Stesicoro, grande poeta lirico. Il suo vero
nome era Tisia, ma fu soprannominato Stesicoro, che
voleva dire coordinatore di cori. Sarebbe vissuto tra la
fine del VII sec. a.C. e la prima metà del VI sec. a.C.
Incerta la sua patria d'origine. Nato forse in Calabria
a Matauro (odierna Gioia Tauro), colonia di Locri,
sarebbe vissuto a lungo in Sicilia, ad Imera, da dove,
per motivi politici, si rifugiò a Catania. Di ben 26
libri di poesie che scrisse, meritandosi l'appellativo
di "Omero della lirica corale", ci rimangono sojo 26
frammenti, per complessivi 59 versi.
Questo poeta, il cui
nome riassume la storia della lirica greca in Sicilia,
ed indica l'inserimento dell'Isola nell'orbita culturale
panellenica, ebbe un culto particolare a Catania. Alla
sua morte i catanesi eressero un grandioso mausoleo
ottagonale, sostenuto da otto meravigliose colonne
marmoree nel centro della città, nei pressi di piazza
Porta di Aci, nel luogo ove venne costruito nei secoli
successivi il convento dei Carmelitani, in piazza Carlo
Alberto .
Piazza
Stesicoro è una delle piazze del centro storico della città di
Catania posta sulla principale strada del centro, la via Etnea.
La piazza, che è la seconda della via Etnea procedendo in senso
sud-nord, da questa viene divisa a metà. La sua forma è rettangolare
e le due parti in cui è suddivisa presentano aspetti differenti dal
punto di vista architettonico. La parte ad est presenta al centro il
monumento a Vincenzo Bellini realizzato dallo scultore Giulio
Monteverde nel 1882; il lato nord è delimitato dal pregevole Palazzo
del Toscano, a nord-est il Palazzo Beneventano costituisce un lato del
Corso Sicilia, mentre l'altro è delimitato da un moderno edificio.
Piazza Stesicoro è una delle più
frequentate piazze del centro storico di Catania, sia per la
posizione centrale, sia per la vicinanza con il tipico mercato della
“Fera o’ Luni”.
Piazza Stesicoro, che deve il suo
nome al poeta greco Stesicoro il cui sepolcro si trovava qui in
epoca romana, è attraversata e divisa in due dalla strada principale
del centro, la via Etnea. Le due parti della piazza hanno stili
architettonici differenti. A est troneggia al centro il monumento
dedicato al compositore Vincenzo Bellini realizzato dallo scultore
Giulio Monteverde nel 1882.
Alle spalle del monumento a
Bellini, alla fine degli anni cinquanta, furono abbattuti tutti gli
edifici esistenti e fu realizzato l’attuale Corso Sicilia, ai cui
lati si trovano i principali edifici finanziari della città.
Dall’altro lato della piazza,
sotto il manto stradale, a circa dieci metri di profondità, è
visibile una parte dell’Anfiteatro romano riportato alla luce agli
inizi del XX secolo.
Di fronte i resti dell’Anfiteatro
si trova la Chiesa di San Biagio conosciuta anche come la Chiesa di
Sant’Agata alla Fornace, dal nome della reliquia custodita
all’interno, e di fianco in posizione più elevata rispetto alla
piazza c’è il Palazzo della Borsa, oggi sede della Camera di
Commercio di Catania. A nord, rispetto all’Anfiteatro romano si
trova il settecentesco Palazzo Tezzano, sede del tribunale fino al
1953.
Ogni anno, proprio da Piazza
Stesicoro, e precisamente dalla Chiesa di Sant’Agata alla Fornace,
il 3 febbraio hanno inizio i festeggiamenti religiosi per la Patrona
della città con la processione dell’offerta della cera alla Santa,
detta anticamente la “processione della luminaria” (il termine
“luminaria” si riferiva all’offerta in cera che tutti i
rappresentanti della città donavano per illuminare l’altare di S.
Agata).
Partendo da qui, passando da via
Etnea e Piazza Duomo, la processione raggiunge la Cattedrale di
Sant’Agata.
https://www.citymapsicilia.it/struttura/piazza-stesicoro/
Continuando sul lato sinistro,
dopo l'ex Convento dei Minoriti, oggi sede della Prefettura, tra
l'omonima chiesa e via Penninello si incontrano alcuni edfici
d'affitto, tra i quali quello dei Curìa seguito da altro della
famiglia Zappalà che raggiungono con I'antico ex Bar Centrale la
piazza Stesicoro.
Sul lato destro, dalla via
Carcaci alla via Montesano, i palazzi Cilestri, Mannino e Trigona.
Il successivo troncone edilizio,
in parte d'affitto, raggiunge la piazza Stesicoro, con i palazzi
Paternò Castello e PaoIa, ospitando all'estremità, fino a poco tempo
fa, il negozio di Barbisio. Nell'insieme i due tronconi edilizi
conclusivi, che si fronteggiano, affacciandosi nella storica piazza
della Porta di Aci, si coniugano bene, con un gradevole
bilanciamento volumetrico.
E qui va inserito quanto ci
racconta Lucio Sciacca: intorno al 1830, quella zona dove oggi fa
bella mostra il teatro Metropolitan e le costruzioni attorno, era
costituita dalle proprietà dei Paternò Manganelli e del Principe
Biscari, che vi trascorreva quale luogo tranquillo, la sua
villeggiatura estiva.
La aristocratica famiglia Paternò
Manganelli che esercitava l'industria della molitura decise, per
incrementare i suoi affari, di impiantare all'interno della sua
proprietà un mulino ad acqua. L'iniziativa, utile ai proprietari,
creò molti inconvenienti ai cittadini e soprattutto ai Biscari ai
quali perveniva il maggiore danno "ambientale". lnfatti
all'assordante rumore delle ruote del mulino, al vociare dei
numerosi carrettieri che lo frequentavano, nel loro via vai di
carri, si aggiungeva l'impantanamento dell'intera zona bassa
costituita dal "vico delle fosse" (oggi via Sant'Euplio), che la
rendeva intransitabile; senza contare l'offesa al decoro della
città. Dopo alcuni anni di lite tra i due noti interessati e le
lamentele dei cittadini, don Giuseppe Alvaro Paternò principe di
Manganelli propose di incanalare a sue spese l'acqua di risulta del
mulino (che avrebbe regalato) per alimentare una fontana a Porta di
Aci (da costruire a spese del Comune).
E così fu fatto. La fontana venne
ubicata dove attualmente fa bella mostra il monumento a Bellini. Ma
essa vene poco accettata dai cittadiniperchè nelle giornate di vento
bagnava passanti e faccendieri sostanti, oltre i nulla facenti.
Altro inconveniente era il continuo va e vieni delle carrozze e
carretti che la utilizzavano per abbeveratoio dei cavalli. L'ammollo
invernale di folla che seguiva Sant'Agata le fece guadagnare l'appellativa
di "scolapasta" per la forma che le era stata data. Per tutto quel
che le accadde, diventò per tutti la fontana della "jettatura".
Interrotta l'acqua, diventò ricettacolo per le immondizie. Man mano
venne smontata dai cittadini per ricavarne i marmi pregiati di cu
era adornata. La storia finnì nel 1874, quando venne scelto quel
sito per collocarvi il monumento a Bellini.
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Etnea. Catania dalle origini
ai quartieri storici - Gaetano D'Emilio,Fabrizio D'Emilio Editore:
Algra
LA FONTANA DELLA PORTA DI ACI
(di Lucio Sciacca, da "Catania
com'era",1974, Casa Editrice I Faraglioni)
-Questa è la storia d'una fontana
nata sotto cattiva stella, che pochi vollero e molti avversarono,
innalzata come monumento,diminuita al ruolo di pubblico
abbeveratoio, prima ancora d'esser demolita e dispersa;
d'una fontana sfortunata sulla
quale si accanì l'animosità del popolino (che la chiamò FONTANA
DELLA JETTATURA) e contro cui si appuntarono gli strali velenosi del
poeta dialettale don Cola Ardizzone.
Tutto cominciò verso la fine del
1830, quando i Paternò Manganelli, che esercitavano l'industria
della molitura, decisero di incrementare i loro affari impiantando
un mulino anche a Catania (ne avevano a Misterbianco, Acicastello,
Valcorrente) e scegliendo a tal uopo quel tratto di terreno compreso
fra gli orti del Salvatore e i Cappuccini, il vico delle Fosse (oggi
via Sant'Euplio) e il Laberinto dei Biscari (oggi villa
Bellini),vicino al centro storico della città.
Portata a compimento l'opera, il
pubblico prese ad affluirvi, il mulino a funzionare, l'acqua a
defluire verso il basso allagando la zona sottostante, con vivo
disappunto della gentucola che vi abitava.
Ma,il disappunto maggiore fu quello
dei Biscari i quali mal sopportarono che accanto ai magnifici
giardini di loro proprietà - dove gli estivi ricevimenti avevano
del favoloso - prosperasse quel chiassoso baraccone che arrecava
danno agli abitanti di quella zona e offesa al decoro dell'intera
città.
Ne nacque una lite protrattasi per
diversi anni.
I due illustri casati si
fronteggiavano con pari vigore e altrettanta acrimonia, senza
raggiungere un qualche positivo risultato e anzi spendendo un sacco
di quattrini quando, fra i pensieri di don Giuseppe Alvaro Paternò,
principe di Sperlinga e Manganelli, si fece largo una splendida
idea.
Di che si lagnavano i Biscari?
Di che si rammaricava il
Decurionato?
Perché protestava la gente?
I malumori e le proteste traevano
origine dallo scorretto comportamento dell'acqua che, non sapendo
dove andare dopo aver fatto girare le grosse macine del mulino,
impantanava strade cortili case orti e poderi altrui.
Quest'acqua dunque, doveva essere
raccolta, incanalata, avviata verso uno sbocco appositamente
costruito:una fontana. Si,bisognava innalzare una fontana in un
punto vicino, donare l'acqua al Comune, creare un diversivo che
procurasse diletto grande ai catanesi e assicurasse la sopravvivenza
del mulino.
Pensato e fatto.
L' acqua fu donata al Comune, e il
Comune, in data 23 settembre 1833,deliberò che <<si accetti il dono
di dodici penne d'acqua che per il bene della Patria ha proposto il
signor Principe Manganelli e si approvi la costruzione di un
fonte,splendidamente ornato,alla porta di Aci.....>>
L' atto di nascita della fontana
era ormai un fatto compiuto, almeno sulla carta. Restavano due cose
da fare:la realizzazione dell'opera e la scelta del posto. E perciò,
mentre fu dato incarico all'ingegnere Carmelo Lazzarotto per la
prima parte,si convenne di collocare la erigenda fontana nel tratto
orientale della piazza, dirimpetto alla statua di Ferdinando II
ch'era stata,invece, sistemata nell'opposto lato.
La fontana venne di fatto innalzata
nell'area oggi occupata dal monumento a Bellini.
Per maggiore chiarezza, bisogna
aggiungere che quella parte di piazza Stesicoro, ancora in quel
tempo a fondo naturale, aveva ospitato, sin dal 1807,la Fera Lunare
(o del lunedì),il settimanale mercato che, pressappoco in
coincidenza con la costruzione della fontana in questione, fu
trasferito in piazza del Carmine. Il palazzo del Toscano e quello
Beneventano non erano stati ancora costruiti,mentre nella piazza
s'affacciava, assieme ad altre costruzioni di più modesta levatura,
quel burbero fabbricato a quattro piani,ubicato fra la via Decima e
la via Gambino, e demolito nel 1959,in seguito al risanamento del
quartiere San Berillo.
Dunque, tornando alla fontana, essa
sulle prime venne accolta con favore, e ne furono persino apprezzati
l'architettura, l'ampiezza,gli zampilli. Come si può intuire dal
disegno qui riprodotto (unica testimonianza grafica pervenutaci),la
vasca, tutta in marmo di Taormina, misurava canne quattro, vale a
dire più di otto metri di diametro;portava al centro una cupoletta
pure di marmo, cosparsa di buchi attraverso cui zampillavano
numerosi getti d'acqua ad ombrello, e recava nel centro un foro
principale per <<Il getto spettacoloso di altezza, a meraviglia dei
cittadini ed anche dei forestieri >>
Poi (e non sappiamo perché) si
levarono contro di essa critiche e diffamazioni, mentre, d'altra
parte, ne approfittarono i carrettieri per abbeverare i loro
animali. Vi fu un tempo nel quale tutti i cavalli i muli gli asini
che alloggiavano nei vicini fondaci di piazza del Carmine,
convennero numerosi e compatti in quella grande vasca per
dissetarsi. La qual cosa, a lungo andare, urtò la sensibilità dei
pubblici amministratori i quali, per eliminare l'indecoroso
spettacolo, incaricarono lo stesso ingegner Lazzarotto di recingere
la fontana.
Fu un rimedio peggiore del male,e
suscitò il generale scontento. Scontenti i carrettieri,scontenti
quegli altri a cui non era andato a genio il nuovo accomodamento,
scontento, più di tutti, quella gran mala lingua di don Cola
Ardizzone che con la fontana ce l'aveva per fatto personale.
Il satirico poeta che abitava in
quei pressi,quando si levavano <<le alzate spettacolose>>del getto
principale, e in contemporanea soffiava il maestrale, si veniva a
trovare, senza scampo, con l'acqua n casa, e doveva sbarrare uscio e
finestre per non sguazzarvi dentro.
Egli protestò allora violentemente,
in prosa e in versi,senza alcun apprezzabile risultato se non quello
di veder denigrati ulteriormente la fontana e il Lazzarotto, il
quale, sotto l'infuriare di quelle bordate, caduto in disgrazia
dello stesso Intendente, finì col lasciare Catania.
Nè,con l'allontanamento del suo
artefice, cessarono i guai per la fontana.
Tutt'altro.
Nel 1837,mentre infieriva il
colera, la Deputazione di Salute Pubblica ne propose la
soppressione, per eliminare in tal modo <<le balorde congetture e
vociferazioni del popolino e di malintenzionati che avevano
interesse di far credere potesse per avventura rinnovellarsi la mala
genia di supposti untori o avvelenatori di acque potabili >>.
Il suggerimento fu,in verità,
disatteso, e la fontana non venne toccata. Soltanto fu privata
dell'acqua, e ridotta a ideale mezzo di trastullo dei monelli di
quel rione.
Cessato il colera,le acque
tornarono ad affluire in piazza Stesicoro;ma il livore contro la
fontana, lungi dall'affievolirsi, si tramutò in odio allorché, nel
1847,durante i festeggiamenti alla Patrona, alcuni cittadini,
spinti dal fluttuare della folla, andarono a finire nella vasca.
Furono tirati fuori, pesti e
grondanti. Nessun morto,nessun ferito. E tuttavia si gridò al
miracolo operato dalla Santa e s'imprecò contro la fontana della
jettatura.
Poi,poco alla volta, le acque
cominciarono a mancare, <<alzate spettacolose >>non se ne videro più
ed ebbe inizio l'inesorabile declino, fino a quando, ormai
all'asciutto, la fontana fu dimenticata persino dall'irriducibile
don Cola la cui satira aveva, nel frattempo, perso lo smalto
dell'attualità.
Nel 1874 i catanesi si trovarono a
dover risolvere l'entusiasmante problema del monumento a Bellini.
In quell'occasione, il professor
Filadelfo Fichera indicò,per primo, come <<sito più confacente >>per
la installazione del monumento la porzione di piazza Stesicoro
avanti il nuovissimo palazzo del Toscano.
Ma,nella relazione del Fichera non
si fa alcun cenno della fontana.
Come mai?
Esisteva ancora in quell'anno ed
era tenuta in così scarsa considerazione che non metteva conto
parlarne?O era stata demolita, e perciò lo spazio che avrebbe
accolto, otto anni dopo, l'opera dello scultore Giulio Monteverde
era già libero?
Non sappiamo dire con certezza, non
rinvenendosi alcun attendibile documento al riguardo, all'infuori di
un'annotazione del Gentile Cusa:<<La piazza Stesicorea venne
decorata di due ornamenti oggi scomparsi. Nella parte orientale
venne innalzata quella pubblica fontana che si trova ora in piazza
Carlo Alberto, e nella parte occidentale fu elevata la statua
marmorea di Ferdinando II, opera del Calì>>.
Il Gentile Cusa scriveva nel
1875;dunque, in quell'epoca, la fontana (non sappiamo in quale
stato)era al Carmine.
Ma dove precisamente?
E quando e come scomparve?
Sia come sia, resta il fatto che i
catanesi, o perché presi dalla euforia del monumento a Bellini, o
per altri motivi, cancellarono ben presto dalla loro mente il
ricordo della sfortunata fontana.
Col passare degli anni,
dimenticarono pure la pungente poesia di don Cola Ardizzone i cui
due ultimi versi - alludendo alla cupoletta forata per la quale
passavano i piccoli zampilli - così recitavano:
<<.....E lu populu cuntrasta
s'è funtana o sculapasta>>
(Testo dal libro "Catania com'era
"di Lucio Sciacca)
Infine il lato sud presenta alcuni edifici di minor pregio
architettonico. Dall'altro lato, al centro della piazza, si trova ad
un livello di circa dieci metri sotto la superficie stradale, la parte
terminale nord dell'Anfiteatro romano riportata alla luce nel secolo
scorso dopo secoli di oblio. Sul lato ovest, in posizione elevata, si
trova la Chiesa di Sant'Agata alla Fornace ed il Palazzo della Borsa.
A nord infine il settecentesco Palazzo Tezzano, sede del tribunale
fino al 1953, che occupa tutto il lato nord della suddetta parte della
piazza.
Alle spalle del monumento a Bellini, alla fine degli anni cinquanta,
vennero abbattuti tutti gli edifici esistenti e venne realizzato il
Corso Sicilia, ai cui lati vennero costruiti palazzi moderni, in
genere, di proprietà di banche ed assicurazioni; questo conduce a
Piazza della Repubblica e proseguendo sino alla stazione Centrale.
La piazza Stesicoro è una delle più frequentate della città sia per
la sua centralità che per la contiguità con il tipico "mercato
della fiera" un tempo detto anche a fera 'o luni (la fiera del
lunedì) che tutt'oggi dura dal lunedì al sabato.
Palazzo
del Toscano sorge in piazza Stesicoro all'angolo Via Etnea. Fu
edificato intorno al 1870 quale residenza cittadina dei Paternò
Marchesi del Toscano su progetto dell'architetto milanese Enrico
Alvino.
Il
Palazzo fu inizialmente costruito, ai primi del Settecento, su
progetto dell'insigne architetto Gian Battista Vaccarini, ma la sua
edificazione si fermò al primo piano soprastante gli ampi locali di
servizio sulla strada, scanditi dagli archi in pietra bianca e nera
tipici di altri monumenti del barocco catanese.
Abitato
dalla Famiglia Tedeschi Bonadies baroni di Villermosa, nel 1858 fu
destinato dall'ultimo discendente della casata al nipote Antonino
Paternò 1° Marchese del Toscano, che di lì a poco sarebbe divenuto
primo sindaco di Catania, malgrado le precedenti affermazioni di fede
borbonica. Il Marchese del Toscano, a sostegno dell'ascesa del casato
nell'Italia Unita, decise di continuare la costruzione del palazzo,
rimaneggiandone però l'architettura complessiva.
Dopo
un primo incarico al torinese Poletti, più rispettoso del primitivo
impianto del Vaccarini, il marchese si affidò all'architetto milanese
(ma attivo a Napoli) Enrico Alvino che realizzò un'architettura
neorinascimentale compatta e severa, ma chiaramente influenzata
dall'eclettismo artistico dell'ottocento e, insieme, dal gusto per gli
ambienti "a tema" proprio dei palazzi napoletani. Il
progetto di Alvino, fu ben presto d'ispirazione per altri palazzi
della città come il vicino Palazzo Beneventano della Corte.
I
decori e l'arredamento della Sale di Rappresentanza, nonché i
rivestimenti marmorei e gli affreschi del grandioso scalone d'onore,
furono cura dell'erede primogenito Giovanbattista Paternò, 2°
Marchese del Toscano sposato a una Caracciolo di Napoli e anch'egli
sindaco di Catania in periodi alterni, tra cui quello coincidente con
il completamento e l'inaugurazione del Teatro Massimo Bellini. Per i
decori furono chiamati i migliori artisti disponibili in quel momento
sulla piazza catanese, da Alessandro Abate a Giuseppe Sciuti
http://www.palazzodeltoscano.it/
|
Il Palazzo Beneventano fu commissionato
dalla famiglia Pavone, il palazzo fu venduto nel 1870 al barone
Giuseppe Luigi Beneventano della Corte e da lui ultimato su
progetto dell’ingegnere Lanzerotti. Importante elemento
scenografico del lato est di piazza Stesicoro, l’edificio ha
un’impostazione neoclassicheggiante che ben si accorda con il
vicino Palazzo del Toscano. Decorarono gli interni alcuni tra i
più importanti nomi del panorama artistico tardo ottocentesco:
Alessandro Abate, Alfonso Orabona e l’illustre Giuseppe Sciuti.
http://www.girasicilia.it/patrizi-e-palazzi-visite-guidate-catania/
In piazza
Stesicoro (lato est), scoperto la sera del 21 settembre 1882, opera
dello scultore Giulio Monteverde (al quale furono
versate 130.000
lire), realizzato a iniziativa e spese del Comune, che si assunse
l'onere della costruzione delle fondamenta. Fino all'anno prima non
era stato ancora deciso dove innalzarlo. Il 26 novembre 1881, Federico
De Roberto, in una corrispondenza da Catania, sul Fanfulla del 20
novembre, scriveva: "Lo scultore ha completato l'opera sua, e se
essa non si vede ancora a posto, la colpa è tutta dei nostri
aministratori" (la giunta era presieduta da Antonino Paternò
Castello di San Giuliano, futuro ministro degli Esteri), "che
ancora non si sono decisi a designare il luogo dove il monumento si
dovrà collocare. Ci sono diverse opinioni".
Alcuni indicavano la piazza dove era in costruzione il tratro Massimo,
lo stesso De Roberto e altri la piazza Duomo al posto dell'Elefante
("specie di pasticcio croccante, o se vi piace meglio di
giocattolo"), altri, e la spuntarono, la piazza Stesicoro.
Nel settembre del 1882, il monumento fu pronto ma non vi fu una vera
cerimonia inaugurale, che il Comune intendeva accomunare a quella del
teatro Massimo Bellini, che sembrava in via di ultimazione (ma che
venne completato soltanto otto anni dopo).
De Roberto, sul Fanfulla del 28 settembre: "L'altra notte (21
settembre) i buoni catanesi che abitano nei pressi della piazza
Stesicoro, ebbero rotto l'alto sonno da un frequente martellare e da
un rovinar di panconi che facevano un effetto pochissimo armonico,
quantunque si trattasse precisamente di qualche cosa che coll'armnia
ha molte realzioni. Quel fracasso era dunque prodotto dallo
schiodamento dello steccato che nascondeva il monumento a Bellini, che
venne così scoperto nelle tenebre, quasiché si compisse una cattiva
azione". Il popolo in festa si radunò alla casa di Di Bartolo,
dove era ospite Monteverde, e gli tributò una calorosa manifestazione
di simpatia. Poi, tutti in corteo, scultore compreso, in piazza
Stesicoro, ad ammirare il monumento: "come per incanto furono
accesi innumerevoli fuochi". Ancora De Roberto:
"L'operaconsta di un largo basamento, da cui si svolge, con
movimento svelto, una gradinata di sette gradini - le sette note
musicali - che finisce in un secondo piano, nel cui centro sorge un
secondo basamento di forma parallelepipeda. Quasi addossate alle
quattro faccie, ed appoggiate all'ultimo gradino, s'innalzano quattro
statue rappresentanti la Norma, il Pirata, la Sonnambula, ed i
Puritani. Finalmente in cima al secondo basamento sta Bellini seduto.
Tutto il monumento è alto 15 metri".
http://www.sicilie.it/sicilia/Catania_-_Monumento_a_Vincenzo_Bellini
|
Aveva
quasi 35 anni quando si spense il "Cigno catanese". Una vita
breve ed intensa dedicata alla musica in un periodo ove imperavano i
"Mostri Sacri" del melodramma.
Non aspettatevi da parte mia una rigorosa cronistoria della vita del
musicista, lungi da me, non ho una preparazione adeguata a questo. La
mia potrebbe essere catalogata come una informativa da giornalista
(che non sono) o forse è meglio dire da uomo della strada (Che sono)
che vuol soltanto informare in maniera comprensibile su alcuni
personaggi della Storia (Con la (S) maiuscola) Che hanno
caratterizzato dei momenti della nostra storia di Catanesi (Intendo
comprendere in tale termine tutta la provincia).
Fatti salienti, in questi miei racconti, sono più che altro aneddoti
e curiosità, tutto ciò che lo storiografo ufficiale omette nelle sue
pubblicazioni perchè ritenute di scarso valore storico. La mia
convinzione di "Uomo della strada" è inversa poichè
ritengo che per il popolo sono le molte cose piccole che fanno
comprendere la grandezza dell'ingegno di un personaggio. Queste cose
comprende il popolo, attraverso il quotidiano si apprezzano le doti
Eccezionali dell'uomo.
1864 i giornali catanesi iniziano una campagna di stampa, affinchè la
salma di Vincenzo Bellini venga traslata dalla Francia a Catania.
"Son passati 29 anni dalla sua morte". Mi chiedo perchè
dopo tanto tempo? La risposta personale a questo interrogativo
potrebbe essere che in quegli anni gli eventi storici europei erano
ben più importanti che non la morte di un musicista. "Meglio
tardi che mai" direbbe qualcuno sul quale motto mi trova
d'accordo.
1865
il Sindaco di Catania dell'epoca "Cav. Antonino Alonzo,
provvisoriamente nominato facente funzioni, dopo le dimissione del
sindaco Giacomo Gravina, che pressato dalla stampa e dall'opinione
pubblica, interpella i parenti del musicista scomparso, Carmelo,Maria
Bellini e Paolo Castorina, parente della famiglia, per avere un
permesso scritto come era stato richiesto dalle autorità francesi,
sulla richiesta di traslazione della salma. I familiari accettarono ma
ponendo delle condizioni. La principale fu che il Municipio doveva
innalzare un monumento al "Cigno Catanese":
Il sindaco Alonzo e la sua giunta comunale composta da: Principe
Gioacchino Paternò Castello di Biscari, Michelangelo Torrisi,
Pasquale Platania, Giacomo Sacchero, Angelo Seminana, Dott. Vincenzo
Marcellino, Dott. Pietro Andronico, Marchese Giustiniano Vigo, Rosario
Battiati Malerba. Prescrisse che le ceneri del musicista, all'arrivo a
Catania, sarebbero state poste in un distinto posto in Cattedrale con
base e lapide ed un mezzo busto in marmo dello scultore Tito Angelici
(Che era già pronto).
I
familiari soddisfatti stipularono l'atto presso il Notaio Giuseppe
Marco Strano con le Autorità Municipali Catanesi. Copia dell'atto
venne inviata a Parigi.
Le Autorità Francesi concedevano il trasloco delle ceneri di Bellini,
a tale risposta affermativa, il Sindaco Alonzo e la sua Giunta, il 14
Marzo 1865, faceva stampare 4.000 copie di un manifesto che inviarono
a tutti i comuni d'Italia con popolazione superiore a 3.000 abitanti,
ove annunciavano la traslazione della Salma di Vincenzo Bellini in
Catania.
Il 20 Maggio 1876 il Governo Francese, in virtù di un Decreto
Imperiale, concedeva il permesso per il disseppellimento delle spoglie
di Vincenzo Bellini. La Delegazione Italiana entrando in possesso del
documento lo consegnò ai responsabili che si sarebbero recati a
Parigi per ottenere le ceneri del "Cigno Catanese".
Il 4 Agosto 1876 La Giunta Comunale stabiliva "Esequie
Solenni" per il trasporto
delle ceneri del Bellini che dovevano avvenire fra il 22-23-24
Settembre 1876, inoltre si procedeva alla nomina dei Membri della
Commissione che doveva prendere in consegna i resti del Grande
Musicista e scortarli in Italia.
Fatta la Commissione composta, in un primo momento da 10 Notabili, si
ridusse poi a 5 perchè alcuni componenti non poterono o non vollero
allontanarsi da Catania.
La Commissione era composta da: Principe Enrico Grimaldi, Marchese
Antonino Paternò Castello di Sangiuliano, Cav. Gaetano Ardizzone,
Prof. Pietro Platania, Barone Rosario Currò; si unì a questa
Commissione a Napoli, il Comm. Francesco Florido che tanto s'adoperò
per il ritorno delle spoglie del Bellini in Patria.
Il 15 Settembre 1876, alle ore 11,30 nel cimitero di Perè Lachaise
veniva effettuata la ricognizione del corpo di Bellini.
Era avvolto in una tela dove era stato posto dopo l'imbalsamazione, il
cappellano dopo le preghiere dei defunti, benedisse la salma, a questo
punto il feretro fu posto in un'altra cassa ove nel coperchio era
scritto: "VINCENZO BELLINI, NATO A CATANIA IL 3 NOVEMBRE 1801
MORTO A PUTEAUX PRESSO PARIGI IL 23 SETTEMBRE 1835". Sulla tomba
rimasta vuota in Francia, la delegazione faceva opporre la seguente
lapide: "CATANIA GRATA ALLA FRANCIA NEL RICHIAMARE LE CENERI
ILLUSTRI QUESTA LAPIDE POSE IL 15 SETTEMBRE 1876". Il carro
funebre tirato da 8 cavalli percorse le vie di Parigi fra un'ala di
popolo in religioso silenzio che espresse l'estremo tributo di omaggio
all'illustre Musicista. Nella tarda serata, alla stazione ferroviaria
il feretro venne posto sul vagone che doveva condurlo direttamente in
Italia.
Il 16 Settembre 1876 alle ore 8,00, il treno con la salma di Bellini,
lasciava la stazione di Parigi, nelle varie stazioni del percorso
verso Catania le accoglienze furono ovunque commosse e calorose.
Nel pomeriggio del 21 Settembre, la città di Reggio Calabria
accoglieva le spoglie mortali del Bellini, nella stazione veniva
allestita una camera ardente che accolse il feretro.
Il 22 Settembre 1876 il corteo, nella mattinata, si muoveva lento e
solenne verso il porto, all'ingresso del quale fu posto un grande
arazzo con la seguente scritta: "REGGINI ONORATE DI ONORI E DI
VOTI GLI AVANZI DEL DIVINO CATANESE CHE LA MUSICA ITALIANA SEPPE
ELEVARE A INFINITO SPLENDORE NELLE POTENTI NOTE DELLA NORMA".
La salma fu imbarcata sulla nave da guerra "GUISCARDO" che
nel pomeriggio dello stesso giorno ancorava al porto di Catania,
salutata da 21 colpi di cannone sparati dalle batterie piazzate nel
Castello Ursino. Ad attendere la salma sulla banchina del porto
cerano, oltre le autorità, il fratello Carmelo e la sorella Maria di
Vincenzo Bellini. Il Sindaco Tenerelli salito per primo sulla nave, si
recò nella Camera Ardente e si inginocchiò davanti alla salma di
Bellini che ritornava in città dopo 41 anni dalla morte.
Al calare della sera il porto e le principali strade della città
erano sfarzosamente illuminate, il Giardino Bellini dall'ingresso al
Viale Centrale che conduceva al Busto di Bellini era rischiarato da
archi di luci a gas ed il Busto del Musicista era illuminato da
un'aureola di gas semovente.
Alle ore 20.30 in Piazza degli Studi dal balcone dell'Aula Magna
dell'Università, si scopriva un bellissimo Trasparente che
rappresentava l'apoteosi di Bellini, opera del pittore Michele
Rapisardi, in cui gruppi di Angeli trasportavano il "Cigno"
in cielo.
Su
un grande palco, intanto la banda cittadina eseguiva musiche di
Bellini.
Alla Mezzanotte il feretro dalla nave, veniva traslocato su una barca
adornadi tappeti neri, i marinai, vogando lentamente, raggiunsero il
molo. Allo sbarcadero attendeva l'Antica Carrozza del Senato, su cui
veniva posta la grande cassa.
La Berlina, scortata da Valletti con fiaccole si avviava verso il
centro della città, a Porta Uzeda, molti catanesi, staccavano i
cavalli della carrozza e ponendosi ala timone della Berlina, portarono
la salma da Piazza Duomo al Borgo, in una marcia trionfale, ove il
feretro giunse alle 2 di notte.
Il feretro venne posto su un grande Catafalco all'interno della Chiesa
di Sant'Agata al Borgo, ove la salma fù vegliata tutta la notte da
molti catanesi alla luce di centinaia di ceri ardenti.
Il 23 Settembre 1876 alle ore 10, si concretizzava ufficialmente la
consegna delle spoglie di Vincenzo Bellini da parte del Principe
Serravalle alla citta natìa, nella persona del Sindaco Tenerelli, con
un atto stilato nella stessa Chiesa e sottoscritto da una parte dalla
Commissione che si era recata a Parigi e dall'altra dal Sindaco di
Catania e dalla Giunta Comunale.
Dopo quest'atto formale, l'evento fù festeggiato alle ore 12 a
Palazzo degli Elefanti ove fu offerto un ricevimento alle Personalità
convenute a Catania.
In rappresentanza del Re d'ItaliaVittorio Emanuele II, era presente
il Generale Belli che al suo arrivo fu accolto dalla marcia Reale
suonata dalla Banda Civica, Egli prendeva posto su un trono che era
stato preparato al centro del salone del Palazzo Municipale. Altri
personaggi accolti trionfalmente furono il Maestro Pietro Platania con
al fianco il fratello di Bellini "Carmelo".
Al termine del ricevimento, dopo una breve introduzione del Sindaco,
prese la parola per il discorso ufficiale il poeta Gaetano Ardizzone
che tratteggiò la figura umana ed artistica del "Cigno"
riscotendo unanimi consensi e calorosi applausi. Il Sindaco Tenerelli,
per l'occasione, distribuì ai presenti una medaglia commemorativa in
ricordo dell'avvenimento con la scritta dettata dal poeta Mario
Rapisardi, così composta: da un lato si leggeva (A VINCENZO BELLINI,
CREATORE DI ITALICHE MELODIE.) Dall'altra parte (LA PATRIA, SUPERBA
D'AVERGLI DATO I NATALI, GELOSA DI CUSTODIRNE LE OSSA, NEL RICHIAMO,
DELLE VENERATE RELIQUIE, TRIBUTA ONORANZE SUPREME).
Lo stesso pomeriggio si organizzò il solenne corteo, con la
partecipazione di migliaia di catanesi, per il trasporto del feretro
da Piazza Borgo alla Cattedrale, per tele evento nella grande piazza
fù allestito un grandioso arco trionfale ad opera degli ingegneri
Filadelfo Fichera e Francesco Rapisardi composto da tre archi, ove
nell'ultimo si leggeva (A VINCENZO BELLINI "LA PATRIA").
di
Salvatore Marchese
http://www.carrettosiciliano.com/sicilia-story/59-i-comuni-etnei/95-catania.html?start=2
|
scene girate in
Piazza Stesicoro e Villa Bellini
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L'Anfiteatro romano di Catania, di cui è visibile oggi una
piccola sezione in piazza Stesicoro, venne costruito nel II secolo ai
margini settentrionali della città antica, a ridosso della collina
Montevergine che ospitava il nucleo principale dell'abitato. La zona
dove sorge infatti, che oggi fa parte del centro storico della città,
in passato era adibita a necropoli. Esso è parte del Parco
archeologico greco-romano di Catania.
Il monumento fu costruito nel II secolo, la data precisa è incerta,
ma il tipo di architettura fa propendere per l'epoca tra gli
imperatori Adriano e Antonino Pio. Fu raggiunto dalla lava del 252-253
ma non distrutto.
Nel V secolo Teodorico re degli Ostrogoti lo
utilizzò quale cava di materiale da costruzione per la edificazione
di edifici in muratura e, successivamente nell'XI secolo, anche
Ruggero II di Sicilia ne trasse ulteriori strutture e materiali per la
costruzione della Cattedrale di Sant'Agata, sulle cui absidi si
riconoscono ancora le sue pietre perfettamente tagliate usate, forse,
anche nel Castello Ursino in età federiciana. Nel XIII secolo,
secondo la tradizione, furono adoperati i suoi vomitoria (gli
ingressi) da parte degli Angioini per accedere nella città durante la
cosiddetta Guerra dei Vespri.
Nel secolo successivo gli ingressi
furono murati e il rudere venne inglobato nella rete di fortificazioni
Aragonese (1302). Una messa in sicurezza del rudere si ebbe con il
piano di costruzione delle mura di città nel 1550; vennero abbattuti
il primo e il secondo piano e con le stesse macerie avvenne il
riempimento delle gallerie. Dopo il terremoto del 1693, fu
definitivamente sepolto per poi essere trasformato in piazza d'armi.
In seguito vennero sfruttati gli estradossi delle gallerie superstiti
come fondamenta per le nuove abitazioni, nonché per la facciata
neoclassica della chiesa di San Biagio, nota anche come 'A Carcaredda,
cioè la fornace.
Nel XVIII secolo il principe di Biscari, per fugare ogni
possibile dubbio sulla sua reale esistenza a Catania nel passato, che
alcuni visitatori stranieri avevano decisamente negato, impiegò
consistenti somme del suo denaro per eseguire degli scavi e, in due
anni, ne portò a giorno un intero corridoio e quattro grandi archi
della galleria esterna[4]. Nel XIX secolo gli scavi erano ancora
visitabili dall'ingresso su Via del Colosseo, che il popolino chiamava
- e chiama tuttora - Catania Vecchia e su di essi si ricamava ogni
tipo di leggenda. Tra tutte quella di una scolaresca che, insinuatasi
nelle strutture per una visita, non ne era più uscita. Nel 1904,
durante l'amministrazione De Felice si iniziarono i lavori per
riportarlo alla luce, ad opera dell'architetto Filadelfo Fichera, questi
vennero conclusi due anni più tardi.
Nel 1907 si svolse la cerimonia
di apertura, a cui fu presente anche il re Vittorio Emanuele III. In
seguito, già nel primo dopoguerra, l'Anfiteatro venne lasciato
decadere nuovamente al punto che molti edifici soprastanti ne usarono
i cunicoli come fognatura. Nel 1943 durante il bombardamento degli
Alleati che ridusse parte della città in cumuli di macerie, la
struttura venne adoperata a guisa di rifugio.
In seguito è stato un alternarsi di interesse e abbandono; per molti
anni, nei suoi cunicoli sotterranei, è rimasto chiuso per generici
problemi di sicurezza a seguito di presunti episodi tragici legati
alla curiosità di visitatori che provavano ad esplorarli.
Ristrutturato nel 1997, è stato aperto solo durante la stagione
estiva e poi richiuso per infiltrazioni di reflui delle fognature
delle case limitrofe all'interno dell'anfiteatro. Parzialmente
risanato, nel luglio 1999 è stato riaperto al pubblico. Nel corso
degli ultimi anni ha subìto ancora chiusure e riaperture; tra la fine
del 2007 e l'inizio del 2008 sono stati effettuati rilievi tecnici per
appurare lo stato di conservazione delle strutture dei pilastri
esterni.
I suoi resti, rappresentanti meno di un quarto dell'intero
anfiteatro, sono visitabili dall'ingresso di piazza Stesicoro e dal
vico Anfiteatro dove se ne vede l'altezza fino a parte del terzo
piano. Fino al 2007 era possibile vederne una porzione del secondo
piano da Via del Colosseo, oggi interamente coperto dal nuovo terrazzo
di Villa Cerami. In quest'ultimo edificio, sede oggi della Facoltà di
Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Catania, è ancora
possibile vedere parte del sistema d'archi che collegava l'Anfiteatro
alla collina Montevergine (probabilmente l'antica acropoli della
città). La restante parte dell'anfiteatro è ancora interrata
sotto le zone di via Neve, via Manzoni e via Penninello.
L'edificio presentava la pianta di forma ellittica, l'arena misurava
un diametro maggiore di 70 m ed uno minore di circa 50 m.
I diametri
esterni erano di 125 x 105 m, mentre la circonferenza esterna era di
309 metri e la circonferenza dell'Arena di 192 metri, e si è
calcolato che poteva contenere 15.000 spettatori seduti e quasi il
doppio di quella cifra con l'aggiunta di impalcature lignee per gli
spettatori in piedi. Addossato alla vicina collina ne era separato
da un corridoio con grandi archi e volte che facevano da sostegno per
le gradinate. Era probabilmente prevista anche una copertura con
grandi teli per il riparo dal forte sole o nel caso di pioggia. La
cavea presentava 14 gradoni. Venne costruito con la pietra lavica
dell'Etna ricoperta da marmi ed aveva trentadue ordini di posti. Vi si
svolgevano anche le naumachie, vere battaglie navali con navi e
combattenti dopo averlo riempito di acqua mediante l'antico
acquedotto[6]. L'anfiteatro di Catania è strutturalmente il più
complesso degli anfiteatri siciliani e il più grande in Sicilia.
Appartiene al gruppo delle grandi fabbriche quali il Colosseo,
l'anfiteatro di Capua, l'Arena di Verona. Presenta una struttura
realizzata con muri radiali e volte non addossata al terreno, dove la
facciata non si appoggia direttamente ai muri radiali, bensì a una
galleria di distribuzione periferica. La tecnica edilizia prevede
l'uso dell'opera vittata per le parti interne e quadrata per
l'esterno.
Le testate dei pilastri sono in opera quadrata con piccoli
blocchi di pietra lavica. I paramenti denotano una certa
trascuratezza: i blocchetti dell'opera quadrata sono a taglio
irregolare e appaiono in buona parte di riporto. Gli archi sono
realizzati esternamente con grossi mattoni rettangolari dal taglio
regolare e uniti da malta di buona qualità, mentre internamente sono
fatti in opera cementizia a grosse scaglie radiali. Singolare,
nonostante la complessiva sobrietà dell'edificio, doveva apparire il
contrasto cromatico tra la scurissima pietra lavica dei paramenti e il
rosso dei mattoni delle ghiere degli archi. Una nota di prestigio era
rappresentata dall'utilizzo del marmo, non solo per il rivestimento
del podio, ma anche per alcune decorazioni come le erme ai lati
dell'ingresso principale dell'arena. Molto probabilmente le gradinate
dovevano essere in pietra calcarea realizzando un forte gioco
cromatico tra il bianco dei sedili e il nero delle scalette, così
come supponibile dalle costruzioni coeve.
Allo scavo dell'Anfiteatro si accede mediante una porta di ferro decorata
ad archetti traforati nel registro superiore e totalmente liscio nel
registro inferiore. A decorazione del portone metallico vennero
recuperati nel 1906 alcuni frammenti di colonne marmoree che in
origine dovevano costituire parte del loggiato superiore, due
capitelli ionici frammentari e parte di un architrave su cui fu incisa
la scritta AMPHITHEATRVM INSIGNE.
L'ingresso è così formato: al
centro il portone metallico i cui stipiti sono le colonne con
capitello, coronato dall'architrave; le restanti due colonne sono
situate nelle due estremità laterali e inserite tra queste e quelle
centrali vi sono due pareti in pietra recanti gli epitaffi simbolici
di due illustri personaggi di epoca greca legati a questa zona -
Caronda a sinistra, ricordato anche dall'omonima via; Stesicoro a
destra, che diede nome in antico alla Via Etnea - composti dal poeta
Mario Rapisardi. La tradizione vuole che il sepolcro di costoro fosse
propriamente nella zona prossima all'anfiteatro.
Il video del Cnr con la
ricostruzione in 3d dell’Anfiteatro di Piazza Stesicoro a Catania
di Giorgio Romeo
Far rivivere, seppur
digitalmente, in tutta la sua maestosità, l’Anfiteatro di Catania
sito in piazza Stesicoro. Questo quanto è stato possibile grazie
agli sforzi del Cnr, che oggi a Catania, in occasione
dell’inaugurazione del primo “Living Lab” d’Italia (il “laboratorio
sperimentale per la valorizzazione e la salvaguardia dei beni
culturali realizzato grazie alla sinergia tra Comune e CNR,
nell’ambito del progetto di ricerca Pon DiCeT) ha presentato un
video in cui la monumentale struttura viene presentata, livello dopo
livello, per come si presentava tra il terzo e il quarto secolo dopo
Cristo.
Il “rendering in 3d" della
struttura è stata quindi frutto di diversi dati scientifici, che
hanno interessato una moltitudine di esperti: archeologi, geofisici,
architetti, geometri, topografi, hanno contribuito a un lavoro
d’insieme che ci svela l’Anfiteatro come si presentava all’interno
del contesto urbano di Catania dell’epoca, molto diverso da quello
odierno.
La struttura del “Living Lab”,
sita in via Manzoni a Catania, è uno spazio ad alto contenuto
tecnologico da cui iniziare la visita della città e un luogo dove la
ricerca specialistica viene proposta in maniera accessibile ai
cittadini. «L’idea – ha spiegato il presidente del CNR Luigi
Nicolais – è quella di creare una rete con i laboratori che creeremo
in futuro in altre città». Particolarmente entusiasta
dell’iniziativa il sindaco di Catania, Enzo Bianco: «La creazione di
questo spazio – ha dichiarato - coniuga il turismo culturale con le
nuove tecnologie e offrirà un modo nuovo di raccontare la storia
bellissima di questa città che sta riscoprendo sempre più l’orgoglio
di se stessa».
http://www.lasicilia.it/articolo/il-video-del-cnr-con-la-ricostruzione-3d-dell-anfiteatro-di-piazza-stesicoro-catania?mobile_detect_caching_notmobile&mobile_detect_caching_nottablet
Mentre qui s'aspetta ancora
l'invocata opera del restauratore, si è posto mano ultimamente al discoprimento di altri avanzi gloriosi: quelli dell'Anfiteatro,
che fu uno dei maggiori di Sicilia. Limitrofo al palazzo del
Proconsole ed alle prigioni, esso aveva forma elittica, con il
grande asse esterno lungo 125 metri e 71 l'interno; con un piccolo
asse esterno di 106 metri e l'interno di 193. Vi si contavano 56
archi, tre ordini di sedili, due precinzioni; era alto più che 30
metri e capiva 16 mila spettatori.
Ma, fino a poco tempo addietro,
la maestà della mole si desumeva dai libri e da un vecchio quadro
del Niger; perchè, quasi non fossero bastati i terremoti e gli
incendii, la mano dell'uomo ne aveva consumata l'estrema rovina. Non
se ne vedevano, fino all'anno scorso, se non qualche pezzo di muro,
qualche arco, qualche vôlta sotto le fondamenta di case moderne:
vestigi che se consentirono al Garruccio, col sussidio dei libri, di
illustrare dottamente il sontuoso edifizio, non bastavano ad altri
scrittori neanche ad ammetterne l'esistenza.
Ora, grazie agli scavi intrapresi
in piazza Stesicorea, gli scettici possono vedere con gli occhi e
toccar con le mani tutto un fianco della gran mole, parte della
gradinata, gran parte dei corridoi, parecchi ordini di archi e la
porta che metteva nell'arena. Quel mutilato scheletro, se accusa la
barbarie delle generazioni che lo ridussero in uno stato così
miserando, attesta ancora, nondimeno, con la severa nobiltà dei suoi
profili, con la maestosa solidità del suo impianto, l'antica
grandezza della città.
da
"Catania" di Federico De Roberto
ISTITUTO ITALIANO D'ARTI
GRAFICHE — EDITORE 1907
|
LA CATANIA ROMANA
Roma? No, Catania.
Il
Palazzo Tezzano è un grande edificio storico del centro di Catania in
Piazza Stesicoro. La costruzione venne iniziata a partire dal 1709 su
di un terreno di proprietà del conte e medico Niccolò Tezzano a sue
spese[1]; venne poi da lui donato alla città di Catania, allora
duramente ferita dal terremoto del 1693 per allocarvi l'ospedale di
San Marco. Il trasferimento dell'ospedale nell'edificio progettato da Alonzo Di Benedetto avvenne tra il 1720 e il 1727.
Nel 1837, anche a causa delle difficoltà economiche dell'ospedale[2],
una parte dell'edificio venne affittata dall'Ufficio dell'Intendenza
borbonico per ospitarvi l'archivio di stato civile. Alcuni anni dopo
intorno al 1844 nel palazzo vennero insediate anche alcune sezioni
della Procura generale e della Cancelleria penale in locali posti dal
lato della Via Stesicorea (nome di allora dell'attuale Via Etnea). In
quelli anni si prospettò anche l'opportunità di un trasferimento in
altra località dell'ospedale e di trasformazione dell'intero edificio
in Tribunale generale. Ma i progetti si arenarono a seguito dei moti
rivoluzionari del 1848 e il trasferimento dell'ospedale avvenne solo
tra il 1878 e il 1880 nei locali adiacenti al Monastero dei
Benedettini di San Nicola ove cambiò il suo nome in ospedale Vittorio
Emanuele II.
Dopo il trasferimento dell'ospedale, palazzo Tezzano rimase sede del
Tribunale fino alla costruzione della nuova sede di Piazza Giovanni
Verga ultimata ed inaugurata nel 1953.
L'edificio, di imponente aspetto, è di forma quadrangolare con
cortile interno che la costruzione contorna formando una "U"
con l'interruzione a nord. Vi si accede dalla piazza Stesicoro
attraverso un ampio portone principale, posto al centro del prospetto
principale, sovrastato da un balcone monumentale sopra al quale
torreggia un orologio. Il prospetto è simmetrico ed è diviso nel
senso dell'altezza da false colonne in pietra chiara che contrastando
con il tono grigio basalto dell'intonacatura creano una suddivisione
in cinque unità architettoniche per lato.
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Catania_palazzo_3434f.jpg
Palazzo Tezzano
LA SETTIMA LAPIDE DEL
TERREMOTO
-......la settima lapide,
esistente nell'interno di una casa di proprietà dell'avv. Giuseppe
Giannetti, sulla salita di Antonino di Sangiuliano 349, è stata sin
qui ignota ai Catanesi. Essa si distacca dalle altre, più che per i
concetti che vi sono espressi, per il fatto che ricorda
specificatamente uno dei benemeriti ricostruttori di Catania dopo la
rovina:Nicolò Tezzano.
Il testo è il seguente (riporto
solo la traduzione dal latino del Lo Presti):
-Nell'anno del Signore 1693,nei
giorni 9 e 11 di Gennaio, un ingente terremoto sconvolse Catania e
indi apportò funesta morte a 18 mila abitanti. O cittadino,temi
dunque Dio; e quando la terra si scuote, fuggì in luogo piano o
fermati sotto le imposte (ossia, sotto gli architravi).Ciò scriveva
il protomedico Don Nicolò Tezzano: Quest'ultimo fu uno dei più
illustri personaggi del tempo. Nato a Catania il 18 dicembre del
1659,da umili genitori, studiò lettere e filosofia e poi medicina
nell'Almo Studio, uscendone laureato a 16 anni e rientrandovi
quattro anni dopo come "lettore"di chirurgia.
Invano,lo Studio di Palermo lo
allettò con cospicue e reiterate offerte;Il Tezzano le declinò ogni
volta recisamente, felice di starsene tra i suoi concittadini che,
peraltro, accorrevano numerosissimi, oltre agli studenti e ai
medici, alle sue eleganti e dotte lezioni.
Per i suoi allievi egli scrisse i
Commentaria in Hyppocratis Aphorismos:opera con la quale il grande
scienziato, sfatando i concetti dell'antica terapia, cercò di
sostituire la medicina positiva alla dommatica. Partecipò
attivamente alla vita delle grandi accademie del tempo e,assurto a
fama nazionale, venne nominato Conte Palatino da Carlo II ed ebbe il
Protomedicato e la cattedra di medicina de mane a vita presso l'Almo
Studio:privilegi che gli furono poi confermati ,con altre
aggiunte,da Vittorio Amedeo di Savoia e da Carlo IV d'Austria.
Ma i più grandi titoli della sua
gloria derivano dall'abnegazione dimostrata in seguito all'immane
disastro del 1693. E infatti, tratto ormai malconcio dalle rovine -
a dire del Reguleas ,che ne fece l'elogio - il Tezzano fu <<l'angelo
consolatore dei semivivi con i quali fece le parti di peritissimo
Cerusico e di amatissimo padre >>.
Quale Protomedico, egli organizzò
e diresse i servizi assistenziali nella città e nel distretto;Il
dissotterramento dei cadaveri dalle macerie, il ricovero e la cura
dei feriti e dei malati, la protezione degli orfani e delle donne e
il rastrellamento delle orde fameliche di predoni accorse da ogni
parte dell'Isola a frugare tra le rovine e a spogliare i cadaveri.
Nel frattempo, temendo che
Palermo e Messina potessero approfittare della sciagura per far
togliere a Catania, in loro favore, il privilegio dello Studio, con
l'aiuto di Don Giuseppe Cilestri vicario generale e vice cancelliere
dello Studio stesso (Il quale anticipò 85 onze di suo per fare
alzare subito fuori le mura, collateralmente a quelle del
Vescovado,tre ampie capanne in muratura e tavole),dopo appena 39
giorni dal disastro, riuscì a fare riprendere le interrotte lezioni.
Il Tezzano non dimenticò
l'Ospedale San Marco, nel quale aveva trascorso gli anni migliori
della sua giovinezza,sotto la guida di Dionisio Motta. E mise a
disposizione, per la ricostruzione del benemerito nosocomio un
appezzamento di sua proprietà nella contrada della Porta di
Aci,nonché le somme occorrenti. In appena quattro anni - e cioè, dal
1720 al 1724 - il nuovo edificio (l'ex Palazzo dei Tribunali),
progettato dall'unico architetto catanese scampato al terremoto,
Alonzo Di Benedetto, era un fatto compiuto. Fondò pure,a tutte sue
spese,la chiesa di Santa Maria della Lettera e infine, il 24 ottobre
del 1728,compì serenamente la sua giornata, da tutti vivamente
rimpianto.
Alcuni anni dopo il terremoto, e
precisamente quando ancora l'Ospedale San Marco non aveva ancora la
sua sede definitiva e funzionava provvisoriamente nella Strada dei
Crociferi (nell'edificio che nell'anno 1709 venne ceduto alle
monache di San Giuliano per farne la loro dimora),Nicolò Tezzano
volle che all'ingresso del nosocomio fosse murata una lapide
marmorea a ricordo del luttuoso evento recente, col suo nome e con
l'avvertimento che gli era stato suggerito dall'esperienza di quelle
tristi giornate.
La lapide è quella, appunto, che
adorna l'interno della vicina casa Giannetti;venne dissotterrata
circa dieci anni orsono, per una fortuita combinazione, durante i
lavori di assestamento di un terrapieno.
A riandare con la memoria
indietro nel tempo fino al giorno fatale che vide la completa rovina
della città clarissima, un brivido gela le vene. Ma pure scorgiamo
,attraverso la fitta nebbia e lo squallore, figure gigantesche e
luminose - come quella di Nicolò Tezzano - le quali ci insegnano a
superare tutte le prove e a tener sempre accesa nel cuore la fede
nella buona sorte di Catania e nella sua radiosa ascesa -
(Salvatore Lo Presti da "Memorie
storiche di Catania ",1957)
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Palazzo Paternò Castello di Bicocca
Non si è mai valutato se è stata
l'evoluzione della società ad allungare il ruolo della strada dritta
o viceversa. Certamente il suo avanzamento risultò strettamente
collegato con la storia e lo sviluppo evolutivo della città. I primi
cento anni costituirono l'inizio della ripresa dal dopo terremoto,
nel quale intervallo di tempo la strada si sviluppò oltre i Quattro
Canti fino alla piazza Stesicoro compresa.
Nell'oltre metà dell'800, la via
Etnea, non ancora altimetricamente rettificata e lastricata, arrivò
fino all'attuale via Pacini, per raggiungere successivamente, sul
lato destro, la contrada Rinazzo (via S Caterina), dove non era
stato ancora costruito il Palazzo Pancari mentre sul sinistro, le
case d'affitto dei Carcaci confluivano anch'essi ul Riinazzo al
fianco della casa Carnazza dopo avere superato l'allora labirinto
biscari (l'odierno ingresso della Villa Bellini).
E se attorno al Duomo e lungo le
nuove vie San Filippo, del Corso e Lincoln, tracciate dal Camastra,
la nuova città, da sud si espandeva a macchia d'olio, così pure da
est e da ovest, anche con la realizzazione di edjfici di grandissimo
pregio architettonico, il punto di riferimento urbano restava la
strada ritta, con le sue piazze, i suoi slarghi, i suoi punti di
riferimento. La piazza Stesicoro offre alla vista l'imponente
Palazzo Bicocca De Mauro, la magnifica scenografia della Chiesa di
San Biagio, il recente Palazzo della Camera di Commercio (1933)
sorto nell'area dell'ex Convento dei Cappuccini, per chiudere sul
lato nord con il palazzo Tezzano che ci riporta a sinistra della via
Etnea. Dalla parte est si incontra il cinema Olimpia al fianco
dell'imponente portale del Palazzo Paola, segue la moderna sede del
Banco di Sicilia lungo il nuovo Corso che, incontrando il Palazzo
Beneventano, sul lato nord, chiude la piazza con il Palazzo del
Toscano, riportandoci sul lato destro della via Etnea. A sinistra
della piazza, i resti dell'Anfiteatro Romano ed, a destra, il
marmoreo monumento al nostro grandissimo Vincenzo Bellini (dove
prima stava la statua di Ferdinando II modellata da Antonio Calì),
arricchiscono lo spazio urbano da essa racchiuso.
Palazzo Paola
Percorrendo il lato sinistro,
dopo palazzo Tezzano si incontra la caratteristica straduzza di S.
Agata legata all'edificio che precede la parte ricostruita del
complesso edilizio della famiglia Spedalieri, distrutto dai tedeschi
in ritirata, dove oggi è allocata la Rinascente; la sua
ricostruzione rappresenta l'unica anomalia architettonica del tratto
barocco più integro della strada, anche se con rispetto volumetrico.
Dalla straduzza
si accedeva ad una della più
frequentate sale da biliardo, ritrovo antimeridiano degli studenti
in "stato di calia". Sempre sul lato sinistro, dopo la via
Spedalieri si incontra il troncone edilizio costituito dai palazzi
Monastra, Corsaro e Boccadifuoco che si esaurisce sulla via Pacini.
Nel primo di tali edifici resta ancora in attività I'antica ditta
Barone per la fornitura di filati di lana ed articoli connessi al
lavoro a maglia, nel secondo continua la quasi centenaria attività
della salumeria Dagnino dai rinomati prodotti di gastronomia,
scatolame di ricercata qualità con associata enoteca; seguono i
palazzi Del Grado, Cantarella e, confinante con il Giardino Bellini,
I'Ufficio Postale.
Sul lato destro dopo il palazzo
del Toscano (realizzato sulla ex villa Villermosa), il palazzo
Costarelli ed intercalati dall'omonima via, alternandosi edifici
meno importanti, seppur nel loro insieme volumetricamente imponenti,
come il Grande Albergo Centrale Corona (oggi Una Palace) già dei
Pantò (prelevato ai Paternò Sava), il palazzo ad angolo con la via
Pacini dei Romeo Anfuso. E, proseguendo verso nord, oltre la via
Pacini, dopo il palazzo degli eredi Nicotra, gli edifici
Bonajuto-Testa Coco-Ricchena, Reina, Lao. Dopo, l'inizio della via
Umberto col Palazzo Pancari.
Dopo il periodo borbonico ed il
primo dopoguerra si sentiva, come in ogni città italiana, Ia
esigenza di una ripresa sociale ed un inizio di attività
imprenditoriale, incoraggiata a Catania da alcuni imprenditori
svizzeri, i reduci della guerra avevano visto, insieme ai pericoli
mortali, nuovi stili di vita, alcuni dei quali da abbracciare, altri
da incrementare.
Protagonisti della nuova
vivace vita erano: la Birreria
Svizzera con ristorante allietata da
musica, la farmacia profumeria di lusso Spadaro Ventura, il anema
teatro Sala, il grande negozio di Caflisch con articoli casalinghi
garantiti per qualità e prezzo fisso, il ristorante
gastronomico Giardina, dal 1895 la
ricevìtoria Tabacchi con articoli di lusso connessi, ancora in
attività al civ. 65 di via Etnea, il negozio Arbiter di oggetti da
regalo, inutili ma di gran classe, la cartoleria ed articoli da
regalo Manara di Colombo Costa; a sinjstra del palazzo del Grado, il
negozio di prodotti cioccolatieri Unica, al quale subentrò la
Richard Ginori. Nel palazzo accanto Cantarella la gioielleria Cicala
e la Salmoiraghi.
Dall'altro lato, ubicati nel
Palazzo del Toscano, la gioiellena Fecarotta, ancora oggi in
attività, il negozio Scappino per la vendita quasi esclusiva, per
qualità e novità, di parure, camicie, cravatte e fazzoletti da
taschino, il "nodo scappino" reso noto da Barbisio, rappresentò una
novità fortemente seguita per un certo periodo, che evitava alle
cravatte lo svirgolamento. Il negozio diventò il preferito dagli
uomini eleganti per la grande scelta disponibile e la qualità degli
articoli a prezzi sostenuti. Sogno proibito per i più giovani.
Nel palazzo Costarelli, Carmelo
Politim con varietà di cappotti ed impermeabili confezionati di
lusso, Salvatore Riva con le ultime novità delle macchine parlanti
accompagnati dalle ultime novità di dischi (nel dopoguerra si è
spostato, insieme alla Farmacia sulla piazza Stesicoro); la
pasticceria Caviezel nel palazzo Cilestri.
Sullo stesso lato destro, oltre
la via Pacini, salendo verso nord, si incontra l'ingresso-bar del
cinema del Cav Lo Po, Io studio Fotografico di Francesco Marino, il
famoso negozio Arbiter del signor Filippo Giuffrida che chiamava da
Milano l'architetto Giò Ponti per farsi allestire il negozio,
frequentato per acquisti e suggerimenti da una clientela raffinata,
di cui si è già scritto, tra i più attivi organizzatori insieme a
Colombo Costa della annuale Mostra dei Profumi, Ia modisteria delle
sorelle Castorina, il calzaturificio Lazzara, fino ad incontrare
all'angolo della via Umberto, nell'ex proprietà dell'architetto Lao,
la rinomata pasticceria Savia in attività da otre cento anni,
tuttora tra le più frequentate.
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tratto da Etnea. Catania
dalle origini ai quartieri storici - Gaetano D'Emilio,Fabrizio
D'Emilio Editore: Algra 2017
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Il Palazzo della Camera di Commercio di Catania
occupa lo spazio dove sorgeva un tempo una chiesa ed un grande
convento di Frati Cappuccini, alla confluenza tra la Via Sant’Euplio
e la strada chiamata dai catanesi “Salita dei Cappuccini” a
causa della sua pendenza ed è uno degli edifici più importanti
costruiti nella Catania degli anni Trenta del Novecento. Fu
progettato e la sua costruzione fu diretta dall’arch. Vincenzo
Patanè, con la collaborazione di Giovanni Aiello. Fu inaugurato
nel 1933.
Nel disegnarlo, l’arch.
Patanè dovette risolvere il problema costituito dalla pendenza
della Via Cappuccini, che lo costrinse a limitare l’estensione
del piano terra, che a un certo punto si interrompe, mentre il
piano primo procede fin oltre la curva della strada,
affacciandosi ai margini di Piazza San Domenico. Ne venne fuori
un palazzo a forma di C spezzata, con uno dei due lati corti
prospicientela Via Sant’Euplio.
Le facciate presentano tre
ordini, dei quali il primo, cioè il piano terra, si distingue
sensibilmente dai due superiori per via della maggiore altezza,
delle lesene bugnate molto evidenti e per essere segnato da un
primo cornicione. Enormi finestroni, tutti ad arco a sesto
tondo, sono presenti su tutti i lati, protetti da eleganti
inferriate.
Al piano primo furono
realizzate delle complesse finestre a balconcino, racchiuse da
una coppia di colonne con capitello corinzio e concluse in alto
da timpani triangolari o ad arco spezzato. Ogni parapetto è
sostenuto da sette balaustre a sezione quadra.
Al piano secondo, in realtà
un mezzanino, vista la grande differenza di altezza rispetto al
piano inferiore, sono presenti finestre più semplici, ma pur
sempre racchiuse d’ambo i lati da colonnine con capitello molto
stilizzato. Alte lesene piatte, sormontate da capitelli ionici
appena accennati abbracciano assieme sia il piano primo, sia il
mezzanino.
L’edificio si conclude in
alto con un ampio cornicione, in parte dentato, che sormonta una
fascia dove appaiono in alternanza grossi bottoni e fasci
littori stilizzati. Tutta la facciata, sia nelle parti, sia
negli elementi più complessi, è costituita da pietra chiara
d’intaglio, e non comprende neanche una minima parte d’intonaco.
Nello spigolo smussato che
si affaccia verso Piazza Stesicoro, fu ricavato il monumentale
ingresso principale. Questo breve tratto di facciata richiama
quelli laterali, ma è dotato di una maggiore ricchezza di
elementi architettonici. L’ingresso al piano terra, cui si
giunge mediante una scalinata, è racchiuso da una coppia di
colonne infilate in cardini giganti in foggia di cubi
sfaccettati, mentre altre due colonne, oggi cerchiate in ferro
per motivi di sicurezza, lo racchiudono e sostengono il
ballatoio del salone esagonale del piano primo.
Quest’ultimo ha la luce
contenuta tra una coppia di colonne per lato ed è sormontato da
un grande timpano triangolare spezzato, che racchiude lo stemma
di Casa Savoia, regnante fino al 1946.
Il cancello centrale, in
profili di ferro saldato, è decorato con sei piastre in ottone
che raffigurano lo stemma di Casa Savoia ed i simboli del
Fascismo, con le iniziali che ricordano l’anno di inaugurazione,
cioè il 1933, equivalente all’anno undicesimo dell’era fascista
(A.XI.E.F.). Sopra il portone d’ingresso sono murati due tondi
ed un mascherone, scolpiti da Tino Perrotta (Catania,
1908-1985), che trascrisse una data di un anno anteriore a
quella già citata ed il nome del progettista.
In alto, sul tratto di
facciata smussata, al di sopra del cornicione, appare la scritta
“Camera di Commercio”, mentre al momento della costruzione
dell’edificio la dicitura si riferiva al “Consiglio Provinciale
dell’Economia Corporativa”, ente di epoca fascista poi commutato
in quello attuale.
2 - L’ingresso e lo scalone
principale - Varcato l’ingresso principale si entra in un atrio
su due livelli da cui si può proseguire frontalmente verso un
grande ambiente perfettamente circolare, denominato “Sala delle
Grida”, dove un tempo avvenivano le contrattazioni di Borsa per
alcuni prodotti agricoli e industriali. Su entrambi i lati del
varco di accesso alla Sala la muratura è smussata formando due
quarti di cilindro su cui sono montati tre bassorilievi per
lato, opera dello scultore Carmelo Florio (Catania, 1887-1975).
Essi riproducono scene di lavoro sia manuale (un contadino che
ara la terra, altri che caricano sacchi su un autocarro,
meccanici addetti alla riparazione di un aereo, muratori intenti
alla costruzione di un edificio) sia di concetto (si scorgono
persone ben vestite davanti ad uno sportello che potrebbe essere
bancario).
Dal breve atrio si può
inoltre accedere a sinistra alla hall che contiene lo scalone
principale e a destra ad un grande ambiente rettangolare nel
quale il pubblico accede per ricevere i consueti servizi della
Camera di Commercio.
Nella hall con lo scalone si
incontra subito a sinistra il busto dedicato al progettista
arch. Vincenzo Patanè, che morì per un incidente stradale prima
che l’edificio, la più importante realizzazione della sua vita
professionale, venisse completato e inaugurato.
Particolare la ringhiera che
cinge lo scalone, in stile déco, semplificato per non cozzare
con l'austerità auspicata dal regime dell’epoca, realizzata in
profilati di ferro e sormontata da un corrimano in ottone. Lungo
di essa si scorgono alternate delle frecce, elementi tipici del
déco, degli stemmi stilizzati e degli elefanti sormontati dalla
canonica lettera A. Molto raffinate le due lampade ad alto stelo
collocate entro le alte nicchie, anch’esse di impronta déco.
3 - La Saladelle Grida - La
Sala delle Grida è l’elemento architettonico più caratteristico
dell’edificio, non riscontrandosi nella nostra città altri
esempi simili quanto ad ambienti chiusi (esiste però un bel
cortile rotondo all’interno del Convitto Cutelli).
Al suo interno, negli anni
Trenta del Novecento, venivano fissati i prezzi dei prodotti
agricoli ed industriali più comuni, con vere e proprie aste al
rialzo o al ribasso. Oggi viene utilizzata come sala per delle
esposizioni temporanee.
É perfettamente cilindrica,
ma l’andamento degli infissi, sei maggiori e sei minori, fanno
si che essa sia idealmente divisa in sei settori, ognuno dei
quali reca in alto un pannello a bassorilievo rappresentanti una
delle più significative “produzioni” del periodo, opera dello
scultore Giuseppe Piccolo (Pozzallo, 1903-1983), cioè dello
stesso autore dei graffiti posti nell’antisala al primo piano.
I bassorilievi riportano i
nomi delle attività produttive peculiari dell’economia della
provincia di Catania negli Trenta del Novecento:
La copertura dell’ambiente è
a cupola in parte cieca e in parte vetrata per dare luce
all’ambiente. Il grande “occhio” centrale è protetto da
un’artistica grata anch’essa in stile déco.
4 - L’Antisalone al piano
primo. Al primo piano, sulla verticale dell’ingresso principale
dell’edificio, si trova una grande sala a forma di esagono
irregolare, che consente sia di entrare nella Sala del Consiglio
Camerale, sia di affacciarsi al balcone più importante
dell’intero palazzo.
É una sala di grande
altezza, con uno splendido pavimento realizzato con grandi
lastre di marmo grigio chiaro e nero. Monumentali anche gli
infissi interni ed esterni in legno scuro, con ampie superfici
vetrate suddivise in riquadri. Nella parte alta delle pareti si
trovano sei graffiti, di color seppia, di argomento ispirato
alla mitologia del mare, opera di Giuseppe Piccolo (Pozzallo,
1903-1983).
Nel soffitto le travi in
cemento armato, creando un perfetto trompe l’oeil, sono decorate
imitando le venature del legno e, assieme ai cornicioni laterali
(decorati come le travi), formano dei poligoni irregolari.
Lungo le pareti si
apprezzano due consolle con specchiera in legno di palissandro e
marmo (lo stesso della parte bassa delle pareti stesse) e una
serie di dieci applique in vetro di Murano. Dello stesso
materiale il monumentale lampadario a trenta luci.
Nella sala è esposta una
complessa opera d’arte in ceramica di Caltagirone (1931)
costituita da un vaso con teste leonine e specchiature con
paesaggi dell’antica Caltagirone, poggiato su un supporto, sul
quale è raffigurata una danza di putti, nei colori tradizionali
in uso nella cittadina degli Erei. Una copia identica è esposta
nel Palazzo di Montecitorio a Roma.
Vi è inoltre attualmente
esposto l’unico mosaico realizzato nel 1968 dal maestro Nunzio
Sciavarrello (Bronte, 1918 – vivente) che raffigura alcune donne
che lavorano al telaio.
5 - La Sala del Consiglio
camerale. La Sala del Consiglio camerale, rettangolare, si
svolge parallela alla Via Sant’Euplio, sulla quale si aprono
tre alti infissi. É caratterizzata da un arredo in legno
omogeneo e richiamato anche nel rivestimento inferiore delle
pareti in radica di noce. Sulla parete opposta rispetto
all’ingresso è collocato il tavolo della presidenza, mentre le
prime sei file di posti a sedere dispongono ciascuno di un ampio
banco per la scrittura.
Al centro della parete che
dà sull’interno del palazzo è collocato un grande dipinto,
denominato “La terra rifiorente” (1933), opera di Roberto
Rimini, raffigurante due buoi aggiogati in coppia e tre uomini
addetti alla mietitura, sopra una coltre di frumento appena
tagliato. Sullo sfondo l’Etna e la costa ionica, mentre di lato,
in secondo piano, una madre accudisce una bambina.
Un altro dipinto, opera di
Mario Siragusa, denominato “Fervet opus” (1933), si trova tra i
due varchi di accesso alla Sala, e raffigura tre uomini a torso
nudo intenti a dissodare la terra, utilizzando dei pesanti
picconi.
In alto sopra gli infissi,
sono posti sei disegni allegorici di Angelo Sanfilippo,
(1887–1956), mentre le travi del soffitto sono caratterizzate,
come nell’Antisalone, dalla decorazione trompe l’oeil che,
imitando le venature del legno, ottengono un effetto simile a
quello di un tetto a cassonetto.
http://www.6insicilia.it/edifici-e-monumenti-storici/134-il-palazzo-della-borsa-catania.html
La
Chiesa di San Biagio di Catania, detta anche Sant'Agata alla Fornace,
si trova all'estremità occidentale della piazza Stesicoro.
La
chiesa costruita nel XVIII secolo dopo il tremendo terremoto del 1693,
sorge sul luogo ove, secondo la tradizione, era ubicata la fornace in
cui Sant'Agata subì il martirio. Infatti, dopo essere stata rinchiusa
in carcere per non aver voluto abiurare alla sua fede, venne prima
sottoposta alle torture con il fuoco e quindi le furono asportate le
mammelle.
La
facciata della chiesa è dell'architetto Antonino Battaglia, che ha
progettato altre chiese di Catania dopo il terremoto del 1693, in
stile neoclassico con colonne binate che sostengono un timpano
triangolare. L'interno è ad una sola navata molto lineare e sobrio.
Sull'altare maggiore una tela settecentesca dell'Addolorata, talvolta
sostituita da una statua della Madonna. Ingegnoso l'artificio
dell'altare maggiore, arricchito da volute e colonne e dalle statue di
San Giovanni Evangelista e Santa Maria Maddalena.
La cappella destra del
transetto è dedicata a Sant'Agata. Sopra l'altare dal magnifico
paliotto in marmi policromi, si conservano protetti da una teca i
resti della fornace in cui subì il martirio la Santa, la cui scena è
riprodotta nell'affresco di Giuseppe Barone del 1938. Una lapide
posta sotto l'altare cita: « Hic Vultata est Candentibus» «Qui fu
voltata tra i carboni ardenti.»
La cappella sinistra del transetto è dedicata altresì al Crocifisso
Uno degli altari laterali è dedicato al titolare San Biagio,
riprodotto in una tela di un pittore catanese. Dipinti coevi di
pittori siciliani del settecento, La Sacra Famiglia, Sant'Andrea e San
Giovanni Nepomuceno, arricchiscono i rimanenti altari.
Salendo
per via Cappuccini fino a trovarci in una piccola e graziosa piazzetta
dove su un imponente frammento delle mura di Carlo V, sorge la Chiesa
che è stata costruita davanti al carcere dove la santa patrona della
città, S. Agata fu rinchiusa durante il processo, portata dopo il
martirio, guarita dall'apostolo Pietro e dove esalò l'ultimo respiro
il 5 febbraio 251 d.C.
È
possibile che esso fosse interrato ed annesso alle costruzioni nei
pressi di un edificio amministrativo della città romana, là dove si
presume si trovasse la residenza rappresentativa del console Quinziano
suo persecutore.
Il
portale di questa chiesa barocca è medievale( forse di epoca sveva
del 1241) ed apparteneva alla facciata dell'antico Duomo normanno,
salvato dalle macerie del 1693; fu rimosso da Gian Battista Vaccarini,
che soprintendeva ai lavori per il prospetto del nuovo tempio da lui
disegnato, e collocato fino al 1750 nel Palazzo Senatorio.
Quel
che rimane dell'edificio è un vano rettangolare (5,90m x 3,65m), oggi
a destra della navata della chiesa, dalle spesse mura (2 m ca.)
giustificabili per la sua funzione detentiva. Negli anni '60 è stato
scoperto un ambiente attiguo al carcere, ad un livello più basso
rispetto l'attuale piano del calpestio, formato da tre absidi, quella
centrale a pianta rettangolare preceduta da un piccolo transetto, che
finisce appoggiato alle mura di Carlo V.
C'è
chi parla di carcere inferior, riservato a coloro che erano destinati
alla pena capitale, o di una basilica cristiana o pagana ma in genere
vengono indicati come i bagni dei gladiatori. Questi tre ambienti
costruiti con poderosi blocchi lavici e coronati da archi in mattoni
non si sa se appartenessero a bagni privati o non fossero piuttosto
parti costruttive di un palazzo, sede della più alta carica
rappresentante di Roma, che è tradizione ubicare nella parte più
alta del sottostante anfiteatro,collocato sul fianco della collina di
Montevergine.
All'esterno
del carcere, a sinistra dell'attuale porta di accesso, un concio di
pietra lavica conserva, secondo la tradizione, le orme impresse di S.
Agata.
Il
Santo Carcere fu ampliato fino ad incastrare le mura cinquecentesche
che corrono in quel punto e in cui fu aperta una finestrella alla
quale esternamente è stata collocata una lapide che ricorda Sant'
Agata e l'apostolo Pietro che la sanò ed invita il viandante a
sostare e onorare il luogo santo. Un bassorilievo a mezze figure
raffigurante i due personaggi è posto al di sopra della finestra.
Questi
luoghi in occasione dei festeggiamenti della Santa (dal 3 al 5
febbraio) prendono nuova vita: la salita dei Cappuccini si ammanta di bianco per il colore delle vesti dei devoti; il carcere è quasi
inaccessibile per la moltitudine di gente che va a visitare questi
luoghi.
http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/santagata/i-luoghi-del-culto/santagata-al-carcere/
La
Chiesa di Sant'Agata al Carcere è costruita su ciò che resta del
Bastione del Santo Carcere, appartenente alle mura di Carlo V del XVI
secolo, che difendeva la porta nord (chiamata Porta del Re) della
città di Catania. Secondo la tradizione in questo luogo venne tenuta
prigioniera Sant'Agata prima di subire il martirio.
La chiesa presenta elementi relativi a secoli diversi. La parte
prospettuale risale al XVIII secolo in quanto venne distrutta dal
terremoto del 1693. La facciata, su un originale disegno di Giovan
Battista Vaccarini, è pertanto in stile barocco siciliano mentre
l'antico portale strombato è in stile romanico, e fu recuperato dalla
cattedrale. Il portale, unico esemplare in Sicilia dello stile
Romanico Pugliese, venne realizzato in marmo bianco con arco a tutto
sesto ed è retto da sei colonnine decorate in tre modi diversi
(rispettivamente dall'esterno verso l'interno a scacchiera, a spina di
pesce e a losanghe), il cui motivo si ripete lungo le strombature
dell'arco stesso, e da due pilastrini che fungono da stipiti su cui
sono figure e simbologie bibliche, animali reali o immaginari,
intrecciati tra loro da una modanatura a motivo floreale.
Fu
costruito dopo il sisma che rovinò la città nel 1194, su richiesta
dello stesso Federico II e proprio quest'ultimo sarebbe rappresentato
sopra uno dei sei capitelli, seduto su uno scranno. L'interno è
costituito da due corpi diversi. La parte anteriore, ricostruita dopo
il terremoto, è barocca con volta a botte; mentre la parte absidale
è costituita dalla campata a crociera gotica con tetto a costoloni,
terminanti in uno stemma circolare, poggiato su colonne sormontate da
capitelli corinzi. Sulla base di alcune recenti teorie tale campata
apparteneva ad un sistema di collegamento alla sovrastante chiesa di
Sant'Agata La Vetere, che un tempo le era connessa. Tra le opere
custodite una pala sull'altare maggiore che rappresenta il Martirio di
Sant'Agata di Bernardino Niger. Vicino all'altare del Crocefisso si
trovano due lastre di pietra lavica che secondo la tradizione
apparterrebbero a Sant'Agata che qui venne imprigionata, nel gennaio
del 251, prima di subire il martirio; in una di queste sono impresse
le orme di due piedi che, secondo la tradizione, avrebbe lasciato la
santa catanese. Accanto ad essa si apre un angusto passaggio che
conduce in un locale di epoca romana, attiguo alla chiesa, considerato
il carcere di Sant'Agata da cui discende la denominazione della
chiesa. Recenti scavi qui effettuati hanno confermato l'esistenza di
una grande struttura tripartita coeva al martirio della Santa, la cui
funzione tuttavia non è ancora ben chiara. Nella stessa chiesa è
conservata la cassa in cui erano contenute le reliquie di Sant'Agata
riportate a Catania, da Costantinopoli, dai soldati Gisliberto e
Goselmo nel 1126, dopo un'assenza di oltre 86 anni.
wikipedia
FEDERICO
II DI SVEVIA E GLI ENIGMATICI SIMBOLI DEL PORTICO DELLA CHIESA DI S.
AGATA AL CARCERE DI CATANIA
di Giancarlo Burgio.
http://digilander.libero.it/cataniacultura
Il
duecentesco portale della Chiesa di S. Agata al Carcere a Catania,
voluto dall'Imperatore Federico II a ricordo della soffocata rivolta
della città etnea, presenta simboli e sculture i cui significati sono
ancora avvolti dal mistero nonostante nei secoli a noi più vicini
diversi studiosi abbiano cercato di interpretarli. Con l'aiuto degli
ingrandimenti fotografici, per di più, si notano particolari che
tendono a smentire quanto già proposto in passato.
Nel
Duomo di Catania esattamente di fronte la cappella dedicata alla S.
Patrona Agata, vi è il più sontuoso monumento funebre marmoreo della
Cattedrale, appartenente al Rev.mo Monsignor Pietro Galletti.
Nato a S. Cataldo il 27 ottobre 1664 fu vescovo di Catania dal 1729 al
1757 anno in cui morì all'età di 93 anni. Molteplici sono le opere
da attribuire a lui durante il suo vescovato.
In Via Crociferi fece costruire la Chiesa di San Camillo dei PP
Crociferi, e quella di San Francesco Borgia dei Gesuiti. In entrambe
le chiese si trovano due lapidi a lui dedicate.
Sempre edificati dal Galletti furono sia il prospetto in marmo del
Duomo sotto la direzione del geniale ingegnere G. B. Vaccarini, sia al
suo interno la valorizzazione dei pregevoli dipinti scampati al
terremoto del 1693, arricchendoli con superbe cornici dorate in oro
zecchino. A proprie spese rieresse ed ornò l'archivio della gran
corte arcivescovile distrutto sempre dal funereo cataclisma che colpì
Catania e tutta la Val di Noto alla fine del XVII secolo.
Proprio per il rifacimento della facciata del Duomo si rese necessario
trasferire il portale dell'antica cattedrale rimasto fortunosamente
integro dopo il crollo del campanile che si abbatté soltanto nel
corpo centrale della vecchia basilica. Il Galletti quindi lo fece
rimuovere in un primo tempo nel 1734 ponendolo all'ingresso
dell'antica Casa Municipale per poi passare definitivamente nel 1762
come portale della Chiesa del S. Carcere (cfr. Mons. Romeo: Sant'Agata
V. M. e il suo culto).
Il portale, di notevole importanza storica, segue lo stile
architettonico siciliano dell' XI secolo. Difatti oltre ad essere un
raro avanzo dell'arte medievale in Catania, esso racchiude in tutti i
suoi simboli, una pagina di storia cittadina riguardante l'epoca della
sua costruzione. Fu fatto eseguire da Federico II svevo intorno al
1236 (più di 140 anni dopo la costruzione del tempio edificato da
Ruggero nel 1094), nel tempo in cui erano note le lotte interne tra
Federico ed il Papa Gregorio IX. Molte città anche siciliane si
schierarono per l'uno o per l'altro fronte e Catania si strinse
attorno al proprio vescovo Gualtiero, persona altamente carismatica ed
influente su tutta la cittadinanza anche per la sua stretta vicinanza
al Papa. Nello stesso tempo Federico revocò diversi presunti
privilegi concessi dai precedenti sovrani alla città di Messina, con
la scusa di essere incompatibili con il suo concetto di “stato
autoritario”. Ciò fece scoppiare nel 1232 una rivolta in diverse
città siciliane che lo stesso regnante dovette domare nel sangue.
Ma in fatto di edifizii sacri dei
tempi di mezzo, la cattedrale eretta dal normanno Ruggero nel 1094
fu certamente il più insigne. Anche qui, disgraziatamente, i due
terremoti del 1169 e del 1693 produssero tale rovina che, a primo
aspetto, nel tempio rifatto con altro stile nulla più parla di
quella età.
Ad un attento esame, nondimeno,
le tracce della costruzione normanna si svelano. Le tre absidi,
resistite ai cataclismi, ne sono testimonii esternamente, col loro
sesto acuto; all'interno, l'arco gotico si mostra anche nelle
cappelle del Crocefisso e dell'Immacolata, nonchè nelle finestre
strette e lunghe, simili a feritoie, di quest'ultima e del passaggio
fra la chiesa e il contiguo Seminario.
Ma il più notevole vestigio
architettonico dell'antico Duomo, la decorazione cioè della sua
porta maggiore, non si trova più qui. Adattata alla Casa comunale
dopo la rovina del 1693, forse perchè giudicata poco conveniente ad
un luogo sacro, fu poi trasferita al Santo Carcere, dove anche oggi
attira l'attenzione dei curiosi e degli studiosi, tra i quali molto
si è discusso intorno al suo carattere.
È normanna e contemporanea della
primitiva fabbrica del 1094? Oppure è sveva, e fu poi sovrapposta,
due secoli dopo, alla cattedrale? Monsignor di Marzo, storico e
critico egregio dell'arte siciliana nell'evo medio ed al principio
dell'età moderna, le nega il carattere normanno-siculo e vi trova
l'influenza di altri stili.
Il normanno-siculo, infatti,
porta con tanta evidenza l'impronta mussulmana, che si suole più
precisamente designare coi nomi di arabo-normanno-siculo; più tardi,
invece, l'orientale profusione degli arabeschi negli intagli e nelle
sculture ornamentali andò scemando a profitto di elementi
interamente diversi: l'ibrido simbolismo e la barbara imitazione del
classico che prevalsero nell'Italia settentrionale, particolarmente
in Lombardia, e si associarono sempre più strettamente alle forme
teutoniche. Questa porta dell'antico Duomo ne è per l'appunto,
dichiara il di Marzo, un esempio, col suo congegno prospettico e
simmetrico di quattro ordini di stipiti, nei tre angoli dei quali
stanno tre colonnine per ciascun lato, faccettate a quadretti e
strisce a zig-zag (chevron), e sui quali sono impostati quattro
ordini di archi a pieno centro; e particolarmente con la serie delle
figure simboliche che sorgono sulle piccole basi dell'architrave.
Ridotte a cinque, da sei che
erano dapprima, rappresentano un'aquila, una scimmia, un leone, una
tigre ed un uomo seduto in sedia curule, al quale manca da qualche
tempo il capo; la figura scomparsa era quella d'una donna in
supplice atteggiamento. Che cosa significa questo rebus marmoreo? La
soluzione che gli fu data sarebbe una prova storica da aggiungere
all'artistica per negare l'origine normanna della porta ed
assegnarla al periodo svevo. Rammentando la distruzione di Catania
ordinata da Federico II, si volle che la figura dell'uomo seduto
rappresentasse lo stesso Imperatore, e che gli animali
simboleggiassero i suoi sentimenti verso amici e nemici, e che la
donna fosse la città impetrante grazia dallo Svevo crudele.
Spiegazione plausibile, la quale non persuade tuttavia i sostenitori
della normannità del monumento; i quali, giudicando che gli emblemi
svevi sono indipendenti dal resto degli adorni, sostengono che
furono sovrapposti sull'architettura di Ruggero ai tempi di
Federico.
da
"Catania" di Federico De Roberto
ISTITUTO ITALIANO D'ARTI
GRAFICHE — EDITORE 1907 |
Dopo Messina portò la distruzione a Centuripe mentre Siracusa e
Catania si limitarono alla resa. La storia racconta che per
sottoscrivere tale resa l'imperatore inviò in città degli
ambasciatori che furono respinti in un primo tempo. Successivamente
entrati gli Svevi a Catania e messa in fuga la popolazione intera, si
diressero verso la cattedrale dove nel frattempo si erano rifugiati
gran parte dei comandanti. Tradizione vuole che Federico, dopo aver
emanato l'ordine di condanna a morte di questi, volle di persona
entrare nel sacro tempio e aperto un messale vide apparire a lettere
di fuoco la nota frase: “NOLI OFFENDERE PATRIAM AGATHAE QUIA ULTRIX
INIURIARUM EST” (non offendere la patria
di Agata, perchè è
vendicatrice delle ingiurie che ad essa si fanno). Frase senz'altro
forte e intimidatoria quasi da non attribuirsi alla “volontà di una
santa” (a me cara !), ma che può trovare ragione nella decisione di
Federico II di commutare la pena corporale e luttuosa da infliggere ai
catanesi, in una pena non meno severa della prima, quale quella
dell'umiliazione e del pentimento.
Mettere in ginocchio una delle più
importanti città della Sicilia, voleva significare inferire un grosso
colpo non solo alle città ribelli ma anche alla figura più
emblematica per Catania e per il Papa stesso, cioè il vescovo.
Difatti fu immediato l'ordine impartito dall'imperatore sia della
costruzione di un castello maestoso ed imponente (Ursino) distante ma
di fronte la Cattedrale, e sia di scolpire una serie di figure
emblematiche che servissero da monito ai Catanesi ed ai viandanti,
figure da collocare proprio all'ingresso della Cattedrale-fortezza di
Catania.
Si
deve al Prof. Musumeci l'interpretazione dei simboli posti su di essa.
Il Prof. M. Musumeci, dotto archeologo e conoscitore del simbolismo
medievale sostenne che il portale con i suoi simboli fu costruito nel
1241 da un “vescovo intruso”, un certo Enrico di Palimberga,
proprio per adulare l'Imperatore Federico II. Quanto sottodescritto è
tratto da “Monumenti di S. Agata esistenti in Catania” dello
Sciuto Patti (1892). Il portale costruito in marmo bianco di Carrara
è formato da archi concentrici e da esili colonnine, ma ciò che
colpisce di più sono le rappresentazioni simboliche che danno un
chiaro quadro dell'evento storico sopracitato.
Sopra la prima colonna
a sinistra vi è rappresentato l'Imperatore seduto comodamente sul suo
trono che con la mano destra si liscia la barba, anziché impugnare la
spada o lo scettro, come simbolo di superbia e di prestigio. Per
contrapposizione sulla prima colonna di destra il pezzo scolpito,
almeno come scritto dal Musumeci, più non esiste essendo il pezzo
scomparso con il terremoto del 1818. Un'accurata descrizione del
portale (e quindi anche della figura mancante) ci viene dal Guarnieri
in “Le Zolle Historiche Catanee” del 1640, quando il portale era
situato ancora nel Duomo. Questa figura era composta da una dama
ginocchioni e umile, con le chiome disciolte all'indietro (rappresentante
Catania) che sostiene tra le sue braccia un toro e sul dorso di questo
un irco (o ariete), entrambi con le corna non rotte ma ritorte
all'indietro. Continuando a destra sulla seconda colonna si nota un
uccello strozzato che è l'aquila unicipite, emblema della casata
normanna. Accanto all'imperatore seduto, sulla seconda colonna di
sinistra vi è l'Idra a molti capi, con il petto a terra e sempre
strozzata. Questa rappresenta tutte le città siciliane che come
Catania vennero placate da Federico. Nel terzo arco, a sovrastare le
colonne vi sono altre due allegorie: la prima a destra è una scimmia
con una palla in bocca a rappresentare l'uomo che non raggiunge il
proprio intento, testimoniato anche dal globo non inghiottito simbolo
del potere mai raggiunto. Di contro alla scimmia è rappresentata, per
come descritta sempre dal Guarnieri e dal Musumeci, una volpe seduta
con i piedi tronchi e con il capo mozzo. Sempre il Musumeci in questa
crede di riconoscere la depressione e l'annichilimento degli ordini
monastici mendicanti. Ed è sempre dello stesso autore
l'interpretazione delle due figure quasi speculari, che sovrastano i
pilastri delle due ante della porta. Si tratta di un'Orsa che tiene
fra le unghie il proprio parto in atto di offrirlo all'imperatore.
A vedere il portale oggi si nota come alcune figure non si trovino al
posto descritto dal Guarnieri e dopo dal Musumeci, forse o per errore
di descrizione oppure perché scambiate al momento del trasporto
dell'intero portale.
Altri piccoli particolari si notano ben evidenti come la pietra a
forma di testa d'uccello posta sull'Idra, frammento questo proveniente
chissà da dove o inserito chissà da chi, avvallato dal fatto che la
descrizione del 1640 parla dell'Idra come uccello proprio mozzo di
testa. Anche l'aquila normanna pare che sia il vero simbolo mancante
descritto dal Musumeci, al contrario della dama in ginocchio con il
toro in braccio che è tranquillamente posizionata sul primo capitello
di destra ed è mancante solo del capo.
Per le due figure poste sopra le ante (l'Orsa) è evidente come
soprattutto quella di sinistra rappresenti più un leone dalla
possente criniera che addenta una lepre mentre con la zampa trattiene
la preda. Forse la forza dell'Imperatore che vuole tenere tra le sue
fauci per il collo una città ormai in suo potere. E per ultimo mi
piace attirare l'attenzione sul rilassamento con cui è seduto
Federico II sul suo trono ben vistoso, quasi a volersi godere il suo
momento di gloria, e su di uno splendido ricamo lungo tutto il suo
mantello che il tempo ci ha voluto consegnare così come ha fatto per
tutto l'intero corpo architettonico.
Come conclude Mons. Romeo in un paragrafo a p. 247 della sua opera “...speciosa
era quell'età, in cui, chi più sapeva trattare di quei simboli, più
era tenuto in conto. Era il secolo di Dante, e i simboli, che il poeta
creò, non sono anche oggi indegni della nostra ammirazione.”
Contigua a S. Agata la Vetere è
l'altra chiesetta del S.
Carcere; dove, insieme con
altre reliquie della martire — come l'impronta dei suoi piedi nel
sasso — si trovano altre vestigia della antica Catania dei tempi di
mezzo sfuggite ai terremoti ed ai vandali. A chi guarda
esteriormente, di fianco, la chiesa par che sorga sulle mura di
Carlo V, dove il bastione fa un angolo; ma nell'interno, per una
scala buia, si scende in una parte delle carceri romane. Quel che se
ne vede fece giudicare allo Sciuto Patti che si tratti di quella
parte mediana — la interior — che stava tra la superiore, o custodia
communis, e l'inferior, o robor. La costruzione rivela gli stessi
caratteri che contraddistinguono l'anfiteatro, il teatro, l'odeo, le
terme e gli altri monumenti romani; nelle pareti interne si trovano
tracce di antichi affreschi. Ma più singolare è sulla facciata
barocca della chiesetta, rifatta dopo il terremoto del 1693, la
magnifica porta, della quale, come appartenente in origine ad un
altro monumento, e qui sovrapposta nel Settecento, si ragionerà fra
poco; intanto, prima di lasciare questo Santo Carcere, è da notare
che non tutta la chiesa crollò nel 1693; che anzi la vecchia
costruzione si rivela ancora nella parte dell'edifizio rifatto e
ingrandito, dove la vôlta a crociera di sesto acuto è decorata da
ogive molto sporgenti, impostate sopra colonne con capitelli di
grazioso disegno.
da
"Catania" di Federico De Roberto
ISTITUTO ITALIANO D'ARTI
GRAFICHE — EDITORE 1907 |
Fu
il primo Vescovo catanese Sant'Everio a far costruire occultatamente
una chiesa in onore della martire S.Agata, che nacque a Catania nel
238 e fu martirizzata nel 252.
La
Chiesa di Sant'Agata la Vetere venne eretta tra le rovine del ex
"pretorio" (palazzo del proconsole romano), e consacrata nel
262 d.C. Quando l'imperatore romano Costantino permise ai cristiani
l'esercizio pubblico del sacro culto, la chiesa di Sant'Agata la
Vetere venne pubblicamente venne eretta intorno all'anno 313 d.C. e fu
cattedrale per ben 770 anni, fino alla venuta dei normanni a Catania.
Verso il 776 il vescovo di Catania San Leone, detto il
"taumaturgo" ampliò e migliorò la struttura cambiandone
l'antica forma.
A sottrarre le reliquie della santa fu Giorgio Maniace, che inviato
dall'imperatore bizantino Michele IV alla riconquista della Sicilia
che dal 975 era sotto la dominazione saracena. Al suo ritorno a
Costantinopoli, nel 1040. Le Relique furono deposte nella chiesa di
Santa Sofia e per ben 86 anni rimasero a Costantinopoli.
Quando
le Reliquie erano ancora in S. Agata la Vetere moltissimi dei più
famosi personaggi dell'epoca vennero a venerare la martire, tra questi
ci fu Papa Virgilio; Riccardo cuor di leone, che nel 1091 si trovava
in viaggio verso la Palestina , offrì dono alle Reliquie della Santa,
il suo prezioso diadema in oro gemmato, con cui tuttora è adornata.
Tanti
altri personaggi, tra i quali Re e Vicere che dominarono la Sicilia,
lasciavano, in ricordo del loro passaggio, doni preziosi.
Intorno al XI sec. la sede vescovile venne spostata nella nuova
cattedrale normanna, eretta dal conte Ruggero dal 1088 al 1091.
Nel 1605 fu annesso alla chiesa la costruzione di un convento che
venne poi distrutto insieme alla chiesa dal terremoto dell'11 Febbraio
1693.
Invece a danneggiare la volta ed altri elementi fu il terremoto del
1818. Il convento venne subito ricostruito con una forma diversa e
più ampia.
Con il terremoto del 1990 la Chiesa fu definitivamente chiusa per
restauro e venne riaperta dal 3 al 5 Febbraio per la processione della
santa.
Il convento annesso attualmente è occupato dall'Istituto Ostetrico
Ginecologico.
L'interno
La
chiesa è ubicata nella piazza omonima in via S Maddalena. Il portone,
rivolto verso ovest, reca un'iscrizione di San Francesco d'Assisi,
danneggiata da un fulmine, il prospetto è in semplice muratura; la
piante è a croce latina con un'unica navata che misura 47 metri circa
e larga 9 con sei altari laterali.
Entrando all'interno della Chiesa si può osservare con il seguente
ordine un mausoleo dedicato ad Antonio Calì, e vi è anche il luogo
dove gli furono strappate le mammelle.
1. Il primo Altare con un grande dipinto su tela raffigurante la
Madonna della maternità in un profondo vano un'Arca dove furono
conservate per più di 5 secoli le Reliquie della Santa
2. Il secondo Altare con un quadro del 1851 di Paolo Vaccaro dov'è
raffigurata la Madonna degli angeli.
3. Il terzo Altare con la tela del Pennisi raffigurante S.Agata al
carcere con le mammelle recise e San Pietro e un angelo, un piccolo
dipinto di Santa Lucia e un'urna di vetro contenente il corpo in cera
di Sant'Agata. Una grande abside con l'arco ovale, sormontato da
un'aquila in gesso.
Sotto
l'altare maggiore vi è posto un sarcofago in pietra di epoca romana.
Non ha il coperchio originale, dove fu conservato la salma della Santa
prima che venisse portata a Costantinopoli.
Narrano gli Atti latini che, nata
da nobili parenti, tra il 237 e il 238, sotto Decio, Agata aveva
abbracciato la fede di Gesù e si era a lui votata, allorchè
Quinziano volle farla sua per soddisfare la duplice cupidigia
eccitata nel suo animo pravo dalla bellezza e dalla ricchezza della
giovinetta appena trilustre. Resistendo ella strenuamente alle
lusinghe, alle promesse, agli esempi di corruzione nella casa della
matrona Afrodisia a cui il prepotente Romano l'aveva affidata,
costui la fece tradurre in giudizio quale negatrice dei Numi.
Ammonita a venerarli come era debito, ella li schernì, ed alle
minaccie di terreni tormenti rispose minacciando l'eterna dannazione
al suo persecutore.
Ricondotta alla prigione e
brutalmente sospinta dai manigoldi, fu vista prodigiosamente star
ferma, immobile, con le piante dei piedi impresse nella pietra;
poscia, entrata spontaneamente nel carcere, vi passò un giorno
pregando; finchè, ancora una volta tratta dinanzi al tiranno, con
tanta forza continuò a resistergli, che l'imbestialito Quinziano
ordinò ai littori di tormentarla con verghe e lame roventi sul
durissimo eculeo, poscia di torcerle e strapparle una mammella, e
finalmente di stenderla sui carboni ardenti; ma nel punto che ella
pativa questo estremo supplizio, un terremoto scosse la città dalle
fondamenta, due assessori del Proconsole, Silvino e Falconio, che si
godevano il truce spettacolo, restarono sepolti sotto le rovine, ed
il popolo, vedendo nel cataclisma un castigo di Dio, insorse contro
il tiranno, il quale fu costretto a sospendere il supplizio ed a
fuggire, trovando di lì a poco la morte al passo del Simeto.
Troppo tardi tratta dalla
fornace, l'esausta martire spirò, e i suoi pii correligionarii ne
deposero il corpo in un sepolcro nuovo; allora, nel punto che il
sarcofago stava per esser chiuso, un bellissimo fanciullo,
sopravvenuto insieme con cento compagni, depose presso la salma una
tavoletta marmorea con l'Epigrafe angelica, le iniziali della quale
si vedono ora ripetute in tanti luoghi: Mentem Sanctam Spontaneam
Honorem Deo Et Patriae Liberacionem. I Catanesi cominciarono
pertanto a venerarla come la loro celeste protettrice, e quando
ebbero fede nella sua divina potenza il suo culto cominciò a
diffondersi oltre i confini della città e dell'isola, per tutto il
mondo. Nel 263 il vescovo Everio le consacrò, sulle rovine del
Pretorio, una prima cripta o edicola; trascorso ancora mezzo secolo,
nei primordi del IV, le fu eretta una chiesa che S. Leone riedificò
od abbellì.
Questa chiesa, denominata S.
Agata la Vetere, fu per
lungo tempo la cattedrale di Catania; ma i due terremoti del 1169 e
del 1693 la conciarono in modo che quella ricostruita sulle sue
rovine non ne serba più alcuna traccia, fuorchè tre cimelii. Il
primo e più notevole è lo stesso «sepolcro nuovo» dove fu custodita
per tanti secoli la salma preziosa. L'arca propriamente detta è di
marmo, con bassorilievi dove si vedono — o per meglio dire si
vedrebbero, se non l'avessero incastrata e quasi murata nel nuovo
altare maggiore — due grifoni affrontati dinanzi a un candelabro
ardente da una parte, e centauri e combattenti nell'altra faccia.
L'architetto Sciuto Patti, che
potè esaminarla, la riferì ai tempi di Roma imperiale, assegnando
una data molto posteriore al coperchio, che è d'altra pietra e porta
emblemi cristiani e la stessa figura del Redentore riferibili
all'epoca bizantina. Gli altri due avanzi dell'antica e veramente
vetere chiesa di S. Agata furono ritrovati nel luglio del 1742: uno
è la trascrizione su marmo e con caratteri gotici dell'Epigrafe
angelica, l'originale della quale fu portato a Cremona: nel primo
rigo, prima dei caratteri, è scolpita una mano senza pollice, con
l'indice e il medio distesi, l'anulare e il mignolo piegati, in atto
di benedire; l'altro avanzo, più notevole, è un bassorilievo di
marmo, con gli spigoli arrotondati, nei quali sono scolpiti due
nimbi crociferi terminati da un listello piano e con le croci
bizantine; anch'esso ha un'altra iscrizione dichiarante il soggetto
della scena rappresentata nella parte centrale: la visita, cioè, di
S. Pietro a S. Agata in carcere: figure rozze, semplicemente
abbozzate, ma non senza espressione, e rivelatrici dei caratteri
proprii alla prima età cristiana. I due avanzi sono stati murati uno
sull'altro e raccordati con incorniciature di marmo colorato.
da
"Catania" di Federico De Roberto
ISTITUTO ITALIANO D'ARTI
GRAFICHE — EDITORE 1907 |
In questo sepolcro andò Santa Lucia per implorare alla santa la
guarigione della madre. In memoria di questa visita il 13 Dicembre si
festeggia la martire siracusana.
Nella parte nord dell'abside vi è un basso rilievo che rappresenta
Sant'Agata in carcere con San Pietro. L'iscrizione in gotico antico è
poco leggibile a causa della corrosione.
Alle
spalle dell'altare maggiore si trova l'organo e un quadro del Buon
Pastore.
4. L'altare del SS. Crocefisso è senza simulacri, con una piccola
tela dell'Addolorata.
5. L'altare della Madonna dei bambini è rappresentato con un piccolo
quadro della sacra famiglia e uno molto grande dell'1899
rappresentante la vergine Sant'Agata.
6. Un altro altare dove v'è un simulacro simulante cristo alla
colonna.
Vi è anche un sotterraneo da cui si accede tramite una scala.
All'interno del sotterraneo si trova un altare, con un dipinto di S.
Agata. Nelle pareti vi sono fenditure contenenti reliquie.
Il sotterraneo è composto da tutta una serie di sottopassaggi che
anticamente si collegavano a Sant'Agata al carcere e a San Biagio.
Cunicoli che a tutt'oggi sono rimasti chiusi.
http://www.akkuaria.com/catania/sagata/chiesa.htm
Da via Vittorio
Emanuele si accede al Teatro romano, dove si assisteva a giochi e
rappresentazioni, come i combattimenti fra uomini e coccodrilli.
Ecco come appariva "Catina" negli anni in cui visse la sua
patrona. Un'epoca, quella romana, che durò sette secoli e che
riemerge attraverso i teatri, il foro, il circo, le terme. Tutte
testimonianze del fulgore della sedicesima città dell'Impero.
Agata,
giovinetta di nobile stirpe, brutalmente torturata e giustiziata per
non aver rinnegato lo sposo celeste a cui si era promessa. Le vicende
del martirio subìto dalla loro patrona sono note ai catanesi che, il
4 e 5 febbraio, rievocano quelle giornate ripercorrendo le tappe del
supplizio a cui fu sottoposta la "Santuzza".
Meno conosciuto è, invece, il contesto in cui i fatti si svolsero.
Qual era la città in cui visse? Quali strade solcavano i suoi
concittadini? Quali monumenti osservavano e quale quotidianità
vivevano? La cattura, il processo, la condanna a morte ebbero luogo in
una città romana di prima importanza, la sedicesima dell'Impero,
centro commerciale aperto all'Africa ed all'Oriente. L'epoca romana di
Catina, come al tempo Catania si chiamava, durò ben sette secoli: dal
III a.C. al quinto dopo Cristo. Nel 21 a.C. Augusto la elevò al rango
di colonia. Da allora si sviluppò ricoprendo, nel massimo splendore,
i 130 ettari, accrescendo i suoi abitanti e godendo dei privilegi
derivanti dallo status coloniale. I suoi monumenti, i teatri, il foro,
il circo sono testimonianza di una città ricca con un livello elevato
di qualità della vita.
Scopriamola, dunque, Catina, che si estendeva dall'anfiteatro di
piazza Stesicoro alla linea di costa, e da via Plebiscito a un po'
oltre il Duomo.
I due assi viari più importanti correvano lungo la direttiva
nord-sud: il primo, coincidente con via Crociferi, andava
dall'anfiteatro al porto; l'altro, parallelo, attraversava l'acropoli
(l'area del Monastero dei Benedettini). Le due strade s'incrociavano
con un'altra via che, lungo la traiettoria est-ovest, può
identificarsi con via Vittorio Emanuele.
Il martirio della Vergine ebbe come scenario l'area compresa fra
l'anfiteatro di piazza Stesicoro e l'odierna chiesa di Sant'Agata la
Vetere, in via Santa Maddalena. I fatti s'inquadrano nella
persecuzione dei cristiani ordinata dall'Imperatore Decio Traiano,
eseguita con crudele scrupolosità dal governatore Quinziano,
invaghito della ragazza, che lo respinse poiché promessa a Cristo.
Fatti e luoghi narrati si riferiscono alle versioni comunemente
accettate dalla tradizione, basati sugli atti processuali rielaborati
dagli agiografi cristiani nei secoli successivi.
In questa piccola area, nel breve volgere di due giorni, la giovinetta
subì il processo, la prigionia e la tortura; qui, infine, spirò.
Agata comparì davanti a colui che divenne il suo carnefice,
Quinziano, nel palazzo pretorio, edificato dove oggi si eleva la
chiesa di Sant'Agata la Vetere. Annesse erano le prigioni che
occupavano l'area della chiesa del Santo Carcere, divise in carcer
inferior, per i condannati a morte (fra cui Agata), e superior, per
gli altri. Il supplizio finale, il fuoco che la arse viva, lo patì
nel cortile del palazzo pretorio, che occupava l'area dell'attuale
chiesa di San Biagio, o Sant'Agata alla Fornace. La vicenda si svolse
ai confini della città, poiché entro le mura urbiche non era
consentita la tortura, l'uccisione o il seppellimento.
La prima sepoltura Agata la ebbe in un sepolcro sotto la chiesa San
Gaetano alle grotte, che si trova nei pressi di piazza Carlo Alberto.
Dopo il '300 il corpo venne trasportato a Sant'Agata la Vetere.
Il palazzo in cui viveva la famiglia della martire è comunemente
individuato nel quartiere Civita, un tempo contrada Giacobbe;
l'ambiente che giunge sino a noi, riconducibile al periodo romano per
il livello e per la struttura muraria in conci di pietra lavica e con
volta a botte, si trova nei sotterranei di Palazzo Platamone.
All'esterno il luogo è indicato da un altarino con lapide.
Nella città che Cicerone definì "Splendida", si trovava il
quarto anfiteatro dell'Impero, in ordine di importanza, dopo il
Colosseo, l'Arena di Verona e l'Anfiteatro di Siracusa. A noi giunge
la parte nord che si ammira in piazza Stesicoro, riportata alla luce
nel 1904. Era ampio 125 metri per 105, alto 31 metri e conteneva
sedicimila spettatori che raddoppiavano con l'utilizzo dei soppalchi.
Mostrava un contrasto cromatico unico nel mondo romano, dato dal nero
della pietra lavica e dal bianco del marmo. Al tramonto di Roma fu in
parte demolito e riutilizzato come cava per l'estrazione di materiale
da costruzione.
Da via Vittorio Emanuele (al civico 266) si accede alla più
importante area acheologica catanese. All'interno si trova il Teatro
romano, con la cavea di 102 metri di diametro e capienza di 7 mila
spettatori, nel quale si assisteva agli spettacoli e alle
rappresentazioni acquatiche come i combattimenti fra uomini e
coccodrilli. Adiacente, e con capacità di 1300 spettatori, è l'Odeon
romano, utilizzato per la musica e le esibizioni oratorie.
Nel cortile San Pantaleone, fra via Vittorio Emanuele e via Garibaldi,
si trovano i resti di quel che fu il centro politico e commerciale
della città, ovvero il Foro. Nello spazio esterno di un'abitazione si
nota una parete con tracce di opera reticolata; poco distante, sette
metri sotto il livello della strada, sono stati individuati otto vani
bipartiti ed un corridoio.
Nell'area ad ovest del Castello Ursino (totalmente seppellita dalla
lava del 1669) si trovava il Circo, uno dei più grandi dell'Impero:
500 metri di lunghezza per 100 di larghezza; una delle due mete,
probabilmente, è l'obelisco egiziano che sormonta il
"Liotru" di piazza Duomo. Altro monumento destinato
all'intrattenimento erano le Naumachie in cui venivano rappresentate
le battaglie navali, dopo opportuno riempimento d'acqua; l'imponente
struttura (200 metri per 130) si trovava nell'area fra via Garibaldi
ed il Castello Ursino di cui giunge a noi il nome: via Naumachia.
In piazza Dante si possono osservare diverse edificazioni romane fra
cui una grande domus; i resti sono visibili nella piccola area
archeologica davanti al Monastero dei Benedettini, nel cortile
antistante il prospetto principale e, alle spalle del complesso,
tramite alcune finestre opportunamente realizzate che permettono di
scorgere alcune strutture murarie ed il pavimento della domus. Altre
importanti costruzioni della città si trovano lungo l'asse stradale
coincidente con via Crociferi.
In una città romana non mancavano di certo le terme. Ben conservate
sono le Terme della Rotonda, poi riutilizzate anche come chiesa
cristiana, inserite in un complesso più ampio. Ai tempi del martirio
non vi erano ancora le Terme dell'indirizzo (in piazza Currò) e le
Terme Achillee (sotto il Duomo).
Diverse le necropoli che attorniavano la città al di fuori delle mura
nord e ad est dell'anfiteatro: ricordiamo l'Ipogeo di Sant'Euplio
(luogo di sepoltura dell'altro martire catanese, il diacono Euplio) e
le necropoli di piazza Santa Maria del Gesù, nel perimetro
dell'ospedale Garibaldi e fra le vie Androne e Dottor Consoli.
Per approvvigionare la città d'acqua fu edificato un acquedotto,
opera d'alta ingegneria, che portava acque pure da Santa Maria di
Licodia. Quasi totalmente distrutto, l'acquedotto mostra solo pochi
resti lungo quello che fu il suo tragitto. Una parte della città
romana, oggi, si lascia ancora ammirare nei monumenti poiché
riutilizzata nelle epoche successive. Fra i tanti l'elefante simbolo
della città (riconducibile alla leggenda del mago Eliodoro o alla
vittoria di Roma su Cartagine); l'elegante piazza Mazzini con le
colonne provenienti dal foro; la Cattedrale di Sant'Agata con le
colonne del teatro romano nel prospetto, le colonne ed i capitelli
romani fra le absidi normanne, il sarcofago romano che custodisce le
spoglie di re aragonesi. Osservarli è come sfogliare il libro di
storia della città.
Pietro Nicosia, da "Sicilia in Viaggio" gen-feb 2012 - supplemento al
quotidiano La
Sicilia
Visita
ai luoghi del martirio
Nei giorni della festa di Sant’Agata a Catania, è possibile
visitare i luoghi nei quali la Vergine subì il martirio. Le chiese di
Sant’Agata alla Fornace (San Biagio), Sant’Agata al Carcere e Sant’Agata
la Vetere saranno aperte nei giorni di febbraio: 3 (h. 15-18), 4 e 5
(h. 9-13, 16-24). Negli altri giorni è possibile prenotare le visite
telefonando al Museo Diocesano (095.281635) o a Sant’Agata le Vetere
(095.321902).
Sant’Agata alla Fornace ricorda il cortile del palazzo pretorio in
cui la martire venne arsa viva. Il Carcere di Sant’Agata si trova
sopra le Mura di Carlo V; il locale è ampio 5,90 metri per 3,65; qui
si trova la mattonella di pietra lavica su cui, secondo la tradizione, Sant’Agata lasciò
la sua impronta dopo le torture.
Nel carcere la giovinetta ricevette la visita di San Pietro che la
guarì dalle ferite. Sant’Agata la Vetere, cattedrale per otto
secoli, è stata edificata sul luogo in cui si trovava il palazzo
pretorio. Un monumento di marmo ricorda il punto in cui, secondo
tradizione, venne strappato il seno. Sull’altare maggiore si
conserva il sarcofago in marmo bianco in cui venne riposto il corpo di
Sant’Agata dopo la traslazione da San Gaetano alle Grotte.
Una sosta: SUA
MAESTA' L'ARANCINO
Si tratta di un piatto della cucina araba, fatto di riso profumato
di zafferano arricchito di verdure, odori e di pezzetti di carne.
Normalmente veniva servito al centro della tavola in un
unico vassoio e,
come era consuetudine anche dei nostri contadini, ognuno per mangiarne
allungava le mani. Un giorno per renderlo da asporto gli arabi ne fecero
una palla simile ad una arancia, che impanata e fritta acquistò
consistenza, tanto da resistere al trasporto. Inoltre parliamo di una
vivanda che non va a male rapidamente e si mangia a temperatura
ambiente.
Era fatta solo di riso, a quel tempo il pomodoro doveva ancora
arrivare dall'America. I primi acquisti della nobiltà siciliana di
pomodoro sono datati 1852. Da quella data l'ortaggio diventò un affare
entrando a pieno titolo nella cucina siciliana, tanto da poter parlare di
un "processo di pomodorizzazione". Infine diventò uno degli
ingredienti principali del ripieno dell’arancina, ma non aveva nulla a
che fare con il piatto originale".
Quindi
c’era la carne ma senza pomodoro?
"Alle origini non c’era un vero e proprio 'dentro' da essere
riempito. L’idea del ripieno nacque parecchio tempo dopo. Una volta ad
una festa ho fatto assaggiare alla gente l’arancina primitiva che fu
trovata deliziosa anche se mancava il ripieno"............continua...
|
In
via S. Euplio, proprio alle spalle dell’anfiteatro, si possono
vedere i ruderi di una chiesetta, dedicata a S. Euplio, interamente
distrutta dal bombardamento aereo dell’8 luglio 1943. Dalle pagine
di una guida, pubblicata prima della distruzione, apprendiamo che la
chiesa aveva un prospetto) in pietra calcarea esposto ad occidente con
una porta e alcune decorazioni: una mitra poggiata su un libro chiuso
e un bastone su cui è attaccato un campanello (simboli di S. Antonio
Abate) e un libro aperto, emblema di S. Euplio protomartire catanese.
Erano presenti, anche, due altari laterali (uno con S. Antonio e l’altro
con la Sacra Famiglia) e un altare centrale con le colonne. Le
decorazioni erano costituite da dipinti murali con le storie di Euplio
e Antonio davanti a Maria ed angeli, i quattro Evangelisti e la
predicazione di S. Euplio e la sua apoteosi. Alcuni anni fa, in
memoria di questa chiesa scomparsa, sono stati affissi alla parete
tondi a rilievo con le immagini degli apostoli.
All’ingresso
della recinzione che custodisce i ruderi dell’antica chiesa di S.
Euplio si vede una scaletta che conduce ad un locale sotterraneo.
Scesa tutta la scala si accede in una piccola camera molto umida e
buia dalle pareti della quale emergono alcune pitture; sul fondo è un
piccolo altare con tracce, ormai quasi completamente scomparse, di
affreschi parietali. Gran parte dell’ambiente è ricavato dentro la
roccia; si vedono anche alcune nicchie laterali. Secondo studi recenti
questo ambiente fu adibito a sepolcro.
Le
necropoli di Catania antica si estendevano soprattutto nell’area a
nord e a est dell’anfiteatro, che costituiva il limite
settentrionale dell’abitato. Le scoperte degli ultimi anni hanno
portato alla luce un’ampia necropoli di età romana sotto i palazzi
delle Poste e de La Rinascente. Ancora, a est della via Etnea nel
primo cortile della Caserma Lucchesi-Palli nella piazza della Fiera
del Lunedì, sono stati rinvenuti resti di una sepoltura romana. Un’altra
zona fortemente interessata dalle necropoli antiche è quella che
ruota intorno all’attuale piazza S. Maria di Gesù e al viale Regina
Margherita. In via Gaetano Sanfilippo si trova una costruzione romana
inglobata nel cortile di un palazzo moderno. Essa è erroneamente
chiamata Ipogeo (sottoterra) ma in realtà è visibile in tutta la sua
interezza. Si tratta, in realtà, di un piccolo monumento funerario
romano formato da una camera. All’interno dell’ospedale Garibaldi
si trova un colombario rettangolare con 18 nicchie. Nel giardino di un
edificio moderno del viale Regina Margherita è stato individuato un
edificio sepolcrale di forma circolare a due piani. Sempre in questa
zona, negli anni Cinquanta del nostro secolo, è stato scoperto dall’archeologo
Giovanni Rizza il più grande e significativo complesso cemeteriale
della Catania cristiana.
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Palazzo Paola |
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Il credito su pegno nasce durante la seconda metà del XV secolo per
opera dei Frati Francescani, che istituirono nell'Italia
centro-settentrionale i primi Monti di Pietà. Il motivo che spinse la
Chiesa a sviluppare quest'attività fu la volontà di contrastare il
dilagante fenomeno dell'usura. La perseverante opera dei predicatori
seguaci di Bernardino da Siena portò così alla fondazione a Perugia,
nel 1462, del primo "Monte", cui ne fecero seguito altri in
Umbria, nelle Marche e in Toscana. Grazie ai Francescani il credito su
pegno si diffuse rapidamente in Europa, in particolare a Bruges,
Norimberga, Lille e a Parigi. Il "Monte Grande di Prestito S.
Agata" vede la propria genesi nel 1807, a seguito di un'istanza
del Vescovo di Catania Mons. Deodato. Nel 1898 il Comune di Catania
cedette al Monte il terreno sul quale nel giro di pochi anni fu
edificata la nuova Sede, ove ancora oggi è esercitata l'attività.
Nella sua storia quasi bi-centenaria, il Monte S. Agata è diventato
una vera istituzione per questa città e sicuro punto di riferimento
per molti dei suoi abitanti.
Il
Monte dei Pegni Sant'Agata in via S. Euplio
La Chiesa di Sant'Euplio
era una chiesa di Catania distrutta dai
bombardamenti della seconda guerra mondiale. Oggi rimangono in piedi
il transetto e la parete di destra dell'unica navata
Storia
La chiesa, dedicata al co-patrono della città, venne costruita nel
1548 sull'area occupata in precedenza da un tempio paleocristiano.
Apparteneva alla Confraternita di sant'Euplio che nel 1598 la affidò
ai padri cappuccini e quindi nel 1606 ai frati francescani.
La chiesa viene segnalata nelle stampe cinque e secentesche
originate dal rilievo della città "a volo d'uccello" di Hogenbergh e
Braün e nell'opera di Ittar se ne può vedere il rilievo
planimetrico. La chiesa appare in quest'ultimo lavoro con ingresso a
ovest, a nave unica, con profondo presbiterio segnato da un arco
trionfale.
L'8 luglio del 1943 la chiesa è colpita in pieno da uno degli
ordigni lanciati durante l'attacco aereo alleato di quell'anno. Le
uniche due pareti rimaste intatte, quella settentrionale e quella
orientale, vennero risparmiate dalla ricostruzione post bellica,
mentre venne ripavimentato in cotto siciliano il suolo su cui si
estendeva l'edificio. Nel 1964 venne inaugurato la nuova chiesa
parrocchiale in uno dei nuovi quartieri satellite che stavano
sorgendo nei primi anni sessanta, in piazza Montessori, realizzata
su progetto dell'architetto Giacomo Leone.
Dalla seconda metà del XX secolo sono appesi, dov'era il sagrato,
dodici tondi a rilievo con le immagini in rilievo degli Apostoli,
opere originariamente destinate al cimitero civico, poi esposte
definitivamente sulla parete orientale dell'edificio.
Sulla base della già citata planimetria dell'Ittar, degli esigui
resti e sull'unica descrizione accurata antecedente al 1943 ad opera
del Rasà Napoli, possiamo ipotizzare l'aspetto che dovette avere la
chiesa prima della sua distruzione. L'altare maggiore doveva essere
affrescato con immagini dei "santi Euplio e Antonio innanzi al trono
di Maria con un coro di angioli, i quattro Evangelisti, l'Apoteosi
di sant'Eupilo, la predicazione dello stesso santo"[6] ed era ornato
da semi-colonne con capitelli di stile corinzio, ancora oggi
visibili. La chiesa disponeva poi di due altari laterali che erano
affrescati; quello di destra aveva una "predicazione di sant'Antonio
abate nel deserto" di Tullio Allegra, mentre quello di sinistra
rappresentava un "santissimo Crocifisso senza simulacri ma con gli
Angioli della passione" dello stesso Allegra. Il prospetto verso
occidente era in pietra calcarea e sull'unica porta vi erano come
decorazioni una mitra poggiata su un libro chiuso e un pastorale con
un campanello legatovi, i quali costituiscono i simboli di
Sant'Antonio Abate, e un libro aperto il quale è invece
All'ingresso, sul lato sinistro del pavimento, era una botola che
conduceva ai locali sottostanti di epoca romana. La botola venne
definitivamente tolta e venne realizzata la prosecuzione della
scaletta in muratura che conduce ancora all'ambiente ipogeo ornato
da pitture un tempo leggibili e da diverse nicchie laterali,
caratterizzato da un altare costituito da un capitello di epoca
romana, ipotizzato dalla tradizione quale il luogo della prigionia
del santo, ipotizzato come sepolcro da diversi studiosi e certamente
luogo di culto in età tardo-antica. Al locale si accede ancora in
occasione dei riti religiosi per la data del martirio di Sant'Euplio,
il 12 agosto. Per tale data si effettua anche la messa celebrativa
al santo nei resti della chiesa superiore.
Fonte:
http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_Sant%27Euplio
Quando,
un tempo, il centro e le zone circostanti erano considerate la Città
per eccellenza, chi doveva raggiungerle spostandosi dalla periferia,
diceva che doveva andare a Catania, anzi, per l'esattezza,
"andare" si trasformava in "scendere": quindi
"scinnu a Catania" (a prescindere dalla reale orografia del
territorio).
Queste frasi si sentono anche nel film "La terra di trema"
di Visconti, quando la famiglia Valastro di Trezza si appresta ad
incontrare l'avvocato di città. Oggi ciò farebbe solo ridere, ma
c'è ancora qualcuno che lo dice.
Ma c'è di più: per esempio chi, "scendendo" (abituiamoci)
al centro in via Etnea, esaspera il verbo all'inverosimile con
"calare." Pazzesco, no?
"Staiu calannu a via Etnea", perchè a Catania non si scende
ma si .... cala! E
la calata in via Etnea è tutta particolare. E spiego il perchè.
Anche la salita è affascinante, da ricordare, col sole alle spalle e
l'Etna di fronte che fa capolino dal Tondo Gioeni, salutando a volte
rosato, a volte imbiancato, a volte incazzato, ma la discesa… è
tutt'altra cosa.
L'orario ideale, e comodo, è fra le undici e le dodici del mattino;
stavolta il sole si sente arrivare schietto in faccia, senza
preavviso, come uno schiaffo spinto dal caldo Mezzogiorno, ed è così
bello ricevere tale affronto da porgere l'altra guancia, non smettendo
mai di farsi oltraggiare, spudoratamente.
Si deve percorrere la via Etnea a passo di lumaca, come appena alzati
dal letto, in pantofole e vestaglia. Non bisogna farsi fregare da lei,
perchè è molto furba, ma al contempo civetta: bisogna farle la
corte, assaporarla nel suo insieme, ma senza lasciarle briciole. Basta
non farsi scappare niente di ciò che accade intorno: le saracinesche
dei negozi oleate da Turi dell'Olio, le sudate esternazioni dei
clienti dei chioschi e le folle di pensionati alle fermate AMT,
imbestialiti per i soliti ritardi dei mezzi.
Quindi attenzione a destra e a sinistra, perchè qui succede tutto e
il contrario di tutto, e quando qualcosa accade te ne accorgi da
estemporanei capannelli di gente creati dalla rinomata curiosità
catanese o dai barocchi complimenti dei barman dei celebri Caffè che,
per la passione che mettono nel promuovere ciò che offrono ai turisti
sul banco, sembrano quasi essere proprio i titolari del locale o
attori di compagnie teatrali, pagati dall'Ente Provinciale del
Turismo.
C'è tempo o cambiamo pagina web? Ma sì, dai, c'è tempo. E chi ci
spinge, basta aspettare no? Restiamo qui a crogiolarci al sole.
Camminare di fretta sarebbe un'offesa a Stesicoro, Verga, Bellini,
Martoglio, Musco. Il passo veloce non è da noi, l'orologio lasciamolo
ad altri: abbiamo ben altro da guardare, per esempio decine e decine
di bellissime chiome nere su occhi grandi come olive che sembrano
dirti "ti aspetto di là".
"Calare" lungo la via Etnea a quell'ora, davanti a bianche
spire di fumo che si "annacano" in controluce, liberandosi
da bocche ancora pregne di aromi di caffè, panzerotti, viscotta e
minè. ... ecco, tutto ciò è sublime.
Ascoltare
il contenuto umano di questa strada è come sentir parlare ad alta
voce la città stessa; così giunge notizia di disperati sit-in a
Palazzo degli Elefanti, del Governo ladro, di case occupate, del tempo
che tarda a migliorare (incontentabili!), della misteriosa sparizione
dell' 830 per tornare a casa a Picanello, del venditore di
"masculini" alla Pescheria che ha sbagliato a
"tornare" il resto, del maledetto destino funesto; e poi
delle corna di quello e di questo, delle numerose cambiali finite in
protesto, del "bacilicò" dimenticato alla Fera o luni e che
invece doveva serviva per il pesto. Ecco, tutto ciò è spettacolare!
Levigare, ancora e sempre, gli storici marciapiedi in pietra lavica
scolpiti anche da Brancati nelle sue opere, scansando mitici matti che
lì vivono e rispondere loro con un sorriso, quando gridano
"Savoia!"; poi fermarsi presso Savia a rivolgere un caloroso
"mbare, cchi si rici?" ad occasionali conoscenti intenti a
cazzeggiare (cioè nel pieno della loro attività istituzionale) ma
soprattutto a sparlare di ogni cellula che faccia parte del mondo
organico dall'Alcantara al Simeto ...ecco, tutto ciò è rilassante.
Veder
radiografare dalla testa ai piedi la fauna rosa che passa davanti in
quel momento, ascoltare l'"ars oratoria" cittadina, immensa
ma variabile a seconda delle condizioni meteo, spaziare dalle notizie
de La Sicilia, alla crisi (perché si sa … c'è crisi) a tutto
quello che si riesce a captare nella tromba delle scale di un
qualunque condomino... ecco, tutto ciò è straordinario.
Ma come possiamo quantificare e distinguere, soprattutto giustiicare questo ciarliero "piccolo
mondo" d'altri tempi che resiste ancor oggi alla tecnologia
dell'I-Phone preferendogli un tam tam proveniente dagli antichi
cortili - meno
artificiali - di Via Etnea?
-
Il venticinque per cento di quelle parole sono castronerie
estemporanee che, grazie al cielo, il vento solleva oltre Palazzo
Pancari volando fino a Cibali;
- L'altro venticinque per cento, è puro pettegolezzo da comari
inviperite pronte a calunniare l'inquilina del piano di sotto, novella
Maddalena.
- La crema rimasta (corrispondente al cinquanta per cento) è
costituita da decine e decine di brillanti massime o geniali concetti
filosofici da strada, autentiche perle che meriterebbero di essere
vergate su carta stampata, anziché galleggiare dentro una tazzina di
Spinella.
E' un peccato, basta ascoltare la proverbiale e famosa
"liscìa" catanese quando entra in azione o leggere questi signori
(se i vostri occhi riescissero a vedere!!!) come parole nelle pagine di un
libro di Ercole Patti, per accorgersi di tutto il ben di Dio che
evapora nell'etere senza essere conservato agli atti.
Comunque,
oggi è difficile incontrare questi prodotti autoctoni di origine
controllata, soprattutto vederli all'opera nel pezzo migliore del loro
repertorio: sentirli parlare. Purtroppo sono camuffati in mezzo a
mandrie di balorda gioventù prese dal Grande Fratello e
dall'ultimo modello di smartphone. Ma se si riesce a scovare un
residuato del famoso Gallismo, è facile accorgersi di quando stanno per scoccare
una delle loro brillanti
esternazioni. Lo fanno nel loro angolo preferito, di fronte ai bar
storici che non possono tradire della loro presenza perchè loro stessi sono monumenti in
quel contesto. Quasi tutti benestanti e avvolti in eleganti soprabiti,
gli "ultimi dei belli" passano ancor ogg il loro tempo a consumare
quei marciapiedi; non lavorano, non hanno mai lavorato e mai hanno
pensato, nemmeno lontanamente, a quella catastrofica ....
ipotesi. Insomma, son tutti figli di un certo Giovanni Percolla, il famoso
"Don
Giovanni in Sicilia".
Quando
arriva la bruciante battuta, ti osservano con uno
sguardo alla "Sig. Carunchio"; la fronte si arruga, i
baffi si sollevano fino ad aprire il sipario a un sorriso mascalzone
circondato da
guance così arrossate che sembrano pregustare ciò che per sta uscire
da quella bocca.... e poi...
Tac!
E' partita! Bollente, appena scivolata sulla lingua da un sovrastante cervello sempre in fermento come un vulcano!
Quando la consegnano al destinatario, le sopracciglia inarcate del
mittente continuano a sorridere ancora un per un po',
come testimoni di qualcosa che deve essere registrata nell'elenco delle memorabili
storielle siciliane.
Forse mi sono dilungato
ad analizzare il fenomeno, ma assicuro che il fatto accade nell'arco di due-tre
secondi. Niente di più!
Così,
a
turno, ad ogni ora della giornata, in quell'angolo magico che trasuda
Storia da ogni mattone, questi signori si lasciano rubare in versi dal
luminoso cielo, come aquiloni in aprile che non riprenderai mai più, centinaia e centinaia di
tresche mai esistite, centoquarantamila formazioni del Catania
indispensabili per approdare a una tranquilla salvezza, interminabili ricordi dei night club di Taormina o dei Platters al Lido dei Ciclopi,
quotazioni degne da consumati bookmakers su certe prestazioni
sessuali, ricordi di indimenticabili incontri che farebbero arrossire
perfino Tinto Brass, valutazioni estimative sui patrimoni altrui così
precise che nemmeno la Guardia di Finanza e, infine, gli ultimi
avvistamenti del più bel culo di Catania!
Questo miscuglio di coriandoli fatto di popoli, etnie, cultura,
storia, ormoni, sensazioni, tradizioni, scemenze al vento e ... meravigliose, stupende, minchiate….. ecco tutto ciò è
poesia!
Soprattutto perchè questo gran carnevale di aggettivi si chiama...
Via Etnea.
(Mimmo Rapisarda)
https://www.facebook.com/franz.cannizzo
VIA ETNEA,CATANIA,NATA DOPO IL DEVASTANTE
TERREMOTO DEL 1693
La cartolina che oggi ho postato riprende la
via Etnea in uno scatto degli anni '60 dello scorso secolo,immersa
in un caotico traffico veicolare ed un intenso passeggio (prima che
i gusti di molti Catanesi cambiassero.Oggi
preferiscono,fortunatamente non tutti,passeggiare nei centri
commerciali,sotto i cieli di plastica e il puzzo di sudore
La via Etnea sorse soltanto alla fine del XVII
secolo a seguito del disastroso terremoto dell'11 gennaio 1693.
L'evento tellurico rase pressoché al suolo la città di Catania e
sotto le macerie perirono circa i due terzi dei suoi abitanti. Il
duca di Camastra, inviato dal viceré con il mandato di
sovraintendere alla ricostruzione della città, decise di tracciare
le nuove strade secondo delle direttrici ortogonali e partì proprio
dal duomo che era uno dei pochi edifici non completamente distrutti.
Venne così creata una strada che dal duomo si dirigeva verso l'Etna
e una strada che la incrociava con direttrice est-ovest. Nacque così
quella che oggi è la via Etnea. La strada venne chiamata via duca di
Uzeda, in onore del viceré del tempo. Nel corso dei secoli il suo
nome venne poi mutato in via Stesicorea ed infine nell'attuale di
via Etnea visto che la strada si dirige verso l'Etna. La strada era
allora lunga circa settecento metri e terminava nell'attuale piazza
Stesicoro, allora chiamata porta di Aci. Qui esisteva una delle
porte della città di Catania. La strada perpendicolare, attualmente
via Vittorio Emanuele, venne invece chiamata via Lanza e
successivamente Corso per poi cambiare il suo nome nell'attuale
durante il XIX secolo.
I palazzi che vennero costruiti lungo le due
strade furono edificati nello stile del barocco siciliano dagli
architetti Giovan Battista Vaccarini e Francesco Battaglia. Lungo la
via Etnea vennero edificate ben sette chiese che partendo dalla
cattedrale sita in piazza Duomo proseguivano con la basilica della
Collegiata, la chiesa dei Minoriti, la chiesa di San Biagio, la
chiesa del Santissimo Sacramento, la chiesa di Sant'Agata al Borgo e
la chiesa della Badiella. Lungo il suo percorso vennero costruiti
molti palazzi della nobiltà catanese ed edifici pubblici. Partendo
dalla piazza Duomo si incontra il palazzo degli Elefanti, sede del
municipio e quindi il palazzo dell'Università ed il palazzo San
Giuliano. Proseguendo si incontrano il palazzo Gioieni ed il palazzo
San Demetrio ai Quattro Canti. A piazza Stesicoro si trovano il
palazzo del Toscano ed il palazzo Tezzano. Proseguendo si trova il
palazzo delle Poste e l'ingresso principale della villa Bellini. Nel
corso del XX secolo la strada si sviluppò oltre l'incrocio con i
viali e proseguì fino a piazza Cavour, il Borgo per i catanesi, dove
si trova la fontana di Cerere in marmo di Carrara, conosciuta dai
vecchi catanesi come 'a tapallara (dea Pallade), e quindi al Tondo
Gioieni, dove negli anni cinquanta del XX secolo venne costruita
l'allora circonvallazione di Catania.
Dal 1915 al 1934 la via ospitò i binari della
tranvia Catania-Acireale. |
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Piazza
Carlo Alberto
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Palazzo della
Borsa |
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Corso
Sicilia |
a
Fera 'o Luni |
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Palazzo Tezzano, lato Via Etnea. |
La porta Jaci com'era, da una
stampa di Renzo Di Salvatore
La Fera ‘o
Luni: perché l’antico mercato di Catania è made in
China, oggi
CATANIA – È una
tiepida mattinata invernale e il cielo terso e
azzurro diventa un richiamo irresistibile. Non si
trova un parcheggio neanche a pagarlo, i
posteggiatori abusivi alzano le braccia al cielo e
urlano “Tutto chinu oggi, ma scusassi”. Infine la
salvezza, l’eroe di turno in gilet multitasche trova
un posticino. Con due euro e grandi manovre, il
gioco è fatto. Lentamente, recuperando la pazienza
perduta, si attraversa un luogo di romana memoria:
piazza Stesicoro. Si sente un gran “vuciare” verso
la statua di Vincenzo Bellini da dove pasciuti
colombi ammirano la folla strusciante che va a
passeggiare. Sembra ci sia una gran festa, lì verso
via San Gaetano alle Grotte. È “‘a Fera ‘o Luni” (il
mercato del lunedì).
È un attimo,
manca l’aria e gira la testa. I sensi si devono
abituare. Colori forti si accendono per un timido
sole che filtra attraverso i larghi tendoni delle
bancarelle allineate. Odori inebrianti stimolano
l’appetito: formaggi freschi, pomodori, cipolle,
prezzemolo, agrumi, fragole, pesce e carne.
Stordiscono i profumi di roba vecchia e nuova, di
incensi, di fragranze rubate. Suoni striduli o
possenti, voci di uomini e donne invitano a
comprare. E poi il crogiolo di razze, un colpo
d’occhio. Catanesi, siciliani, africani, cinesi,
indiani, tutti a rimpinguare un luogo dove si fanno
affari da secoli.
Già nella Catania
spagnoleggiante, allora capitale del Regno di
Trinacria, il mercato del Lune occupava la piazza
antistante la Regia Cappella (meglio nota come la
Basilica Collegiata). Dopo il devastante terremoto
del 1693, il mercatino rionale si sposta in Piazza
Università per poi approdare nel XIX secolo in
piazza Carlo Alberto, vicino “‘a potta Jaci” (porta
di Jaci, antico ingresso della città), dove tuttora
è ospitato ogni giorno della settimana.
Trasportata dalla
folla, mi addentro in via Teocrito: impossibile non
notare, dietro le innumerevoli bancarelle di scarpe,
le lanterne rosse che segnalano i negozi cinesi.
Sono dei veri e propri bazar di cineserie. Uomo,
donna o bambino: ce n’è per tutti i gusti, con buona
pace dei commercianti locali. Negli ultimi anni sono
centinaia le botteghe vendute o affittate ai
colleghi orientali. L’affare è semplice (come meglio
descritto dall’inchiesta “Mollo tutto e vendo ai
cinesi” del giornale Ctzen). Basta un passaparola,
un sensale italiano e nessuna agenzia immobiliare.
Con moneta sonante, un cinese è felice e un catanese
è sereno.
Entrando in uno
di questi empori quale sorpresa nel ritrovare una
commessa italiana! Lavora lì da qualche mese e
racconta la sua esperienza con piglio catanese:
“Dieci ore di lavoro per dei padroni poco grati ma
che pagano in contanti. Lo mando avanti io il
negozio ma prima o poi li abbandono ”. La giovane,
in pendant con l’ambiente circostante, intrattiene
prosaicamente i clienti mentre l’ermetico padrone
resta religiosamente ancorato alla cassa. Chissà
come è arrivata lì? Su internet e giornali mancano
gli annunci. Probabilmente è il solito sensale.
Uscendo dal
negozio, è impossibile non sentire alcuni commenti:
“Sono ovunque… unni ti giri ci so’ cinisi… ommai ci
rubano il lavoro ma solo noi abbiamo a’robba bella,
a’robba italiana”. L’ultimo dato Istat (2010) parla
chiaro: 1.048 cinesi risiedono alle pendici
dell’Etna. A fronte della media regionale che conta
5.919 presenze ovvero il 3,1% della popolazione
nazionale. Negli ultimi dieci anni, grazie alla
ridotta concorrenza con i connazionali, la Sicilia è
diventata un nuovo eldorado. Per lo più: “si ravvisa
da parte dell’economia cinese una forte propensione
a penetrare il tessuto economico con modalità
apparentemente legali” – recita un rapporto della
DIA del 2012 – “si parla di un fenomeno di
colonialismo commerciale-finanziario da parte delle
organizzazioni asiatiche che non si limita alle
piccole e medie imprese o a locali filiere di
distribuzione ma interessa vere e proprie holding
finanziarie”.
Si tratta di
vendita all’ingrosso o al dettaglio ma anche di
grosse operazioni come il finanziamento per
l’installazione di pannelli solari o la bonifica di
aree portuali (il progetto per il porto di Augusta è
un esempio mai andato a buon fine). Ma non sempre è
tutto legale. I cinesi non mantengono più il basso
profilo di una volta, quello stato di invisibilità
che li caratterizza. Al sud, dopo un periodo di
assoluta soggezione, hanno occupato i posti lasciati
liberi dalla criminalità o hanno iniziato a
stringere contatti con la criminalità locale
nell’ottica di sviluppare affari lucrosi. Inoltre
stanno diventando una filiera di approvvigionamento
per i venditori ambulanti abusivi italiani o di
altre nazionalità. Sono i maghi della contraffazione
e del contrabbando.
Dando una
semplice occhiata alle testate online locali degli
ultimi mesi si legge: “Scoperto a Catania showroom
del falso: trovati 20.000 articoli contraffatti con
le migliori griffe italiane in un magazzino di
periferia” . Poi il must del made in China non a
norma CE: “Sequestrata a Catania merce contraffatta
e pericolosa per la salute ad un imprenditore
cinese” (Live Sicilia Catania, Blog Sicilia). La
notizia più recente risale al 31 gennaio 2014:
“Aeroporto di Fontanarossa: sequestrati 700.000 euro
in banconote a passeggeri cinesi che ritornavano in
patria per festeggiare il Capodanno”
Ad ogni modo, il
mercato è grande. E l’immensa piazza Carlo Alberto
accoglie tutti. Laddove prima c’era l’antica
necropoli sorge il grande Santuario della Madonna
del Carmine che abbraccia ogni passante e rassicura
i venditori dal lontano Settecento. E più in là
timidamente, fa capolino, per chi lo sa, l’antica
chiesetta di San Gaetano alle Grotte (sorge sui
resti di un antico tempietto fondato nel 262 d.C.,
oggi meta occasionale per turisti e luogo di culto
per gli ortodossi residenti a Catania).
Nuovamente si
scorgono le lanterne cinesi che costeggiano il
Santuario. È via Giordano Bruno. Una vera Chinatown
nel tessuto catanese. Passeggiando è facile notare
occhi a mandorla incuriositi che scrutano dagli
ingressi dei negozi in un silenzio omertoso. Un
padre è alla cassa, due bambini giocano in strada e
la madre sale nella casetta al piano di sopra. Sono
tutti giovani. Mancano gli anziani. Ma è noto che le
fasce d’età più frequenti sono quelle che vanno da 0
a 9 anni e da 20 a 50 anni. Come si dice: scuola e
vecchiaia nei paesi tuoi. La vita si consuma tra i
vicoli di questo quartiere che diventa un piccolo
angolo di Cina impenetrabile.
LA
CHIESA DI S.MARIA LA GROTTA
Questa chiesa, a differenza di quanto asserito da Guido Libertini ,venne
costruita alla fine del XV sec. su una cavità ipogea -senza dubbio più
antica-abbellita per iniziativa di una certa Bartolomea detta <<la Calabrisa
>>,terziaria regolare dell'ordine dei Carmelitani. La pia donna, il 23 ottobre
1499 ottiene dalla mensa vescovile un tratto di terreno esistente nella contrada
di <<Lu Puzzu di Becta >>,in prossimità della porta di Aci e vicino al convento
dei padri carmelitani, col fine di costruire una chiesa da dedicare alla Santa
Vergine. Nell'estate del 1501 le fabbriche vengono ultimate e il 5 luglio 1501
la mensa vescovile ne conferisce il patronato a suor Bartolomea;Il 21 giugno
1508 la sorella terziaria cede il diritto acquisito ai padri carmelitani del
vicino convento dell'Annunziata. La cessione avviene a patto che alla stessa
sarebbe stata garantita la possibilità di continuare a governare e a servire la
chiesa giorno e notte;alla sua morte i frati carmelitani si sarebbero dovuti
impegnare a nominare un'altra terziaria che ne avrebbe continuato il servizio.
Accanto agli avvenimenti storici sussiste pure una suggestiva leggenda, secondo
la quale alla base della costruzione della chiesa vi sarebbe stato un evento
prodigioso. Interessante scoprire come la protagonista del racconto popolare sia
sempre stata suor Bartolomea, la quale avrebbe sognato la Vergine che le
indicava ove era nascosta una sua immagine all'interno di una grotta. La pia
donna fece scavare nel luogo indicato e in un altare venne scoperto un affresco
di Madonna col Bambino. Non abbiamo nessuna fonte che attesti questi
avvenimenti, è verosimile però che la cavità ipogea possa essere stata assunta
ad altre destinazioni, non escludendosi quelle di carattere liturgico.
Tornando alla storia, nel 1679 i padri carmelitani cedono la chiesa alla
<<confraternita di S.Gaetano, impegnandosi a celebrarvi la messa la quarta
domenica di ogni mese. Dopo il terremoto del 1693 i confrati ne curarono la
ricostruzione, che andò molto a rilento e fu portata a termine solo nel secolo
scorso >>.
scene girate in
Piazza Carlo Alberto
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LA CHIESA DI
S.MARIA DI BETHLEM
Chiarita la questione concernente la fondazione "everiana "della chiesa,
interroghiamo anche in questo caso le fonti per declinarne i tratti storici.
I primi riferimenti letterari, così come abbiamo avuto modo già di affermare,
sono contenuti nelle opere degli eminenti storici siciliani del XVI sec. -fra
tutti il Fazello e Maurolico-i quali, riferendo sulla tomba dell'illustre poeta
Stesicoro, asseriscono che si trovi ubicata <<in aede Betheleem, in hortis
Nicolai Leontini >>,Claudio Mario Arezzo, nel De situ insulae Siciliae (1532),ce
ne rivela una peculiarità quando la definisce <<vetus aedicula >>.
La testimonianza manoscritta più antica è invece una concessione vescovile che
porta la data del 20 aprile 1417; con questa viene ceduto in enfiteusi al
chierico Cipriano de Fassari,beneficiale di <<Santa Maria de Betelem posite in
ecclesia Sancti Quatraginta >>,un terreno attiguo alla chiesa, nella contrada
della porta di Aci, allo scopo di potere edificare a proprio arbitrio.In questo
documento sembrerebbe che la cappella faccia parte di un complesso più ampio
dedicato al culto dei SS.Quaranta.Nel 1508 risulta ancora officiata da un
presbitero, un certo Giovanni Arena che ne viene nominato cappellano e
beneficiale. Il 21 giugno 1531,il monaco benedettino Francesco Lombardo,
cappellano e titolare del beneficio, viene nominato canonico della
cattedrale;nel frattempo la chiesa, che versava in uno stato di totale
abbandono, fu affidata dal nobile Fabio de Paternione,proprietario del sito,ai
padri carmelitani del vicino convento dell'Annunziata.In quell'occasione la
cappella venne-dallo stesso nobile catanese- dotata di 4 onze annuali,restaurata
e consegnata ai frati con l'obbligo di celebrarvi tre messe la settimana e di
mantenerne il decoro. Di questo documento è interessante un passaggio in cui si
riportano le seguenti parole:<<Cessionis ecclesie seu cappelle S.te Marie
Bethlem extra portam Jacis olim di S.ti Quaranta Nuncupata >>.Il termine olim,una
volta, sta a indicare il cambio di denominazione a cui la chiesa è stata
soggetta, originariamente consacrata al culto dei Quaranta Martiri di Sebastia.
Nel 1579 viene ceduta per 60 onze al senato catanese <<pro fortificationebus seu
pro amplianda planitie >> e definitivamente demolita nel 1674 durante la guerra
di Messina.
La vetustà di questo tempio,le storie leggendarie che circolavano su di esso e
la sua originaria titolazione ci hanno spinto a indagare, fino a trovare forti
analogie nelle vicende della vita di S.Leone, vescovo di Catania nel VIII
sec.
LA
NASCITA DELLA TRADIZIONE "EVERIANA"
Prima di addentrarci nella trattazione dell'argomento ritengo opportuno
principiare da alcune premesse che faranno luce su determinati punti critici
posti dalla questione. La prima è quella che ci induce a considerare le chiese
di S.Maria di Bethlem e di S.Maria la Grotta come due edifici ben distinti. La
teoria ipotizzata da Casagrandi viene contraddetta da fonti documentali e
cartografiche. Tra queste citiamo la Cronaca Siciliana, testo del XVI sec. che,
descrivendo alcuni avvenimenti della città etnea, riporta tra le altre notizie,
la narrazione di una rivolta avvenuta a più riprese nel 1517:prima nei pressi
del <<convento di la Nunciata >>,poi nello <<chiano di la Virgini di la Gructa
>>,infine presso la chiesa di S.Maria di Bethlem vicino la porta di Aci. La
pianta prospettica della città di Catania, commissionata nel 1584 dal vescovo
agostiniano Angelo Rocca e conservata presso la Biblioteca Angelica di Roma (in
foto), conferma altresì la distinzione dei suddetti luoghi;la didascalia della
cartina ai nn.70 e 71 individua infatti rispettivamente le chiese di <<S.Maria
della Grotta >>e di <<S.Maria di Bethlem >>;i due siti sono distinti anche se
vicini,distanti tra loro solo qualche centinaio di metri.
L'
altra premessa vuole fare chiarezza sulle presunte origini "everiane "-sopra
accennate-della chiesa di S.Maria di Bethlem. Anche in questo caso la conoscenza
delle fonti ci permette di stabilire con un certo margine di sicurezza che
questa tradizione sia stata fissata e quindi ritenuta credibile nel XVII sec.
Gli eminenti studiosi che cavalcano queste suggestive congetture sono l'abate
Rocco Pirri e il canonico Giovan Battista de Grossis nelle cui opere-redatte
contemporaneamente nei primi decenni del Seicento- appare per la prima volta la
figura del vescovo Everio.Anche Fazello e Maurolico -che scrivono un secolo
prima-riferiscono dell'esistenza di questo oratorio senza mai fare alcun accenno
a tale tradizione; situazione completamente differente per la storiografia
postuma che verrà fortemente influenzata dal predetto dato.In molti si sono
chiesti-tra cui lo stesso Vito Amico-quale sia la fonte da cui è stata attinta
la notizia;una cosa però è certa:nessun documento fino a oggi ha confermato
l'origine "everiana "della chiesa di S.Maria di Bethlem. L' autorevolezza degli
autori in questione ci porta a escludere ogni tentativo di manipolazione. È
probabile, invece, che gli stessi abbiano raccolto e ritenuto come vere delle
tradizioni e dei racconti che attribuivano a questa chiesa origini vetuste,
riconducibili ai primi secoli dell'era cristiana. Se da un lato questa analisi
tende a sconfessare la suddetta ipotesi, d'altro canto dobbiamo affermare che
questa tradizione presenta tracce di verità che andremo a verificare nel
presente lavoro.
Suffragati dai documenti, proviamo a declinare con molta attenzione le vicende
storiche delle due chiese.
Riconoscendo tra
di loro una vecchia alunna del CTP dove ho insegnato
per qualche mese mi fermo a salutarla. Liu Xing ha
17 anni, è sempre gentile e non dice mai di no.
Minuta, con una frangia nera e lunga, sorride
sempre. Da tre anni è arrivata in Italia con i
genitori e la sorella. Sono partiti dal Fujian, una
regione cinese che si trova di fronte l’isola di
Taiwan, vicino Hong Kong (la seconda regione, dopo
lo Zhejang, da cui proviene la stragrande
maggioranza degli immigrati). Liu Xing si trova
bene: “L’Italia è un bel paese, soplatutto Catania.
Tutti gentili”. La sua famiglia vive e lavora al
mercato: “casa e putia”, come si dice da queste
parti. “Qui lavolo c’è” – e sorride quando pensa al
lungo viaggio fatto per arrivare in questa lontana
isola italiana – “E tu puoi aplile negozio tuo”.
Infatti a Catania
tra i residenti cinesi c’è la più alta
concentrazione di richiesta permessi di soggiorno
per lavoro autonomo. Lo raccontava ultimamente un
avvocato, amico di famiglia, in una di quelle noiose
cene tra principi del foro: “Avvocati e
commercialisti sono l’unico contatto italiano che
hanno; con un po’ di tempo conosceranno a memoria le
leggi e non avranno più bisogno di noi!”. La trafila
è lunga e complessa. Secondo la legge Bossi-Fini
(2002), il permesso di soggiorno viene concesso allo
straniero che già possiede
un contratto di lavoro.
Problema facilmente risolto: il cinese di turno
dichiara di voler lavorare come dipendente
nell’emporio di un connazionale. Poi arriva la
svolta. Ecco la possibilità di aprire una propria
attività e richiedere il ricongiungimento familiare
(a suon di quattrini, solo 322 euro circa ad personam tra marca da bollo, istanza in formato
elettronico, raccomandata alle poste italiane e
rilascio del permesso).
Le attività sono registrate
come imprese a piccola gestione che richiedono al
massimo un’autorizzazione comunale. Imprese che
dichiarano fatturati da cifre criptiche. Tutto ciò
va ad inserirsi in un mercato fortemente chiuso: i
negozi sono collegati fra loro e le merci sono
rigorosamente made in P.R.C. (conseguenza
dell’ingresso della Cina nell’Organizzazione
Mondiale del Commercio). Operazioni che si svolgono
sotto gli occhi vigili della Guardia di finanza che
da anni controlla le attività degli orientali.
Ma è ora di
pranzo, la piazza si sveste, il mercato è finito.
Gli odori son rimasti, i colori son spariti. Torna
il sole laddove non filtrava. Scatole e cartacce
sono i resti che qualcuno dovrà sistemare. Nel
silenzio ritrovato fanno eco le ultime voci di chi
si appresta a tornare a casa. È finita la festa e
l’antica necropoli può continuare a riposare.
(Testo di
Daniela Gavioli)
http://www.storie.it/reportage/la-fera-o-luni-perche-lantico-mercato-di-catania-e-made-in-china-oggi/
|
La
prima chiesa, secondo la tradizione, fu edificata nel 262 o nel III
secolo in una grotta lavica già usata come cisterna, e titolata a
Santa Maria[3]. Il tempio si ingrandì probabilmente nel VII secolo, e
forse in questo periodo sorse l'apogea chiesa di S. Gaetano, a quel
tempo forse intitolata S. Maria La Grotta.
Nell'VIII secolo, con la conquista musulmana della Sicilia, la chiesa
superiore viene demolita o, più probabilmente, abbandonata. Con
l'avvento dei Normanni la chiesa fu restaurata e forse a questo
periodo risalgono le grosse colonne del presbiterio, mentre viene
ridimensionato l'accesso alla chiesa sotterranea, che diventa così la
cripta per il tempio superiore, mediante la costruzione di una ripida
scalinata in pietra lavica.
Tuttavia il tempio inferiore, periodicamente allagato a causa della
presenza della sorgente che alimentava il vecchio pozzo, rimase presto
intasato dai detriti fangosi e cadde nell'oblio. Solo nel 1558
l'edificio fu sgomberato e ripulito, ad opera dei frati Carmelitani.
In questa data forse si accosta la venerazione del santo di Thiene,
canonizzato nel secolo seguente, come per questa data forse si
affaccia l'intitolazione a Santa Maria di Betlemme del tempio ipogeo,
in quanto legato al culto del Presepe, sorto in Italia dopo l'opera di
S. Francesco a Greccio.
Demolita in parte nel 1674 per la costruzione del vicino bastione di
San Michele (sulla base del progetto fortilizio iniziato più di cento
anni prima, nel 1550 sotto il regno di Carlo V e compiuto su progetto
di Tiburzio Spannocchi), venne distrutta definitivamente dal terremoto
del 1693, probabilmente anche a causa di una tecnica muraria non
adeguata risalente alla fase medioevale cui si aggiunse l'instabilità
dovuta allo smantellamento
avvenuto quasi venti anni prima, e parte
del tempio inferiore subì pure gli effetti del sisma. La
ricostruzione subì diversi cambi di progetto e si protrasse a lungo,
dato che venne completata soltanto nel 1801 sotto l'allora vescovo
Corrado Deodato Moncada. La ricostruzione avvenne soltanto grazie ai
contributi della confraternita di San Gaetano che frattanto si era
formata per la conduzione della chiesa. Nuovamente abbandonata dopo il
danneggiamento del bombardamento alleato durante la seconda guerra
mondiale fu riaperta al culto negli anni ottanta per poi essere
nuovamente riaperta "a singhiozzo". Attualmente la chiesa
inferiore, oltre ai normali servizi curati dal rettore padre Antonino
Lo Curto, è gemellata con il monastero russo-ortodosso di Divnogorje
e ospita la comunità ortodossa catanese per le Messe domenicali.
Il 5 giugno 2009 viene scelta quale cornice per la cerimonia di
"investitura" dei nuovi membri dell'Unione Cavalleria
Cristiana Internazionale (nota con l'acronimo UCCI , celebrata dallo
stesso Lo Curto.
Il tempio ipogeo.
All'interno
di una grotta lavica originatasi forse nell'eruzione del Larmisi
venne ricavata una cisterna ipogea di epoca romana, in seguito
riadattata all'uso
di sepolcreto paleocristiano delle necropoli.
L'impianto primitivo divenne nel 262 una chiesa cristiana, forse la
prima costruita a Catania, prima ancora della vicina chiesa del Santo
Spirito eretta ad opera del vescovo San Berillo, e tra le prime in
Europa ad essere intitolate a Maria. Inizialmente sede di un
martyrion. Le tracce più antiche, precedenti alla trasformazione in
chiesa, sarebbero da cercarsi nel pozzo a sud dove sul soffitto
rimangono tracce di una campata in mattoni di terracotta, un
archosolium (murato per ricavarne l'altare), una falsa finestra e due
sedili in pietra lavica.
Con l'editto che consentiva la libertà di culto del 313 l'edificio
poté dotarsi degli elementi strutturali necessari alle funzioni
sacre, come l'altare (che probabilmente chiudeva un passaggio verso un
altro settore della grotta che si estendeva a nord verso il santuario
del Carmine) e l'arco trionfale[8] che reggeva un'iconostasi. In
questo periodo l'ambiente venne totalmente rivestito di affreschi di
cui oggi non restano che labili tracce, se non una Madonna con Bambino
del III secolo, di cui si leggono appena i volti, nella parete
settentrionale dov'è ricavato l'altarino, rimaneggiato più volte nei
secoli successivi.
Con l'erezione del tempio apogeo vengono messe in atto le prime
sostanziali modifiche, tra cui un nuovo ingresso più ampio a
occidente e la ristrutturazione del pozzo per ricavarne un fonte
battesimale. Il battesimo avveniva per immersione e lo si faceva
superati i sette anni di vita. Non si conosce se con la conquista
Islamica la chiesetta subì qualche modifica, certo è che nell'XI
secolo, con l'avvento dei Normanni, fu rimaneggiata sostanzialmente.
Venne eretta una nuova gradinata in pietra lavica in sostituzione di
una ripida discesa (com'era più usuale in epoca paleocristiana) e il
cambio di culto (da orientale a occidentale) influenzò anche
l'architettura battesimale: di questo periodo infatti il pozzo
cilindrico per il lavaggio del capo ai fanciulli.
La chiesa, probabilmente a causa di un allagamento o perché mutata in
cripta, venne dimenticata e dovette attendere il XVI secolo per essere
riaperta. Quasi a ricordare l'avvenimento le rappresentazioni di
pastori di gusto rinascimentale sul lato settentrionale dell'ingresso,
mentre a meridione si poteva ammirare una veduta urbana a volo di
uccello (Catania?) di cui rimane ben poco. Tra i due scenari l'arco
d'ingresso, ricavato sulle lave preistoriche, si erge maestoso con la
scritta Gloria in Excelsis Deo (Gloria nell'Alto dei Cieli, che
riecheggia la Resurrezione) su di un nastro tenuto da putti
settecenteschi.
Il terremoto del 1693 distrusse parte dell'edificio (la zona
occidentale, probabilmente perché esposta al crollo del tempio
superiore) che rimase chiuso fino al 1801.
Oggi, dopo fasi alterne, è nuovamente aperto e adibito a culto.
L'eccezionalità del sito lo rende la sede adatta per le originali
quanto suggestive messe in greco recitate da padre A. Lo Curto,
attuale rettore cui è affidata la chiesa. Di quest'ultima fase, cioè
sotto il rettorato di Lo Curto, è l'attuale aspetto. Nel 2000 furono
posizionati il tavolo per le funzioni realizzato in pietra calcarea,
una riproduzione in rilievo di una Natività di età bizantina e i
vari paramenti sacri di gusto ortodosso.
Sull'origine
del tempio superiore si conosce ben poco, tuttavia se ne può
intuire l'epoca di costruzione da alcuni dati[9]: l'area presbiteriale
a pianta quadrata (che contrasta con il corpo della chiesa più
modesto), l'orientamento verso est sono segnali di una possibile
origine bizantina (pertanto databile al periodo compreso tra il VI e
l'VIII secolo). Certa è la sua presenza in epoca Islamica quando
venne demolito o, più probabilmente, abbandonato e semidistrutto
dall'incuria. Nell'XI secolo fu messo in comunicazione col tempio
inferiore mediante la ripida scalinata a grossi blocchi squadrati. A
quest'epoca forse risalgono le colonne in pietra lavica che oggi
sostengono la cupoletta, il corpo longitudinale dell'edificio, nonché
l'intitolazione di Santa Maria La Grotta.
Nel 1558, riconosciuto quale edificio di importanza strategica, oltre
che religiosa, venne dotato di un piccolo sistema fortilizio di cui
oggi rimane qualche traccia nel lato sud. Nel 1575 compare per la
prima volta in una veduta di Catania col titolo di La Grotta[10],
anche se già vi si officiava in onore di San Gaetano. Il titolo fu
poi confermato probabilmente dopo la canonizzazione del Santo (1671).
Nel 1674 venne in parte demolito per migliorare le difese da questo
lato della città. Il crollo definitivo della chiesa avvenne nel 1693
a causa del terremoto del Val di Noto. La ricostruzione impiegò più
di cento anni e l'inaugurazione avvenne solo nel 1801, presentando il
tempio come lo possiamo vedere oggi.
Il nuovo edificio si presenta così a pianta longitudinale con
presbiterio leggermente rialzato e abside piatta. La facciata è molto
sobria, presentandosi in due ordini divisi da una cornice sorretta da
quattro lesene lisce di ordine composito: nel primo si apre l'ampio
ingresso architravato; nel secondo una nicchia ospita la statua di San
Gaetano con in braccio il Santo Bambino. All'interno ad unica navata
il ritmo è scandito dall'alternasi di nicchie di diverse altezze
divise tra loro da doppie lesene che si riflettono anche sul soffitto
a volta a botte con la presenza di archi doppi. Nel presbiterio dodici
colonne corinzie, disposte a gruppi di tre e unite da possenti archi a
tutto sesto, reggono una calotta mediante le quattro vele degli
angoli. Sul fondo un'abside rettangolare su cui si vedono le tracce
del restauro settecentesco. Altri resti del Settecento sono i due
altari laterali costruiti in intarsi di marmi policromi (scuola
siciliana).
Rovinato dal secondo conflitto, periodo in cui probabilmente la chiesa
ipogea fu adoperata come rifugio, subì anche dei mal fatti restauri
che ne alterarono la leggibilità storica. Solo recentemente la chiesa
sta riacquistando lentamente la sua dignità, nonostante sia
semi-soffocata dalle bancarelle del mercato, grazie anche ad originali
iniziative tra cui l'espletazione dei sacramenti in canti, processioni
di sapore orientale, l'uso della lingua greca.
Leggende e tradizioni
Secondo la tradizione la chiesa inferiore ospitò le spoglie di
Sant'Agata dalla sua morte alla sua sepoltura nella Vetere nel 264. Sempre
secondo la tradizione qui Santa Lucia pregò per averne la stessa
forza. La martire siracusana sarebbe qui svenuta ed ebbe in visione la
cugina defunta che le disse di aver coraggio e di continuare ad avere
salda la fede in Gesù. Un'altra tradizione vuole che anche S. Euplio,
co-patrono di Catania, fosse stato qui temporaneamente deposto dopo la
sua morte avvenuta nel 304.
In epoca moderna invece una storia piuttosto interessante è datata al
1508. Si narra che una pia donna, tal Benedetta Laudixi, ebbe in sogno
la Madonna con in braccio il Bambino che le chiedeva di essere
salvata poiché soffocava dalle macerie. La donna ricevette precise
istruzioni su dove si dovesse scavare.
Un'ultima leggenda è legata agli affreschi che rivestivano per intero
l'interno della grotta. Per effetto dell'umidità essi hanno assunto
una colorazione giallastra che il "popolino" ha sempre
creduto fosse il naturale colore della grotta e da qui viene il nome
del rione che circonda piazza Carlo Alberto: Grotte bianche. Ancora
oggi una delle strade che conducono alla piazza porta il nome di via
Grotte Bianche.
http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Gaetano_alle_Grotte
"Nella zona a
nord-est della porta di Aci, quest'aria cimiteriale aveva la
peculiarità di essere costituita da grotte laviche, dette Grotte
Bianche per la presenza di sedimenti carbonatiche dovute alle
acque di scolo".
Giuseppe Guliti,
vice Cancelliere Arcidiocesi di Catania, studioso di storia
della Sicilia.
vai a
LE GROTTE DI CATANIA
CHIAMASI ATMOSF... FERA!
E' il secondo mercato storico di
Catania, dopo la Pescheria.
Quando Catania era Capitale di
Sicilia sotto il trono dell’aragonese Federico III, il mercato
nacque di fronte all’ex Regia Cappella (adesso basilica Collegiata)
e poi spostato in piazza Università dopo il terremoto del 1693. Nel
1832 trovò la sua definitiva collocazione nell’attuale Piazza Carlo
Alberto.
Innumerevoli sono le versioni sul
nome e il significato. Ovviamente, quella più facile è riferita al
giorno della settimana, appunto il lunedì. Secondo altre ipotesi, il
nome deriverebbe dal dio assiro-babilonese Luni o dalla dea Luna. La
zona Luno era una delle quattro parti dell’antica Catania, assieme
ad Aetnopoli (Leucatia), Demetria (Cibali) e Littoranea (Ognina) e
comprendeva la zona esterna alla Porta di Aci, cioè l’attuale
ubicazione del mercato perchè nel luogo vi era un tempio dedicato al
suddetto dio Luno, posto in cima ad una collinetta dove oggi sorge
il Santuario dedicato alla Madonna del Carmine.
Un’altra ipotesi del nome è
quella che vede in ogni lunedì l'arrivo dei familiari dei soldati
borbonici in servizio nella caserma prospiciente la piazza, per
fornire quei militi di ogni mercanzia o biancheria da consumare
in tutta la settimana. Non so se questo sia rispondente al vero.
Oggi il mercato non si svolge
soltanto al lunedì ma, tranne la domenica, ormai in ogni giorno
della settimana. Nella zona cosiddetta Pracchio (meglio descritta
nell’immagine allegata) gli fa compagnia la chiesa di S. Gaetano
alle Grotte, edificata nel III secolo in una grotta lavica già usata
come cisterna e dedicata a Santa Maria La Grotta, demolita ad opera
degli arabi e restaurata dal normanno Conte Ruggero.
Ma entriamoci al mercato, no?
Appena si entra, come in tutti
mercati del Meridione d’Italia (vedasi quelli palermitani) ci si
immerge nel calore, nei colori e nell’abbandono della tristezza che
fa posto all’allegria. Si incontra immediatamente la geniale ironia
del Catanese e la sua pronta loquacità nel partorire implacabili
battute. Non possono farci niente, è più forte di loro, la devono
dire!
In un baleno sembra quasi
mancasse l’aria, le pulsazioni aumentano e le antenne cominciano a
drizzarsi per ricevere suoni e colori strabilianti che filtrano dai
tendoni di bancarelle in cui si vende mercanzia di ogni genere.
Nello stretto corridoio in cui si
incrociano catanesi, siciliani, africani, cinesi, indiani, tutti
indaffarati a far vivere un luogo dove si fanno affari meglio che a
Piazza della Borsa, arrivano decine e decine di meravigliose e
spassose espressioni teatrali. E' proprio lì dove, da cronista,
spesso raccolgo quel tesoro che esce dalle bocche dei miei
concittadini e che non posso tenere soltanto per me. Impossibile non
condividerle. Qui di seguito, quel che sento:
- Cuore, a mamma, ti piaci stu
vistitu blu elettricu ‘po vattìu di Vanessa?”
- Frida dice a Oriana “A genti
parra picchi avi giga supecchiu ndo telefunu. A quali! U russettu
russu non mi passa mancu cu l'acqua raggia!”
- “Cunnuti ca siti! 5 euri? Cu
l’ha spinnutu mai 5 euro pi m'paru 'i cosetti?”
- “Peco, peco (prego), tuttu a
neuro. Avemu macari Docce e ca ‘bbanna!”
- “Oggi c'è assai pisci, non ci
abbastunu i cancillati da villa!”
- "Avemu u
Blaccky friddu 'da cucuzza”
- “Ascaniu, appoi ti peddi. Dammi
a manu, a mamma (ndr: come rovinare la vita a un bambino nato a
Catania)”
- “Me nannu? Sta megghiu di mia,
ci arrivau a cattulina do suddatu!”
- “Ah, u ‘ttaccanu a chiddu ca
arrobba 'a Fera? Petomane!… accussì s’insigna!!! (a Catania non si
impara, si insegna)”
- "Santiago,
cunnuteddu da mamma.... veni cca, lassila stari sta pàmmina" (come
rovinare per sempre la carta d'idendità a n'picciriddu nato sotto
l'Etna, che magari di cognome non fa Rodriguez ma Fisichella)
Entro al bar, prendo un caffè e
alzo il volume delle mie orecchie: “Aspetta, ca non ci viru di
luntanu, sugnu preside. Ma è zuccuru? No mbare, aiu a diabete (a
Catania il diabete è fimmina!) e poi no sangu u dutturi attruvau u
GPL iautu! Troppo pericoloso, preferisco evirare (evitare) un ics
cerebrale!”
Nel frattempo il banconista
chiede al collega! "Kevin, ti giuru quantu stimu a vista ‘e l’Ognina,
mi dissi queste mestruali palore: 'Capucino take away, please' Mah!
...chi significa?". “Turi, nenti, ti dissi “da
pottare!”. Tranquillu!
Alla fine del giro esco dalla
Fera o Luni in un sabato ancora soffocato da questa interminabile
estate, senza non godermi le ultime canzonette all’uscita su Piazza
Stesicoro. Perché i venditori del mercato non si limitano a “vanniare”,
ma si dilettano pure nel canto, ovviamente nel rispetto della nostra
famosa liscìa:
- Dieci carciofi a 6 euro posson
bastare, dieci carciofi a 6 euro io te li voglio dare! (Dieci
ragazze in versione Fera o luni)
Oppure questa, dedicata al sabato
e non al lunedì:
- L’aria do sabatu a Fera,
ruffiana e sincera… cco te! (Maledetta primavera in versione Fera o
luni)
Eccezionali! Come si fa a non
amarli?
Mimmo Rapisarda
QUANDO C'ERA IL
MERCATINO DELLE PULCI.
A Catania e provincia è possibile
visitare numerosi mercatini delle pulci che si tengono con
cadenza settimanale (è il caso del mercatino delle pulci di
Catania) o mensile (i mercatini delle pulci che si tengono in
paesini in provincia di Catania come quello di Mascalucia).
Il più grande mercatino delle pulci e sicuramente il più
conosciuto e frequentato è quello che si tiene ogni domenica
mattina in Piazza Carlo Alberto in pieno centro di Catania. In
questo mercatino delle pulci è possibile fare grandi affari
soprattutto se ci si reca la mattina molto presto (intorno
alle sette). Si può trovare di tutto: da oggetti d’arredamento
(lampade, lampadari, vasi) a oggetti per la cucina
(tazze,piatti, bicchieri), ma anche abbigliamento e scarpe,
giochi per le più comuni console di gioco (wii, xbox),
oggetti d’antiquariato, ecc. I prezzi oscillano da 1 euro a
100 euro a seconda dell’oggetto acquistato.
Un altro interessante mercatino delle pulci che si tiene in
provincia di Catania, precisamente a Mascalucia, è il
mercatino dell’antiquariato. Questo mercatino viene
organizzato ormai da più di 10 anni all’interno della villa
comunale di Mascalucia ogni ultimo week end del mese. Il
mercatino di Mascalucia è specializzato nella vendita di
mobili antichi già restaurati o da restaurare, anche se è
possibile trovare bancarelle con libri e stampe antiche,
oppure bancarelle di vecchie tovaglie e centrini ricamati a
mano.
Oltre a questi mercatini delle pulci che si tengono all’aperto,
a Catania vi sono numerosissimi negozi dedicati alla vendita
di oggetti usati, come il Rigattiere, Il gran Bazar dell’usato,
Panascì e molti altri. In questi negozi è possibile sia
acquistare che vendere i propri oggetti. In quest’ultimo
caso, vi basterà portare gli oggetti che volete vendere al
negozio e concordare il prezzo di vendita; quando l”oggetto
sarà venduto, il negoziante vi contatterà per darvi il
ricavato della vendita. Alcuni di questi negozi accettano
anche mobili di grosse dimensioni (cucine, armadi, stanze da
letto), in questo caso dovrete accordarvi con il negoziante
per il ritiro dei mobili presso la vostra abitazione (il
prezzo oscilla dai 100 euro in su)
Un negozio dedicato alla vendita di oggetti usati che vi
consiglio di visitare è “Mani Tese”. Questo negozio vende
oggetti donati dalle persone ed il ricavato lo devolve tutto
in beneficenza per progetti in Africa. Questo negozio è uno
dei miei preferiti in quanto mi permette, acquistando o
donando oggetti, di fare beneficenza. “Mani Tese” si trova
in via Ammiraglio Caracciolo, una traversa di viale Mario
Rapisardi. Il negozio è aperto tutti i giorni dalle 9 alle
20.
http://wondir.it/dove-sono-mercatini-delle-pulci-catania/
|
Il
Santuario della Madonna del Carmine si trova in piazza Carlo Alberto
nel centro storico di Catania.La chiesa si inserisce in modo
scenografico nella pur grande piazza sulla quale è costruita. La
facciata è realizzata in tre corpi affiancati ed in quello centrale,
sopra il portale, è inserita una statua della Madonna.
La chiesa fu
costruita nel 1729, più o meno quando sorsero i maggiori edifici di
Catania dopo il tremendo terremoto del 1693.
L'interno è a tre navate
separate da colonne. L'abside centrale presenta degli affreschi di
Natale Attanasio. Negli altari laterali vi sono opere di pittori
siciliani del XVIII secolo fra cui una tela di Antonio Pennisi. La
chiesa è un santuario retto dai monaci carmelitani e contiene
migliaia di ex voto lasciati da persone che hanno ricevuto una grazia
per l'intercessione della Madonna del Carmine.
In Piazza Carlo Alberto,la piazza antistante la chiesa si svolge
l'antico mercato giornaliero.
La
festa del 16 Luglio
- Delle cinque
feste che la città di Catania dedica alla Madonna del Carmelo
(Santuario al Carmine, chiesa del Carmine sotto il titolo “dell’Indirizzo”,
chiesa del Carmine a Barriera, chiesa del Carmine a Canalicchio e
chiesa del Carmine a San Giorgio), quella che si celebra annualmente
nella Basilica Santuario “Maria SS. Annunziata al Carmine” è
senza dubbio la più importante e la più partecipata. Moltissimi
catanesi, ma anche abitanti dei comuni limitrofi, si recano il 16
luglio al Santuario per venerare il simulacro della Madonna.
La devozione dei catanesi nei confronti della Madonna del Carmine
affonda le sue radici nella storia, allorquando i Carmelitani, intorno
alla prima metà del XIII secolo, si insediarono nella città.
L’attuale simulacro, reduce da un accurato restauro, è un’opera
della fine del XIX secolo, che ha sostituito una precedente statua
settecentesca, anch’essa di bella fattura, custodita adesso nella
chiesa “S. Giuseppe” di Pisano Etneo (Zafferana Etnea), della cui
frazione è Compatrona.
Innumerevoli i devoti che omaggiano la Madonna accendendo delle torce
votive, e moltissime le donne vestite tradizionalmente con l’abito
carmelitano, marrone, con cordone alla vita e scapolare attorno al
collo.
Dopo la Solenne Celebrazione Eucaristica, la statua della Madonna,
già predisposta sull’artistico fercolo, alto, addobbato con una
gran quantità di fiori posti sull’enorme sfera rappresentante il
mondo, viene lentamente spostata in direzione del portale maggiore del
Santuario, pronta per l’attesissima “nisciuta”.
a
festa da Maronna do Carmini a luglio: ora sì, ca mi pozzu fari u bagnu!
PHOTOGALLERY
Lo scampanio festoso, lo sparo della moschetteria preparata in piazza
Carlo Alberto, la banda musicale , e una folla di fedeli assiepata
nella piazza in attesa di vedere la Madonna affacciarsi sul sacrato,
accolgono trionfalmente l’amato simulacro della Madonna del Carmelo,
che ha tiene per molti minuti tutti con lo sguardo all’insù, verso
l’alto fercolo da dove la Castellana Protettrice di Catania
risplende di una luce mistica.
I fedeli, offrendo a turno ceri accesi, denaro, fiori e baciando in
segno di venerazione il simulacro, si avvicinavano in continuazione
creando un movimento incessante attorno alla “vara”.
Al termine dello sparo dei fuochi pirotecnici dell’uscita, preceduto
da una lunga processione con le rappresentanze locali, quali i “Fiori
del Carmelo”, gli “Amici del Rosario”, la “Compagnia di Maria”
e il “Terzo Ordine Francescano”, con i rispettivi stendardi, il
simulacro della Madonna del Carmelo prende a muoversi in direzione di
via Pacini, per percorrere le strade del suo quartiere.
Daniele
Pennisi http://www.criluge.it/isolainfesta/?p=5481
S. Agata e il
Santuario della Madonna del Carmine
...gli
studiosi hanno identificato nel sepolcro romano che si trova
all'interno del monastero carmelitano (oggi caserma Santangelo
Fulci) il luogo esatto della prima sepoltura di Sant'Agata. Questo
spiegherebbe il motivo per cui la vara fino agli anni '50 del 900
entrava nella chiesa del Carmine. Usanza purtroppo persa insieme
alla memoria storica..... Sempre secondo studi recenti il corpo di
Sant'Agata venne poi trasferita presso la chiesa paleocristiana
dello Spirito Santo (i cui resti si trovano sotto un condominio di
via dottor Consoli) nei cui pressi si trovava anche la tomba di
Iulia Florentina. Da qui venne portato probabilmente poi all'interno
delle mura della città nella vicina chiesa di Sant'Agata (la vetere).
E da qui nel 1040 venne prelevato da Giorgio Maniace per essere
portato a Costantinopoli. Nel 1126 le reliquie fecero ritorno a
Catania e da allora si trovano in Cattedrale (costruita nel 1091).
Antonio
Trovato
______________________________
Il luogo è
testimoniato dalle storie di san Leone Vescovo di Catania che scrive
di una chiesa dedicata a santa Lucia dove vorrebbe essere sepolto,
C'è un anacronismo nella spiegazione riportata poiché fino
all'editto di Costantino che liberalizza il culto cristiano i
cristiani non potevano possedere come tali un pezzo di cimitero.
Cosa che avvenne infatti dopo il 313 quando i corpi dei martiri
furono spostati sulla parte collinare del cimitero nella zona di via
Androne dove è stata rinvenuta la stella di Iulia Florentina che
indica in quel sito le sepolture dei martiri e dove fu edificata una
basilichetta cristiana.
Padre
Antonino De Maria
TRA FEDE E FOLKLORE. LA FESTA
DELLA MADONNA DEL CARMINE
Alessandra Belfiore
Si rinnova anche quest'anno il
grande appuntamento di fede popolare rappresentato dalla Madonna del
Carmine, che a Catania ha il suo centro nevralgico nel santuario
della "fiera", a sua volta centro nevralgico e specchio impietoso
delle risorse e delle contraddizioni di una città grande e complessa
come quella etnea. Multietnicità, crisi, disoccupazione, solitudine.
È questo il nuovo scenario dentro
il quale si innesta, non certo da ora ma almeno dagli ultimi anni,
la processione della Madonna che si svolgerà questo pomeriggio. Una
processione che passa sì dal salotto buono di via Etnea, per
affacciarsi simbolicamente a tutta la città, ma che attraversa e
lambisce il cuore della "fiera": quartiere sempre meno catanese e
sempre più senegalese, nigeriano, cingalese, mauritiano e per quasi
il cinquanta per cento dagli occhi a mandorla. È nero, è giallo il
nuovo volto del cuore del centro storico di Catania. Parla idiomi e
si ciba di alimenti differenti. Convive ma non comunica, anche
secondo le testimonianze di chi il quartiere lo vive come i parroci
e i volontari che gravitano intorno alla parrocchia del Carmine. Le
strade che questa sera si illumineranno e si affolleranno al
passaggio della vara, con sopra il simulacro della Vergine dal volto
gentile e ancora fanciullesco, sono proprio quel simbolo e quello
specchio impietoso di una città che sta cambiando e che dovrebbe
iniziare a fare i conti con se stessa. Di una città che dovrebbe
guardare ai senzatetto e ai disperati - la cui unica consolazione è
l'alcol - che popolano il sagrato della chiesa fin dalle prime ore
del mattino e sistemano i loro cartoni nelle traversine limitrofe.
Oggi e questa sera, per qualche
ora, sarà festa, con luci, botti, confusione. Poi tutto ritornerà ai
ritmi scanditi di sempre.
La Sicilia, 16/07/2013
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MASTRU MUNNIZZA E GLI ACATAPANI
Catania, dopo
il terremoto del 1693 che l'aveva rasa al suolo era distrutta e
sporca, del resto come tutte le città che subiscono una
catastrofe. Il Senato incaricò il Mastro Mondezza detto:
PRACCHIO per controllare la situazione della città, infatti il
quartiere del Carmine essendo il più sporco era chiamato
PRACCHIO. Per evitare malattie infettive, fu vietato far bagnare
cavalli e muli in riva al mare e in città c'era l'obbligo di
andare correndo con le bestie per vietarne la sosta. Durante gli
anni ci fu pure il compito di far rispettare l’ordinamento
sanitario dei mercati della città. I vigili sanitari, che nel
700 si chiamavano Acatapani, vietavano agli acquirenti di
toccare la merce nei canestri dove erano posti i pesci, le pene
erano severe, nei casi più gravi era previsto persino il
carcere! Si fece di tutto per avere una città pulita, bella e
splendente e ci riuscì come sempre, infatti di Catania si dice:
"Melior de cinere surgo".
Pippo Costanzo
detto Cancilleri
il Pracchio
Nel 1708, quindici anni dopo
il terribile terremoto che aveva raso al suolo Catania,
un’epidemia dimezzò l’ancora esigua popolazione catanese. A quei
tempi la città era piccola, angusta e terribilmente sporca. Il
quartiere del Carmine, sorto dopo il 1693 fuori la Porta di Aci,
era detto pracchio appunto per la sua sporcizia.
La situazione
igienico-sanitaria sfuggiva di mano al Senato. Non si riusciva a
porre un serio freno al dilagante sudiciume che a sua volta era
causa di malattie, di epidemie. Il grave stato di cose indusse
allora il Senato a "fare reformare l’antiche o aumentare le
norme che regolavano l’officio del Mastro di Mondezza", il
quale, a sua volta, dipendeva direttamente da un Patrizio
incaricato di controllare la situazione igienica della città. Il
Mastro di mondezza aveva il diritto di "promulgare bandi o
comandamenti secondo le occorrenze".
Le norme erano numerose e
abbastanza esplicite. Ai cittadini fra l’altro era proibito di
"gettare sterco e mondezze per le pubbliche strade, ma
appoggiarle alle proprie mura al fine di poterle trasportare fra
il giro di giorni 15 nella nuova strada del Fortino; o pure nel
fosso grande vicino al bastione antico di S.Barbara vicino la
casa dé Teatini o altrove". Poi le regole di igiene e di pulizia
urbana divennero più drastiche e si estesero in altri settori:
fu vietato, "per l’incomodo e detrimento che apportano al
pubblico della comune salute, la "retina" delle mule per le vie
della città, nonché il vagare di porci, oppure far bagnare gli
animali -cavalli o muli- in riva al mare".
Il Patrizio, in sostanza,
doveva vigilare affinché le bestie da carico non girassero per
la città, ma si limitassero a percorrere le strade più corte per
attraversarla. A cavalli e muli era, infatti, vietato "passare
di giorno per il Corso S.Filippo, piano di S.Agata, Quattro
Cantonere", ed era invece fatto obbligo di "andar correndo per
la città". Un mestiere difficile quello della bestia, nel 700
catanese.
(tratto da "A Sicilia")
http://www.cataniatradizioni.it/miti/pracchio.htm
E
vui durmiti ancora … da cento anni!
di Sebastiano Lorenzo Distefano
da
www.squolapronobis.it
Proprio così! Era il 1912, quando fu eseguita per la prima volta la
famosa MATTINATA SICILIANA E vui durmiti ancora
composta da Gaetano Emanuel Calì sul testo della poesia (del 1910)
di Giovanni Formisano.
Gli autori, entrambi catanesi, sono stati egregia espressione
dell’indole “vulcanica” della loro terra e della creatività del
tempo, oltre che dell’identità siciliana.
E vui durmiti ancora ha una storia affine a quella di
molte grandi Opere e di altrettanti Autori, non soltanto siciliani,
dapprima ignorati o misconosciuti; infatti questo incomparabile
capolavoro delle musiche etnofoniche ebbe esordio e vita travagliata
e la sua prima incisione fu pubblicata solo diciotto anni dopo la
nascita.
La composizione, musicata al piano in una sola notte dal maestro
Calì, in perfetta armonia con la poesia di Formisano, presentata a
un concorso di poesie da musicare, proprio nel 1912, “venne
regolarmente bocciata”. Ma fu riscattata nella successiva
esecuzione, a Malta, nel 1915, allorquando l’autore, pur scoraggiato
per la bocciatura subita ma grazie all’insistenza della moglie Anna,
l’affidò alla cantante Brunelli che “la cantò con tanta passione da
far andare in visibilio il pubblico che, tra deliranti applausi,
chiese ripetutamente bis”. Da allora E vui
durmiti ancora è stata interpretata in tutti i teatri del
mondo, varcando l’oceano; in America venne subito incisa in dischi e
attribuita ad autore ignoto, divenendo “la canzone di tutti”. Fino
ad oggi, eseguita da rinomati Artisti, ha avuto numerosi
arrangiamenti, un plagio e tante personali interpretazioni ed è
stata variamente riproposta dai maggiori gruppi folkloristici e
(ancor giovane e pimpante dopo i cento anni trascorsi) apprezzata e
cantata, anche fuori dalle scene, da semplici Cittadini nelle più
disparate occasioni.
Questa intramontabile serenata (come è dai più considerata), nelle
significative parole di Giovanni Formisano come nell’afflato
musicale di Gaetano Emanuel Calì, è certamente da ritenere
un’intramontabile icona, quasi un archetipo, della Poesia siciliana
e un sublime esempio di Poesia e coinvolgimento popolare.
La storia di E vui durmiti ancora, in quanto tale,
con le iniziali incertezze e i tantissimi successi e riconoscimenti,
nei tanti lusinghieri aneddoti anche in tempo di guerra, e grazie
all’attenta analisi della sua realtà che è proposta con questo
saggio offre -in tema di “Educazione all’Ambiente”- l’occasione di
riflettere sulle realtà del sano rapporto fra Uomo e Ambiente e di
considerare le realtà di un Popolo e di un epoca, nonché di far
riflettere sulla genuina indole di una “sicilianità” che è
contraltare della “sicilitudine” del turpe o dell’esasperato di
Leonardo Sciascia.
http://www.figlidelletna.it/e-vui-durmiti-ancora.html
La
statua dedicata all'autore di E vui durmiti ancora, in Piazza Majorana
Corso
dei Martiri: dopo 50 anni la svolta sembra davvero vicina
di Melania
Tanteri
Il
sindaco Stancanelli: “Non dipende più da noi. Aspettiamo che la
controparte approvi la bozza”. Si va verso il via libera al nuovo
accordo tra il Comune di Catania e i privati
CATANIA
- Cantieri pronti ad aprire i battenti su corso Martiti della Liberta?
L’ipotesi è sempre meno remota, dal momento che gli stessi
imprenditori proprietari della maggior parte dei terreni dell’area
si sono detti disponibili a sottoscrivere l’accordo transattivo con
il Comune di Catania, ovvero il nuovo accordo tra Comune e privati che
sostituisce quello quadro firmato nel 2008 dall’allora commissario
staordinario Vincenzo Emanuele.
Una
notizia che, se avrà il seguito sperato, potrà portare al
risanamento di un’intera porzione di centro città, letteralmente
sventrata nel 1954, dando così non solo un nuovo volto alla città,
ma portando con sé anche una grande spinta occupazionale.
L’operazione, da 250 milioni di euro coinvolge un gruppo di società
private - Istica Spa, Cecos Spa e Risanamento San Berillo Srl, (la
Euro costruzioni, rimane per il momento esclusa, dal momento che il
proprietario si è rivolto al Tar per chiedere il rispetto
dell'accordo quadro del 2008) - che, insieme, possiedono circa il 98
per cento dei terreni, potrebbe rappresentare per Palazzo degli
Elefanti la prima, vera opportunità di chiudere un capitolo aperto da
mezzo secolo.
“Noi
siamo pronti – afferma l’assessore comunale all’Urbanistica,
Luigi Arcidiacono - l’amministrazione ha già predisposto tutto per
l’incontro con i privati, da parte dei quali stiamo solo aspettando
l’assenso all’accordo che dovrebbe portare alla transazione
davanti al Tar”. Tutto pronto, dunque, anche se non sono ancora
chiari i tempi.
“Non
dipende più da noi” prosegue lo stesso primo cittadino. “Ci
eravamo dati tempo fino al 30 settembre – aggiunge Stancanelli – e
lo abbiamo rispettato. Abbiamo approvato in Giunta il nuovo accordo e
stiamo aspettando che i privati aderiscano a questa bozza. Solo allora
potranno partire i lavori”.
In
sostanza, sono 4 i punti previsti dal cosiddetto addendum: la
riduzione della cubatura di 130 mila metri cubi rispetto all’accordo
del 2008; la realizzazione di tutte le opere attraverso gare di
evidenza pubblica; il mantenimento del plesso scolastico della
Pascoli, il cui previsto abbattimento e ricostruzione in piazza
Giovanni XXIII aveva suscitato numerose polemiche; e, infine, l’acquisizione,
da parte del Comune, degli immobili di proprietà dell’Istica San
Berillo, ma non del pacchetto azionario.
A
meno di nuovi imprevisti, dunque, la ferita nel cuore della città
potrà presto essere sanata: dopo la firma dell’accordo transattivo,
infatti, le imprese dovranno presentare, entro 60 giorni, l’aggiornamento
del “master plan” redatto dall’architetto Massimiliano Fuksas e
il Comune avrà altri 30 giorni per esaminarlo e approvarlo. Insomma,
se tutto dovesse andare come previsto, si potrebbero vedere le prime
gru già entro la fine dell’anno.
“Il
risanamento di corso Martiri della Libertà è necessario – commenta
Andrea Vecchio, presidente dell’Ance, l’associazione dei
costruttori edili – non solo per eliminare quel vero e proprio ‘bubbone’
di degrado e abbandono nel cuore della città, ma anche per il
rilancio dell’occupazione”.
Dovrebbero
essere settemila, infatti, i lavoratori impegnati nel risanamento dell’area,
mentre ci vorrebbero cinque anni, per la realizzazione - stando al
progetto di Fuksas - oltre che delle abitazioni private, di un
albergo, un teatro, uffici, e di un piccolo parco urbano.
http://www.qds.it/8452-catania-corso-dei-martiri-dopo-50-anni-la-svolta-sembra-davvero-vicina.htm
I
lavori in corso durante l'eliminazione del quartiere San Berillo per
far posto al nuovo Corso Sicilia
Vecchio
San
Berillo, luci rosse a Catania - Viaggio nella Amsterdam fai da te
Un
tempo ospitava le case chiuse, oggi le baracche sono affittate alle
lucciole. Pigione versato ai boss della zona
CATANIA - Come una macchia d'olio in uno specchio d'acqua già
inquinato, il fenomeno della prostituzione a Catania si espande sempre
più, tentando di conquistare nuovi territori fino a ieri non battuti.
La causa? Nel
quartiere di San Berillo, una vera e propria ferita nell'assetto
urbanistico del centro storico, non c'è più spazio per le lucciole.
Prima della legge Marlin del '58, questa parte della città era una
sorta di «De Wallen» all'olandese, frequentatissimo dai clienti
abituali delle case chiuse.
L'AFFITTO
PAGATO AI BOSS - Oggi quegli edifici sono ridotti a catapecchie,
ma il loro valore è altissimo. Chi ci abita sono le tantissime
prostitute nigeriane, colombiane insieme alle vecchie matrone di una
volta che pagano l'affitto direttamente ai boss della zona. Undici
anni fa finirono in cella Antonino Santonocito detto «Nino Trippa» e
Francesco Privitera «Cicciobbello», i capiclan che gestivano il
mercato delle baracche.
Oggi nulla sembra essere cambiato. Sedute su
una sedia o semplicemente affacciate alla finestra mezze nude e con in
mano il mestolo per rimescolare la minestra sul fuoco, semplicemente
stanno ad aspettare.
I
VICOLI DEL QUARTIERE - Sulla cartina stradale San Berillo è un
quadrilatero vicolo Coppola, via delle Finanze, via Pistone, via
Sturzo e via delle Belle, grande non più di novantamila metri quadri.
Giorno o notte qui c'è poca differenza. Alle prime ore dell'alba, le
lucciole sul marciapiede si danno il cambio con le prostitute che
lavorano alla luce del sole. Dalle 6 di mattina alle 13, c'è un
continuo vai e vieni di nigeriani carichi di enormi sacchi di
plastica. E' la merce contraffatta che viene portata, avanti e
indietro, dai depositi nascosti nel vecchio quartiere ai marciapiedi
dell' affollatissimo corso Sicilia ed al mercato di piazza Carlo
Alberto. Fra loro c'è anche chi si improvvisa meccanico, ed ha messo
su alla buona una officina in cui si riparano le vecchie auto dei
connazionali. Nell'ottobre del 2009 l'ultimo maxi-blitz della
municipale portò al sequestro di oltre 100mila articoli taroccati in
una bottega di Via Reggio.
PROSTITUTE
NEL SALOTTO BUONO - «San Berillo è un quartiere in cui la
prostituzione c'è sempre stata. Il problema – afferma Manlio
Messina, presidente della settima Commissione consiliare Cultura Sport
e Turismo – si attende da anni una vera riqualificazione della zona.
In più il fenomeno si è spostato anche altrove, perfino nel salotto
buono della città (corso Italia, piazza Europa, viale Africa; ndr).
E' previsto un piano di recupero, ma il macchinoso iter burocratico
mette a rischio l'erogazione dei fondi comunitari. I progetti
dovrebbero essere pronti in maniera contestuale ai bandi, ma spesso
avviene che questi vengano elaborati troppo tardi». Di recente
Messina ha presentato un’interrogazione all’assessore alla polizia
municipale Massimo Pesce, sollecitando un tavolo tecnico per elaborare
una strategia comune insieme a carabinieri, polizia di Stato e guardia
di finanza. Durante la notte appena trascorsa sono stati arrestati due
romeni che riscuotevano il pizzo con la forza presso alcune loro
giovani connazionali, finite in ospedale per le escoriazioni
riportate. Un trentunenne di Erice è stato arrestato in viale Africa
mentre tentava di violentare una prostituta.
LO
SPIRAGLIO DEI FONDI PRUSST - L'unico tentativo di risanamento fu
fatto dall'amministrazione Scapagnini, che riuscì a finanziare un
progetto per risollevare le sorti del quartiere. I risultati furono
solo parziali: venne ripristinata la corrente elettrica e la
pavimentazione stradale, ma nessun edificio fu sottratto alle mani
della criminalità organizzata. Ad aprile di quest'anno il vice
presidente vicario del consiglio comunale Puccio La Rosa ha ribadito
la necessità di puntare sui fondi Prusst dell'Unione Europea per far
ripartire i lavori . «E' prevista la realizzazione di un centro
servizi nel cuore del quartiere San Berillo, da realizzare in un
edificio di proprietà del comune. Ma bisogna ancora presentare la
variante urbanistica ed il tempo stringe perchè se non si rispetta la
scadenza del 2013 i fondi Prusst devono essere restituiti».
Andrea
Di Grazia
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/palermo/notizie/cronaca/2011/2-luglio-2011/-san-berillo-quartiere-luci-rosseche-fa-ombra-citta-catania-1901003489988.shtml
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Parrocchie
MARIA
SS. ANNUNZIATA AL CARMINE
Via G.Verdi 20 - 95129 Catania (CT) tel: 095
7152418
S. AGATA AL CARCERE
Piazza Santo Carcere 7 - 95124 Catania (CT) tel: 095 415941
SANT'AGATA
LA VETERE
SAN DOMENICO
Via S. Maddalena, 80 - 95124 Catania (CT) tel: 095 2962357
SAN
BIAGIO
Piazza
Stesicoro - Catania - Tel. 095-7159360
SAN
GAETANO ALLE GROTTE
Piazza
C. Alberto
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King-
Catania (ct) - via A. De Curtis, 14 - 095 530218
-
Lo
Pò - Catania (ct) - via Etnea, 256 - 095 326210
-
Metropolitan
- Catania (ct) - via S. Euplio, 21 - -
-
Odeon
- Catania (ct) - via F. Corridoni, 19 - 095 326324
INFORMAZIONI
TURISTICHE
Azienda
Provinciale Turismo: sede via Cimarosa, 10 tel. 095 7306222 - 095
7306233
Ufficio
porto: Molo Sporgente Centrale tel. 095 7306209
Ufficio
Stazione Centrale FF.SS.: tel. 095 7306255
Ufficio
Aeroporto: tel. 095 7306266 - 095 7306277
Ufficio
via Etnea, 63: tel. 095 311768
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FARMACIE
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AI
MINORITI V. Etnea, 79 095-316784
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BARTOLOTTA
GIOVANNA P.zza Carlo Alberto, 18 095-327570
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BRUNETTO
MARIA ANGELA V. Etnea, 39 095-311408
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CAFFO
ANGELA V. Etnea, 322 095-310208
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CALTABIANO
MAURO P.zza Stesicoro, 36 095-327647
-
CENTRALE
V. Etnea, 238 095-327563
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CHINES
P.zza San Domenico, 17 095-312885
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CONSOLI
SALVATORE V. Etnea, 400 095-448317
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CROCEROSSA
V. Etnea, 274 095-317053
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GIUFFRIDA
MICHELE V. San Gaetano alle Grotte, 40 095-322061
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ROMA
C.so Martiri della Liberta', 16 095-530003
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ROMEO
V.le Della Liberta', 57 095-537562
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SANT'EUPLIO
V. Sant'Euplio, 22 095-313150
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SICILIA
V. Francesco Crispi, 46 095-533998
Croce
Rossa - tel. 7312601 - Croce Verde - tel. 373333 -
493263 - Guardia Medica - tel. 377122 - 382113
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