-di-pennello-alle-stelle-rubate/
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Nell'estate 1998 arriva all'Inter Roberto Baggio, reduce da
un'ottima esperienza al Bologna. Il Codino, tuttavia, sin da subito
non è schierato con continuità e non riesce ad essere decisivo per
la squadra: anche per questo nel 1998-1999 l'Inter è artefice di
un'altra stagione negativa. Estromessa ai quarti di finale della
Champions League dal Manchester United (poi vincitore della
manifestazione), in campionato delude ancora una volta, giungendo
ottava cambiando addirittura 4 allenatori.
La serata
del divin codino
Ottavo
appuntamento con la rubrica "RewInter" che coincide con
una partita scolpita nella storia nerazzurra, ovvero
Inter-Real Madrid datata 25 novembre 1998. Una gara che
si rivelò spettacolare, al contrario di una stagione,
quella 1998-1999, maledettamente negativa, che si
concluse con l'ottavo posto in campionato, con soli 46
punti conquistati, l'eliminazione in semifinale di Coppa
Italia per mano del Parma e l'uscita dalla Uefa
Champions League contro il Manchester United di Sir Alex
Ferguson, in seguito alla sconfitta per 2-0 di Old
Trafford nella gara d'andata e del pareggio casalingo
per 1-1 nel return match.
Stagione particolare
anche per la questione legata agli allenatori: nel
'98-'99, infatti, furono ben 4 i tecnici che si
susseguirono sulla panchina interista. La stagione
iniziò con il confermato Luigi Simoni, che venne poi
esonerato dopo la vittoria casalinga contro la
Salernitana, al quale succedette Mircea Lucescu,
anch'egli sollevato dall'incarico dopo la sconfitta per
4-0 sul campo della Sampdoria, nella 26a giornata. Dopo
la "parentesi" Luciano Castellini, il campionato fu
portato a termine da Roy Hodgson, ma le sorti non
cambiarono. Inter fuori da qualsiasi competizione
europea dopo sette anni, dopo la sconfitta nel pareggio
Uefa contro il Bologna. Unica consolazione si rivelò il
riconoscimento di "Squadra mondiale dell'anno",
assegnato dall'IFFHS.
Tornando alla gara,
un'Inter particolarmente ispirata sconfisse il grande
Real Madrid, grazie alla super prestazione del grande
Roberto Baggio, che nel giro di 7 minuti mise in
ginocchio gli spagnoli con una meravigliosa doppietta.
Le altre reti della gara furono realizzate dal futuro
centrocampista di Inter e Milan Clarence Seedorf, mentre
il momentaneo vantaggio dei padroni di casa portò la
firma cilena di Ivan Zamorano.
Uefa Champions League
1998-1999, Girone eliminatorio: Milano, stadio "Giuseppe
Meazza":
Lo stadio di San Siro
presenta il pubblico delle grandissime occasioni per una
gara che vede i nerazzurri opposti ad un avversario
leggendario: a Milano arriva il Real Madrid di Guus
Hiddink, e dell'allora Presidente Lorenzo Sanz, che può
contare su una rosa assolutamente di primissima fascia:
per la quinta gara del girone eliminatorio, infatti, il
tecnico olandese mandò in campo giocatori del calibro di
Roberto Carlos (ex di turno, tanto rimpianto), Raul,
Redondo e lo stesso Seedorf, optando per coppia
d'attacco Mijatovic-Savio.
Luigi Simoni,
dal canto suo, risponde con il Fenomeno Ronaldo in
coppia con Zamorano, al quale subentrò
colui che nel secondo tempo divenne il vero man of the
match, ovvero il Divin Codino Roberto Baggio. In difesa
l'esperienza di Bergomi guida West, Galante e Colonnese,
mentre a centrocampo la grinta di Simeone, i "piedi" di
Sousa e Winter e la velocità di Moriero completano gli
11 di Simoni.
Passando alle azioni
salienti della partita, l'Inter passa in vantaggio al 6'
della seconda frazione di gioco, grazie ad una
deviazione, probabilmente fortuita, di Ivan Zamorano su
un tiro di Ronie da circa 20 metri. Deviazione decisiva
che mette fuori causa il portiere del Real Illgner, che
non può fare altro se non veder entrare la sfera alla
propria sinistra.
Dopo soli 8 minuti,
però, il Real Madrid risponde con Clarence Seedorf, che
pone la propria firma sul pareggio dei Blancos, in
seguito ad uno spunto molto bello del brasiliao Savio
che, liberatosi sull'out di sinistra del nigeriano
Taribo West, pennella all'interno dell'area piccola
nerazzurra una palla dolcissima che arriva sulla testa
dell'olandese, che non può sbagliare. 1-1 e tutto da
rifare per Ronaldo e compagni.
Al 23' del secondo
tempo, però, entra Roberto Baggio al posto di Zamorano,
e la musica cambia. Siamo al minuto 85 e Simeone è
autore di una grande percussione palla al piede, azione
che lo porta a servire proprio l'ex Bologna che,
allargatosi, calcia e spiazza il portiere ospite. 2-1 e
Inter vantaggio, con San Siro che esplode. Dopo soli 7'
arriva la vera e propria "apoteosi", con il Divin Codino
che si libera di Illgner in uscita, beffandolo con un
preciso dribbling, per poi depositare il pallone di
sinistro nella porta sguarnita.
L'Inter completò in
maniera magistrale il proprio girone eliminatorio,
conludendolo al primo posto, in seguito alla vittoria,
nell'ultima giornata, sul campo dello Stadion
Graz-Liebenau, "casa" dello Sturm Graz.
Serata
indimenticabile per l'Inter e per tutti i tifosi
interisti. Questa sera l'Europa è... nerazzurra.
http://www.fcinternews.it/rewinter/inter-real-madrid-3-1-25111998-la-serata-del-divin-codino-137304
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Nell'estate 1999 la
dirigenza acquista Christian Vieri, versando alla Lazio 90 miliardi
di lire e assume Marcello Lippi, il quale, dopo anni di successi con
la Juventus, nella stagione precedente si era dimesso a febbraio per
gli scarsi risultati ottenuti. La coppia d'attacco Vieri-Ronaldo fa
già sognare i tifosi, ma una serie di danni fisici occorsi ai due
bomber impedisce all'Inter di recitare un ruolo di protagonista in
campionato. Ad essere colpito dalla sfortuna è soprattutto Ronaldo,
che il 12 aprile 2000, proprio in occasione del suo ritorno in campo
dopo un infortunio, rischia di essere costretto al ritiro
dall'attività agonistica per un nuovo gravissimo infortunio al
ginocchio. Al termine di una stagione travagliata la squadra si
piazza quarta e vince lo spareggio per l'ingresso in Champions
League contro il Parma del 23 maggio 2000.
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Anche la stagione
2000-2001 si rivela fallimentare. Ad agosto i
meneghini vengono clamorosamente estromessi dalla Champions al terzo
turno preliminare dagli svedesi dell'Helsingborg, dopo che Alvaro
Recoba fallisce un rigore decisivo al 90° minuto della partita di
ritorno al Meazza. Ancora scottata dall'eliminazione, la squadra
perde nell'esordio in campionato sul campo della Reggina, provocando
il duro sfogo, documentato dalla televisione, dell'allenatore
Marcello Lippi, che si rivolge ai giocatori con toni rabbiosi. Due
giorni più tardi sulla panchina dell'Inter è chiamato Marco
Tardelli, ex gloria bianconera e nerazzurra, campione del mondo nel
1982 e allora commissario tecnico della Nazionale italiana Under-21,
con cui pochi mesi prima ha vinto il campionato europeo. Malgrado il
cambio della guida tecnica, l'Inter stenta e l'11 maggio 2001 va
incontro ad un pesantissimo crollo in casa nel derby contro il Milan
(0-6). I nerazzurri chiudono il torneo al 5° posto davanti ai
cugini, qualificandosi in Coppa UEFA. Marco Tardelli non viene
confermato sulla panchina della squadra. Al termine di quella
stagione scoppia lo scandalo dei passaporti falsi, riguardante la
naturalizzazione illecita di alcuni calciatori extracomunitari. Tra
le società coinvolte figura anche l'Inter. Il direttore sportivo
Gabriele Oriali patteggia 20.000 euro di ammenda e Álvaro Recoba
subisce una squalifica totale di 2 anni, poi ridotta dalla FIGC a 6
mesi di radiazione nelle competizioni nazionali con diffida.
di Francesco Bianco
Era un traguardo che attendevamo, ma con spiriti
evidentemente differenti. Noi trepidavamo per
festeggiare, per emozionarci e per sognare un'altra
stagione, per prolungare di qualche altro fotogramma
quel film che dura ormai da diciassette anni; lui per
sorridere un'ultima volta, sentirsi leggero e smettere
senza rimpianti.
È
giusto così, forse. A guardare la grazia e la semplicità
con Roberto Baggio realizza i suoi gol più belli, si
rischia di dimenticare i guai e le sofferenze che ne
hanno accompagnato la carriera. Ripercorrere le tappe
che lo hanno portato a duecento (quinto miglior
realizzatore di sempre nella massima serie) è più un
omaggio dovuto che effettivamente necessario. Chiunque
segua il campionato italiano dagli anni ottanta, non può
non avere la memoria gonfia delle prodezze di Roby, dal
calcio di punizione che non impedì al Napoli di vincere
il suo primo scudetto al sinsitro che ha privato il
Parma di una vittoria importante per la lotta al quarto
posto. In mezzo, pur escludendo Nazionale, Coppe
Europee, Coppa Italia e altre competizioni, una serie
infinita di gioielli di ogni fattura: calci di punizione
e di rigore, conlcusioni al volo, tiri di controbalzo,
colpi di testa, serpentine ubriacanti, pallonetti,
destri e sinistri. Tutto questo ben di Dio Baggio lo ha
guadagnato a dispetto di una carriera non propriamente
felicissima: andò via dalla Juventus all'indomani della
vittoria del primo scduetto di Lippi, lasciando a Del
Piero, Vialli e Ravanelli la gioia di alzare al cielo la
Coppa dei Campioni; al Milan lasciò poca traccia,
pagandone le conseguenze anche in Nazionale (dove non ha
giocato, da titolare, altro che un campionato del
mondo); a Bologna, quando qualcuno aveva forse smesso di
credere in lui, è risorto
dalle sue ceneri, segnando le ventidue reti stagionali
che restano tutt'ora il suo record; poi l'Inter, ancora
una "grande", alla quale Roby non riuscì ad esprimersi
ai suoi livelli. Erano i tempi del difficile e rapporto
con Lippi; Baggio giocò poco, ma riuscì a congedarsi con
la doppietta al Parma nello spareggio che regalò
all'Inter un posto in Champions League. A Brescia,
ancora una volta, un Baggio completamente diverso:
rivitalizzato da Mazzone, più esperto ed astuto,
raffinato come e più che in passato. Azzardo nel dire
che forse, da un punto di vista squisitamente tecnico e
stilistico, il miglior Baggio si è visto proprio in
queste ultime stagioni, con la maglia delle Rondinelle.
La doppietta contro la Fiorentina, nell'Aprile del 2002
(dopo il recupero record dall'infortunio al ginocchio,
patito nella semifinale di Coppa Italia col Parma), ha
emozionato una nazione intera, che si è illusa di
poterlo rivedere all'opera in una rassegna mondiale.
Così non è stato, peccato. L'ultimo obiettivo di Baggio
è così diventato arrivare a quota 200, per poter dire
addio. Peccato ci sia già arrivato.
L'Inter ritrova Ronaldo e con il brasiliano anche il
gusto della vittoria. Ma le reti decisive sono firmate
da Baggio e c'è grande gioia a San Siro (78.829 paganti,
oltre 5 miliardi di incasso). Con questa
vittoria,l'Inter scavalca il Real Madrid ed è prima nel
girone. L'ultimo turno a Graz non sembra proibitivo.
Primo tempo con diverse occasioni sciupate da interisti
e madrileni, poi (50') un tiro di Ronaldo è deviato da
Zamorano che consuma la vendetta dell'ex. Dopo 8',
guizzo di Savio e pareggio dell'ex sampdoriano Seedorf.
La classe di Baggio (85' e 95') firma una serata di
livello. |
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Nell'estate
seguente Moratti decide di puntare su Hector Cuper, tecnico
argentino che nelle due stagioni precedenti aveva condotto il
Valencia a due finali consecutive di Champions League (entrambe
perse). Lo scudetto è conteso per la maggior parte dell'annata tra i
nerazzurri e la Roma campione d'Italia in carica. Quando mancano
solo 5 giornate al termine l'Inter ha 6 punti di vantaggio sulla
Juventus, terza dietro ai capitolini. In queste cinque settimane,
tuttavia, accade l'imponderabile: l'Inter totalizza solo 7 punti sui
15 disponibili, mentre la Juve non ne lascia per strada neanche uno.
Al 29° turno il club di Moratti perde 2-1 in casa con l'Atalanta e,
nella stessa giornata, la Juventus vince sul campo del Perugia 4-0 e
la Roma pareggia 2-2
in trasferta contro il Venezia. A questo punto
la Beneamata si trova in testa con 3 punti di vantaggio sulle
avversarie, appaiate in classifica prima che, nei successivi tre
turni di campionato, la Juventus riesca a scavalcare la Roma.
L'ultima giornata si disputa il 5 maggio 2002 con la classifica
seguente: Inter 69, Juventus 68, Roma 67. È proprio nell'ultimo atto
di un torneo così avvincente che si concretizza una delle sorprese
più grandi degli ultimi decenni della Serie A. Il 5 maggio, in un
Olimpico colmo di tifosi interisti (persino i sostenitori laziali,
gemellati con quelli dell'Inter, inneggiano al tricolore prossimo
per la compagine di Milano) la squadra di Cuper è sconfitta per 4-2
dalla Lazio e il risultato, unito alla vittoria per 2-0 della
Signora sul campo dell'Udinese e a quella della Roma al Delle Alpi
contro il Torino, vede l'Inter scavalcata da ambedue le contendenti:
la Juventus (71 punti) conquista il suo 26° scudetto e la Roma (70)
l'ingresso diretto in Champions a scapito dei milanesi, i quali,
dopo aver mancato la grande occasione di riconquistare il tricolore
dopo tredici anni, subiscono anche la beffa di dover affrontare,
nella stagione successiva, il turno preliminare della massima
competizione calcistica continentale. Il cammino in Coppa UEFA si
interrompe in semifinale ad opera del Feyenoord, poi vincitore della
competizione.
http://video.gazzetta.it/5-maggio-2002-lazio-infrange-sogni-scudetto-inter/2510149e-122d-11e6-b22a-1711752c54fe
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Nonostante il finale d'annata disastroso, per la stagione 2002-2003,
che prende il via senza Ronaldo (ceduto al Real Madrid su richiesta
del giocatore, a causa di insanabili contrasti con l'allenatore
Cuper), Moratti rinnova la fiducia a Hector Cuper, che conduce la
squadra al secondo posto finale in Serie A, a 7 punti dalla Juventus
campione e a 4 dal Milan terzo. Christian Vieri è il capocannoniere
del torneo con 24 gol. In Champions League i nerazzurri sono
eliminati in semifinale dal Milan (poi campione d'Europa), nel primo
derby di Milano nella storia delle coppe europee. La partita di
andata, Milan-Inter, termina a reti inviolate; il ritorno,
Inter-Milan, finisce 1-1 e consente ai rossoneri di passare il turno
in virtù del gol segnato in trasferta. Proprio nella partita di
ritorno si mette in luce Obafemi Martins, 19enne attaccante
nigeriano cresciuto nel settore giovanile dell'Inter e autore
dell'1-1 finale.
Inter, Vieri: "Io e
Ronaldo la coppia dei sogni. Moratti? L'ho perdonato"
Bobo si confessa a Sky Sport e
parla delle sue sei stagioni in nerazzurro: dal rimpianto di aver
giocato poco con il brasiliano al caso dei pedinamenti e delle
intercettazioni subite.
07 APRILE 2017 - MILANO
Gioie, amarezze, rimpianti e
nostalgie. In una parola, emozioni. Christian Vieri si confessa a
Sky Sport e ripercorre gli anni più intensi della sua carriera:
quelli con indosso la maglia numero 32 dell'Inter. "Dovevamo vincere
e non eravamo attrezzati per farlo: Juve e Milan erano più forti di
noi - esordisce Bobo a I Signori del Calcio, che andrà in onda
domani sera 23.45 -. Abbiamo perso uno Scudetto da soli, il 5 maggio
2002, ed è stato molto pesante: secondo me, se avessimo vinto lì,
sarebbe cambiato tutto. E invece Ronaldo è andato via, Cuper dopo 4
mesi è andato via, tanti giocatori sono andati via".
LA COPPIA DEI SOGNI — Proprio la
coppia con il Fenomeno aveva fatto sognare i tifosi dell'Inter:
quando nel 1999, Massimo Moratti acquistò Vieri dalla Lazio, si era
assicurato i due attaccanti più forti del mondo in quel periodo. La
sfortuna, però, si accanì su di loro: a causa dei rispettivi
infortuni, in tre stagioni riuscirono a giocare insieme soltanto 14
partite. "Ci facevamo male una volta lui, una volta io; una volta
lui, una volta io. Non abbiamo mai giocato 20-30 partite insieme.
Però eravamo la coppia dei sogni, perfetti", racconta l'ex
centravanti, che ancora non si dà pace per la cessione del
brasiliano al Real Madrid nel 2002. "Io l'avevo detto al presidente:
'Non cederlo, non cederlo! Ha vinto il Mondiale e lo cedi ora? Lo
stiamo aspettando e lo cedi ora? E io che faccio qua?' - svela
ancora Vieri -. Però era o lui o Cuper. Quello che eravamo io e
Ronaldo all'Inter rimane e rimarrà per sempre! Cioè, i due più forti
che l'Inter abbia mai avuto!".
SPIATO — Nonostante non abbia
vinto neanche un trofeo con la maglia dell'Inter, Bobo resta
particolarmente legato ai colori nerazzurri. Tanto da aver pure
perdonato Massimo Moratti per averlo fatto pedinare e intercettare.
"Non ce n'era proprio motivo: non facevo niente! Tutti dicevano che
Vieri usciva la sera, ma lo facevo solo la domenica, come tutti.
Quindi non c'era nessuna cosa per far sì che mi dovessero
intercettare o pedinare, non c'era un perché - si difende -. Io,
quindi, guardo alla parte di quei sei anni in cui ho giocato, i
compagni, i gol, anche le sconfitte. Tutto quanto è sempre e
comunque bello, perché giocare titolare nell'Inter è sempre una cosa
importante". Il tempo, poi, aiuta a cicatrizzare le ferite e a
dimenticare le amarezze. "Ormai non ci penso più. Se ho perdonato il
presidente Moratti? Ma sì, è stato il mio presidente per sei anni,
mi ha comprato a 90 miliardi, mi ha fatto dei contratti alti e gli
sarò sempre riconoscente per questo - conclude Vieri -. Ho fatto 132
gol e gli ho fatto vendere tante magliette col numero 32! Quindi, ho
la coscienza a posto". E vivranno tutti felici e contenti.
http://www.gazzetta.it/Calcio/Serie-A/Inter/07-04-2017/inter-vieri-ronaldo-moratti-scudetto-5-maggio-intercettazioni-190576972756.shtml
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Nell'estate 2003 inizia la terza stagione di Cuper, il quale è
esonerato ad ottobre a seguito delle deludenti prestazioni
dell'Inter ed è sostituito da Alberto Zaccheroni. A gennaio, nel
calciomercato invernale, è richiamato dal prestito al Parma il
giovane attaccante brasiliano Adriano, che, dopo aver esordito con
l'Inter nel 2001 e aver realizzato molti gol con Fiorentina (6 gol)
e Parma (23 gol) tra il 2002 e il 2004, segna gol importanti nel suo
primo scorcio di stagione da titolare con la formazione nerazzurra.
Il tecnico romagnolo finisce il campionato alle spalle di Milan,
Roma e Juventus, centrando quel 4° posto che era l'obiettivo minimo
dell'Inter dopo un avvio amaro. Tuttavia ciò non è sufficiente alla
conferma per l'annata seguente. Intanto, nell'inverno 2003, è stato
trovato positivo al nandrolone il nerazzurro Mohammed Kallon. La
società si è dichiarata estranea alla vicenda, posizione che né il
calciatore né il suo avvocato finora hanno mai smentito.
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L'Inter di Mancini
A giugno 2004 Roberto Mancini è ufficialmente il nuovo allenatore
dell'Inter. Il tecnico ritrova il centrocampista Dejan Stankovic e
porta con sé a Milano dalla Lazio i difensori Giuseppe Favalli e
Siniša Mihajlovic? e dal Chelsea l'ex compagno di squadra in
biancoceleste Juan Sebastián Verón. La squadra può contare su un
attacco sulla carta molto forte (Adriano, Vieri, Martins, Recoba),
ma non riesce ad andare incontro alle grandi aspettative suscitate
in estate, pareggiando ben 18 partite su 38 e giungendo terza in
campionato dietro Juventus e Milan. In campo internazionale viene
estromessa dalla Champions League ai quarti di finale ancora dal
Milan con questi risultati: Milan-Inter 2-0; Inter-Milan 0-3 a
tavolino (match sospeso nel secondo tempo per lancio di bengala dei
sostenitori nerazzurri sul risultato di 1-0 per i rossoneri, subito
dopo una rete annullata a Esteban Cambiasso). Il club di Moratti è
comunque capace di mettere in bacheca un trofeo dopo sette anni. I
nerazzurri conquistano infatti la quarta Coppa Italia il 15 giugno
2005 nella finale contro la Roma, imponendosi sia all'andata che al
ritorno: 2-0 allo Stadio Olimpico con una doppietta di Adriano e 1-0
al Meazza con gol di Siniša Mihajlovic?.
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La compagine meneghina comincia il 2005-2006 con il piede giusto: il
20 agosto 2005 si aggiudica la seconda Supercoppa Italiana della sua
storia dopo quella del 1989, grazie a una rete di Juan Sebastián
Verón nei supplementari contro la Juventus al Delle Alpi (1-0). Il
campionato parte con la fuga della Juventus. Soltanto Milan e Inter
sono in grado di mantenere l'impetuoso passo dei bianconeri, prima
che un vistoso calo dei rossoneri permetta ai nerazzurri di occupare
stabilmente la seconda piazza della classifica. N
el derby d'Italia
di ritorno, disputato a marzo, l'Inter ripone le speranze di una
rimonta che avrebbe dell'incredibile, ma viene sconfitta per 2-1 a
San Siro con gol decisivo di Alessandro Del Piero. Il passo falso,
unito alla precedente sconfitta con la Fiorentina, favorisce il
notevole recupero del Milan, capace di rimontare 14 punti all'Inter
e 11 alla Juventus. Alla fine, però, sono ancora i bianconeri a
celebrare lo scudetto, davanti al Milan e all'Inter, staccata
nettamente di 12 punti. In Champions League, nonostante le prime
sfide a porte chiuse a San Siro a causa dei fatti del derby di
Champions, il cammino dei nerazzurri è in discesa. Dopo il primo
posto nella fase a gironi, la squadra sconfigge l'Ajax agli ottavi,
ma esce inopinatamente dal torneo ai quarti di finale per mano degli
spagnoli del Villarreal, malgrado la vittoria per 2-1 nel match di
andata al Meazza. Il ritorno al Madrigal termina infatti 1-0 per gli
avversari, che si qualificano alle semifinali in virtù del gol messo
a segno da Diego Forlán al primo minuto di gioco della sfida di San
Siro.
Ai nerazzurri resta così la Coppa Italia, che vincono per la
seconda volta consecutiva, ancora contro la Roma. Dopo il pareggio
all'Olimpico (1-1 con reti di Cruz per l'Inter e di Mancini per la
Roma) al ritorno la formazione milanese prevale per 3-1 (gol di Cambiasso, Cruz e Martins per l'Inter e di Nonda per la Roma),
conquistando il trofeo per la quinta volta nella sua storia.A
seguito dello scandalo del calcio italiano il 26 luglio 2006 il
Commissario Straordinario della FIGC Guido Rossi, recepito il parere
positivo di una commissione di "tre saggi" (Gerhard Aigner, Massimo
Coccia e Roberto Pardolesi) appositamente creata, assegna d'ufficio
all'Inter il 14° scudetto della sua storia, proclamandola Campione
d'Italia in seguito ai provvedimenti della Corte Federale:
retrocessione in Serie B della Juventus prima in classifica e 30
punti di penalizzazione inflitti al Milan secondo classificato dalla
Corte Federale. Eccezion fatta per alcuni pareri isolati, la società
e la tifoseria assumono una linea celebratrice dello scudetto,
riassunta dall'opinione del presidente Facchetti il quale definì il
trofeo "scudetto della correttezza".
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quarti finale Champions
League
E'
morto Giacinto Facchetti "Ci lascia una
persona perbene"
Dopo una
grave malattia si è spento il presidente
dell'Inter. "Ha stretto i denti, ha lottato
fino alla fine da vero campione"
ROMA -
Una grande foto troneggia sul sito
dell'Inter. E' il volto sorridente di
Giacinto Facchetti, stella nerazzurra e
attuale presidente della società. Facchetti
se n'è andato a 64 anni, stroncato da una
grave malattia. Un lutto che colpisce la
società di Moratti e l'intero calcio
italiano. Una vita in nerazzurro quella di
Facchetti,
prima
come giocatore e poi come dirigente. Una
classe innata, un'eleganza in campo, uno
stile confermato anche da dirigente. "Se ne
va una persona perbene" si legge sul sito
dell'Inter.
Ma non
se ne va solo un grande nerazzurro, se ne va
un giocatore che è stato 94 volte in
Nazionale. Per ricordarlo, la squadra
azzurra giocherà mercoledì a Parigi contro
la Francia con il lutto al braccio. Come
Scirea, Facchetti è stato simbolo di
attaccamento alla maglia, lealtà,
correttezza. Espulso una sola volta in tutta
la carriera, ne parlava qualche volta con
rimpianto.
E il suo
nome è in tutte le filastrocche, in tutte le
formazioni imparate a memoria da quelli che
hanno intorno ai cinquant'anni. Sarti,
Burgnich, Facchetti... ma mitica formazione
dell'Inter di HH, l'Inter di Angelo Moratti.
Nato a
Treviglio, in provincia di Bergamo, il 18
luglio 1942. Il salto nel calcio che conta
ci fu nel 1960-1961, quando Helenio Herrera
rimase colpito dalle sue qualità e lo volle
a tutti i costi nella sua Inter per il
finale di stagione. Il Mago Herrera fece di
lui uno dei più grandi giocatori italiani di
sempre, impiegandolo come laterale sinistro
con compiti sia
difensivi che offensivi. Facchetti verstì la
maglia nerazzurra fino al 1978 (18
stagioni), collezionando con la maglia
nerazzurra 634 partite e 75 gol. Nel suo
palmares vantava 4 scudetti, 2 Coppe
Intercontinentali, due Coppe Campioni e una
Coppa Italia. Sotto la sua presidenza
l'Inter ha vinto due Coppe Italia e una
Supercoppa italiana. Poi l'addio al calcio
giocato e il passaggio alla dirigenza sempre
al fianco dell'Inter. E' vice-presidente,
membro del Cda, direttore tecnico. Il 30
gennaio 2004 Massimo Moratti gli lascia la
massima carica: Facchetti è il primo
calciatore della storia nerazzurra a essere
nominato Presidente.
Ha
potuto almeno vedere lo scudetto sulle
maglie dell'Inter. In prima persona aveva
vissuto le polemiche dell'ultimo scandalo.
Il giorno dopo la vittoria sulla Roma, Marco
Materazzi ha voluto portargli la Supercoppa
vinta, in ospedale. Dedicata al presidente
anche quella.
Toccanti
le parole che si leggono sul sito
dell'Inter: "Giacinto Facchetti ci ha
lasciato troppo velocemente per non
confondere, in questi attimi, il dolore e la
rabbia, il senso d'ingiustizia e la
preghiera. Ci ha lasciato dopo aver giocato,
con determinazione e stile, l'ultima
partita. Spinto nel campo del dolore da un
destino nascosto, improvviso, bastardo.
L'atleta, nella testa e non solo nel fisico,
nella morale e nei riti di una vita
quotidiana all'insegna della lealtà e dello
sport, ha lasciato il posto all'uomo di 64
anni sorpreso, colpito, ferito, ma non
vinto. Ha stretto i denti, ha combattuto
sorretto dall'affetto dei suoi cari, di
Massimo Moratti, di tutta l'Inter e di tutti
gli interisti, mai abbandonato dal
campionato infinito di amici che aveva, che
ha, che lascia attoniti, storditi, in Italia
e nel mondo".
http://www.repubblica.it/2006/09/sezioni/sport/calcio/morto-facchetti/morto-facchetti/morto-facchetti.html
(4
settembre 2006)
|
Il 26 agosto 2006 l'Inter si presenta alla sfida di Supercoppa
Italiana a San Siro come favorita, con la coccarda della Coppa
Italia sulla manica sinistra e lo scudetto sul petto. Sebbene quello
dell'Inter sia un double ottenuto a tavolino, in passato
l'accoppiata era riuscita solo a Torino, Juventus, Napoli e Lazio.
In campo giocano dall'inizio Zlatan Ibrahimovic e Patrick Vieira,
fiori all'occhiello di una campagna-acquisti faraonica e provenienti
dalla decaduta Juventus. Ceduto Obafemi Martins, in panchina c'è
Hernán Crespo, altro grande acquisto (prelevato dal Chelsea),
tornato in nerazzurro dopo tre anni. Nei primi 30 minuti di gioco la
Roma realizza tre gol (Mancini e doppietta di Aquilani), ma sul
finire della prima frazione il nuovo acquisto Patrick Vieira segna
il gol che riapre la partita. Nel secondo tempo, infatti, Crespo,
subentrato ad Adriano e ancora Vieira vanno in gol per il 3-3 su cui
si chiudono i 90 minuti regolamentari. I supplementari danno poi
merito ad un'Inter con maggiore qualità e forza fisica rispetto ad
una Roma che accusa una preoccupante flessione fisica. La punizione
di Luís Figo fissa il risultato sul 4-3 per la formazione nerazzurra
e le consegna la terza Supercoppa Italiana della sua storia, la
seconda consecutiva.
Il 4 settembre 2006, pochi giorni dopo la vittoria in Supercoppa, un
grave lutto colpisce l'Inter, oscurandone l'atmosfera di ottimismo
in vista della nuova stagione: muore, infatti, a Milano, il
presidente Giacinto Facchetti, già bandiera nerazzurra negli anni
sessanta e settanta, gravemente malato da alcuni mesi.
Nella stagione 2006-2007 l'Inter torna a dominare la scena italiana:
ottiene il primato assoluto delle vittorie consecutive in campionato
(17, record per i campionati europei di 1° livello) e occupa
stabilmente la vetta della classifica di Serie A con molti punti di
vantaggio sulla seconda in classifica. Anche il cammino in Coppa
Italia è ottimo: raggiunge la terza finale consecutiva con la Roma.
Non è mai accaduto prima che le stesse squadre si sfidassero in
finale per tre anni di fila. L'avventura in Champions League dei
nerazzurri si conclude, però, agli ottavi di finale, dove l'Inter è
eliminata dal Valencia per la regola dei gol fuori casa. Con un
doppio pareggio, 2-2 nell'andata al Meazza e 0-0 nel ritorno al
Mestalla, si qualificano infatti gli spagnoli.
Intanto in Serie A
l'Inter prosegue il suo dominio incontrastato. Il 18 aprile, però,
subisce la prima sconfitta in campionato, ad opera della Roma,
vittoriosa per 3-1 a San Siro. Si tratta della prima sconfitta dopo
39 partite consecutive di imbattibilità in tutte le competizioni. Il
22 aprile i nerazzurri conquistano il 15° scudetto, il primo vinto
sul campo dopo 18 anni, con 5 giornate di anticipo sulla fine del
campionato, grazie alla vittoria per 2-1 contro il Siena in
trasferta e alla contemporanea sconfitta della Roma a Bergamo contro
l'Atalanta.
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Stagione 2007/08, sembra tutto
apparecchiato per il trionfo nerazzurro, il 27 febbraio 2008 Zanetti
pareggia il gol di Totti, l’Inter va a più 9 sulla Roma, sembra
fatta, invece non è così, serve lui, Zlatan Ibrahimovic, l’uomo
scudetto.
PARMA-INTER,
IL DILUVIO E LE LACRIME SCUDETTO
Da quel gol di Zanetti succede di
tutto all’Inter. I nove punti di vantaggio vengono ben presto
dilapidati, prima Zalayeta punisce i nerazzurri al San Paolo, poi
due turni dopo l’Inter si ferma a Genova con un 1-1 contro i
rossoblu, prima della sfida interna contro la Juventus finita 2-1
per i bianconeri.
E’ un calvario, Roberto Mancini
ha già annunciato l’addio a fine stagione dopo la disastrosa sfida
col Liverpool in coppa, l’Inter pareggia con la Lazio poi perde il
derby alla giornata numero 36 per 2-1, vedendo arrivare la Roma a
meno 4, 81 punti contro 78. Al peggio non c’è fine, la gara scudetto
contro il Siena vede Materazzi fallire un rigore al minuto 78, si
resta sul 2-2, la Roma batte l’Atalanta ed è a meno 1.
In tutto questo pellegrinaggio
manca lui, l’Uomo Scudetto, Zlatan Ibrahimovic, ai box per problemi
al ginocchio.
“Domenica a Parma vieni con noi,
anche zoppo”, questo Mancini su Ibra e il 18 maggio 2008 Zlatan è in
panchina insieme a Toldo, Burdisso, Pelè, Crespo e Jimenez. La Roma
è a Catania, contro la squadra allenata da Walter Zenga. Bastano 8
minuti e Mirko Vucinic porta in vantaggio i giallorossi, è sorpasso,
lo scudetto prende la via di Roma. Nel diluvio del Tardini, con
Mancini all’ultima panchina, serve il tocco del Dio svedese. Minuto
51, fuori Cesar, dentro Zlatan Ibrahimovic con un ginocchio
malconcio.
“Chi se ne frega”, dice lui,
primo tiro, fuori di poco.
Minuto 62, Ibra prende palla, sa
che se vuole vincere deve far da sé, controllo, finta, tiro e palla
in rete con Pavarini battuto, la pioggia aumenta, ma l’Inter è in
vantaggio.
Minuto 79, Maicon crossa, Ibra al
volo segna, 2-0, scudetto in nerazzurro, Parma in Serie B, ma Zlatan
ha deciso così, è lui il miglior giocatore al mondo.
L’Inter è campione d’Italia e
contemporaneamente il Catania ferma sull’1-1 la Roma, Walter Zenga
può esultare due volte.
PARMA – INTER 0 – 2
Marcatori: 61’, 78’ Ibrahimovic
(I)
Parma (4-4-2): Pavarini 6; Coly
6, Paci 6,5, Couto 6, Castellini 6,5; Morrone 6, Parravicini 6 (86’
Moretti sv), Cigarini 6 (64’ Lucarelli 5,5); Reginaldo 6 (76’
Antonelli 6), Budan 6, Gasbarroni 5,5. A disp:Bucci, Zenoni,
Martinez, Corradi. All: Manzo 6,5
Inter (4-3-3): Julio Cesar 7;
Maicon 6,5, Rivas 6,5, Materazzi 6,5, Maxwell 6; J. Zanetti 6,5,
Vieira 6,5, Stankovic 6; Balotelli 6,5 (76’ Pele’6), Cesar 6,5 (50’
Ibrahimovic 8), Cruz 6,5. A disp: Toldo, Burdisso, Jimenez, Crespo,
Suazo.
All: Mancini 6
Arbitro: Rocchi 6,5
Note: giornata umida tempestata
da pioggia battente e tuoni. Campo in discrete condizioni.
https://www.spaziointer.it/2017/05/18/accadde-oggi-ibra-luomo-scudetto/
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Zanetti: "Ci credevo:
ora l'Inter è nella storia"
Giovedì, 27 Maggio 2010
MILANO - Per capitan Zanetti,
Massimo Moratti è "come un padre", José Mourinho "un
uomo di grande personalità e dalla idee chiare", che
ringrazia "per quanto ha dato all'Inter, tantissimo" e
al quale augura "che la nuova avventura possa essere di
successo".
Il giocatore simbolo dell'era
nerazzurra di Massimo Moratti si gode la vittoria della
tripletta che "ci ha portato nella storia" e annuncia
che giocherà "almeno altri due-tre anni": questo e molto
altro ancora ha raccontato stamane Javier Zanetti
rispondendo alle numerose domande dei tifosi, oltre
1600, che hanno potuto esaudire le loro curiosità grazie
alla video-chat, vista in tutto il mondo, organizzata a
Il Corriere della Sera, in via Solferino.
"In 15 anni di Inter ho visto
passare tantissimi campioni e tanti allenatori, forse -
ripensandoci - mi sarebbe piaciuto che Simeone potesse
rimanere più a lungo con noi. Perché così tanti
stranieri all'Inter? Io l'ho detto sempre che questo non
è problema, è vero che ci sono tanti stranieri e pochi
italiani, ma quello che conta è fare bene per l'Inter,
non conta di quale nazionalità sei. Qual è stato il
periodo più difficile trascorso in nerazzurro? Ci sono
stati tanti momenti difficili, ma il 1999 credo che sia
stato il momento più brutto, credo che allora si toccò
il fondo. Il Cinque Maggio? Una data difficile da
digerire, perché nel 2002 - stando a vedere tutto quello
che si è saputo dopo - poteva finire diversamente, meno
male che quest'anno in quella data abbiamo vinto la
Coppa Italia. Con quale grande campione mi piacerebbe un
giorno giocare in squadra, all'Inter? Con Lionel Messi.
L'avversario più difficile che ho avuto? Nedved e da
marcare Kakà, che in qualsiasi momento può fare la
differenza. Se il nuovo allenatore che arriverà deve
avere più polso o più dialogo? Entrambe le cose, come
Mourinho. Il vantaggio che troverà il nuovo allenatore è
che trova un gruppo già formato. Io credo che mister
Mourinho in questi due anni abbia fatto un ottimo lavoro
insieme a noi e noi volevamo continuare con lui questo
cammino di successi, ma lui ha preferito la sfida con il
calcio spagnolo e noi gli auguriamo ogni bene. Balotelli?
È giovane, ha commesso qualche errore, che speriamo non
si ripeta più, perché lui può diventare un grande
campione. Se ci stiamo godendo la vittoria della
tripletta? Credo che dobbiamo stare tranquilli e felici
per quello che abbiamo fatto, anche se non ci rendiamo
quasi conto, l'ho detto ai miei compagni 'siamo entrati
nella storia vera'. Io credo che tutti i miei compagni
sappiano che qui si sta molto bene, soprattutto adesso
che abbiamo intrapreso una strada vincente.
Che differenze di emozioni ci sono
state tra alzare le tre coppe conquistate quest'anno? La
cosa più bella è vincere. Vincere il primo traguardo,
con la sfida con la Roma, è stato emozionante. Vincere
lo scudetto lottato fino all'ultimo è stato ancor più
emozionante.
E poi abbiamo chiuso la terna vincente a
Madrid, con un trofeo che mancava da tantissimo tempo,
quindi credo che questa emozione sia stata la più forte,
anche perché siamo entrati nella storia vera. Ho sempre
creduto che il momento dell'Inter sarebbe arrivato, ho
continuato a crederci e ha funzionato. Tante volte ho
pensato che non me ne sarei mai andato dall'Inter, che
non avrei mai lasciato l'Inter da sconfitto, che sarebbe
arrivato il nostro momento: eccolo. Se oltre a fare il
calciatore ho avuto un altro sogno nel cassetto? Mi
piace molto la musica, magari fare il cantante. Cosa
farò dopo la carriera da calciatore? Sinceramente non ci
ho ancora pensato, ma di sicuro mi piacerebbe avere un
ruolo che mi permetta di essere utile in questa società.
Se ho mai pensato di lasciare l'Inter? Nell'anno
difficile con Tardelli ho avuto l'offerta del Real
Madrid, ma dopo aver parlato con Moratti gli ho detto
che la mia intenzione era di rimanere e lui mi disse che
la sua era quella di avermi ancora nell'Inter. Moratti e Mourinho? Sono due persone diverse, per me Moratti è
come un padre, per tutto quello che mi ha dato e per il
fatto di aver creduto in me quando ero uno sconosciuto,
non lo dimentico. Il mister ha personalità forte e idee
molto chiare. Quale allenatore vorrei ora? È difficile
scegliere, ci sono tanti allenatori che possono fare
bene. Si parla di Capello e Hiddink? Grandissimi
allenatori entrambi. Quando smetterò di giocare? Mi
sento bene, vorrei giocare almeno altre due-tre
stagioni. Provando nel frattempo a superare il record di
Beppe Bergomi di 759 presenze in nerazzurro. Che cosa ho
preso dall'Italia? L'Italia mi ha fatto crescere
tantissimo, ho preso la vostra cultura. La maniera di
vivere in Argentina è molto diversa da quella di qui.
Quanto pesa il mancato scudetto del 1998? Tantissimo,
quella partita lì per tutti noi era importante, ma
sappiamo come è andata. Il miglior allenatore che ho
avuto? Simoni, Cuper e Mourinho. Cosa ne penso di
Calciopoli 2? Vergognoso quello che si sta dicendo
dell'Inter, il parlare di Facchetti, l'Inter non ha
fatto niente, ha sempre creduto nel lavoro, nella buona
fede ed è stata sempre danneggiata. Adriano alla Roma?
Credo che farà bene, credo che lo stare in Brasile per
un po' gli abbia fatto bene. Cosa ho detto a Mourinho
alla fine della partita di Madrid quando l'ho
abbracciato? Gli ho detto 'Sei un grande e grazie'. Se
Santon è il mio erede? Davide è un giovane che ancora
deve crescere, però per quanto ha dimostrato è una
grandissima promessa che diventerà un grandissimo
campione".
L'Inter è campione d'Europa,
Diego Milito ora è Re
L'Europa torna nerazzurra dopo 45
anni. Una fantastica doppietta del Principe Milito fa
esplodere il Santiago Bernabeu e tutta Milano. Impazziti
i 50.000 di Piazza del Duomo
di Lorenzo Nicolini - 22/05/2010
Dopo 45 anni l'Inter torna sul
tetto d'Europa. Il regno nerazzuro ha un sovrano che da
Principe è diventato Re: Diego Alberto Milito.
L'argentino con una doppietta manda ko il Bayern Monaco
e regala Champions League e 'triplete'. Dopo la Coppa
Italia e lo scudetto numero 18, l'Inter corona una
stagione straordinaria vincendo anche la vecchia Coppa
dei Campioni. La vittoria dell'Inter fa sorride anche il
resto d'Italia. Il trionfo nerazzuro a Madrid, regala al
calcio italiano la conferma dei quattro posti
nell'Europa che conta per la stagione 2011-12. Grazie al
trionfo nerazzurro, infatti, l'Italia supera la Germania
nel ranking Uefa riprendendosi la terza posizione con
64,338 punti dietro solo a Spagna e Inghilterra.
Una vittoria colta con l'umiltà
della grande squadra. L'Inter ha sofferto prima e punto
poi. José Mourinho ha messo in campo una squadra
perfetta sempre letale nelle ripartenze. Grande possesso
palla del Bayern pericoloso però solo con Robben che
taglia il campo da destra verso sinistra. I nerazzurri
però sono troppo cinici. Nel primo tempo il ritmo è
basso. Il primo tiro pericoloso è di Sneijder su
punizione. I bavaresi fanno più del 65% di possesso
palla, ma al 34' Julio Cesar rilancia un pallone lungo
che Milito spizza di testa per Sneijder. L'argentino
ridà la sfera al Principe che con una finta beffa Butt e
spara un tiro sotto la traversa. Il Bernabeu esplode! 1
- 0 Inter. Passano pochi minuti e Milito restituisce il
favore a Sneijder. L'ex Real però non ringrazia si
lascia ipnotizzare da Butt.
Van Gaal, striglia i suoi negli
spogliatoi. In avvio di ripresa, Muller ha l'occasione
di cambiare l'inerzia del match ma Julio Cesar è
impeccabile nel respingere la conclusione a colpo sicuro
del giovane attaccante tedesco. Il Bayern continua a
premere e sfiora in tre occasioni il gol. La più grande
è sui piedi di Robben che con un tiro a giro prova a
riaprire il match ma Julio Cesar è super e vola anche in
questa circostanza.
Nel momento di maggior pressione
dei bavaresi però arriva il colpo del ko. In contropiede
Milito punta Van Buyten ai 20 metri ubriacandolo: finta,
dribbling a rientrare e destro sul palo più lontano.
Tripudio interista e 2 - 0! Mourinho nel finale concede
anche la passerella al Re Milito. Il Bayern ci prova
ancora ma non c'è più nulla da fare. Dopo 45 anni la
coppa dalle grandi orecchie torna a casa Moratti! Josè
Mourinho dopo la vittoria della Champions ha iniziato a
piangere, molto. Dopo gli abbracci con i giocatori e
dopo aver alzato la Coppa, Mou è andato a salutare i
tifosi nerazzurri con una bandiera portoghese tra le
mani battendosi la mano sul cuore. Un chiaro segno di
addio? Vedremo, ora è festa interista.
Il Re Milito, a fine gara non sta
nella pelle: "Sono troppo felice, è stata una stagione
unica, mai stato così felice. E' per il presidente e per
i tifosi, lo meritavano davvero", dice il Principe con
le lacrime agli occhi, "Il calcio dà sempre la
rivincita, ho lottato sempre, dato il massimo, e anche
se ho 30 anni sono felice come mai. Lo merita il
presidente, la società. Sono felicissimo, vediamo il
prossimo anno. Se resto? Speriamo, ma nel calcio non si
sa mai. Ringrazio a tutti quelli che mi hanno portato
qua, ma ho offerte importanti e vediamo".
Piazza Duomo esplode di gioia.
Migliaia di tifosi nerazzurri a Milano sotto la
Madonnina per festeggiare la conquista della Champions
League e il "triplete" della squadra di Mourinho.
Quarantacinque anni dopo, è di nuovo Grande Inter.
Emozionatissimo il Presidente Moratti: "Mou voleva farmi
piangere? Io ho pianto poco, ha pianto molto lui. Questo
vuol dire che è molto affezionato, speriamo non sia un
segno di pentimento. Spero che questa Coppa resti nel
cuore di tutti, sono felicissimo io come tutti i
giocatori e tutta l'Inter. E' stata una Coppa
bellissima, strameritata, una roba seria insomma. Quando
parleremo del futuro? Non so, stanotte festeggiamo poi
vediamo...".
Gioia anche per l'ultimo arrivato,
Goran Pandev: "Sono felicissimo, devo ringraziare tutti
perchè mi sono stati tutti vicini da quando sono qui e
sono contento che dopo tanti anni l'Inter ha vinto alla
Champions. Se me lo dicevano otto mesi fa? Sicuramente
non ci credevo, perchè non avevo un buon periodo alla
Lazio, però poi sono arrivato qua e sapevo che volevamo
vincere tutto, e abbiamo vinto tre trofei! Sono felice,
veramente tanto tanto tanto. Mourinho? Speriamo che non
vada via, la squadra è fortissima ma speriamo resti
così. Io non sono uno che si emoziona tanto, ma
ringrazio mia moglie e mio figlio per quello che hanno
fatto per me".
Commosso anche Chivu: "La maglia?
La terrò forse, o la darò a qualcuno, vedremo! Non è
facile vincere tutto. E' frutto di un lavoro fatto in un
anno intero, da parte di tutti, abbiamo messo il
carattere e abbiamo capito che avremmo vinto tutto ciò
soltanto se eravamo una squadra. Ci mancava una Coppa
europea, ma finalmente abbiamo capito cosa ci voleva e
l'abbiamo vinta. Ci voleva fortuna, un po' di tutto: la
Champions si vince anche con i dettagli, ma siamo tutti
contenti per stasera e per tutto questo anno fantastico.
L'infortunio? Non sapevo se tornavo, è una gioia
fantastica per me".
Con un boato lo stadio di San Siro
ha accolto i giocatori dell'Inter, appena arrivati a
Milano dopo essere sbarcati, poco prima delle 5,
all'aeroporto di Malpensa. Sul pullman della squadra
partito dallo scalo varesino non era salito l'allenatore
Jose Mourinho: lo 'Special One' è infatti partito da
Madrid su un aereo diverso da quello deicalciatori,
volando insieme ai suoi familiari. Sugli spalti sono
presenti circa 35.000 spettatori: i primi erano arrivati
intorno alle 2, diversi hanno abbandonato il Meazza non
riuscendo a resistere sino all'arrivo dei campioni
d'Europa. All'ingresso sul terreno di gioco, i
nerazzurri - capeggiati da Zanetti e Angelo Mario
Moratti con la Coppa dei Campioni - sono stati accolti
con applausi e cori inneggianti all'impresa di Madrid.
Tanti quelli per Milito, eroe della serata spagnola e
per il capitano alla 700esima gara in maglia interista.
Lo speaker dello stadio ha esortato il pubblico presente
a dedicare un lungo applauso alla memoria di Peppino
Prisco e Giacinto Facchetti. In un tripudio di fumogeni
e fuochi d'artificio, la squadra ha mostrato ai tifosi
rimasti in Italia la Coppa dalla grandi orecchie, durante
un lungo giro di campo. Sul rettangolo di gioco assenti
il presidente Massimo Moratti - rimasto a Madrid insieme
a Marco Tronchetti Provera -, l'allenatore, Jose
Mourinho, Julio Cesar e Wesley Sneijder già in volo
verso rispettivamente Brasile e Olanda. Tra i giocatori
più applauditi Milito, con indosso la magliadi Zanetti e
lo stesso capitano che, rivolgendosi ai tifosi, ha
ricordato come la squadra si sia meritata la vittoria
finale, cercata con convinzione ma "non senza
difficoltà, già dopo la vittoria negli ottavi di finale
contro il Chelsea". La festa di San Siro, con il sole a
fare capolino nel cielodi Milano, è durata circa
mezz'ora, prima dei saluti finali e il 'rompete le
righe' al termine di una nottata da ricordare a lungo
La vittoria per 2-0 contro l'FC
Bayern München di sabato ha visto i detentori del titolo
della Serie A completare una storica tripletta, alla
loro prima finale di Coppa dei Campioni dopo 38 anni.I
nerazzurri non vincevano questa competizione da quando
lo avevano fatto per due stagioni consecutive tra il
1964 e il 1965, quando la mano di Angelo Moratti e il
lavoro di Helenio Herrera in panchina avevano portato i
frutti più desiderati. La 'Grande Inter' del passato è
stata la grande ispirazione di Massimo Moratti. José
Mourinho e Massimo Moratti hanno costruito un bel
rapporto di stima reciproca durante il biennio del
portoghese a San Siro, e il presidente non nasconde il
suo apprezzamento per il portoghese nonostante il suo
futuro sia incerto: "È un grande allenatore, Lavora
duramente, è intelligente e certe volte sorprende la
gente con le sue idee. È un comunicatore, un motivatore;
non è facile trovare tutte queste qualità in una
persona sola. Abbiamo vinto questo titolo anche perché
abbiamo una persona come lui nel gruppo". Oltre a
Mourinho e Moratti, una terza 'M' ha giocato un ruolo
fondamentale nella stagione da incorniciare dell'Inter,
prima italiana a completare la tripletta - è quella
dell'autore di 30 splendidi gol stagionali Diego Milito,
che ha segnato i gol decisivi in finale di Coppa Italia,
nell'ultima gara di campionato contro l'AC Siena e in
finale di UEFA Champions League. "Sapevo che Diego era
un goleador, ma ha fatto molto meglio di quanto mi
aspettassi", ha detto il 65enne petroliere Morat ti. "È
un giocatore fantastico e segna molto, ma è anche un
ragazzo straordinario. Da un punto di vista umano è
molto positivo per la squadra. Vorrei solo dargli un
abbraccio perché Diego è fantastico. Vorrei ringraziarlo
davvero tanto". Tra i 'ragazzi speciali' dell'Inter c'è
di diritto anche il capitano Javier Zanetti, primo
giocatore ingaggiato da Moratti 15 anni fa, che merita
una parola in più. "La finale è stata la sua 700esima
partita con l'Inter", ha ricordato Moratti. "È stato il
primo giocatore che ho preso all'Inter. È stata una mia
scelta personale, l'ho visto giocare con l'Argentina
Under 21 quando nessuno lo conosceva in Italia. I
giornali scrivevano 'Chi è Zanetti?', ma ora credo che
potrebbe vincere il Pallone d'Oro per la carriera che ha
fatto; il suo modo di giocare è fantastico". Non
esistono riconoscimenti personali per i presidenti dei
club di calcio, ma José Mourinho è orgoglioso di aver
potuto dare a Moratti qualcosa a cui teneva tantissimo:
poter mettere la sua foto con la Coppa dei Campioni
accanto a quella in bianco e nero di suo padre Angelo
che veste i muri del centro sportivo della Pinetina.
"Per molti anni [Massimo Moratti] ha sognato di avere
una foto come quella di suo padre con la Coppa dei
Campioni", ha detto. "Sono molto, molto contento di
avergliela potuta dare". (Uefa.com)
Moratti, nel nome del
padre. Come Angelo, adesso ha vinto ovunque
di Roberto Omini
Campioni
d'Europa come gli interisti non ce ne sono. Campioni
d'Europa con tanta gioia da spargere intorno, la gioia
di nipoti, figli, papà, nonni e anche qualche bisnonno:
ne avete mai vista di così intensa, genuina, forte,
colorata, appassionata? E' come una vita nuova che
sgorga, nonostante cinque scudetti e varie Coppe(tte)
dell'ultimo quinquennio, è la vita nuova della Grande
Inter: la sola squadra italiana che abbia pieno possesso
di quell'aggettivo.
E allora nel momento del trionfo
va benone specchiare i due mondi lontani quasi mezzo
secolo, da papà Angelo al figlio Massimo, cos'è la
dinastia Moratti e quel filo che la lega - perenne -
alla vita interista, al non badare a spese, a spendersi
fino in fondo per arrivare al massimo. Paragonarsi? "Io
non me lo sogno nemmeno, non esistono paragoni fra me e
mio papà: lui ha scritto la leggenda di un'Inter che non
si spegnerà mai". E' Massimo Moratti a spingersi in
questo non-paragone, sollevando oggi la Champions al
cielo, ma senza scalfire mai l'idea che questa sia
un'Inter che possa cancellare una traccia: la traccia
degli immortali di allora.
Ecco, appunto. L'Inter di allora
con l'Inter di oggi, Herrera e poi Mourinho, Angelo e
poi Massimo. I paragoni?
Giuliano Sarti fra i pali un po'
si rivede in Julio Cesar, nella composta armonia dei
gesti, niente è lasciato allo spettacolo: ma Sarti era
Sarti, e parava pure a mani nude. Maicon a destra è il
Facchetti di allora (a sinistra): quanto sia forte il
brasiliano lo sappiamo, ma il Giancintone ha aperto le
porte a un nuovo modo di essere terzini difensori e
attaccanti, dopo di lui una valanga di imitatori.
Chivu è terzino e pure stopper e
anche libero (centrocampista, quando serve), come lo era
Tarcisio Burgnich, la Roccia, insuperabile e con une
ventennale carriera vicina al mito: e come lui ce ne
sono stati pochi.
In una intervista, il figlio di
Armando Picchi ha detto che "Lucio ha negli occhi la
stessa luce malinconica e severa del papà". E' un bel
confronto, Lucio è un portento, ma Picchi è una pagina
inimitabile del ruolo di difensore e insieme allenatore:
dava lui i consigli al Mago.
Samuel è il Muro. Aristide
Guarneri, senza la pretesa di vestirsi da fenomeno,
sbrigava il lavoro al centro della difesa con la
semplicità del galantuomo: quasi impossibile annotare
errori.
Javier Zanetti, a centrocampo, è
una storia a parte di quest'Inter campione: nel senso
che il corrispettivo di mezzo secolo fa può essere il
compianto Tagnin, oppure Bedin: la fatica loro, è la
fatica di oggi, col sapore di una storia che per Zanetti
è davvero fenomenale: 700 partite.
Cambiasso è il metronomo del
centrocampo:
all'epoca, era Luis Suarez a farla da padrone. E su
Luisito non c'è paragone che tenga, quando c'era lui in
campo l'Inter non perdeva mai la bussola: trascinava
compagni, allenatore, tifosi.
Da Jair, brasiliano dinoccolato,
imprevedibile e imprendibile c'è forse una ragione di
somiglianza con Balotelli, assai meno con Pandev. Siamo
alla soglia dell'impossibilità di annotare somiglianze.
Per Sneijder occorre scomodare
accostamenti insoliti: Suarez un po' ci si rivede, ma la
stoffa di Luis è inimitabile; dovesse servire, occorre
vedere un certo Mario Corso, il suo divino piede
sinistro. Ma come Mario Corso non c'è mai stato (né ci
sarà) nessuno.
Eto'o, il centravanti disposto a
tutto, ora. Leggero e rapido come la folgore, com'era
Mazzola: Mazzola che a 21 anni demoliva il Real Madrid,
voleva la maglia di Di Stefano, gli si avvicinò Puskas e
gli disse: "Ho giocato contro tuo papà Valentino, tu ne
sei il segno erede, la mia maglia ti appartiene".
Milito, infine: con quello sguardo
da argentino triste e implacabile, un po' il volto che
era di Peirò, o prima di lui di Aurelio Milani.
Centravanti avanti con gli anni, capaci di scoprirsi
campioni.
Fra Herrera e Mourinho si spargono
mille storie leggendarie, ma la Leggenda del Mago non è
imitabile: lui ha inventato un ruolo, quello
dell'allenatore, del provocatore, dell'istrione.
Per tutto questo, oggi l'Inter è
Campione, erede di quella Grande Inter. Ma niente
paragoni, come dice Massimo Moratti guardando lassù. A
papà Angelo.
22 maggio 2010
Nel 1965 era ancora un bambino.
Tutto quel metallo luccicante portato a braccia da 11
giovanotti che vedevo spesso in TV, in bianco e nero,
mi sembrava una cosa assolutamente consueta. Credevo che
l'Inter fosse come il Carosello, ogni sera presente e
pronto ad allietare le nostre case. Invece un giorno è
finito anche il Carosello. E da allora capii che niente
è eterno, nemmeno la stella dell'Inter. Ho dovuto
aspettare 45 anni.... per vederla risplendere. Grazie
Massimo!
(Mimmo Rapisarda) |
Mourinho: "Ecco perché con l’Inter
è stata una storia d’amore"
L’allenatore: "A Milano è stato tutto
speciale, avevo un gruppo con le ultime occasioni di vincere
qualcosa di importante in carriera. Sono un allenatore con ambizioni
e desideri, sono sicuro che non concluderò la mia carriera qui allo
United"
Mai così diversi: Inter-Milan, derby degli
opposti Il Liverpool domina, lo United resiste: 0-0
Il presente a Manchester, il passato all’Inter
e il futuro… chissà. Di certo l’ultima panchina su cui si sederà
José Mourinho non sarà quella dei Red Devils. A confessarlo è lo
stesso allenatore portoghese, che in una lunga intervista a TeleFoot
ha parlato a tutto campo della sua carriera, soffermandosi in
particolare sulla "storia d’amore" che lo ha legato all’Italia e ai
colori nerazzurri dal 2008-2010. Queste le considerazioni del
portoghese.
"Nel corso della mia carriera ci sono stati
alcuni momenti bellissimi ma anche qualche controversia - ha
ricordato l’allenatore ai microfoni della tv francese - ci sono
stati momenti non molto belli, ma non mi dispiace per la mia
carriera. La Champions con il Porto? Vincere in Europa con il club
del tuo paese è speciale perché entri nella storia del club ma anche
della tua Nazione. L’unica cosa che posso dire è che sono ancora un
allenatore con ambizioni, desideri di provare altre cose e nuove
esperienze. Credo, anzi, sono sicuro che non concluderò la
mia carriera qui allo United".
A Milano una storia d'amore. Poi, le solite
parole dolci per l’Inter: "Con i nerazzurri è stato tutto speciale
perché ho avuto una relazione d’amore con un gruppo di giocatori che
poteva essere all’ultima occasione di vincere qualcosa di importante
in carriera. Insieme abbiamo regalato alla famiglia Moratti e a
tutto il popolo interista una gioia incredibile”. Poi il Real
Madrid: “Quando ho iniziato a lavorare con i Blancops l’ho fatto
perché in quel momento volevo andare esattamente lì, per sconfiggere
il Barcellona. Nello stesso modo in cui quando ho deciso di venire
allo United sapevo che non sarebbe stato facile, ma io sono così.
Posso aggiungere che io lavoro bene quando sono sereno e nella terza
stagione in Spagna non era così".
E ancora: "Mio figlio un giorno mi ha detto
che ‘vincerò molto contro Messi ma mai con lui in squadra’. Non lo
dimenticherò, è un mio rimpianto. Pep a Barcellona? Un giorno potrò
raccontare la verità, come sono realmente andate le cose, ma non
oggi. Ci sono cose nella mia carriera che preferisco preservare, ma
quando sarò molto vecchio, chissà… Zizou vince, quindi è un grande
allenatore. Penso sia il migliore e che gli verrà riconosciuto
questo perché lo merita". Infine, tanto calcio francese: "Il PSG è
una squadra speciale, di qualità, giovane, magica. Mio figlio abita
a Londra ma davanti ad una scelta ha deciso di volare a Parigi per
vedere una partita perché lì c’è un ambiente fantastico".
Paul Pogba può scrivere la storia del calcio,
ma non ha ancora trovato il suo spazio con la Francia - ha concluso
- è un peccato che Benzema non sia in Nazionale, non so bene i
motivi delle sue ripetute esclusioni ma è un grosso peccato che nel
miglior momento della sua carriera con questa esperienza non possa
dare una mano alla sua Nazionale".
https://sport.sky.it/calcio-estero/premier-league/2017/10/15/manchester-united-intervista-telefoot-mourinho-inter.html
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Massimo Moratti, addio in quattro
mosse
Il presidente onorario sbatte la porta e
rinuncia a tutte le cariche nell’Inter. Ecco che cosa è accaduto
davvero e che cosa potrebbe accadere nel prossimo futuro
Si è alzato dalla poltrona e se n’è andato. La
porta non chiusa, ma sbattuta. Diciannove anni dopo il suo ingresso,
a venti giorni dal primo anniversario dalla cessione del pacchetto
di maggioranza, Massimo Moratti non ricopre più alcuna carica
nell’Inter e ha ritirato i suoi esponenti (il figlio Angelomario,
Rinaldo Ghelfi e Alberto Manzonetto) dal consiglio
d’amministrazione. Un passo che costringe Erick Thohir a ricomporre
il cda ma lascia intatto il pacchetto azionario nelle mani dell’ex
patron nerazzurro. Ma il gesto di ieri certifica lo strappo,
riassumibile in quattro mosse. Slegate e connesse allo stesso tempo.
E destinate ad aprire un nuovo e definitivo corso dell’Inter. Senza
Moratti.
Thohir non si è solo preso la maggioranza
della Beneamata, le ha subito cambiato i connotati. Partendo con
l’esclusione di tutti gli uomini del (ex) presidente. Via il dottor
Combi, via il direttore sportivo Branca e benservito anche alla
colonia argentina, spina dorsale del Triplete e pertanto mai
scalfita dai pessimi risultati seguiti alla notte di Madrid.
Dell’Inter di Moratti non è rimasto più
nessuno. Probabilmente non pensava che il passaggio sarebbe stato
così tranchant e credeva di poter avere ancora operativamente voce
in capitolo con il 29,5% del capitale.
Moratti aveva scelto Ivan Ramiro Cordoba come
team manager. L’ex centrale era il trait d’union tra lo spogliatoio
e le stanze dei bottoni nerazzurre. Il magnate indonesiano ha
rescisso consensualmente il contratto con l’ex giocatore senza star
lì a pensarci più di tanto. L’ex capitano Javier Zanetti è stato
nominato vice-presidente, ma al momento “studia” da dirigente (Thohir
ha anche puntualizzato sulla conoscenza dell’inglese). Un ruolo più
che altro di facciata, perché l’uomo simbolo della gestione Moratti
non ha alcuna delega specifica.
La rottura si sostanzia però lunedì scorso, in
sede di approvazione del bilancio. L’Inter chiude l’anno con una
perdita di 103 milioni. È una pesante eredità morattiana. Per quanto
Thohir abbia varcato la soglia d’ingresso con un’operazione
sostanzialmente soft per il suo portafogli, si è accollato tutti i
debiti e la ristrutturazione della società sarà un percorso a
ostacoli fino al maxisaldo del 30 giugno 2019 (184 milioni di euro
in un’unica soluzione). Una strada resa ancora più tortuosa dalle
possibili sanzioni Uefa per la violazione del fair play finanziario,
che escluderebbero l’Inter dalle competizioni europee privandola dei
relativi (ricchi) guadagni. Ecco spiegate le esternazioni del ceo
Bolingbroke (“Ci sono norme che vietano di gestire il club come nel
passato. Siamo pronti a raddrizzare ciò che è andato storto”) e
dello stesso Thohir che ha benedetto le regole di Platini perché
“evitano che qualcuno usi le società come un giocattolo”.
Abituato a cambiare giocatori e allenatori
come fossero figurine, Moratti ha dovuto ascoltare l’allenatore
dell’Inter arrivato quasi allo sberleffo pubblico. Forte delle
parole dei vertici, Mazzarri ha risposto per le rime all’ex patron
che a precisa domanda sulla panchina dell’Inter aveva messo in
discussione WM in caso di mancati risultati. “Non ho tempo per
rispondergli…” è stato il lapidario commento del toscano che proprio
Moratti aveva voluto all’Inter. Troppo per chiunque, figuriamoci per
chi è stato un romantico presidente umorale dal portafoglio largo e
dall’esonero facile.
https://www.gqitalia.it/sport/calcio/2014/10/24/massimo-moratti-addio-in-mosse/
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