da questi
Quattro Canti comincia la Via Etnea - sezione Borgo
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Palazzo
Ferrarotto |
Palazzo
Magnano di San Lio |
SALENDO
SALENDO........................
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Angolo con
Via Sisto |
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SALENDO
SALENDO........................
SALENDO
SALENDO........................
Palazzo Zappalà Asmundo
Fu commissionato a cavallo del 1900 dai coniugi
barone Giuseppe Zappalà e Anna Grimaldi all’arch. Salvatore Sciuto Patti,
figlio del più noto ingegnere Carmelo. La coppia si era sposata nel 1891 e
si era rifiutata di abitare nel settecentesco palazzo di Via Zappalà
Gemelli, nei pressi della Pescheria, tutt’ora di proprietà degli eredi,
preferendo il nuovo edificio.
L’edificio visse alcuni anni di splendore in piena
Belle Epoque, grazie all’attivismo dei giovani coniugi, che si distinguevano
sia per opere di carattere culturale, sia assistenziale. Nel 1910, negli
ambienti di rappresentanza del palazzo, fu inaugurato il “Teatro Minimo”, un
raro esempio di teatro “privato” allestito con particolare gusto estetico
per offrire alla nobiltà cittadina raffinati spettacoli, soprattutto
musicali e di autori catanesi.
Il prof. Antonino Blandini racconta che per la “prima”
fu scelto il mimodramma “Josette” di Maria Maniscalco, musica del conte Vito
Paternò del Grado, con prove dirette da Giovanni Verga che, come Pirandello,
era amico personale dei proprietari. Fra gli interpreti il barone Giovanni
Rosso di Cerami e Anna Paternò del Grado. Successivamente andarono in scena
l’opera buffa di Donizzetti, “Betly”, con la direzione di Francesco Grimaldi
Fiorini e gli scenari di Alberto Paternò Castello di Carcaci e il melodramma
“Nina pazza per amore” di Pierantonio Coppola.
Sempre dal prof. Blandini apprendiamo che “in quello
stesso felice anno venne ultimato il naturalistico Giardino d’Inverno che –
assieme al teatro, al salotto stile impero, alla fureria, al salone da
ballo, alla ieratica cappella, che gareggiava per decoro e simbolismo
estetico con la vicina chiesa del SS. Sacramento, segno della loro intensa
pietà religiosa – costituiva il cuore del piano nobile”.
Oggi il palazzo, costituito solo dal piano nobile che
sormonta un piano di basse botteghe, è quasi del tutto abbandonato e del
Giardino d’Inverno non si intuisce neanche la collocazione.
(Giambattista Condorelli)
http://www.girasicilia.it/piazza-cavour-borgo-catania/
Palazzo Zappalà Asmundo
C'era una volta a Catania la TORRE ALESSI
......DEMOLITA
Sorgeva tra via Alessi,via Salvatore
Paola e via Ciccaglione in un'abitazione privata una magnifica torre
panoramica voluta dal proprietario da cui prese il nome che penso di far
costruire una torre per permettere a catanesi e turisti una vista panoramica
sulla città pagando un biglietto per salir su.L'idea fu subito messa in
pratica e cosi nel 1896 s'innalzo' questo capolavoro su progetto del noto
architetto milanese Carlo Sada.
Fu un gran successo e sulla terrazza sali
molta gente per ammirare Catania ma purtroppo nel 1963 la struttura fu
demolita dall'abuso edilizio e pare anche che risulto' rischiosa dopo la
legge sui suicidi......
Lo scrittore-giornalista Vitaliano
Brancati nel suo romanzo"Gli anni perduti"ambientato a Catania fa una
precisa descrizione della Torre Alessi:
-la guglia verde,di stile moresco,era
sostenuta da 9 colonnette.Sotto la terrazza,l'architrave era dipinto in
oro,e il fregio,ricamato di sfere oblunghe,brillava di verde mare.Il balcone
del secondo piano era di forma triangolare,precisata in un perfetto
triangolo da contorno,il cui vertice era sormontato da un rosone;lo zoccolo
era tondo,e per mensola aveva un gran fiocco di pietra che terminava in una
nappa.Il primo piano e il terzo eran trapassati dal cielo d'oriente e da
quello d'occidente,per via di 2 finestrelle a mezza luna che,aperte nelle
due opposte pareti e lasciate prive di imposte e di vetri,combaciavano
come,nella mente,le immagini dei due occhi.La scala avvolgeva la torre,con
giri larghi e drappeggiati dal muro.Salendo,si aveva l'impressione di
mettere il piede sopra un cielo che stesse per spezzarsi come il ghiaccio
che crocchia.Pero',chi saliva,quella sera,non si fermava piu né al primo
piano ne' al secondo,ma arrivava sino in terrazza; perché la scala era tutta
rifinita;la torre non attendeva più niente dalle martelline degli operai.-(V.Brancati)
https://www.youtube.com/watch?v=gt8YSefkIaU
Le
origini del pezzo di città che costituisce la terza Municipalità
sono tra le poche che possono essere indicate con sufficiente
certezza: nel Maggio del 1669, poche settimane dopo la violenta
eruzione che, sgorgata dai Monti Rossi, era giunta fino a Catania,
lambendo le mura di fortificazione di Carlo V e il castello Ursino, e
riversandosi poi in mare, il vescovo di Catania aveva donato dei
terreni posti a nord della città perché potessero insediarvisi i
profughi dei casali distrutti.
I
nuovi insediamenti presero il nome di Borgo e Consolazione e
rappresentano la prima espansione extra-moenia della città. Appena
sei anni dopo, nel 1675, la popolazione del Borgo ammontava già a
circa il 10% della intera popolazione cittadina. Ciò nonostante, non
veniva avvertita la necessità di unire i sobborghi alla città
murata.
Questa
esigenza non venne posta neanche con il piano di ricostruzione del
Duca di Camastra elaborato dopo il terremoto del 1693; piano che,
appunto, non prevedeva alcun superamento della cinta muraria. Eppure,
fin dai primi anni successivi al terremoto, la processione di Sant’Agata
era stata prolungata fino al Borgo dove esistevano due chiese dedicate
alla Santa.
Perché abbia inizio il lento processo di conquista alla città dei
terreni posti a nord della porta di Aci occorre attendere la
costruzione dell’Ospedale S. Marco (allora collocato nell’edificio
posto sul lato nord dell’attuale piazza Stesicoro, tra via Etnea e
via Sant’Euplio), immediatamente a ridosso della porta e del
Conservatorio delle Vergini, edificato per volere del marchese
Paternò Castello proprio in prossimità del villaggio.
Dal rilievo di S. Ittar del 1832 si ricava che a quella data Borgo e
Consolazione hanno ancora un carattere suburbano con l’edificazione
concentrata esclusivamente lungo le strade; i due assi che collegano
la parte più antica della città al tondo Gioeni, via Etnea e via
Caronda, però, hanno ormai definito i primi isolati proprio in
corrispondenza del Piano del Borgo sul quale si affacciano due chiese.
Piazza Cavour
Il
vecchio villaggio cresciuto attorno all’asse di via Consolazione
presenta quel sistema di case a doppia schiera che G. Dato ha
individuato come caratteristiche dei quartieri subalterni della
Catania del XVIII secolo. Si tratta di raggruppamenti di case terranee
monocellulari disposte sui lati lunghi di un cortile comune
rettangolare segnato, sulla strada, da un arco. L’organizzazione
degli spazi ha fatto pensare a vere e proprie microlottizzazioni
rappresentative di condizioni socioeconomiche di estrema povertà. Nei
decenni successivi la continua creazione di isolati a ridosso di Via
Etnea, e la loro progressiva saturazione, non riducono ancora la
segregazione di questi sobborghi rispetto alla città murata. Anche B.
Gentile Cusa, pur prevedendo un’importante espansione a occidente
della via Etnea, destinata alla gente che poteva "dimorare in
posti lontani dal movimento
commerciale", esclude qualsiasi
integrazione immediata della nuova struttura urbana con i tessuti
miserrimi preesistenti, anzi individua la via della Consolazione,
insieme ad un asse est-ovest da realizzare in direzione di Cibali,
come circonvallazione della zona di più remota edificazione, mentre
la zona di prima edificazione si arresta alla via Monserrato e al suo
prolungamento verso ovest.
Nel corso di questo secolo, le cattive condizioni del tessuto edilizio
di Consolazione al Borgo ne hanno fatto uno dei quartieri dei quali si
è più volte proposto il risanamento con gli strumenti più diversi.
Nel 1947 fu elaborato dall’Arch. G. Nicotra un piano di
ricostruzione che prevedeva di infittire la maglia dei grandi isolati
del piano di Gentile per favorire la edificazione anche al loro
interno e per agevolare l’ulteriore espansione occidentale della
città.
Il
piano non venne approvato, ma nel PRG del 1952 la forte pressione
speculativa portava ancora una volta alla scelta di inserire i due
sobborghi all’interno della zona destinata ad edilizia intensiva. Si
trattava di un espediente per innescare processi di sostituzione
drastica del patrimonio edilizio come, peraltro venne fatto nel
quartiere di S. Berillo che presentava morfologia simile a quella di
Consolazione al Borgo. Nel 1966 viene espletato un concorso per la
ristrutturazione del Borgo che viene allegato al PRG di L. Piccinato.
Esso include in zona A solo la parte di tessuto, in vero assai
marginale, di cui si riscontra l’esistenza nel rilievo di Ittar,
mentre il resto viene inglobato nella B senza ulteriori modifiche
rispetto alle previsioni del PdF del 1962 dove quella parte era stata
individuata come zona destinata al ceto medio e ad ospitare edilizia
semintensiva.
Piazza Cavour - La fontana di
Cerere
Fu scolpita nel 1757 da Giuseppe Orlando e
collocata in Piazza Università. Una lapide ogivale ricorda che
allora era Re Carlo III di Borbone e i senatori che la
commissionarono erano Pietro Galletti, Giovanni Riccioli, Alessandro
Clarenza, il marchese di Salazar e Domenico Anzalone.
Il popolino la scambiò per la Dea Pallade e
per tale motivo cominciò a chiamarla “a tapallara”. La sua identità
è però certificata da un’iscrizione in latino, posta in basso, che
ci riferisce che un tempo Cerere, della delle messi, “dettò leggi e
miti alimenti alle terre; ora ricordandosi della patria, dal marmo
fa piovere la ricchezza”.
Ma, a dispetto della nobiltà delle intenzioni
dello scultore, questa statua al popolino non piaceva proprio,
soprattutto per la posizione poco elegante assunta dalla dea,
fortemente ancheggiante, più adatta ad una sciantosa che non ad una
signora e perciò ad essa ci si cominciò a riferire come esempio
negativo per le ragazze del quartiere che si atteggiavano,
sfrontatamente, nella stessa maniera. Di queste ragazze si diceva
“aù, pari a tapallara d’o Buvvu!”
(Giambattista Condorelli)
http://www.girasicilia.it/piazza-cavour-borgo-catania/
IL BORGO
La strada più lunga della città
settecentesca,quella dritta come una lama di Toledo,che taglia la città dal mare
alla montagna, doveva essere decorata - secondo le previsioni del Camastra - da
almeno tre sontuose piazze,lungo il suo tracciato. Naturalmente, senza contare i
punti di partenza e d'arrivo, il Piano di Sant'Agata e il Largo Gioeni.
Dopo Piazza Studi e piazza Stesicorea
- che presero forma e consistenza nei primi vent'anni del Settecento - venne la
volta dell'attuale piazza Cavour la quale, in verità, s'era affacciata alla
ribalta della storia patria 24 anni prima che giungesse il Camastra, vale a dire
nella primavera del 1669,quando Catania si trovò a dover accogliere, dall'oggi
al domani, i profughi dei paesi etnei minacciati dalla lava.
Così, il PIANO DELLI FURCHI (in quel
sito erano state rizzate delle forche,specie nel Cinquecento, quando la mano
della giustizia si abbattè pesante sui rivoltosi catanesi) andò trasformandosi
in un sobborgo, in prevalenza abitato da povera gente, bisognosa di tutto.
In quella drammatica circostanza, la
municipalità e la curia arcivescovile non si persero di coraggio.
Il primo problema che bisognava
risolvere era quello della sistemazione dei profughi.
Dove alloggiarli? In quale luogo
sistemarli?
Si pensò subito all'ampia distesa di
terreni appena fuori della città, sulla direttrice della strada Stesicorea.
Erano terreni brulli, colti,sciarosi, con soltanto alcuni casolari rustici e
qualche villa signorile. Il luogo si prestava,dunque, per l'impianto d'un campo
profughi;e l'opera di assistenza cominciò senza indugi,sotto la spinta generosa
del vescovo Bonadies e del canonico Giuseppe Cilestri.
I catanesi fecero a gara per aiutare
quei poveretti;e non soltanto li provvidero dei mezzi necessari alla
sopravvivenza, ma si adoperarono anche perché non mancasse loro l'assistenza
religiosa, ritenuta di fondamentale importanza in quella triste evenienza.Fu
così che nella spianata del Borgo sorsero due chiese,una di fronte all'altra.
Ma quando i guasti dell'eruzione -
sia nei paesi etnei, sia in città - potevano dirsi ormai riparati,ecco
sopravvenire un'altra catastrofe:il terremoto dell'11 gennaio 1693. Fu il colpo
di grazia. Quella volta sparì anche il Borgo, con le sue case e le due chiese
ancora odorose di calcina.
Come si diceva in principio, arrivato
il Camastra e avviata l'opera di ricostruzione, anche l'ex piano delle Forche
risorse ben presto a nuova vita.
Le chiese furono fra le prime ad
essere rifatte.
Nel 1709 quella intitolata a
Sant'Agata era già ultimata e quella del SS.Sacramento in fase di costruzione.
Sorta nello stesso posto di prima, ma
più grande, la chiesa di Sant'Agata simboleggiò la tenacia di quella gente,
capace di risollevarsi dalle due catastrofi succedutesi in così breve volger di
tempo.
L' epigrafe che campeggia sul partito
centrale della prima chiesa è indicativo di questo stato d'animo.
Essa dice:<<Dopo l'eruzione
dell'Etna, insignito del nome trionfale di Agata, eretto con danaro piamente
offerto,consacrato dal vescovo Carafa, distrutto dal terremoto, [ questo tempio
] rivive con più magnificenza in perpetuo. Anno del Signore 1709>>
In prosieguo,sì cominciò a pensare ad
altro. E un bel giorno arrivò l'acqua potabile, e con l'acqua arrivò pure un
pubblico lavatoio, costruito a ponente della piazza, sulla traiettoria di quella
stradetta che si chiamerà appunto via Lavatoio.
Qualche tempo dopo,gli abitanti del
Borgo ebbero la sorpresa di vedere impiantate nel bel centro della piazza una
fontana monumentale:una vecchia fontana, con una brutta statua, che loro ben
conoscevano per averla già vista al Piano degli Studi.
Perché ora la trasferivano al
Borgo?Che dovevano farsene?
Perché non la lasciavano dov'era
sempre stata?
No,al Borgo non ce la
volevano.Poi,qualcuno cominciò a fare opera di persuasione, e si seppe che la
fontana, a differenza delle altre che stavano in città, consentiva di potervi
liberamente attingere;si seppe che la TAPALLARA non era così brutta come veniva
dipinta, e che anzi, per la precisione, non della dea Pallade si trattava ma di
Cerere, che è tutt'altra cosa, essendo questa una dea generosa, che porta bene,
che aiuta a vivere, quale protettrice delle messi.
Palazzo Porto
Sollima
Non vi era forse scritto, sulla base
della stessa statua, che la dea <<...ricordandosi della patria, dal marmo fa
piovere la ricchezza?>>
Diversamente, che significato
avrebbero avuto quella falce e quelle spighe sbandierate in alto?
A poco a poco, gli animi si
placarono,la fontana venne accettata,e al Borgo ebbero un motivo di più per
sperare nella buona sorte..
Infatti, nella prima metà
dell'Ottocento, qualcosa fu fatto a favore di quel rione. Il fondo della piazza
livellato,installati dei sedili, messi a dimora numerosi alberi, non solo per
abbellimento della piazza stessa, ma anche <<....a commodo del popolo, per
iscamparsi i raggi del sole nei tempi estivi....>>
Nel 1876,poi,in occasione della
traslazione della salma di Bellini da Parigi a Catania, il Borgo visse giorni
memorabili.
La parte più spettacolare e
significativa dell'eccezionale cerimonia avvenne, infatti, al Borgo dove fu
allestito un arco monumentale, sotto cui sfilò l'imponente corteo con la salma
del Cigno.........<<.....Non appena scoccata l'una p.m. i balconi cominciarono a
riempirsi;il popolo a piedi ed in carrozzelle si portava al Borgo per osservare
il preparato carro,consistente in arazzo di velluto nero fregiato in argento e
nel mezzo ricamato in oro il nome di Bellini.....dietro il carro innalzavano
lunghe aste con le bandiere delle principali città ove si rappresentarono gli
spartiti di Bellini.....>>
Ciò che si poté ammirare al Borgo in
quella memorabile giornata di settembre - continua il cronista - era tanto fuori
dell'ordinario da non potersi descrivere.
Il carro funebre <<.....non carro
parea, ma trionfo di gloria, tirato da tre quadrighe attaccate a cavalli baldati
di velluto nero dalla testa a tutto il corpo,con pennacchio bruno, e la briglia
tenuta ,per condurli ,da quindici giovani vestiti coi costumi del XIV secolo, in
velluto ricamato, portanti in petto lo stemma della città......seguivano tutte
le Società, le Rappresentanze, i Circoli con le bandiere, i Magistrati, i
Consoli in uniforme......>>
Insomma, quel giorno al Borgo c'era
Bellini e con Bellini c'era tutta Catania. Un avvenimento unico, destinato a non
più ripetersi.
Passata la festa, tolti festoni e
bandiere, demolito l'arco trionfale, la piazza cadde in un vistoso abbandono,
talchè,all'inizio del corrente secolo, lo troviamo senz'acqua, senza
alberi,senza sedili, senza luce.
<<Il Borgo è a Catania o in un altro
mondo?>>scrivono nel 1913 alcuni cittadini, in un'accorata petizione al sindaco
De Felice. Le strade sono piene di fosse,manca un servizio di nettezza urbana,
mancano le fontanelle, non vi è una scuola, manca la luce elettrica. E chiedono
con insistenza:<<....perché le lampade apparse in via Stesicoro-Etnea non sono
ancora arrivate in piazza Cavour?Perché questo natio borgo selvaggio è ancora
illuminato a petrolio?>>
Passeranno diversi anni prima che i
sottoscrittori della lettera trovino credito alle loro istanze.
Intanto, la dea Cerere, rimasta al
buio e all'asciutto anch'essa ,apparve agli occhi di quella gente più brutta di
quanto in effetti non fosse mai stata.
E il nome di TAPALLARA - come un po'
per scherno un po' per scherzo la chiamava il popolino - non glielo tolse più
nessuno.
(di Lucio Sciacca, da "Catania
com'era",1974)
Ma la terza Municipalità presenta al suo interno anche tessuti del
tutto diversi da quelli derivati dai sobborghi di Borgo e
Consolazione. A est di via Caronda sono infatti alcuni dei quartieri
più prestigiosi della città tardottocentesca e dei primi anni del XX
secolo. K Gentile Cusa, infatti, aveva destinato le aree orientali
alle espansioni e all’alta borghesia, con il viale Regina Margherita
che incrociava via Etnea con una larghezza identica per poi allargarsi
ulteriormente in corrispondenza di piazza Trento e di piazza Verga.
Peraltro il collegamento con l’ingresso di Villa Bellini avrebbe
fatto sì che il viale diventasse la vera promenade cittadina. Nella
maglia definita da Gentile non trova spazio il percorso già esistente
della Circumetnea che, con il suo andamento da sud-est a nord-ovest,
rappresenta una discontinuità nello schema ortogonale.
Questa
parte del tessuto urbano catanese, in parte realizzata prima della
seconda guerra mondiale, è stata completata con le densità edilizie
enormemente più elevate dei condomini multipiano degli anni cinquanta
e sessanta. Dal punto di vista delle attrezzature, a quelle
importantissime realizzate a partire dagli anni Trenta, come il
Palazzo BORGO-SANZIOdi Giustizia e la sede delle facoltà
scientifiche, si sono aggiunte quelle più recenti come la Pretura
unificata, realizzata sempre in prossimità della ex piazza d’Armi.
Nel frattempo, però, qualcuna ha cessato di esistere: è il caso del
campo di calcio che occupava la parte meridionale proprio di piazza d’Armi,
utilizzato fino alla realizzazione dello stadio di Cibali. Dal punto
di vista residenziale, la parte orientale della terza Municipalità
presenta sia alcune grandi ville art nouveau, come Villa Manganelli,
sopravvissute alle sostituzioni degli anni del sacco edilizio, sia
isolati costituiti da case da pigione prevalentemente realizzate fino
agli anni Trenta, sia tessuti di più recente realizzazione.
E’
una parte della città dignitosa, in alcuni casi prestigiosa, che con
la progressiva crisi della funzione commerciale di via Etnea si è
sempre più configurata, oltre che come quartiere residenziale alto
borghese, anche come area commerciale.
Contributo
editoriale tratto dal volume : "Catania - I quartieri nella
metropoli" a cura di Renato D'Amico - ed. Le Nove Muse
http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/municipalit%C3%A0/borgo_sanzio/Il_Tessuto_Urbano.aspx
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Sant'Agata
al Borgo |
Santissimo Sacramento al Borgo |
S. Agata al
Borgo
La
chiesa di sant'Agata al Borgo è situata a Catania sulla piazza Cavour
o come dicono i catanesi 'u bbuggu.
La prima chiesa venne costruita nel 1669 dopo l'eruzione dell'Etna che
distrusse Catania in quell'anno. Demolita dal terremoto del 1693, fu
ricostruita a spese dei fedeli nel 1709.
La
chiesa è a pianta rettangolare ed il prospetto è in muratura. Ha una
torre campanaria quadrata, inserita sul lato destro della chiesa, con
orologio e quattro campane. Sulla porta d'ingresso è un busto di
sant'Agata, mentre ai lati del portone d'ingresso sono due statue in
pietra lavica dell'Etna rappresentanti san Pietro e san Paolo.
L'interno è ad una sola navata ed ha la volta affrescata con scene
relative a Sant'Agata e a Sant'Euplio altro martire catanese. Sul
primo altare di destra una tela di anonimo rappresentante sant'Antonio
abate. Il secondo altare ha una nicchia in cui si trova una statua di
san Giuseppe e sotto un quadro del Sacro Cuore di Gesù. Il terzo
altare ha una tele dell'Immacolata Concezione.
Nell'abside, tutta affrescata dall'acese Giovanni Lo Coco con scene
del martirio di sant'Agata sulle pareti laterali e del suo trionfo
sulla volta, si trova l'altare maggiore con una immagine di sant'Agata
e di Dio Padre. Il primo altare sulla sinistra di quello maggiore ha
una piccola immagine della Madonna Addolorata. Il secondo altare è
sormontato da una nicchia, come quello di fronte, con una statua
antica di sant'Antonio mentre l'ultimo altare ha una grande tela che
rappresenta le anime del purgatorio con la Madonna, san Francesco di
Sales e santa Teresa.
ex Clinica
Vagliasindi
PALAZZO SCANDURRA
(Piazza Cavour, anno di
costruzione 1929,autore Francesco Fichera)
Nel tessuto di nuova espansione
urbana a nord della città, nei pressi dei vecchi borghi suburbani
che nel secolo precedente accolsero la disordinata immigrazione di
masse contadine dalle campagne, il Fichera progetta nel '29,per
soddisfare le richieste della nuova classe operaia e impiegatizia
,un edificio plurifamiliare di affitto, su lotto isolato che si
affaccia sulla grande piazza Cavour.
Le caratteristiche richieste
dalla committenza erano di economicità e decoro anche perché la
piazza a quel tempo si presentava come un vasto ambito urbano, senza
esigenze di rappresentanza, attraversato dalla via Etnea le cui
architetture dei grandi palazzi nobiliari settecenteschi e di fine
secolo non ne costituivano lo sfondo.
Palazzo Scandurra
Il Fichera, libero da vincoli
stilistico-formali e nel rispetto delle norme edilizie ,costruisce
la palazzina rispettando l'allineamento sul fronte strada e
distaccando la costruzione dall'edilizia confinante, così da
garantire l'illuminazione di tutti gli ambienti esposti sui quattro
lati.
Originale e "moderno"negli
esterni soggetti al pubblico giudizio ,l'architetto riserva una
minore attenzione alla distribuzione interna (due appartamenti per
piano posti simmetricamente rispetto il vano scala),priva di
innovazioni dei modi della tradizione sia nella dimensione che nella
distribuzione degli ambienti.
L' organizzazione compositiva
della facciata, molto più interessante, rivela la componente decò
dell'edificio che riprende lo stesso processo formativo di
figure-parti sovrapposte usato dal Fichera nel coevo palazzo
Maggi-Pidone.
Gli arricchimenti decorativi che
danno forma al linguaggio espressivo non hanno più la forza dei
motivi barocchi ,che ormai schematizzati in geometriche forme di
ornato costruttivo ,sottolineano le parti strutturali
(lesene,marcapiani, stipiti e architravi di vani di
apertura)dell'edificio, vivacizzandolo di forza formale .
La piana superficie della parete
di fondo, dall'intensa cromia, viene così animata da una plastica
decorazione intesa come effetto luministico di ombre più o meno
profonde, mutevoli con il variare della luce naturale, prodotte
dalle sottili trame degli elementi bugnati a lastre di pietra
sovrapposta che, contornando le mostre delle aperture le lega tra
loro in un'unica "figura "che ritma verticalmente e ordina la
configurazione.
Nel trattamento della soluzione
d'angolo, per distruggere la stereometria della costruzione ed
eliminare le giunzioni ad angolo retto, il Fichera smussa con un
piano a 45° lo spigolo del primo e secondo piano dell'edificio
inserendo soluzioni di balconi angolari con trifore classicheggianti
,risemantizzate decò, che formano delle "piccole quinte teatrali
"che si legano, in continuità formale alle facciate laterali e a
quella di "parata"sulla piazza.
L' edificio nella sua totalità,
seppur massivo,si inserisce nell'assetto urbano ostentando una
sobrietà particolare, non priva di originalità, rivelandosi un
prodotto dell'ingegno creativo del Fichera, culturale, sociale e di
costume, non solo un "prodotto "d'uso .
(Descrizione di Mariateresa
Galizia da "L' ambiente urbano di Catania nel '900")
Milena
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Palazzo Paternò
(ex Collegio Sacro Cuore)
CONSERVATORIO DELLE VERGINI AL BORGO (A
Badiedda)
È oggi sede universitaria ma la sua origine
risale al 1700 quando nacque come educandato.
La sua storia nel racconto di Francesco
Paternò Castello duca di Carcaci: "Conservatorio delle vergini al
Borgo:strada etnea n.202;fu fondato nel 1700 da un individuo della
famiglia Biscari:ha spazioso fabbricato, chiesa frequentatissima
dagli abitanti del quartiere, poca o nessuna rendita. Alle alunne
che vi soggiornano i proprii parenti apprestano il sostentamento,
l'opera ad esse non offrendo che il semplice albergo. Si governa lo
stabilimento da una commissione di due laici ed un ecclesiastico:gli
attuali componenti la stessa stanno spiegando il loro zelo per
dargli forma migliore introducendovi vita comune, arti,disciplina e
subordinazione ad esempio de' due sopra descritti.
Nella chiesa sonvi un quadro di Madonna ed un
volto di Cristo non iscevri di pregio."
Al suo interno ,un'epigrafe marmorea ne
ricorda la fondazione.
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Villa Consoli Marano
Via Etnea, 569 «La villa, progettata da
Salvatore Giuffrida su commissione dell’industriale Consoli Marano,
è composta da due corpi parallelepipedi collegati da una serra in
ferro e vetro. Il prospetto principale è impostato su un alto
basamento a ricorsi intervallati da listelli orizzontali in pietra
bianca. L’ingresso dell’edificio, rialzato e accessibile attraverso
una scala, è collocato all’interno di un arco ribassato posto sul
prospetto principale. Le pareti esterne presentano la superficie
muraria liscia e sono arricchite da un balcone continuo con
ringhiera sul quale si affacciano finestre incorniciate da pietre da
taglio. Nel giardino della villa sorge un padiglione (chalet) di
fine Ottocento, attribuito dagli eredi di famiglia all’architetto
Filadelfo Fichera (1850-1909), che si mostra a pianta rettangolare
con copertura spiovente, rialzato ed accessibile mediante una
scalinata in marmo. Il prospetto principale è riccamente decorato da
rilievi figuranti scene di caccia, elementi floreali e statue di
nudi femminili».
casa di Mario Rapisardi
Mario Rapisardi (Originariamente Rapisarda.
Rapisardi si chiamò poi, in sottinteso omaggio a uno dei suoi autori
preferiti, Leopardi) nacque a Catania il 25 febbraio 1844 in via
Penninello 33 -traversa di via Etnea-. Nel marzo 1883 andò ad
abitare nella zona di piazza S. Maria di Gesù, esattamente nel
villino Caudullo, in via Cifali, e là rimase fino al luglio del
1885. Gli ultimi decenni della sua vita li trascorse nella casa di
via Etnea 575"...aerea la casa spazia/fra gli orti e i campi
aprici,/fra l'Etna e il mare, i miei due grandi amici".
http://www.nilalienum.com/Gramsci/Rapisardi.html
L'opera più “brasiliana” di Paolo Lanzerotti (1875-1944)
Lo stile dominante del primo
novecento catanese è certamente il liberty. Ernesto Basile,
Francesco Fichera, Tommaso Malerba e Paolo Lanzerotti sono i
principali esponenti del liberty catanese. Nella città
dell’elefante, infatti, nella prima metà del XX secolo vengono
costruiti numerosi edifici che sono l’emblema di questa nuova
corrente architettonica. Tra questi, spicca quello di via Etnea: la
Villa Zingali Tetto.
Progettata dall’architetto
Paolo Lanzerotti, la villa Zingali Tetto rappresentava il simbolo
dell’avvento del liberty a Catania. Si trattava di un edifico di
dimensioni considerevoli, composto da un solo corpo centrale a più
piani e con delle terrazze che si affacciavano lungo tutta via
Etnea. Vi era anche un giardino all’inglese, con numerose fontanelle
e piccoli caseggiati.
Nella parte più esterna, vi era
un folto agrumeto. Si potrebbe pensare che una reggia di così vaste
dimensioni fosse abitata da diverse persone. Invece, la villa era
abitata da una sola persona. Il fortunato era un avvocato, il
signor. Zingali Tetto, per l’appunto. Non ebbe mai una consorte e
non lasciò alcuna eredità. Probabilmente visse all’interno della
villa fin dopo la prima metà del secolo. Ma alla sua morte, che né
fu di questa bellissima residenza?
Dopo la morte dell’avvocato
Zingali Tetto, la villa rimase chiusa per un determinato periodo, ma
verso la fine degli anni settanta, precisamente nel 1976, diventa di
proprietà dell’Università di Catania. Da quel momento, all’interno
dell’edificio si organizzarono degli eventi per cercare di ridare
lustro a questo bellissimo palazzo novecentesco. Furono pianificate
delle mostre al suo interno e solo negli ultimi anni si è pensato ad
un connubio tra lo stile dell’edificio ed i principali fautori di
quest’ultimo. Da allora, al suo interno sono conservati i principali
prospetti su tavola e i più rilevanti lavori di tre grandi
architetti di quel periodo: il Fichera, il Piranese e lo stesso
Lanzerotti che fu anche l’architetto della villa.
Negli ultimi anni l’edificio è
divenuto sede del “Mura”, ovvero il Museo della Rappresentazione.
Dopo diverso tempo in cui la struttura è rimasta chiusa al pubblico,
recentemente, la villa è stata riaperta per accogliere i catanesi
desiderosi di conoscere luoghi nascosti o poco conosciuti.
Periodicamente l’edificio viene reso accessibile lasciando a bocca
aperta numerose persone per la sua bellezza, la sua eleganza e la
sua immensità.
Davide Villaggio
Polo Tattile Multimediale -
Inaugurato nel mese di
marzo 2008, il Polo Tattile Multimediale rappresenta la naturale
estensione della Stamperia Regionale Braille verso la società e il
pubblico dopo trent'anni di attività. In un palazzo del 1700
totalmente ristrutturato, sulla principale via di Catania, sono
ospitati cinque siti di grande valore culturale e sociale che si
propongono come punto di incontro, di conoscenza, di
sensibilizzazione e di informazione non solo per i non vedenti ed
ipovedenti ma anche per i vedenti.
Via Etnea, 602
Caratteristica che lo rende unico
in Italia e in Europa è che in 2000 metri quadri, in una sola
struttura, sono state condensate attività ed iniziative sparse
singolarmente nel resto del continente:
• uno Showroom di articoli
tiflotecnici e tifloinformatici unico in Italia,
• un Museo Tattile arricchito da
riproduzioni di sculture e modelli architettonici tridimensionali
• un Bar al Buio, dove il non
vedente diventa accompagnatore e guida del vedente
• un Giardino Sensoriale, ricco
di profumi ed essenze tipiche della Sicilia
Nel giro di pochi anni il Polo
Tattile Multimediale è diventato un punto di riferimento per
tantissimi non vedenti ed ipovedenti, ha ospitato diverse iniziative
come la Giornata Nazionale del Braille 2009 e 2010, il festival
Minimondi (Libri per ragazzi), Cene al Buio e premiazioni Lions.
Ogni settimana numerose scolaresche giungono da tutte le parti della
Sicilia per visitare la struttura e avvicinarsi così al mondo della
cecità e delle sue problematiche.
http://www.stamperiabrailleuic.it/
L'Istituto dei Ciechi "Ardizzone Gioeni"
nasce negli anni '90 per un atto di liberalità del filantropo
Tommaso Ardizzone Gioeni che, con testamento segreto del 10 marzo
1884, erigeva ad erede universale del suo ingente patrimonio un
Ospizio-Spedale "in sollievo dei Ciechi indigenti d'ambo i sessi''.
La costruzione doveva aver luogo secondo "il miglior sistema che per
dette opere avranno adottate le primarie città d'Italia". L'Opera
venne progettata da due tra i migliori architetti dell'epoca,
Filadelfo Fichera ed il di lui figlio Francesco che, alla morte del
padre, la portò a compimento. L'Istituto fu consegnato ai catanesi
il 30 maggio 1911, inaugurato dai Sovrani d'Italia Vittorio Emanuele
III ed Elena di Montenegro, alla presenza del Presidente del
Consiglio Giovanni Giolitti e del Cardinale Giuseppe Francica Nava.
Tommaso Ardizzone Gioeni nacque a Catania il
29 settembre 1803 da Nicolò, Barone di San Vito e da Isabella Gioeni.
Sposò Marianna Anzalone figlia del barone Nicolò Anzalone. Della
vita sua, riservata e schiva, si hanno poche notizie. Sappiamo,
invece, per certo che fu non soltanto un generoso filantropo, ma
anche un lungimirante fondatore avendo avuto cura, nel corpo del
testamento, di conservare l'integrità dell'ente vietandone
l'ingerenza altrui, sia mediante aggregazioni di altre Opere Pie,
che con sussidi o rendite di enti che avrebbero potuto reclamare
diritti nell'amministrazione della fondazione.
Palazzo Ardizzone Gioeni
Nel testamento Ardizzone Gioeni dettò le
regole necessarie per la nascita della fondazione, per la nomina
dell'esecutore testamentario e della prima fidecommissaria, che
venne costituita il 14 aprile del 1894, anno della sua morte. La
fidecommissaria, onorando la volontà del testatore, avviò il
procedimento di riconoscimento della fondazione come Istituzione di
Pubblica Assistenza e Beneficenza ai sensi della legge 17 luglio
1890, n.6972, riconoscimento che fu dato con R.D. del 31 marzo 1895,
con cui il re Umberto I innalzava la fondazione in Ente Morale.
In tutti questi anni, quasi un secolo,
centinaia di ciechi provenienti dalla Sicilia e da varie regioni del
meridione d'Italia hanno trovato ricovero, cura e assistenza,
salvati dall'incuria e dal pregiudizio di una società che all'epoca
non era ancora pronta ad assumere, quale dovere morale e civile, la
cura di soggetti colpiti da un grave handicap. "I ciechi avranno
vitto, letto, vestimento completo, servizio e quant'altro potesse
occorrere loro sia in stato di sanità she di malattia".
Il lavoro che l'Istituto in questi anni ha
svolto ha consentito a moltissimi ciechi di entrare a pieno titolo
nella società, ma il suo compito non si è di certo esaurito perchè i
programmi futuri sono talmente importanti per i non vedenti che
daranno a tutti, amministratori ed operatori, l'energia necessaria
per continuare la grande opera morale di Ardizzone Gioeni.
http://www.ardizzonegioeni.it/classica/istituto/il-nostro-istituto.html
il
Parco Gioeni è uno dei più importanti parchi di Catania ed è
ubicato a nord della circonvallazione alla fine della via Etnea.
La
prima volta che si parla della costruzione di un parco nella zona del
Tondo Gioeni è nel 1931 quando il progetto venne incluso in un piano
regolatore della città redatto dall'architetto Michelangelo Mancini.
Il progetto venne approvato nel 1942 ma, a seguito della seconda
guerra mondiale, finì per non avere attuazione. Il progetto venne
più volte ripreso nel dopoguerra ma non riuscì mai ad essere
realizzato. Sotto la sindacatura di Ignazio Marcoccio, nel 1972, si
arrivò finalmente all'approvazione del progetto e quindi all'inizio
dei lavori che vennero realizzati con tre finanziamenti successivi
della Regione Siciliana. Il parco fu completato a metà degli anni
novanta del XX secolo dopo oltre sessant'anni dal primo progetto.
Il
parco ha una superficie di circa 75.000 metri quadri ed è più esteso
del Giardino Bellini. É il più grande parco di Catania ed è
realizzato su di un terreno di natura vulcanica. Realizzato su di una
collinetta, ha una vegetazione del tipo della macchia mediterranea con
essenze autoctone
come l'ulivo, la buganvillea, l'oleandro, l'agave e
il fico d'india. I vialetti ed i manufatti sono realizzati in pietra
lavica dell'Etna. Il parco è attrezzato con aree giochi per i
bambini, panchine e vialetti. Nell'area esistono anche dei ruderi
dell'antico acquedotto dei Benedettini.
I Gioeni e il Tondo
L'affresco del mondo catanese
antico rivela gradevolissime tonalità, sostenute da elevate fluenze
storiche in un cromatismo assai accattivante. L'insieme del
paesaggio è davvero delizioso ed era certamente superlativo quando,
ancora vergine, non lo tormentavano le contorsioni celebrali dei
costruttori in cemento. Sin dal Tondo Gioeni ci si schiudono
graziose ville ecchieggiati tra il verde, che avvalendosi di uno
stile semplice ed elegante evidenziano freschezza e genialità di
tocco. Tondo Gioeni è il movimentato piazzale che si apre al vertice
della nostra città, dal quale si diramano quasi a ventaglio la
settecentesca Via Etnea e gli eleganti nuovi viali Odorico da
Pordenone e Andrea Doria. La veduta più fascinosa che si presenta
guardando di lassù è il mirabile rettilineo di duemilaottocento
metri della principale arteria cittadina, sorta dopo il terremoto
del 1693 secondo il piano di Giuseppe Lanza Duca di Camastra su
progetto dell'ingegnere Carlo De Grunembergh.
Uno dei più quotati lirici della
scapigliatura, il Camerana i cui versi a dir di Benedetto Croce
"sono tanti tocchi di pennello, di un pennello di un
impressionista"' (1) ce la presenta in un turno di incanto:
"Una ondulazione alta d'argento
silenziosa nella trasparenza
notturna; una nival magnificenza
diafana nell'aria senza vento;
una ondulazione di monumento
bianca e suprema una fosforescenza
lunar sotto la astral fosforescenza
diafana nell'aria senza vento;
tale in sua Tregua il bieco Etna
regnava.
Sul gran carro era l'orsa; il
formidabile
nel ponente Orion superbo ardea.
E ardea, nel pian, Catania.
Rutilava
laggiù, come una sbarra
interminabile
di fuoco e d'oro, la immane strada
Etnea". (2)
Oltre che delle proprietà catanesi
i Gioeni furono padroni di numerosi altri feudi quali: Castiglione e
Barruso sin dal '300, Miraglia nel 1453, S. Dimitri nel 1631,
Valcorrente nel 1645 Aidone, Burgio e Monteallegro nel 1671, Noara e
Dammisa nel 1730; Rocca, Mottacamastra e S. Cono nel 1754. Sull'arme
gentilizia dei Gioeni figura il Giglio di Francia, perché il casato
ebbe inizio dal Re Carlo I - figlio di Luigi VIII di Francia e di
Bianca di Castiglia, fratello quindi di S. Luigi IX - che ricevuti
in appannaggio L'Angiò (Anjeu), nel 1263 accettò da Urbano IV il
Feudo di Sicilia e nel 1266 conquistò il Regno di Napoli. Dopo la
sommossa popolare dei Vespri contro i Francesi, alcuni membri dei
D'Angiò, legati a Catania da particolari interessi escogitarono uno
strataggemma: cambiarono nome.
Il motivo ce lo dà il Gaetani: (3)
"Per levar via la memoria dell'odio che portavano i Siciliani ai
Franzesi Angioini, si fecero chiamare Gioeni". A tale modifica
arrivarono facilmente togliendo la parte iniziale della qualifica
nobiliare"; è facile infatti da Angioini passare a Gioini e quindi a
Gioeni.
(1) Bendetto Croce, " La
letteratura della nuova Italia", Bari 1914, vol. I, pag. 278.
(2) Questo sonetto intitolato
"Catania" di cui è autore Giovanni Camerana, fu pubblicato postumo
da Leonardo Bistolfi a Torino nel 1907
(edit.Streglio), ripubblicato da
Francesco Flora a Milano nel 1956.
(3) Francesco Maria Emanuele
Gaetani, Marchese di Villa bianca, "Della Sicilia nobile", stampato
con i tipi di Pietro Bentivegna, parte II, Palermo 1757.
Grotta
del Tondo Gioeni
La
cavità si trova all'interno del Parco Gioeni circa quaranta metri ad
ovest dalla costruzione dove è collocato il distaccamento della
polizia municipale. L'ingresso si trova all'interno di una depressione
nei pressi del tubo di troppo pieno di un serbatoio d'acqua interrato
e non è visibile da lontano.
Trattasi
di una piccola cavità dovuta a fenomeni di scorrimento lavico.
Costituita da un unico ambiente di non presenta particolari morfologie
da rifusione. Degne di rilievo sono alcune lamine da distacco che si
trovano lungo la parete sud della cavità. La grotta, data la
posizione, si presterebbe all'allestimento di una serie di bacheche ,
dove esporre oggetti afferenti al vulcanismo e alla morfologia ipogea
in ambiente vulcanico.
http://www.sicilie.it/sicilia/Catania_-_Parco_Gioeni
Il Comune restituisca
decoro al parco Gioeni
CittàInsieme ha organizzato ieri
pomeriggio la "Passeggiata nel Parco", con i partecipanti muniti di
fotocamere per immortalare «le cose che non vanno» e pubblicare le
foto più significative «sulla pagina Facebook». L'iniziativa è nata
dopo l'ultimo recente incendio divampato al parco Gioeni.
«Nel silenzio generale, questo
polmone verde sta prendendo a fuoco - dice una nota di CittàInsieme
-. Due incendi a distanza ravvicinata hanno ridotto alcune parti del
più grande parco cittadino in cenere. L'ultima volta che ci eravamo
occupati del degrado del Parco era il febbraio 2012, avevamo
documentato uno stato increscioso: panchine divelte e altre
assorbite dal fogliame prorompente, l'ingresso non autorizzato di
auto che non rinunciano a quel basolato lavico difficilmente pensato
per loro, i giochi per i bambini in larga parte vandalizzati e ormai
inutilizzabili, come anche i cestini per i rifiuti, incivilmente
danneggiati. Cartoni di vino e siringhe sparsi ovunque, e la
spazzatura che permette al nostro parco di spezzare con audacia le
comuni tonalità della flora. E il buio, che al parco Gioeni arriva
col tramonto e vi rimane fino all'alba del giorno dopo. Ma, come
spesso accade nelle migliori tradizioni d'inciviltà, siamo riusciti
a superare noi stessi. Perché non dare fuoco ad uno dei pochi
(pochissimi) polmoni verdi di cui la nostra città può godere?
«Presto detto - prosegue
CittàInsieme -. Due incendi a distanza di pochi giorni l'uno
dall'altro rappresentano plasticamente la situazione di degrado,
abbandono, incuria e barbarie in cui è intollerabilmente sprofondata
la nostra amata città. Il Parco Gioeni deve riprendere a vivere.
Questa preziosa area verde ha diritto ad una seria e costante
gestione. L'Amministrazione deve e dovrà fare la sua parte. Ma tutti
noi ne possiamo essere gli artefici».
La Sicilia, 25/06/2013
Fontana del Tondo Gioeni: scoppia
la polemica sui social
5 giugno 2018Sofia Nicolosi
La chiacchieratissima fontana del Tondo Gioeni,
inaugurata ieri mattina, continua a far discutere i catanesi sul suo
valore estetico-monumentale e sugli effetti che il piano di
circolazione, nel complesso, ha avuto sulla mobilità e sulla
circolazione nel delicato snodo della città.
Habemus fontana. Dopo sei mesi di lavori, ieri
mattina, è stata inaugurata la tanto attesa fontana del Tondo Gioeni.
Costata circa 751mila euro, la fontana rientra nel progetto più
ampio di riqualificazione architettonica e infrastrutturale dello
snodo del Tondo Gioeni. La fontana, posta in Viale Doria, alla fine
della via Etnea, dovrebbe richiamare la Fontana dell’Amenano, detta
l’Acqua o linzolu situata in Piazza Duomo. Il motivo della fontana e
dell’acqua rappresenterebbe quindi un filo conduttore tra l’inizio e
la fine della via Etnea.
Tuttavia, la fontana, realizzata con la
pietra nera lavica, con la pietra bianca di Comiso e con la pietra
rosa dei marmi di Custonaci, non è stata molto apprezzata dai
catanesi. L’appellativo dispregiativo di “acquasantiera” è stato
quello maggiormente utilizzato per commentare l’opera appena
realizzata. Sui social è divampata una vera e propria polemica, e
una montagna di critiche sono state rivolte all’Amministrazione per
la realizzazione dell’ultima “bella minchiata”, stesso appellativo
usato dai cittadini nei confronti di opere precedenti, considerate
di cattivo gusto, come nel caso della nuova Piazza Europa, all’epoca
della sua inaugurazione.
Inoltre, in molti si sono accorti, non appena
la fontana è stata messa in funzione, che l’acqua tendeva a uscire
dalle vasche per riversarsi sul manto stradale della
circonvallazione.
Anche se, non sono mancati apprezzamenti al
valore estetico della fontana, lodata soprattutto nella sua visione
data dall’illuminazione notturna, sembra che i pareri negativi, per
ora abbiano avuto la meglio.
Eppure, la fontana del Tondo Gioeni, appena
inaugurata, entra a far parte del prospetto di un grande giardino
verticale, secondo in Italia solo a quello di Milano. Infatti, dopo
l’abbattimento del ponte avvenuto quasi 5 anni fa, il Tondo Gioeni
necessitava di un progetto di riqualificazione. Il progetto
prescelto fu appunto quello di un giardino verticale, realizzato
nelle via soprastante la fontana, con delle terrazze in Via
Albertone, dove si ha accesso anche al celebre Parco Gioeni.
Il progetto del Tondo Gioeni, però, lungi
dall’apportare esclusivamente migliorie estetiche, è nato
soprattutto per risolvere la complicata questione di traffico e
congestione stradale che interessano la zona, divenuta impraticabile
per gli automobilisti catanesi.
Poco più di dieci giorni fa, difatti, ha
preso il via il nuovo piano di circolazione che interessa proprio il
Tondo Gioeni, con l’apertura della nuova bretella di via Castorina
che si congiunge a Via Giuffrida. Da subito, il nuovo piano è
apparso efficace a detta degli automobilisti. Nonostante siano in
programma ulteriori lavori per fluidificare e ridurre il traffico,
per il momento sembra che il Tondo Gioeni abbia subito sostanziali
miglioramenti per la viabilità e la circolazione.
https://catania.liveuniversity.it/2018/06/05/fontana-tondo-gioeni-polemica-social/
L'orto
Botanico di Catania
http://www.dipbot.unict.it/orto-botanico/
Risalente
al 1858, si estende su una superficie di circa 16.000 mq. e riveste
importanza come sede di alcune peculiari collezioni, quali le
'succulente', le 'palme' e le 'piante spontanee siciliane'.
Nel mondo esistono circa 1400 orti botanici e arboreti con oltre 100
milioni di visitatori l’anno. Una buona parte si trova in Europa e
oltre una trentina, tra orti botanici universitari e non, in Italia.
Nel mondo esistono circa 1400 orti botanici e arboreti con oltre 100
milioni di visitatori l’anno. Una buona parte si trova in Europa e
oltre una trentina, tra orti botanici universitari e non, in Italia.
L'Italia vanta un primato storico in fatto di orti botanici; le prime
strutture di questo tipo, oggi non più esistenti, furono fondate in
Italia già nel XIII secolo a Roma, in Vaticano, e nel XIV secolo a
Salerno.
Questi
orti avevano la funzione di ostensori delle piante di uso medico,
così come gli orti botanici universitari, tuttora esistenti,
realizzati nel XVI secolo a Padova, Pisa e Firenze. La maggior parte
degli orti botanici italiani venne fondata nella seconda metà del
XVIII e nel XIX secolo.
Grazie all’enorme
sviluppo della sistematica vegetale, in seguito all’introduzione
della nomenclatura linneana, gli orti botanici divennero luoghi di
osservazione, nonché sedi di sperimentazione e
acclimatazione di nuove specie. Ad esempio, presso l’Orto Botanico
di Palermo fu descritto il Ficus
magnolioides, esemplare ancora vivente.
Attualmente negli orti botanici ha assunto notevole rilievo la
funzione educativa, con particolare riguardo alle problematiche di
carattere ambientale, e la funzione di salvaguardia ex situ delle
specie in via di scomparsa. Alcuni orti stanno effettuando
ricostruzioni di ambienti per fare comprendere meglio al pubblico i
diversi adattamenti delle piante e il funzionamento degli ecosistemi,
almeno per la componente vegetale.
L’Orto
Botanico di Catania cerca, come gli altri, di svolgere il suo ruolo
nella società contemporanea.Questo ipertesto si propone di farlo
conoscere in tutti suoi aspetti.
I
150 ANNI DELL'ORTO BOTANICO
Compiere
150 anni e non li dimostra affatto, un’impresa che è riuscita lo
scorso luglio all’Orto Botanico di Catania, grazie anche all’attenta
opera del suo direttore, il professore Pietro Pavone (per 9 anni, non
consecutivi, alla guida dell’Orto Botanico, ndr). Un intero anno il
2008 per celebrare 150 magnifici anni di storia, di uno dei maggiori
polmoni verdi catanesi. Il momento clou dei festeggiamenti si è
svolto lo scorso 31 luglio. Proprio in quella data nel 1858 fu
fondato, grazie alla volontà e alla tenacia del monaco cassinese
Francesco Tornabene Roccaforte. Mostre, convegni e workshop per
spegnere le 150 candeline e un excursus dell’attività dell’Orto
Botanico e della storia della botanica affidato alla relazione del
professor Francesco Furnari. Un occhio particolare è stato dato alla
botanica dell’ottocento con il Prof. Mario Alberghina.
“Abbiamo scelto di realizzare tante attività per celebrare questa
ricorrenza e di chiudere in bellezza con la manifestazione del 31
Luglio. – ha spiegato il professor Pietro Pavone –. Abbiamo voluto
per il nostro anniversario coinvolgere tutto il mondo catanese della
cultura.
Abbiamo allestito delle mostre molto particolari come quella della
botanica nella filatelia a livello internazionale o quella della flora
siciliana su porcellana, quindi piatti e posate decorate con flora
sicula”.
E ancora manifestazioni sulle piante aromatiche dell’orto botanico,
sulla scomparsa dei dinosauri e l’ipotesi dell’impatto, sull’importanza
del fotovoltaico e anche una giornata di incontri sulla salvaguardia e
sul recupero delle derrate alimentari, “per spiegare – ha
sottolineato Pavone come conservare le derrate alimentari attraverso
la fisica, perché la fisica è meno dannosa per l’organismo umano
rispetto alla chimica”.
- Professore cosa rappresenta l’Orto Botanico per Catania?
“È uno scrigno, curatissimo, della biodiversità vegetale. Al suo
interno si trovano tantissime specie vegetali, molto più di quelle
che si possono trovare in un giardino pubblico, dove vi sono delle
piante abbastanza comuni, mentre nell’orto botanico ci sono delldelle piante non ripetute, specie diverse, che
appartengono alla fascia sub tropicale”.
- Professore, lei ha fortemente voluto la presenza della Marina, Perché? “Questo perché la Marina ha
contribuito fortemente alle esplorazioni botaniche. Grazie alla Marina sono state trasportate piante
che provenivano da altri paesi, introdotte in Europa e in Italia e quindi poi acclimatate, si sono diffuse nei giardini, nei parchi e nel
mondo dei vivai. Inoltre la Marina in questo momento si occupa anche di territorio e ambiente, dando attenzione e protezione. C’è
quindi una sinergia di interessi tra noi botanici e loro”.
Antonietta Licciardello
http://www.provincia.ct.it/informazioni/la-rivista/sommario/2008/Settembre/filepdf/p_31-33.pdf
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Viale
Regina Margherita |
Tondo
Gioeni |
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Santa Maria di Gesù |
Stadio
Cibali
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Il
Viale |
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Piazza
Cavour |
Cibali
- Piazza Bonadies |
CHIESA MARIA DI MONTSERRAT o
MONSERRATO
L'antica chiesa dedicata alla Beata Vergine
Maria, sotto il titolo di Monserrato, che dal 1580 insieme alla
Confraternita omonima, sorgeva presso il Bastione del Tindaro, nei
pressi dell'odierno ospedale Vittorio Emanuele, il 16 aprile 1669
venne distrutta dalla lava dell'Etna. Nel 1672 l'Oratorio dei
Confrati di Monserrato, edificato prima dell'attuale chiesa, venne
benedetto dal Ven.Can.Giuseppe Raimondo, sepolto nella Basilica
Collegiata di Catania.
La chiesa, che oggi ammiriamo, venne costruita
accanto all'Oratorio dopo il disastroso terremoto dell'11 gennaio
1693,probabilmente nella seconda decade del 1700.Nel suo prospetto
semplice, uno scudo collocato sopra la porta reca la seguente
epigrafe :Magno Deo Accepta et Virgini Parenti-1754 .
L'anno dopo fu costruito il frontone nella
facciata che reca la data A.D. 1755.
Sull'attuale via M.R.Imbriani nell'A.D. 1763
fu aggiunta una porta, oggi murata perché rimasta circa un metro più
alta del livello della nuova strada.
L'artistica porta centrale, in ferro e rame
sbalzato a mano, opera dei maestri Salvatore e Giuseppe Failla,su
disegni Mario del Vesco,dal 5 settembre 1959,con uno dei suoi
pannelli ricorda che Catania in quell'anno fu sede del XVI Congresso
Eucaristico Nazionale.
La statua della Madonna di Monserrato, posta
nella grande nicchia sopra la porta della chiesa, è stata eseguita
su pietra di Comiso dai fratelli Giuseppe e Concetto Marchese nel
1948.
La torre campanaria a forma ottagonale, che
porta la data del 1830,è arricchita da 4 campane :la campana grande,
che misura mt 1,12 di diametro e mt 1,30 di altezza, è stata fusa su
richiesta dei dirigenti della Confraternita S.M. di Monserrato e
porta incisa la data del 1815 insieme all'effigie della Madonna di
Monserrato e di S .Michele; la seconda campana, che è stata fusa nel
1729 in honorem et gloriam SS.Virgine Mariae de Monte Serrato, porta
l'effigie della Madonna seduta col Bambino in braccio che sega un
monte; la terza e la quarta campana, provenienti dalla pontificia
Fonderia Marinelli di Agnone,portano la data rispettivamente del
1863 e 1888.
Sul pavimento della Chiesa, che è ad unica
navata, due lapidi sepolcrali recano le seguenti epigrafi :"Nos
simul in vita protexit Virgo.Sepultos hoc simul in tumulo proteget
et cineres"(insieme in vita ci protesse la Vergine. Proteggerà
ancora le ceneri sepolte insieme in questa tomba );"D.O.M. Philippus
De Sabataro ab sui suorque requie sodalitio annuente hanc tumuli
,urna costruxit Anno Domini 1741"(Filippo De Sambataro per il riposo
suo e dei suoi ,permettendolo la Confraternita, costruì questa
sepoltura nell'anno del Signore 1741).
Sull'altare maggiore, di marmo policromo,
troneggia un simulacro in legno della Madonna di Monserrato di
fattura tardo ottocentesca. I 4 paliotti degli altari laterali di
marmo policromo sono dedicati :i due a destra alla Vergine SS.delle
Grazie (tela di Tullio Allegra XIX sec)e a S.Michele Arcangelo
(statua lignea XVIII sec);i due di sinistra a S.Gregorio Magno che
celebra la messa in suffragio delle anime del Purgatorio (tela del
1756 della scuola di Olivio Sozzi)e al SS.Crocifisso spirante.
Durante i restauri della Chiesa, eseguiti agli
inizi degli anni '50 dal parroco Vito Nicoia e dal sacerdote
Salvatore Tomaselli, vennero sistemati in chiesa due grandi
affreschi, staccati dal muro e collocati su tela,che ornavano
l'antico Oratorio della Confraternita ormai estinta:a sinistra nel
presbiterio la tela raffigurante Gesù che consegna le chiavi a
S.Pietro (XVIII sec );nella volta la tela raffigurante la Madonna
Assunta con gli Apostoli (XVIII sec ).
Un'antica tela di notevole pregio artistico di
scuola messinese del XVII sec,,oggi sull'altare dedicato a S.Michele,
rappresenta il pentimento di S .Pietro .
Nella sacrestia è visibile una grande tela
della Madonna di Monserrato con in alto due Angeli in atteggiamento
di segare la vetta del monte omonimo a pareti verticali che si trova
nella Catalogna, molto vicina alla città spagnola di Barcellona,
sede del monastero benedettino in cui il 24 marzo 1522 avvenne la
conversione del grande Ignazio di Loyola Onez ,padre fondatore della
Compagnia di Gesù. Nella tela,che prima del restauro portava la data
del 1814,dopo l'accurato lavoro eseguito dalla ditta Comes di
Catania, è stato trovato l'autografo dell'artista Rosarius Cassisi
Tingebat (XVIII sec).
Fonte :parrocchia Monserrato
Questa
piazza nacque agli inizi del secolo, dopo una difficile gestazione, e
perciò rientrando di peso nello stile delle "cose di
Catania".
Per focalizzarne i "precedenti storici", bisogna partire dal
1870, epoca in cui, qualcosa essendo cominciato a muoversi nel settore
dei lavori pubblici, l'Ufficio d'Arte Comunale diede incarico ad
alcuni valenti professionisti di esaminare lo stato delle strade,
invero molto precario.
L'arduo problema venne affrontato dagli ingegneri Landolina, Beltrami
e Di Stefano, i quali si occuparono di livellare e basolare quelle
già esistenti (ma non tutte), e dall'ingegnere Berfiardo
Gentile-Cusa, che ebbe l'impegnativo incarico di elaborare il piano
regolatore della città.
Al centro di tale iniziativa (il piano regolatore), si colloca la
previsione di un'opera fondamentale per l'avvenire della cIttà, dì
un3arteria lunga e ariosa che, tagliando in posizione ortogonale, la
strada dritta, formi con questa un duplicato dei quattro cantoni, e
apra ai catanesi la via verso il mare.
Passati all'attuazione del progetto, il primo tratto ad essere
realizzato fu quello compreso fra la via Stesicorea e il largo Santa
Maria di Gesù: superbo, incorniciato da fastosa architettura, tale da
rivaleggiare - tenuto conto della diversità dei tempi e dei gusti con
la piú opulenta edilizia settecentesca.
Vediamolo da vicino, non senza averne indicato le premesse.
Su mandato del Comune, l'ingegner Filadelfo Fichera provvede ad
ampliare la Villa, includendovi la collinetta nord e aprendo un nuovo
ingresso sul viale Regina Margherita, appunto; sistema via Tomaselli;
avvia impegnativi lavori di giardinaggio entro la Villa stessa e nelle
sue adiacenze; prevede, dirimpetto al nuovo ingresso, un'ampia piazza,
la futura piazza Roma.
Inoltre, per iniziativa privata, questa volta, sorgono un gruppo di
aristocratici villini lungo il detto viale e nei dintorni. Cosí, il
seme della piazza appena squadrata, gettato in terreno fertile, non
mancherà di germogliare e di dare i suoi frutti. E mentre sontuosi
fabbricati le crescono attorno, anch'essa cresce e si abbellisce.Ma
nella panoramica che stiamo tentando di effettuare, sarà bene mettere
a fuoco prima gli esterni, poi il primo piano.
Torniamo, cosí, sul tratto del viale Regina Margherita che ci tocca
da vicino, in questa rapida carrellata. Esso si apre col massiccio
palazzo dei Magnano di San Lio, ad angolo con via Etnea; procede col
palazzo del professor Salvatore Tomaselli, sullo stesso filo, e con
quello dell' ingegner D'Amico, sul fronte opposto; avanza quindi con
la splendida casa dei Duchi di Misterbianco, a ponente della piazza, e
con altri magnifici villini (alcuni del Sada) che non rientrano in
questo itinerario.
A
mezzogiorno, fa bella mostra di sé la parte nuova della Villa: un
autentico gioiello. Ne abbiamo accennato, ma vale la pena di
indugiarsi almeno sul particolare dell'ingresso. "La cancellata
di recinzione sulla piazza Roma è di una tale finezza ed eleganza che
ancora oggi ci si sofferma ad ammirarla. Costruita in ghisa, secondo
la tecnica dell'epoca, ad elementi verticali in lance e punta, è
ritmata e portata ad intervalli da montanti pure in ghisa, formanti
dei pilastri angolari a base quadra con cavalli marini in basso ed A
thene e foglie in alto.
All'ingresso del cancello centrale si aprono delle finestre bifore nei
corpi di custodia, e sul cornicione corrono archetti decorativi a
tutto sesto, mentre i pilastri dei cancelli laterali, con tettucci
spioventi, in pietra calcarea, sono decorati con mattonelle in
cotto" A levante, si erge l'aristocratica linea
architettonica della casa di cura del professor Di Stefano Velona; sul
fondale, a tramontana, casa Alessi, con l'estrosa torre che, in
quell'epoca, incuriosì i catanesi e stette a testimoniare, fino al
1959, la singolare iniziativa dei suoi proprietari.
Fra il 1911 e il 1929, due opere contribuirono a caratterizzare
definitivamente la fisionomia della bella piazza: il monumento a
Umberto (inteso dai catanesi il "re a cavallo") e l'Istituto
Commerciale De Felice.
Vale la pena di annotare certi aspetti che fecero da contorno ai due
avvenimenti. Il 29 maggio del 1911, allorché fu scoperto il monumento
presenti il re, la regina, alcuni ministri - lo scrosciare degli
applausi varcò i confini della stessa piazza, tanto calorosi
risuonarono in quel tiepido mattino di primavera.
Ma si ingannerebbe chi quegli applausi fosse indotto a scambiare per
entusiastica approvazione dell'opera che veniva in quel momento
inaugurata. Per la verità, quegli applausi furono -preceduti e
seguiti da un rombo minaccioso di polemiche,,ritorsioni e
pettegolezzi. Sfogliare i giornali dell'epoca, leggere quanto venne
scritto su questo argomento, significa arricchirsi di edificanti
sensazioni.
Il bombardamento contro i promotori dell'iniziativa, contro i
componenti del comitato esecutivo, contro il sindaco Pizzarelli,
contro tutti quelli che, per un motivo o per un altro, avevano avuto a
che fare col monumento, è davvero impressionante.
Nell'adempimento del nostro dovere, animati come siamo da alto e
nobile senso di civismo, non possiamo non censurare l'opera del
sindaco Pizzarelli e del prefetto Minervini che, nella loro nullità
indefinibile, organizzarono e concretarono l'offesa della nostra
città… nominando un comitato composto da persone inette, meschine e
vacue. A cose finite, sveleremo vita e miracoli di questa gente,
dietro scene scabrose, vanità basse e stupide . . . (6) cosí di
seguito, in ossequio al nobile senso di civismo cui si rifaceva
l'inferocito cronista, in apertura del suo articolo.
Qualche giorno prima, il settimanale Ma chi è? si intratteneva con
sarcastica virulenza sullo sperpero del pubblico denaro in opere del
genere. E il 13 giugno, il Girella tornava con accanimento sulle
"deficienze, incompetenze e gaffes dei genialissimi membri del
comitato" i quali, fra l'altro, avevano omesso di invitare alla
cerimonia il principe di Manganelli che "dall'indomani della
tragedia di Monza, ebbe la geniale idea d'innalzare un monumento
equestre al Re Martire . . .".
A parte questo edificante contorno, tanto caro ai catanesi di ieri, è
il caso di ricordare che il monumento, alla cui realizzazione
contribuirono diversi comuni della provincia, è opera dello scultore
palermitano Mario Rutella, allievo fra i piú dotati dei Monteverde.
Sulla realizzazione dell'edificio scolastico nel quale tuttora
"si educa quel vigore di vita per cui prospera Catania",
impiantato nel 1926 (al posto di un capannone lasciato al rustico) ed inaugurato tre anni dopo, non gravano polemiche di sorta. Ma Francesco
Fichera - professionista di grandi risorse, colto e generoso che
andava fiero di questa sua opera, aveva anche lui qualcosa da dire. A
chi, gli chiedeva quale soddisfazione morale essa gli avesse dato,
rispondeva sorridendo: "Che soddisfazione può dare
l'architettura a Catania? Qui, di architettura non si occupa nessuno,
salvo i colleghi concorrenti che se ne occupano per
scovare ciò che, eventualmente, di brutto hai fatto e illustrato
ampiamente!".Come volevasi dimostrare. Anzi, non volevasi
dimostrare, parlando di piazza Roma. Ma - sapete com'è - quando i
nodi ci sono, anche non volendo vengono al pettine.
http://www.cataniaperte.com/cronologia/libri/cavallotto_sciacca_catania_romantica_in%20elenco.pdf
da
Lucio Sciacca, “Catania romantica” - Vito Cavallotto Editore
Frappè alla nutella (made
in Catania)
Molte volte si sente parlare
di questa bevanda che prende il nome di frappè e molti sono i
gusti che la possono caratterizzare. In merito ritengo che
nessuno può parlare di frappè, tessendone magari delle lodi, se
non ha prima provato quello realizzato nel chiosco di piazza
Trento, o di piazza Roma, in Catania. Nessun altro chiosco di
nessun’altra città, nessun bar, nessuna gelateria o quant’altro,
sono in grado di replicare la bontà che si può trovare solo ed
esclusivamente nella città etnea.
Questa doverosa precisazione
iniziale è fondamentale, quando parlo di frappè, mi riferisco
solo ed esclusivamente a quello di questi chioschi catanesi, che
non ha nulla a che vedere con quello che è possibile comperare
in qualsiasi altro posto e che non sarà mai allo stesso livello,
anzi neanche ci si avvicinerà lontanamente. Motivo per il quale
evito sempre di comperare il frappè, che pure tanto mi piace, in
luoghi diversi a quelli indicati.
Il frappè del quale vado
pazzo e che viene realizzato in questi eccezionali chioschi, è
quello al gusto nutella. Ricordo la prima
volta
che lo presi. Questo è un aneddoto che racconto spesso, per
quanto mi sia rimasto impresso e per quanto sia in grado di far
capire quanto sia buono questo frappè. Mi trovavo esattamente in
piazza trento, ordinai un frappè alla nutella al chiosco (mi
venne dato con bicchiere e cannuccia, esattamente come in foto,
quella è una foto da me scattata in piazza trento, la mano di
carnagione più bianca è la mia, l’altra di una mia amica) e lo
ricevetti in cambio di 2,50€. Lo guardai soddisfatto
dall’aspetto e iniziai subito a sorseggiarlo. Esattamente in
quel momento, avendone assaporato il gusto, spalancai gli occhi,
ed in stato d’estasi pensai esattamente: “Minchia, troppo buono,
i migliori 2,50€ spesi nella mia vita”. Bastò davvero così poco,
fu immediatamente amore tra me e quel frappè, incredibilmente
buono e delizioso, dal forte sapore di nutella, dal farti uscire
pazzo per il contenuto di quel bicchiere che ti viene da tenere
stretto, nella speranza che non si possa mai svuotare a dal
quale non ci si separerebbe mai se non prima resti al suo
interno più neanche una goccia di questo straordinario frappè.
Alcuni, che come me hanno
avuto la straordinaria fortuna di gustare il frappè alla nutella
di Catania, ritengono che sia troppo pesante e che il forte
sapore diventi alla lunga un pò nauseante. Per quanto mi
riguarda riuscirei a berne tranquillamente anche più di uno
sempre con entusiasmo e con quella goduria che poco altro riesce
a garantire attraverso il senso del gusto. Per me questo frappè
è tra le cose più buone in assoluto, reputo addirittura che sia
in grado di riconciliarti con la vita, di farti chiudere gli
occhi per farti assaporare le belle sensazioni che il suo gusto
ti regala e di estasiarti avvolto e coinvolto dalla sua
squisitezza.
Da quanto sto scrivendo può
sembrare che al suo interno sia contenuta qualche droga che
causa dipendenza e porti a questo stato sublime di estasi, ma
non è esattamente così e sul come esso sia precisamente
preparato non l’ho sinceramente mai capito. Un mio amico ha
provato a riprodurlo e dopo diversi tentativi c’è quasi
riuscito, ma non completamente. Mio fratello ritiene che al suo
interno sia presente anche bianco d’uovo, altri dicono non ci
sia. Di certo nel preparato, fatto ovviamente da loro
artigianalmente, non mancano diversi cucchiaini di nutella.
Immagino sia presente anche il latte e forse pure la panna, per
alcuni mischiata al gelato al fiordilatte. Di certo, nella
rapida preparazione che nel chiosco sono ormai abituati a
svolgere, che io non ho mai attenzionato con particolare
riguardo, essendo sempre ansioso che essa finisse per poter
iniziare a gustare il delizioso frappè, non manca il cacao in
polvere finale.
Fabrizio Lo Gerfo
http://fabriziologerfo.wordpress.com/2012/12/12/frappe-alla-nutella-made-in-catania
LA TORRE ALESSI
Unica torre della città di
Catania: la Torre Alessi venne edificata negli ultimi decenni
dell’800. Oggi, tuttavia, non se ne conserva alcuna traccia, se
non una via che ne prende il nome. La torre, infatti, venne
fatta demolire a causa della drammatica speculazione edilizia
degli anni ’50-60.
Forse sono ancora in pochi a
ricordare il tempo in cui a Catania esisteva una torre in pieno
centro storico, proprio dietro Piazza Roma. Parliamo della Torre
Alessi. Essa fu costruita intorno agli anni 80 dell’800, su
progetto dello stesso architetto del Teatro Massimo Vincenzo
Bellini, Carlo Sada, su commissione di un ricco proprietario
terriero Salvatore Alessi, da cui prendeva il nome. Anche se la
data di costruzione è incerta, un annuncio pubblicitario apparso
nella Gazzetta di Catania, nel 1888, afferma che “Sin dal primo
di maggio in Catania nel Giardino Alessi, contrada S.Nicolò al
Borgo si permette l’ascensione sulla Torre delle persone
provviste di biglietti personali di ingresso…”
Come testimonia l’annuncio,
perciò, la Torre divenne sin da subito un’attrazione all’interno
del Giardino Alessi, del medesimo proprietario. Infatti, la
Torre, alta complessivamente circa 40-50 metri, era circondata
tutt’intorno da una scala a spirale di 196 gradini adornata da
ringhiere, che permettevano di salire fino cima. Da lì era
possibile vedere e ammirare tutta la città e le campagne
circostanti, dall’Etna fino al mare.
Tuttavia, dietro la Torre
Alessi c’è molto altro: a raccontarne la storia è l’articolo
“Come nacque la torre Alessi” di Saverio Fiducia, La Sicilia,
del 19 gennaio 1965. All’epoca la torre era sfortunatamente già
stata demolita. Infatti, la sua data di demolizione si fa
risalire al 1963, nell’ambito di un più ampio processo di
speculazione edilizia che cambierà, talvolta anche in modo
drammatico, il volto urbanistico di Catania.
Sappiamo perché venne
distrutta, ma non sappiamo perché e come nacque. Così
all’indomani della sua demolizione, il giornalista Fiducia ha
voluto lasciare una testimonianza della Torre Alessi,
ricostruendone le vicende storiche. “Verso la fine del penultimo
decennio dell’Ottocento, l’area compresa tra l’attuale via
Antonino Longo (già degli Archi) il luogo occupato dal carcere e
la nuova via Cesare Beccaria, era un ubertoso giardino, in
massima parte piantato ad agrumi e di proprietà di un cav.
Alessi…” Dalle prime parole dell’articolo si evince chiaramente
e con precisione il luogo in cui sorgeva la torre. All’epoca,
nel 1880, la zona tra il carcere di Piazza Lanza e via Cesare
Beccaria non erano altro che un grande Giardino, per l’appunto
il Giardino Alessi.
“L’Alessi, avendo bisogno
per irrigare il giardino di una capacissima vasca, come dire di
una gèbia, ne commise la costruzione al Sada. Ma per il
rifornimento idrico della gèbia occorreva costruire anche una di
quelle cosiddette guglie che regolavano l’afflusso dell’acqua.”
A quel punto pare sia stato lo stesso architetto Sada a
suggerire al suo committente la realizzazione dell’impianto
torre-fontana che era la Torre Alessi. Infatti, la struttura
architettonica della Torre progettata da Sada constava di
quattro elementi distinti. Innanzitutto, vi era la vasca di 262
metri cubi, che aveva un’altezza di 17 metri e costituiva una
importante riserva d’acqua per innaffiare all’occorrenza il
giardino; al di sopra si innalzava con funzione di salotto un
locale quadrato, di 3,40 metri di lato, pavimentato con lastroni
di marmo e con tre finestroni ornamentali. Il terzo elemento era
una piccionaia alta oltre 9 metri con 51 nicchie pavimentato con
quadretti di argilla e con quattro finestre. Infine, sorgeva il
terrazzo, con funzione di belvedere.
“La sparizione della torre –
commenta il giornalista – in ultima analisi e ora che essa non è
più che un ricordo, non può che rattristare i superstiti;
coloro, cioè, che la videro nascere e inserirsi, come ho detto,
nel paesaggio catanese, dandogli un tono di esotica eleganza”.
Una persona ne avrebbe però sicuramente rimpianto la
demolizione, questa è Vitaliano Brancati celebre scrittore
siciliano, che si lasciò ispirare da questa struttura nella
composizione del suo primo romando “Gli anni perduti”, composto
tra il 1934-36.
Lo scrittore all’inizio del
capitolo quarto della terza parte del romando descrive
dettagliatamente la torre “La guglia verde, di stile moresco,
era sostenuta da nove colonnette. Sotto la terrazza,
l’architrave era dipinta in oro, e il fregio, ricamato da sfere
oblunghe, brillava di verde mare. Il balcone del secondo piano
era di forma triangolare, precisata in un perfetto triangolo dal
contorno, il cui vertice era sormontato da un rosone; lo zoccolo
era tondo, e per mensola aveva un gran fiocco di pietra che
terminava in una nappa. Il primo piano e il terzo erano
trapassati dal cielo d’oriente e da quello d’occidente, per via
di due finestrelle a mezza luna che aperte nelle due opposte
pareti e lasciate prive di imposte e di vetri combaciavano, come
nella mente, le immagini dei due occhi. La scala avvolgeva la
torre, con giri larghi e drappeggiati dal muro. Salendo si aveva
l’impressione di mettere il piede sopra un cielo che stesse per
spaccarsi come il ghiaccio che crocchia”.
Tuttavia, oggi, a distanza
di oltre 55 anni, soltanto pochi catanesi ne hanno memoria e
probabilmente sono ancora meno a piangerne la scomparsa. Di essa
non resta altro che una via omonima(Via Torre Alessi), proprio
lì dove era stata edificata la torre ormai dimenticata.
La Torre Alessi, come tanti
altri monumenti, ville, strade, piazze, quartieri rappresenta
una parte della “Catania scomparsa”, che è rimasta soltanto nel
ricordo di chi l’ha vissuta e che fa parte di un passato, che
anche se non temporalmente così distante, lo sviluppo
tecnico-urbanistico fa sembrare distante anni luce. Un passato
che abbiamo perso, di cui restano poche tracce: un articolo di
giornale, una fotografia d’epoca. Un passato, che è simbolo di
un patrimonio storico, architettonico, culturale che non abbiamo
salvaguardato, ma che abbiamo sacrificato in nome della
modernità.
https://catania.liveuniversity.it/2018/10/13/catania-scomparsa-torre-alessi/
Esattamente un anno addietro
iniziavamo questa rubrica che tanto interesse suscita tra i nostri
affettuosi lettori, tanto che alcuni di loro passando, in Via Carlo
Ardizzoni a Catania e notando una targa apposta accanto un edificio
si chiedevano cosa potesse significare la didascalia impressa ed
esattamente: “Ex Venerabile Casa Delle Malmaritate - Ruota dei
Projetti” - XVII-XX Sec.” - occorre precisare che in effetti,
laddove stiamo parlando ed anche in altri siti di notevole
interesse, il Club Service Rotary ed altri, molto opportunamente
hanno indicato luoghi e siti che ne meritavano la menzione.
A
questo proposito VEDIAMO UN PO’ di poterli accontentare.
Si trattava della “CASA DELLE
DONNE RITIRATE”-ma prima occorre che immaginino i nostri lettori di
come si potesse vivere nella nostra città dopo i due violenti
terremoti, nella fattispecie dopo quello catastrofico del 1693.
Paura di epidemie, carestia negli approvvigionamenti alimentari,
azioni poco lecite e delittuose, sciacallaggi ed ogni altra sorta di
incombenti pericoli per la popolazione che per fortuna era
sopravvissuta. Di tutto questo, chiaro che ne soffriva la gente più
vulnerabile, ovvero donne e minori, continuamente esposte a ciò che
abbiamo indicato.
Famiglie nobili, agiate,
possidenti, Diocesi, Professionisti e Cittadini di Buona Volontà,
cominciano ad interrogarsi su cosa fosse possibile inventare per
rimediare a tali situazioni venutesi a creare in maniera così
improvvida. Buttano giù l’idea di ricoverare tali persone, la gran
parte rimaste davvero sole, abbandonate per scelta, necessità o
altro. Cominciano a nascere, tra una raccolta di denari e di idee, i
primi Stabilimenti Assistenziali o di Beneficienza, identificati
anche come “Conservatori della Virtù” edificati o recuperati, perchè
preesistenti come chiese, conventi e sedi religiose, dopo il
terremoto del 1693, tutti a tutela delle donne in modo particolare;
il sito di cui stiamo descrivendo era riservato alle donne
PERICOLATE (come l’antico Santo Bambino, il Reclusorio del Lume, il
Buon Pastore, l’Immacolata Concezione) che si manteneva e viveva di
questue e piccole elemosine liberamente offerte.
Dunque molto più miseramente
rispetto ad altri Stabilimenti, meglio indicati come
Conservatori-Assistenziali, ovvero quelli che proteggevano le
PERICOLANTI (Conservatorio della Purità, Conservatorio della
Provvidenza-Santa Maddalena-oggi Istituto Vincenziano Pio IX,
Verginelle alla Badia, Verginelle di S.Agata e Conservatorio delle
Projette settenarie-bambine abbandonate- di Via Ventimiglia, dove
due ragazze per sfuggire alla reclusione si uccisero gettandosi nel
pozzo dentro l’Istituto). Qui si andava avanti con lasciti e
donazioni delle famiglie benestanti ed agiate, ma anche col lavoro
delle recluse che venivano educate alla tessitura, o per farne buone
mogli o in estrema ratio serve per la nuova borghesia.
Riprendendo, dunque, la
Venerabile Casa delle Malmaritate - Ritirate o Pericolate sin dal
1828 divenne anche sede della RUOTA dei Projetti che era un
ingegnoso sistema provvisto di asse ruotante su se stesso, in legno,
che da una parte dava al pubblico e girandolo, dava all’interno
dello Stabilimento. Bastava bussare, deporre il neonato o la neonata
sul ripiano e… dall’interno girando l’asse si recuperavano gli
abbandonati.
Tra il 1840 ed il 1860 vennero
depositati ben oltre diecimila (!!) bambini abbandonati. Non per
nulla l’edificio si interseca con Via Casa della Nutrizione,
toponimo che ricorda l’Istituto di Beneficienza ivi esistente e da
tempo ormai scomparso. In altri termini, antesignano dell’odierno
Banco Alimentare e del consimile Banco delle Opere di Carità. Anche
queste emerite istituzioni a sostegno della povertà sempre più
crescente.
Domanda pertinente: ma chi erano
le donne Pericolate? Si trattava di donne Malmaritate che cercavano
rifugio alle sevizie dei mariti, perlopiù maneschi o ubriaconi,
donne che avevano avuto rapporti illeciti, o prostitute pentite e,
che tutte venivano quindi recluse. E le Pericolanti ? In gran parte
giovinette che quindi in itinere potevano divenire Pericolate, e che
quindi venivano ospitate, sin da piccoline, protette ed educate. In
parole povere stavano sicuramente meglio, potendo questi
Stabilimenti disporre di congrui lasciti, rette, donazioni e ricavi
da tessitura, come meglio indicato. La necessaria Amministrazione
qui veniva affidata a notabili cittadini o Prelati Diocesani.
Veniva così occultata la
trasgressione, riproducendo in tal modo l’ordine sociale, sia negli
indicati Conservatori che nei Reclusori -Stabilimenti come quello
descritto. In conclusione questi Benemeriti Istituti sono stati
testimoni del passaggio dalla Beneficienza alla Assistenza Pubblica,
per effetto della Legge di annessione allo Stato dei beni
ecclesiastici (vedi ECA-OMNI ecc.) ed ancora prototipi, nonchè
antesignani d’un non meglio ancora attuato moderno Welfare.
Piero Privitera
|
CHIESA DELLA MECCA
(EX)attuale cappella San Girolamo all'interno dell'ospedale
Garibaldi.
-L'antica Chiesa della Mecca,
la cui etimologia rimane ancora oggi morbosa, si presenta oggi
nel suo aspetto settecentesco, ricostruita dopo il terremoto del
1693 su un precedente edificio di culto risalente al 1576 legato
ad un piccolo monastero. Il monastero divenne nel 1856 sede di
un albergo dei poveri, divenuto nel 1883 per interesse senato
civico sede dell'Ospedale Garibaldi.
La chiesetta, ridotta oggi a
cappella ospedaliera e retta da un piccolo gruppo di monache,
conserva l'accesso ad una cripta di epoca romana. Essa consiste
di un colombario di oltre 6 metri di lunghezza per quasi 4 di
larghezza. Tale colombario venne costruito nella prima metà in
pietra lavica e in mattoni per la parte superiore, con una
copertura a volta a botte,lungo le quattro pareti si aprono 18
loculi quadrangolari di cui uno ,sul lato ovest,a nicchia e
molto più grande rispetto agli altri. -
www.etnanatura.cataniaromana.it
|
Le
ville del Viale
in
ordine di ubicazione, salendo da Piazza Roma
fino
a Piazza S.M. di Gesù e ritorno.
|
|
Villa Trigona di Misterbianco
Viale
Reg. Margherita, 1 - Filadelfo Fichera. «Ubicata
in posizione dominante, tra piazza Roma e viale Regina Margherita, la
villa del duca Trigona di Misterbianco viene attribuita all’opera dell’architetto
Filadelfo Fichera. Il progettista realizza un loggiato archivatrato
ornato da festoni, concluso da una balaustra con statue reggilampada,
che anticipa il portale principale e costituisce un “trait d’union”
tra spazio interno ed esterno conferendo alla villa cittadina un’aria
da residenza suburbana. L’autore alterna con la stessa libertà
progettuale prospetti lisci a bugnati, finestre con cornici lineari a
balconi dal disegno più complesso. Infine corona il volume principale
con un fregio scultore di retaggio ottocentesco, decorato da formelle
con testine zoomorfe, partere e altorilievi con scene di putti musicanti
che sottolinea la grande terrazza coperta».
|
Quando nel 1909 il
Duca Trigona di Misterbianco fece costruire la sua villa
al viale Regina Margherita, nel prospetto est del
terreno fece costruire anche un altro edificio ad un
piano, adiacente alla grande villa. La piazza fu
arricchita il 30 maggio del 1911 dalla statua di Re
Umberto I di Savoia e una foto dell’epoca fa vedere
quale era la sistemazione est della piazza. Agli inizi
degli anni 50 del secolo scorso, il Duca Salvatore
Trigona volle ampliare l’edificio laterale costruendo il
piano nobile e l’ammezzato, sicché dare l’attuale
espetto che si presenta più vicino all’eclettismo
Liberty rispetto all’edificio principale più antico.
La storia della
Vulcanologia catanese è connessa con le Ville Trigona.
Nel 1960 fu creato l’Istituto Internazionale di Ricerche
Vulcanologiche del CNR a cui contribuì fondamentalmente
Alfred Rittman e che dal 1970 diventerà Istituto
Internazionale di Vulcanologia, la cui sede iniziale fu
nella Villa Trigona. Nel 1989 l’Istituto si spostò
nell’edificio adiacente che diventò nel 2000 la sede
dell’Osservatore Etneo dell’INGV.
Nelle foto
l’inaugurazione della statua di Re Umberto e la piazza
negli anni successivi e l’attuale sede dell’OE dell’INGV.
Notizie e foto
gentilmente fornite dal Dr Stefano Branca Direttore
dell’OE INGV.
https://www.facebook.com/geniuslocikatane |
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Villa
Romeo delle Torrazze
VIALE
REGINA MARGHERITA 8 - Carlo Sada - «La villa - vincolata il 30 novembre
2006, e fatta erigere dal marchese Romeo delle Torrazze, aiutante in
campo del re Vittorio Emanuele III, e dalla sua consorte, dama di
palazzo della regina Elena, su progetto dell’architetto Carlo Sada -
si integra omogeneamente nel contesto delle belle residenze erette tra
la fine dell’Ottocento e il primo trentennio del Novecento lungo viale
Regina Margherita. Sul prospetto principale elementi rinascimentali si
armonizzano con altri neoclassici richiamando soluzioni architettoniche
prossime al gusto francese dell’epoca. La costruzione si sviluppa su
due livelli ed è caratterizzata da un ingresso posto al di sotto di una
loggia archivatrata che sorregge la terrazza delimitata da una
balaustra. Il prospetto del piano nobile presenta porte con arco a tutto
sesto intervallate da colonne con capitelli ionici. Annesso alla villa
un giardino con specie vegetali di notevole interesse». |
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Villa Alia Consoli
V.le Regina Margherita,
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Villa Pappalardo Trewhell
Viale
Regina Margherita, 12-14 - Filadelfio Fichera. «L’impianto della
villa, vincolata con decreto della sovrintendenza n. 8493 del 6 dicembre
2007, è scatolare e si sviluppa, nel primo corpo, a più livelli. Il
prospetto anteriore ripropone le soluzioni architettoniche dello stile
neoclassico, per la progressione in verticale degli ordini
architettonici, per la simmetria dei portici, per la capacità di
coniugare la decorazione floreale con gli elementi decorativi classici.
Nei prospetti laterali il lessico decorativo diventa più sobrio. Sulle
coperture dei portici sono presenti due serre in ferro battuto e vetro
colorato di gusto liberty. Nel giardino retrostante sorge una “dépandance”
di raffinata architettura, di epoca più tarda, opera dell’architetto
BenedettoCaruso Puglisi (1870-1934) ».
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Villa Alonzo Tomaselli
V.le Regina Margherita,
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Villa Cutore-Recupero
V.le
Regina Margherita, 20 - Santi Bandieramonte. «La ricca villa
suburbana dal rigoglioso giardino, viene costruita alla fine dell’Ottocento,
subito dopo l’apertura del viale Regina Margherita. La costruzione,
articolata intorno ad un cortile aperto sul retro, è suddivisa su due
livelli. Presenta un paramento murario bugnato a ricorsi orizzontali al
piano terra e ad intonaco al piano superiore,
rinforzato agli angoli da paraste binate. L’ingresso è collocato
entro un portale ad arco a tutto sesto affiancato da due colonne che
sorreggono il terrazzino del piano superiore delimitato da una
balaustra. Le aperture sono caratterizzate da fregi, cornici e timpani
decorati, mascheroni e girali floreali: ghirlande, grifoni affrontati e
conchiglie decorano le cornici marcapiano. L’edificio è coronato da
un parapetto a balaustrini al di sotto del quale una fascia a rilievo,
ornata da festoni, corre lungo tutto il perimetro». |
scendendo fino a Piazza Roma
|
|
ex
Clinica Clementi
V.le Regina Margherita - Carlo Sada.
«Tra il 1901 e il 1904, l’architetto Carlo Sada progetta e dirige i
lavori per la costruzione della clinica medica del professore Gesualdo
Clementi. L’edificio, progettato nel 1901, data riportata su un disegno,
nasce tra viale Regina Margherita e piazza Santa Maria di Gesù, in
quella zona ritenuta periferica e destinata ad ampliamneto dal Piano
regolatore del Gentile Cusa (1888). L’architetto, che predilige il
grande viale per aprire l’ingresso con avancorpo della clinica, realizza
un volume dalla massima regolarità d’impianto e simmetria, accurato
nella organizzazione delle funzioni e attento alle moderne esigenze di
uno stabilimento medico dettate dall’esperienza dello stesso Clementi.
Le cronache locali (La Sicilia del 18 e 19 gennaio 1904) parlano di
un’edificio concepito come una struttura all’avanguardia nella quale si
prevede una sorta di impianto di climatizzazione, un asciugatoio a
vapore con sterilizzatrice per biancheria ed un laboratorio per le
analisi al microscopio. Con il suo linguaggio eclettico, che rimanda
alla cultura edilizia francese, l’edificio tende ad assumere il
carattere tipologico della villa urbana». |
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Villa Clementi
V.le Regina Margherita,
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Villa Modica
Viale
Regina Margherita, 33-35 - Carlo Sada.
«Il
milanese Carlo Sada è l’architetto prediletto dell’aristocrazia e
dall’alta borghesia di fine Ottocento. La nuova classe che emerge nel
panorama della società catanese si insedia, insieme all’aristocrazia,
prevalentemente lungo gli assi e le aree definite dal «Piano regolatore
del risanamento e dell’ampliamento della città di Catania», redatto
da Gentile Cusa nel 1988. Qui, lungo i viali di ampliamento e dei nuovi
quartieri, l’architettura si esprime nelle forme delle ville suburbane
unifamiliari. Nel “Villino del Sig. Cav. Luigi Modica”, Sada
ripercorre la tipologia classica della residenza nobiliare suburbana con
giardino, riproponendo il tipo edilizio della pianta bloccata con
avancorpo sul fronte principale. L’universo espressivo al quale l’architetto
rimane ancorato è quello dell’ecclettismo, forse non estraneo al
gusto della committenza che lo indirizzò al neogotico, scartando la
versione del prospetto ispirata invece a modelli rinascimentali». |
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Villa
Calì
Viale Regina Margherita
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Villa Trigona
di Misterbianco - foto di Salvo Puccio
Chiesa Di
Santa Maria Di Gesù
Il
sito ove sorge la chiesa attuale, nel Trecento era sede di una piccola
cappella attiguo alla quale sorse, in seguito, anche un piccolo convento
di frati francescani; la cappelletta era
posta al margine di un'area nota fino a qualche secolo fa come Selva del
convento di S. Maria di Gesù, compresa tra l'attuale Giardino Bellini,
la via Plebiscito e il viale Regina Margherita nei cui pressi si trova
una tomba di forma circolare chiamata Mausoleo Modica. Tale area dal V
secolo a. C. al tardo impero romano e quindi anche in epoca cristiana,
ebbe un utilizzo a scopo funerario:ciò spiegherebbe sia la presenza
della cappella che successivamente del convento. La chiesa vera e
propria di Santa Maria di Gesù sorse nel secolo successivo il
Quattrocento e fu gradatamente nel tempo decorata con opere d'arte, nel
1498 con una Madonna con Bambino di uno dei Gagini, un trittico di
Antonello da Saliba, nel 1519 con gli addobbi della cappella della
famiglia Paternò-Castello, nel 1525 con la pala d'altare di Angelo de
Chierico, nel 1628 con un crocifisso di Frate Umile da Petralia ed
altre. Dopo la distruzione avvenuta a seguito del terremoto del 1693, la
chiesa venne riedificata agli inizi del XVIII secolo con l'attuale
caratteristica facciata da fra Girolamo Palazzotto e decorata in seguito
con stucchi che, tuttavia, nel restauro del chiostro attiguo apportarono
la copertura di opere d'arte più antiche. Nel 1949 la chiesa è stata
elevata la parrocchia. /foto di Alessio Marchetti)
La stessa ossatura
gotico-normanna, con la vôlta ad archi acuti impostata sulle
colonnette degli angoli, si osserva a S.
Maria di Gesù, nella cappelletta di casa Paternò,
che rimase in piedi nel 1693 quando tutto il resto della chiesa,
poscia rifatta, andò in rovina. Il gotico di questi due avanzi non è
molto antico: tanto S. Maria di Gesù quanto il Santo Carcere sorsero
nella prima metà del XV secolo; di data più remota doveva essere
invece quello di S. Giovanni di Fleres, la cui prima fondazione
risale al VI secolo, e precisamente all'anno 532. Gli avanzi di
questa chiesetta che si vedevano ancora fino a pochi anni addietro,
all'angolo delle vie Mancini e Cestai, non avevano nessun carattere,
ridotti com'erano ai semplici muri risorti sui rottami dell'antico
edifizio; quando, abbattendosene ultimamente le rovine per erigervi
la casa Leotta, fu trovata sotto l'intonaco una graziosissima
finestra del più fiorito gotico. Il cimelio fu rispettato ed è
incorporato nel muro della casa moderna.
da
"Catania" di Federico De Roberto
ISTITUTO ITALIANO D'ARTI
GRAFICHE — EDITORE 1907 |
CHIESA SANTA MARIA DI GESÙ
nell'omonima piazza
Minori osservanti riformati.Si
stabilirono in quel sito fuori della città nel 1626 che già era
stato occupato sino dal 1442 da minori osservanti. Nella chiesa evvi
una statua di marmo del Gagini portatavi nel 1500;è la Madonna con
il bambino in braccio; la facciata di questo è ridente e di una
graziosa vivacità. Evvi un quadro picciolo sopra tavola; è la
Madonna modesta e di assai vaga espressione assisa sopra una sedia
con in braccio il bambino pieno di molta grazia e di amabile
innocenza.Vi si legge ANTONEILVS MISSENIVS D.SALIBA.Hoc FECIT OPVS
1497,Die 2 Julii. In una cappella evvi il busto in marmo di Alvaro
Paternò senatore romano morto nel 1518;è opera di Gagini;è un bel
lavoro di sicuro,e dotto scalpello; la espressione nella faccia non
manca che della sola parola.
Nel chiostro al collo del pozzo
che è nel mezzo vi è conservato un pezzo di rabesco dello stesso
Gagini in marmo statuario;fa l'onore di quello scultore classico in
tal genere. Dello stesso maestro era la porta di entrata, ma essa fu
data al principe di Biscari che la pose nel suo museo dove da esso
si va alle stanze di sopra.La cappella dove è Alvaro sembra essere
un resto degli osservanti che ivi furono prima dei riformati nel
secolo XV che la formarono sul gusto di quel tempo che amò spesso
seguire lo stile gotico normanno; picciole colonne come bastoni
sostegno di archi che traversono tutta la volta e che scendono sino
sotto alla metà del muro perpendicolare. La porta è anche ornata di
rabeschi gaginiani.-(Francesco Ferrara, Storia di Catania )
-Lungo la strada di San Domenico
a Cifali,fra orti e giardini sorge questa chiesa unità ad un
solitario albergo che sin dal 1442 fu abitato dai minori osservanti
per opera di San Bernardino da Siena, come si crede.Nel 1626 venne
ceduto ai minori riformati. La chiesa è gaia e pulitamente tenuta.
Il viaggiatore vi osserverà entrando a sinistra la cappella di
Alvaro Paternò, senatore romano morto nel 1518,di stile gotico
normanno sul gusto del secolo XVI. La volta è ad archi a sesto
acutissimo ,con colonnette agli angoli ,finestra stretta e lunga ad
ovest e porta ad arco semicircolare bassissimo ad est con arabeschi
del Gagini.
Dentro una nicchia evvi il busto
in marmo dello Alvaro uscito forse dallo scarpello del Buonarroti
amico di lui:è un miracolo di scultura! È pregevole una tavola di
Madonna nell'altare di essa cappella -Si attribuisce al Gagini
dell'età di 20 anni la statua della Madonna di marmo saccaroide che
è in uno degli altari della Chiesa. Pregevolissimo si stima il
quadro di Antonello di Saliba del 1497 rappresentante Nostra Donna
seduta col bambino -Il crocifisso di legno a dimensioni più del
naturale, posto in fondo all'abside è opera di frate Umile da
Petralia morto nel 1630.Nel cortile del fabbricato vi è conservato
un pezzo di rabesco del Gagini in marmo statuario di classica
bellezza. Fiorirono in questo convento gli esimi letterati Matteo
Selvaggio e Nicolò Mazzara, l'impavido missionario Gioacchino
Bertuccio ,il celebre sacro oratore Giambattista Platamone e lo
storico catanese Francesco Previtera e tant'altri illustri frati.-
(Editore Galatola )
Note di Milena Palermo
per Obiettivo Catania
https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/
E il discorso di Catania
artistica sarebbe così finito, se non restasse, in qualche chiesa,
qualche opera d'arte degna di nota. Per cominciare dalla più ricca
di cose pregevoli, ecco quella di S. Maria di Gesù, dove sono due
opere autentiche del Gagini, e se ne ammirerebbe una terza se non
fosse da più tempo scomparsa. Del valoroso scultore palermitano è
qui la statua della Madonna col Bambino, opera giovanile, ma già
egregia, documento quindi della precocità di quel mirabile ingegno.
Antonello la scolpi a vent'anni, durante il suo soggiorno in
Messina; ma egli non poteva veramente dare alla Vergine un viso più
bello, d'una espressione più pura, nè un'aria più maestosa e divina
al Bambino, che senza la consueta timidezza volge lo sguardo ridente
allo spettatore.
Bellissimi sono anche i tre bassorilievi dei
piedistalli, dei quali il centrale rappresenta la Visitazione di
Maria ad Elisabetta, e i due laterali S. Francesco d'Assisi e S.
Antonio di Padova. Nella stessa chiesa è dello stesso Gagini la
fiorita e squisita decorazione della porta che mette nella
cappelletta di casa Paternò — quella cappelletta sepolcrale della
quale già si parlò per la sua architettura e dentro alla quale c'è
una bella tavola del messinese Angelo di Chirico (1525)
rappresentante l'Immacolata fra i simboli dei suoi titoli e le
figure di S. Agata e S. Caterina. La porta gaginesca, allogata da
don Alvaro Paternò ad Antonello nel 1518, per il prezzo di onze 30 —
382 lire e 50 centesimi — ha due pilastri d'ordine corintio,
scanalati, con contropilastri ornati d'acanto; sull'architrave il
frontespizio semicircolare racchiude un gruppo di mezze figure: il
Cristo morto fra Maria e la Maddalena, con due genietti ai piedi, in
tutto tondo, ciascuno dei quali regge uno scudo di casa Paternò. La
terza opera, ora scomparsa, era, dentro questa cappella, un busto
dell'Alvaro già nominato: lavoro tanto stupendo che fu da taluni
attribuito a Michelangelo, del quale il Paternò, senatore romano,
sarebbe stato amico nella città eterna. Se non che il di Marzo non
solo ha negato questa pretesa dimestichezza, ma avendo veduto, prima
che scomparisse, il celebre busto, afferma che gli mancava qualsiasi
carattere dello stile michelangiolesco, e che rammentava invece,
precisamente, la maniera del Gagini.
Prima di uscire da S. Maria di
Gesù merita uno sguardo il gran Crocefisso scolpito su legno da
Frate Umile da Petralia, al secolo Giovan Francesco Pintorno, morto
nel 1639 e specialista, come si dice, in Cristi, che egli diffuse in
quasi tutte le chiese di Sicilia, da Girgenti a Nicosia, da
Caltagirone a Salemi, da Milazzo a Randazzo. Il cronista Francesco
Tognoletto narra di lui che «mentre stava lavorando quelle statue,
alzando la sua mente alla contemplazione, pensava gli intensissimi
dolori, che nella morte soffrì l'autor della vita: onde per tal
causa, quand'egli ne lavorava qualcheduna, se ne stava ritirato in
una stanza serrata di dentro, dove gli occhi suoi erano fontane di
lacrime, spargendone in abbondanza per tenerezza e compassione del
suo amato signore». E dalla sua dolorosa cogitazione venivano fuori
opere, come questo Crocefisso, dolorosissime a vedere, e
propriamente spaventose.
da
"Catania" di Federico De Roberto
ISTITUTO ITALIANO D'ARTI
GRAFICHE — EDITORE 1907 |
Via Tomaselli
Via Tomaselli
IL LAGO DI NICITO
Creato da un'eruzione dell'Etna e da un'altra distrutto
Laura Salafia - La Sicilia,
3.11.2013
L'auto avanza faticosamente dalla
periferia verso il centro storico. Il traffico comincia a
congestionarsi, ma, sostenuti dal buonumore, ci avviciniamo a casa.
Marcello è prodigo di gentilezze, e confido in lui per qualche
sortita. Da piazza Santa Maria di Gesù imbocchiamo la via Lago di
Nicito; incrociamo via Mogadiscio, via Amba Alagi, via Ughetti,
giriamo a sinistra per via Rocca Romana, imbocchiamo la via Santa
Maddalena, scorgo a destra la via Reclusorio del Lume e quindi
svoltiamo a sinistra per la via Cappuccini… Capite bene che per sana
curiosità sarebbe opportuno rivedere tante pagine di storia.
Ma questa volta voglio
addentrarmi nella storia del lago di Nicito. Perché questa strada
che si snoda da piazza Santa Maria di Gesù fino a via Plebiscito
porta questo nome? Perché nei pressi della piazza di Santa Maria di
Gesù esisteva un bel lago. L'eruzione del 406 a. C., raggiunta
Catania, sconvolse anche il fiume Amenano e formò un lago profondo
15 metri con una circonferenza di 6 chilometri. Una volta tanto
l'Etna, che ha determinato da sempre la storia di Catania e continua
a farsi sentire, diede vita ad un luogo davvero suggestivo,
circondato da collinette, sulle sue rive sorsero delle splendide
ville. Non lontano, ma in epoca più recente, sorgeva il Bastione
degli Infetti, (un fortilizio militare costruito dall'architetto
Ferramolino nel 1550, utilizzato in seguito come lazzaretto per gli
appestati e poi come sanatorio; dopo il terremoto del 1693 cadde
nell'abbandono e fu saccheggiato dall'abusivismo edilizio; oggi si
tenta qualche recupero). Il lago, quindi, costituiva un grande
attrattiva, e le sue caratteristiche consentivano delle regate: se
ne ricorda una in particolare, quella compiuta l'8 settembre del
1652, in occasione della festa della Madonna. Il nome Nicito attinge
ad un etimo di tutto rispetto: Nike (vittoria), che ha originato la
derivazione più stretta di aniketos (invitto). Fu creato, come s'è
detto da un'eruzione; fu distrutto da un'altra eruzione, quella del
1669, una delle più disastrose. Iniziò l'11 marzo ed ebbe fine il 15
luglio. La colata distrusse Nicolosi, Mompilieri, Belpasso,
Mascalucia, San Pietro Clarenza, Camporotondo, S. Giovanni Galermo.
In seguito un fiume di lava alto 50 metri e largo 4 chilometri
investì prima Misterbianco, quindi Catania dal lato di ponente. Il
15 aprile si riversò sulla campagna a nord-est della città; invase
la valle di Anicito e divorò il lago stesso, colmandolo in solo 6
ore. Del bellissimo lago oggi possediamo solo il toponimo. La colata
continuò la sua inarrestabile corsa, superò le mura, colmò i fossati
di Castello Ursino, cancellò i 36 canali del fiume Amenano (il fiume
che alimentava il lago), avanzò per circa 2 chilometri nel mare.
Catania si spopolò: dei 20.000 abitanti ne rimasero solo 3.000;
oltre 27.000 persone rimasero senza tetto. Preziose le testimonianze
dell'abate Vito Maria Amico; del canonico Giuseppe Recupero, autore
di una preziosa "Storia naturale e generale dell'Etna); di Giacinto
Platania, autore di uno splendido dipinto custodito nella sagrestia
del Duomo di Catania.
Catania è una città che nel corso
dei secoli ha subìto innumerevoli mutazioni geografiche ed
urbanistiche che ne hanno perennemente rinnovato il suo aspetto e la
sua storia. Molti luoghi della Catania che fù non sono più visibili
poiché cancellati dai frequenti terremoti verificatisi nel corso dei
secoli o dalla furia dell’Etna che, con le sue eruzioni, ha da
sempre ridisegnato l’intero paesaggio della costa ionica. Uno di
questi fu il Lago di Nicito, del quale oggi rimane solamente il
ricordo affidato al nome della via, che collega Piazza Santa Maria
di Gesù con la centrale via Plebiscito.
Il lago sorgeva in prossimità
dell’attuale quartiere di Cibali e nacque intorno al 406 a.C. a
seguito di un’eruzione che investì in pieno Catania, deviando il
percorso del vicino fiume Amenano. Lo specchio d’acqua che si formò
ebbe una profondità di 15 metri ed una circonferenza di ben 6
chilometri, tutte condizioni che favorirono, nel corso dei secoli a
venire, anche la disputa di regate navali. Con il tempo, sulle
sponde del lago sorsero molteplici abitazioni nobiliari, estendendo
dunque i confini urbanistici della città in direzione Nord-Ovest.
Accanto al lago venne edificato anche il Bastione degli Infetti,
costruito per volontà di Carlo V e divenuto anch’esso, con il
passare dei secoli, parte integrante della storia cittadina
catanese.
Il nome del lago deriva, molto
probabilmente, dall’aggettivo greco “ανίκητος” (invitto,
invincibile), estrapolato a sua volta da νίκη (nike, vittoria). Il
lago fu completamente ricoperto nel 1669, quando un’altra eruzione
dell’Etna, certamente la più distruttiva che si ricordi, distrusse
quasi completamente la città di Catania e i paesini dell’hinterland
etneo. La lava si riversò con violenza sul lago, estinguendolo nel
giro di sole quattro ore.
http://www.vivict.it/luoghi-e-monumenti/il-lago-di-nicito/
APPROFONDISCI SUL FIUME LONGANE DEL PORTO
ULISSE
Analisi e considerazioni a cura dell'Ing.
Giorgio Coniglione
STEP1
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Ipotesi di localizzazione e
dimensioni della Valle e del Lago di Nicito.
In arancione probabile margine
della colata, in relazione allo stato dei luoghi
(vedasi
il dislivello all’interno dell’Ospedale Garibaldi). Il
lago non può che essere all’interno della superficie
coperta dalla lava.
|
STEP2
|
|
Parametri
forniti dal Falzello e dal Carrera integrati |
In colore arancione la colata lavica del 1669,
estrapolata dalla carta dell'Istituto Nazionale di Geofisica e
Vulcanologia dell’Università di Catania
|
STEP3
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|
stralcio di una planimetria (
sesto secolo) pubblicata da Fabio Basile e Eugenio
Magnano San Lio ( si noti la chiesetta di Santa Maria di
Gesù e la mancanza del lago a conferma di quanto afferma
il Carrera) |
avanzamento del fronte
lavico |
STEP4
|
|
per seguire le presenti
considerazioni occorre ricordare la corrispondenza tra le unità di
misura correnti e quelle in uso in Sicilia nel sesto secolo |
la colata lavica come indicata
dell’istituto di Geofisica e Vulcanologia
dell’Università di Catania con riferimento al territorio
attuale e alle mura |
_______________
CONCLUSIONI
Nel 1639 Pietro Carrera scrive: ”il lago d'Angito,
vicino alle mura della Città per Maestro. Questo Lago nei tempi a
dietro si vedea perpetuamente ripieno có altezza d'acqua di due, e
tre canne ( 1 canna= 2.062 m. pertanto la profondità era 5,24 e 7,86
m), però all'eta mia il Padron del luogo con deviarvi il torrente,
che v'entrava, e cavarvi alcuni meati per l'uscita dell'acqua
procurò di seccarlo. Quasi cento, e venti anni prima di Christo per
cagione del tremuoto di Mongibello fu dalla terra assorbito; cel
narra Diodoro nell'epstole. Gira intorno per lo fatto poco piu d'vn
quarto di miglio (ovvero il perimetro misura 1.484,64 : 4 = 371 m).
Vi si veggono attorno diversi alberi, verdure, colline torrenti,”
Nel 1829 Francesco Ferrara scrive:
“In
faccia (al Bastione degli infetti) eravi il Lago di Nicito formato
dalle acque che vi si radunavano dalle vicine correnti; era
circondato di alberi, e di folte campagne sparse di varj casini dei
catanesi che rendevano quella valle allegra , e molto amena. Il lago
con tutta la valle comprendeva lo spazio di più di sei miglia
(ovvero 8.907,84 mq). Carrera scrive che le acque avevano da 14 a 20
piedi ( ovvero da 4.62 a 6,60 m) di profondità, e che al suo tempo
si scavarono canali per diminuirle.”
Possiamo concludere che nel 1639 il lago
era stato prosciugato, che in tempo precedente, non meglio definito,
aveva una profondità compresa tra 4,62 m e 7,86 m e il suo perimetro
misurava 371 m. Il Ferrara sostiene che tutta la valle comprendesse
lo spazio di 6 miglia (se le intendiamo quadrate, avremo una
superficie circolare del diametro di 4 km.) (se le intendiamo quale
perimetro avremo una superficie circolare del diametro di 2,8 km.).
Delle due soluzioni, l’ultima risulta più credibile.
(Giorgio Coniglione)
Chiesa
San Domenico
CIBALI-TRAPPETO
La
sesta Municipalità occupa il vertice nord-occidentale del territorio
catanese, subito al di sotto della Municipalità di San Giovanni Galermo. Il territorio urbano che le appartiene è costituito in parte
da tessuti storici, ma prevalentemente da tessuti di recente
costituzione le cui origini sono diverse: lottizzazioni private nelle
aree prossime a piazza Santa Maria di Gesù; quartieri di edilizia
residenziale pubblica nelle aree più lontane dal centro; tessuti
spontanei generati da abusi edilizi poi integrati nella struttura
urbana.
I
tessuti storici sono quelli che si sviluppano attorno a piazza
Bonadies e lungo le strade un tempo extraurbane che convergono in
essa: via Cifali, via San Giovanni Galermo, via San Nullo. E’ questo
il nucleo originario di un piccolo borgo extra-moenia di cui si
registra la presenza già prima del terremoto del 1693. In quello
scorcio del XVII secolo Cifali, come viene indicato nei documenti d’epoca,
era solo un piccolo nucleo di case sparse ancora meno significativo
degli altri borghi che si trovavano a nord di Catania.
Qui
esisteva anche un complesso conventuale dei frati Cappuccini con la
chiesa di Santa Maria degli Angeli che, secondo A. Longhitano, fu
distrutto dal terremoto e ricostruito sullo stesso sito. Benché il
piano di ricostruzione del Camastra non prendesse in alcuna
considerazione i borghi extra-moenia, già nelle vedute di Catania che
risalgono alla metà del Settecento si può riscontrare la
realizzazione della vasta piazza Santa Maria di Gesù proprio lungo la
strada di collegamento con Cibali e il convento dei Cappuccini.
Prima formato da case sparse, ben presto Cibali vide l’insediamento
di piccole case realizzate e disposte secondo schemi tipologici
sostanzialmente urbani. In particolare, G. Dato ha dimostrato come nei
tessuti di origine settecentesca a Cibali esistessero aggregazioni di
case terranee attorno ad un cortile comune secondo uno schema del
tutto analogo a quello riscontrabile nei coevi tessuti di Borgo,
Consolazione e San Cristoforo. Successivamente in contrada Cibali
erano state costruite alcune ville suburbane di famiglie importanti:
tra esse la villa della famiglia Carcaci, segnalata sul rilievo
topografico di S. Ittar del 1833. La situazione rimane sostanzialmente
immutata fino alla fine del secolo se si eccettua qualche piccola
lottizzazione proprio attorno a Piazza Bonadies con la realizzazione
di alcune strade laterali e la definizione di isolati irregolari – a
volte triangolari – perché definiti dai preesistenti tracciati
rurali.
Negli
anni ’80 del secolo XIX B. Gentile Cusa esclude ogni tipo di
collegamento della struttura urbana catanese con questo sobborgo, e
arresta l’area di nuova urbanizzazione occidentale, costituita da
grandissimi isolati delimitati a est dal Borgo e da Consolazione, in
corrispondenza del previsto nuovo asse nord-sud che parte da via
Plebiscito, di fronte all’ospedale V. Emanuele.
Ma
l’edificazione continua spontaneamente attorno al nucleo antico,
caratterizzata da grandi isolati all’interno dei quali permangono
usi rurali e orti, ma nei quali comincia a comparire un tipo edilizio,
la villetta, che, negando il principio dell’allineamento su strada e
collocandosi al centro del lotto, rappresenta il primo passo verso la
rottura dell’isolato che si consumerà definitivamente nel secondo
Dopoguerra. Tuttavia fino all’inizio degli anni Trenta Cibali rimane
un sobborgo collegato al centro di Catania solo per mezzo di una
strada a fondo naturale. Si tratta, a dire il vero, di una condizione
abbastanza diffusa ancora in quegli anni, al punto che, proprio all’inizio
di quel decennio, fu messo in campo un grande programma di opere
pubbliche che aveva, tra gli altri, l’obiettivo di pavimentare parte
di quel 50% di strade urbane ancora in terra battuta e di sistemare
alcuni spazi pubblici.
A MADONNA DO PANICOTTU (o do
cunottu)
QUESTO PICCOLO TEMPIETTO, FU ERETTO
NEL 1861 IL SUO NOME ERA LA MADONNA DEL CONFORTO,MA NEL
1865,ALL'INTERNO FU INSERITO UN DIPINTO CON LA MADONNA CHE DAVA DA
MANGIARE IL PANECOTTO AL BAMBIN GESU' E DA QUI FU CHIAMATA DAI
CATANESI""A MARONNA DO PANICOTTU"" IN ALTO SCOLPITA STA QUESTA
FRASE=""DEL CONFORTO E' LA MADRE,ABBI IN LEI FEDE-CIO' CHE IL MONDO
TI NEGA,ELLA CONCEDE""
Gianni Sineri
TUTTI ALLO STADIO!
In questo quadro venne sistemata la piazza Santa Maria di Gesù che,
peraltro, faceva ormai parte del sistemadei viali. Risale a quegli
anni anche la prima realizzazione di un’attrezzatura pubblica
rappresentata dalla scuola elementare Corridoni. Queste scelte
costituiscono il primo segnale sul futuro cui sarebbero andati
incontro i terreni di Cibali, tra piazza Santa Maria di Gesù e piazza
Bonadies, e poi quelli del poggio. A ridosso della parte di tessuto
urbano scelto dalla borghesia di fine Ottocento per insediarvi le
proprie ville, i terreni di Cibali cominciavano ad essere appetibili
e, come è sempre avvenuto nei meccanismi di crescita urbana, la
realizzazione delle attrezzature pubbliche implicava una crescita
della rendita fondiaria e rappresentava una promessa per migliori
fortune delle aree adiacenti.
La
"promessa" viene mantenuta con il bando di concorso emanato
nel 1931 per la redazione del PRG di Catania. Qui, come avviene per i
sobborghi di Picanello e Ognina a est e per Nesima a ovest, per Cibali
viene esplicitamente data l’indicazione di area naturale di
ampliamento, con il chiaro obiettivo di favorire la saturazione delle
aree comprese tra le ultime propaggini delle lottizzazioni realizzate
attorno a viale Regina Margherita, e nei terreni Orto del Re, e il
nucleo antico di Cibali. Ma il destino parallelo di Cibali e Picanello
continuerà nei decenni successivi. La loro posizione all’incirca
simmetrica rispetto al grande asse nord-sud costituito da via Etnea ne
segna infatti le vicende. Così, anche per Cibali il progetto del PRG
del 1952 prevede la promozione da aree a edificazione semintensiva ad
aree a edificazione intensiva, con elevatissimi indici di
edificabilità che
comportano una notevole redditività degli investimenti nel settore
delle costruzioni e che conducono anche alla perpetrazione di alcuni
scempi: pochi anni dopo la logica speculativa porta all’abbattimento
di villa Carcaci sul cui sito viene innalzato un edificio alto più di
30 m.
Anche
L. Piccinato conferma questa sorta di gemellaggio tra Cibali e
Picanello attribuendo, già nel Programma di Fabbricazione del 1961,
una analoga elevata densità edilizia ai due quartieri, e ponendoli
entrambi in rapporto con la strada di grande comunicazione che deve
attraversare alla città legando la viabilità regionale a sud di
Catania con quella a nord, mettendo cosi in relazione quartieri
residenziali e area industriale. Quando poi Piccinato sviluppa l’idea
dell’asse attrezzato, attribuendo a quella strada anche funzioni di
strutturazione principale del nuovo assetto urbano catanese, Cibali, a
ovest, e Picanello, a est, vengono individuati come siti in cui
realizzare i due grandi centri direzionali-commerciali che devono
rompere la monocentralità catanese. Una scelta, questa, che viene
rafforzata nel decreto di approvazione del piano, dove le funzioni
direzionali originariamente previste a San Berillo vengono cancellate
e dirottate proprio sui due nuovi centri direzionali previsti. Nel
frattempo, però, cresce l’insediamento di edifici abusivi che
compromette in parte la realizzabilità delle previsioni di piano.
Molto
più recente la storia del quartiere Trappeto Nord, a metà strada tra
Cibali e San Giovanni Galermo. Fino all’inizio degli anni settanta l’area
era destinata quasi esclusivamente ad usi agricoli, con prevalenza di
agrumeti. Solo un paio di piccoli isolati triangolari si appoggiavano
alla via San Giovanni Galermo in prossimità dell’Istituto per
sordomuti Gualandi; più a nord, alcuni piccoli isolati rettangolari
si erano andati costituendo a Carrubella, in territorio di Gravina. Si
trattava, per certi versi, di un fatto eccezionale: fin dagli anni
Trenta, infatti, sia il dibattito che gli strumenti urbanistici
avevano indicato usi edificatori per molte contrade a nord di Catania.
D’altra parte il piano Piccinato, che, recependo una elaborazione
fatta dall’Ufficio Tecnico Comunale durante la fase di approvazione
del PRG, indicava due grandi aree destinate ad edilizia residenziale
pubblica attorno a San Giovanni Galermo e tra la città universitaria
della collina di Santa Sofia e la strada che collegava S. Giovanni
Galermo a Cibali.
Il
piano era stato approvato appena nel 1969. Fu dunque a seguito dell’individuazione
sull’area di Trappeto di un perimetro di area 167 per il quale
elaborare un Piano di Zona che vennero create le premesse per la sua
urbanizzazione. Secondo lo schema di urbanizzazione previsto, il
collegamento con il centro città, a sud, e con i paesi della corona
etnea, a nord, sarebbe stato assicurato da una strada di grande
comunicazione tangente al quartiere dal lato occidentale. L’area era
delimitata da un anello stradale a servizio delle residenze, mentre
una strada che doveva avere funzione turistica di collegamento con le
falde dell’Etna divideva l’intera zona in due settori: il settore
nord, che originariamente doveva essere destinato ad edilizia privata,
veniva quasi subito destinato al PdZ come quello meridionale. Il Piano
di Zona veniva affidato a due diverse equipes: Trappeto sud a un
gruppo coordinato da S. Boscarino; Trappeto nord all’Ufficio tecnico
dell’Istituto per lo Sviluppo dell’Edilizia Sociale (ISES).
Entrambi
i progetti, approvati nel 1968, proponevano un sistema di verde e
attrezzature collettive in posizione centrale e a diretto contatto con
la viabilità principale, mentre la parte più alta veniva destinata
alla residenza per complessivi 17.000 abitanti. Il PdZ Trappeto Nord,
avviato subito, è oggi portato a compimento, mentre quello
meridionale, riprogettato nel 1981, è ancora in fase di attuazione.
La parte più consistente di questa recente urbanizzazione è quella
che si trova a nord del viale Tirreno, l’asse stradale portante del
quartiere, che costituisce un anello innestato su via Galermo. Qui
risiedono oltre 5,000 abitanti concentrati in un doppio nastro di
edifici lungo centinaia di metri. A Nord di Trappeto, infine, esiste
una vasta area di edificazione abusiva relativamente estensiva,
strutturata su una rete viaria precaria e inadeguata che si appoggia
alle vie Galermo e Carrubella. La parte della ex contrada Santa Sofia,
inspiegabilmente inglobata nella sesta Municipalità, è invece
costituita per lo più da vaste aree agricole destinate all’ampliamento
della Città Universitaria.
Contributo
editoriale tratto dal volume :
"Catania - I quartieri nella metropoli" a cura di Renato
D'Amico - ed. Le Nove Muse
http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/municipalit%C3%A0/trappeto_cibali/Il_Tessuto_Urbano.aspx
CICCIO
FALANGE.
Non
so se la storiella è vera o no. Pare che dopo la vittoria del Palermo in
un Derby in serie C, durante la "ritirata scortata" verso la
stazione dei pullman per tornare a Catania, gli Ultras rossazzuri fossero
stati inseguiti da quelli rosanero.
Corsa
verso la salvezza, tranne Ciccio, che si volta di fronte a cira 300 tifosi
palermitani in arrivo, si inginocchia al centro della strada e grida a
squarciagola "Palermo, ti odio!". Gli finì peggio di Leonida,
ovviamente ricoverato in ospedale (palermitano).
La
nascita di un vero e proprio movimento ultras a Catania si deve ad un
solo uomo: Ciccio Famoso, in "arte", Ciccio-Falange. Fu
questi infatti che agli inizi degli anni '70 fondò l'ormai storica
Falange D'assalto divenuta poi il gruppo leader per decenni.Prima di
questa non è che Catania facesse mancare il suo apporto alla
squadra,ma certamente non si poteva parlare di movimento Ultras. Dopo
la Falange, da sempre posta in curva Nord, nacquero numerosi altri
club tra cui i "Giovani Rossazzurri" , l' Onda D' urto, i
Star Fighters. A quel tempo ad esclusine dei Giovani Rossazzurri,
posti in curva Sud (allora in legno) nessuno poteva competere con lo
strapotere della Nord. La Falange assumeva sempre più importanza nel
panorama ultras e facevano parte di essa molti ragazzi veramente
"capaci". I Il supporto canoro era veramente
impressionante,le coreografie,soprattutto col Palermo, spettacolari ed
originalissime. Il "dominio" di Ciccio andò avanti per
anni. Nel '91 accade un evento che sconvolgerà il mondo ultras
catanese. Una piccola ma ottima frangia della Falange si stacca dalla
Nord e va in curva Sud a dar vita ad un nuovo gruppo: Club Primo Amore
(poi Irriducibili).
Per loro gli inizi furono molto difficili in
quanto la concorrenza della Falange era spietata. Ma questi essendo
tutte persone veramente capaci, iniziarono man mano a prendere sempre
più piede. Proponevano un nuovo stile di tifo, nuove coreografie,
perfetta organizzazione. Fu così che molti ragazzi della Nord
andarono in curva Sud. Si vissero anche dei momenti di grande
tensione, ma poi gli animi si calmarono. Col passare del tempo la Sud
divenne il gruppo leader dello stadio. Ma nel '93 un terribile
avvenimento scosse tutta Catania.Il Calcio Catania fu radiato
(ingiustamente, come poi fu assodato) dai campionati professionistici.
Solamente la caparbietà di Angelo Masimino riuscì a non farci
scomparire del tutto e il Catania fu ripescato in eccellenza. Ad
aggravare la situazione ci si mise anche un imprenditore di nome
Proto. Questi fiutando l'affare (Catania è una piazza da serie A)
prima creò una squadra che disputò il campionato nazionale
dilettanti,l'anno dopo portò a Catania la Leonzio,che giocava in C1.
Così Catania si ritrovò ad avere due squadre. Una in C.N.D. (infatti
il, Catania riuscì immediatamente a risalire di una categoria) e una
in C1. Nonostante questo casino i catanesi restarono fedeli al suo
unico amore: il Catania Calcio; la prima partita di eccellenza fu
seguita da 10.000 persone, la squadra fu sempre seguita massicciamente
ovunque. Nel C.N.D. eravamo sempre in almeno 6.000 per toccare picchi
di 18.000. L'Atletico? Beh anche se era in C1 non era seguito che da
2-300 "sportivi", tranne in rari casi……
Gli
Ultras,ovviamente,restarono fedeli al Catania.Ma la situazione era
totalmente cambiata. La Sud era diventata la curva più calda. Il suo
tifo era assordante, le coreografie sensazionali. ….E la Nord……
La Nord non c'era più!! Già gli Irriducibili avevano dato la prima
tremenda botta al club del "Castello", portando
numerosissimi ragazzi in curva Sud poi arrivò il colpo di grazia:
un'altra scissione. Un nutrito gruppo di ragazzi si staccarono dalla
Falange e diedero vita ad un nuovo gruppo: i Decisi. Questi si
collocarono in curva Nord ma staccati da ciò che rimaneva della
Falange. Anche in questo caso gli inizi furono difficili, ma man mano
iniziarono ad affermarsi riportando il tifo anche in curva Nord anche
se non potevano assolutamente competere con gli Irriducibili. Mentre
infatti la Sud offriva un colpo d'occhio veramente impressionante,
nella Nord lo scenario non era dei migliori. Qui si vedevano infatti 2
gruppetti che intonavano sempre cori diversi l'uno dall'altro.
Praticamente non si capiva niente. (fonte:
profilo facebook di Ciccio Famoso)
VIALE
RAPISARDI - SAN LEONE
L’ottava
Municipalità occupa la propaggine orientale della città
"compatta", ed è attraversata da due assi principali: il viale M.
Rapisardi fino all’incrocio con via Palermo in piazza Marconi, nella parte
settentrionale, e il corso Indipendenza, più a sud. Accanto ai tessuti
urbani di origini ed epoche diverse, presenta ampie zone che, seppure ormai
circondate da urbanizzazioni, presentano caratteri suburbani. Le origini
dell’urbanizzazione di questa settore occidentale di Catania sono da
ricercare nelle previsioni di B. Gentile Cusa il quale, nel suo "Piano
regolatore per risanamento e per l’ampliamento della Città di
Catania" del 1888, disegna una ampia zona d’espansione a occidente di
via Etnea.
L’asse
principale di questa zona in direzione est-ovest era prevista con il
prolungamento di viale Regina Margherita, oltre piazza S. Maria di Gesù,
fino all’incontro con una nuova strada, prevista in direzione nord sud,
che avrebbe dovuto avere inizio da via Plebiscito, proprio di fronte all’ospedale
Vittorio Emanuele. Questa strada, con la quale si intendeva lasciare Cibali
e gli altri sobborghi occidentali come Nesima, fuori dalla struttura urbana
di Catania, non fu realizzata, ma venne sostituita, nella funzione prevista,
da via Forlanini che, invece, puntava al centro di Cibali. La previsione
gentiliana di un struttura urbana a maglie ortogonali con isolati quadrati
di grandi dimensioni fu in parte modificata con la realizzazione di isolati
più piccoli che consentivano operazioni immobiliari più facilmente
gestibili, dunque redditizie.
Ma
soprattutto si trattava di una struttura aperta sul territorio che
consentiva, con la semplice addizione di altri isolati rettangolari, una
ulteriore urbanizzazione verso ovest. Alle costruzioni di grande pregio che
già dalla fine del secolo scorso si affacciavano sul viale Regina
Margherita, si aggiunsero lungo il viale Mario Rapisardi insediamenti di
tono progressivamente minore, con un'attività edificatoria, comunque,
abbastanza ordinata e programmata.
Lo
scadimento di livello divenne più evidente con le edificazioni degli anni
’60, lungo corso Indipendenza e nel quartiere di Nesima Inferiore, nel cui
ambito è stato realizzato un grosso insediamento popolare, che tuttavia
appare come uno dei meglio integrati e dei meglio gestiti. Nel frattempo,
nelle maglie varie interne, l’attività edificatoria privata dei primi
decenni del secondo dopoguerra, si è indirizzata alla costruzione di
condomini intensivi di 6-8 piani, che si sono andati affiancando uno dopo l’altro,
fino ad occupare tutti i perimetri degli isolati, anche per scelte
governative che individuavano, nell’edilizia, uno dei settori traenti dell’economia.
E’ questa un’edilizia caratterizzata dalla povertà dei materiali, dall’uso
del cemento, dalla realizzazione di maggiori volumi, ma, soprattutto, dalla
spasmodica ricerca di ricavare il maggior numero di vani per lotto di
terreno. Sul reticolo delle strette vie laterali, si sono demolite le case
modeste preesistenti per costruire palazzi a più piani, sfruttando al
massimo, o, addirittura, superando abusivamente gli altissimi indici di
fabbricabilità consentiti dall’inadeguato regolamento edilizio. E tutto
questo avveniva senza previsione di spazi per piazze, parcheggi, servizi
pubblici.
Anche
Nesima, come Picanello, Cibali e Barriera, negli anni Trenta viene
considerata area di "naturale" espansione urbana di Catania, anche
in considerazione delle piccole lottizzazioni che vi erano state realizzate
spontaneamente nei primi decenni del secolo. Il suo futuro viene però
soprattutto segnato dalla scelta, operata con il PRG del 1932, di
localizzare a Nesima Inferiore un’area da destinare a edilizia economica e
popolare (quartiere operaio).
Più
tardi, nei primi anni ’50, viene progettato di destinare un’ampia area
del quartiere a trasferirvi gli abitanti, previsti nel numero di 14 mila,
del vecchio San Berillo "risanato" ad opera dell’ISTICA e dell’Istituto
per l’Edilizia Popolare di San Berillo. L.’intervento, realizzato su un’area
di oltre 64 ettari, fu infine dimensionato per 10.000 abitanti, tanti
quanti, all’incirca, ve ne abitano oggi; mentre, nel complesso, l’area -
se si considerano tutte le urbanizzazioni pubbliche e private successive -
è abitata da oltre 45 mila abitanti.
Nel
corso degli anni Sessanta viene progressivamente saturata l’area tra corso
Indipendenza e viale Rapisardi, prima, e a San Leone, dopo. Oggi, la
Municipalità ricopre un ruolo essenzialmente residenziale, con attrezzature
le cui funzioni sono da mettere in relazione pressoché esclusivamente con
gli abitanti dei quartieri che ne fanno parte.
Contributo
editoriale tratto dal volume :
"Catania - I quartieri nella metropoli" a cura di Renato D'Amico -
ed. Le Nove Muse
http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/municipalit%C3%A0/s._leone_rapisardi/Il_Tessuto_Urbano.aspx
BARRIERA-CANALICCHIO
La
quarta Municipalità "Barriera-Canalicchio", sebbene sia
caratterizzata dalla presenza di diversi tipi di tessuti urbani, ha al suo
interno un elemento di fortissima caratterizzazione nell’ambito
metropolitano, e non solo: la Città Universitaria che occupa tutta la parte
occidentale del territorio circoscrizionale. La storia della Città
Universitaria ha inizio con gli anni Sessanta: fino al decennio precedente,
infatti, le istituzioni dell’Ateneo erano ospitate negli edifici
"storici" di piazza Università, via Androne e corso Italia, mentre
le cliniche di Medicina si svolgevano presso gli ospedali cittadini.
Verso
la fine dei quel decennio cominciò a porsi la questione della necessità di
reperire aree sulle quali realizzare le sedi delle facoltà, ma il programma
di fabbricazione vigente, quello basato sul regolamento edilizio del 1935, non
faceva alcuna previsione a riguardo.
Fu
L. Piccinato che, scelto come consulente dall’Università, individuò la
collina di Santa Sofia come area sulla quale realizzare la nuova Città
Universitaria: si trattava allora di una collina in parte occupata da resti di
colate laviche, in parte da coltivazioni e da manufatti di origine rurale per
l’utilizzazione agricola, frantoi, pozzi, fabbricati.
Probabilmente
la scelta è da porre in relazione anche con la volontà di Piccinato di
rallentare la crescita dei quartieri residenziali verso nord. La prima area
individuata era estesa ben 25 ettari, e si estendeva dall’attuale viale A.
Doria verso nord fino alla sommità della collina, mentre a ovest era
delimitata dalla via Santa Sofia. Fu lo stesso Piccinato che elaborò il piano
particolareggiato destinando la sommità della collina al Policlinico e la
parte più vicina alla circonvallazione alle facoltà scientifiche e alle
attrezzature comuni.
Mentre metteva mano al Programma di Fabbricazione affidatogli nel 1961,
Piccinato modificò il piano particolareggiato spostando gli edifici destinati
alle attrezzature comuni nella parte centrale dell’area e prevedendo nella
parte alta della collina anche l’Osservatorio astrofisico. Le urbanizzazioni
vennero avviate quasi subito, tanto che, fatto eccezionale per Catania, solo
dopo la loro ultimazione fu avviata l’edificazione dei padiglioni.
Nel
frattempo però era stata verificata l’insufficienza dell’area rispetto
alle esigenze che il crescente peso delle facoltà scientifiche cui la
cittadella era destinata andavano acquisendo. Ma la quarta Municipalità non
è solo Università, è anche tessuti residenziali: quelli di Barriera,
innanzitutto, e quelli di Canalicchio. II quartiere di "Barriera del
Bosco" deve il suo nome al "bosco etneo", che comprendeva i
paesi di Tremestieri, Viagrande, San Giovanni la Punta e Zafferana, che qui si
arrestava, e il cui accesso, da via Due Obelischi, era stato aperto dall’intendente
borbonico Giuseppe Alvaro, principe di Manganelli, nel 1835.
Fin
dai primi decenni di questo secolo il quartiere è stato oggetto di
urbanizzazioni, di estensione e importanza limitata, prima, sempre più
imponenti, poi. Tra gli anni Dieci e gli anni Trenta vennero realizzate
piccole lottizzazioni impostate sull’apertura di strade ortogonali alle
strade rurali esistenti che, così, cominciano a subire una lenta
trasformazioni in strade urbane, spesso senza che vengano adeguate le
caratteristiche geometriche e dimensionali.
Il fenomeno e già abbastanza sviluppato nel 1931, al momento di impartire le
indicazioni per la redazione del PRG: Barriera viene considerato tra i
sobborghi in cui "naturalmente" dovrà avvenire l’espansione della
città. Dopo la guerra, le vicende relative al PRG del 1952 che non va in
porto, il ritorno al regolamento edilizio prebellico e la forte pressione
speculativa, fanno crescere rapidamente l’interesse per i terreni a nord
della circonvallazione che diventano sede di una massiccia opera di
urbanizzazione con la realizzazione, soprattutto nel corso degli anni sessanta
e settanta, di edifici condominiali.
Fanno
anche la loro comparsa i primi residences, complessi residenziali chiusi all’interno
nei quali, oltre agli edifici, vengono realizzate più o meno estese aree
verdi e parcheggi. Nella parte orientale, tra la via Pietra dell’Ova e viale
Mediterraneo, ci sono alcune attrezzature importanti: il Seminario
arcivescovile, il Leonardo da Vinci, Villa Pacis, ma sono inglobate in un
tessuto urbano poco coerente, la cui struttura è nata dalla occasioni di
utilizzazione edilizio-speculativa dei decenni scorsi. Quelle strutture
appaiono, così, ripiegate su se stesse, enclaves di uso pubblico in mezzo
alla città dell’edilizia privata. Quanto, invece, al quartiere di
Canalicchio, vecchia piccola frazione a nord della città, essa diventa sede
di nuovi quartieri spontanei tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni
Cinquanta; già nel 1952 vi vengono ubicati un ambulatorio medico e una
succursale dell’ufficio postale.
La
condizione di Canalicchio rimane però sostanzialmente immutata ancora per
tutti gli anni Sessanta: crescono le case edificate spontaneamente lungo le
strade rurali, vengono realizzate piccole lottizzazioni, ma il carattere del
sobborgo rimane rurale. A modificarne il destino è, insieme alla tumultuosa
crescita che caratterizzerà Catania a partire da quegli anni, la scelta dell’UTC,
recepita nel PRG di Piccinato, di localizzarvi un’area di Edilizia
Residenziale Pubblica. Questa verrà realizzata nel corso degli anni settanta
sulla base di un Piano di Zona per 1100 abitanti che copre un’area di 11
ettari.
Naturalmente la prevista realizzazione delle attrezzature pubbliche rimarrà
quasi del tutto una chimera, ma anche la edificazione degli alloggi procederà
a rilento, probabilmente per il contemporaneo impegno dell’IACP su altre
aree (barriera, ad esempio).
Negli
anni successivi, soprattutto nel corso degli anni Ottanta, a Canalicchio ha
fatto la sua comparsa l’edilizia speculativa legale che ha trovato
vantaggioso edificare su aree in fondo non molto distanti dal centro, poste in
alto e collegate in modo abbastanza diretto con la città a sud della
circonvallazione. La carenza di attrezzature pubbliche e, in ultima analisi,
del carattere urbano delle aree ha condotto alla realizzazione di residences
in cui i rapporti con la città circostante sono negati dalle recinzioni,
mentre un minimo di dotazione di standard (parcheggi e verde) viene ricavato
all’interno del complesso, che assume dunque un aspetto da villa
plurifamiliare che ha trovato a lungo e, per certi versi ancora oggi, il
favore della piccola e media borghesia.
Contributo
editoriale tratto dal volume :
"Catania
- I quartieri nella metropoli" a cura di Renato D'Amico - ed. Le Nove
Muse
http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/municipalit%C3%A0/barriera_canalicchio/Il_Tessuto_Urbano.aspx
VILLA DI ANGELO MUSCO
(Via Leucatia, restaurata da
Francesco Fichera nel 1930 su commissione dell'attore )
Testo di Antonio Rocca
-Piena di sussiego, di
decoro,la Villa di Angelo Musco (oggi di proprietà Grimaldi),in via Leucatia 3,
restaurata da Fichera nel 1930.
Costituisce una ulteriore
dimostrazione di abile sincretismo, in cui tuttavia lo sforzo di sintesi non
riesce ad eludere del tutto qualche smagliatura.
L' edificio trae il suo
carattere dalla perfetta simmetria in cui si articolano, a quote diverse, le
scatole murarie;nell'ordinato gioco di incastri dei due corpi laterali più bassi
che stringono ai fianchi il "pilastro " centrale che si stacca dalla grande
scatola cubica retrostante e avanza più alto, sormontato dall'edicola cuspidata.
L' essenziale funzione di
equilibrio e di coesione è principalmente affidata ai parapetti delle grandi
terrazze e,di più, ai robusti cornicioni dentati su cui essi direttamente si
impostano, e che legano fra loro i corpi di fabbrica. Sotto essi,infatti
(parapetti e cornicioni) che preparano (ma moderano) lo sviluppo in verticale
dell'edificio culminante nella piccola altana, col segnare d'un forte tratto
scuro "orizzontale "Il perimetro esterno di tutti i corpi di fabbrica,
funzionando come una cerniera che vuole tenere insieme non solo le parti
dell'edificio, ma imponendosi col "peso" della sua più tradizionale,
rassicurante presenza, anche le altre diverse componenti stilistiche che
quell'edificio conformano.A cominciare da quella dèco, evidente subito nelle
grandi anfore fuse in unica massa compatta coi loro corpi floreali: collocate in
posizione strategica, sugli spigoli dei parapetti;a puntualizzare parzialmente
l'assetto volumetrico del palazzo, e avviare, nello stesso tempo, l'ordinato
"crescendo "verso l'edicola terminale.
Dèco pure il disegno
dolcemente modulato dei balconi aperti sui fianchi, al primo piano;e la bizzarra
cuspide dell'altana che s'intreccia in ferri sottili a comporre una sorta di
piramidale fontana zampillante, realizzata in ferro battuto ancora da Mario
Manoli. Un dèco che ci sembra traspaia pure nel taglio netto dei blocchi
staccati a spigoli vivi,nella chiara definizione delle cesure che incidono sul
piano le cornicette (più scure) di tutte le aperture;nel profilo schematizzato
dell'arco riproposto nella finestra di prospetto, sotto il motto latino ;nella
stessa limpida grafia e nella collocazione spaziata delle iscrizioni,
specialmente quelle laterali, isolate fra i due rosoncini,sul bianco ampio delle
superfici. E financo nella rapida cesura della cornicetta orizzontale che sulle
facce laterali separa di netto la zona più "mossa" delle tre finestre grigliate
dalla chiara liscia superficie che si spiana sotto di esse.
Poi,oltre il montare graduato
delle terrazze, il tono diverso dell'edicola terminale, tipico monumentino
'900,preso a prestito a qualche torre littoria (come quella di Aprilia, per
esempio),più terso,forte e plastico nell'impianto e nel taglio stesso delle
arcate spesse e dure.
E nel confronto è possibile
seguire il superamento del diaframma che dal dèco conduce allo stile '900,
complici le due statue allegoriche, ignude e tornite secondo i canoni del più
ufficiale novecentismo da Carmelo Florio. -(Antonio Rocca, da "L' arte del
ventennio a Catania ")
|
Villa Josè
Anno Di Costruzione: 1900/inizio
Scuola Di Francesco Fichera (1881-1950)
Via Leucatia, 47
Di autore ignoto, villa Josè viene costruita
nel primo quarto del XX secolo come testimonia il "piano topografico
della città e suburbio di Catania" redatto nel 1928. La prossimità
con la coeva Villa Jole e l'analogia di taluni aspetti tipologici
spingono gli studiosi a ritenere la costruzione opera di allievi del
più noto architetto Francesco Fichera. L'impianto volumetrico
dell'edificio è costituito da due avancorpi laterali simmetrici e da
un corpo centrale arretrato rispetto al filo di facciata, con
portale d'ingresso sormontato da pensiline in ferro battuto, che
riprende il motivo del timpano adottato nelle aperture. Nella parte
sommitale, al centro, è posta una piccola altana con ringhiere e
sostegni verticali in ferro battuto che sorreggono la copertura
riprendendo forme dalla geometria rigorosa. I prospetti, trattati ad
intonaco liscio di color rosa evidenziano l'attenta proporzione tra
la superficie delle aperture e quelle della facciata. Le cornici
marcapiano ed il fregio decorato con archetti contribuiscono ad
equilibrare tra di loro i corpi di fabbrica. C.S.
VILLA MESSINA PANTO' o CASA SULLA LAVA
(Via Matteo Albertone ,anno di costruzione
1926/27,autore Francesco Fichera)
Descrizione del professore
Antonio Rocca:
-L' altana di Villa Messina
(1926-27)In via Mario Albertone 2,è un punto di riferimento assai
familiare ai catanesi:è il faro del Tondo Gioeni. Ed è anche il
bizzarro baldacchino svettante su una costruzione che si impone
innanzitutto per la salda articolazione dei volumi.
Con discrezione il Dèco si
evidenzia nei balconcini neo-rococò, le nicchiette incavate fra le
finestre, l'intradosso tagliato a gradini sotto il balcone di
mezzogiorno;e solo nell'altana alza uno squillo festoso. Ma forse
sono anche nei caratteri dello stile certe brusche interruzioni,
certi accostamenti audaci, che è possibile scorgere in vari momenti
del percorso architettonico. Come nel settore d'angolo, dove la
torre si addossa ma anche penetra nel corpo di fabbrica che si
affaccia a levante ,tranciando di netto il sottile cornicione che
aveva già percorso tutto il prospetto ad est ed era appena girato
sull'angolo, fermato adesso bruscamente sul piano orientale della
torre, a misurare lo spazio breve che segna la distanza fra le due
facciate. Entro questo spazio di risulta si incunea un balconcino
corto e strettissimo (che copre una altrettanto angusta loggia
sottostante)che va a battere direttamente con l'inferriata sullo
spigolo del corpo di fabbrica più avanzato.Ancora,quella pur lieve
incassatura ha spiazzato l'asse delle finestre aperte sulla facciata
della torretta rompendo l'intenzionale simmetria.
Una serie di "incidenti "che
"contraddicono "l'ordinata impaginazione geometrica dell'insieme,
preparando le altre audacie in cui consistono le giustapposizioni
delle forme "diverse "montate sulla torretta. Dove, su una base
quadrata si imposta un imprevedibile circuito di rotonde colonne
classiche, a loro volta raccordate in cima da un telaio ottagonale
su cui infine poggia la trasparente cuspide ultradèco ricamata in
ferro battuto da Mario Manoli.
Conclusione stravagante, ma forse
non incoerente rispetto all'intero progetto architettonico che ha
previsto programmaticamente certi "contrasti ",a cominciare da
quello più importante:aver voluto impiantare un organismo fortemente
geometrizzato in cima ad una montagna di lava scura, informe e
selvaggia-(dal libro "L' arte del ventennio a Catania "di Antonio
Rocca)
foto by
Salvo Puccio
GIUSEPPE
CATANZARO, L'INGEGNERE FUCILATO AI DUE OBELlSCHl
La fucilazione del capomanipolo (nella milizia fascista questo grado
corrispondeva a quello di tenente dell'esercito) Giuseppe Catanzaro, è
sicuramente uno degli episodi più tristi e scellerati che si verificarono
nell'ultimo conflitto mondiale. E' avvenuto a Barriera, nella piazza dove
sono ubicati i Due Obelischi.
Quando Giuseppe Catanzaro, che da civile svolgeva la professione di
ingegnere, il 15 giugno del 1943 fu posto innanzi all' Obelisco destro per
essere fucilato da un plotone d'esecuzione allestito in tutta fretta, molte
delle persone che assistettero alla tragedia si chiesero di quale tremenda
colpa si fosse macchiato quell'uomo per meritare un "trattamento"
così feroce proprio quando le sorti della guerra sembravano ormai
delinearsi con chiarezza.
Secondo quanto riferiscono le cronache, in quei giorni Giuseppe Catanzaro si
sarebbe trovato al comando della batteria 483 S.l A mart (di stanza alla
Barriera) già ridotta dai violenti combattimenti dei giorni precedenti, in
condizioni di resa. Mancavano uomini e armi e, pertanto, data la situazione,
ricevette l'ordine di ripiegare verso Messina. Catanzaro ubbidì e agì di
conseguenza. Successivamente però, ecco un contr'ordine: "Ritornate
alla batteria, perché da un momento all'altro arriveranno i rinforzi
tedeschi per organizzare la resistenza nel tentativo di respingere il
nemico". Catanzaro, colto di sorpresa, dovette fare i conti col
malumore dei pochi uomini rimastigli e con la scarsezza di armi e munizioni
che durante la precipitosa ritirata avevano abbandonato. Tuttavia, dopo un
primo momento di esitazione, il capomanipolo obbedì.
Giunto a Barriera, Giuseppe Catanzaro venne però arrestato e condotto al
comando difesa Porto che si trovava nell'ex residenza benedettina. Ad
attenderlo ci fu il generale Passalacqua ed altri ufficiali. All'accusa di
aver distrutto mezzi bellici dinanzi al nemico, in quello che a poco a poco
andava assumendo sempre più i contorni di un processo sommario, Catanzaro
oppose una disperata quanto inutile difesa. In breve tempo, si passò alla
fucilazione.
Chi assistette all'esecuzione, affermò che il condannato
"scaricato" dalla camionetta militare come un "sacco di
patate", appariva incredulo di fronte a quella spietata realtà. Fino
all'ultimo momento di vita dovette chiedersi se quella non fosse stata
soltanto una messa in scena. E invece no. Quando i fucili tuonarono,
stramazzò al suolo privo di vita e in un lago di sangue.
Più che macchia di una "disonorata carriera militare", s'era
lasciato dietro il profondo dolore della giovane moglie e dei due
figlioletti ancora in tenere età. Come accerterà quindici anni
più tardi la Corte di Cassazione: non di tradimento si era trattato (come
invece risultava dalla motivazione che aveva portato alla condanna), ma di
un fatale errore verificatosi nelle concitate fasi della guerra. Restituendo
l'onore al soldato, il Tribunale credette di aver fatto, una volta per
tutte, chiarezza su quell'infausto episodio.
Ma il sospetto che il Catanzaro avesse pagato di persona l'errato
comportamento di un superiore o, peggio, essere stato vittima di un'oscura e
assurda congiura ordita ai suoi danni, fu forte. I familiari, che avevano
sperato in un minimo di giustizia nell'azione legale intentata contro il
generale Passalacqua, firmatario della condanna a morte, per un vizio
procedurale in sede civile si videro negare persino il risarcimento
richiesto. Sulla vicenda, poi, calò definitivamente il sipario. I possibili
responsabili, schivando la giustizia degli uomini, la fecero franca.
Oggi quei Due Obelischi borbonici sono noti non soltanto per essere stati
eretti, nel 1935, a ricordo dell'apertura della strada che doveva condurre
sull 'Etna, ma anche per questo toccante episodio che concluse nel peggiore
dei modi una guerra fin troppo amara.
Terminato il conflitto, poco distante il luogo dell'esecuzione, una mano
pietosa collocò una pianta d'alloro; forse, per "non
dimenticare". Oggi questa pianta non esiste più perché col
cambiamento urbanistico della zona anche i simboli sono spariti.
Agli inizi del 1980 il Comune di Catania, adempiendo a un giusto doveroso
riconoscimento, decise di intitolare a Giuseppe Catanzaro la piazza in cui
venne fucilato.
di
Salvatore Nicolosi da "Immagini di Catania" di
Consoli-Nicolosi - raccolto in "Barriera-Canalicchio. Storia,
evoluzione e immagini di un quartiere" di Santo Privitera
I
Due Obelischi
La Certosa
abbandonata di Catania
CLAUDIA CAMPESE, MARCO DI MAURO
17 AGOSTO 2015
Alle spalle del cimitero etneo,
costruita nel Trecento, dell'abbazia restano un grande cortile con
il pozzo saraceno, la schiera di celle di difficile accesso, e la
chiesa di Santa Maria di Nuovaluce ormai impraticabile. Sconosciuta
da catanesi e turisti, è prima diventata stalla per mucche e poi
dimenticata.
Da abbazia a stalla per le
mucche. Ignorata dai catanesi e sconosciuta dai turisti. Tra l'erba
alta di Fossa della Creta, alle spalle del cimitero etneo, restano
le tracce dei fasti medievali dell'unica certosa di Catania: Santa
Maria di Nuovaluce. Dietro gli anonimi caseggiati della periferia,
un sentiero conduce a uno dei luoghi storici della città.
«L'edificio sorge intorno ai resti di una chiesa che la tradizione
vuole eretta all'indomani del terremoto del 1169 - spiega Iorga
Prato, tecnico archeologo - Secondo i racconti, dal colle emerge un
bagliore che guida la popolazione in fuga. Questa luce proviene da
un'icona orientaleggiante della Madonna, da quel momento venerata
come “di Nuova Luce"». Due secoli dopo, Artale I Alagona -
condottiero di nobile famiglia che sconfigge la truppa angioina
durante i Vespri nella battaglia navale nota come Scacco di Ognina -
decide di costruire il monastero e di affidarlo all'ordine dei
Certosini. Una piccola comunità di circa trenta monaci si stabilisce
così a Fossa della Creta, a partire dal 1370.
Ma quella che oggi è una verde
collina che domina la città si rivela allora un'area malarica. Poco
più di dieci anni dopo, i monaci certosini abbandonano la struttura
per trasferirsi sull'Etna. Il loro posto viene preso dai frati
benedettini e il complesso acquisisce il titolo di Regia Abbazia.
Compare così nella planimetria di Van Aelt del 1592. Il secolo dopo
arrivano la colata di lava del 1669 e il terremoto del 1693.
Superato indenne il primo fenomeno naturale, nel secondo caso
l'abbazia ha bisogno di un importante restauro. Dopo, cambiano
ancora una volta gli inquilini: saranno i carmelitani scalzi a
vivere attorno al grande cortile oggi occupato dall'erba alta.
Almeno fino a quando il regime sabaudo non incamera i beni
ecclesiastici e l'abbazia viene abbandonata.
«Alcuni frammenti marmorei del
cenobio trecentesco, tra cui la stessa lapide di fondazione, sono
stati recuperati e destinati al museo civico Castello Ursino, dove
sono ancora conservati - spiega Prato - mentre l'icona della Madonna
si ammira oggi al museo Diocesano». Il convento, abbandonato al suo
destino, finisce per essere adattato in complesso di stalle e
ricovero per cavalli e mucche. Oggi, della vita trascorsa durante
gli ultimi otto secoli, restano un grande cortile con il pozzo
saraceno, la lunga schiera di celle di difficile ma possibile
accesso, e la chiesa di Santa Maria di Nuovaluce, impraticabile a
causa dei fitti cespugli di rovi. Per lo più dei ruderi, usurati dal
tempo e dall'abbandono, coperti dalla vegetazione spontanea, ma che
con l'attenzione delle istituzioni potrebbe diventare un'ulteriore
attrazione turistica della città.
http://catania.meridionews.it/articolo/35202/la-certosa-abbandonata-di-catania-dai-fasti-medievali-ai-fitti-rovi-di-oggi/
Piazza
"I Vicerè"
La
piazza I Viceré è una piazza di Catania, realizzata tra il 1995 e il
1998 nel quartiere nord di Barriera del Bosco.
È
collocata accanto al castello di via Leucatia, nel sito chiamato
Belvedere da Federico De Roberto nel romanzo di cui la piazza porta il
nome. Il complesso si trova a cento metri dalla sorgente della
"Licatìa", che alimentava l'acquedotto romano che ivi
esisteva nel III secolo.
Il
progettista e direttore dei lavori,architetto Ivan Castrogiovanni, si
è ispirato al seicentesco acquedotto dei Benedettini, i cui ruderi
furono demoliti negli anni '60 per consentire la realizzazione di
un'edilizia intensiva.
L'assieme
di piazza e parco sviluppa una superficie di oltre diecimila metri
quadri, per circa metà occupati dalla piazza vera e propria. Negli
archi perimetrali e nei portali sono stati utilizzati sistemi
costruttivi simili a quelli romani e settecenteschi (ad esempio
centinature in legno per realizzare le arcate con intradossi in pomici
e lastre di piombo interposte tra i grossi conci in compressione). I
materiali utilizzati sono stati la pietra lavica, di diverso colore
(dal nero al rosso) e consistenza ( "occhio di pernice",
"pelorosso" ), e il travertino latteo di Trani. La piazza è
costituita da uno spazio nudo con pavimentazione di notevole effetto
ottico, leggermente concava.
Nello
spazio rimanente è situato un giardino con vialetti "a passi
perduti", dotato di essenze floreali quali il pino pinaster, il
cipresso, il tiglio, la quercia, la jacaranda. A ovest, a nord ed a
sud, lungo il perimetro del complesso, sorgono tre portali in pietra
lavica, scolpiti con motivi fogliari e volute che richiamano le
facciate delle chiese di via Crociferi e dell'architettura
settecentesca della provincia catanese.
Fonte:
Wikipedia
ACQUEDOTTO DEI BENEDETTINI o DELLA
LEUCATIA
Salendo per via LEUCATIA omonimo
quartiere catanese ,è inevitabile non notare una straordinaria opera immersa tra
la vegetazione della Timpa ,tra fiori spontanei, uccellini cinquettanti e il
soave canto dell'acqua che sgorga formando minuscole cascatelle molto suggestive
tra la pietra lavica.
Ma forse pochi conoscono la storia di
questo acquedotto e del lungo lavoro dei monaci benedettini che lo realizzarono
e soprattutto molti scambiano per castello l'enorme struttura nell'altura della
Leucatia che in realtà è l'ex Monastero dei Benedettini oggi Villa Papale
(privata e non accessibile ).
Tra il 1593 e il 1597 ,i monaci
benedettini acquistarono due aree nella zona della Licatia,da tempo immemorabile
ritenuta un autentico serbatoio idrico.
In questo sito,nel 1644 ,sotto la
direzione dell'Abate Mauro Caprara,s'iniziarono i lavori per la costruzione
della casa di villeggiatura e convalescenziario (oggi Villa Papale )e di un
imponente acquedotto che attraversava quasi tutta la città. Quell'altura ricca
di vegetazione e acqua purissima, da cui era anche possibile ammirare tutto il
panorama della Catania seicentesca, doveva servire ai monaci cassinesi sia come
ricovero dei confratelli anziani e malati, sia come fonte di una cospicua
rendita dall'utilizzo di quelle acque.
Ultimati i lavori, nel
1649,l'acquedotto consentì,per la prima volta, ai cittadini
catanesi,l'approvvigionamento idrico senza dover più ricorrere al fiume Amenano
e alla gurna di Anicito (Lago di Nicito),oltre che alle cisterne e ai pozzi
privati. Gli stessi monaci, che nella seconda metà del XVI secolo avevano scelto
di abbandonare il sito originale per trasferirsi e stabilirsi all'interno delle
mura della città, riuscirono così nell'intento di consolidare ancora di più i
legami col potere politico cittadino, stipulando un accordo col Senato catanese,
che, in cambio dell'acqua, s'impegnava ad effettuare le eventuali opere di
manutenzione dello stesso.
L'acquedotto che si dipartiva dalla
Leucatia si sviluppava lungo un percorso quasi parallelo all'odierna via
Leucatia fino ad arrivare al Tondo Gioieni,dopo aver alimentato ben 10 mulini,da
cui il convento ricavava circa 656 onze.
Ancora oggi,all'interno del Parco
Gioieni, si conserva la struttura muraria di uno degli originali mulini
alimentato dall'acqua che scorreva a pelo libero, ad eccezione di qualche tratto
chiuso. Da qui,la grandiosa saja benedettina continuava il suo percorso fino al
"Piano delle Forche "(oggi piazza Cavour ),così denominata per la presenza di un
patibolo.
Nella vasta piazza, l'acquedotto, che
alimentava un lavatoio pubblico funzionante sino alla fine dell'800,si
biforcava:un ramo proseguiva per andare ad alimentare il parco dei principi
Biscari, dove ora c'è la Villa Bellini, mentre l'altro ramo attraversava vari
quartieri per confluire poi nella "Botte dell'acqua"(all'altezza dell'attuale
numero civico 727 di via Plebiscito, nei pressi del deposito dei bus dell'Amt),cioè
nel vano a cupola che serviva a dividere le acque necessarie al cenobio
benedettino ubicato alla Cipriana (piazza Dante)da qua destinato al fabbisogno
degli abitanti della città.
L'acquedotto, al quale in seguito
furono aggiunte anche le acque del Fasano e di Cibali, fu utilizzato dalla città
fino a tempi recenti per l'irrigazione di orti e giardini. Ancora nell'immediato
dopoguerra, alcuni dei mulini del tratto superiore erano in funzione, ma più
tardi,con l'urbanizzazione della città, avvenuta intorno al 1957-1958 ,non vi fu
più la necessità di una sua utilizzazione e cadde in disuso.
I ruderi dell'imponente acquedotto
benedettino sono tutt'oggi visibili all'interno della zona umida e all'inizio di
via Tito Manlio Manzella.
Altri spezzoni dell'acquedotto
resistono da oltre tre secoli e mezzo all'interno del Parco Gioieni,nella parte
alta di via Caronda e in piazza Montessori.
Il
Castello
Leucatia
Il Castello Leucatia, o
"Castello dei fantasmi" secondo una leggenda popolare, fu costituito
nel 1911 da un ricco commerciante di origine ebrea con l'intento di farne dono
di nozze alla giovane figlia. Le stelle a sei punte che si trovano lungo i
merli dei torrioni confermano l'origine ebraica del proprietario.
Si narra che la ragazza, per niente propensa a congiungersi con lo sposo
designato,preferì sottrarsi al decisivo passo scagliandosi dalla torre del
maniero riuscendo, così, a mettere in atto il gesto avventato del suicidio.
Forse
in seguito a questo evento sconvolgente o perché la costruzione fu eretta su
una necropoli preesistente, si è tramandata la credenza, tutt'oggi rimasta
immutata, che il castello ospiti presenze inquietanti.
Molte
furono le successive vicissitudini del Castello, il quale, dopo il tragico
episodio,fu venduto per essere adibito a civile abitazione dal nuovo
acquirente.
Purtroppo,
date le insistenti voci di apparizioni misteriose, di lamenti e di urla che
provenivano da quella originaria costruzione, il nuovo proprietario fu
condizionato a tal punto che interruppe i lavori di ripristino già avviati.
Durante la seconda guerra mondiale tutte le ville del terreno circostante
furono requisite dalle forze tedesche, così anche l'antica rocca subì lo
stesso destino, diventando, addirittura, una sorte di roccaforte antiaerea.
Ebbe, però, la fortuna di non subire i danneggiamenti toccati ad altri
edifici vicini, cosicché la sua esistenza continuò tra alterne vicende fino
ai nostri giorni, ovvero fino al 1960, anno in cui il Comune ne deliberò
l'acquisto.
Il
Comune, però, per più di mezzo secolo, non dimostrò particolare interesse
di utilizzo, per cui nel corso degli anni divenne incontrollato rifugio di
scapestrati e vagabondi.
All'inizio di questo millennio, finalmente, l'Amministrazione Comunale si è
assunta la responsabilità della ristrutturazione, sicchè la struttura
radicalmente rimessa a nuovo, è stata inaugurata nel 2001 destinandola a
Biblioteca e Centro Culturale.
http://www.sicilie.it/sicilia/Catania_-_Castello_Leucatia
La
Timpa di
Leucatia
Situata
al confine tra i comuni di Catania e Sant’Agata Li Battiati, per la presenza
di diverse sorgenti da contatto tra argille e formazioni
laviche, la Timpa di Leucatia rappresenta forse l’ultimo ambiente umido
rimasto assediato nell’area urbana. A nord di Catania, nell’area compresa
tra Fasano di Gravina e Canalicchio, affiora il substrato sedimentario
argilloso su cui poggia la successione di lave della parte sud orientale dell’edificio
vulcanico etneo. La presenza della preziosa acqua nell’area della Leucatia,
non sfuggì certo ai nostri antenati i quali, sin dalla preistoria, si
insediarono in quest’area ricca di manifestazioni sorgentizie. Nel XVII
secolo i Benedettini, proprietari dei terreni della Timpa di Leucatia,
costruirono in cima ad essa un sanatorio (oggi Villa Papale) e captarono la
maggiore delle sorgenti costruendo anche un acquedotto che portava le acque
fino a Catania, nei pressi del Monastero dei Benedettini, dove esisteva la
cosiddetta “Botte dell’Acqua”, un serbatoio e ripartitore che
distribuiva l’acqua alla città. Di tale acquedotto, oltre al tratto
connesso alle opere di captazione, ne rimangono ancora alcuni frammenti come
quello di Piazza Montessori a Catania. L’itinerario si propone di percorrere
un facile sentiero all’interno dell’area nel corso del quale saranno
effettuate soste per le osservazioni naturalistiche. Periodo: tutto l’anno.
Durata: 5 ore
http://www.cataniaomnia.it/meteo/11040-la-timpa-di-leucatia
la
foto è di http://digilander.libero.it/cataniacultura
La Grotta Petralia
L'interesse per queste cavità risale almeno
all'inizio del XIX secolo, quando alcune furono esplorate da
Gioacchino Basile, allora preside del Regio Istituto Enologico (oggi
Istituto Tecnico Agrario Filippo Eredia), nel giardino dello stesso
istituto, e da Paolo Orsi, allora soprintendente alle antichità di
Siracusa, nella zona di Barriera del Bosco e nel territorio di
Biancavilla. Nello stesso suburbio di Catania, all'inizio degli anni
60 del secolo scorso, Santo Tinè esplorò la grotta Nuovalucello. Dei
decenni successivi è l?esplorazione di numerose grotte del
territorio di Adrano, e degli anni 80 è 90 è quella di diverse
grotte d'alta quota poste nel territorio di Maletto e di Bronte, e
di alcune importanti grotte del territorio di Castiglione (la grotta
di contrada Marca) e ancora di Catania (la grotta Petralia, di
Canalicchio).
Nella maggior parte dei casi, l'uso delle grotte dell'Etna risale
alla fine dell'età del Rame o all'inizio dell'età del Bronzo, un
periodo compreso tra la metà del terzo millennio e la metà del
secondo millennio a.C., anche se non mancano rare attestazioni di
frequentazioni risalenti al Neolitico (soprattutto nelle grotte di
Adrano e di Bronte).
L'esplorazione della grotta Petralia di Catania ha costituito
l?aspetto più significativo della mostra. Lo scavo della grotta,
posta in via Liardo, presso via Leucatia, condotto dal dott. F.
Privitera e da chi scrive tra il 1992 e il 1994, ha permesso di
raccogliere una importante serie di dati relativi alla fruizione
delle grotte dell?Etna e all?uso dei materiali in essa deposti. Se
delle diverse sepolture presenti nel settore più profondo della
grotta non rimanevano che scarse tracce, lo stato di conservazione
dei reperti, soprattutto ceramici, ha consentito di avanzare ipotesi
assai attendibili e suggestive sui rituali che si svolgevano in
occasione del seppellimento dei defunti (che in realtà erano solo
adagiati sul pavimento roccioso della grotta).
Tali rituali, schematizzati in una ricostruzione assai suggestiva in
uno dei pannelli, prevedevano il consumo o la libagione di liquidi
presso i defunti, la frantumazione dei vasi utilizzati e la
dispersione dei frammenti in punti anche lontani della grotta.
Almeno in un caso uno dei vasi, privato del collo, è stato posto
capovolto tra i massi che ostruivano in parte la galleria delle
sepolture in seguito ai crolli.
Oltre ai materiali esposti, provenienti da diverse grotte dell?area
etnea (Catania, Adrano, Biancavilla, Castiglione), numerosi pannelli
illustrano la geologia del vulcano e i processi fisici di formazione
delle grotte di scorrimento lavico. Altri cercano di fornire un
quadro sulla preistoria dell'isola da differenti angolazioni:
dall'organizzazione degli insediamenti agli aspetti simbolici,
funerari, sociali etc. Altri ancora si soffermano su diverse tombe
preistoriche, secondo un criterio cronologico e topografico. Sono
qui presentate, per la prima volta, le grotte catanesi di via Cecchi
e di via Ota, frequentate durante l?età del Bronzo, o quelle di alta
quota come la grotte delle Femmine. Diversi tabelloni sono dedicati
alla grotta Petralia.
Un aspetto suggestivo e non secondario della mostra riguarda i miti
le leggende sulle grotte e sull'Etna, dall'antichità classica all?'età
medievale e moderna, che hanno trovato un?eco nelle creazioni
architettoniche di Sebastiano Ittar e nelle pagine di scrittori
moderni come Roidis, Ritsos, e Consolo.
http://www.bda.unict.it/Pagina/It/La_Rivista/0/2007/12/30/1401_.aspx
(la foto proviene da
wwww.Cataniacultura.com)
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Via Vincenzo Giuffrida
Piazza Lincoln
La
Ferrovia Circumetnea (FCE) è una ferrovia a scartamento ridotto,
lunga 110 chilometri, che in poco più di 3 ore collega Catania con
Riposto, compiendo il periplo dell'Etna passando per diversi centri
pedemontani etnei, fra trincee di lava e agrumeti in fiore.
La
Ferrovia Circumetnea rappresenta oggi l'unica realtà ferroviaria a
scartamento ridotto in esercizio in Sicilia, essendo state chiuse o
abbandonate tutte le altre ferrovie simili.
Verso
il 1880, mentre si andava delineando l'ossatura della rete ferroviaria
siciliana, in molti centri nacquero istanze per il collegamento su
rotaia col resto dell'isola. E così avvenne anche nei paesi intorno
al vulcano che all'epoca avevano già raggiunto un notevole sviluppo.
Con
regio decreto del 31 dicembre 1883 fu costituito un Consorzio per la
costruzione e l'esercizio della ferrovia Circumetnea. L'impulso
decisivo alla realizzazione della Circumetnea venne dall'ingegnere
inglese Robert Trewhella a cui si deve il progetto e la direzione dei
lavori della linea. L'11 settembre 1885, Trewhella stipulò un
compromesso col Consorzio, in base al quale avrebbe dovuto occuparsi
di tutto, dal progetto alla costruzione ed all'esercizio della linea,
in cambio dell'esclusività sulla linea e del divieto di concessione
di altre linee con lo stesso percorso.
I
lavori per la costruzione della ferrovia ebbero inizio nel 1889. Il 2
febbraio 1895 avvenne l'immissione in servizio del primo tratto, da
Catania Borgo ad Adernò. Appena sette mesi dopo, il 25 settembre
1895, la ferrovia entrò in esercizio. Restavano però da completare
soltanto due brevi tratte: i collegamenti con i porti di Catania e
Riposto da utilizzare soprattutto per scopi commerciali che sarebbero
entrati in esercizio nel volgere di pochi mesi.
L'ultimo
tratto, da Catania Gaito al Porto si inaugurò il 10 luglio 1898. Gli
scopi commerciali della ferrovia furono subito evidenti, ma le
peculiarità che contraddistinsero la FCE facendone risaltare la
vocazione turistica, riguardavano soprattutto quelle inerenti la
bellezza del paesaggio attraversato.
Grandi
scrittori, quali Goethe e De Amicis, viaggiando con la Circumetnea,
restarono affascinati dal paesaggio, dalla natura selvaggia e dal
vulcano sempre mutevole.
La
storia successiva della linea è stata segnata dalle eruzioni del
vulcano che, con le sue colate laviche, ha più volte invaso i binari:
si ricordano quella del 1911, del 1923 (che rese necessaria la
costruzione di una variante per Castiglione, aperta nel 1927 ed
abbandonata poi nel 1962 per instabilità dei terreni), del 1928 e del
1981. Altre distruzioni provennero dalla seconda guerra mondiale.
Nel
1938 furono immesse in servizio, per la prima volta, sei esemplari
delle modernissime ALn 56 Fiat, meglio conosciute come
"littorine", versione a scartamento ridotto di quelle che
già facevano servizio sulle linee FS. Queste, possedendo
caratteristiche di maggior comfort e celerità, presero in carico la
quasi totalità del servizio viaggiatori, determinando così,
gradualmente, la fine dell'utilizzo delle locomotive a vapore che si
completò di fatto nel 1963.
Chi
vuole utilizzare la Ferrovia Circumetnea partendo da Catania deve
recarsi nella storica via Caronda, ove ha sede la stazione principale
della Ferrovia Circumetnea denominata "Catania Borgo".
All'ingresso della stazione di si nota la vecchia locomotiva a vapore
n. 14, la stessa che accompagnò Edmondo De Amicis nel suo viaggio.
Dirigendosi
verso la periferia di Catania, la linea ferrata taglia trasversalmente
il centro urbano sino ad incontrare la prima evidente traccia della
presenza dell'Etna: la colata del 1669 che raggiunse e distrusse
Catania. Il tracciato assume adesso caratteristiche uniche e tra le
case della periferia il binario è fiancheggiato da nere rocce
laviche, che non lo abbandoneranno mai fino all'arrivo.
Superato
Misterbianco si apre un grandioso panorama verso la montagna con una
vegetazione che varia continuamente. Sfilano uno dopo l'altro i
popolosi centri abitati che cingono il vulcano su questo versante:
Paternò, S. Maria di Licodia, Biancavilla, Adrano.
Se
d'improvviso il convoglio si arresta in mezzo alla campagna si tratta
di una fermata facoltativa. Fino a qualche tempo fa, queste fermate
erano al servizio dei contadini che utilizzavano il treno per
raggiungere il fondo agricolo e tornare quindi in paese, adesso
possono divenire la base di partenza per interessanti escursioni.
Dalla
stazioncina di Passo Zingaro, ad esempio, si puo risalire attraverso
una mulattiera in mezzo a coltivazioni di pistacchio e antiche colate
sino a monte Minardo, oppure dalla fermata Gurrida si puo raggiungere
il vicino lago.
Il
paesaggio diventa sempre più selvaggio e le colate laviche più o
meno antiche si fanno sempre più frequenti prendendo il sopravvento
sugli altri paesaggi, finché, superata la stazione di Bronte il
tracciato della Circumetnea si immerge in una colata costituita da
lave a corda e raggiunge la sua quota massima all'altezza
dell'altopiano di Maletto in contrada Difesa, dalla quale lo sguardo
spazia verso i crateri sommitali. Questo è il punto più alto toccato
dalla linea ferroviaria (Rocca Calanna) con un'altitudine di quasi
1000 metri.
La
fermata successiva è quella di Maletto (località famosa per la
coltivazione delle fragole), ultima stazione prima di Randazzo,
importante stazione agli antipodi di quella di Catania, dalla quale il
treno è partito. A Randazzo si è circa a metà strada: si può fare
una sosta per visitare il centro storico prima di iniziare la discesa
lungo la valle dell'Alcantara. Il paesaggio adesso è meno aspro e
selvaggio e le campagne iniziano ad essere punteggiate da fastose
ville.
Il
treno conclude la sua corsa alla stazione di Riposto. Per far ritorno
a Catania, però, è conveniente scendere alla stazione di Giarre, in
modo da prendere, in coincidenza, uno dei tanti treni ordinari delle
Ferrovie della Stato della linea Messina-Catania.
L'esercizio
è a trazione diesel e diesel elettrica con materiale rotabile
composto da 24 automotrici e sei carrozze.
Data
la tortuosità della linea, la velocità commerciale e di circa 35
km/h mentre quella massima di esercizio è di 60 km/h; ciò comporta
sull'intera tratta una percorrenza di circa 3 ore e 10 minuti.
http://www.lanostraferrovia.it/la_littorina.html
http://digilander.libero.it/trenodoc/linee/immagini_circum.htm
http://www.circumetnea.it/
Umberto di
Baviera, o "la gloria dell'abito"
Le mie boutique - «Non erano solo un "punto
vendita", ma una sorta di salotto in cui si conversava»
La Sicilia, 4 Agosto 2014
E non facevo mica robette: ogni capo costava
più di un abito da sposa: tripudi di strass, paillette, pietre dure
ed altri materiali spesso difficili da trovare».
Ma il "pazzo re" di Baviera non si ferma…
«Sì, grazie a Nello Musumeci, allora
presidente della Provincia, che mi fece vivere una "golden age". Mi
chiamò per l'apertura delle Ciminiere, lavorammo notte e giorno (lui
compreso!) ad agghindare manichini. Subito dopo, arrivò il Festival
del Barocco di Militello, lo curai tutti gli anni. Ma l'avvento di
altri politici significò disattenzione e silenzio. O meglio,
decadenza. Come quella lì».
Guarda nella direzione del
televisore ma in realtà vuol dire Maria De Filippi
«capofila del decadentismo
televisivo, una corrente tuttaltro che letteraria».
Parole come fotografie e fotografie che
parlano: vellutate sottogonne da fiaba, preziose bardature da cortei
storici, copricapi apocalittici, costumi stile Marchese del Grillo
in omaggio ad Alberto Sordi ospite alle Ciminiere, nel 2000. E
creazioni ispirate a Papua, Nuova Guinea eppoi quel costume
abbacinante -
"Il sole del Brasile", ricorda la foggia "egiziana"
del grande jazzista Sun Ra - a cui forse solo l'autore, che lo calza
più volte, sa rendere giustizia.
Intanto lo "spirto" wildiano dentro gli rugge. L'artista più "matelico" che ha vestito?
«Uuuh! Un'infinità. Ma con il carattere che mi
ritrovo si trovava un accordo. O un disaccordo. Attraverso urla
beluine (le mie) con registi incompetenti in materia o magari
invaghiti della donzella di turno e testardi nel voler assegnare a
lei la parte di sciantosa, formosa per giunta, con costumi
improponibili. Una poveretta che, a stento, avrebbe potuto fare la
servetta che entra in scena solo per dire "Il pranzo è servito"! ».
La più isterica?
«Elisabetta Gardini, una bisbetica. Ma l'ho
domata a meraviglia. In un corteo medievale, doveva vestire panni
regali. "Una principessa di nascita dev'essere su un altro tono che
tu sconosci del tutto - le dissi - Speriamo che almeno il costume
possa colmare queste tremende mancanze"».
Ancora immagini. Tempeste di colori in
villaggi turistici o in cittadine festanti.
Manca Palermo dove
peraltro l'avevano interpellato per rinnovare il Festino di Santa
Rosalia ma Pipi, suo omologo palermitano, saltò su, piccato: «Ha già
Catania e provincia, vuole anche Palermo? ». E Umberto, implacabile:
«Non ho mai avuto questa
velleità. Neanche a Catania» e sorridendo girò i tacchi.
Le immagini di Umberto sono come gli esami di
Eduardo: non finiscono mai. E dediche, una sull'altra. Una,
sontuosa, porta la firma di Franco Zeffirelli.
«Me lo presentarono sul set di Storia di una
capinera, era furioso, ce l'aveva con tutti. Lo calmai portandolo in
giro con i suoi cagnolini al seguito»,
ricorda. Tanto Oliver, il suo bulldog francese, non soffre di
gelosia retroattiva.
La trascuratezza nel vestire è un suicidio
morale, sosteneva qualcuno. E' anche la massima di Umberto di
Baviera ma dev'essere stata la fede fondamentalista della sua mamma,
bella da mozzare il fiato ma mortalmente allergica alla maternità
più dei celiaci al glutine.
«Ebbi la fortuna immensa di vivere con la
nonna che ho accudito fino alla sua scomparsa, nel 2000, a 90 anni.
Era lei che chiamavo mamma mentre vedevo quella vera agitarsi per
casa come una pazzerella. Era una donna chic, di gran tono, tutta
ricevimenti, balli, parrucchieri e funerali "importanti", mai una
serata a lavorare all'uncinetto, mai una tenerezza al suo unico
figlio. Infatti ebbe il buongusto di non farne altri con il secondo
marito, mio patrigno a cui volli bene più che a mio padre».
E quello vero?
«Se n'era già andato a Trieste, mi spedirono a
fargli visita che avevo 12 o 13 anni. Parlava malissimo di Catania
come se fosse nato a Bolzano e, in macchina, mi disse: "Ti porto a
conoscere la gente giusta". Edda Ciano Mussolini. Erano gli anni
'60, lei s'era appena riappacificata con la madre con cui aveva il
ristorantino a Predappio. Donna sgradevolissima, la Ciano, mi fece
una pessima impressione ed oggi, con il senno di poi, mi chiedo se
tutto ciò che racconta nei libri (che io possiedo) siano reali. Mio
padre la conosceva eccome! Seppi poi che aveva fatto parte
dell'opposizione al Duce capitanata da Dino Grandi e avrebbe dovuto
essere fucilato anche lui, come Galeazzo Ciano. Ma si salvò
scappando sotto falso nome che mantenne per anni. Due pazzi per
genitori! Fu una fortuna che si fossero separati dopo 10 mesi di
matrimonio! ».
Wildiano a oltranza, Umberto di Baviera.
Ma in materia di umorismo forse non è secondo
neanche all'irresistibile Tuccio Musumeci che gli vergava una sua
foto: «Spero che mi vestirai sempre. Spogliarmi, mai. Ti veni un
coppu! ». |
la chiesa alla Circonvallazione,
detta il Carciofo.
Nuova Luce e Novalucello
Nel terremoto del 4/2 /1169, che sconvolse e
distrusse Catania, i pochi superstiti in fuga videro, a un miglio dall'abitato
nella campagna del Canaliculus, una luce meravigliosa soprannaturale,
proveniente da una caverna lavica dove fu rinvenuta L'icona di una soavissima
Madonna. Mani di fedeli l'avevano nascosta certamente nel periodo delle
incursioni Saracene, come solevasi fare allora dai Cristiani per impedire
profanazioni sacrileghe. A ricordo dell'avvenimento nel 1177 fu eretto sul posto
un Santuario Mariano detto Nuovaluce (1) titolo che tutt'ora denomina quella
zona e una via locale. Nel 1375, Artale Alagona fece costruire un Monastero
annesso allo stesso tempio e ottenne che vi prendessero dimora i Certosini della
vicina Calabria, i quali vi si stabilirono nel 1378. Nel 1379 Artale regalò loro
un vasto terreno con nuovi locali a nord ovest della città in località Montepò
dove sono ancora visibili i ruderi della primitiva costruzione cenobica. Artale
donò un'altra tenuta nelle vicinanze di Nizeti, dove sorse un piccolo recinto
monastico di dimensioni ridotte che, per distinguerlo da quello principale di
Nuovaluce, nel 700 venne ricordato con la forma diminutiva di Nuovalucello, che
tutt'ora motiva il toponimo dell'attuale popolarissimo rione attiguo al
Canalicchio. Al Novalucello i Monaci, a disposizione dei poveri tenevano anche
un valetudinarium ossia un'infermieria con relativa spetieria o farmacia e un
orto dove coltivavano le piante medicamentose. In un frammento di diploma del
1380, pubblicato dal Lanario (2) si fà menzione di un monaco infermiere di nome
"Gilibertus monacus infirmarius, chartusianus Novae Lucis". Chartusianus, è la
forma latina di Certosino. Nell'eruzione del 1381 tutto il Canalicus, quindi
anche Nuovaluce e Nuovalucello, fu sommerso dalle lave che si spinsero fino al
mare di Lognina, e i Certosini si trasferirono a Montepò dove vissero sino al
1415, anno in cui, essendo la contrada molto isolata e infestata di briganti,
preferirono ritornarsene in Calabria presso l'eremo di La Torre nella Sila. Da
un documento del 1392 riportato dal Barbieri (3) apprendiamo che Re Martino
aggiunse a precedenti concessioni fatte alla Badia Novalucense: "Vineam unam
aliam cum viridarium dictam
Sanctu Opulu in dicto territorio Cathaniensi
prope ecclesiam Santi Opuli Via pubblica mediante" cioè un'altra Vigna
detta Santu Opulu - dizione popolare di S. Euplio nel secolo XIV - con delizioso
giardino presso la Chiesa dello stesso Santo. Nella "Giuliana delli Beni e
rendite del Ven. le Monastero di S. Chiara di questa Chiarissima e fedelissima
Città di Catania fatta nell'anno1731 in tempo del governo della reverendissima
S.M. di Gesù Caraffa Abbadessa del detto Monastero" anche la vastissima tenuta
dell'Acquicella allora coltivata a viti e frumento, oggi trasformata in Cimitero
Cittadino risulta appartenente al convento di Nuovaluce. Il Vescovo Benedettino
Tommaso da Asmari nel 1414 ricostruì I locali del Canalicchio, distrutti dal
Magma Lavico su terreno più vicino al centro cittadino, corrispondente
all'attuale P.za Bellini comunemente detta perciò "chianu di Novaluci" e li
affidò ai Benedettini di S. Agata, allora molto numerosi. Nel 1622 venne
agreggato a quello di S.Nicolò all'Arena. Il 19 Novembre 1643, dal Vescovo
Ottavio Branciforti fu messo a disposizione dei Padri Teresiani che alloro volta
nel 1651 lo cedettero agli Agostiniani Scalzi, sotto l'Episcopato di Marcantonio
Gussio ( 22/8/1650 - 3/7/1660). Nel terremoto del 1693 col crollo dell'intera
Città anche gli edifici di Nuovaluce andarono distrutti; furono ricostruiti
nella medesima Piazza dagli stessi Agostiniani che vi dimorarono fino al sisma
del 1818. Lesionato da queste ultime scosse telluriche, il monastero rimase
inattivo per parecchio tempo; in seguito nel Maggio del 1871 passò allo Stato
che, dopo qualche restauro, vi collocò gli uffici dell'Intendenza di Finanza.
Quannu d'u Canalicchiù sutta e sciare la
sacra "Mmaggini fici attruvari, La Bedda Matri Luminusa è duci Fù ditta la
Madonna ' e Novaluci".
Bibliografia
1 - G. B. De Grossi, "Catanense Decachordum"
Tip. Rossi 1642 - 47 Catania;
2 - Giovanni Lanario, "Diplomi", stamperia di
Francesco Valenza, Palermo 1742, N. 9;
3 - G. L. Barbieri, "Beneficia
ecclesiastica", Palermo 1962 I, p. 183.
4 - Antico dipinto sella Madonna di Nuovaluce,
Museo Diocesano, Catania.
Mario Strano |
I.S.I.S. "Filippo Eredia" E Sede del
Centro Risorse contro la dispersione scolastica " Il Quadrifoglio"
Via Del Bosco, 43
L'Istituto Tecnico Agrario Statale di Catania fu
istituito nel 1881, a pochi anni dall'Unità d'Italia, come -Scuola di
viticoltura ed enologia-.
Esso è quindi, una delle prime scuole ad indirizzo
agrario dello Stato italiano che, formato da poco, affidava l'istruzione
pubblica alle -Scuole pratiche d'agricoltura- a livello medio inferiore -,
alle Scuole speciali d'agricoltura a livello superiore - ed alle Scuole
superiore di agricoltura - a livello universitario.
La scuola enologica di Catania, unica della Sicilia
nacque dopo quelle di Conegliano, Avellino ed Alba, e tutte divennero ben
presto quattro centri di studi viticolo - enologici, acquisendo una meritata
fama, non soltanto nel nostro Paese, ma anche all'estero, per la grande
rinomanza degli insigni maestri che ne ressero le sorti e per l'ottima
preparazione di numerosi tecnici, che operarono in Italia ed in paesi
stranieri, tenendo alto il prestigio delle antiche e gloriose quattro scuole
enologiche.
Nel corso dell'evoluzione storica del nostro Paese, da
Scuola enologica - come comunemente veniva chiamata un tempo - divenne
Scuola agraria media e poi, come Istituto Tecnico Agrario con
specializzazione per la viticoltura e l'enologia.
Intorno al 1950 l'Istituto fu intitolato al nome di
Filippo Eredia (nato a Catania il 10 febbraio 1877 e morto a Roma il 14
febbraio 1948), professore di meteorologia di fama mondiale e studioso anche
di climatologia ed ecologia agraria.
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