LA MATTINA DEL 4 FEBBRAIO
Tutta la città si riversa in
Cattedrale e per le vie di Catania per renderle omaggio, per
ringraziarla di qualche grazia ricevuta, per il patrocinio sulla
città, per essere la dolce eroina catanese, per essere la
candida avvocata in Paradiso per la città e la diocesi.
Alle ore 4,00 del
mattino circa, già il sacrato è gremito di fedeli che premono e
battono il grande portone della chiesa; dall’interno il custode
toglie i ferri che fissano il portone e batte alcuni colpi come
segnale ai fedeli per aprire la porta: di colpo il grande
portone si apre violentemente ed i fedeli entrano bruscamente
all’interno della chiesa dirigendosi di corsa ai piedi della
cappella di S. Agata per accaparrarsi un piccolo posticino in
piedi per vedere da vicino la Santa uscire dalla propria
cameretta.
Domenica 04 febbraio Prima dell’alba ingresso dei fedeli e devoti in Cattedrale; sacerdoti saranno disponibili per le confessioni. Ore 04,30: Nella Basilica Cattedrale recita del Rosario. Ore 05,15: Esposizione delle Reliquie della Santa Patrona. Ore 06,00: “Messa dell’Aurora” celebrata da S. E. Mons. Arcivescovo. Al termine l’Arcivescovo benedirà le Corone del Rosario per la preghiera guidata dagli “Amici del Rosario”. Sante Messe in Cattedrale alle ore 8,00; 9,30; 11,00. Ore 07,00: In piazza Duomo riflessioni di Mons. Barbaro Scionti, parroco della Basilica Cattedrale, che insieme ai devoti darà inizio alla processione delle Reliquie di S. Agata da Porta Uzeda. Davanti all’Icona della Madonna della Lettera S. E. Mons. Arcivescovo offrirà un cero alla Santa Patrona. Davanti alla cappella del Santissimo Salvatore in via Dusmet, omaggio dell’Autorità Portuale e della Capitaneria di Porto. La processione proseguirà per le vie Calì, piazza Cutelli, via Vittorio Emanuele, piazza dei Martiri, dove renderanno omaggio i disabili, via VI Aprile, della Libertà, piazza Iolanda. In detta piazza riflessioni del Rev.do P. Francesco La Vecchia OP, Priore dei domenicani di Catania . La processione continua per le vie Umberto, Grotte Bianche, piazza Carlo Alberto; dinanzi al Santuario della SS. Annunziata al Carmine omaggio dei Padri Carmelitani, riflessioni del Parroco, P. Antonino Mascali O.C.; indi si prosegue verso piazza Stesicoro dove S. E. Mons. Arcivescovo si rivolgerà ai fedeli per il tradizionale messaggio alla Città. La comunità cristiana catanese, nei luoghi, tradizionalmente riconosciuti, del martirio di S. Agata rinnova solennemente le promesse battesimali. Lungo la salita dei Cappuccini e piazza S. Domenico le Sacre Reliquie raggiungeranno la Chiesa di S. Agata la Vetere. Celebrazione dei Primi Vespri della solennità di Sant’ Agata V. M., presiede S. E. R. Mons. Giuseppe Favale, Vescovo di Conversano, anima la liturgia la comunità del Seminario interdiocesano. La processione prosegue per le vie Plebiscito, Vittorio Emanuele, piazza Risorgimento, via Aurora, Palermo, piazza Palestro, in detta piazza riflessioni del Rev.do Sac. Rosario Mazzola, parroco al Sacro Cuore al fortino e Vicario foraneo, indi per via Garibaldi, Plebiscito, Dusmet, rientro in piazza Duomo da Porta Uzeda.
L'altare dedicato a Sant'Agata e, a sinistra, la porta della "cammaredda"
Entra il capo vara con i suoi tecnici, il tesoriere della Cattedrale, che corrisponde alla persona del parroco della medesima chiesa, il sindaco ed il cerimoniere della festa, il comm. Luigi Maina.Essi hanno le tre chiavi della porticina della cameretta: aprono la prima porta, poi la seconda ed entrano dentro il segreto sacello; tutto il popolo invece rimane all’esterno ad aspettare. Li dentro aprono la nicchia dove è custodito lo scrigno reliquiario ed il mezzo busto reliquiario della Santa; aprono una porta d’argento, e tirano una tendina in stoffa: appare improvvisamente il candido volto di S. Agata ai loro occhi. Il simulacro di S. Agata si trova nella parte superiore mentre in basso si trova lo scrigno. Il simulacro viene prelevato, gli vengono montate le ali dei due angeli posti accanto alla Martire e lentamente viene sceso su un piccolo elevatore; successivamente il simulacro viene fatto scorrere su dei binari in legno e S. Agata esce dalla cameretta e viene accolta da tutti i suoi devoti che la aspettavano all’esterno. Il simulacro viene fatto scorrere sulla piccola “varetta” a spalla, legato per non farlo cadere, e tra il grande panico per contendersi un posticino sotto la “varetta” per avere il privilegio di portare a spalla la Santa Patrona, S. Agata viene traslata lentamente sull’altare maggiore, avendo molta difficoltà ad avanzare per la grande calca.
LA MESSA DELL'AURORA
Subito dopo viene fatto scorrere sui binari anche lo scrigno argenteo che esce anch’esso dalla cameretta e trasferito sulla sua “varetta” a spalla. Le porte della cameretta vengono subito chiuse perchè è vietato l’accesso al resto del popolo e le opere artistiche d’immenso valore, tra cui vari affreschi e tesori, sono alla vista delle pochissime persone che hanno il privilegio di entrarvi. Appena S. Agata esce dalla cappella, è un tripudio di festa per tutti i devoti verso la Santa Patrona, che dopo un anno di grande attesa ritorna tra i suoi devoti e si consegna alla sua città. Questo è un momento di grande emozione: chi piange, chi grida, chi applaude, chi prega, chi canta l’inno popolare.
Tutti i devoti sventolano i
loro fazzoletti bianchi in saluto alla Santa Vergine e Martire.
S. Agata si dirige sull’altare maggiore, muovendosi dalla navata
laterale destra verso la navata centrale della Cattedrale.
Sarà tra un po’ e noi qui come sempre ad aspettarti per riempirci gli occhi di Te. Sarà la Calata della Marina, la Salita dei Cappuccini, i fuochi del mio BORGO a riempire i tuoi Santi occhi del tremolare dei nostri bianchi fazzoletti, che come farfalle che sbattono le ali, anticiperanno un’altra dolce Primavera. Una sola cosa da chiederti quest’anno per la mia “Cantania” e per i miei Cittadini e Cittadine: fa che possano tornare, gli antichi SORRISI perché Tu lo sai…Tu u sai chi voli riri essiri Catanisi! Vincenzo Spampinato
Il simulacro sale lentamente sopra l’altare maggiore indietreggiando, senza dare la spalle ai suoi devoti, e viene sistemato su un piedistallo al centro dell’altare, in attesa dell’inizio della S. Messa dell’Aurora. Il simulacro di S. Agata viene chiamato mezzo busto reliquiario perchè al suo interno contiene la calotta cranica della Santa Martire, mentre all’interno dello scrigno è contenuto la maggior parte del proprio corpo all’interno di vari reliquiari argentei.
Lo scrigno non viene mai traslato sull’altare maggiore, ma soltanto le reliquie al suo interno il giorno dell’ottava della festa, il 12 febbraio, e il 17 agosto, giorno dell’anniversario della traslazione delle sacre reliquie da Costantinopoli a Catania. Alle ore 6,00 in punto incomincia la S. Messa dell’Aurora presieduta dall’Arcivescovo di Catania, ed al termine, intorno alle ore 7,00, S. Agata, accompagnata dallo scrigno, esce trionfalmente dalla Cattedrale, tra una piazza Duomo gremita di fedeli.
Nei pressi del grande portale centrale della chiesa, il simulacro di S. Agata viene accostato per far passare avanti lo scrigno che fino a quel momento seguiva il simulacro. Lo scrigno esce per primo dalla Cattedrale perchè sul fercolo è posizionato dietro il simulacro; subito dopo esce S. Agata, accolta dal suono delle campane, lo sparo dei fuochi d’artificio e da gran parte della città presente per dare il primo saluta alla propria Santa Patrona.
«Le tradizioni vanno rispettate in tutti i passaggi della festa». Confusione lungo tutta la via Etnea, la giornata festiva ha permesso a molti di non mancare l'appuntamento dell'offerta della cera. Una signora polacca: «Mai vista una festa così» Lucy Gullotta - La Sicilia, 4 Febbraio 2013
Non c'è angolo della città che non pulluli di gente. In auto e a piedi le persone attraversano le vie del centro. Mamme e papà con passeggini e bimbi che già indossano il costume in maschera. E devoti che vestono con il sacco. La città freme e vive i momenti dedicati ai festeggiamenti di Sant'Agata con un entusiasmo ritrovato, seppure tra mille difficoltà. Ogni catanese, anche il più ritroso, non riesce a rimanerne estraneo; ha sempre un pensiero rivolto alla Santa. Un sentimento difficile da spiegare e forse anche impossibile; così forte da avere la sensazione di superare qualsiasi ostacolo. Beninteso, i catanesi non dimenticano la crisi; quella tanto detestata spending review che viene di necessità operata dall'amministrazione comunale, e verosimilmente nelle case di ognuno di noi. Ma per tre giorni si riesce comunque a riporre in un cassetto le problematiche. Tanto restano là, e ci si dedica a Sant'Agata. Si assapora la festa, con la sua tradizione, il suo folklore e le sue mille contraddizioni. Tra bancarelle che vendono oggetti legati al culto della Santa e quelle che offrono il torrone piuttosto che la "calia". Tra i palloncini colorati e le candele votive.
Ieri è stata una domenica "speciale". I festeggiamenti sono entrati nel vivo con la tradizionale sfilata della carrozza del Senato e l'offerta della cera. Da lontano, provenendo da via Vittorio Emanuele, la confusione dinanzi a Palazzo degli Elefanti salta subito alla vista. All'uscita della carrozza, grande entusiasmo: i bambini vengono issati sulle spalle dei loro genitori e guardano incuriositi il passaggio delle autorità e dei valletti con la parrucca bianca e l'abito azzurro. Poi i primi commenti, tra entusiasti e disillusi. Patrizia e Giuseppe si voltano contemporaneamente, per loro l'occasione di poter vedere la processione si è resa possibile solo perché di domenica. «Di solito non possiamo perdere una giornata di lavoro e quindi è un passaggio della festa che di rado seguiamo» commentano. Per Antonio, invece, è la prima volta, lui è fermo da oltre un'ora in piazza Duomo in attesa dell'uscita della carrozza del Senato, non sa nulla dell' "applausometro" e non gli interessa proprio: «Per me è una novità assoluta, queste carrozze sono veramente stupende» afferma con lo sguardo rivolto al Comune da dove escono le antiche berline settecentesche che portano la sigla S. Q. P. C. (il Senato e il Popolo Catanese). In uno degli sportelli il simbolo del Comune, nell'altro invece spicca la figura di Sant'Agata. «Trainate dai cavalli, sono uno spettacolo» conclude. A bordo il sindaco e altri rappresentanti istituzionali. La signora Felicia, con in braccio la nipotina vestita da principessa, storce un po' il naso al passaggio delle autorità, non è contenta dei tagli fatti ai fuochi d'artificio: «La gente ha poco e aspetta questi momenti per distrarsi». I commenti sono i più disparati: qualcuno si aspetta qualcosa di più dagli abiti dei cocchieri, qualcun altro invece spiega ad amici venuti da fuori città cosa accadrà da lì a poco, dettagliando l'ordine della parata e il perché. Lungo via Etnea la gente si sistema per ammirare da vicino la processione al rientro in Cattedrale. Sono momenti frenetici. La signora Maria parla al telefono con il marito e gli indica il posto dove trovarla. Lei è polacca sposata con un «catanese doc» ma non ha mai assistito da vicino alla festa. «È una sensazione stupenda - afferma raggiante mentre ripone il cellulare dentro la borsa - vedere così tanti giovani durante una festività religiosa è importante, così si tramandano le tradizioni. Una festa così non l'ho mai vista da nessuna parte al mondo e mi creda - conclude la donna - ho viaggiato molto e ne ho viste tante». Dorotea e Clelio, occupano da un'ora la posizione dinanzi all'ingresso della chiesa della Collegiata sono sistemati sul bordo del marciapiedi. «Per noi è una tradizione» affermano i coniugi. Poco distante il signor Mauro si è addirittura portato da casa una piccola sedia per attendere il passaggio con assoluta calma. La famiglia Mannino, invece, segue tutti gli appuntamenti della festa. C'è un po' di amarezza per il tagli sui fuochi di piazza Borgo, ma in fondo in coro affermano: «Se si pensa che tanta gente è senza stipendio da mesi è anche corretto... ». «Sì - aggiunge un altro componente della famiglia - ma bisognerebbe tagliare altre spese. Comunque, va bene si penserà di più a pregare». Per la signora Giorgia l'unico momento ancora autentico dei festeggiamenti è quello della messa dell'Aurora. «Anche quest'anno mi recherò in Cattedrale per seguirla». Intanto dagli altoparlanti le note dell'Angelus echeggiano e emanano serenità. Una voce spiega ai cittadini cosa accadrà da lì a qualche minuto, e chi sfilerà. Poi alle 12 le campane risuanono in festa. Il corteo comincia ad apparire e la gente si entusiasma. In testa al lungo corteo c'è la piccola Siria, dell'associazione Madonna dell'Aiuto, che emozionata tiene tra le braccia un mazzo di rose bianche. Dietro di lei, ugualmente emozionati, due ragazzi che portano lo stesso nome Marco, e tengono ben saldo tra le mani un cesto rosso con un mazzo di candele bianche. Il corteo comincia ad entrare in cattedrale. In pochi rimangono dietro le transenne, vi girano intorno per vedere più da vicino i "personaggi" importanti del mondo della chiesa e istituzionale. L'emozione infine viene smorzata da una pioggia di coriandoli. I due volti di una festa che unisce da sempre il sacro al profano.
"Catania ha bisogno di uomini e donne che come Sant’Agata sappiano portare la croce delle loro responsabilità" L'omelia dell'Arcivescovo Renna durante la Messa dell'Aurora
"La croce di sant’ Agata, ovvero il rischio di essere cristiano. Ecco cari fratelli e sorelle, autorità civili e militari, presbiteri, diaconi e consacrate, è davanti ai nostri occhi il busto reliquiario di Sant’Agata, accanto all’altare dove si rinnova il sacrificio di amore di Cristo. Nella bella effigie che ammiriamo, la nostra Santuzza stringe in mano la Croce gemmata, lo strumento di supplizio divenuto manifestazione dell’Amore di Dio, che ci viene presentato in tutto lo splendore con cui lo canta la liturgia del Venerdì santo: “Ecco il vessillo del Re, rifulge il mistero della Croce, attraverso cui la Vita sopportò la morte e rese con la morte la vita”. Nelle mani di sant’ Agata quella croce è un trofeo della vittoria che ha conseguito ripercorrendo nel carcere, nelle torture e nel supplizio i patimenti di Cristo; nelle sue mani risplende la croce gloriosa perché attraverso di essa si è fatta simile al Suo Sposo per amarlo e non rinnegarlo; oggi Sant’ Agata la ripropone a noi come il trofeo di vittoria che è il suo vanto. La nostra Aituzza è la perfetta discepola di cui Gesù ha detto nel Vangelo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Agata aveva deciso di seguire il Signore, come tanti uomini e donne in un tempo nel quale essere cristiani era molto rischioso: si rischiava l’emarginazione, perché si era minoranza; o l’arresto, perché si era guardati come una setta; si rischiava di essere messi a morte se non si rinnegava Cristo e si sacrificava alle divinità pagane. Eppure lei ha scelto di essere cristiana in tempi rischiosi. Ma pensate che ci sia un tempo nella storia dell’umanità in cui non è rischioso essere e rimanere cristiani? E’ stato rischioso per don Pino Puglisi, perché un parrino a Palermo, al quartiere Brancaccio, doveva rinnegare o la croce o la mafia che voleva mettere le mani sui giovani della sua parrocchia. E’ stato rischioso essere un magistrato che come cristiano portava la croce di occuparsi di criminalità organizzata, scelta consapevole con la quale Rosario Livatino ha abbracciato la sua responsabilità sotto la tutela di Dio. E così Biagio Conte: ha corso il rischio di non girare la testa dall’altra parte davanti alle povertà, e di rinunciare a stare sereno e quieto nei salotti che frequentava: ha venduto tutto ed ha seguito Cristo, per fare qualcosa che infondesse speranza ai poveri. Ecco, il Signore ci ha dato in Sant’ Agata, nei martiri e nei testimoni di carità a noi vicini nel tempo, l’esempio di come si porta la croce dietro Cristo e ci insegna che la fede è per uomini e donne che vogliono correre il rischio di seguire il Signore.
“Chi vuol salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà”. Cosa significa rinnegare se stessi, portare la croce, perdere la vita? Non è la rinuncia per un qualsiasi motivo alle legittime esigenze e ai diritti che ciascuno ha, ma la scelta di abbandonare le ristrettezze del nostro “io” per un motivo più grande. Rinnegare se stessi è l’atteggiamento del discepolo che, come il Cristo non è più rivolto ai propri interessi, anche a quelli legittimi, ma è totalmente libero per gli altri. “Prendere la croce” significa essere disposti ad accogliere tutte le conseguenze della scelta fatta e avere il coraggio, come Gesù, di trasformare il sacrifico in un gesto di amore. Noi pensiamo spesso di salvare la nostra esistenza chiudendoci in noi stessi, alzando barriere nei confronti degli altri, calcolando vantaggi svantaggi in termini umani, usando anche la forza e forse anche la violenza. Noi tante volte non vogliamo rischiare di portare la croce dietro Cristo, ma preferiremmo essere come san Pietro, che voleva essere lui a dire a Cristo cosa doveva fare, cioè cosa non doveva rischiare.
Gesù Cristo invece propone al suo discepolo un progetto di vita diverso e rischioso: la vita si salva aprendosi a Dio, all’amore del prossimo, e donandosi. Gesù dice che la croce bisogna portarla “ogni giorno”: il rischio di essere cristiani non è un abito per i giorni di festa, ma è un impegno quotidiano, come la tuta da lavoro o il grembiule della casalinga che vengono indossati nei giorni feriali, che sono di più dei giorni di festa. Catania ha bisogno di uomini e donne che come sant’ Agata sappiano portare la croce delle loro responsabilità, che corrano il rischio di essere cristiani tutti i giorni e in tutti i luoghi di questa città. C’è tanta gente che porta la propria croce in silenzio e dignitosamente: sono i “santi della porta accanto”. Portano la croce quelli che hanno un lavoro precario, che dalla mattina alla sera, forse anche portando a casa uno stipendio magro, mantengono integra la loro dignità, rinunciando ad essere messi al soldo della mafia. Portano con dignità la croce quei catanesi che non cedono al ricatto di un guadagno facile e disonesto. Portano la croce con dignità coloro che soffrono perché hanno una persona malata nella loro famiglia e se ne prendono cura senza conoscere un giorno di pausa, come la cosa più normale del mondo, perché è normale amare e non trascurare. Porta la croce di figli, mariti, mogli, che hanno problemi con la giustizia, e vuole correre il rischio di uscire dal cerchio magico che li ha ingannato; portate la croce voi che con grandi sacrifici state facendo di tutto perché i vostri figli, attraverso la scuola, costruiscano un futuro che non ha come obbiettivo la strada o il carcere. Portate la croce voi che abitate nei quartieri dove un Comune in dissesto finanziario da troppi anni non vi può assicurare alcun servizio, e in cui le luci delle strade sono così rade che vi siete rassegnati ad illuminarvi alla luce della luna, e in cui i negozi improvvisati sulla statale sono il mercato di periferie che non hanno neppure aree mercatali. Non abbiate paura di rischiare e di puntare tutto sulla fede, sull’onestà, sull’amore per la famiglia e per il futuro dei vostri figli. Riprendetevi la croce di dover decidere della vostra vita, di dover dire il vostro pensiero sulla città, sulla politica, sulle scelte di chi vi ha governato e vi governerà. E dico a me, vescovo e a voi cari presbiteri e diaconi, operatori pastorali e religiose: prendiamo la croce di ogni giorno, di costruire una comunità che sappia dare testimonianza di amore e di concordia, che non si fermi a giudicare la nostra gente con superficialità e scarsa empatia, ma sappia ascoltarla in questa stupenda stagione del cammino sinodale, che vuole restituirci il rischio di essere una comunità che segue Gesù Cristo e non vuole “insegnare” la strada al nostro Maestro. Chiediamo la pazienza di accompagnare, di aspettare, di scommettere sui luoghi in cui Dio stesso ha scommesso, le periferie dell’umanità. Se faremo questo avremo corso il bel rischio di essere Chiesa, la comunità dei discepoli del Signore, che porta la croce della testimonianza ed evangelizza, contagiando il mondo con la sua carità. E anche voi, uomini che avete a cuore il bene comune nell’amministrazione pubblica, nelle forze dell’ordine, in campo educativo: sappiate perdere la vita come Agata, portando ogni giorno la croce di chi rifiuta il compromesso e fa crescere l’onestà. Se voi porterete bene la vostra croce, la città risorgerà. Oggi Agata ci sorride e ci presenta la croce, perché il nostro popolo di devoti sappia portarla e dire con lei: “Ecco il vessillo della Croce, ecco il vessillo della mia vita. Un vessillo di amore”".
Sant'Agata ed i Suoi Gioielli
È l'alba del 4
febbraio; nel Duomo di Catania, centinaia di devoti attendono
con trepidazione l'uscita della Santa Patrona catanese. Poco prima dell'inizio della messa dell'aurora, il tesoriere, il cerimoniere ed il Priore della Cattedrale, si accingono ad aprire il cancello di ferro, con le tre chiavi da loro custodite. Quando la terza chiave toglie l'ultima mandata del cancello, tra l'esultanza dei fedeli, gioiosi di rivederla, ecco comparire Sant'Agata, dal volto sereno e sorridente.
Terminata la messa, inizia il pellegrinaggio dei devoti che
accompagnano il feretro della Santa per le antiche vie di
Catania; tra i garofani bianchi, la luce delle candele, il Busto
e lo Scrigno della Santa luccicano dell'inestimabile tesoro di
gioielli e preziosi.
La Sicilia, 2 Febbraio 2013
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Nel 1743 la peste
infierì nella città di Messina seminando, per cinque
lunghissimi mesi, morte e desolazione fra quella gente.
I catanesi, provati da non troppo remote sventure,
paventarono il contagio, tanto più che il morbo s'era
preannunciato anche a Siracusa.
La colonna eretta a Piazza dei Martiri, in onore a S. Agata per lo scampato pericolo
In più occasioni
Sant'Agata pose benigna la sua mano sulla città anche a
protezione dalle epidemie.[3] Nel 1576, quando la peste
cominciò a diffondersi poco lontano da Catania, il
senato pensò di ricorrere all'intercessione della
patrona. Le reliquie furono portate in processione lungo
le vie della città e, una volta giunte accanto agli
ospedali dove erano ricoverati gli appestati, essi
guarirono e nessuno fu più contagiato.
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il presidente devoto
Una piccola folla aspetta il proprio turno per stringere la mano di un uomo. Lui sorride, ricambia quasi con imbarazzo ma con gentilezza il gesto d'affetto. Tra la gente in attesa del fercolo anche Nino Pulvirenti, il presidente del Catania. Il presidente tra la gente e della gente, che non guarda la partita dalla tribuna coperta ma giù dal campo. O meglio sul campo. Nino Pulvirenti ieri voleva essere un devoto come tanti. Tra la gente. O perlomeno sperava di esserlo. Attendeva il passaggio all'angolo tra via di Sangiuliano e via Dusmet, insieme a qualche amico. Ma sappiamo la devozione per Sant'Agata e la passione per il Catania sono punti cardine per i catanesi, che non hanno perso l'occasione per scambiare qualche parola col presidente o farsi immortalare in una foto. Una signora gli si avvicina, stringe la sua mano con entrambe le sue e quasi sussurra: «Presidente faccia qualcosa, in curva soffriamo…». Lui ricambia la stretta di mano e accenna un assenso. Certo, scorgere il presidente tra la folla che attende Sant'Agata in questo periodo, spinge alla curiosità. Ma Nino Pulvirenti, uomo di poche parole, ribadisce: «Sono questioni intime…»..
La processione continua per viale Libertà fino in piazza Iolanda,
dove avviene una breve omelia da parte di un sacerdote, e
successivamente la processione continua per la via Umberto,
verso la villa comunale. All’incrocio con la stretta via Grotte
Bianche S. Agata si ferma, imbocca questa stretta via ed arriva
in piazza Carlo Alberto, luogo di svolgimento della
giornaliera fiera.
in piazza Carlo Alberto, ai primi del secolo scorso.
Si ferma davanti il sacrato della Basilica della Madonna del Carmelo per la celebrazione sul sacrato della S. Messa; anticamente il fercolo entrava dentro la Basilica ma adesso resta fuori durante la celebrazione.
IL PERCORSO DEL 4 SERA
Già si è nel pieno pomeriggio, ed intorno le ore 17,00 circa S. Agata riprende il suo percorso percorrendo via S. Gaetano alle Grotte alla volta di piazza Stesicoro, una delle piazze centrali della città, arrivando intorno alle ore 18,00 circa per la tradizionale omelia dell’Arcivescovo e la tanto attesa ed emozionante corsa della Salita dei Cappuccini.
S. Agata e il Santuario della Madonna del Carmine
...gli studiosi hanno identificato nel sepolcro romano che si trova all'interno del monastero carmelitano (oggi caserma Santangelo Fulci) il luogo esatto della prima sepoltura di Sant'Agata. Questo spiegherebbe il motivo per cui la vara fino agli anni '50 del 900 entrava nella chiesa del Carmine. Usanza purtroppo persa insieme alla memoria storica..... Sempre secondo studi recenti il corpo di Sant'Agata venne poi trasferita presso la chiesa paleocristiana dello Spirito Santo (i cui resti si trovano sotto un condominio di via dottor Consoli) nei cui pressi si trovava anche la tomba di Iulia Florentina. Da qui venne portato probabilmente poi all'interno delle mura della città nella vicina chiesa di Sant'Agata (la vetere). E da qui nel 1040 venne prelevato da Giorgio Maniace per essere portato a Costantinopoli. Nel 1126 le reliquie fecero ritorno a Catania e da allora si trovano in Cattedrale (costruita nel 1091).
Antonio Trovato
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Il luogo è testimoniato dalle storie di san Leone Vescovo di Catania che scrive di una chiesa dedicata a santa Lucia dove vorrebbe essere sepolto, C'è un anacronismo nella spiegazione riportata poiché fino all'editto di Costantino che liberalizza il culto cristiano i cristiani non potevano possedere come tali un pezzo di cimitero. Cosa che avvenne infatti dopo il 313 quando i corpi dei martiri furono spostati sulla parte collinare del cimitero nella zona di via Androne dove è stata rinvenuta la stella di Iulia Florentina che indica in quel sito le sepolture dei martiri e dove fu edificata una basilichetta cristiana.
Padre Antonino De Maria
Il fercolo effettua di corsa la ripida salita di via dei Cappuccini, divisa in tre momenti per motivi tecnici dovuti alla lunghezza dei cordoni e del fercolo che non potrebbero riuscire ad effettuare le curve in rapido movimento. In queste tre corse S. Agata passa dai luoghi del suo martirio, svoltosi proprio in quella giornata, il 4 febbraio del 251 d. C.
Un fiume bianco di cittadini oggi "inonderà" il giro esterno
Il giro esterno del fercolo segna il trionfale inizio del peregrinare delle reliquie di S. Agata lungo il tracciato murario della città cinquecentesca.
Dopo la maestosa uscita da Porta Uzeda, dedicata al patrocinio agatino, il fiume bianco dei cittadini col sacco devozionale, preceduto dal festoso incedere dei 12 ceri votivi, tira la vara per via Dusmet con soste davanti alla Fontanella della Traslazione, all'edicola marinara della Madonna della Lettera e S. Agata, alla chiesetta del Redentore o S. Agata alla Marina, per l'omaggio delle istituzioni del Porto.
L'attraversamento della Civita richiama i siti della Porta di Ferro di Tunisi, dell'eremo S. Francesco di Paola, del Collegio Cutelli (omaggio dei convittori), della statua di S. Agata in piazza dei Martiri (protezione dalla peste del 1743) con i diversamente abili e gli animatori degli oratori.
Grande attesa per il passaggio della vara davanti alla chiesa Signore Ritrovato nella via che ricorda l'insurrezione antiborbonica al grido di "W S. Agata e l'Indipendenza! ", e poi per viale Libertà (omaggio Inps), via Umberto, con sosta davanti alla parrocchia Crocifisso dei Miracoli e omaggio dei commercianti di piazza Vittorio Emanuele.
L‘ingresso in via Grotte Bianche richiama le memorie della necropoli e delle catacombe legate al primo sepolcro della martire, con la rappresentazione del martirio al Carmine e il canto greco a S. Gaetano alla Grotta di S. Agata. A piazza Stesicoro (Porta Aci), davanti all'anfiteatro testimone degli eventi del febbraio 251, tappa commovente per il rinnovo delle promesse battesimali e il messaggio alla città dell'arcivescovo, che trova la sua apoteosi devozionale nel complesso martiriale della Fornace, del Carcere e della Vetere dove vengono cantati i vespri.
Il giro, termine che ne indica l'originario carattere "laico", riprende snodandosi per via Plebiscito (già della "Vittoria di S. Agata" sulle lave del 1669) con tante manifestazioni di devozione popolare (ospedali S. Bambino e Ove, parrocchia S. Cuore Cappuccini, quartieri S. Berillo Nuovo-S. Leone) e per il Fortino con il passaggio da Porta Garibaldi e il ricordo dei defunti del cimitero di Acquicella.
In piena notte il buon popolo di S. Cristoforo, dell'Angelo Custode e della Plaia si stringe attorno alla sua "Picciridda", benedicente dall'argentea vara che conclude il giro con la calata della Pescheria.
Cresce, intanto, l'attesa per domani, quando nel pomeriggio è prevista l'uscita del fercolo per il lungo giro interno che i fedeli attendono da un anno. Sarà, anche quello, il momento per la preghiera, il silenzio, la devozione. Il momento per chiedere una grazia e guardare al futuro con rinnovata speranza e fiducia.
La Sicilia, 4.2.2014 - Antonino Blandini
Nella prima corsa S. Agata passa
accanto la chiesa di S. Agata alla Fornace, luogo del
martirio finale della Santa, bruciata viva su carboni ardenti, e poi
si ferma accanto la chiesa del Santo Carcere, luogo in cui si
custodisce il carcere in cui fu imprigionata la Santa.
I lunghi cordoni entrano in via Garofalo, tornano indietro e si
dispongono lungo il secondo tratto della salita di via Cappuccini,
cambiando direzione assieme al fercolo.
Inizia successivamente la seconda corsa, dal Santo Carcere alla chiesa di S. Domenico in cui il fercolo sosta nuovamente.
I lunghi cordoni hanno proseguito in avanti per via S. Maddalena; essi tornano indietro cambiando la loro direzione nel verso opposto di marcia, facendo girare anche il fercolo in direzione della chiesa di S. Agata La Vetere, prima Cattedrale di Catania e luogo dove viene custodito il sarcofago vuoto della Santa e luogo del martirio dello strappo delle mammelle. Si effettua quindi la terza ed ultima corsa, e S. Agata entra infine all’interno della chiesa di S. Agata La Vetere per la celebrazione dei Primi Vespri Solenni e la S. Messa.
La maratona delle bande musicali che seguono le candelore anche per 14 ore nella giornata
La Sicilia - Giovedì 06 Febbraio 2014
In giro per tutta la città "scortando" le candelore in ogni momento e accompagnando il loro passaggio al suono della musica. Oltre che per i portatori, i festeggiamenti agatini rappresentano un banco di prova durissimo, di resistenza e passione, anche per le bande musicali. Trombe, tromboni, sax, piatti e tamburi sempre in prima linea per esibizioni che possono durare anche 14 ore nell'arco dell'intera giornata: " Si tratta di maratone durissime dove bisogna camminare e suonare allo stesso tempo- spiega Carmelo Infarinato -. La candelora si muove seguendo il nostro ritmo durante l'intero tragitto e noi dobbiamo sempre essere all'altezza della situazione facendo sentire la nostra esibizione in tutto il quartiere". Labbra gonfie e screpolate e vesciche alle mani. Questi sono gli inconvenienti a cui devono far fronte i suonatori dopo essersi esibiti per ore. "Nonostante il dolore bisogna comunque suonare - spiega il trombettista Guido Marletta - ciascuno di noi ha il proprio rimedio: cerotti, burro cacao e persino la coca cola. Qualsiasi cura va bene purchè la banda non interrompa il concerto".
Le esibizioni cominciano il mattino presto e terminano a tarda sera. Dalle hit del momento fino ai grandi classici, i musicisti non seguono una "scaletta" precisa. Un membro della banda accenna un accordo e gli altri lo seguono. Quando un elemento del gruppo è provato e non ha più il fiato o forza nelle braccia per continuare, i "colleghi" devono essere pronti a soccorrerlo suonando con maggior vigore. "E' molto sfiancante e se non adori il tuo lavoro non riesci a reggere per tutto questo tempo- sottolinea Rosario Calabrese con il suo tamburo- oltre alla durata, un altro problema riguarda il luogo dove ci dobbiamo esibire. Alla Pescheria, per esempio, il pericolo più grande è quello di scivolare. Spesso siamo circondati dalla gente e rischiamo continuamente di essere spinti". Inseparabili dai cerei, le bande musicali scortano le candelore fino a piazza Stesicoro, poi il 3 mattina il folklore lascia il posto alla processione religiosa. I suonatori ritornano in scena per accompagnare i cerei a casa.
Damiano Scala
L'arrivo a S. Agata La Vetere (video di Turi Giordano)
aSant'Agata la Vetere L'attuale chiesa sorge sull'area che fu il più antico luogo di culto agatino: in quello stesso posto, infatti, nel 262, dieci anni dopo il martirio, sorgeva la prima edicola dedicata a sant'Agata. L'edicola fu edificata per volontà del vescovo Everio nel luogo in cui sorgeva il palazzo pretorio distrutto dal terremoto del 251. In un primo momento non vi fu custodito il corpo della martire perché in periodo di persecuzioni i sarcofagi che contenevano spoglie di cristiani venivano confiscati. Per sessant'anni, prima che Costantino consentisse ai cristiani il culto, il corpo fu tenuto nascosto fuori dalle mura cittadine. Nel 313 le spoglie furono traslate nella chiesa di Sant'Agata la Vetere, diventata cattedrale della città, e lì rimasero fino al 1040, quando il generale Maniace ne fece bottino di guerra. Al rientro da Costantinopoli, la chiesa di Sant'Agata la Vetere non era più cattedrale, ma in essa si continuò a conservare il primo sarcofago di sant'Agata. Tale urna di pietra si trova ancora oggi al posto dell'altare maggiore. È lunga 2 metri, larga 80 centimetri e alta 60 ed è decorata con motivi dell'arte ellenistico-romana, della stessa epoca a cui risale la morte della santa. Il coperchio non è originale, ma di epoca più tarda. All'interno della chiesa, la più grande a navata unica di Catania, si trova un'altra reliquia: la cassa di legno nella quale furono conservate le spoglie di sant'Agata per più di cinque secoli. Un monumento settecentesco in marmo ricorda che quella fu l'area in cui Quinziano ordinò agli sgherri 'di recidere le mammelle a sant'Agata. In questa chiesa venivano celebrati solennemente i vespri del 4 febbraio, vigilia della solennità. Però, dopo il terremoto del dicembre 1990, la chiesa è stata dichiarata inagibile ed è al momento ancora chiusa alle celebrazioni. Il carcere E una chiesa addossata all'antico muro della città. Al suo interno si trova la celletta dove sant'Agata fu rinchiusa durante il processo, dove venne portata dopo il martirio, dove fu guarita dall'apostolo Pietro e dove il 5 febbraio 251 esalò l'ultimo respiro e rese l'anima a Dio. La celletta buia, umida e tetra fu sempre un luogo di culto e, un tempo, un cunicolo, ora chiuso, la collegava alla chiesa di Sant'Agata la Vetere. Nel 1571 fu edificata una cappella che introduceva in questo luogo sacro e nel XVIII secolo fu ingrandita e abbellita con l'artistico portale che, dal tempo di Federico Il al terremoto del 1693, aveva adornato l'ingresso principale del duomo. Nel tempio sono custodite altre due reliquie: la lastra di pietra dove sono impresse le orme dei piedi, che la tradizione vuole sant'Agata abbia lasciato quando per la prima volta fu gettata in carcere, e la cassa di legno nella quale vennero trasportate le reliquie da Acicastello a Catania al rientro da Costantinopoli. Sia il terremoto del 1693 che le colate laviche che cambiarono la forma della città hanno sempre risparmiato la chiesetta. Oggi è meta di un gran numero di devoti che, ai piedi dell'altare, nel punto in cui Agata ottenne il miracolo da san Pietro, supplicano aiuto, invocano miracoli e innalzano lodi per grazie ricevute. La fornace Sul luogo dove sant'Agata subì il martirio del fuoco sorge una chiesetta a unica navata. Tuttora è visibile, nella cappella destra, attraverso un oblò, la fornace che al tempo delle persecuzioni era utilizzata per le torture e che fu il luogo dove si consumò il martirio di sant'Agata. La chiesa della fornace, che i catanesi chiamano anche «Carcara» e che è dedicata anche a san Biagio, subito dopo la caduta dell'impero romano era una semplice cappella. Nel 1098 fu leggermente ampliata, ma non si poterono superare le attuali dimensioni, perché lo impediva il bastione del carcere romano che la affianca. Fu rimodernata nel 1589 e miracolosamente preservata dall'eruzione del 1669. Da questo luogo, prezioso in quanto documento storico e di culto, il 3 febbraio di ogni anno si diparte la solenne processione per l'offerta della cera alla santa patrona. |
La crispella è un culto
La crispella è da sempre uno dei
simboli della gastronomia catanese. Ma lavorarla e friggerla a
regola d'arte è impresa difficilissima
Sabato 12 Gennaio 2013
La preparazione dell´impasto, la farcitura con acciughe e ricotta,
la frittura: ... La crispella è un culto. E' frutto di maestria, c'è
chi afferma persino che tutti possono imparare a diventare
"pizzaioli", ma bravi "crispellari" no.
«La tecnica, raffinata e veloce, nel manipolare la pasta quasi
liquida, è qualcosa che veramente non s'insegna: la tecnica del
"virtuoso" è un dono ancestrale e il popolo segue con rapita
ammirazione il lavoro, fatto a "vista", del bravo crispellaro»
afferma il signor Ciccio, che da oltre venti anni crea crispelle
nella sua friggitoria poco distante dal centro. Le crispelle sono
uno dei piatti caratteristi della tradizione culinaria catanese.
Tutti le riconoscono dalla forma: rotonde sono quelle col ripieno di
ricotta; dalla forma allungata, invece, hanno all'interno dei
piccoli pezzetti di acciughe. Esistono "luoghi di culto" della
crispella in città, friggitorie che risalgono agli inizi del ‘900,
dove le crispelle vengono fritte nella "sugna", ossia lo strutto o
grasso di maiale, in enormi calderoni.
Osservare un "crispellaro" al lavoro è sempre coinvolgente e affascinante: con grande maestria e rapidità gli addetti ai lavori riescono a modellare le crispelle creandole da una pasta sofficissima, quasi liquida, lasciata lievitare almeno tre ore. Sui bordi del padellone, solitamente di oltre un metro di diametro e profondo circa cinquanta centimetri, il "crispellaro" sistema un piatto con le acciughe diliscate, ridotte a pezzetti da tre-quattro centimetri e un altro piatto con la ricotta fresca setacciata. Poco distante un recipiente colmo d'acqua per bagnare la mano una volta lasciata la pasta farcita nello strutto bollente. Per preparare le crispelle d'acciuga, si modella velocemente la pasta dando una forma allungata, affinché copra completamente il pezzetto d'acciuga, che deve rimanere celato al centro.
«La pasta, a contatto col liquido bollente, s'increspa
immediatamente per questo è stato dato il nome di crispelle -
racconta Ciccio - ed è pronta quando assume un colore dorato
compatto. La crispella viene estratta dalla padella con un lungo
ramaiolo realizzato con cerchietti di metallo concentrici. Alle
crispelle farcite con la ricotta, invece, viene data una forma
rotonda; ma friggono tutte contemporaneamente e poi si mettono,
fumanti, a sgocciolare nell'apposito recipiente. La frittura, per
essere perfetta e croccante deve essere fatta in due tempi, il
secondo ciclo rende l'esterno più croccante» conclude il "crispellaro"
Ciccio. Quasi impossibile farle a casa per una questione di
"quantità" e di esperienza.
Lucy Gullotta
Al termine, intorno le ore 21,00, ma di anno in anno sempre più tardi, S. Agata riprende la sua processione percorrendo la lunga via Plebiscito, passando dagli antichi quartieri dell’Antico Corso e dei Cappuccini, fino ad arrivare all’angolo con la parte alta di via Vittorio Emanuele.
La Sicilia, 2 Febbraio 2013
Indagare e mostrare le fondamenta storiche e tradizionali delle
feste barocche siciliane, dedicate alla celebrazioni dei Santi, e
puntare alla loro salvaguardia e tutela. È anche questo il contenuto
e l'obiettivo dello splendido studio, ricco di documenti e immagini,
edito da Domenico Sanfilippo Editore, condotto dalla professoressa
Lucia Trigilia - docente associato di Storia dell'Architettura
Moderna e Storia della Città e del Territorio nella Facoltà di
Architettura dell'Università di Catania con sede a Siracusa - dal
titolo "La festa barocca in Sicilia".
Un titolo al singolare, non a caso, rappresentativo del fil rouge e
del comune contesto che unisce la tradizione delle feste popolari
religiose della nostra isola. Non solo fede, ma anche
spettacolarità, in linea con l'origine barocca e dunque chiassosa,
ampollosa e immaginifica, di festeggiamenti che, oltre a coinvolgere
quelle che la Trigilia chiama capitali della festa - ovvero i
maggiori centri urbani siciliani - riguarda anche piccoli e
piccolissimi paesi, di montagna e di mare, da occidente a oriente.
S. Agata imbocca questa via in direzione di piazza Risorgimento; successivamente per via Aurora e via Palermo, fino ad arrivare in tarda nottata, intorno alle ore 3,30 del 5 mattina, in piazza Palestro, o “Fortino” per i catanesi, luogo dello sparo del tradizionale spettacolo pirotecnico.
Inevitabile, in quest'ottica, occuparsi anche della festa di
Sant'Agata che - seppure precedente all'età barocca, risalendo
addirittura all'XI-XII secolo, basti pensare che la stessa vara è
del 1300 - risente fortemente di tutte quelle caratteristiche di
spettacolarità e teatralità così tipiche del '600: «Sant'Agata si
inscrive a pieno titolo nel panorama delle capitali siciliane della
festa, insieme a Palermo con Santa Rosalia, a Siracusa con Santa
Lucia e a Messina con la Madonna della Lettera - spiega la
professoressa - Il mio libro si occupa anche dell'analisi della
fisionomia storica dei festeggiamenti e dei riti, nell'ambito di
quella "retorica della persuasione", adottata dalla chiesa cattolica
all'indomani della Riforma luterana e della conseguente
Controriforma.
Ovvero, organizzare, sostenere e incentivare le feste religiose popolari era un modo, da parte dell'istituzione ecclesiastica, per riaffermare il potere e attirare consensi, attraverso una logica non molto diversa dalle strategie politiche adottate parallelamente nella Francia del Re Sole, Luigi XIV. Le feste duravano per giorni - ecco come si spiega il persistere della cosiddetta "ottava", non solo per S. Agata - e impiegavano uno sforzo e un investimento di forze e di idee che coinvolgeva tutta la città, molto più di quanto non si possa immaginare. Io definisco questo aspetto come "arte della città". Le strade, le piazze, persino le facciate dei palazzi civici e nobiliari, si trasformavano e divenivano il teatro, il palcoscenico della festa. I migliori architetti dell'epoca progettavano macchine, scenografie e allestimenti che trasformavano la fisionomia cittadina.
No agli «arrusti e mangia» in strada L'ordinanza.
Per proteggere la pubblica incolumità vietati bracieri e bombole di gas. Arriva il regolamento per i tanti «arrusti e mangia» che si dispongono lungo le strade della processione. Il sindaco, con propria ordinanza, ha vietato «nel periodo delle festività agatine, l'accensione dei fuochi per la vendita e il consumo di alimenti lungo il percorso del fercolo».
In particolare, la disposizione vieta Domani e dopodomani, giorni della processione «lungo il percorso del Fercolo e nei siti e vie adiacenti, lo svolgimento di qualunque attività commerciale che dia luogo all'accensione di fuochi con bombole e bracieri per le attività di vendita e consumo di alimenti».
«L'ordinanza - spiega il Comune nasce dalla prevedibile grande affluenza di cittadini, fedeli e turisti ed è finalizzata a evitare situazioni di pericolo per la tutela della salute e dell'incolumità pubblica».
I siti interessati dal divieto sono: domani, giorno del giro esterno, divieti in piazza Duomo, via Dusmet, piazza Giovanni XXIII, viale Libertà, via Umberto, piazza Stesicoro, salita Cappuccini, piazza della Borsa e vie adiacenti.
Giovedì 5, giorno del giro interno divieti in piazza Duomo, piazza Università, via Etnea, piazza Stesicoro, via Caronda, piazza Cavour, via Antonino di Sangiuliano, via Crociferi, via Garibaldi, e vie adiacenti.
«La mancata osservanza della disposizione - recita l'ordinanza - sarà punita ai sensi dell'art. 20 della L. R. n°18/'95, con la sanzione da 516 a 2.582 euro per chi esercita il commercio abusivo. Prevista anche la confisca delle attrezzature e della merce oltre alle eventuali sanzioni amministrative e penali».
03/02/2015
Oggi gli
archi che illuminano le strade al passaggio delle vare o i fuochi
d'artificio, non sono altro che il retaggio delle luminarie barocche
e delle macchine del fuoco, impiegate allora per gli spettacoli
pirotecnici. L'arte della città - continua con dovizia di
particolari la professoressa Trigilia - era ravvisabile anche nel
singolo ruolo professionale e artistico svolto da argentieri,
indoratori, scenografi e anche musicisti e letterati. Ogni
celebrazione religiosa o patronale, infatti, aveva il suo libretto
della festa. I prospetti e le facciate dei palazzi più importanti
venivano decorati e adornati con ricchi drappeggi o con elementi
scultorei. Il tutto naturalmente sostenuto anche dal Senato delle
rispettive città, che impegnava denaro ed energie per la piena
realizzazione di tali momenti».
Oggi, in proporzione, questi preparativi e corredi sono stati
notevolmente ridotti. La città non è più un teatro, questo tipo di
"arte" è svanita, ne rimane ben poco. E potrebbe rimanere ancor meno
in futuro, visto che tanti mestieri artigiani un tempo fondamentali
per queste feste - i già detti indoratori, argentieri, cartapestai o
falegnami - stanno scomparendo. E allo stesso modo rischiano di
scomparire anche queste tradizioni e i retaggi popolari.
Ma non è tutto, la prof. Trigilia, in "La festa barocca in Sicilia",
si occupa anche dei fortissimi legami esistenti tra gli itinerari
della processione e la struttura urbanistica della città. «Le strade
percorse dalle vare o dai fercoli, questo vale anche per S. Agata -
spiega - corrispondono e sono sempre corrisposte ai luoghi più
significativi delle città o dei paesi, e non solo da un punto di
vista religioso o miracolistico. Il doppio percorso agatino, i
cosiddetti "giro esterno" e "giro interno", si spiegano tenendo
conto di questi assunti».
Insomma, quello che a Catania si ripete quasi immutato e immutabile
dal '600 a oggi, è il frutto di una tradizione che affonda le
proprie radici anche nelle influenze della dominazione spagnola
sull'Isola, ma con un quid in più, come sottolinea lo storico del
Settecento Antonio Leanti, citato dalla Trigilia: «La Sicilia con le
sue feste è di gran lunga superiore a qualsiasi altro paese
d'Europa». Spagna compresa. Ed è chiaro come qui entrino in gioco
anche delle ragioni antropologiche e sociologiche relative al popolo
siciliano. Elementi questi ultimi visibili anche nella sfrenatezza
dei festeggiamenti agatini. «Questa sfrenatezza - chiosa la prof.
Trigilia - non è altro che il retaggio di un passato storico.
Durante la festa del santo patrono i pagamenti di tasse e gabelle
venivano sospesi, così come gli arresti. Quelli erano giorni di
gioia e spensieratezza assoluta».
Tornando a Catania, molto è rimasto tale e quale dalla fine del XVII
secolo a oggi; molto invece nel bene e nel male è cambiato. La
festa, ogni festa, è animata in eguale proporzione da fede e
spettacolarità. Una spettacolarità che nella maggior parte dei casi,
ha radici secolari, da conservare e tutelare - nella città etnea e
non solo - e che non può permettersi di scivolare nel protagonismo e
in un esibizionismo aggressivo e fine a se stesso. La festa di
Sant'Agata è storia e cultura, passione e tradizione.
La processione prosegue per via Garibaldi e nuovamente per la via Plebiscito, passando durante la notte dagli antichi quartieri di S. Cristoforo, Ursino e Angelo Custode.
La piazza meno «turistica» con un grande cuore per Agata
La Sicilia - 06 Febbraio 2014
Agata, Agata, fortissimamente Agata. La venerazione e l'amore verso la Santa assume un sapore particolare nel rione del "Fortino" e affonda le radici nella consapevolezza che qui il passaggio del fercolo è uno dei momenti in cui c'è solo Lei e il suo popolo. Lontano dal folklore più esteriore dove i turisti sono pochi ma la devozione è enorme.
Sant'Agata la martire, Sant'Agata l'amata, Sant'Agata la sorella di ogni catanese. E' la notte con il bagno di folla che ogni anno aumenta. Anche ieri il "Fortino" è stato all'altezza della sua fama e nessuno ha voluto perderselo.
Come sempre lo spettacolo finale ha ripagato ampiamente di sacrifici e fatiche. La levataccia del mattino e la stanchezza, in fondo, sono normale "routine" per il devoto che aspetta trepidante l'arrivo del fercolo. Già a tarda sera, con le candelore che attiravano l'attenzione della gente, l'atmosfera si animava e da piazza Palestro si alzava, inconfondibile e spessa, la coltre di fumo degli "arrusti e mangia" sparsi per tutta la zona.
E' la Catania da mangiare e da assaporare. Cibo da strada a volontà tra il dolce e il salato. Pane, carne e crispelle per il palato di tutti: "Anche questa è tradizione - spiega Ludovico Catania - nell'aria c'è un intenso odore di grigliata che rende la piazza un mix di colori, profumi e suoni. Io e i miei amici al panino imbottito con la carne di cavallo non ci rinunciamo mai». Il cielo sopra il Fortino è limpido e il viaggio di Sant'Agata nel rione rappresenta un connubio tra emozione e commozione per una preghiera da recitare in silenzio. Come hanno fatto Giovanni, Gaetano e Giuliana: «Viviamo un momento speciale perché Lei (con la "L" maiuscola) abbraccia un quartiere che l'ha sempre amata - spiega Giovanni - qui si vive un contatto diretto con la nostra Patrona che ci guarda e ci protegge soprattutto in questo particolare periodo di crisi».
Sono già le 23 e davanti al suo altarino la gente è in raccoglimento. Tra loro anche Dario D'Emanuele di 34 anni che tiene tra le mani un cero di decine di chili per una grazia ricevuta. Non è il solo, pochi minuti e arrivano altri devoti che portano sulle spalle "colonne" di cera pesantissime.
I ceri illuminano la notte, i fedeli sono inginocchiati. Qualcuno non ha più voce, tutti sono ricoperti dalla cera. L' attimo di silenzio è rotto dal richiamo che tutti conoscono: «Cittadini semu tutti devoti tutti? Cettu, cettu». E' un coro unanime, un grido d'amore per la nostra patrona. Un devoto viene aiutato dagli altri a mettere un mazzo di fiori sull'altarino. Partono gli applausi scroscianti. Ci si ferma ancora qualche istante in adorazione. Al segnale si riprende in spalla la cera e si prosegue per via Garibaldi. «Quanto manca? Dov'è la Santa? Piazza Risorgimento? Via Aurora? » E' un tam tam con i cellulari, un passaparola continuo tra la gente della "Palestro". Tra loro ci sono le coppie di fidanzati Danilo e Deborah, Dario e Jessica: «Rispetto al passato il fercolo è in notevole anticipo - dice Danilo - nel 2011 arrivò in piazza alle 5 di mattina. Adesso non vediamo l'ora di vederla per ringraziarla e per chiederle una grazia».
La piazza è in trepidazione in un crescendo che raggiunge l'apice con i fuochi d'artificio. Minuti intensi di spettacolo pirotecnico che illuminano il rione. Una danza di ombre e luci. Godimento puro e tutti, con il naso all'insù, per ammirare questo gioco di colori. Un "antipasto" a quello che sta per succedere. Finalmente, dopo un'ora, il fercolo fa il suo ingresso nel rione. Una piazza devota con le mani giunte in atto di preghiera perché bisognosa dell'aiuto della sua Patrona. Attorno a Lei, la città diventa una cosa sola: ammutolita, estasiata, attonita in preghiera. Gli occhi si fanno lucidi e sono in pochi quelli che riescono a trattenere l'emozione. E' un coro continuo: «Viva Sant'Agata». I devoti pregano gomito a gomito. Chi ha conquistato un angolo se lo tiene stretto mentre la Vara attraversa la porta ferdinandea. Pochi minuti e il fercolo lascia la piazza tra applausi e lacrime di commozione dei fedeli. Una dormita di poche ore per rigenerarsi e prepararsi al giro interno.
Damiano Scala
Nelle prime ore della mattinata S. Agata ha appena percorso tutta la lunga via Plebiscito fino ad imboccare la via Cristoforo Colombo alla volta degli “Archi della Marina”, fino ad arrivare nuovamente in via Dusmet, dove di corsa si dirige in Porta Uzeda ed infine in piazza Duomo, intorno alle ore 8,00 del mattino circa, quindi più di 24 ore di processione.
VICINO ALLA "MARINA", A RICORDO DELLA LAVA CHE LI' SI ARRESTO' NEL 1669
Chissà quanti catanesi si sono mai accorti di questo bel palazzo di via Plebiscito,la sua facciata al primo piano presenta una lapide marmorea con un mezzo busto di Sant'Agata accompagnato da una scritta latina ormai sbiadita ed illeggibile. Io stessa ,la prima volta che me ne accorsi ,sconoscevo la motivazione di questa lapide, ma ,dopo studi e ricerche, ora so. Si tratta di una lapide commemorativa poiché qui si fermò improvvisamente la lava nel 1669 a pochi passi da piazza Duomo e fu attribuito il miracolo a Sant'Agata tanto che tutta la via fu chiamata "Strada della Vittoria " e tale fu fino a quando, dopo il 1860 ,divenne via Plebiscito (ingiustamente).Per lunghi secoli la festa di Sant'Agata seguì solo la processione di ciò che oggi viene definito "giro esterno"(4 febbraio)
Mi piace riportare un articolo del giornalista Saverio Fiducia pubblicato negli anni cinquanta......
Milena Palermo
ALEGGIA LA STORIA TRAGICA DI CATANIA ATTORNO ALLE RELIQUIE DELLA PATRONA (di Saverio Fiducia)
- Nel tripudio delle feste Agatine,in cui sembra che il cuore del popolo ritorni puro come ai primordi,mi piace rievocare un evento memorabile:la fatale primavera del 1669.
La spaventevole e travolgente imponenza dell'eruzione famosa che raggiunse e in parte seppellì Catania, ai cittadini atterriti dovette mostrarsi tale fin dal pomeriggio dell'11 marzo,nell'ora stessa che, squarciatasi nella contrada detta <<dei Nicolosi >>il fianco della montagna, il fiume di fuoco inghiottì in pochi minuti il villaggio, e circondato il vecchio cratere avventizio di Mompilieri ,fece a sera altrettanto con Massa Annunziata, il primo paese che incontrò sul suo cammino.
Tutta la notte la città vegliò col cuore in gola, guardando il tremendo spettacolo che arrossava il cielo di mezza Sicilia, dall'alto dei campanili, dalle terrazze delle case, dai <<belvedere >>dei monasteri, dal mare; il pericolo fu riconosciuto e vagliato.
Ma che fare per arrestarlo?I vulcanologi calcolano in 989 milioni di metri cubi il magma scaturito dalla immane fenditura, e il fenomeno non durò che 68 giorni:non v'era e non v'è forza umana che possa opporsi a tanta ruina;è naturale, quindi, che i poveri catanesi volgessero nel frangente le loro più ardenti preghiere a Sant'Agata, la dolce, la sempre sorridente Patrona. Le processioni cominciarono l'indomani dell'apertura delle bocche eruttive ai Nicolosi.
I più precisi cronisti locali dell'evento sono un Tedeschi e un Mancino,spesso dai nostri storici citati. I due tramandarono qualche cosa che può dirsi il diario di quei giorni paurosi:esso va dal martedì 12 marzo al lunedì 9 giugno, durata massima dell'eruzione.
Dico durata massima, perché in effetti la ramificazione della colata generale, la quale sopra un fronte di 3 chilometri minacciava la città nel suo cuore, il 30 aprile, sabato santo, s'era arrestata a 300 metri dal Duomo, nel punto dove oggi, in principio della via Plebiscito, una lapide col busto della Santa ricorda l'evento;ma dieci giorni dopo,dal braccio che aveva circondato le mura tra il bastione del Tindaro e quello degl'Infetti e che sembrava spento, sgorgò improvvisamente un nuovo torrente di fuoco che, investito e travolto il rione popolare del Corso,le fabbriche, i giardini e la chiesa stessa dei Benedettini, il monastero delle Verginelle e le case della Cipriana, si fermò nelle immediate vicinanze dell'Odeon e del Teatro antico. E ancora il 9 giugno un'altra emissione di liquido magma, scaturita dai fianchi della corrente principale, nei pressi del Castello Ursino, colmò i fossati che recingono il mastio della mole federiciana costringendo il castellano e i soldati della guarnigione a rifugiarsi nella torre di don Lorenzo Gioeni, a Montevergine.
Il 12 marzo, dunque, una processione era uscita dal Duomo recando il Sacro braccio e fermandosi a San Domenico fuori le mura, tra Porta Aci e Porta Reale,il punto più a nord della città.
L' indomani è la volta del Velo,e chi lo porta è il vescovo Bonadies, le cui pacate sembianze vediamo nella sacrestia del Duomo, sotto l'affresco che ricorda l'eruzione e mostra in sintesi l'imponenza del fenomeno. Le aste del baldacchino venivano rette dai Senatori in persona.
Durante tutta la durata del flagello, le reliquie rimasero esposte sul maggior altare del Duomo;ma il 1 aprile, divenuto il pericolo imminente, esse vennero portate in processione attorno alle mura,dalla Porta di Aci a quella della Decima nei pressi della Naumachia, il punto maggiormente minacciato.
Dopo questa funzione solenne,il popolo, in quei giorni terribili dovette esservi come un'esplosione di fede, volle che il Velo fosse portato addirittura verso le bocche eruttive;la qual cosa venne fatta il 18 dello stesso aprile.
Ma già 17 paesi e villaggi erano stati investiti, travolti e seppelliti ;l'ultimo a scomparire era stato Misterbianco;di alcuni (Antogni, Potichelli, Carusati, Marletta, Fallacchi, Santacroce)non rimane che il nome;quand' ecco, il 20 aprile, Sabato Santo,una nuova corre di bocca in bocca, si propaga, e un grido, il grande grido di Catania esultante erompe:<<Vittoria;miracolo!>>.La lava si è fermata, cupa e fumante, ma corre esausta, stanca di tanta ruina.
In questi giorni di festa, le Sante reliquie agatine vengono esposte e offerte alla venerazione dei fedeli:un appressarsi curioso ,uno sguardo intenso d'amore, un bacio. Ma quale vastità di ricordi sollevano esse, anche in coloro che sono refrattari ai misteri del dogma!
Tutta la storia, può dirsi, di Catania, vi aleggia attorno.
(Saverio Fiducia da "Passeggiate sentimentali ")
grazie a Milena Palermo
https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/