da questi  Quattro Canti comincia la Via Etnea - sezione Borgo

Palazzo Ferrarotto Palazzo Magnano di San Lio

 

SALENDO SALENDO........................

Angolo con Via Sisto  

SALENDO SALENDO........................

 

SALENDO SALENDO........................

 

 

 

 

 

Palazzo Zappalà Asmundo  Fu commissionato a cavallo del 1900 dai coniugi barone Giuseppe Zappalà e Anna Grimaldi all’arch. Salvatore Sciuto Patti, figlio del più noto ingegnere Carmelo. La coppia si era sposata nel 1891 e si era rifiutata di abitare nel settecentesco palazzo di Via Zappalà Gemelli, nei pressi della Pescheria, tutt’ora di proprietà degli eredi, preferendo il nuovo edificio.

L’edificio visse alcuni anni di splendore in piena Belle Epoque, grazie all’attivismo dei giovani coniugi, che si distinguevano sia per opere di carattere culturale, sia assistenziale. Nel 1910, negli ambienti di rappresentanza del palazzo, fu inaugurato il “Teatro Minimo”, un raro esempio di teatro “privato” allestito con particolare gusto estetico per offrire alla nobiltà cittadina raffinati spettacoli, soprattutto musicali e di autori catanesi.

 

 

Il prof. Antonino Blandini racconta che per la “prima” fu scelto il mimodramma “Josette” di Maria Maniscalco, musica del conte Vito Paternò del Grado, con prove dirette da Giovanni Verga che, come Pirandello, era amico personale dei proprietari. Fra gli interpreti il barone Giovanni Rosso di Cerami e Anna Paternò del Grado. Successivamente andarono in scena l’opera buffa di Donizzetti, “Betly”, con la direzione di Francesco Grimaldi Fiorini e gli scenari di Alberto Paternò Castello di Carcaci e il melodramma “Nina pazza per amore” di Pierantonio Coppola.

Sempre dal prof. Blandini apprendiamo che “in quello stesso felice anno venne ultimato il naturalistico Giardino d’Inverno che – assieme al teatro, al salotto stile impero, alla fureria, al salone da ballo, alla ieratica cappella, che gareggiava per decoro e simbolismo estetico con la vicina chiesa del SS. Sacramento, segno della loro intensa pietà religiosa – costituiva il cuore del piano nobile”.

Oggi il palazzo, costituito solo dal piano nobile che sormonta un piano di basse botteghe, è quasi del tutto abbandonato e del Giardino d’Inverno non si intuisce neanche la collocazione.

(Giambattista Condorelli)

http://www.girasicilia.it/piazza-cavour-borgo-catania/

Palazzo Zappalà Asmundo

 

C'era una volta a Catania la TORRE ALESSI ......DEMOLITA

Sorgeva tra via Alessi,via Salvatore Paola e via Ciccaglione in un'abitazione privata una magnifica torre panoramica voluta dal proprietario da cui prese il nome che penso di far costruire una torre per permettere a catanesi e turisti una vista panoramica sulla città pagando un biglietto per salir su.L'idea fu subito messa in pratica e cosi nel 1896 s'innalzo' questo capolavoro su progetto del noto architetto milanese Carlo Sada.

Fu un gran successo e sulla terrazza sali molta gente per ammirare Catania ma purtroppo nel 1963 la struttura fu demolita dall'abuso edilizio e pare anche che risulto' rischiosa dopo la legge sui suicidi......

Lo scrittore-giornalista Vitaliano Brancati nel suo romanzo"Gli anni perduti"ambientato a Catania fa una precisa descrizione della Torre Alessi:

-la guglia verde,di stile moresco,era sostenuta da 9 colonnette.Sotto la terrazza,l'architrave era dipinto in oro,e il fregio,ricamato di sfere oblunghe,brillava di verde mare.Il balcone del secondo piano era di forma triangolare,precisata in un perfetto triangolo da contorno,il cui vertice era sormontato da un rosone;lo zoccolo era tondo,e per mensola aveva un gran fiocco di pietra che terminava in una nappa.Il primo piano e il terzo eran trapassati dal cielo d'oriente e da quello d'occidente,per via di 2 finestrelle a mezza luna che,aperte nelle due opposte pareti e lasciate prive di imposte e di vetri,combaciavano come,nella mente,le immagini dei due occhi.La scala avvolgeva la torre,con giri larghi e drappeggiati dal muro.Salendo,si aveva l'impressione di mettere il piede sopra un cielo che stesse per spezzarsi come il ghiaccio che crocchia.Pero',chi saliva,quella sera,non si fermava piu né al primo piano ne' al secondo,ma arrivava sino in terrazza; perché la scala era tutta rifinita;la torre non attendeva più niente dalle martelline degli operai.-(V.Brancati)

https://www.youtube.com/watch?v=gt8YSefkIaU

 

 

Le origini del pezzo di città che costituisce la terza Municipalità sono tra le poche che possono essere indicate con sufficiente certezza: nel Maggio del 1669, poche settimane dopo la violenta eruzione che, sgorgata dai Monti Rossi, era giunta fino a Catania, lambendo le mura di fortificazione di Carlo V e il castello Ursino, e riversandosi poi in mare, il vescovo di Catania aveva donato dei terreni posti a nord della città perché potessero insediarvisi i profughi dei casali distrutti.

I nuovi insediamenti presero il nome di Borgo e Consolazione e rappresentano la prima espansione extra-moenia della città. Appena sei anni dopo, nel 1675, la popolazione del Borgo ammontava già a circa il 10% della intera popolazione cittadina. Ciò nonostante, non veniva avvertita la necessità di unire i sobborghi alla città murata.

Questa esigenza non venne posta neanche con il piano di ricostruzione del Duca di Camastra elaborato dopo il terremoto del 1693; piano che, appunto, non prevedeva alcun superamento della cinta muraria. Eppure, fin dai primi anni successivi al terremoto, la processione di Sant’Agata era stata prolungata fino al Borgo dove esistevano due chiese dedicate alla Santa.

Perché abbia inizio il lento processo di conquista alla città dei terreni posti a nord della porta di Aci occorre attendere la costruzione dell’Ospedale S. Marco (allora collocato nell’edificio posto sul lato nord dell’attuale piazza Stesicoro, tra via Etnea e via Sant’Euplio), immediatamente a ridosso della porta e del Conservatorio delle Vergini, edificato per volere del marchese Paternò Castello proprio in prossimità del villaggio.
Dal rilievo di S. Ittar del 1832 si ricava che a quella data Borgo e Consolazione hanno ancora un carattere suburbano con l’edificazione concentrata esclusivamente lungo le strade; i due assi che collegano la parte più antica della città al tondo Gioeni, via Etnea e via Caronda, però, hanno ormai definito i primi isolati proprio in corrispondenza del Piano del Borgo sul quale si affacciano due chiese.

 

Piazza Cavour

 

Il vecchio villaggio cresciuto attorno all’asse di via Consolazione presenta quel sistema di case a doppia schiera che G. Dato ha individuato come caratteristiche dei quartieri subalterni della Catania del XVIII secolo. Si tratta di raggruppamenti di case terranee monocellulari disposte sui lati lunghi di un cortile comune rettangolare segnato, sulla strada, da un arco. L’organizzazione degli spazi ha fatto pensare a vere e proprie microlottizzazioni rappresentative di condizioni socioeconomiche di estrema povertà. Nei decenni successivi la continua creazione di isolati a ridosso di Via Etnea, e la loro progressiva saturazione, non riducono ancora la segregazione di questi sobborghi rispetto alla città murata. Anche B. Gentile Cusa, pur prevedendo un’importante espansione a occidente della via Etnea, destinata alla gente che poteva "dimorare in posti lontani dal movimento  commerciale", esclude qualsiasi integrazione immediata della nuova struttura urbana con i tessuti miserrimi preesistenti, anzi individua la via della Consolazione, insieme ad un asse est-ovest da realizzare in direzione di Cibali, come circonvallazione della zona di più remota edificazione, mentre la zona di prima edificazione si arresta alla via Monserrato e al suo prolungamento verso ovest.
Nel corso di questo secolo, le cattive condizioni del tessuto edilizio di Consolazione al Borgo ne hanno fatto uno dei quartieri dei quali si è più volte proposto il risanamento con gli strumenti più diversi. Nel 1947 fu elaborato dall’Arch. G. Nicotra un piano di ricostruzione che prevedeva di infittire la maglia dei grandi isolati del piano di Gentile per favorire la edificazione anche al loro interno e per agevolare l’ulteriore espansione occidentale della città.

Il piano non venne approvato, ma nel PRG del 1952 la forte pressione speculativa portava ancora una volta alla scelta di inserire i due sobborghi all’interno della zona destinata ad edilizia intensiva. Si trattava di un espediente per innescare processi di sostituzione drastica del patrimonio edilizio come, peraltro venne fatto nel quartiere di S. Berillo che presentava morfologia simile a quella di Consolazione al Borgo. Nel 1966 viene espletato un concorso per la ristrutturazione del Borgo che viene allegato al PRG di L. Piccinato. Esso include in zona A solo la parte di tessuto, in vero assai marginale, di cui si riscontra l’esistenza nel rilievo di Ittar, mentre il resto viene inglobato nella B senza ulteriori modifiche rispetto alle previsioni del PdF del 1962 dove quella parte era stata individuata come zona destinata al ceto medio e ad ospitare edilizia semintensiva.

 

 

Piazza Cavour - La fontana di Cerere

 

Fu scolpita nel 1757 da Giuseppe Orlando e collocata in Piazza Università. Una lapide ogivale ricorda che allora era Re Carlo III di Borbone e i senatori che la commissionarono erano Pietro Galletti, Giovanni Riccioli, Alessandro Clarenza, il marchese di Salazar e Domenico Anzalone.

Il popolino la scambiò per la Dea Pallade e per tale motivo cominciò a chiamarla “a tapallara”. La sua identità è però certificata da un’iscrizione in latino, posta in basso, che ci riferisce che un tempo Cerere, della delle messi, “dettò leggi e miti alimenti alle terre; ora ricordandosi della patria, dal marmo fa piovere la ricchezza”.

Ma, a dispetto della nobiltà delle intenzioni dello scultore, questa statua al popolino non piaceva proprio, soprattutto per la posizione poco elegante assunta dalla dea, fortemente ancheggiante, più adatta ad una sciantosa che non ad una signora e perciò ad essa ci si cominciò a riferire come esempio negativo per le ragazze del quartiere che si atteggiavano, sfrontatamente, nella stessa maniera. Di queste ragazze si diceva “aù, pari a tapallara d’o Buvvu!”

(Giambattista Condorelli)

http://www.girasicilia.it/piazza-cavour-borgo-catania/

 

 

IL BORGO

La strada più lunga della città settecentesca,quella dritta come una lama di Toledo,che taglia la città dal mare alla montagna, doveva essere decorata - secondo le previsioni del Camastra - da almeno tre sontuose piazze,lungo il suo tracciato. Naturalmente, senza contare i punti di partenza e d'arrivo, il Piano di Sant'Agata e il Largo Gioeni.

Dopo Piazza Studi e piazza Stesicorea - che presero forma e consistenza nei primi vent'anni del Settecento - venne la volta dell'attuale piazza Cavour la quale, in verità, s'era affacciata alla ribalta della storia patria 24 anni prima che giungesse il Camastra, vale a dire nella primavera del 1669,quando Catania si trovò a dover accogliere, dall'oggi al domani, i profughi dei paesi etnei minacciati dalla lava.

Così, il PIANO DELLI FURCHI (in quel sito erano state rizzate delle forche,specie nel Cinquecento, quando la mano della giustizia si abbattè pesante sui rivoltosi catanesi) andò trasformandosi in un sobborgo, in prevalenza abitato da povera gente, bisognosa di tutto.

In quella drammatica circostanza, la municipalità e la curia arcivescovile non si persero di coraggio.

Il primo problema che bisognava risolvere era quello della sistemazione dei profughi.

Dove alloggiarli? In quale luogo sistemarli?

Si pensò subito all'ampia distesa di terreni appena fuori della città, sulla direttrice della strada Stesicorea. Erano terreni brulli, colti,sciarosi, con soltanto alcuni casolari rustici e qualche villa signorile. Il luogo si prestava,dunque, per l'impianto d'un campo profughi;e l'opera di assistenza cominciò senza indugi,sotto la spinta generosa del vescovo Bonadies e del canonico Giuseppe Cilestri.

I catanesi fecero a gara per aiutare quei poveretti;e non soltanto li provvidero dei mezzi necessari alla sopravvivenza, ma si adoperarono anche perché non mancasse loro l'assistenza religiosa, ritenuta di fondamentale importanza in quella triste evenienza.Fu così che nella spianata del Borgo sorsero due chiese,una di fronte all'altra.

Ma quando i guasti dell'eruzione - sia nei paesi etnei, sia in città - potevano dirsi ormai riparati,ecco sopravvenire un'altra catastrofe:il terremoto dell'11 gennaio 1693. Fu il colpo di grazia. Quella volta sparì anche il Borgo, con le sue case e le due chiese ancora odorose di calcina.

Come si diceva in principio, arrivato il Camastra e avviata l'opera di ricostruzione, anche l'ex piano delle Forche risorse ben presto a nuova vita.

Le chiese furono fra le prime ad essere rifatte.

Nel 1709 quella intitolata a Sant'Agata era già ultimata e quella del SS.Sacramento in fase di costruzione.

Sorta nello stesso posto di prima, ma più grande, la chiesa di Sant'Agata simboleggiò la tenacia di quella gente, capace di risollevarsi dalle due catastrofi succedutesi in così breve volger di tempo.

L' epigrafe che campeggia sul partito centrale della prima chiesa è indicativo di questo stato d'animo.

Essa dice:<<Dopo l'eruzione dell'Etna, insignito del nome trionfale di Agata, eretto con danaro piamente offerto,consacrato dal vescovo Carafa, distrutto dal terremoto, [ questo tempio ] rivive con più magnificenza in perpetuo. Anno del Signore 1709>>

In prosieguo,sì cominciò a pensare ad altro. E un bel giorno arrivò l'acqua potabile, e con l'acqua arrivò pure un pubblico lavatoio, costruito a ponente della piazza, sulla traiettoria di quella stradetta che si chiamerà appunto via Lavatoio.

Qualche tempo dopo,gli abitanti del Borgo ebbero la sorpresa di vedere impiantate nel bel centro della piazza una fontana monumentale:una vecchia fontana, con una brutta statua, che loro ben conoscevano per averla già vista al Piano degli Studi.

Perché ora la trasferivano al Borgo?Che dovevano farsene?

Perché non la lasciavano dov'era sempre stata?

No,al Borgo non ce la volevano.Poi,qualcuno cominciò a fare opera di persuasione, e si seppe che la fontana, a differenza delle altre che stavano in città, consentiva di potervi liberamente attingere;si seppe che la TAPALLARA non era così brutta come veniva dipinta, e che anzi, per la precisione, non della dea Pallade si trattava ma di Cerere, che è tutt'altra cosa, essendo questa una dea generosa, che porta bene, che aiuta a vivere, quale protettrice delle messi.

 

Palazzo Porto Sollima

 

Non vi era forse scritto, sulla base della stessa statua, che la dea <<...ricordandosi della patria, dal marmo fa piovere la ricchezza?>>

Diversamente, che significato avrebbero avuto quella falce e quelle spighe sbandierate in alto?

A poco a poco, gli animi si placarono,la fontana venne accettata,e al Borgo ebbero un motivo di più per sperare nella buona sorte..

Infatti, nella prima metà dell'Ottocento, qualcosa fu fatto a favore di quel rione. Il fondo della piazza livellato,installati dei sedili, messi a dimora numerosi alberi, non solo per abbellimento della piazza stessa, ma anche <<....a commodo del popolo, per iscamparsi i raggi del sole nei tempi estivi....>>

Nel 1876,poi,in occasione della traslazione della salma di Bellini da Parigi a Catania, il Borgo visse giorni memorabili.

La parte più spettacolare e significativa dell'eccezionale cerimonia avvenne, infatti, al Borgo dove fu allestito un arco monumentale, sotto cui sfilò l'imponente corteo con la salma del Cigno.........<<.....Non appena scoccata l'una p.m. i balconi cominciarono a riempirsi;il popolo a piedi ed in carrozzelle si portava al Borgo per osservare il preparato carro,consistente in arazzo di velluto nero fregiato in argento e nel mezzo ricamato in oro il nome di Bellini.....dietro il carro innalzavano lunghe aste con le bandiere delle principali città ove si rappresentarono gli spartiti di Bellini.....>>

Ciò che si poté ammirare al Borgo in quella memorabile giornata di settembre - continua il cronista - era tanto fuori dell'ordinario da non potersi descrivere.

Il carro funebre <<.....non carro parea, ma trionfo di gloria, tirato da tre quadrighe attaccate a cavalli baldati di velluto nero dalla testa a tutto il corpo,con pennacchio bruno, e la briglia tenuta ,per condurli ,da quindici giovani vestiti coi costumi del XIV secolo, in velluto ricamato, portanti in petto lo stemma della città......seguivano tutte le Società, le Rappresentanze, i Circoli con le bandiere, i Magistrati, i Consoli in uniforme......>>

Insomma, quel giorno al Borgo c'era Bellini e con Bellini c'era tutta Catania. Un avvenimento unico, destinato a non più ripetersi.

Passata la festa, tolti festoni e bandiere, demolito l'arco trionfale, la piazza cadde in un vistoso abbandono, talchè,all'inizio del corrente secolo, lo troviamo senz'acqua, senza alberi,senza sedili, senza luce.

<<Il Borgo è a Catania o in un altro mondo?>>scrivono nel 1913 alcuni cittadini, in un'accorata petizione al sindaco De Felice. Le strade sono piene di fosse,manca un servizio di nettezza urbana, mancano le fontanelle, non vi è una scuola, manca la luce elettrica. E chiedono con insistenza:<<....perché le lampade apparse in via Stesicoro-Etnea non sono ancora arrivate in piazza Cavour?Perché questo natio borgo selvaggio è ancora illuminato a petrolio?>>

Passeranno diversi anni prima che i sottoscrittori della lettera trovino credito alle loro istanze.

Intanto, la dea Cerere, rimasta al buio e all'asciutto anch'essa ,apparve agli occhi di quella gente più brutta di quanto in effetti non fosse mai stata.

E il nome di TAPALLARA - come un po' per scherno un po' per scherzo la chiamava il popolino - non glielo tolse più nessuno.

(di Lucio Sciacca, da "Catania com'era",1974)

 


Ma la terza Municipalità presenta al suo interno anche tessuti del tutto diversi da quelli derivati dai sobborghi di Borgo e Consolazione. A est di via Caronda sono infatti alcuni dei quartieri più prestigiosi della città tardottocentesca e dei primi anni del XX secolo. K Gentile Cusa, infatti, aveva destinato le aree orientali alle espansioni e all’alta borghesia, con il viale Regina Margherita che incrociava via Etnea con una larghezza identica per poi allargarsi ulteriormente in corrispondenza di piazza Trento e di piazza Verga. Peraltro il collegamento con l’ingresso di Villa Bellini avrebbe fatto sì che il viale diventasse la vera promenade cittadina. Nella maglia definita da Gentile non trova spazio il percorso già esistente della Circumetnea che, con il suo andamento da sud-est a nord-ovest, rappresenta una discontinuità nello schema ortogonale.

Questa parte del tessuto urbano catanese, in parte realizzata prima della seconda guerra mondiale, è stata completata con le densità edilizie enormemente più elevate dei condomini multipiano degli anni cinquanta e sessanta. Dal punto di vista delle attrezzature, a quelle importantissime realizzate a partire dagli anni Trenta, come il Palazzo BORGO-SANZIOdi Giustizia e la sede delle facoltà scientifiche, si sono aggiunte quelle più recenti come la Pretura unificata, realizzata sempre in prossimità della ex piazza d’Armi. Nel frattempo, però, qualcuna ha cessato di esistere: è il caso del campo di calcio che occupava la parte meridionale proprio di piazza d’Armi, utilizzato fino alla realizzazione dello stadio di Cibali. Dal punto di vista residenziale, la parte orientale della terza Municipalità presenta sia alcune grandi ville art nouveau, come Villa Manganelli, sopravvissute alle sostituzioni degli anni del sacco edilizio, sia isolati costituiti da case da pigione prevalentemente realizzate fino agli anni Trenta, sia tessuti di più recente realizzazione.

E’ una parte della città dignitosa, in alcuni casi prestigiosa, che con la progressiva crisi della funzione commerciale di via Etnea si è sempre più configurata, oltre che come quartiere residenziale alto borghese, anche come area commerciale.

Contributo editoriale tratto dal volume : "Catania - I quartieri nella metropoli" a cura di Renato D'Amico - ed. Le Nove Muse

http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/municipalit%C3%A0/borgo_sanzio/Il_Tessuto_Urbano.aspx


 

 Sant'Agata al Borgo Santissimo Sacramento al Borgo

 

S. Agata al Borgo 

 

La chiesa di sant'Agata al Borgo è situata a Catania sulla piazza Cavour o come dicono i catanesi 'u bbuggu.
La prima chiesa venne costruita nel 1669 dopo l'eruzione dell'Etna che distrusse Catania in quell'anno. Demolita dal terremoto del 1693, fu ricostruita a spese dei fedeli nel 1709.

La chiesa è a pianta rettangolare ed il prospetto è in muratura. Ha una torre campanaria quadrata, inserita sul lato destro della chiesa, con orologio e quattro campane. Sulla porta d'ingresso è un busto di sant'Agata, mentre ai lati del portone d'ingresso sono due statue in pietra lavica dell'Etna rappresentanti san Pietro e san Paolo. L'interno è ad una sola navata ed ha la volta affrescata con scene relative a Sant'Agata e a Sant'Euplio altro martire catanese. Sul primo altare di destra una tela di anonimo rappresentante sant'Antonio abate. Il secondo altare ha una nicchia in cui si trova una statua di san Giuseppe e sotto un quadro del Sacro Cuore di Gesù. Il terzo altare ha una tele dell'Immacolata Concezione.
Nell'abside, tutta affrescata dall'acese Giovanni Lo Coco con scene del martirio di sant'Agata sulle pareti laterali e del suo trionfo sulla volta, si trova l'altare maggiore con una immagine di sant'Agata e di Dio Padre. Il primo altare sulla sinistra di quello maggiore ha una piccola immagine della Madonna Addolorata. Il secondo altare è sormontato da una nicchia, come quello di fronte, con una statua antica di sant'Antonio mentre l'ultimo altare ha una grande tela che rappresenta le anime del purgatorio con la Madonna, san Francesco di Sales e santa Teresa.

 

 

 

 

ex Clinica Vagliasindi

 

 

PALAZZO SCANDURRA

(Piazza Cavour, anno di costruzione 1929,autore Francesco Fichera)

Nel tessuto di nuova espansione urbana a nord della città, nei pressi dei vecchi borghi suburbani che nel secolo precedente accolsero la disordinata immigrazione di masse contadine dalle campagne, il Fichera progetta nel '29,per soddisfare le richieste della nuova classe operaia e impiegatizia ,un edificio plurifamiliare di affitto, su lotto isolato che si affaccia sulla grande piazza Cavour.

Le caratteristiche richieste dalla committenza erano di economicità e decoro anche perché la piazza a quel tempo si presentava come un vasto ambito urbano, senza esigenze di rappresentanza, attraversato dalla via Etnea le cui architetture dei grandi palazzi nobiliari settecenteschi e di fine secolo non ne costituivano lo sfondo.

 

Palazzo Scandurra

Il Fichera, libero da vincoli stilistico-formali e nel rispetto delle norme edilizie ,costruisce la palazzina rispettando l'allineamento sul fronte strada e distaccando la costruzione dall'edilizia confinante, così da garantire l'illuminazione di tutti gli ambienti esposti sui quattro lati.

Originale e "moderno"negli esterni soggetti al pubblico giudizio ,l'architetto riserva una minore attenzione alla distribuzione interna (due appartamenti per piano posti simmetricamente rispetto il vano scala),priva di innovazioni dei modi della tradizione sia nella dimensione che nella distribuzione degli ambienti.

L' organizzazione compositiva della facciata, molto più interessante, rivela la componente decò dell'edificio che riprende lo stesso processo formativo di figure-parti sovrapposte usato dal Fichera nel coevo palazzo Maggi-Pidone.

Gli arricchimenti decorativi che danno forma al linguaggio espressivo non hanno più la forza dei motivi barocchi ,che ormai schematizzati in geometriche forme di ornato costruttivo ,sottolineano le parti strutturali (lesene,marcapiani, stipiti e architravi di vani di apertura)dell'edificio, vivacizzandolo di forza formale .

La piana superficie della parete di fondo, dall'intensa cromia, viene così animata da una plastica decorazione intesa come effetto luministico di ombre più o meno profonde, mutevoli con il variare della luce naturale, prodotte dalle sottili trame degli elementi bugnati a lastre di pietra sovrapposta che, contornando le mostre delle aperture le lega tra loro in un'unica "figura "che ritma verticalmente e ordina la configurazione.

Nel trattamento della soluzione d'angolo, per distruggere la stereometria della costruzione ed eliminare le giunzioni ad angolo retto, il Fichera smussa con un piano a 45° lo spigolo del primo e secondo piano dell'edificio inserendo soluzioni di balconi angolari con trifore classicheggianti ,risemantizzate decò, che formano delle "piccole quinte teatrali "che si legano, in continuità formale alle facciate laterali e a quella di "parata"sulla piazza.

L' edificio nella sua totalità, seppur massivo,si inserisce nell'assetto urbano ostentando una sobrietà particolare, non priva di originalità, rivelandosi un prodotto dell'ingegno creativo del Fichera, culturale, sociale e di costume, non solo un "prodotto "d'uso .

(Descrizione di Mariateresa Galizia da "L' ambiente urbano di Catania nel '900")

Milena

 

 

 

Palazzo Paternò (ex Collegio Sacro Cuore)

 

 

 

CONSERVATORIO DELLE VERGINI AL BORGO (A Badiedda)

 È oggi sede universitaria ma la sua origine risale al 1700 quando nacque come educandato.

La sua storia nel racconto di Francesco Paternò Castello duca di Carcaci: "Conservatorio delle vergini al Borgo:strada etnea n.202;fu fondato nel 1700 da un individuo della famiglia Biscari:ha spazioso fabbricato, chiesa frequentatissima dagli abitanti del quartiere, poca o nessuna rendita. Alle alunne che vi soggiornano i proprii parenti apprestano il sostentamento, l'opera ad esse non offrendo che il semplice albergo. Si governa lo stabilimento da una commissione di due laici ed un ecclesiastico:gli attuali componenti la stessa stanno spiegando il loro zelo per dargli forma migliore introducendovi vita comune, arti,disciplina e subordinazione ad esempio de' due sopra descritti.

Nella chiesa sonvi un quadro di Madonna ed un volto di Cristo non iscevri di pregio."

Al suo interno ,un'epigrafe marmorea ne ricorda la fondazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Villa Consoli Marano

Via Etnea, 569  «La villa, progettata da Salvatore Giuffrida su commissione dell’industriale Consoli Marano, è composta da due corpi parallelepipedi collegati da una serra in ferro e vetro. Il prospetto principale è impostato su un alto basamento a ricorsi intervallati da listelli orizzontali in pietra bianca. L’ingresso dell’edificio, rialzato e accessibile attraverso una scala, è collocato all’interno di un arco ribassato posto sul prospetto principale. Le pareti esterne presentano la superficie muraria liscia e sono arricchite da un balcone continuo con ringhiera sul quale si affacciano finestre incorniciate da pietre da taglio. Nel giardino della villa sorge un padiglione (chalet) di fine Ottocento, attribuito dagli eredi di famiglia all’architetto Filadelfo Fichera (1850-1909), che si mostra a pianta rettangolare con copertura spiovente, rialzato ed accessibile mediante una scalinata in marmo. Il prospetto principale è riccamente decorato da rilievi figuranti scene di caccia, elementi floreali e statue di nudi femminili».

 

 

casa di Mario Rapisardi

 

Mario Rapisardi (Originariamente Rapisarda. Rapisardi si chiamò poi, in sottinteso omaggio a uno dei suoi autori preferiti, Leopardi) nacque a Catania il 25 febbraio 1844 in via Penninello 33 -traversa di via Etnea-. Nel marzo 1883 andò ad abitare nella zona di piazza S. Maria di Gesù, esattamente nel villino Caudullo, in via Cifali, e là rimase fino al luglio del 1885. Gli ultimi decenni della sua vita li trascorse nella casa di via Etnea 575"...aerea la casa spazia/fra gli orti e i campi aprici,/fra l'Etna e il mare, i miei due grandi amici".

http://www.nilalienum.com/Gramsci/Rapisardi.html

 

 

 

 

 

L'opera più “brasiliana” di Paolo Lanzerotti (1875-1944)

 

 

Lo stile dominante del primo novecento catanese è certamente il liberty. Ernesto Basile, Francesco Fichera, Tommaso Malerba e Paolo Lanzerotti sono i principali esponenti del liberty catanese. Nella città dell’elefante, infatti, nella prima metà del XX secolo vengono costruiti numerosi edifici che sono l’emblema di questa nuova corrente architettonica. Tra questi, spicca quello di via Etnea: la Villa Zingali Tetto.

Progettata dall’architetto Paolo Lanzerotti, la villa Zingali Tetto rappresentava il simbolo dell’avvento del liberty a Catania. Si trattava di un edifico di dimensioni considerevoli, composto da un solo corpo centrale a più piani e con delle terrazze che si affacciavano lungo tutta via Etnea. Vi era anche un giardino all’inglese, con numerose fontanelle e piccoli caseggiati.

Nella parte più esterna, vi era un folto agrumeto. Si potrebbe pensare che una reggia di così vaste dimensioni fosse abitata da diverse persone. Invece, la villa era abitata da una sola persona. Il fortunato era un avvocato, il signor. Zingali Tetto, per l’appunto. Non ebbe mai una consorte e non lasciò alcuna eredità. Probabilmente visse all’interno della villa fin dopo la prima metà del secolo. Ma alla sua morte, che né fu di questa bellissima residenza?

Dopo la morte dell’avvocato Zingali Tetto, la villa rimase chiusa per un determinato periodo, ma verso la fine degli anni settanta, precisamente nel 1976, diventa di proprietà dell’Università di Catania. Da quel momento, all’interno dell’edificio si organizzarono degli eventi per cercare di ridare lustro a questo bellissimo palazzo novecentesco. Furono pianificate delle mostre al suo interno e solo negli ultimi anni si è pensato ad un connubio tra lo stile dell’edificio ed i principali fautori di quest’ultimo. Da allora, al suo interno sono conservati i principali prospetti su tavola e i più rilevanti lavori di tre grandi architetti di quel periodo: il Fichera, il Piranese e lo stesso Lanzerotti che fu anche l’architetto della villa.

Negli ultimi anni l’edificio è divenuto sede del “Mura”, ovvero il Museo della Rappresentazione. Dopo diverso tempo in cui la struttura è rimasta chiusa al pubblico, recentemente, la villa è stata riaperta per accogliere i catanesi desiderosi di conoscere luoghi nascosti o poco conosciuti. Periodicamente l’edificio viene reso accessibile lasciando a bocca aperta numerose persone per la sua bellezza, la sua eleganza e la sua immensità.

 Davide Villaggio

 

 

Polo Tattile Multimediale - Inaugurato nel mese di marzo 2008, il Polo Tattile Multimediale rappresenta la naturale estensione della Stamperia Regionale Braille verso la società e il pubblico dopo trent'anni di attività. In un palazzo del 1700 totalmente ristrutturato, sulla principale via di Catania, sono ospitati cinque siti di grande valore culturale e sociale che si propongono come punto di incontro, di conoscenza, di sensibilizzazione e di informazione non solo per i non vedenti ed ipovedenti ma anche per i vedenti.

Via Etnea, 602

Caratteristica che lo rende unico in Italia e in Europa è che in 2000 metri quadri, in una sola struttura, sono state condensate attività ed iniziative sparse singolarmente nel resto del continente:

• uno Showroom di articoli tiflotecnici e tifloinformatici unico in Italia,

• un Museo Tattile arricchito da riproduzioni di sculture e modelli architettonici tridimensionali

• un Bar al Buio, dove il non vedente diventa accompagnatore e guida del vedente

• un Giardino Sensoriale, ricco di profumi ed essenze tipiche della Sicilia

Nel giro di pochi anni il Polo Tattile Multimediale è diventato un punto di riferimento per tantissimi non vedenti ed ipovedenti, ha ospitato diverse iniziative come la Giornata Nazionale del Braille 2009 e 2010, il festival Minimondi (Libri per ragazzi), Cene al Buio e premiazioni Lions. Ogni settimana numerose scolaresche giungono da tutte le parti della Sicilia per visitare la struttura e avvicinarsi così al mondo della cecità e delle sue problematiche.

http://www.stamperiabrailleuic.it/

 

 

L'Istituto dei Ciechi "Ardizzone Gioeni" nasce negli anni '90 per un atto di liberalità del filantropo Tommaso Ardizzone Gioeni che, con testamento segreto del 10 marzo 1884, erigeva ad erede universale del suo ingente patrimonio un Ospizio-Spedale "in sollievo dei Ciechi indigenti d'ambo i sessi''. La costruzione doveva aver luogo secondo "il miglior sistema che per dette opere avranno adottate le primarie città d'Italia". L'Opera venne progettata  da due tra i migliori architetti dell'epoca, Filadelfo Fichera ed il di lui figlio Francesco che, alla morte del padre, la portò a compimento. L'Istituto fu consegnato ai catanesi il 30 maggio 1911, inaugurato dai Sovrani d'Italia Vittorio Emanuele III ed Elena di Montenegro, alla presenza del Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti e del Cardinale Giuseppe Francica Nava.

Tommaso Ardizzone Gioeni nacque a Catania il 29 settembre 1803 da Nicolò, Barone di San Vito e da Isabella Gioeni. Sposò Marianna Anzalone figlia del barone Nicolò Anzalone. Della vita sua, riservata e schiva, si hanno poche notizie. Sappiamo, invece, per certo che fu non soltanto un generoso filantropo, ma anche un lungimirante fondatore avendo avuto cura, nel corpo del testamento, di conservare l'integrità dell'ente vietandone l'ingerenza altrui, sia mediante aggregazioni di altre Opere Pie, che con sussidi o rendite di enti che avrebbero potuto reclamare diritti nell'amministrazione della fondazione.

 

Palazzo Ardizzone Gioeni

 

 Nel testamento Ardizzone Gioeni dettò le regole necessarie per la nascita della fondazione, per la nomina dell'esecutore testamentario e della prima fidecommissaria, che venne costituita il 14 aprile del 1894, anno della sua morte. La fidecommissaria, onorando la volontà del testatore, avviò il procedimento di riconoscimento della fondazione come Istituzione di Pubblica Assistenza e Beneficenza ai sensi della legge 17 luglio 1890, n.6972, riconoscimento che fu dato con R.D. del 31 marzo 1895, con cui il re Umberto I innalzava la fondazione in Ente Morale.

In tutti questi anni, quasi un secolo, centinaia di ciechi provenienti dalla Sicilia e da varie regioni del meridione d'Italia hanno trovato ricovero, cura e assistenza, salvati dall'incuria e dal pregiudizio di una società che all'epoca non era ancora pronta ad assumere, quale dovere morale e civile, la cura di soggetti colpiti da un grave handicap. "I ciechi avranno vitto, letto, vestimento completo, servizio e quant'altro potesse occorrere loro sia in stato di sanità she di malattia".

Il lavoro che l'Istituto in questi anni ha svolto ha consentito a moltissimi ciechi di entrare a pieno titolo nella società, ma il suo compito non si è di certo esaurito perchè i programmi futuri sono talmente importanti per i non vedenti che daranno a tutti, amministratori ed operatori, l'energia necessaria per continuare la grande opera morale di Ardizzone Gioeni.

http://www.ardizzonegioeni.it/classica/istituto/il-nostro-istituto.html

 

il Parco Gioeni è uno dei più importanti parchi di Catania ed è ubicato a nord della circonvallazione alla fine della via Etnea.

La prima volta che si parla della costruzione di un parco nella zona del Tondo Gioeni è nel 1931 quando il progetto venne incluso in un piano regolatore della città redatto dall'architetto Michelangelo Mancini. Il progetto venne approvato nel 1942 ma, a seguito della seconda guerra mondiale, finì per non avere attuazione. Il progetto venne più volte ripreso nel dopoguerra ma non riuscì mai ad essere realizzato. Sotto la sindacatura di Ignazio Marcoccio, nel 1972, si arrivò finalmente all'approvazione del progetto e quindi all'inizio dei lavori che vennero realizzati con tre finanziamenti successivi della Regione Siciliana. Il parco fu completato a metà degli anni novanta del XX secolo dopo oltre sessant'anni dal primo progetto.

 

 

 

Il parco ha una superficie di circa 75.000 metri quadri ed è più esteso del Giardino Bellini. É il più grande parco di Catania ed è realizzato su di un terreno di natura vulcanica. Realizzato su di una collinetta, ha una vegetazione del tipo della macchia mediterranea con essenze autoctone  come l'ulivo, la buganvillea, l'oleandro, l'agave e il fico d'india. I vialetti ed i manufatti sono realizzati in pietra lavica dell'Etna. Il parco è attrezzato con aree giochi per i bambini, panchine e vialetti. Nell'area esistono anche dei ruderi dell'antico acquedotto dei Benedettini.

 

 

 

I Gioeni e il Tondo

L'affresco del mondo catanese antico rivela gradevolissime tonalità, sostenute da elevate fluenze storiche in un cromatismo assai accattivante. L'insieme del paesaggio è davvero delizioso ed era certamente superlativo quando, ancora vergine, non lo tormentavano le contorsioni celebrali dei costruttori in cemento. Sin dal Tondo Gioeni ci si schiudono graziose ville ecchieggiati tra il verde, che avvalendosi di uno stile semplice ed elegante evidenziano freschezza e genialità di tocco. Tondo Gioeni è il movimentato piazzale che si apre al vertice della nostra città, dal quale si diramano quasi a ventaglio la settecentesca Via Etnea e gli eleganti nuovi vihttps://www.mimmorapisarda.it/2023/tondo.jpgali Odorico da Pordenone e Andrea Doria. La veduta più fascinosa che si presenta guardando di lassù è il mirabile rettilineo di duemilaottocento metri della principale arteria cittadina, sorta dopo il terremoto del 1693 secondo il piano di Giuseppe Lanza Duca di Camastra su progetto dell'ingegnere Carlo De Grunembergh.

Uno dei più quotati lirici della scapigliatura, il Camerana i cui versi a dir di Benedetto Croce "sono tanti tocchi di pennello, di un pennello di un impressionista"' (1) ce la presenta in un turno di incanto:

"Una ondulazione alta d'argento

silenziosa nella trasparenza

notturna; una nival magnificenza

diafana nell'aria senza vento;

una ondulazione di monumento

bianca e suprema una fosforescenza

lunar sotto la astral fosforescenza

diafana nell'aria senza vento;

tale in sua Tregua il bieco Etna regnava.

Sul gran carro era l'orsa; il formidabile

nel ponente Orion superbo ardea.

E ardea, nel pian, Catania. Rutilava

laggiù, come una sbarra interminabile

di fuoco e d'oro, la immane strada Etnea". (2)

Oltre che delle proprietà catanesi i Gioeni furono padroni di numerosi altri feudi quali: Castiglione e Barruso sin dal '300, Miraglia nel 1453, S. Dimitri nel 1631, Valcorrente nel 1645 Aidone, Burgio e Monteallegro nel 1671, Noara e Dammisa nel 1730; Rocca, Mottacamastra e S. Cono nel 1754. Sull'arme gentilizia dei Gioeni figura il Giglio di Francia, perché il casato ebbe inizio dal Re Carlo I - figlio di Luigi VIII di Francia e di Bianca di Castiglia, fratello quindi di S. Luigi IX - che ricevuti in appannaggio L'Angiò (Anjeu), nel 1263 accettò da Urbano IV il Feudo di Sicilia e nel 1266 conquistò il Regno di Napoli. Dopo la sommossa popolare dei Vespri contro i Francesi, alcuni membri dei D'Angiò, legati a Catania da particolari interessi escogitarono uno strataggemma: cambiarono nome.

Il motivo ce lo dà il Gaetani: (3) "Per levar via la memoria dell'odio che portavano i Siciliani ai Franzesi Angioini, si fecero chiamare Gioeni". A tale modifica arrivarono facilmente togliendo la parte iniziale della qualifica nobiliare"; è facile infatti da Angioini passare a Gioini e quindi a Gioeni.

 

(1) Bendetto Croce, " La letteratura della nuova Italia", Bari 1914, vol. I, pag. 278.

(2) Questo sonetto intitolato "Catania" di cui è autore Giovanni Camerana, fu pubblicato postumo da Leonardo Bistolfi a Torino nel 1907

(edit.Streglio), ripubblicato da Francesco Flora a Milano nel 1956.

(3) Francesco Maria Emanuele Gaetani, Marchese di Villa bianca, "Della Sicilia nobile", stampato con i tipi di Pietro Bentivegna, parte II, Palermo 1757.

 

 

 

 

 

Grotta del Tondo Gioeni

La cavità si trova all'interno del Parco Gioeni circa quaranta metri ad ovest dalla costruzione dove è collocato il distaccamento della polizia municipale. L'ingresso si trova all'interno di una depressione nei pressi del tubo di troppo pieno di un serbatoio d'acqua interrato e non è visibile da lontano.

Trattasi di una piccola cavità dovuta a fenomeni di scorrimento lavico. Costituita da un unico ambiente di non presenta particolari morfologie da rifusione. Degne di rilievo sono alcune lamine da distacco che si trovano lungo la parete sud della cavità. La grotta, data la posizione, si presterebbe all'allestimento di una serie di bacheche , dove esporre oggetti afferenti al vulcanismo e alla morfologia ipogea in ambiente vulcanico.

http://www.sicilie.it/sicilia/Catania_-_Parco_Gioeni

 

Il Comune restituisca decoro al parco Gioeni

CittàInsieme ha organizzato ieri pomeriggio la "Passeggiata nel Parco", con i partecipanti muniti di fotocamere per immortalare «le cose che non vanno» e pubblicare le foto più significative «sulla pagina Facebook». L'iniziativa è nata dopo l'ultimo recente incendio divampato al parco Gioeni.

«Nel silenzio generale, questo polmone verde sta prendendo a fuoco - dice una nota di CittàInsieme -. Due incendi a distanza ravvicinata hanno ridotto alcune parti del più grande parco cittadino in cenere. L'ultima volta che ci eravamo occupati del degrado del Parco era il febbraio 2012, avevamo documentato uno stato increscioso: panchine divelte e altre assorbite dal fogliame prorompente, l'ingresso non autorizzato di auto che non rinunciano a quel basolato lavico difficilmente pensato per loro, i giochi per i bambini in larga parte vandalizzati e ormai inutilizzabili, come anche i cestini per i rifiuti, incivilmente danneggiati. Cartoni di vino e siringhe sparsi ovunque, e la spazzatura che permette al nostro parco di spezzare con audacia le comuni tonalità della flora. E il buio, che al parco Gioeni arriva col tramonto e vi rimane fino all'alba del giorno dopo. Ma, come spesso accade nelle migliori tradizioni d'inciviltà, siamo riusciti a superare noi stessi. Perché non dare fuoco ad uno dei pochi (pochissimi) polmoni verdi di cui la nostra città può godere?

«Presto detto - prosegue CittàInsieme -. Due incendi a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro rappresentano plasticamente la situazione di degrado, abbandono, incuria e barbarie in cui è intollerabilmente sprofondata la nostra amata città. Il Parco Gioeni deve riprendere a vivere. Questa preziosa area verde ha diritto ad una seria e costante gestione. L'Amministrazione deve e dovrà fare la sua parte. Ma tutti noi ne possiamo essere gli artefici».

 La Sicilia, 25/06/2013

 

 

Fontana del Tondo Gioeni: scoppia la polemica sui social

5 giugno 2018Sofia Nicolosi

 

La chiacchieratissima fontana del Tondo Gioeni, inaugurata ieri mattina, continua a far discutere i catanesi sul suo valore estetico-monumentale e sugli effetti che il piano di circolazione, nel complesso, ha avuto sulla mobilità e sulla circolazione nel delicato snodo della città.

Habemus fontana. Dopo sei mesi di lavori, ieri mattina, è stata inaugurata la tanto attesa fontana del Tondo Gioeni. Costata circa 751mila euro, la fontana rientra nel progetto più ampio di riqualificazione architettonica e infrastrutturale dello snodo del Tondo Gioeni. La fontana, posta in Viale Doria, alla fine della via Etnea, dovrebbe richiamare la Fontana dell’Amenano, detta l’Acqua o linzolu situata in Piazza Duomo. Il motivo della fontana e dell’acqua rappresenterebbe quindi un filo conduttore tra l’inizio e la fine della via Etnea.

 Tuttavia, la fontana, realizzata con la pietra nera lavica, con la pietra bianca di Comiso e con la pietra rosa dei marmi di Custonaci, non è stata molto apprezzata dai catanesi. L’appellativo dispregiativo di “acquasantiera” è stato quello maggiormente utilizzato per commentare l’opera appena realizzata. Sui social è divampata una vera e propria polemica, e una montagna di critiche sono state rivolte all’Amministrazione per la realizzazione dell’ultima “bella minchiata”, stesso appellativo usato dai cittadini nei confronti di opere precedenti, considerate di cattivo gusto, come nel caso della nuova Piazza Europa, all’epoca della sua inaugurazione.

 

 

 Inoltre, in molti si sono accorti, non appena la fontana è stata messa in funzione, che l’acqua tendeva a uscire dalle vasche per riversarsi sul manto stradale della circonvallazione.

 Anche se, non sono mancati apprezzamenti al valore estetico della fontana, lodata soprattutto nella sua visione data dall’illuminazione notturna, sembra che i pareri negativi, per ora abbiano avuto la meglio.

 Eppure, la fontana del Tondo Gioeni, appena inaugurata, entra a far parte del prospetto di un grande giardino verticale, secondo in Italia solo a quello di Milano. Infatti, dopo l’abbattimento del ponte avvenuto quasi 5 anni fa, il Tondo Gioeni necessitava di un progetto di riqualificazione. Il progetto prescelto fu appunto quello di un giardino verticale, realizzato nelle via soprastante la fontana, con delle terrazze in Via Albertone, dove si ha accesso anche al celebre Parco Gioeni.

 Il progetto del Tondo Gioeni, però, lungi dall’apportare esclusivamente migliorie estetiche, è nato soprattutto per risolvere la complicata questione di traffico e congestione stradale che interessano la zona, divenuta impraticabile per gli automobilisti catanesi.

 Poco più di dieci giorni fa, difatti, ha preso il via il nuovo piano di circolazione che interessa proprio il Tondo Gioeni, con l’apertura della nuova bretella di via Castorina che si congiunge a Via Giuffrida. Da subito, il nuovo piano è apparso efficace a detta degli automobilisti. Nonostante siano in programma ulteriori lavori per fluidificare e ridurre il traffico, per il momento sembra che il Tondo Gioeni abbia subito sostanziali miglioramenti per la viabilità e la circolazione.

 

https://catania.liveuniversity.it/2018/06/05/fontana-tondo-gioeni-polemica-social/

 

L'orto Botanico di Catania

http://www.dipbot.unict.it/orto-botanico/

Risalente al 1858, si estende su una superficie di circa 16.000 mq. e riveste importanza come sede di alcune peculiari collezioni, quali le 'succulente', le 'palme' e le 'piante spontanee siciliane'.
Nel mondo esistono circa 1400 orti botanici e arboreti con oltre 100 milioni di visitatori l’anno. Una buona parte si trova in Europa e oltre una trentina, tra orti botanici universitari e non, in Italia.
Nel mondo esistono circa 1400 orti botanici e arboreti con oltre 100 milioni di visitatori l’anno. Una buona parte si trova in Europa e oltre una trentina, tra orti botanici universitari e non, in Italia.

L'Italia vanta un primato storico in fatto di orti botanici; le prime strutture di questo tipo, oggi non più esistenti, furono fondate in Italia già nel XIII secolo a Roma, in Vaticano, e nel XIV secolo a Salerno.
Questi orti avevano la funzione di ostensori delle piante di uso medico, così come gli orti botanici universitari, tuttora esistenti, realizzati nel XVI secolo a Padova, Pisa e Firenze. La maggior parte degli orti botanici italiani venne fondata nella seconda metà del XVIII e nel XIX secolo.
Grazie all’enorme sviluppo della sistematica vegetale, in seguito all’introduzione della nomenclatura linneana, gli orti botanici divennero luoghi di osservazione, nonché sedi di sperimentazione e acclimatazione di nuove specie. Ad esempio, presso l’Orto Botanico di Palermo fu descritto il Ficus magnolioides, esemplare ancora vivente.
 Attualmente negli orti botanici ha assunto notevole rilievo la funzione educativa, con particolare riguardo alle problematiche di carattere ambientale, e la funzione di salvaguardia ex situ delle specie in via di scomparsa. Alcuni orti stanno effettuando ricostruzioni di ambienti per fare comprendere meglio al pubblico i diversi adattamenti delle piante e il funzionamento degli ecosistemi, almeno per la componente vegetale.

L’Orto Botanico di Catania cerca, come gli altri, di svolgere il suo ruolo nella società contemporanea.Questo ipertesto si propone di farlo conoscere in tutti suoi aspetti.

I 150 ANNI DELL'ORTO BOTANICO

Compiere 150 anni e non li dimostra affatto, un’impresa che è riuscita lo scorso luglio all’Orto Botanico di Catania, grazie anche all’attenta opera del suo direttore, il professore Pietro Pavone (per 9 anni, non consecutivi, alla guida dell’Orto Botanico, ndr). Un intero anno il 2008 per celebrare 150 magnifici anni di storia, di uno dei maggiori polmoni verdi catanesi. Il momento clou dei festeggiamenti si è svolto lo scorso 31 luglio. Proprio in quella data nel 1858 fu fondato, grazie alla volontà e alla tenacia del monaco cassinese Francesco Tornabene Roccaforte. Mostre, convegni e workshop per spegnere le 150 candeline e un excursus dell’attività dell’Orto Botanico e della storia della botanica affidato alla relazione del professor Francesco Furnari. Un occhio particolare è stato dato alla botanica dell’ottocento con il Prof. Mario Alberghina.
“Abbiamo scelto di realizzare tante attività per celebrare questa ricorrenza e di chiudere in bellezza con la manifestazione del 31 Luglio. – ha spiegato il professor Pietro Pavone –. Abbiamo voluto per il nostro anniversario coinvolgere tutto il mondo catanese della cultura.
Abbiamo allestito delle mostre molto particolari come quella della botanica nella filatelia a livello internazionale o quella della flora siciliana su porcellana, quindi piatti e posate decorate con flora sicula”.
E ancora manifestazioni sulle piante aromatiche dell’orto botanico, sulla scomparsa dei dinosauri e l’ipotesi dell’impatto, sull’importanza del fotovoltaico e anche una giornata di incontri sulla salvaguardia e sul recupero delle derrate alimentari, “per spiegare – ha sottolineato Pavone come conservare le derrate alimentari attraverso la fisica, perché la fisica è meno dannosa per l’organismo umano rispetto alla chimica”.
- Professore cosa rappresenta l’Orto Botanico per Catania?
“È uno scrigno, curatissimo, della biodiversità vegetale. Al suo interno si trovano tantissime specie vegetali, molto più di quelle che si possono trovare in un giardino pubblico, dove vi sono delle piante abbastanza comuni, mentre nell’orto botanico ci sono delldelle piante non ripetute, specie diverse, che appartengono alla fascia sub tropicale”.
- Professore, lei ha fortemente voluto la presenza della Marina, Perché? “Questo perché la Marina ha contribuito fortemente alle esplorazioni botaniche. Grazie alla Marina sono state trasportate piante che provenivano da altri paesi, introdotte in Europa e in Italia e quindi poi acclimatate, si sono diffuse nei giardini, nei parchi e nel mondo dei vivai. Inoltre la Marina in questo momento si occupa anche di territorio e ambiente, dando attenzione e protezione. C’è quindi una sinergia di interessi tra noi botanici e loro”.
Antonietta Licciardello

http://www.provincia.ct.it/informazioni/la-rivista/sommario/2008/Settembre/filepdf/p_31-33.pdf

 

 

 

 Viale Regina Margherita

Tondo Gioeni

 

Piazza Santa Maria di Gesù

 Stadio Cibali

 

 Il Viale

Piazza Cavour

Cibali - Piazza Bonadies

 

CHIESA MARIA DI MONTSERRAT o MONSERRATO

 

L'antica chiesa dedicata alla Beata Vergine Maria, sotto il titolo di Monserrato, che dal 1580 insieme alla Confraternita omonima, sorgeva presso il Bastione del Tindaro, nei pressi dell'odierno ospedale Vittorio Emanuele, il 16 aprile 1669 venne distrutta dalla lava dell'Etna. Nel 1672 l'Oratorio dei Confrati di Monserrato, edificato prima dell'attuale chiesa, venne benedetto dal Ven.Can.Giuseppe Raimondo, sepolto nella Basilica Collegiata di Catania.

La chiesa, che oggi ammiriamo, venne costruita accanto all'Oratorio dopo il disastroso terremoto dell'11 gennaio 1693,probabilmente nella seconda decade del 1700.Nel suo prospetto semplice, uno scudo collocato sopra la porta reca la seguente epigrafe :Magno Deo Accepta et Virgini Parenti-1754 .

L'anno dopo fu costruito il frontone nella facciata che reca la data A.D. 1755.

Sull'attuale via M.R.Imbriani nell'A.D. 1763 fu aggiunta una porta, oggi murata perché rimasta circa un metro più alta del livello della nuova strada.

L'artistica porta centrale, in ferro e rame sbalzato a mano, opera dei maestri Salvatore e Giuseppe Failla,su disegni Mario del Vesco,dal 5 settembre 1959,con uno dei suoi pannelli ricorda che Catania in quell'anno fu sede del XVI Congresso Eucaristico Nazionale.

La statua della Madonna di Monserrato, posta nella grande nicchia sopra la porta della chiesa, è stata eseguita su pietra di Comiso dai fratelli Giuseppe e Concetto Marchese nel 1948.

La torre campanaria a forma ottagonale, che porta la data del 1830,è arricchita da 4 campane :la campana grande, che misura mt 1,12 di diametro e mt 1,30 di altezza, è stata fusa su richiesta dei dirigenti della Confraternita S.M. di Monserrato e porta incisa la data del 1815 insieme all'effigie della Madonna di Monserrato e di S .Michele; la seconda campana, che è stata fusa nel 1729 in honorem et gloriam SS.Virgine Mariae de Monte Serrato, porta l'effigie della Madonna seduta col Bambino in braccio che sega un monte; la terza e la quarta campana, provenienti dalla pontificia Fonderia Marinelli di Agnone,portano la data rispettivamente del 1863 e 1888.

Sul pavimento della Chiesa, che è ad unica navata, due lapidi sepolcrali recano le seguenti epigrafi :"Nos simul in vita protexit Virgo.Sepultos hoc simul in tumulo proteget et cineres"(insieme in vita ci protesse la Vergine. Proteggerà ancora le ceneri sepolte insieme in questa tomba );"D.O.M. Philippus De Sabataro ab sui suorque requie sodalitio annuente hanc tumuli ,urna costruxit Anno Domini 1741"(Filippo De Sambataro per il riposo suo e dei suoi ,permettendolo la Confraternita, costruì questa sepoltura nell'anno del Signore 1741).

Sull'altare maggiore, di marmo policromo, troneggia un simulacro in legno della Madonna di Monserrato di fattura tardo ottocentesca. I 4 paliotti degli altari laterali di marmo policromo sono dedicati :i due a destra alla Vergine SS.delle Grazie (tela di Tullio Allegra XIX sec)e a S.Michele Arcangelo (statua lignea XVIII sec);i due di sinistra a S.Gregorio Magno che celebra la messa in suffragio delle anime del Purgatorio (tela del 1756 della scuola di Olivio Sozzi)e al SS.Crocifisso spirante.

Durante i restauri della Chiesa, eseguiti agli inizi degli anni '50 dal parroco Vito Nicoia e dal sacerdote Salvatore Tomaselli, vennero sistemati in chiesa due grandi affreschi, staccati dal muro e collocati su tela,che ornavano l'antico Oratorio della Confraternita ormai estinta:a sinistra nel presbiterio la tela raffigurante Gesù che consegna le chiavi a S.Pietro (XVIII sec );nella volta la tela raffigurante la Madonna Assunta con gli Apostoli (XVIII sec ).

Un'antica tela di notevole pregio artistico di scuola messinese del XVII sec,,oggi sull'altare dedicato a S.Michele, rappresenta il pentimento di S .Pietro .

Nella sacrestia è visibile una grande tela della Madonna di Monserrato con in alto due Angeli in atteggiamento di segare la vetta del monte omonimo a pareti verticali che si trova nella Catalogna, molto vicina alla città spagnola di Barcellona, sede del monastero benedettino in cui il 24 marzo 1522 avvenne la conversione del grande Ignazio di Loyola Onez ,padre fondatore della Compagnia di Gesù. Nella tela,che prima del restauro portava la data del 1814,dopo l'accurato lavoro eseguito dalla ditta Comes di Catania, è stato trovato l'autografo dell'artista Rosarius Cassisi Tingebat (XVIII sec).

Fonte :parrocchia Monserrato

 

 

 

Questa piazza nacque agli inizi del secolo, dopo una difficile gestazione, e perciò rientrando di peso nello stile delle "cose di Catania".
Per focalizzarne i "precedenti storici", bisogna partire dal 1870, epoca in cui, qualcosa essendo cominciato a muoversi nel settore dei lavori pubblici, l'Ufficio d'Arte Comunale diede incarico ad alcuni valenti professionisti di esaminare lo stato delle strade, invero molto precario.
L'arduo problema venne affrontato dagli ingegneri Landolina, Beltrami e Di Stefano, i quali si occuparono di livellare e basolare quelle già esistenti (ma non tutte), e dall'ingegnere Berfiardo Gentile-Cusa, che ebbe l'impegnativo incarico di elaborare il piano regolatore della città.
Al centro di tale iniziativa (il piano regolatore), si colloca la previsione di un'opera fondamentale per l'avvenire della cIttà, dì un3arteria lunga e ariosa che, tagliando in posizione ortogonale, la strada dritta, formi con questa un duplicato dei quattro cantoni, e apra ai catanesi la via verso il mare.
Passati all'attuazione del progetto, il primo tratto ad essere realizzato fu quello compreso fra la via Stesicorea e il largo Santa Maria di Gesù: superbo, incorniciato da fastosa architettura, tale da rivaleggiare - tenuto conto della diversità dei tempi e dei gusti con la piú opulenta edilizia settecentesca. 

 

 


Vediamolo da vicino, non senza averne indicato le premesse.
Su mandato del Comune, l'ingegner Filadelfo Fichera provvede ad ampliare la Villa, includendovi la collinetta nord e aprendo un nuovo ingresso sul viale Regina Margherita, appunto; sistema via Tomaselli; avvia impegnativi lavori di giardinaggio entro la Villa stessa e nelle sue adiacenze; prevede, dirimpetto al nuovo ingresso, un'ampia piazza, la futura piazza Roma.
Inoltre, per iniziativa privata, questa volta, sorgono un gruppo di aristocratici villini lungo il detto viale e nei dintorni. Cosí, il seme della piazza appena squadrata, gettato in terreno fertile, non mancherà di germogliare e di dare i suoi frutti. E mentre sontuosi fabbricati le crescono attorno, anch'essa cresce e si abbellisce.Ma nella panoramica che stiamo tentando di effettuare, sarà bene mettere a fuoco prima gli esterni, poi il primo piano.
Torniamo, cosí, sul tratto del viale Regina Margherita che ci tocca da vicino, in questa rapida carrellata. Esso si apre col massiccio palazzo dei Magnano di San Lio, ad angolo con via Etnea; procede col palazzo del professor Salvatore Tomaselli, sullo stesso filo, e con quello dell' ingegner D'Amico, sul fronte opposto; avanza quindi con la splendida casa dei Duchi di Misterbianco, a ponente della piazza, e con altri magnifici villini (alcuni del Sada) che non rientrano in questo itinerario.

 

A mezzogiorno, fa bella mostra di sé la parte nuova della Villa: un autentico gioiello. Ne abbiamo accennato, ma vale la pena di indugiarsi almeno sul particolare dell'ingresso. "La cancellata di recinzione sulla piazza Roma è di una tale finezza ed eleganza che ancora oggi ci si sofferma ad ammirarla. Costruita in ghisa, secondo la tecnica dell'epoca, ad elementi verticali in lance e punta, è ritmata e portata ad intervalli da montanti pure in ghisa, formanti dei pilastri angolari a base quadra con cavalli marini in basso ed A thene e foglie in alto.
All'ingresso del cancello centrale si aprono delle finestre bifore nei corpi di custodia, e sul cornicione corrono archetti decorativi a tutto sesto, mentre i pilastri dei cancelli laterali, con tettucci spioventi, in pietra calcarea, sono decorati con mattonelle in cotto"  A levante, si erge l'aristocratica linea architettonica della casa di cura del professor Di Stefano Velona; sul fondale, a tramontana, casa Alessi, con l'estrosa torre che, in quell'epoca, incuriosì i catanesi e stette a testimoniare, fino al 1959, la singolare iniziativa dei suoi proprietari.
Fra il 1911 e il 1929, due opere contribuirono a caratterizzare definitivamente la fisionomia della bella piazza: il monumento a Umberto (inteso dai catanesi il "re a cavallo") e l'Istituto Commerciale De Felice.
Vale la pena di annotare certi aspetti che fecero da contorno ai due avvenimenti. Il 29 maggio del 1911, allorché fu scoperto il monumento presenti il re, la regina, alcuni ministri - lo scrosciare degli applausi varcò i confini della stessa piazza, tanto calorosi risuonarono in quel tiepido mattino di primavera.

 Ma si ingannerebbe chi quegli applausi fosse indotto a scambiare per entusiastica approvazione dell'opera che veniva in quel momento inaugurata. Per la verità, quegli applausi furono -preceduti e seguiti da un rombo minaccioso di polemiche,,ritorsioni e pettegolezzi. Sfogliare i giornali dell'epoca, leggere quanto venne scritto su questo argomento, significa arricchirsi di edificanti sensazioni.
Il bombardamento contro i promotori dell'iniziativa, contro i componenti del comitato esecutivo, contro il sindaco Pizzarelli, contro tutti quelli che, per un motivo o per un altro, avevano avuto a che fare col monumento, è davvero impressionante.
Nell'adempimento del nostro dovere, animati come siamo da alto e nobile senso di civismo, non possiamo non censurare l'opera del sindaco Pizzarelli e del prefetto Minervini che, nella loro nullità indefinibile, organizzarono e concretarono l'offesa della nostra città… nominando un comitato composto da persone inette, meschine e vacue. A cose finite, sveleremo vita e miracoli di questa gente, dietro scene scabrose, vanità basse e stupide . . . (6) cosí di seguito, in ossequio al nobile senso di civismo cui si rifaceva l'inferocito cronista, in apertura del suo articolo.
Qualche giorno prima, il settimanale Ma chi è? si intratteneva con sarcastica virulenza sullo sperpero del pubblico denaro in opere del genere. E il 13 giugno, il Girella tornava con accanimento sulle "deficienze, incompetenze e gaffes dei genialissimi membri del comitato" i quali, fra l'altro, avevano omesso di invitare alla cerimonia il principe di Manganelli che "dall'indomani della tragedia di Monza, ebbe la geniale idea d'innalzare un monumento
equestre al Re Martire . . .".

 


A parte questo edificante contorno, tanto caro ai catanesi di ieri, è il caso di ricordare che il monumento, alla cui realizzazione contribuirono diversi comuni della provincia, è opera dello scultore palermitano Mario Rutella, allievo fra i piú dotati dei Monteverde. Sulla realizzazione dell'edificio scolastico nel quale tuttora "si educa quel vigore di vita per cui prospera Catania", impiantato nel 1926 (al posto di un capannone lasciato al rustico) ed inaugurato tre anni dopo, non gravano polemiche di sorta. Ma Francesco Fichera - professionista di grandi risorse, colto e generoso che andava fiero di questa sua opera, aveva anche lui qualcosa da dire. A chi, gli chiedeva quale soddisfazione morale essa gli avesse dato, rispondeva sorridendo: "Che soddisfazione può dare l'architettura a Catania? Qui, di architettura non si occupa nessuno, salvo i colleghi concorrenti che se ne occupano per
scovare ciò che, eventualmente, di brutto hai fatto e illustrato ampiamente!".Come volevasi dimostrare. Anzi, non volevasi dimostrare, parlando di piazza Roma. Ma - sapete com'è - quando i nodi ci sono, anche non volendo vengono al pettine.

http://www.cataniaperte.com/cronologia/libri/cavallotto_sciacca_catania_romantica_in%20elenco.pdf

da Lucio Sciacca, “Catania romantica” - Vito Cavallotto Editore

 

Frappè alla nutella (made in Catania)

Molte volte si sente parlare di questa bevanda che prende il nome di frappè e molti sono i gusti che la possono caratterizzare. In merito ritengo che nessuno può parlare di frappè, tessendone magari delle lodi, se non ha prima provato quello realizzato nel chiosco di piazza Trento, o di piazza Roma, in Catania. Nessun altro chiosco di nessun’altra città, nessun bar, nessuna gelateria o quant’altro, sono in grado di replicare la bontà che si può trovare solo ed esclusivamente nella città etnea.

Questa doverosa precisazione iniziale è fondamentale, quando parlo di frappè, mi riferisco solo ed esclusivamente a quello di questi chioschi catanesi, che non ha nulla a che vedere con quello che è possibile comperare in qualsiasi altro posto e che non sarà mai allo stesso livello, anzi neanche ci si avvicinerà lontanamente. Motivo per il quale evito sempre di comperare il frappè, che pure tanto mi piace, in luoghi diversi a quelli indicati.

Il frappè del quale vado pazzo e che viene realizzato in questi eccezionali chioschi, è quello al gusto nutella. Ricordo la prima volta che lo presi. Questo è un aneddoto che racconto spesso, per quanto mi sia rimasto impresso e per quanto sia in grado di far capire quanto sia buono questo frappè. Mi trovavo esattamente in piazza trento, ordinai un frappè alla nutella al chiosco (mi venne dato con bicchiere e cannuccia, esattamente come in foto, quella è una foto da me scattata in piazza trento, la mano di carnagione più bianca è la mia, l’altra di una mia amica) e lo ricevetti in cambio di 2,50€. Lo guardai soddisfatto dall’aspetto e iniziai subito a sorseggiarlo. Esattamente in quel momento, avendone assaporato il gusto, spalancai gli occhi, ed in stato d’estasi pensai esattamente: “Minchia, troppo buono, i migliori 2,50€ spesi nella mia vita”. Bastò davvero così poco, fu immediatamente amore tra me e quel frappè, incredibilmente buono e delizioso, dal forte sapore di nutella, dal farti uscire pazzo per il contenuto di quel bicchiere che ti viene da tenere stretto, nella speranza che non si possa mai svuotare a dal quale non ci si separerebbe mai se non prima resti al suo interno più neanche una goccia di questo straordinario frappè.

Alcuni, che come me hanno avuto la straordinaria fortuna di gustare il frappè alla nutella di Catania, ritengono che sia troppo pesante e che il forte sapore diventi alla lunga un pò nauseante. Per quanto mi riguarda riuscirei a berne tranquillamente anche più di uno sempre con entusiasmo e con quella goduria che poco altro riesce a garantire attraverso il senso del gusto. Per me questo frappè è tra le cose più buone in assoluto, reputo addirittura che sia in grado di riconciliarti con la vita, di farti chiudere gli occhi per farti assaporare le belle sensazioni che il suo gusto ti regala e di estasiarti avvolto e coinvolto dalla sua squisitezza.

Da quanto sto scrivendo può sembrare che al suo interno sia contenuta qualche droga che causa dipendenza e porti a questo stato sublime di estasi, ma non è esattamente così e sul come esso sia precisamente preparato non l’ho sinceramente mai capito. Un mio amico ha provato a riprodurlo e dopo diversi tentativi c’è quasi riuscito, ma non completamente. Mio fratello ritiene che al suo interno sia presente anche bianco d’uovo, altri dicono non ci sia. Di certo nel preparato, fatto ovviamente da loro artigianalmente, non mancano diversi cucchiaini di nutella. Immagino sia presente anche il latte e forse pure la panna, per alcuni mischiata al gelato al fiordilatte. Di certo, nella rapida preparazione che nel chiosco sono ormai abituati a svolgere, che io non ho mai attenzionato con particolare riguardo, essendo sempre ansioso che essa finisse per poter iniziare a gustare il delizioso frappè, non manca il cacao in polvere finale.

Fabrizio Lo Gerfo  http://fabriziologerfo.wordpress.com/2012/12/12/frappe-alla-nutella-made-in-catania

 

 

 

 

LA TORRE ALESSI

 

Unica torre della città di Catania: la Torre Alessi venne edificata negli ultimi decenni dell’800. Oggi, tuttavia, non se ne conserva alcuna traccia, se non una via che ne prende il nome.  La torre, infatti, venne fatta demolire a causa della drammatica speculazione edilizia degli anni ’50-60.

Forse sono ancora in pochi a ricordare il tempo in cui a Catania esisteva una torre in pieno centro storico, proprio dietro Piazza Roma. Parliamo della Torre Alessi. Essa fu costruita intorno agli anni 80 dell’800, su progetto dello stesso architetto del Teatro Massimo Vincenzo Bellini, Carlo Sada, su commissione di un ricco proprietario terriero Salvatore Alessi, da cui prendeva il nome. Anche se la data di costruzione è incerta, un annuncio pubblicitario apparso nella Gazzetta di Catania, nel 1888, afferma che “Sin dal primo di maggio in Catania nel Giardino Alessi, contrada S.Nicolò al Borgo si permette l’ascensione sulla Torre delle persone provviste di biglietti personali di ingresso…”

 Come testimonia l’annuncio, perciò, la Torre divenne sin da subito un’attrazione all’interno del Giardino Alessi, del medesimo proprietario. Infatti, la Torre, alta complessivamente circa 40-50 metri, era circondata tutt’intorno da una scala a spirale di 196 gradini adornata da ringhiere, che permettevano di salire fino cima. Da lì era possibile vedere e ammirare tutta la città e le campagne circostanti, dall’Etna fino al mare.

 Tuttavia, dietro la Torre Alessi c’è molto altro: a raccontarne la storia è l’articolo “Come nacque la torre Alessi” di Saverio Fiducia, La Sicilia, del 19 gennaio 1965. All’epoca la torre era sfortunatamente già stata demolita. Infatti, la sua data di demolizione si fa risalire al 1963, nell’ambito di un più ampio processo di speculazione edilizia che cambierà, talvolta anche in modo drammatico, il volto urbanistico di Catania.

 Sappiamo perché venne distrutta, ma non sappiamo perché e come nacque. Così all’indomani della sua demolizione, il giornalista Fiducia ha voluto lasciare una testimonianza della Torre Alessi, ricostruendone le vicende storiche. “Verso la fine del penultimo decennio dell’Ottocento, l’area compresa tra l’attuale via Antonino Longo (già degli Archi) il luogo occupato dal carcere e la nuova via Cesare Beccaria, era un ubertoso giardino, in massima parte piantato ad agrumi e di proprietà di un cav. Alessi…” Dalle prime parole dell’articolo si evince chiaramente e con precisione il luogo in cui sorgeva la torre. All’epoca, nel 1880, la zona  tra il carcere di Piazza Lanza e via Cesare Beccaria non erano altro che un grande Giardino, per l’appunto il Giardino Alessi.

 “L’Alessi, avendo bisogno per irrigare il giardino di una capacissima vasca, come dire di una gèbia, ne commise la costruzione al Sada. Ma per il rifornimento idrico della gèbia occorreva costruire anche una di quelle cosiddette guglie che regolavano l’afflusso dell’acqua.” A quel punto pare sia stato lo stesso architetto Sada a suggerire al suo committente la realizzazione dell’impianto torre-fontana che era la Torre Alessi. Infatti, la struttura architettonica della Torre progettata da Sada constava di quattro elementi distinti. Innanzitutto, vi era la vasca di 262 metri cubi, che aveva un’altezza di 17 metri e costituiva una importante riserva d’acqua per innaffiare all’occorrenza il giardino; al di sopra si innalzava con funzione di salotto un locale quadrato, di 3,40 metri di lato, pavimentato con lastroni di marmo e con tre finestroni ornamentali. Il terzo elemento era una piccionaia alta oltre 9 metri con 51 nicchie pavimentato con quadretti di argilla e con quattro finestre. Infine, sorgeva il terrazzo, con funzione di belvedere.

 “La sparizione della torre – commenta il giornalista – in ultima analisi e ora che essa non è più che un ricordo, non può che rattristare i superstiti; coloro, cioè, che la videro nascere e inserirsi, come ho detto, nel paesaggio catanese, dandogli un tono di esotica eleganza”. Una persona ne avrebbe però sicuramente rimpianto la demolizione, questa è Vitaliano Brancati celebre scrittore siciliano, che si lasciò ispirare da questa struttura nella composizione del suo primo romando “Gli anni perduti”, composto tra il 1934-36.

 Lo scrittore all’inizio del capitolo quarto della terza parte del romando descrive dettagliatamente la torre “La guglia verde, di stile moresco, era sostenuta da nove colonnette. Sotto la terrazza, l’architrave era dipinta in oro, e il fregio, ricamato da sfere oblunghe, brillava di verde mare. Il balcone del secondo piano era di forma triangolare, precisata in un perfetto triangolo dal contorno, il cui vertice era sormontato da un rosone; lo zoccolo era tondo, e per mensola aveva un gran fiocco di pietra che terminava in una nappa. Il primo piano e il terzo erano trapassati dal cielo d’oriente e da quello d’occidente, per via di due finestrelle a mezza luna che aperte nelle due opposte pareti e lasciate prive di imposte e di vetri combaciavano, come nella mente, le immagini dei due occhi. La scala avvolgeva la torre, con giri larghi e drappeggiati dal muro. Salendo si aveva l’impressione di mettere il piede sopra un cielo che stesse per spaccarsi come il ghiaccio che crocchia”.

 Tuttavia, oggi, a distanza di oltre 55 anni, soltanto pochi catanesi ne hanno memoria e probabilmente sono ancora meno a piangerne la scomparsa. Di essa non resta altro che una via omonima(Via Torre Alessi), proprio lì dove era stata edificata la torre ormai dimenticata.

 La Torre Alessi, come tanti altri monumenti, ville, strade, piazze, quartieri rappresenta una parte della “Catania scomparsa”, che è rimasta soltanto nel ricordo di chi l’ha vissuta e che fa parte di un passato, che anche se non temporalmente così distante, lo sviluppo tecnico-urbanistico fa sembrare distante anni luce. Un passato che abbiamo perso, di cui restano poche tracce: un articolo di giornale, una fotografia d’epoca. Un passato, che è simbolo di un patrimonio storico, architettonico, culturale che non abbiamo salvaguardato, ma che abbiamo sacrificato in nome della modernità.

https://catania.liveuniversity.it/2018/10/13/catania-scomparsa-torre-alessi/

 

 

Esattamente un anno addietro iniziavamo questa rubrica che tanto interesse suscita tra i nostri affettuosi lettori, tanto che alcuni di loro passando, in Via Carlo Ardizzoni a Catania e notando una targa apposta accanto un edificio si chiedevano cosa potesse significare la didascalia impressa ed esattamente: “Ex Venerabile Casa Delle Malmaritate - Ruota dei Projetti” - XVII-XX Sec.” - occorre precisare che in effetti, laddove stiamo parlando ed anche in altri siti di notevole interesse, il Club Service Rotary ed altri, molto opportunamente hanno indicato luoghi e siti che ne meritavano la menzione.

A questo proposito VEDIAMO UN PO’ di poterli accontentare.

Si trattava della “CASA DELLE DONNE RITIRATE”-ma prima occorre che immaginino i nostri lettori di come si potesse vivere nella nostra città dopo i due violenti terremoti, nella fattispecie dopo quello catastrofico del 1693. Paura di epidemie, carestia negli approvvigionamenti alimentari, azioni poco lecite e delittuose, sciacallaggi ed ogni altra sorta di incombenti pericoli per la popolazione che per fortuna era sopravvissuta. Di tutto questo, chiaro che ne soffriva la gente più vulnerabile, ovvero donne e minori, continuamente esposte a ciò che abbiamo indicato.

Famiglie nobili, agiate, possidenti, Diocesi, Professionisti e Cittadini di Buona Volontà, cominciano ad interrogarsi su cosa fosse possibile inventare per rimediare a tali situazioni venutesi a creare in maniera così improvvida. Buttano giù l’idea di ricoverare tali persone, la gran parte rimaste davvero sole, abbandonate per scelta, necessità o altro. Cominciano a nascere, tra una raccolta di denari e di idee, i primi Stabilimenti Assistenziali o di Beneficienza, identificati anche come “Conservatori della Virtù” edificati o recuperati, perchè preesistenti come chiese, conventi e sedi religiose, dopo il terremoto del 1693, tutti a tutela delle donne in modo particolare; il sito di cui stiamo descrivendo era riservato alle donne PERICOLATE (come l’antico Santo Bambino, il Reclusorio del Lume, il Buon Pastore, l’Immacolata Concezione) che si manteneva e viveva di questue e piccole elemosine liberamente offerte.

Dunque molto più miseramente rispetto ad altri Stabilimenti, meglio indicati come Conservatori-Assistenziali, ovvero quelli che proteggevano le PERICOLANTI (Conservatorio della Purità, Conservatorio della Provvidenza-Santa Maddalena-oggi Istituto Vincenziano Pio IX, Verginelle alla Badia, Verginelle di S.Agata e Conservatorio delle Projette settenarie-bambine abbandonate- di Via Ventimiglia, dove due ragazze per sfuggire alla reclusione si uccisero gettandosi nel pozzo dentro l’Istituto). Qui si andava avanti con lasciti e donazioni delle famiglie benestanti ed agiate, ma anche col lavoro delle recluse che venivano educate alla tessitura, o per farne buone mogli o in estrema ratio serve per la nuova borghesia.

Riprendendo, dunque, la Venerabile Casa delle Malmaritate - Ritirate o Pericolate sin dal 1828 divenne anche sede della RUOTA dei Projetti che era un ingegnoso sistema provvisto di asse ruotante su se stesso, in legno, che da una parte dava al pubblico e girandolo, dava all’interno dello Stabilimento. Bastava bussare, deporre il neonato o la neonata sul ripiano e… dall’interno girando l’asse si recuperavano gli abbandonati.

Tra il 1840 ed il 1860 vennero depositati ben oltre diecimila (!!) bambini abbandonati. Non per nulla l’edificio si interseca con Via Casa della Nutrizione, toponimo che ricorda l’Istituto di Beneficienza ivi esistente e da tempo ormai scomparso. In altri termini, antesignano dell’odierno Banco Alimentare e del consimile Banco delle Opere di Carità. Anche queste emerite istituzioni a sostegno della povertà sempre più crescente.

Domanda pertinente: ma chi erano le donne Pericolate? Si trattava di donne Malmaritate che cercavano rifugio alle sevizie dei mariti, perlopiù maneschi o ubriaconi, donne che avevano avuto rapporti illeciti, o prostitute pentite e, che tutte venivano quindi recluse. E le Pericolanti ? In gran parte giovinette che quindi in itinere potevano divenire Pericolate, e che quindi venivano ospitate, sin da piccoline, protette ed educate. In parole povere stavano sicuramente meglio, potendo questi Stabilimenti disporre di congrui lasciti, rette, donazioni e ricavi da tessitura, come meglio indicato. La necessaria Amministrazione qui veniva affidata a notabili cittadini o Prelati Diocesani.

Veniva così occultata la trasgressione, riproducendo in tal modo l’ordine sociale, sia negli indicati Conservatori che nei Reclusori -Stabilimenti come quello descritto. In conclusione questi Benemeriti Istituti sono stati testimoni del passaggio dalla Beneficienza alla Assistenza Pubblica, per effetto della Legge di annessione allo Stato dei beni ecclesiastici (vedi ECA-OMNI ecc.) ed ancora prototipi, nonchè antesignani d’un non meglio ancora attuato moderno Welfare.

 

Piero Privitera

 

 

 

CHIESA DELLA MECCA (EX)attuale cappella San Girolamo all'interno dell'ospedale Garibaldi.

-L'antica Chiesa della Mecca, la cui etimologia rimane ancora oggi morbosa, si presenta oggi nel suo aspetto settecentesco, ricostruita dopo il terremoto del 1693 su un precedente edificio di culto risalente al 1576 legato ad un piccolo monastero. Il monastero divenne nel 1856 sede di un albergo dei poveri, divenuto nel 1883 per interesse senato civico sede dell'Ospedale Garibaldi.

La chiesetta, ridotta oggi a cappella ospedaliera e retta da un piccolo gruppo di monache, conserva l'accesso ad una cripta di epoca romana. Essa consiste di un colombario di oltre 6 metri di lunghezza per quasi 4 di larghezza. Tale colombario venne costruito nella prima metà in pietra lavica e in mattoni per la parte superiore, con una copertura a volta a botte,lungo le quattro pareti si aprono 18 loculi quadrangolari di cui uno ,sul lato ovest,a nicchia e molto più grande rispetto agli altri. -

www.etnanatura.cataniaromana.it

 

 

 

 

 

 

 

Le ville del Viale

 

in ordine di ubicazione, salendo da Piazza Roma 

fino a Piazza S.M. di Gesù e ritorno. 

 

Villa Trigona di Misterbianco

Viale Reg. Margherita, 1 -  Filadelfo Fichera. «Ubicata in posizione dominante, tra piazza Roma e viale Regina Margherita, la villa del duca Trigona di Misterbianco viene attribuita all’opera dell’architetto Filadelfo Fichera. Il progettista realizza un loggiato archivatrato ornato da festoni, concluso da una balaustra con statue reggilampada, che anticipa il portale principale e costituisce un “trait d’union” tra spazio interno ed esterno conferendo alla villa cittadina un’aria da residenza suburbana. L’autore alterna con la stessa libertà progettuale prospetti lisci a bugnati, finestre con cornici lineari a balconi dal disegno più complesso. Infine corona il volume principale con un fregio scultore di retaggio ottocentesco, decorato da formelle con testine zoomorfe, partere e altorilievi con scene di putti musicanti che sottolinea la grande terrazza coperta».

 

Quando nel 1909 il Duca Trigona di Misterbianco fece costruire la sua villa al viale Regina Margherita, nel prospetto est del terreno fece costruire anche un altro edificio ad un piano, adiacente alla grande villa. La piazza fu arricchita il 30 maggio del 1911 dalla statua di Re Umberto I di Savoia e una foto dell’epoca fa vedere quale era la sistemazione est della piazza. Agli inizi degli anni 50 del secolo scorso, il Duca Salvatore Trigona volle ampliare l’edificio laterale costruendo il piano nobile e l’ammezzato, sicché dare l’attuale espetto che si presenta più vicino all’eclettismo Liberty rispetto all’edificio principale più antico.

La storia della Vulcanologia catanese è connessa con le Ville Trigona. Nel 1960 fu creato l’Istituto Internazionale di Ricerche Vulcanologiche del CNR a cui contribuì fondamentalmente  Alfred Rittman e che dal 1970 diventerà Istituto Internazionale di Vulcanologia, la cui sede iniziale fu nella Villa Trigona. Nel 1989 l’Istituto si spostò nell’edificio adiacente che diventò nel 2000 la sede dell’Osservatore Etneo dell’INGV.

Nelle foto l’inaugurazione della statua di Re Umberto e la piazza negli anni successivi e l’attuale sede dell’OE dell’INGV.

Notizie e foto gentilmente fornite dal Dr Stefano Branca Direttore dell’OE INGV.

https://www.facebook.com/geniuslocikatane

Villa Romeo delle Torrazze

VIALE REGINA MARGHERITA 8 - Carlo Sada - «La villa - vincolata il 30 novembre 2006, e fatta erigere dal marchese Romeo delle Torrazze, aiutante in campo del re Vittorio Emanuele III, e dalla sua consorte, dama di palazzo della regina Elena, su progetto dell’architetto Carlo Sada - si integra omogeneamente nel contesto delle belle residenze erette tra la fine dell’Ottocento e il primo trentennio del Novecento lungo viale Regina Margherita. Sul prospetto principale elementi rinascimentali si armonizzano con altri neoclassici richiamando soluzioni architettoniche prossime al gusto francese dell’epoca. La costruzione si sviluppa su due livelli ed è caratterizzata da un ingresso posto al di sotto di una loggia archivatrata che sorregge la terrazza delimitata da una balaustra. Il prospetto del piano nobile presenta porte con arco a tutto sesto intervallate da colonne con capitelli ionici. Annesso alla villa un giardino con specie vegetali di notevole interesse».

Villa Alia Consoli

V.le Regina Margherita,

 

Villa Pappalardo Trewhell

Viale Regina Margherita, 12-14 - Filadelfio Fichera. «L’impianto della villa, vincolata con decreto della sovrintendenza n. 8493 del 6 dicembre 2007, è scatolare e si sviluppa, nel primo corpo, a più livelli. Il prospetto anteriore ripropone le soluzioni architettoniche dello stile neoclassico, per la progressione in verticale degli ordini architettonici, per la simmetria dei portici, per la capacità di coniugare la decorazione floreale con gli elementi decorativi classici. Nei prospetti laterali il lessico decorativo diventa più sobrio. Sulle coperture dei portici sono presenti due serre in ferro battuto e vetro colorato di gusto liberty. Nel giardino retrostante sorge una “dépandance” di raffinata architettura, di epoca più tarda, opera dell’architetto BenedettoCaruso Puglisi (1870-1934) ».

Villa Alonzo Tomaselli

V.le Regina Margherita,

Villa Cutore-Recupero

V.le Regina Margherita, 20 - Santi Bandieramonte.  «La ricca villa suburbana dal rigoglioso giardino, viene costruita alla fine dell’Ottocento, subito dopo l’apertura del viale Regina Margherita. La costruzione, articolata intorno ad un cortile aperto sul retro, è suddivisa su due livelli. Presenta un paramento murario bugnato a ricorsi orizzontali al piano terra e ad intonaco al piano superiore,
rinforzato agli angoli da paraste binate. L’ingresso è collocato entro un portale ad arco a tutto sesto affiancato da due colonne che sorreggono il terrazzino del piano superiore delimitato da una balaustra. Le aperture sono caratterizzate da fregi, cornici e timpani decorati, mascheroni e girali floreali: ghirlande, grifoni affrontati e conchiglie decorano le cornici marcapiano. L’edificio è coronato da un parapetto a balaustrini al di sotto del quale una fascia a rilievo, ornata da festoni, corre lungo tutto il perimetro».

 

scendendo fino a Piazza Roma

 

 

 

ex Clinica Clementi

V.le Regina Margherita - Carlo Sada. «Tra il 1901 e il 1904, l’architetto Carlo Sada progetta e dirige i lavori per la costruzione della clinica medica del professore Gesualdo Clementi. L’edificio, progettato nel 1901, data riportata su un disegno, nasce tra viale Regina Margherita e piazza Santa Maria di Gesù, in quella zona ritenuta periferica e destinata ad ampliamneto dal Piano regolatore del Gentile Cusa (1888). L’architetto, che predilige il grande viale per aprire l’ingresso con avancorpo della clinica, realizza un volume dalla massima regolarità d’impianto e simmetria, accurato nella organizzazione delle funzioni e attento alle moderne esigenze di uno stabilimento medico dettate dall’esperienza dello stesso Clementi. Le cronache locali (La Sicilia del 18 e 19 gennaio 1904) parlano di un’edificio concepito come una struttura all’avanguardia nella quale si prevede una sorta di impianto di climatizzazione, un asciugatoio a vapore con sterilizzatrice per biancheria ed un laboratorio per le analisi al microscopio. Con il suo linguaggio eclettico, che rimanda alla cultura edilizia francese, l’edificio tende ad assumere il carattere tipologico della villa urbana».

Villa Clementi

V.le Regina Margherita,

 

Villa Modica

Viale Regina Margherita, 33-35 - Carlo Sada.  «Il milanese Carlo Sada è l’architetto prediletto dell’aristocrazia e dall’alta borghesia di fine Ottocento. La nuova classe che emerge nel panorama della società catanese si insedia, insieme all’aristocrazia, prevalentemente lungo gli assi e le aree definite dal «Piano regolatore del risanamento e dell’ampliamento della città di Catania», redatto da Gentile Cusa nel 1988. Qui, lungo i viali di ampliamento e dei nuovi quartieri, l’architettura si esprime nelle forme delle ville suburbane unifamiliari. Nel “Villino del Sig. Cav. Luigi Modica”, Sada ripercorre la tipologia classica della residenza nobiliare suburbana con giardino, riproponendo il tipo edilizio della pianta bloccata con avancorpo sul fronte principale. L’universo espressivo al quale l’architetto rimane ancorato è quello dell’ecclettismo, forse non estraneo al gusto della committenza che lo indirizzò al neogotico, scartando la versione del prospetto ispirata invece a modelli rinascimentali».

Villa Calì

Viale Regina Margherita

 

Villa Trigona di Misterbianco - foto di Salvo Puccio

 

 

 

 


Chiesa Di Santa Maria Di Gesù
Il sito ove sorge la chiesa attuale, nel Trecento era sede di una piccola cappella attiguo alla quale sorse, in seguito, anche un piccolo convento di frati francescani; la cappelletta era posta al margine di un'area nota fino a qualche secolo fa come Selva del convento di S. Maria di Gesù, compresa tra l'attuale Giardino Bellini, la via Plebiscito e il viale Regina Margherita nei cui pressi si trova una tomba di forma circolare chiamata Mausoleo Modica. Tale area dal V secolo a. C. al tardo impero romano e quindi anche in epoca cristiana, ebbe un utilizzo a scopo funerario:ciò spiegherebbe sia la presenza della cappella che successivamente del convento. La chiesa vera e propria di Santa Maria di Gesù sorse nel secolo successivo il Quattrocento e fu gradatamente nel tempo decorata con opere d'arte, nel 1498 con una Madonna con Bambino di uno dei Gagini, un trittico di Antonello da Saliba, nel 1519 con gli addobbi della cappella della famiglia Paternò-Castello, nel 1525 con la pala d'altare di Angelo de Chierico, nel 1628 con un crocifisso di Frate Umile da Petralia ed altre. Dopo la distruzione avvenuta a seguito del terremoto del 1693, la chiesa venne riedificata agli inizi del XVIII secolo con l'attuale caratteristica facciata da fra Girolamo Palazzotto e decorata in seguito con stucchi che, tuttavia, nel restauro del chiostro attiguo apportarono la copertura di opere d'arte più antiche. Nel 1949 la chiesa è stata elevata la parrocchia. /foto di Alessio Marchetti)

 

 

La stessa ossatura gotico-normanna, con la vôlta ad archi acuti impostata sulle colonnette degli angoli, si osserva a S. Maria di Gesù, nella cappelletta di casa Paternò, che rimase in piedi nel 1693 quando tutto il resto della chiesa, poscia rifatta, andò in rovina. Il gotico di questi due avanzi non è molto antico: tanto S. Maria di Gesù quanto il Santo Carcere sorsero nella prima metà del XV secolo; di data più remota doveva essere invece quello di S. Giovanni di Fleres, la cui prima fondazione risale al VI secolo, e precisamente all'anno 532. Gli avanzi di questa chiesetta che si vedevano ancora fino a pochi anni addietro, all'angolo delle vie Mancini e Cestai, non avevano nessun carattere, ridotti com'erano ai semplici muri risorti sui rottami dell'antico edifizio; quando, abbattendosene ultimamente le rovine per erigervi la casa Leotta, fu trovata sotto l'intonaco una graziosissima finestra del più fiorito gotico. Il cimelio fu rispettato ed è incorporato nel muro della casa moderna.

 

da "Catania" di Federico De Roberto                                 

ISTITUTO ITALIANO D'ARTI GRAFICHE — EDITORE 1907

 

 

 

 

 

 

CHIESA SANTA MARIA DI GESÙ nell'omonima piazza

 Minori osservanti riformati.Si stabilirono in quel sito fuori della città nel 1626 che già era stato occupato sino dal 1442 da minori osservanti. Nella chiesa evvi una statua di marmo del Gagini portatavi nel 1500;è la Madonna con il bambino in braccio; la facciata di questo è ridente e di una graziosa vivacità. Evvi un quadro picciolo sopra tavola; è la Madonna modesta e di assai vaga espressione assisa sopra una sedia con in braccio il bambino pieno di molta grazia e di amabile innocenza.Vi si legge ANTONEILVS MISSENIVS D.SALIBA.Hoc FECIT OPVS 1497,Die 2 Julii. In una cappella evvi il busto in marmo di Alvaro Paternò senatore romano morto nel 1518;è opera di Gagini;è un bel lavoro di sicuro,e dotto scalpello; la espressione nella faccia non manca che della sola parola.

Nel chiostro al collo del pozzo che è nel mezzo vi è conservato un pezzo di rabesco dello stesso Gagini in marmo statuario;fa l'onore di quello scultore classico in tal genere. Dello stesso maestro era la porta di entrata, ma essa fu data al principe di Biscari che la pose nel suo museo dove da esso si va alle stanze di sopra.La cappella dove è Alvaro sembra essere un resto degli osservanti che ivi furono prima dei riformati nel secolo XV che la formarono sul gusto di quel tempo che amò spesso seguire lo stile gotico normanno; picciole colonne come bastoni sostegno di archi che traversono tutta la volta e che scendono sino sotto alla metà del muro perpendicolare. La porta è anche ornata di rabeschi gaginiani.-(Francesco Ferrara, Storia di Catania )

 

 

 

 -Lungo la strada di San Domenico a Cifali,fra orti e giardini sorge questa chiesa unità ad un solitario albergo che sin dal 1442 fu abitato dai minori osservanti per opera di San Bernardino da Siena, come si crede.Nel 1626 venne ceduto ai minori riformati. La chiesa è gaia e pulitamente tenuta. Il viaggiatore vi osserverà entrando a sinistra la cappella di Alvaro Paternò, senatore romano morto nel 1518,di stile gotico normanno sul gusto del secolo XVI. La volta è ad archi a sesto acutissimo ,con colonnette agli angoli ,finestra stretta e lunga ad ovest e porta ad arco semicircolare bassissimo ad est con arabeschi del Gagini.

Dentro una nicchia evvi il busto in marmo dello Alvaro uscito forse dallo scarpello del Buonarroti amico di lui:è un miracolo di scultura! È pregevole una tavola di Madonna nell'altare di essa cappella -Si attribuisce al Gagini dell'età di 20 anni la statua della Madonna di marmo saccaroide che è in uno degli altari della Chiesa. Pregevolissimo si stima il quadro di Antonello di Saliba del 1497 rappresentante Nostra Donna seduta col bambino -Il crocifisso di legno a dimensioni più del naturale, posto in fondo all'abside è opera di frate Umile da Petralia morto nel 1630.Nel cortile del fabbricato vi è conservato un pezzo di rabesco del Gagini in marmo statuario di classica bellezza. Fiorirono in questo convento gli esimi letterati Matteo Selvaggio e Nicolò Mazzara, l'impavido missionario Gioacchino Bertuccio ,il celebre sacro oratore Giambattista Platamone e lo storico catanese Francesco Previtera e tant'altri illustri frati.- (Editore Galatola )

 

Note di Milena Palermo per Obiettivo Catania

https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/

 

 

E il discorso di Catania artistica sarebbe così finito, se non restasse, in qualche chiesa, qualche opera d'arte degna di nota. Per cominciare dalla più ricca di cose pregevoli, ecco quella di S. Maria di Gesù, dove sono due opere autentiche del Gagini, e se ne ammirerebbe una terza se non fosse da più tempo scomparsa. Del valoroso scultore palermitano è qui la statua della Madonna col Bambino, opera giovanile, ma già egregia, documento quindi della precocità di quel mirabile ingegno. Antonello la scolpi a vent'anni, durante il suo soggiorno in Messina; ma egli non poteva veramente dare alla Vergine un viso più bello, d'una espressione più pura, nè un'aria più maestosa e divina al Bambino, che senza la consueta timidezza volge lo sguardo ridente allo spettatore.

Bellissimi sono anche i tre bassorilievi dei piedistalli, dei quali il centrale rappresenta la Visitazione di Maria ad Elisabetta, e i due laterali S. Francesco d'Assisi e S. Antonio di Padova. Nella stessa chiesa è dello stesso Gagini la fiorita e squisita decorazione della porta che mette nella cappelletta di casa Paternò — quella cappelletta sepolcrale della quale già si parlò per la sua architettura e dentro alla quale c'è una bella tavola del messinese Angelo di Chirico (1525) rappresentante l'Immacolata fra i simboli dei suoi titoli e le figure di S. Agata e S. Caterina. La porta gaginesca, allogata da don Alvaro Paternò ad Antonello nel 1518, per il prezzo di onze 30 — 382 lire e 50 centesimi — ha due pilastri d'ordine corintio, scanalati, con contropilastri ornati d'acanto; sull'architrave il frontespizio semicircolare racchiude un gruppo di mezze figure: il Cristo morto fra Maria e la Maddalena, con due genietti ai piedi, in tutto tondo, ciascuno dei quali regge uno scudo di casa Paternò. La terza opera, ora scomparsa, era, dentro questa cappella, un busto dell'Alvaro già nominato: lavoro tanto stupendo che fu da taluni attribuito a Michelangelo, del quale il Paternò, senatore romano, sarebbe stato amico nella città eterna. Se non che il di Marzo non solo ha negato questa pretesa dimestichezza, ma avendo veduto, prima che scomparisse, il celebre busto, afferma che gli mancava qualsiasi carattere dello stile michelangiolesco, e che rammentava invece, precisamente, la maniera del Gagini.

 Prima di uscire da S. Maria di Gesù merita uno sguardo il gran Crocefisso scolpito su legno da Frate Umile da Petralia, al secolo Giovan Francesco Pintorno, morto nel 1639 e specialista, come si dice, in Cristi, che egli diffuse in quasi tutte le chiese di Sicilia, da Girgenti a Nicosia, da Caltagirone a Salemi, da Milazzo a Randazzo. Il cronista Francesco Tognoletto narra di lui che «mentre stava lavorando quelle statue, alzando la sua mente alla contemplazione, pensava gli intensissimi dolori, che nella morte soffrì l'autor della vita: onde per tal causa, quand'egli ne lavorava qualcheduna, se ne stava ritirato in una stanza serrata di dentro, dove gli occhi suoi erano fontane di lacrime, spargendone in abbondanza per tenerezza e compassione del suo amato signore». E dalla sua dolorosa cogitazione venivano fuori opere, come questo Crocefisso, dolorosissime a vedere, e propriamente spaventose.

 

 

da "Catania" di Federico De Roberto                                 

ISTITUTO ITALIANO D'ARTI GRAFICHE — EDITORE 1907

 

 

Via Tomaselli

 

 

Via Tomaselli

 

 

IL LAGO DI NICITO

 

Creato da un'eruzione dell'Etna e da un'altra distrutto

Laura Salafia -  La Sicilia, 3.11.2013

 

L'auto avanza faticosamente dalla periferia verso il centro storico. Il traffico comincia a congestionarsi, ma, sostenuti dal buonumore, ci avviciniamo a casa. Marcello è prodigo di gentilezze, e confido in lui per qualche sortita. Da piazza Santa Maria di Gesù imbocchiamo la via Lago di Nicito; incrociamo via Mogadiscio, via Amba Alagi, via Ughetti, giriamo a sinistra per via Rocca Romana, imbocchiamo la via Santa Maddalena, scorgo a destra la via Reclusorio del Lume e quindi svoltiamo a sinistra per la via Cappuccini… Capite bene che per sana curiosità sarebbe opportuno rivedere tante pagine di storia.

Ma questa volta voglio addentrarmi nella storia del lago di Nicito. Perché questa strada che si snoda da piazza Santa Maria di Gesù fino a via Plebiscito porta questo nome? Perché nei pressi della piazza di Santa Maria di Gesù esisteva un bel lago. L'eruzione del 406 a. C., raggiunta Catania, sconvolse anche il fiume Amenano e formò un lago profondo 15 metri con una circonferenza di 6 chilometri. Una volta tanto l'Etna, che ha determinato da sempre la storia di Catania e continua a farsi sentire, diede vita ad un luogo davvero suggestivo, circondato da collinette, sulle sue rive sorsero delle splendide ville. Non lontano, ma in epoca più recente, sorgeva il Bastione degli Infetti, (un fortilizio militare costruito dall'architetto Ferramolino nel 1550, utilizzato in seguito come lazzaretto per gli appestati e poi come sanatorio; dopo il terremoto del 1693 cadde nell'abbandono e fu saccheggiato dall'abusivismo edilizio; oggi si tenta qualche recupero). Il lago, quindi, costituiva un grande attrattiva, e le sue caratteristiche consentivano delle regate: se ne ricorda una in particolare, quella compiuta l'8 settembre del 1652, in occasione della festa della Madonna. Il nome Nicito attinge ad un etimo di tutto rispetto: Nike (vittoria), che ha originato la derivazione più stretta di aniketos (invitto). Fu creato, come s'è detto da un'eruzione; fu distrutto da un'altra eruzione, quella del 1669, una delle più disastrose. Iniziò l'11 marzo ed ebbe fine il 15 luglio. La colata distrusse Nicolosi, Mompilieri, Belpasso, Mascalucia, San Pietro Clarenza, Camporotondo, S. Giovanni Galermo. In seguito un fiume di lava alto 50 metri e largo 4 chilometri investì prima Misterbianco, quindi Catania dal lato di ponente. Il 15 aprile si riversò sulla campagna a nord-est della città; invase la valle di Anicito e divorò il lago stesso, colmandolo in solo 6 ore. Del bellissimo lago oggi possediamo solo il toponimo. La colata continuò la sua inarrestabile corsa, superò le mura, colmò i fossati di Castello Ursino, cancellò i 36 canali del fiume Amenano (il fiume che alimentava il lago), avanzò per circa 2 chilometri nel mare. Catania si spopolò: dei 20.000 abitanti ne rimasero solo 3.000; oltre 27.000 persone rimasero senza tetto. Preziose le testimonianze dell'abate Vito Maria Amico; del canonico Giuseppe Recupero, autore di una preziosa "Storia naturale e generale dell'Etna); di Giacinto Platania, autore di uno splendido dipinto custodito nella sagrestia del Duomo di Catania.

 

 

Catania è una città che nel corso dei secoli ha subìto innumerevoli mutazioni geografiche ed urbanistiche che ne hanno perennemente rinnovato il suo aspetto e la sua storia. Molti luoghi della Catania che fù non sono più visibili poiché cancellati dai frequenti terremoti verificatisi nel corso dei secoli o dalla furia dell’Etna che, con le sue eruzioni, ha da sempre ridisegnato l’intero paesaggio della costa ionica. Uno di questi fu il Lago di Nicito, del quale oggi rimane solamente il ricordo affidato al nome della via, che collega Piazza Santa Maria di Gesù con la centrale via Plebiscito.

Il lago sorgeva in prossimità dell’attuale quartiere di Cibali e nacque intorno al 406 a.C. a seguito di un’eruzione che investì in pieno Catania, deviando il percorso del vicino fiume Amenano. Lo specchio d’acqua che si formò ebbe una profondità di 15 metri ed una circonferenza di ben 6 chilometri, tutte condizioni che favorirono, nel corso dei secoli a venire, anche la disputa di regate navali. Con il tempo, sulle sponde del lago sorsero molteplici abitazioni nobiliari, estendendo dunque i confini urbanistici della città in direzione Nord-Ovest. Accanto al lago venne edificato anche il Bastione degli Infetti, costruito per volontà di Carlo V e divenuto anch’esso, con il passare dei secoli, parte integrante della storia cittadina catanese.

 Il nome del lago deriva, molto probabilmente, dall’aggettivo greco “ανίκητος” (invitto, invincibile), estrapolato a sua volta da νίκη (nike, vittoria). Il lago fu completamente ricoperto nel 1669, quando un’altra eruzione dell’Etna, certamente la più distruttiva che si ricordi, distrusse quasi completamente la città di Catania e i paesini dell’hinterland etneo. La lava si riversò con violenza sul lago, estinguendolo nel giro di sole quattro ore.

 http://www.vivict.it/luoghi-e-monumenti/il-lago-di-nicito/

 

 

 

APPROFONDISCI SUL FIUME LONGANE DEL PORTO ULISSE

 

 

 

Analisi e considerazioni a cura dell'Ing. Giorgio Coniglione

 

STEP1

 

 

 

 

 

Ipotesi di localizzazione e dimensioni della Valle e del Lago di Nicito.

In arancione probabile margine della colata, in relazione allo stato dei luoghi

(vedasi il dislivello all’interno dell’Ospedale Garibaldi). Il lago non può che essere all’interno della superficie coperta dalla lava.

 

STEP2

 

 

 

 

Parametri forniti dal Falzello e dal Carrera integrati

In colore arancione la colata lavica del 1669, estrapolata dalla carta dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia dell’Università di Catania

 

 

STEP3

 

stralcio di una planimetria ( sesto secolo) pubblicata da Fabio Basile e Eugenio Magnano San Lio ( si noti la chiesetta di Santa Maria di Gesù e la mancanza del lago a conferma di quanto afferma il Carrera)

 avanzamento del fronte lavico

 

STEP4

 

 

per seguire le presenti considerazioni occorre ricordare la corrispondenza tra le unità di misura correnti e quelle in uso in Sicilia nel sesto secolo

la colata lavica come indicata dell’istituto di Geofisica e Vulcanologia dell’Università di Catania con riferimento al territorio attuale e alle mura

 

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CONCLUSIONI

 

Nel 1639 Pietro Carrera scrive: ”il lago d'Angito, vicino alle mura della Città per Maestro. Questo Lago nei tempi a dietro si vedea perpetuamente ripieno có altezza d'acqua di due, e tre canne ( 1 canna= 2.062 m. pertanto la profondità era 5,24 e 7,86 m), però all'eta mia il Padron del luogo con deviarvi il torrente, che v'entrava, e cavarvi alcuni meati per l'uscita dell'acqua procurò di seccarlo. Quasi cento, e venti anni prima di Christo per cagione del tremuoto di Mongibello fu dalla terra assorbito; cel narra Diodoro nell'epstole. Gira intorno per lo fatto poco piu d'vn quarto di miglio (ovvero il perimetro misura 1.484,64 : 4 = 371 m). Vi si veggono attorno diversi alberi, verdure, colline torrenti,”

Nel 1829 Francesco Ferrara scrive: “In faccia (al Bastione degli infetti) eravi il Lago di Nicito formato dalle acque che vi si radunavano dalle vicine correnti; era circondato di alberi, e di folte campagne sparse di varj casini dei catanesi che rendevano quella valle allegra , e molto amena. Il lago con tutta la valle comprendeva lo spazio di più di sei miglia (ovvero 8.907,84 mq). Carrera scrive che le acque avevano da 14 a 20 piedi ( ovvero da 4.62 a 6,60 m) di profondità, e che al suo tempo si scavarono canali per diminuirle.”

 

Possiamo concludere che nel 1639 il lago era stato prosciugato, che in tempo precedente, non meglio definito, aveva una profondità compresa tra 4,62 m e 7,86 m e il suo perimetro misurava 371 m. Il Ferrara sostiene che tutta la valle comprendesse lo spazio di 6 miglia (se le intendiamo quadrate, avremo una superficie circolare del diametro di 4 km.) (se le intendiamo quale perimetro avremo una superficie circolare del diametro di 2,8 km.). Delle due soluzioni, l’ultima risulta più credibile.

(Giorgio Coniglione)

 

 

 

 

Chiesa San Domenico

 

 

CIBALI-TRAPPETO

 La sesta Municipalità occupa il vertice nord-occidentale del territorio catanese, subito al di sotto della Municipalità di San Giovanni Galermo. Il territorio urbano che le appartiene è costituito in parte da tessuti storici, ma prevalentemente da tessuti di recente costituzione le cui origini sono diverse: lottizzazioni private nelle aree prossime a piazza Santa Maria di Gesù; quartieri di edilizia residenziale pubblica nelle aree più lontane dal centro; tessuti spontanei generati da abusi edilizi poi integrati nella struttura urbana.

I tessuti storici sono quelli che si sviluppano attorno a piazza Bonadies e lungo le strade un tempo extraurbane che convergono in essa: via Cifali, via San Giovanni Galermo, via San Nullo. E’ questo il nucleo originario di un piccolo borgo extra-moenia di cui si registra la presenza già prima del terremoto del 1693. In quello scorcio del XVII secolo Cifali, come viene indicato nei documenti d’epoca, era solo un piccolo nucleo di case sparse ancora meno significativo degli altri borghi che si trovavano a nord di Catania.

 

 

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Qui esisteva anche un complesso conventuale dei frati Cappuccini con la chiesa di Santa Maria degli Angeli che, secondo A. Longhitano, fu distrutto dal terremoto e ricostruito sullo stesso sito. Benché il piano di ricostruzione del Camastra non prendesse in alcuna considerazione i borghi extra-moenia, già nelle vedute di Catania che risalgono alla metà del Settecento si può riscontrare la realizzazione della vasta piazza Santa Maria di Gesù proprio lungo la strada di collegamento con Cibali e il convento dei Cappuccini.
Prima formato da case sparse, ben presto Cibali vide l’insediamento di piccole case realizzate e disposte secondo schemi tipologici sostanzialmente urbani. In particolare, G. Dato ha dimostrato come nei tessuti di origine settecentesca a Cibali esistessero aggregazioni di case terranee attorno ad un cortile comune secondo uno schema del tutto analogo a quello riscontrabile nei coevi tessuti di Borgo, Consolazione e San Cristoforo. Successivamente in contrada Cibali erano state costruite alcune ville suburbane di famiglie importanti: tra esse la villa della famiglia Carcaci, segnalata sul rilievo topografico di S. Ittar del 1833. La situazione rimane sostanzialmente immutata fino alla fine del secolo se si eccettua qualche piccola lottizzazione proprio attorno a Piazza Bonadies con la realizzazione di alcune strade laterali e la definizione di isolati irregolari – a volte triangolari – perché definiti dai preesistenti tracciati rurali.

Negli anni ’80 del secolo XIX B. Gentile Cusa esclude ogni tipo di collegamento della struttura urbana catanese con questo sobborgo, e arresta l’area di nuova urbanizzazione occidentale, costituita da grandissimi isolati delimitati a est dal Borgo e da Consolazione, in corrispondenza del previsto nuovo asse nord-sud che parte da via Plebiscito, di fronte all’ospedale V. Emanuele.

 

 

 

Ma l’edificazione continua spontaneamente attorno al nucleo antico, caratterizzata da grandi isolati all’interno dei quali permangono usi rurali e orti, ma nei quali comincia a comparire un tipo edilizio, la villetta, che, negando il principio dell’allineamento su strada e collocandosi al centro del lotto, rappresenta il primo passo verso la rottura dell’isolato che si consumerà definitivamente nel secondo Dopoguerra. Tuttavia fino all’inizio degli anni Trenta Cibali rimane un sobborgo collegato al centro di Catania solo per mezzo di una strada a fondo naturale. Si tratta, a dire il vero, di una condizione abbastanza diffusa ancora in quegli anni, al punto che, proprio all’inizio di quel decennio, fu messo in campo un grande programma di opere pubbliche che aveva, tra gli altri, l’obiettivo di pavimentare parte di quel 50% di strade urbane ancora in terra battuta e di sistemare alcuni spazi pubblici.

 

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A MADONNA DO PANICOTTU (o do cunottu)

QUESTO PICCOLO TEMPIETTO, FU ERETTO NEL 1861 IL SUO NOME ERA LA MADONNA DEL CONFORTO,MA NEL 1865,ALL'INTERNO FU INSERITO  UN DIPINTO CON LA MADONNA CHE DAVA DA MANGIARE IL PANECOTTO AL BAMBIN GESU' E DA QUI FU CHIAMATA DAI CATANESI""A MARONNA DO PANICOTTU"" IN ALTO SCOLPITA STA  QUESTA FRASE=""DEL CONFORTO E' LA MADRE,ABBI IN LEI FEDE-CIO' CHE IL MONDO TI NEGA,ELLA CONCEDE""

Gianni Sineri

 

 

 

 

 

 

TUTTI ALLO STADIO!

 

 

In questo quadro venne sistemata la piazza Santa Maria di Gesù che, peraltro, faceva ormai parte del sistemadei viali. Risale a quegli anni anche la prima realizzazione di un’attrezzatura pubblica rappresentata dalla scuola elementare Corridoni. Queste scelte costituiscono il primo segnale sul futuro cui sarebbero andati incontro i terreni di Cibali, tra piazza Santa Maria di Gesù e piazza Bonadies, e poi quelli del poggio. A ridosso della parte di tessuto urbano scelto dalla borghesia di fine Ottocento per insediarvi le proprie ville, i terreni di Cibali cominciavano ad essere appetibili e, come è sempre avvenuto nei meccanismi di crescita urbana, la realizzazione delle attrezzature pubbliche implicava una crescita della rendita fondiaria e rappresentava una promessa per migliori fortune delle aree adiacenti.

La "promessa" viene mantenuta con il bando di concorso emanato nel 1931 per la redazione del PRG di Catania. Qui, come avviene per i sobborghi di Picanello e Ognina a est e per Nesima a ovest, per Cibali viene esplicitamente data l’indicazione di area naturale di ampliamento, con il chiaro obiettivo di favorire la saturazione delle aree comprese tra le ultime propaggini delle lottizzazioni realizzate attorno a viale Regina Margherita, e nei terreni Orto del Re, e il nucleo antico di Cibali. Ma il destino parallelo di Cibali e Picanello continuerà nei decenni successivi. La loro posizione all’incirca simmetrica rispetto al grande asse nord-sud costituito da via Etnea ne segna infatti le vicende. Così, anche per Cibali il progetto del PRG del 1952 prevede la promozione da aree a edificazione semintensiva ad aree a edificazione intensiva, con elevatissimi indici di edificabilità che comportano una notevole redditività degli investimenti nel settore delle costruzioni e che conducono anche alla perpetrazione di alcuni scempi: pochi anni dopo la logica speculativa porta all’abbattimento di villa Carcaci sul cui sito viene innalzato un edificio alto più di 30 m.

Anche L. Piccinato conferma questa sorta di gemellaggio tra Cibali e Picanello attribuendo, già nel Programma di Fabbricazione del 1961, una analoga elevata densità edilizia ai due quartieri, e ponendoli entrambi in rapporto con la strada di grande comunicazione che deve attraversare alla città legando la viabilità regionale a sud di Catania con quella a nord, mettendo cosi in relazione quartieri residenziali e area industriale. Quando poi Piccinato sviluppa l’idea dell’asse attrezzato, attribuendo a quella strada anche funzioni di strutturazione principale del nuovo assetto urbano catanese, Cibali, a ovest, e Picanello, a est, vengono individuati come siti in cui realizzare i due grandi centri direzionali-commerciali che devono rompere la monocentralità catanese. Una scelta, questa, che viene rafforzata nel decreto di approvazione del piano, dove le funzioni direzionali originariamente previste a San Berillo vengono cancellate e dirottate proprio sui due nuovi centri direzionali previsti. Nel frattempo, però, cresce l’insediamento di edifici abusivi che compromette in parte la realizzabilità delle previsioni di piano.

Molto più recente la storia del quartiere Trappeto Nord, a metà strada tra Cibali e San Giovanni Galermo. Fino all’inizio degli anni settanta l’area era destinata quasi esclusivamente ad usi agricoli, con prevalenza di agrumeti. Solo un paio di piccoli isolati triangolari si appoggiavano alla via San Giovanni Galermo in prossimità dell’Istituto per sordomuti Gualandi; più a nord, alcuni piccoli isolati rettangolari si erano andati costituendo a Carrubella, in territorio di Gravina. Si trattava, per certi versi, di un fatto eccezionale: fin dagli anni Trenta, infatti, sia il dibattito che gli strumenti urbanistici avevano indicato usi edificatori per molte contrade a nord di Catania. D’altra parte il piano Piccinato, che, recependo una elaborazione fatta dall’Ufficio Tecnico Comunale durante la fase di approvazione del PRG, indicava due grandi aree destinate ad edilizia residenziale pubblica attorno a San Giovanni Galermo e tra la città universitaria della collina di Santa Sofia e la strada che collegava S. Giovanni Galermo a Cibali.

 

 

Il piano era stato approvato appena nel 1969. Fu dunque a seguito dell’individuazione sull’area di Trappeto di un perimetro di area 167 per il quale elaborare un Piano di Zona che vennero create le premesse per la sua urbanizzazione. Secondo lo schema di urbanizzazione previsto, il collegamento con il centro città, a sud, e con i paesi della corona etnea, a nord, sarebbe stato assicurato da una strada di grande comunicazione tangente al quartiere dal lato occidentale. L’area era delimitata da un anello stradale a servizio delle residenze, mentre una strada che doveva avere funzione turistica di collegamento con le falde dell’Etna divideva l’intera zona in due settori: il settore nord, che originariamente doveva essere destinato ad edilizia privata, veniva quasi subito destinato al PdZ come quello meridionale. Il Piano di Zona veniva affidato a due diverse equipes: Trappeto sud a un gruppo coordinato da S. Boscarino; Trappeto nord all’Ufficio tecnico dell’Istituto per lo Sviluppo dell’Edilizia Sociale (ISES).

 

Entrambi i progetti, approvati nel 1968, proponevano un sistema di verde e attrezzature collettive in posizione centrale e a diretto contatto con la viabilità principale, mentre la parte più alta veniva destinata alla residenza per complessivi 17.000 abitanti. Il PdZ Trappeto Nord, avviato subito, è oggi portato a compimento, mentre quello meridionale, riprogettato nel 1981, è ancora in fase di attuazione. La parte più consistente di questa recente urbanizzazione è quella che si trova a nord del viale Tirreno, l’asse stradale portante del quartiere, che costituisce un anello innestato su via Galermo. Qui risiedono oltre 5,000 abitanti concentrati in un doppio nastro di edifici lungo centinaia di metri. A Nord di Trappeto, infine, esiste una vasta area di edificazione abusiva relativamente estensiva, strutturata su una rete viaria precaria e inadeguata che si appoggia alle vie Galermo e Carrubella. La parte della ex contrada Santa Sofia, inspiegabilmente inglobata nella sesta Municipalità, è invece costituita per lo più da vaste aree agricole destinate all’ampliamento della Città Universitaria.

Contributo editoriale tratto dal volume :
"Catania - I quartieri nella metropoli" a cura di Renato D'Amico - ed. Le Nove Muse

http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/municipalit%C3%A0/trappeto_cibali/Il_Tessuto_Urbano.aspx

 

 

 

 

 

 

 

 

CICCIO FALANGE.  

Non so se la storiella è vera o no. Pare che dopo la vittoria del Palermo in un  Derby in serie C, durante la "ritirata scortata" verso la stazione dei pullman per tornare a Catania, gli Ultras rossazzuri fossero stati inseguiti da quelli rosanero.

Corsa verso la salvezza, tranne Ciccio, che si volta di fronte a cira 300 tifosi palermitani in arrivo, si inginocchia al centro della strada e grida a squarciagola "Palermo, ti odio!". Gli finì peggio di Leonida, ovviamente ricoverato in ospedale (palermitano).

 

La nascita di un vero e proprio movimento ultras a Catania si deve ad un solo uomo: Ciccio Famoso, in "arte", Ciccio-Falange. Fu questi infatti che agli inizi degli anni '70 fondò l'ormai storica Falange D'assalto divenuta poi il gruppo leader per decenni.Prima di questa non è che Catania facesse mancare il suo apporto alla squadra,ma certamente non si poteva parlare di movimento Ultras. Dopo la  Falange, da sempre posta in curva Nord, nacquero numerosi altri club tra cui i "Giovani Rossazzurri" , l' Onda D' urto, i Star Fighters. A quel tempo ad esclusine dei Giovani Rossazzurri, posti in curva Sud (allora in legno) nessuno poteva competere con lo strapotere della Nord. La Falange assumeva sempre più importanza nel panorama ultras e facevano parte di essa molti ragazzi veramente "capaci". I Il supporto canoro era veramente impressionante,le coreografie,soprattutto col Palermo, spettacolari ed originalissime. Il "dominio" di Ciccio andò avanti per anni. Nel '91 accade un evento che sconvolgerà il mondo ultras catanese. Una piccola ma ottima frangia della Falange si stacca dalla Nord e va in curva Sud a dar vita ad un nuovo gruppo: Club Primo Amore (poi Irriducibili). 

 Per loro gli inizi furono molto difficili in quanto la concorrenza della Falange era spietata. Ma questi essendo tutte persone veramente capaci, iniziarono man mano a prendere sempre più piede. Proponevano un nuovo stile di tifo, nuove coreografie, perfetta organizzazione. Fu così che molti ragazzi della Nord andarono in curva Sud. Si vissero anche dei momenti di grande tensione, ma poi gli animi si calmarono. Col passare del tempo la Sud divenne il gruppo leader dello stadio. Ma nel '93 un terribile avvenimento scosse tutta Catania.Il Calcio Catania fu radiato (ingiustamente, come poi fu assodato) dai campionati professionistici. Solamente la caparbietà di Angelo Masimino riuscì a non farci scomparire del tutto e il Catania fu ripescato in eccellenza. Ad aggravare la situazione ci si mise anche un imprenditore di nome Proto. Questi fiutando l'affare (Catania è una piazza da serie A) prima creò una squadra che disputò il campionato nazionale dilettanti,l'anno dopo portò a Catania la Leonzio,che giocava in C1. Così Catania si ritrovò ad avere due squadre. Una in C.N.D. (infatti il, Catania riuscì immediatamente a risalire di una categoria) e una in C1. Nonostante questo casino i catanesi restarono fedeli al suo unico amore: il Catania Calcio; la prima partita di eccellenza fu seguita da 10.000 persone, la squadra fu sempre seguita massicciamente ovunque. Nel C.N.D. eravamo sempre in almeno 6.000 per toccare picchi di 18.000. L'Atletico? Beh anche se era in C1 non era seguito che da 2-300 "sportivi", tranne in rari casi……

Gli Ultras,ovviamente,restarono fedeli al Catania.Ma la situazione era totalmente cambiata. La Sud era diventata la curva più calda. Il suo tifo era assordante, le coreografie sensazionali. ….E la Nord…… La Nord non c'era più!! Già gli Irriducibili avevano dato la prima tremenda botta al club del "Castello", portando numerosissimi ragazzi in curva Sud poi arrivò il colpo di grazia: un'altra scissione. Un nutrito gruppo di ragazzi si staccarono dalla Falange e diedero vita ad un nuovo gruppo: i Decisi. Questi si collocarono in curva Nord ma staccati da ciò che rimaneva della Falange. Anche in questo caso gli inizi furono difficili, ma man mano iniziarono ad affermarsi riportando il tifo anche in curva Nord anche se non potevano assolutamente competere con gli Irriducibili. Mentre infatti la Sud offriva un colpo d'occhio veramente impressionante, nella Nord lo scenario non era dei migliori. Qui si vedevano infatti 2 gruppetti che intonavano sempre cori diversi l'uno dall'altro. Praticamente non si capiva niente. (fonte: profilo facebook di Ciccio Famoso)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VIALE RAPISARDI - SAN LEONE

L’ottava Municipalità occupa la propaggine orientale della città "compatta", ed è attraversata da due assi principali: il viale M. Rapisardi fino all’incrocio con via Palermo in piazza Marconi, nella parte settentrionale, e il corso Indipendenza, più a sud. Accanto ai tessuti urbani di origini ed epoche diverse, presenta ampie zone che, seppure ormai circondate da urbanizzazioni, presentano caratteri suburbani. Le origini dell’urbanizzazione di questa settore occidentale di Catania sono da ricercare nelle previsioni di B. Gentile Cusa il quale, nel suo "Piano regolatore per risanamento e per l’ampliamento della Città di Catania" del 1888, disegna una ampia zona d’espansione a occidente di via Etnea.

L’asse principale di questa zona in direzione est-ovest era prevista con il prolungamento di viale Regina Margherita, oltre piazza S. Maria di Gesù, fino all’incontro con una nuova strada, prevista in direzione nord sud, che avrebbe dovuto avere inizio da via Plebiscito, proprio di fronte all’ospedale Vittorio Emanuele. Questa strada, con la quale si intendeva lasciare Cibali e gli altri sobborghi occidentali come Nesima, fuori dalla struttura urbana di Catania, non fu realizzata, ma venne sostituita, nella funzione prevista, da via Forlanini che, invece, puntava al centro di Cibali. La previsione gentiliana di un struttura urbana a maglie ortogonali con isolati quadrati di grandi dimensioni fu in parte modificata con la realizzazione di isolati più piccoli che consentivano operazioni immobiliari più facilmente gestibili, dunque redditizie.

Ma soprattutto si trattava di una struttura aperta sul territorio che consentiva, con la semplice addizione di altri isolati rettangolari, una ulteriore urbanizzazione verso ovest. Alle costruzioni di grande pregio che già dalla fine del secolo scorso si affacciavano sul viale Regina Margherita, si aggiunsero lungo il viale Mario Rapisardi insediamenti di tono progressivamente minore, con un'attività edificatoria, comunque, abbastanza ordinata e programmata.

Lo scadimento di livello divenne più evidente con le edificazioni degli anni ’60, lungo corso Indipendenza e nel quartiere di Nesima Inferiore, nel cui ambito è stato realizzato un grosso insediamento popolare, che tuttavia appare come uno dei meglio integrati e dei meglio gestiti. Nel frattempo, nelle maglie varie interne, l’attività edificatoria privata dei primi decenni del secondo dopoguerra, si è indirizzata alla costruzione di condomini intensivi di 6-8 piani, che si sono andati affiancando uno dopo l’altro, fino ad occupare tutti i perimetri degli isolati, anche per scelte governative che individuavano, nell’edilizia, uno dei settori traenti dell’economia.

 

E’ questa un’edilizia caratterizzata dalla povertà dei materiali, dall’uso del cemento, dalla realizzazione di maggiori volumi, ma, soprattutto, dalla spasmodica ricerca di ricavare il maggior numero di vani per lotto di terreno. Sul reticolo delle strette vie laterali, si sono demolite le case modeste preesistenti per costruire palazzi a più piani, sfruttando al massimo, o, addirittura, superando abusivamente gli altissimi indici di fabbricabilità consentiti dall’inadeguato regolamento edilizio. E tutto questo avveniva senza previsione di spazi per piazze, parcheggi, servizi pubblici.

Anche Nesima, come Picanello, Cibali e Barriera, negli anni Trenta viene considerata area di "naturale" espansione urbana di Catania, anche in considerazione delle piccole lottizzazioni che vi erano state realizzate spontaneamente nei primi decenni del secolo. Il suo futuro viene però soprattutto segnato dalla scelta, operata con il PRG del 1932, di localizzare a Nesima Inferiore un’area da destinare a edilizia economica e popolare (quartiere operaio).

Più tardi, nei primi anni ’50, viene progettato di destinare un’ampia area del quartiere a trasferirvi gli abitanti, previsti nel numero di 14 mila, del vecchio San Berillo "risanato" ad opera dell’ISTICA e dell’Istituto per l’Edilizia Popolare di San Berillo. L.’intervento, realizzato su un’area di oltre 64 ettari, fu infine dimensionato per 10.000 abitanti, tanti quanti, all’incirca, ve ne abitano oggi; mentre, nel complesso, l’area - se si considerano tutte le urbanizzazioni pubbliche e private successive - è abitata da oltre 45 mila abitanti.

Nel corso degli anni Sessanta viene progressivamente saturata l’area tra corso Indipendenza e viale Rapisardi, prima, e a San Leone, dopo. Oggi, la Municipalità ricopre un ruolo essenzialmente residenziale, con attrezzature le cui funzioni sono da mettere in relazione pressoché esclusivamente con gli abitanti dei quartieri che ne fanno parte.

Contributo editoriale tratto dal volume :
"Catania - I quartieri nella metropoli" a cura di Renato D'Amico - ed. Le Nove Muse

http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/municipalit%C3%A0/s._leone_rapisardi/Il_Tessuto_Urbano.aspx

 

 

 

 

 

BARRIERA-CANALICCHIO

La quarta Municipalità "Barriera-Canalicchio", sebbene sia caratterizzata dalla presenza di diversi tipi di tessuti urbani, ha al suo interno un elemento di fortissima caratterizzazione nell’ambito metropolitano, e non solo: la Città Universitaria che occupa tutta la parte occidentale del territorio circoscrizionale. La storia della Città Universitaria ha inizio con gli anni Sessanta: fino al decennio precedente, infatti, le istituzioni dell’Ateneo erano ospitate negli edifici "storici" di piazza Università, via Androne e corso Italia, mentre le cliniche di Medicina si svolgevano presso gli ospedali cittadini.

Verso la fine dei quel decennio cominciò a porsi la questione della necessità di reperire aree sulle quali realizzare le sedi delle facoltà, ma il programma di fabbricazione vigente, quello basato sul regolamento edilizio del 1935, non faceva alcuna previsione a riguardo.

Fu L. Piccinato che, scelto come consulente dall’Università, individuò la collina di Santa Sofia come area sulla quale realizzare la nuova Città Universitaria: si trattava allora di una collina in parte occupata da resti di colate laviche, in parte da coltivazioni e da manufatti di origine rurale per l’utilizzazione agricola, frantoi, pozzi, fabbricati.

Probabilmente la scelta è da porre in relazione anche con la volontà di Piccinato di rallentare la crescita dei quartieri residenziali verso nord. La prima area individuata era estesa ben 25 ettari, e si estendeva dall’attuale viale A. Doria verso nord fino alla sommità della collina, mentre a ovest era delimitata dalla via Santa Sofia. Fu lo stesso Piccinato che elaborò il piano particolareggiato destinando la sommità della collina al Policlinico e la parte più vicina alla circonvallazione alle facoltà scientifiche e alle attrezzature comuni.

Mentre metteva mano al Programma di Fabbricazione affidatogli nel 1961, Piccinato modificò il piano particolareggiato spostando gli edifici destinati alle attrezzature comuni nella parte centrale dell’area e prevedendo nella parte alta della collina anche l’Osservatorio astrofisico. Le urbanizzazioni vennero avviate quasi subito, tanto che, fatto eccezionale per Catania, solo dopo la loro ultimazione fu avviata l’edificazione dei padiglioni.

Nel frattempo però era stata verificata l’insufficienza dell’area rispetto alle esigenze che il crescente peso delle facoltà scientifiche cui la cittadella era destinata andavano acquisendo. Ma la quarta Municipalità non è solo Università, è anche tessuti residenziali: quelli di Barriera, innanzitutto, e quelli di Canalicchio. II quartiere di "Barriera del Bosco" deve il suo nome al "bosco etneo", che comprendeva i paesi di Tremestieri, Viagrande, San Giovanni la Punta e Zafferana, che qui si arrestava, e il cui accesso, da via Due Obelischi, era stato aperto dall’intendente borbonico Giuseppe Alvaro, principe di Manganelli, nel 1835.

Fin dai primi decenni di questo secolo il quartiere è stato oggetto di urbanizzazioni, di estensione e importanza limitata, prima, sempre più imponenti, poi. Tra gli anni Dieci e gli anni Trenta vennero realizzate piccole lottizzazioni impostate sull’apertura di strade ortogonali alle strade rurali esistenti che, così, cominciano a subire una lenta trasformazioni in strade urbane, spesso senza che vengano adeguate le caratteristiche geometriche e dimensionali.
 Il fenomeno e già abbastanza sviluppato nel 1931, al momento di impartire le indicazioni per la redazione del PRG: Barriera viene considerato tra i sobborghi in cui "naturalmente" dovrà avvenire l’espansione della città. Dopo la guerra, le vicende relative al PRG del 1952 che non va in porto, il ritorno al regolamento edilizio prebellico e la forte pressione speculativa, fanno crescere rapidamente l’interesse per i terreni a nord della circonvallazione che diventano sede di una massiccia opera di urbanizzazione con la realizzazione, soprattutto nel corso degli anni sessanta e settanta, di edifici condominiali.

Fanno anche la loro comparsa i primi residences, complessi residenziali chiusi all’interno nei quali, oltre agli edifici, vengono realizzate più o meno estese aree verdi e parcheggi. Nella parte orientale, tra la via Pietra dell’Ova e viale Mediterraneo, ci sono alcune attrezzature importanti: il Seminario arcivescovile, il Leonardo da Vinci, Villa Pacis, ma sono inglobate in un tessuto urbano poco coerente, la cui struttura è nata dalla occasioni di utilizzazione edilizio-speculativa dei decenni scorsi. Quelle strutture appaiono, così, ripiegate su se stesse, enclaves di uso pubblico in mezzo alla città dell’edilizia privata. Quanto, invece, al quartiere di Canalicchio, vecchia piccola frazione a nord della città, essa diventa sede di nuovi quartieri spontanei tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta; già nel 1952 vi vengono ubicati un ambulatorio medico e una succursale dell’ufficio postale.

La condizione di Canalicchio rimane però sostanzialmente immutata ancora per tutti gli anni Sessanta: crescono le case edificate spontaneamente lungo le strade rurali, vengono realizzate piccole lottizzazioni, ma il carattere del sobborgo rimane rurale. A modificarne il destino è, insieme alla tumultuosa crescita che caratterizzerà Catania a partire da quegli anni, la scelta dell’UTC, recepita nel PRG di Piccinato, di localizzarvi un’area di Edilizia Residenziale Pubblica. Questa verrà realizzata nel corso degli anni settanta sulla base di un Piano di Zona per 1100 abitanti che copre un’area di 11 ettari.

Naturalmente la prevista realizzazione delle attrezzature pubbliche rimarrà quasi del tutto una chimera, ma anche la edificazione degli alloggi procederà a rilento, probabilmente per il contemporaneo impegno dell’IACP su altre aree (barriera, ad esempio).

Negli anni successivi, soprattutto nel corso degli anni Ottanta, a Canalicchio ha fatto la sua comparsa l’edilizia speculativa legale che ha trovato vantaggioso edificare su aree in fondo non molto distanti dal centro, poste in alto e collegate in modo abbastanza diretto con la città a sud della circonvallazione. La carenza di attrezzature pubbliche e, in ultima analisi, del carattere urbano delle aree ha condotto alla realizzazione di residences in cui i rapporti con la città circostante sono negati dalle recinzioni, mentre un minimo di dotazione di standard (parcheggi e verde) viene ricavato all’interno del complesso, che assume dunque un aspetto da villa plurifamiliare che ha trovato a lungo e, per certi versi ancora oggi, il favore della piccola e media borghesia.

Contributo editoriale tratto dal volume :

"Catania - I quartieri nella metropoli" a cura di Renato D'Amico - ed. Le Nove Muse

http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/municipalit%C3%A0/barriera_canalicchio/Il_Tessuto_Urbano.aspx

 

 

 

 

VILLA DI ANGELO MUSCO

(Via Leucatia, restaurata da Francesco Fichera nel 1930 su commissione dell'attore )

Testo di Antonio Rocca

-Piena di sussiego, di decoro,la Villa di Angelo Musco (oggi di proprietà Grimaldi),in via Leucatia 3, restaurata da Fichera nel 1930.

Costituisce una ulteriore dimostrazione di abile sincretismo, in cui tuttavia lo sforzo di sintesi non riesce ad eludere del tutto qualche smagliatura.

L' edificio trae il suo carattere dalla perfetta simmetria in cui si articolano, a quote diverse, le scatole murarie;nell'ordinato gioco di incastri dei due corpi laterali più bassi che stringono ai fianchi il "pilastro " centrale che si stacca dalla grande scatola cubica retrostante e avanza più alto, sormontato dall'edicola cuspidata.

L' essenziale funzione di equilibrio e di coesione è principalmente affidata ai parapetti delle grandi terrazze e,di più, ai robusti cornicioni dentati su cui essi direttamente si impostano, e che legano fra loro i corpi di fabbrica. Sotto essi,infatti (parapetti e cornicioni) che preparano (ma moderano) lo sviluppo in verticale dell'edificio culminante nella piccola altana, col segnare d'un forte tratto scuro "orizzontale "Il perimetro esterno di tutti i corpi di fabbrica, funzionando come una cerniera che vuole tenere insieme non solo le parti dell'edificio, ma imponendosi col "peso" della sua più tradizionale, rassicurante presenza, anche le altre diverse componenti stilistiche che quell'edificio conformano.A cominciare da quella dèco, evidente subito nelle grandi anfore fuse in unica massa compatta coi loro corpi floreali: collocate in posizione strategica, sugli spigoli dei parapetti;a puntualizzare parzialmente l'assetto volumetrico del palazzo, e avviare, nello stesso tempo, l'ordinato "crescendo "verso l'edicola terminale.

Dèco pure il disegno dolcemente modulato dei balconi aperti sui fianchi, al primo piano;e la bizzarra cuspide dell'altana che s'intreccia in ferri sottili a comporre una sorta di piramidale fontana zampillante,  realizzata in ferro battuto ancora da Mario Manoli. Un dèco che ci sembra traspaia pure nel taglio netto dei blocchi staccati a spigoli vivi,nella chiara definizione delle cesure che incidono sul piano le cornicette  (più scure) di tutte le aperture;nel profilo schematizzato dell'arco riproposto nella finestra di prospetto,  sotto il motto latino ;nella stessa limpida grafia e nella collocazione spaziata delle iscrizioni,  specialmente quelle laterali, isolate fra i due rosoncini,sul bianco ampio delle superfici. E financo nella rapida cesura della cornicetta orizzontale che sulle facce laterali separa di netto la zona più "mossa" delle tre finestre grigliate dalla chiara liscia superficie che si spiana sotto di esse.

Poi,oltre il montare graduato delle terrazze, il tono diverso dell'edicola terminale, tipico monumentino '900,preso a prestito a qualche torre littoria (come quella di Aprilia, per esempio),più terso,forte e plastico  nell'impianto e nel taglio stesso delle arcate spesse e dure.

E nel confronto è possibile seguire il superamento del diaframma che dal dèco conduce allo stile '900, complici le due statue allegoriche, ignude e tornite secondo i canoni del più ufficiale novecentismo da Carmelo Florio. -(Antonio Rocca, da "L' arte del ventennio a Catania ")

 

 

 

Villa Josè

Anno Di Costruzione: 1900/inizio

Scuola Di Francesco Fichera (1881-1950)

 Via Leucatia, 47

Di autore ignoto, villa Josè viene costruita nel primo quarto del XX secolo come testimonia il "piano topografico della città e suburbio di Catania" redatto nel 1928. La prossimità con la coeva Villa Jole e l'analogia di taluni aspetti tipologici spingono gli studiosi a ritenere la costruzione opera di allievi del più noto architetto Francesco Fichera. L'impianto volumetrico dell'edificio è costituito da due avancorpi laterali simmetrici e da un corpo centrale arretrato rispetto al filo di facciata, con portale d'ingresso sormontato da pensiline in ferro battuto, che riprende il motivo del timpano adottato nelle aperture. Nella parte sommitale, al centro, è posta una piccola altana con ringhiere e sostegni verticali in ferro battuto che sorreggono la copertura riprendendo forme dalla geometria rigorosa. I prospetti, trattati ad intonaco liscio di color rosa evidenziano l'attenta proporzione tra la superficie delle aperture e quelle della facciata. Le cornici marcapiano ed il fregio decorato con archetti contribuiscono ad equilibrare tra di loro i corpi di fabbrica. C.S.

 

 

 

 

VILLA MESSINA PANTO' o CASA SULLA LAVA

(Via Matteo Albertone ,anno di costruzione 1926/27,autore Francesco Fichera)

Descrizione del professore Antonio Rocca:

-L' altana di Villa Messina (1926-27)In via Mario Albertone 2,è un punto di riferimento assai familiare ai catanesi:è il faro del Tondo Gioeni. Ed è anche il bizzarro baldacchino svettante su una costruzione che si impone innanzitutto per la salda articolazione dei volumi.

Con discrezione il Dèco si evidenzia nei balconcini neo-rococò, le nicchiette incavate fra le finestre, l'intradosso tagliato a gradini sotto il balcone di mezzogiorno;e solo nell'altana alza uno squillo festoso. Ma forse sono anche nei caratteri dello stile certe brusche interruzioni, certi accostamenti audaci, che è possibile scorgere in vari momenti del percorso architettonico. Come nel settore d'angolo, dove la torre si addossa ma anche penetra nel corpo di fabbrica che si affaccia a levante ,tranciando di netto il sottile cornicione che aveva già percorso tutto il prospetto ad est ed era appena girato sull'angolo, fermato adesso bruscamente sul piano orientale della torre, a misurare lo spazio breve che segna la distanza fra le due facciate. Entro questo spazio di risulta si incunea un balconcino corto e strettissimo (che copre una altrettanto angusta loggia sottostante)che va a battere direttamente con l'inferriata sullo spigolo del corpo di fabbrica più avanzato.Ancora,quella pur lieve incassatura ha spiazzato l'asse delle finestre aperte sulla facciata della torretta rompendo l'intenzionale simmetria.

Una serie di "incidenti "che "contraddicono "l'ordinata impaginazione geometrica dell'insieme, preparando le altre audacie in cui consistono le giustapposizioni delle forme "diverse "montate sulla torretta. Dove, su una base quadrata si imposta un imprevedibile circuito di rotonde colonne classiche, a loro volta raccordate in cima da un telaio ottagonale su cui infine poggia la trasparente cuspide ultradèco ricamata in ferro battuto da Mario Manoli.

Conclusione stravagante, ma forse non incoerente rispetto all'intero progetto architettonico che ha previsto programmaticamente certi "contrasti ",a cominciare da quello più importante:aver voluto impiantare un organismo fortemente geometrizzato in cima ad una montagna di lava scura, informe e selvaggia-(dal libro "L' arte del ventennio a Catania "di Antonio Rocca)

 

foto by Salvo Puccio

 


GIUSEPPE CATANZARO, L'INGEGNERE FUCILATO AI DUE OBELlSCHl
La fucilazione del capomanipolo (nella milizia fascista questo grado corrispondeva a quello di tenente dell'esercito) Giuseppe Catanzaro, è sicuramente uno degli episodi più tristi e scellerati che si verificarono nell'ultimo conflitto mondiale. E' avvenuto a Barriera, nella piazza dove sono ubicati i Due Obelischi.
Quando Giuseppe Catanzaro, che da civile svolgeva la professione di ingegnere, il 15 giugno del 1943 fu posto innanzi all' Obelisco destro per essere fucilato da un plotone d'esecuzione allestito in tutta fretta, molte delle persone che assistettero alla tragedia si chiesero di quale tremenda colpa si fosse macchiato quell'uomo per meritare un "trattamento" così feroce proprio quando le sorti della guerra sembravano ormai delinearsi con chiarezza.
Secondo quanto riferiscono le cronache, in quei giorni Giuseppe Catanzaro si sarebbe trovato al comando della batteria 483 S.l A mart (di stanza alla Barriera) già ridotta dai violenti combattimenti dei giorni precedenti, in condizioni di resa. Mancavano uomini e armi e, pertanto, data la situazione, ricevette l'ordine di ripiegare verso Messina. Catanzaro ubbidì e agì di conseguenza. Successivamente però, ecco un contr'ordine: "Ritornate alla batteria, perché da un momento all'altro arriveranno i rinforzi tedeschi per organizzare la resistenza nel tentativo di respingere il nemico". Catanzaro, colto di sorpresa, dovette fare i conti col malumore dei pochi uomini rimastigli e con la scarsezza di armi e munizioni che durante la precipitosa ritirata avevano abbandonato. Tuttavia, dopo un primo momento di esitazione, il capomanipolo obbedì.

Giunto a Barriera, Giuseppe Catanzaro venne però arrestato e condotto al comando difesa Porto che si trovava nell'ex residenza benedettina. Ad attenderlo ci fu il generale Passalacqua ed altri ufficiali. All'accusa di aver distrutto mezzi bellici dinanzi al nemico, in quello che a poco a poco andava assumendo sempre più i contorni di un processo sommario, Catanzaro oppose una disperata quanto inutile difesa. In breve tempo, si passò alla fucilazione.
Chi assistette all'esecuzione, affermò che il condannato "scaricato" dalla camionetta militare come un "sacco di patate", appariva incredulo di fronte a quella spietata realtà. Fino all'ultimo momento di vita dovette chiedersi se quella non fosse stata soltanto una messa in scena. E invece no. Quando i fucili tuonarono, stramazzò al suolo privo di vita e in un lago di sangue.
Più che macchia di una "disonorata carriera militare", s'era lasciato dietro il profondo dolore della giovane moglie e dei due figlioletti ancora in tenere età. Come accerterà quindici anni più tardi la Corte di Cassazione: non di tradimento si era trattato (come invece risultava dalla motivazione che aveva portato alla condanna), ma di un fatale errore verificatosi nelle concitate fasi della guerra. Restituendo l'onore al soldato, il Tribunale credette di aver fatto, una volta per tutte, chiarezza su quell'infausto episodio.
Ma il sospetto che il Catanzaro avesse pagato di persona l'errato comportamento di un superiore o, peggio, essere stato vittima di un'oscura e assurda congiura ordita ai suoi danni, fu forte. I familiari, che avevano sperato in un minimo di giustizia nell'azione legale intentata contro il generale Passalacqua, firmatario della condanna a morte, per un vizio procedurale in sede civile si videro negare persino il risarcimento richiesto. Sulla vicenda, poi, calò definitivamente il sipario. I possibili responsabili, schivando la giustizia degli uomini, la fecero franca.
Oggi quei Due Obelischi borbonici sono noti non soltanto per essere stati eretti, nel 1935, a ricordo dell'apertura della strada che doveva condurre sull 'Etna, ma anche per questo toccante episodio che concluse nel peggiore dei modi una guerra fin troppo amara.
Terminato il conflitto, poco distante il luogo dell'esecuzione, una mano pietosa collocò una pianta d'alloro; forse, per "non dimenticare". Oggi questa pianta non esiste più perché col cambiamento urbanistico della zona anche i simboli sono spariti.
Agli inizi del 1980 il Comune di Catania, adempiendo a un giusto doveroso riconoscimento, decise di intitolare a Giuseppe Catanzaro la piazza in cui venne fucilato.

di Salvatore Nicolosi da "Immagini di Catania"  di Consoli-Nicolosi - raccolto in "Barriera-Canalicchio. Storia, evoluzione e immagini di un quartiere" di Santo Privitera

 

I Due Obelischi

 

La Certosa abbandonata di Catania

CLAUDIA CAMPESE, MARCO DI MAURO 17 AGOSTO 2015

 Alle spalle del cimitero etneo, costruita nel Trecento, dell'abbazia restano un grande cortile con il pozzo saraceno, la schiera di celle di difficile accesso, e la chiesa di Santa Maria di Nuovaluce ormai impraticabile. Sconosciuta da catanesi e turisti, è prima diventata stalla per mucche e poi dimenticata.

Da abbazia a stalla per le mucche. Ignorata dai catanesi e sconosciuta dai turisti. Tra l'erba alta di Fossa della Creta, alle spalle del cimitero etneo, restano le tracce dei fasti medievali dell'unica certosa di Catania: Santa Maria di Nuovaluce. Dietro gli anonimi caseggiati della periferia, un sentiero conduce a uno dei luoghi storici della città. «L'edificio sorge intorno ai resti di una chiesa che la tradizione vuole eretta all'indomani del terremoto del 1169 - spiega Iorga Prato, tecnico archeologo - Secondo i racconti, dal colle emerge un bagliore che guida la popolazione in fuga. Questa luce proviene da un'icona orientaleggiante della Madonna, da quel momento venerata come “di Nuova Luce"». Due secoli dopo, Artale I Alagona - condottiero di nobile famiglia che sconfigge la truppa angioina durante i Vespri nella battaglia navale nota come Scacco di Ognina - decide di costruire il monastero e di affidarlo all'ordine dei Certosini. Una piccola comunità di circa trenta monaci si stabilisce così a Fossa della Creta, a partire dal 1370.

Ma quella che oggi è una verde collina che domina la città si rivela allora un'area malarica. Poco più di dieci anni dopo, i monaci certosini abbandonano la struttura per trasferirsi sull'Etna. Il loro posto viene preso dai frati benedettini e il complesso acquisisce il titolo di Regia Abbazia. Compare così nella planimetria di Van Aelt del 1592. Il secolo dopo arrivano la colata di lava del 1669 e il terremoto del 1693. Superato indenne il primo fenomeno naturale, nel secondo caso l'abbazia ha bisogno di un importante restauro. Dopo, cambiano ancora una volta gli inquilini: saranno i carmelitani scalzi a vivere attorno al grande cortile oggi occupato dall'erba alta. Almeno fino a quando il regime sabaudo non incamera i beni ecclesiastici e l'abbazia viene abbandonata.

«Alcuni frammenti marmorei del cenobio trecentesco, tra cui la stessa lapide di fondazione, sono stati recuperati e destinati al museo civico Castello Ursino, dove sono ancora conservati - spiega Prato - mentre l'icona della Madonna si ammira oggi al museo Diocesano». Il convento, abbandonato al suo destino, finisce per essere adattato in complesso di stalle e ricovero per cavalli e mucche. Oggi, della vita trascorsa durante gli ultimi otto secoli, restano un grande cortile con il pozzo saraceno, la lunga schiera di celle di difficile ma possibile accesso, e la chiesa di Santa Maria di Nuovaluce, impraticabile a causa dei fitti cespugli di rovi. Per lo più dei ruderi, usurati dal tempo e dall'abbandono, coperti dalla vegetazione spontanea, ma che con l'attenzione delle istituzioni potrebbe diventare un'ulteriore attrazione turistica della città.

http://catania.meridionews.it/articolo/35202/la-certosa-abbandonata-di-catania-dai-fasti-medievali-ai-fitti-rovi-di-oggi/

 

 

 

Piazza "I Vicerè"

La piazza I Viceré è una piazza di Catania, realizzata tra il 1995 e il 1998 nel quartiere nord di Barriera del Bosco.

È collocata accanto al castello di via Leucatia, nel sito chiamato Belvedere da Federico De Roberto nel romanzo di cui la piazza porta il nome. Il complesso si trova a cento metri dalla sorgente della "Licatìa", che alimentava l'acquedotto romano che ivi esisteva nel III secolo.

Il progettista e direttore dei lavori,architetto Ivan Castrogiovanni, si è ispirato al seicentesco acquedotto dei Benedettini, i cui ruderi furono demoliti negli anni '60 per consentire la realizzazione di un'edilizia intensiva.

 

 

L'assieme di piazza e parco sviluppa una superficie di oltre diecimila metri quadri, per circa metà occupati dalla piazza vera e propria. Negli archi perimetrali e nei portali sono stati utilizzati sistemi costruttivi simili a quelli romani e settecenteschi (ad esempio centinature in legno per realizzare le arcate con intradossi in pomici e lastre di piombo interposte tra i grossi conci in compressione). I materiali utilizzati sono stati la pietra lavica, di diverso colore (dal nero al rosso) e consistenza ( "occhio di pernice", "pelorosso" ), e il travertino latteo di Trani. La piazza è costituita da uno spazio nudo con pavimentazione di notevole effetto ottico, leggermente concava.

Nello spazio rimanente è situato un giardino con vialetti "a passi perduti", dotato di essenze floreali quali il pino pinaster, il cipresso, il tiglio, la quercia, la jacaranda. A ovest, a nord ed a sud, lungo il perimetro del complesso, sorgono tre portali in pietra lavica, scolpiti con motivi fogliari e volute che richiamano le facciate delle chiese di via Crociferi e dell'architettura settecentesca della provincia catanese.

Fonte: Wikipedia

 

 

ACQUEDOTTO DEI BENEDETTINI o DELLA LEUCATIA

Salendo per via LEUCATIA omonimo quartiere catanese ,è inevitabile non notare una straordinaria opera immersa tra la vegetazione della Timpa ,tra fiori spontanei, uccellini cinquettanti e il soave canto dell'acqua che sgorga formando minuscole cascatelle molto suggestive tra la pietra lavica.

Ma forse pochi conoscono la storia di questo acquedotto e del lungo lavoro dei monaci benedettini che lo realizzarono e soprattutto molti scambiano per castello l'enorme struttura nell'altura della Leucatia che in realtà è l'ex Monastero dei Benedettini oggi Villa Papale (privata e non accessibile ).

Tra il 1593 e il 1597 ,i monaci benedettini acquistarono due aree nella zona della Licatia,da tempo immemorabile ritenuta un autentico serbatoio idrico.

In questo sito,nel 1644 ,sotto la direzione dell'Abate Mauro Caprara,s'iniziarono i lavori per la costruzione della casa di villeggiatura e convalescenziario (oggi Villa Papale )e di un imponente acquedotto che attraversava quasi tutta la città. Quell'altura ricca di vegetazione e acqua purissima, da cui era anche possibile ammirare tutto il panorama della Catania seicentesca, doveva servire ai monaci cassinesi sia come ricovero dei confratelli anziani e malati, sia come fonte di una cospicua rendita dall'utilizzo di quelle acque.

Ultimati i lavori, nel 1649,l'acquedotto consentì,per la prima volta, ai cittadini catanesi,l'approvvigionamento idrico senza dover più ricorrere al fiume Amenano e alla gurna di Anicito (Lago di Nicito),oltre che alle cisterne e ai pozzi privati. Gli stessi monaci, che nella seconda metà del XVI secolo avevano scelto di abbandonare il sito originale per trasferirsi e stabilirsi all'interno delle mura della città, riuscirono così nell'intento di consolidare ancora di più i legami col potere politico cittadino, stipulando un accordo col Senato catanese, che, in cambio dell'acqua, s'impegnava ad effettuare le eventuali opere di manutenzione dello stesso.

L'acquedotto che si dipartiva dalla Leucatia si sviluppava lungo un percorso quasi parallelo all'odierna via Leucatia fino ad arrivare al Tondo Gioieni,dopo aver alimentato ben 10 mulini,da cui il convento ricavava circa 656 onze.

Ancora oggi,all'interno del Parco Gioieni, si conserva la struttura muraria di uno degli originali mulini alimentato dall'acqua che scorreva a pelo libero, ad eccezione di qualche tratto chiuso. Da qui,la grandiosa saja benedettina continuava il suo percorso fino al "Piano delle Forche "(oggi piazza Cavour ),così denominata per la presenza di un patibolo.

Nella vasta piazza, l'acquedotto, che alimentava un lavatoio pubblico funzionante sino alla fine dell'800,si biforcava:un ramo proseguiva per andare ad alimentare il parco dei principi Biscari, dove ora c'è la Villa Bellini, mentre l'altro ramo attraversava vari quartieri per confluire poi nella "Botte dell'acqua"(all'altezza dell'attuale numero civico 727 di via Plebiscito, nei pressi del deposito dei bus dell'Amt),cioè nel vano a cupola che serviva a dividere le acque necessarie al cenobio benedettino ubicato alla Cipriana (piazza Dante)da qua destinato al fabbisogno degli abitanti della città.

L'acquedotto, al quale in seguito furono aggiunte anche le acque del Fasano e di Cibali, fu utilizzato dalla città fino a tempi recenti per l'irrigazione di orti e giardini. Ancora nell'immediato dopoguerra, alcuni dei mulini del tratto superiore erano in funzione, ma più tardi,con l'urbanizzazione della città, avvenuta intorno al 1957-1958 ,non vi fu più la necessità di una sua utilizzazione e cadde in disuso.

I ruderi dell'imponente acquedotto benedettino sono tutt'oggi visibili all'interno della zona umida e all'inizio di via Tito Manlio Manzella.

Altri spezzoni dell'acquedotto resistono da oltre tre secoli e mezzo all'interno del Parco Gioieni,nella parte alta di via Caronda e in piazza Montessori.

 

 

Il Castello Leucatia
Il Castello Leucatia, o "Castello dei fantasmi" secondo una leggenda popolare, fu costituito nel 1911 da un ricco commerciante di origine ebrea con l'intento di farne dono di nozze alla giovane figlia. Le stelle a sei punte che si trovano lungo i merli dei torrioni confermano l'origine ebraica del proprietario.
Si narra che la ragazza, per niente propensa a congiungersi con lo sposo designato,preferì sottrarsi al decisivo passo scagliandosi dalla torre del maniero riuscendo, così, a mettere in atto il gesto avventato del suicidio.

Forse in seguito a questo evento sconvolgente o perché la costruzione fu eretta su una necropoli preesistente, si è tramandata la credenza, tutt'oggi rimasta immutata, che il castello ospiti presenze inquietanti.

Molte furono le successive vicissitudini del Castello, il quale, dopo il tragico episodio,fu venduto per essere adibito a civile abitazione dal nuovo acquirente.

Purtroppo, date le insistenti voci di apparizioni misteriose, di lamenti e di urla che provenivano da quella originaria costruzione, il nuovo proprietario fu condizionato a tal punto che interruppe i lavori di ripristino già avviati.
Durante la seconda guerra mondiale tutte le ville del terreno circostante furono requisite dalle forze tedesche, così anche l'antica rocca subì lo stesso destino, diventando, addirittura, una sorte di roccaforte antiaerea. Ebbe, però, la fortuna di non subire i danneggiamenti toccati ad altri edifici vicini, cosicché la sua esistenza continuò tra alterne vicende fino ai nostri giorni, ovvero fino al 1960, anno in cui il Comune ne deliberò l'acquisto.

Il Comune, però, per più di mezzo secolo, non dimostrò particolare interesse di utilizzo, per cui nel corso degli anni divenne incontrollato rifugio di scapestrati e vagabondi.
All'inizio di questo millennio, finalmente, l'Amministrazione Comunale si è assunta la responsabilità della ristrutturazione, sicchè la struttura radicalmente rimessa a nuovo, è stata inaugurata nel 2001 destinandola a Biblioteca e Centro Culturale.

http://www.sicilie.it/sicilia/Catania_-_Castello_Leucatia

 

 

 

La Timpa di Leucatia

Situata al confine tra i comuni di Catania e Sant’Agata Li Battiati, per la presenza di diverse sorgenti da contatto tra argille e formazioni laviche, la Timpa di Leucatia rappresenta forse l’ultimo ambiente umido rimasto assediato nell’area urbana. A nord di Catania, nell’area compresa tra Fasano di Gravina e Canalicchio, affiora il substrato sedimentario argilloso su cui poggia la successione di lave della parte sud orientale dell’edificio vulcanico etneo. La presenza della preziosa acqua nell’area della Leucatia, non sfuggì certo ai nostri antenati i quali, sin dalla preistoria, si insediarono in quest’area ricca di manifestazioni sorgentizie. Nel XVII secolo i Benedettini, proprietari dei terreni della Timpa di Leucatia, costruirono in cima ad essa un sanatorio (oggi Villa Papale) e captarono la maggiore delle sorgenti costruendo anche un acquedotto che portava le acque fino a Catania, nei pressi del Monastero dei Benedettini, dove esisteva la cosiddetta “Botte dell’Acqua”, un serbatoio e ripartitore che distribuiva l’acqua alla città. Di tale acquedotto, oltre al tratto connesso alle opere di captazione, ne rimangono ancora alcuni frammenti come quello di Piazza Montessori a Catania. L’itinerario si propone di percorrere un facile sentiero all’interno dell’area nel corso del quale saranno effettuate soste per le osservazioni naturalistiche. Periodo: tutto l’anno. Durata: 5 ore

http://www.cataniaomnia.it/meteo/11040-la-timpa-di-leucatia

la foto è di  http://digilander.libero.it/cataniacultura

 

 

 

 

La Grotta Petralia

 

L'interesse per queste cavità risale almeno all'inizio del XIX secolo, quando alcune furono esplorate da Gioacchino Basile, allora preside del Regio Istituto Enologico (oggi Istituto Tecnico Agrario Filippo Eredia), nel giardino dello stesso istituto, e da Paolo Orsi, allora soprintendente alle antichità di Siracusa, nella zona di Barriera del Bosco e nel territorio di Biancavilla. Nello stesso suburbio di Catania, all'inizio degli anni 60 del secolo scorso, Santo Tinè esplorò la grotta Nuovalucello. Dei decenni successivi è l?esplorazione di numerose grotte del territorio di Adrano, e degli anni 80 è 90 è quella di diverse grotte d'alta quota poste nel territorio di Maletto e di Bronte, e di alcune importanti grotte del territorio di Castiglione (la grotta di contrada Marca) e ancora di Catania (la grotta Petralia, di Canalicchio).
Nella maggior parte dei casi, l'uso delle grotte dell'Etna risale alla fine dell'età del Rame o all'inizio dell'età del Bronzo, un periodo compreso tra la metà del terzo millennio e la metà del secondo millennio a.C., anche se non mancano rare attestazioni di frequentazioni risalenti al Neolitico (soprattutto nelle grotte di Adrano e di Bronte).
L'esplorazione della grotta Petralia di Catania ha costituito l?aspetto più significativo della mostra. Lo scavo della grotta, posta in via Liardo, presso via Leucatia, condotto dal dott. F. Privitera e da chi scrive tra il 1992 e il 1994, ha permesso di raccogliere una importante serie di dati relativi alla fruizione delle grotte dell?Etna e all?uso dei materiali in essa deposti. Se delle diverse sepolture presenti nel settore più profondo della grotta non rimanevano che scarse tracce, lo stato di conservazione dei reperti, soprattutto ceramici, ha consentito di avanzare ipotesi assai attendibili e suggestive sui rituali che si svolgevano in occasione del seppellimento dei defunti (che in realtà erano solo adagiati sul pavimento roccioso della grotta).
Tali rituali, schematizzati in una ricostruzione assai suggestiva in uno dei pannelli, prevedevano il consumo o la libagione di liquidi presso i defunti, la frantumazione dei vasi utilizzati e la dispersione dei frammenti in punti anche lontani della grotta. Almeno in un caso uno dei vasi, privato del collo, è stato posto capovolto tra i massi che ostruivano in parte la galleria delle sepolture in seguito ai crolli.
Oltre ai materiali esposti, provenienti da diverse grotte dell?area etnea (Catania, Adrano, Biancavilla, Castiglione), numerosi pannelli illustrano la geologia del vulcano e i processi fisici di formazione delle grotte di scorrimento lavico. Altri cercano di fornire un quadro sulla preistoria dell'isola da differenti angolazioni: dall'organizzazione degli insediamenti agli aspetti simbolici, funerari, sociali etc. Altri ancora si soffermano su diverse tombe preistoriche, secondo un criterio cronologico e topografico. Sono qui presentate, per la prima volta, le grotte catanesi di via Cecchi e di via Ota, frequentate durante l?età del Bronzo, o quelle di alta quota come la grotte delle Femmine. Diversi tabelloni sono dedicati alla grotta Petralia.
Un aspetto suggestivo e non secondario della mostra riguarda i miti le leggende sulle grotte e sull'Etna, dall'antichità classica all?'età medievale e moderna, che hanno trovato un?eco nelle creazioni architettoniche di Sebastiano Ittar e nelle pagine di scrittori moderni come Roidis, Ritsos, e Consolo.

http://www.bda.unict.it/Pagina/It/La_Rivista/0/2007/12/30/1401_.aspx

(la foto proviene da wwww.Cataniacultura.com)

 

 

 

 

 

Via Vincenzo Giuffrida

Piazza Lincoln

 

 

 

La Ferrovia Circumetnea (FCE) è una ferrovia a scartamento ridotto, lunga 110 chilometri, che in poco più di 3 ore collega Catania con Riposto, compiendo il periplo dell'Etna passando per diversi centri pedemontani etnei, fra trincee di lava e agrumeti in fiore.

La Ferrovia Circumetnea rappresenta oggi l'unica realtà ferroviaria a scartamento ridotto in esercizio in Sicilia, essendo state chiuse o abbandonate tutte le altre ferrovie simili.

Verso il 1880, mentre si andava delineando l'ossatura della rete ferroviaria siciliana, in molti centri nacquero istanze per il collegamento su rotaia col resto dell'isola. E così avvenne anche nei paesi intorno al vulcano che all'epoca avevano già raggiunto un notevole sviluppo.

Con regio decreto del 31 dicembre 1883 fu costituito un Consorzio per la costruzione e l'esercizio della ferrovia Circumetnea. L'impulso decisivo alla realizzazione della Circumetnea venne dall'ingegnere inglese Robert Trewhella a cui si deve il progetto e la direzione dei lavori della linea. L'11 settembre 1885, Trewhella stipulò un compromesso col Consorzio, in base al quale avrebbe dovuto occuparsi di tutto, dal progetto alla costruzione ed all'esercizio della linea, in cambio dell'esclusività sulla linea e del divieto di concessione di altre linee con lo stesso percorso.

 

 

I lavori per la costruzione della ferrovia ebbero inizio nel 1889. Il 2 febbraio 1895 avvenne l'immissione in servizio del primo tratto, da Catania Borgo ad Adernò. Appena sette mesi dopo, il 25 settembre 1895, la ferrovia entrò in esercizio. Restavano però da completare soltanto due brevi tratte: i collegamenti con i porti di Catania e Riposto da utilizzare soprattutto per scopi commerciali che sarebbero entrati in esercizio nel volgere di pochi mesi.

L'ultimo tratto, da Catania Gaito al Porto si inaugurò il 10 luglio 1898. Gli scopi commerciali della ferrovia furono subito evidenti, ma le peculiarità che contraddistinsero la FCE facendone risaltare la vocazione turistica, riguardavano soprattutto quelle inerenti la bellezza del paesaggio attraversato.

Grandi scrittori, quali Goethe e De Amicis, viaggiando con la Circumetnea, restarono affascinati dal paesaggio, dalla natura selvaggia e dal vulcano sempre mutevole.

La storia successiva della linea è stata segnata dalle eruzioni del vulcano che, con le sue colate laviche, ha più volte invaso i binari: si ricordano quella del 1911, del 1923 (che rese necessaria la costruzione di una variante per Castiglione, aperta nel 1927 ed abbandonata poi nel 1962 per instabilità dei terreni), del 1928 e del 1981. Altre distruzioni provennero dalla seconda guerra mondiale.

Nel 1938 furono immesse in servizio, per la prima volta, sei esemplari delle modernissime ALn 56 Fiat, meglio conosciute come "littorine", versione a scartamento ridotto di quelle che già facevano servizio sulle linee FS. Queste, possedendo caratteristiche di maggior comfort e celerità, presero in carico la quasi totalità del servizio viaggiatori, determinando così, gradualmente, la fine dell'utilizzo delle locomotive a vapore che si completò di fatto nel 1963.

Chi vuole utilizzare la Ferrovia Circumetnea partendo da Catania deve recarsi nella storica via Caronda, ove ha sede la stazione principale della Ferrovia Circumetnea denominata "Catania Borgo". All'ingresso della stazione di si nota la vecchia locomotiva a vapore n. 14, la stessa che accompagnò Edmondo De Amicis nel suo viaggio.

Dirigendosi verso la periferia di Catania, la linea ferrata taglia trasversalmente il centro urbano sino ad incontrare la prima evidente traccia della presenza dell'Etna: la colata del 1669 che raggiunse e distrusse Catania. Il tracciato assume adesso caratteristiche uniche e tra le case della periferia il binario è fiancheggiato da nere rocce laviche, che non lo abbandoneranno mai fino all'arrivo.

Superato Misterbianco si apre un grandioso panorama verso la montagna con una vegetazione che varia continuamente. Sfilano uno dopo l'altro i popolosi centri abitati che cingono il vulcano su questo versante: Paternò, S. Maria di Licodia, Biancavilla, Adrano.

Se d'improvviso il convoglio si arresta in mezzo alla campagna si tratta di una fermata facoltativa. Fino a qualche tempo fa, queste fermate erano al servizio dei contadini che utilizzavano il treno per raggiungere il fondo agricolo e tornare quindi in paese, adesso possono divenire la base di partenza per interessanti escursioni.

Dalla stazioncina di Passo Zingaro, ad esempio, si puo risalire attraverso una mulattiera in mezzo a coltivazioni di pistacchio e antiche colate sino a monte Minardo, oppure dalla fermata Gurrida si puo raggiungere il vicino lago.

Il paesaggio diventa sempre più selvaggio e le colate laviche più o meno antiche si fanno sempre più frequenti prendendo il sopravvento sugli altri paesaggi, finché, superata la stazione di Bronte il tracciato della Circumetnea si immerge in una colata costituita da lave a corda e raggiunge la sua quota massima all'altezza dell'altopiano di Maletto in contrada Difesa, dalla quale lo sguardo spazia verso i crateri sommitali. Questo è il punto più alto toccato dalla linea ferroviaria (Rocca Calanna) con un'altitudine di quasi 1000 metri.

La fermata successiva è quella di Maletto (località famosa per la coltivazione delle fragole), ultima stazione prima di Randazzo, importante stazione agli antipodi di quella di Catania, dalla quale il treno è partito. A Randazzo si è circa a metà strada: si può fare una sosta per visitare il centro storico prima di iniziare la discesa lungo la valle dell'Alcantara. Il paesaggio adesso è meno aspro e selvaggio e le campagne iniziano ad essere punteggiate da fastose ville.

 

 

Il treno conclude la sua corsa alla stazione di Riposto. Per far ritorno a Catania, però, è conveniente scendere alla stazione di Giarre, in modo da prendere, in coincidenza, uno dei tanti treni ordinari delle Ferrovie della Stato della linea Messina-Catania.

L'esercizio è a trazione diesel e diesel elettrica con materiale rotabile composto da 24 automotrici e sei carrozze.

Data la tortuosità della linea, la velocità commerciale e di circa 35 km/h mentre quella massima di esercizio è di 60 km/h; ciò comporta sull'intera tratta una percorrenza di circa 3 ore e 10 minuti.

http://www.lanostraferrovia.it/la_littorina.html       http://digilander.libero.it/trenodoc/linee/immagini_circum.htm

 

http://www.circumetnea.it/

https://www.mimmorapisarda.it/gif/littorina.gif

 

 

Umberto di Baviera, o "la gloria dell'abito"

Le mie boutique - «Non erano solo un "punto vendita", ma una sorta di salotto in cui si conversava»

La Sicilia, 4 Agosto 2014

 

E non facevo mica robette: ogni capo costava più di un abito da sposa: tripudi di strass, paillette, pietre dure ed altri materiali spesso difficili da trovare».

Ma il "pazzo re" di Baviera non si ferma…

«Sì, grazie a Nello Musumeci, allora presidente della Provincia, che mi fece vivere una "golden age". Mi chiamò per l'apertura delle Ciminiere, lavorammo notte e giorno (lui compreso!) ad agghindare manichini. Subito dopo, arrivò il Festival del Barocco di Militello, lo curai tutti gli anni. Ma l'avvento di altri politici significò disattenzione e silenzio. O meglio, decadenza. Come quella lì».

Guarda nella direzione del televisore ma in realtà vuol dire Maria De Filippi

«capofila del decadentismo televisivo, una corrente tuttaltro che letteraria».

Parole come fotografie e fotografie che parlano: vellutate sottogonne da fiaba, preziose bardature da cortei storici, copricapi apocalittici, costumi stile Marchese del Grillo in omaggio ad Alberto Sordi ospite alle Ciminiere, nel 2000. E creazioni ispirate a Papua, Nuova Guinea eppoi quel costume abbacinante - "Il sole del Brasile", ricorda la foggia "egiziana" del grande jazzista Sun Ra - a cui forse solo l'autore, che lo calza più volte, sa rendere giustizia.

Intanto lo "spirto" wildiano dentro gli rugge. L'artista più "matelico" che ha vestito?

«Uuuh! Un'infinità. Ma con il carattere che mi ritrovo si trovava un accordo. O un disaccordo. Attraverso urla beluine (le mie) con registi incompetenti in materia o magari invaghiti della donzella di turno e testardi nel voler assegnare a lei la parte di sciantosa, formosa per giunta, con costumi improponibili. Una poveretta che, a stento, avrebbe potuto fare la servetta che entra in scena solo per dire "Il pranzo è servito"! ».

La più isterica?

«Elisabetta Gardini, una bisbetica. Ma l'ho domata a meraviglia. In un corteo medievale, doveva vestire panni regali. "Una principessa di nascita dev'essere su un altro tono che tu sconosci del tutto - le dissi - Speriamo che almeno il costume possa colmare queste tremende mancanze"».

Ancora immagini. Tempeste di colori in villaggi turistici o in cittadine festanti.

Manca Palermo dove peraltro l'avevano interpellato per rinnovare il Festino di Santa Rosalia ma Pipi, suo omologo palermitano, saltò su, piccato: «Ha già Catania e provincia, vuole anche Palermo? ». E Umberto, implacabile: «Non ho mai avuto questa velleità. Neanche a Catania» e sorridendo girò i tacchi.

Le immagini di Umberto sono come gli esami di Eduardo: non finiscono mai. E dediche, una sull'altra. Una, sontuosa, porta la firma di Franco Zeffirelli.

«Me lo presentarono sul set di Storia di una capinera, era furioso, ce l'aveva con tutti. Lo calmai portandolo in giro con i suoi cagnolini al seguito», ricorda. Tanto Oliver, il suo bulldog francese, non soffre di gelosia retroattiva.

La trascuratezza nel vestire è un suicidio morale, sosteneva qualcuno. E' anche la massima di Umberto di Baviera ma dev'essere stata la fede fondamentalista della sua mamma, bella da mozzare il fiato ma mortalmente allergica alla maternità più dei celiaci al glutine.

«Ebbi la fortuna immensa di vivere con la nonna che ho accudito fino alla sua scomparsa, nel 2000, a 90 anni. Era lei che chiamavo mamma mentre vedevo quella vera agitarsi per casa come una pazzerella. Era una donna chic, di gran tono, tutta ricevimenti, balli, parrucchieri e funerali "importanti", mai una serata a lavorare all'uncinetto, mai una tenerezza al suo unico figlio. Infatti ebbe il buongusto di non farne altri con il secondo marito, mio patrigno a cui volli bene più che a mio padre».

E quello vero?

«Se n'era già andato a Trieste, mi spedirono a fargli visita che avevo 12 o 13 anni. Parlava malissimo di Catania come se fosse nato a Bolzano e, in macchina, mi disse: "Ti porto a conoscere la gente giusta". Edda Ciano Mussolini. Erano gli anni '60, lei s'era appena riappacificata con la madre con cui aveva il ristorantino a Predappio. Donna sgradevolissima, la Ciano, mi fece una pessima impressione ed oggi, con il senno di poi, mi chiedo se tutto ciò che racconta nei libri (che io possiedo) siano reali. Mio padre la conosceva eccome! Seppi poi che aveva fatto parte dell'opposizione al Duce capitanata da Dino Grandi e avrebbe dovuto essere fucilato anche lui, come Galeazzo Ciano. Ma si salvò scappando sotto falso nome che mantenne per anni. Due pazzi per genitori! Fu una fortuna che si fossero separati dopo 10 mesi di matrimonio! ».

Wildiano a oltranza, Umberto di Baviera.

Ma in materia di umorismo forse non è secondo neanche all'irresistibile Tuccio Musumeci che gli vergava una sua foto: «Spero che mi vestirai sempre. Spogliarmi, mai. Ti veni un coppu! ».

la chiesa alla Circonvallazione, detta il Carciofo.

 

Nuova Luce e Novalucello

Nel terremoto del 4/2 /1169, che sconvolse e distrusse Catania, i pochi superstiti in fuga videro, a un miglio dall'abitato nella campagna del Canaliculus, una luce meravigliosa soprannaturale, proveniente da una caverna lavica dove fu rinvenuta L'icona di una soavissima Madonna. Mani di fedeli l'avevano nascosta certamente nel periodo delle incursioni Saracene, come solevasi fare allora dai Cristiani per impedire profanazioni sacrileghe. A ricordo dell'avvenimento nel 1177 fu eretto sul posto un Santuario Mariano detto Nuovaluce (1) titolo che tutt'ora denomina quella zona e una via locale. Nel 1375, Artale Alagona fece costruire un Monastero annesso allo stesso tempio e ottenne che vi prendessero dimora i Certosini della vicina Calabria, i quali vi si stabilirono nel 1378. Nel 1379 Artale regalò loro un vasto terreno con nuovi locali a nord ovest della città in località Montepò dove sono ancora visibili i ruderi della primitiva costruzione cenobica. Artale donò un'altra tenuta nelle vicinanze di Nizeti, dove sorse un piccolo recinto monastico di dimensioni ridotte che, per distinguerlo da quello principale di Nuovaluce, nel 700 venne ricordato con la forma diminutiva di Nuovalucello, che tutt'ora motiva il toponimo dell'attuale popolarissimo rione attiguo al Canalicchio. Al Novalucello i Monaci, a disposizione dei poveri tenevano anche un valetudinarium ossia un'infermieria con relativa spetieria o farmacia e un orto dove coltivavano le piante medicamentose. In un frammento di diploma del 1380, pubblicato dal Lanario (2) si fà menzione di un monaco infermiere di nome "Gilibertus monacus infirmarius, chartusianus Novae Lucis". Chartusianus, è la forma latina di Certosino. Nell'eruzione del 1381 tutto il Canalicus, quindi anche Nuovaluce e Nuovalucello, fu sommerso dalle lave che si spinsero fino al mare di Lognina, e i Certosini si trasferirono a Montepò dove vissero sino al 1415, anno in cui, essendo la contrada molto isolata e infestata di briganti, preferirono ritornarsene in Calabria presso l'eremo di La Torre nella Sila. Da un documento del 1392 riportato dal Barbieri (3) apprendiamo che Re Martino aggiunse a precedenti concessioni fatte alla Badia Novalucense: "Vineam unam aliam cum viridarium dictam 

Sanctu Opulu in dicto territorio Cathaniensi prope ecclesiam  Santi Opuli Via pubblica mediante" cioè un'altra Vigna detta Santu Opulu - dizione popolare di S. Euplio nel secolo XIV - con delizioso giardino presso la Chiesa dello stesso Santo. Nella "Giuliana delli Beni e rendite del Ven. le Monastero di S. Chiara di questa Chiarissima e fedelissima Città di Catania fatta nell'anno1731 in tempo del governo della reverendissima S.M. di Gesù Caraffa Abbadessa del detto Monastero" anche la vastissima tenuta dell'Acquicella allora coltivata a viti e frumento, oggi trasformata in Cimitero Cittadino risulta appartenente al convento di Nuovaluce. Il Vescovo Benedettino Tommaso da Asmari nel 1414 ricostruì I locali del Canalicchio, distrutti dal Magma Lavico su terreno più vicino al centro cittadino, corrispondente all'attuale P.za Bellini comunemente detta perciò "chianu di Novaluci" e li affidò ai Benedettini di S. Agata, allora molto numerosi. Nel 1622 venne agreggato a quello di S.Nicolò all'Arena. Il 19 Novembre 1643, dal Vescovo Ottavio Branciforti fu messo a disposizione dei Padri Teresiani che alloro volta nel 1651 lo cedettero agli Agostiniani Scalzi, sotto l'Episcopato di Marcantonio Gussio ( 22/8/1650 - 3/7/1660). Nel terremoto del 1693 col crollo dell'intera Città anche gli edifici di Nuovaluce andarono distrutti; furono ricostruiti nella medesima Piazza dagli stessi Agostiniani che vi dimorarono fino al sisma del 1818. Lesionato da queste ultime scosse telluriche, il monastero rimase inattivo per parecchio tempo; in seguito nel Maggio del 1871 passò allo Stato che, dopo qualche restauro, vi collocò gli uffici dell'Intendenza di Finanza.

Quannu d'u Canalicchiù sutta e sciare la sacra "Mmaggini fici attruvari, La Bedda Matri Luminusa è duci Fù ditta la Madonna ' e Novaluci".

Bibliografia

1 - G. B. De Grossi, "Catanense Decachordum" Tip. Rossi 1642 - 47 Catania;

2 - Giovanni Lanario, "Diplomi", stamperia di Francesco Valenza, Palermo 1742, N. 9;

3 - G. L. Barbieri, "Beneficia ecclesiastica", Palermo 1962 I, p. 183.

4 - Antico dipinto sella Madonna di Nuovaluce, Museo Diocesano, Catania.

Mario Strano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I.S.I.S. "Filippo Eredia" E Sede del Centro Risorse contro la dispersione scolastica " Il Quadrifoglio"

Via Del Bosco, 43

L'Istituto Tecnico Agrario Statale di Catania fu istituito nel 1881, a pochi anni dall'Unità d'Italia, come -Scuola di viticoltura ed enologia-.

Esso è quindi, una delle prime scuole ad indirizzo agrario dello Stato italiano che, formato da poco, affidava l'istruzione pubblica alle -Scuole pratiche d'agricoltura- a livello medio inferiore -, alle Scuole speciali d'agricoltura a livello superiore - ed alle Scuole superiore di agricoltura - a livello universitario.

La scuola enologica di Catania, unica della Sicilia nacque dopo quelle di Conegliano, Avellino ed Alba, e tutte divennero ben presto quattro centri di studi viticolo - enologici, acquisendo una meritata fama, non soltanto nel nostro Paese, ma anche all'estero, per la grande rinomanza degli insigni maestri che ne ressero le sorti e per l'ottima preparazione di numerosi tecnici, che operarono in Italia ed in paesi stranieri, tenendo alto il prestigio delle antiche e gloriose quattro scuole enologiche.

Nel corso dell'evoluzione storica del nostro Paese, da Scuola enologica - come comunemente veniva chiamata un tempo - divenne Scuola agraria media e poi, come Istituto Tecnico Agrario con specializzazione per la viticoltura e l'enologia.

Intorno al 1950 l'Istituto fu intitolato al nome di Filippo Eredia (nato a Catania il 10 febbraio 1877 e morto a Roma il 14 febbraio 1948), professore di meteorologia di fama mondiale e studioso anche di climatologia ed ecologia agraria.

 

 

 

 

 

 

LU FOCU DI LA PAGGHIA                        Etta Scollo