La
Civita
A
JARITA (La garitta)
Andando ora poco più a nord, ci si presenta un tratto di costa ormai
deturpata, chiamata «Jarita». Qui la scogliera ha perso parte del
suo antico fascino; in passato le sue manifestazioni erano
straordinarie e, in un mare di cobalto ricco e pescoso come non
molti, odori e sensazioni cambiavano al volgere delle stagioni.
Il
luogo, data la sua natura, un tempo si prestava non solo alla pesca,
ma anche al contrabbando, soprattutto di sigarette. Sulla scogliera,
che ora notiamo a babordo, esisteva un tempo, proprio a picco sul
mare, una Garitta («Jarita»), che era il posto di osservazione dei
finanzieri, addetti al controllo della costa per la repressione del
contrabbando. Da qui il nome di «Jarita» dato alla località.
Lo
spericolato, quanto ignaro, pescatore di turno, che di notte andava
con la canna da pesca in cerca di saraghi e si avventurava nei
paraggi, doveva fare i conti con i contrabbandieri, infastiditi ed
ostacolati dalla sua presenza. Cosicché i degni rappresentanti della
città di Catania, per sbarazzarsi di lui, giocavano d'astuzia.
Nascosti tra gli scogli, lasciavano che il poveretto scendesse fino
al mare e poi, nel silenzio della notte, ogni qualvolta metteva in
mare la lenza o la tirava, lo spaventavano, scandendo con voce
cavernosa e misteriosa: «calàau, tiaràau» e lanciando grossi sassi
che, ad ogni calata o tirata, arrivavano in mare a guisa di
proiettili, «anniànnulu d'a test'e peri!» .
Tanto bastava perché il poveretto, dopo essersi «pigghiata 'a
giàlina» , lasciasse libero il campo.
Così gli indaffarati Catanesi continuarono a divertirsi fino a
quando non incapparono nella persona sbagliata: un ex «collega» —
conosciuto come «Tinu 'u contrabbanneri» — che, non conoscendo la
nuova testa di ponte, andò lì tranquillamente a pescare. E quando i
contrabbandieri diedero inizio alle operazioni di disturbo, egli non
si spaventò più di tanto, anche se dovette ugualmente fare le
valigie, giurando peraltro che avrebbe restituito la cortesia.
Così una notte Tino e il fratello, armati di pistole scacciacani,
aspettarono di nascosto l'inizio delle «operazioni» per
improvvisarsi finanzieri. Quindi, sbarcata che fu la prima cassa di
sigarette, diedero l'altolà che produsse uno straordinario
parapiglia: repentino fuggi fuggi di contrabbandieri con funambolici
salti tra gli scogli; vociare concitato di ordini e contrordini;
tuffo in mare di «Voce cavernosa», che rischia la vita, e complicato
salvataggio operato dai colleghi, che prendono il largo, remando a
più non posso.
Ma
la cassa abbandonata dai contrabbandieri - che ne sanno una più del
diavolo - fu l'occasione per rovinare la festa a Tino e Gianni,
quando scoprirono che i pacchetti, anziché sigarette, contenevano
segatura!
_________________________________________
da
"Luci sulla scogliera" di Pippo Testa e Mimmo Urzì - Edizioni Greco
in Catania
Il Lido Scogliera d'Armisi
L'ARMISI
(L'Artemision)
Lasciata la «Jarita», poco più a nord, incrociamo il cosiddetto «Armisi»,
località che occupa il tratto di scogliera che va dalla «Jarita»
sino al «Gaito».
In questo luogo, natura, storia e mitologia si alternano: il nome
trae origine da Artemide (Artemis), dea greca della caccia,
corrispondente alla dea Diana dei Romani, a cui era dedicato un
tempio, l'Artemision. Da qui Artemisi e quindi Armisi.
Artemide, figlia di Zeus e di Latona e sorella di Apollo, veniva
raffigurata con l'arco in mano e la faretra sulla spalla, pronta a
scagliare le sue frecce contro chiunque suscitasse la sua collera. I
templi a lei dedicati sorgevano dovunque, ma i più famosi erano
quelli di Efeso.
Fin qui la mitologia. Ma il luogo, messi da parte gli dei, si
presenta con il consueto biglietto da visita di indiscutibile
fascino, anche se chi ricorda l'«Armisi» di una trentina d'anni
addietro, popolato di cernie e di saraghi, stenterebbe a
riconoscerlo nei fondali di oggi, non proprio deserti, ma assai meno
popolati di allora.
Queste acque, benché depauperate continuamente, presentano ancora
oggi fondali interessanti e sono quindi oggetto di attenzione da
parte degli appassionati del bolentino costiero e dei trainisti .
La fauna è quindi ancora discretamente rappresentata, soprattutto
dagli onnipresenti «sàuri» e «opi» , dai variopinti labridi e dai
bei saraghi dei fondali adiacenti o delle secche circostanti.
_________________________________________
da
"Luci sulla scogliera" di Pippo Testa e Mimmo Urzì - Edizioni Greco
in Catania
IL GAITO (Vaitu o Caìto).
Piccolissimo quartiere
etneo sul mare che conserva però tracce di una cultura millenaria.
Convenzionalmente per “Caìto”, a Catania, si
intende la singola area occupata dal Porto Rossi, una piccola
insenatura naturale collocata nella parte est del capoluogo etneo,
compresa tra la Stazione Centrale, a poche centinaia di metri di
distanza, e il quartiere di Ognina.
Oggigiorno questo braccio di costa rocciosa
viene ormai indicato come parte integrante del più grande borgo
marittimo etneo, ma in vero la presenza e la collocazione del Caìto
si sono però rivelate significative, già in epoca remota, per la
costituzione di un’identità storica e sociale proprie di questo
scorcio di Catania.
Le
origini del piccolo quartiere del Caìto sono, infatti, antichissime,
e la sua nascita risalirebbe, addirittura, al tempo della
dominazione araba in Sicilia. Già dal nome stesso dell’area è
infatti riconoscibile una palese influenza saracena.
“Caìto” infatti deriverebbe dal termine “Kâit”
che significa “giudice, governatore, capo amministrativo”. È dunque
intuibile che nella zona, diversi secoli fa, esistesse un avamposto
arabo caratterizzato dalla presenza di un magistrato preposto alla
persecuzione dei Cristiani.
Quest’area viene poi storicamente ricordata
per aver ospitato, in epoca più recente, un importante tratto della
Ferrovia Circumetnea. La fermata si trovava a pochi passi dal Porto
Rossi, nell’area oggi occupata da Piazza Galatea.
Il 13 marzo 1895 venne inaugurata la tratta
Catania Gaito-Catania Borgo, congiungendo così i due quartieri del
capoluogo etneo. Il 17 Agosto 1897 l’ingegnere Francesco Clarenza
scrisse una lettera al Presidente del Consiglio d’Amministrazione
del Consorzio per la Circumetnea esponendo i progetti per la fermata
al Gaito ed il prolungamento al porto di Catania. L’anno seguente il
prolugamento divenne realtà e il 10 luglio 1898 venne aperta la
tratta Catania Gaito-Catania Porto.
La fermata del Gaito venne chiusa nel 1993, ma
l’area continua ancor oggi a conservare il suo nome.
______________
Salvatore Rocca
http://www.vivict.it/luoghi-e-monumenti/catanomastica-caito/
A
PUNTA DI JADDINA (La punta di Gallina)
Un'alta rocca che termina con una punta in mare, conosciuta
soprattutto perché vi si posano alcuni tipi di uccelli marini che,
d'inverno, migrano a sud. Diciamo alcuni tipi perché il nostro mare
non consente l'esistenza di colonie paragonabili a quelle immense di
altri paesi, ad esempio del nord Europa.
Molte specie di Sule, tutti gli stercorari, alcuni tipi di gabbiani
sono assenti come nidificanti e giungono dalle nostre parti solo per
svernare.
Altri, invece, vivono sulle alte e desolate pendici, dove nidificano
e allevano i piccoli tra la stentata vegetazione dei depositi di
lava.
Sulla punta anzidetta sono presenti sule, cormorani, tuffetti,
gabbiani, ecc., che impiegano una grande varietà di tecniche di
pesca. Le sule piombano sul mare e afferrano i pesci anche
sott'acqua; i cormorani nuotano a pelo d'acqua, tuffandosi ogni
tanto; i tuffetti nuotano in superfìcie e si immergono quando
avvistano la preda; e i gabbiani, rapidissimi, arraffano la
minutaglia più lenta alla fuga.
Sulla nostra punta — chiamata genericamente «Punta 'e jaddina» — c'è
chi racconta di aver notato anche qualche gallinella d'acqua («jaddinedda
d'u pantanu»), che per sua natura frequenta, invece, le distese
d'acqua dolce e le terre vicine, e di averne visto fiocinare qualche
sfortunato esemplare.
_________________________________________
da
"Luci sulla scogliera" di Pippo Testa e Mimmo Urzì - Edizioni Greco
in Catania
a punta 'e Jaddina, nei pressi del
Gaito
La punta 'E Jaddina
(La Punta di gallina)
Tutti i pescatori ogninesi conoscono bene il
tratto di scogliera lungo la linea di Costa che va dal porticciolo
di S.Giovanni Li Cuti verso il porto di Catania, questo tratto è
chiamato "Jaddina". Ma non tutti sanno l'origine di questo nome. Una
tradizione popolare l'attribuisce al salvataggio di una gallinella
recuperata sopra lo scoglio, ma è una suggestiva invenzione popolare
perché in un manoscritto del 1400, degli archivi della Curia
Vescovile di Catania, troviamo tale nome. I preziosi documenti ci
fanno sapere che già dal 1400, tutta la scogliera Catanese era sotto
la giurisdizione del Vescovo di Catania, il quale poteva dare la
concessione demaniale dei tratti della Costa. Il tratto di cui
parliamo nel 1456 fu concesso per la pesca ad un certo signor
Gallina, al quale curiosamente rispetto ad altri venne rinnovata la
concessione per più anni. Su quello scoglio si poteva pescare con la
canna, lenza, coppo e nasse. Riguardo alla possibilità di pescare
dagli scogli a coloro che erano sprovvisti di licenza, vigeva
l'assoluto divieto, pena il pagamento di una multa salata di 15
carlini. L'interesse per le pietre di "piscari" inizia a declinare
bruscamente in favore di barche e reti, come attestato in un bando
del 15 Gennaio 1574, per l'armamento di una imbarcazione
appartenente a Luca Oleastris (familiare del vescovo), la barca di
piscari conteneva: rimi statti e palelli (remi stretti e scalmi), un
ferro con lo suo capo (ancora con sua fune), un timuni con suo Jaci
(un timone con la leva), fucuni per piscari (braciere per pescare),
una vila con sua intinnola (una vela con la sua antenna), dui
sidituri con tri parati (due sedili e tre parati), una sasola (una
sassola), cinco rimi (5 remi), un lanzaturi (fiocina), dui guanti
(due guanti), una tenda, diciassette pezzi di riti usitati e quasi
vecchi (diciassette pezzi di reti usate e vecchie), e quattro aitri
pezzi di riti novi (quattro pezzi di reti nuove).
Finalmente sappiamo la verità sul nome
Gallina.
Mario Strano
|
IL PORTO ROSSI
La storia - La M.E.C. Auto
di Rossi P&C snc, meglio conosciuta come Porto Rossi, nasce nel
1961, grazie alla passione verso l’arte navale di Pietro Rossi , che
ha l’obiettivo di istituire una realtà portuale che giovi alla
nautica da diporto.
L’origine è quindi da considerarsi un’esigenza
dei mutamenti sociali ed economici
degli anni 60’. Pietro Rossi (concessionario dei motori marini
Mercury e Mercruiser, nonché uomo stimato dal grande Giuseppe Pasini
simbolo italiano del marchioMercury ) attento conoscitore e acuto
osservatore delle costruzioni dei porti turistici, si chiese come
fosse possibile vendere barche e motori
senza l’esistenza di nature valide per la nautica da diporto.
Percorrendo il litorale catanese, al centro
della città, scorse una sorta di discarica pubblica, zona denominata
dai catanesi “Caito”, caratteristica per le golette naturali create
dalle colate laviche del 1300 e del 1600. Iniziò così la creazione
del porto , si costruì una strada che conduceva da piazza Europa al
porto, si incominciarono a costruire piazzali e pontili per
l’ormeggio delle imbarcazioni.
Grazie al suo interesse sempre vivo e tenace e
all’ aiuto dei figli Ezio e Federico, il 10 ottobre 2001 il sig.
Rossi vedrà finalmente approvato il progetto per l’ampliamento del
porto, trasformando cosi l’attività svolta in una realtà nautica
efficace e produttiva per tutto il Mediterraneo.
Il verde che circonda l’approdo fa da cornice
al mare, rendendo il porto confortevole e invitante per tutti coloro
che si trovano a transitare da queste parti.
Le idee incamerate e scolpite nella mente nel
corso degli anni, le dure battaglie, ma anche una ferma
determinazione, contribuiscono a trasformare ciò che prima era
soltanto una discarica, in una meravigliosa oasi oggi denominata
Porto Rossi, immersa nel cuore della città di Catania
http://www.portorossi.com/La-storia.aspx
grazie a Francesco Raciti per le immagini
La stazione
di Catania Centrale è la stazione principale della città
di Catania. Si trova adiacente alla grande piazza Papa
Giovanni XXIII nella quale confluiscono alcune tra le
arterie viarie più importanti e trafficate della città.
È importante stazione, oltre a Messina Centrale, della
linea costiera Messina-Catania-Siracusa ed è origine
delle linee Catania-Caltagirone-Gela e Catania-Palermo
(che passa dalla stazione di Caltanissetta Xirbi). È
inoltre connessa al proprio deposito locomotive e
raccordata con il Porto di Catania.
Catania
Centrale venne costruita nell'ambito del programma di
costruzioni ferroviarie intrapreso in Sicilia con la
costituzione della Società Vittorio Emanuele e
proseguito con la Società per le Strade Ferrate della
Sicilia, detta anche Rete Sicula. Faceva infatti parte
del progetto per connettere mediante la strada ferrata
l'estremo lembo nord della Sicilia e il porto di Messina
alle zone produttive della fascia orientale e zolfifere
di quella centro-orientale dell'Isola. La stazione venne
costruita nella stessa zona delle raffinerie di zolfo,
ove ora sorge il Centro fieristico le Ciminiere e venne
inaugurata il 24 giugno 1866[1] ma aperta al traffico
regolare dal 3 gennaio 1867, giorno in cui venne aperto
all'esercizio il tronco ferroviario Giardini-Catania
della ferrovia Catania – Messina (il cui primo tratto
era stato inaugurato meno di un mese prima).Il 1º luglio
1869 la stazione di Catania veniva collegata al fascio
binari del porto della nuova Stazione di Catania
Marittima mediante un raccordo in discesa lungo 914
metri. L'edificio di stazione costruito dalla Vittorio
Emanuele era molto semplice e privo di tettoia e solo
dopo il 1870 si pose mano alla costruzione definitiva Il
fascio binari della stazione venne interessato, lato
mare dal collegamento ferroviario a scartamento ridotto
della Ferrovia Circumetnea, dalla fermata di Catania
Gaito alla stazione di Catania Porto attivato il 10
luglio 1898. Se fosse stata accolta la richiesta della
FCE la stazione avrebbe avuto un tratto a doppio
scartamento con inserzione nell'ultimo tratto della
Messina Catania (a quel tempo gestita dalla Società
Sicula).
Venne invece
costruito un viadotto in ferro a due travate per
sovrappassare la detta linea ferrata all'altezza degli
scambi di ingresso proseguendo il rilevato in discesa
fino ad affiancarsi al XXIII° binario (della stazione
Centrale di Catania) con un semplice marciapiedi per la
fermata proseguendo fino al porto quasi a filo del mare.
Il viadotto in ferro è stato demolito alla fine degli
anni 80 durante i lavori di costruzione del ramo di
metropolitana.
La stazione ha subito un primo ampliamento all'inizio
degli anni sessanta quando in conseguenza
dell'elettrificazione della Messina-Catania è stato
anche ampliato il fascio dei binari (lato Sud) con la
creazione di una diga sul mare che ha consentito il
prolungamento dei binari di stazione. Nell'occasione
vennero realizzate anche le pensiline sui marciapiedi
esterni. Un'ulteriore ampliamento del fascio
viaggiatori, portando da 7 a 9 i binari dedicati, è
avvenuto a metà degli anni settanta in conseguenza della
maggiore richiesta di trasporto pendolare. Nello stesso
periodo gli apparati di stazione sono stati
centralizzati in un'unica grande cabina di comando ACEI
eliminando definitivamente le due vecchie cabine di
comando ACI A e B. Il programma di ristrutturazione del
Nodo Catania in corso di realizzazione prevede
l'abbandono della localizzazione attuale del fascio
binari, con l'interramento già approvato della stazione.
Il fabbricato attuale tuttavia verrà conservato.
http://it.wikipedia.org/wiki/Stazione_di_Catania_Centrale
Ratto di
Proserpina
Tale
fontana, edificata intorno al 1904, dallo scultore
ascolano Giulio Moschetti (1849-1909), che realizzò le
allegorie della tragedia e della commedia poste sul
frontone del teatro Bellini, rappresenta "il ratto di
Proserpina" da parte del dio Plutone (o Ade).
Il mito è
uno dei più cari alla tradizione pagana siciliana (molti
sono i riferimenti immaginifici nell'arte isolana), in
quanto secondo il poeta Claudiano, nel suo "De Raptu
Proserpinae" il luogo degli accadimenti coincide con le
sponde del lago di Pergusa, in provincia di Enna.
Plutone
rapisce Proserpina, la strappa con forza alla sue
vicende, ai suoi luoghi ed alle persone care, la porta
con se sulla sua biga trainata da neri destrieri e la
rende sua compagna e regina del mondo delle ombre.
La madre di
Proserpina, Cerere (o Demetra), richiesta udienza al
sommo padre degli dei, Giove, ottiene che le figlia le
venga restituita, ma non verrà accontentata in pieno.
Infatti
Cerere ottiene che la ragazza passi con lei solo sei
mesi dell'anno, ed i restanti mesi con il marito.
Proserpina,
il cui nome viene associato all'emergere, alla crescita,
rappresenta per gli antichi la ragione dell'alternanza
delle stagioni.
Quando
infatti risiede tra le ombre sotterranee la terra è
cinta dai freddi venti invernali, mentre quando la
giovane "emerge" dall'oscurità la natura prorompente
riprende il suo corso, esplodendo di vita e colori.
L'impianto
del'opera, realizzata in cemento, vede al centro poste
in rilievo, la figure di Plutone e della giovane
Proserpina, attorniate da cavalli e sirene che trainano
la biga del Dio, il tutto al centro di una grande vasca
coronata da giochi d'acqua e zampilli, e che fino a poco
tempo fa, insieme alle luci che la decoravano, regalava
uno spettacolo non indifferente.
Perche fino
a poco tempo fa? Perchè il comune di Catania, in palesi
ristrettezze economiche, ha reso vittima la stazione
centrale della città (dove quasi a dirimpetto è sita la
fontana) ed altre zone della città, di una "riduzione"
dell'illuminazione notturna......
U Passiaturi
("il Passeggio")
Una parte del film è
ambientata e girata a Catania. Qui in Via VI
Aprile, al Passiatore |
|
Ampio balcone civico realizzato nell'Ottocento in
sostituzione di un passeggio che già esisteva alla
Marina (oggi via Dusmet), lì ostruito dal nascente ponte
ferroviario noto come "L'Archi" (gli archi). Nato per
essere un "salotto" all'aperto per i cittadini, dove
svolgere attività fieristiche, concerti o anche solo per
una passeggiata affacciati sul mare, a lungo cadde in
abbandono e in stato di degrado. Solo in anni recenti è
stato riqualificato, sebbene oggi la minaccia del
degrado aleggi ancora sul luogo.
|
Chiesa del SS. Sacramento Ritrovato
di via VI
Aprile
ci racconta Mons. Mariano Foti: "Ritrovandosi la
Santa Cattedrale della Città di Catania situata
provvisoriamente nel Collegio degli Ex Gesuiti, in detta
Matrice, accadde nell'anno 1796 a 29 maggio il sacrilego
furto di Gesù Sacramentato che si trovava dentro la
sfera d'oro situata nel Tabernacolo per la Solennità
dell'Ottavario de/ Corpo del Signore, commesso da un
foresf/ero". La notizia procurò un'enorme costernazione
nella popolazione catanese che si prodigò in preghiere
per il suo ritrovamento Questo avvenne miracolosamente
l'indomani.
Per cui quale ringraziamento, con
deliberazione del Senato Catanese, autorizzazione del
Vescovo e permesso (con sostegno economico) del Re
Ferdinando III, venne eretta in via VI Aprile una nuova
Chiesa intitolata "SS. Sacramento Ritrovato"
|
SS. SALVATORE
Proseguendo per la via Dusmet,
dopo avere superato il complesso Biscari, di fronte alla vecchia
Dogana, si incontra la chiesetta del SS. Salvatore (un piccolo
ambiente d raccoglimento religioso prima di affrontare i possibili
pericoli del mare).
La sua esistenza proviene da un
voto espresso da una nobildonna il cui figlio, a seguito delle
preghiere della madre, era scampato ad un terribile naufragio. Il
fatto viene raccontato da Mariano Foti ed illustrato da Giovanni
Verga in una sua novella.
Si trattava di un vero piccolo
santuario costruito su un altissimo scoglio di basalto a piombo sul
mare. Vi troneggiava un busto lgneo di Cristo, tuttora esistente
nella chiesuola, scolpito dal Canonico Vito Balsamo.
Più volte la chiesetta fu
bersaglio dei pirati musulmani, senza mai essere abbattuta, e le sue
fondamenta a livello del mare sono oggetto di varie leggende.
''Laggiù,
nella riviera nera dove termina la città, c'era una chiesuola
abbandonata, che racchiudeva altre tombe, sulle quali nessuno andava
a deporre dei fiori. Solo un istante i vetri della sua finestra
s'accendevano al tramonto, quasi un faro pei naviganti, mentre la
notte sorgeva dal precipizio, e la chiesuola era ancora bianca
nell'azzurro, appollaiata come un gabbiano in cima allo scoglio
altissimo che scendeva a picco sino al mare. Ai suoi piedi,
nell'abisso già nero, sprofondava una caverna sotterranea, battuta
dalle onde, piena di rumori e di bagliori sinistri, di cui il
riflusso spalancava la bocca orlata di spuma nelle tenebre.
Narrava la leggenda che la caverna
sotterranea, per un passaggio misterioso, fosse in comunicazione
colla sepoltura della chiesetta soprastante; e che ogni anno, il dì
dei Morti - nell'ora in cui le mamme vanno in punta di piedi a
mettere dolci e giocattoli nelle piccole scarpe dei loro bimbi, e
questi sognano lunghe file di fantasmi bianchi carichi di regali
lucenti, e le ragazze provano sorridendo dinanzi allo specchio gli
orecchini o lo spillone che il fidanzato ha mandato in dono per i
morti - un prete sepolto da cent'anni nella chiesuola abbandonata,
si levasse dal cataletto, colla stola indosso, insieme a tutti gli
altri che dormivano al pari di lui nella medesima sepoltura, colle
mani pallide in croce, e scendessero a convito nella caverna
sottostante, che chiamavasi per ciò «la Camera del Prete».
immagine TAM - Fotogrammetria
Dal largo, verso Agnone, i
naviganti s'additavano l'illuminazione paurosa del festino, come una
luna rossa sorgente dalla tetra riviera."
"Ora nel costruire la diga del
molo nuovo, hanno demolito la chiesuola e scoperchiano la sepoltura.
La macchina a vapore vi fuma tutto il giorno nel cielo azzurro e
limpido, e l'argano vi geme in mezzo al baccano degli operai. Quando
rimossero l'enorme pietrone posato a piatto sul piedistallo di
roccia come una tavola da pranzo, un gran numero di granchi ne
scappò via, e quanti conoscevano la leggenda, andarono narrando che
avevano visto lo spirito del palombaro ivi trattenuto
dall'incantesimo. Il mare spumeggiante sotto la catena dell'argano
tornò a distendersi calmo e color del cielo, e cancellò per sempre
la leggenda della «Camera del Prete».
Nel raccogliere le ossa del
sepolcreto per portarle al cimitero, fu una lunga processione di
curiosi, perché frugando fra quegli avanzi, avevano trovato una
carta che parlava di denari, e molti pretendevano di essere gli
eredi. Infine, non potendo altro, ne cavarono tre numeri pel lotto.
Tutti li giocarono, ma nessuno ci prese un soldo."
da
"Vagar bondaggio" di
Giovanni Verga
|
Per la sistemazione del porto,
dovette essere eliminata e, nel 1851 ricostruita, pur ridotta in
dimensione, per forte richiesta dei pescatori nella via Della Marina
(Dusmet) e intercalata tra private abitazioni, con una dicitura sul
frontespizio: "Salvator mundi". La chiesetta oggi è chiusa al culto.
I pochi anziani, di successiva generazione che conoscono la storia
per averla ascoltata dai nonni, spesso portando fiori, vanno in
adorazione, per chiedere la salvezza degli uomini che affrontano i
pericoli del mare.
Non esiste più l'altissimo
scoglio con su la chiesetta nel suo originario sito in quanto lì vi
è stata localizzata una stazioncina della Circum Etnea. |
l'attuale chiesetta in Via Dusmet
______________________________
La chiesetta che si trova agli Archi della
Marina è l'antica cappella di Sant'Agata alla marina. Che poi a fine
'800 ha preso anche la titolarità del Salvator Mundi e nel '900
anche della Madonna di Portosalvo quando queste due chiese furono
demolite. La chiesa di Santa Maria di porto salvo (che era stata
costruita modificando una preesistente moschea), con relativo
monastero, si trovavano alla civita. Dopo il 1693 venne ricostruita
solo la chiesa col titolo di Santa Maria di porto salvo e San
Tommaso apostolo. Negli anni 50 del 900 la chiesa venne demolita. Ne
resta solo il ricordo nel nome della via ... via San Tommaso, per
l'appunto.... nei pressi di Piazza Card. Pappalardo.
(Antonio Trovato)
In quest'anno 1887, la chiesetta era stata
demolita da più di venti, per far posto alle opere del nuovo porto e
al viadotto che lo costeggia, e dov'era essa, dov'era l'altissimo
scoglio che scendeva a picco sul mare,, vi è oggi una larga spianata
coperta di alti cumuli di carbone, con qualche baracca per coloro
che vi lavorano, e la stazioncina della ferrovia che recinge l'Etna.
Il Poeta la fece rivivere, e con essa il paesaggio ; un paesaggio
così profondamente mutato ora, che se risorggessero i morti che non
vi trovarono l'estrema pace a cui avevano diritto, giacche le loro
povere ossa - quando la Chiesa fu demolita - vennero raccolte e
portate al Camposanto ; esse se risorggessero, dico, con tutta la
chiaroveggenza attribuita dalla nostra illusione alle anime dei
trapassati, non lo riconoscerebbero.
Il Rasa Napoli nella sua "quida alle chiese di
Catania"(edita nel 1900), sulla Chiesa di S. Agata alla marina o S.
M.di Portosalvo scrive: sorge nelle via Dusmet( nei pressi della
Dogana) col prospettino a sud fiancheggiata da fabbricati. È una
edicoletta con un solo altarino ed un quadro on l'effige della
Madonna di Donea. Fino a pochi decenni or sono vi si celebrava la
messa tutte le domeniche e specialmente il 4 febbraio nella
ricorrenza della festa della gloriosa vergine e martire Catanese S.
Agata, ma ora è chiusa al culto.
Saverio Fiducia
l'inizio di
Viale Libertà
La vecchia
zona industriale delle Ciminiere di Catania.
Una finestra
sul Mediterraneo, ricca di storia.
L'area delle
raffinerie di zolfo di Catania si estendeva per decine di
ettari in prossimità della stazione e del porto, unico
esempio nel Meridione d´Italia, di una vera e propria zona
industriale. Cessata, alla fine della Seconda Guerra
Mondiale, l´intensa attività degli opifici catanesi, e dopo
un lungo periodo di abbandono, le generose ciminiere hanno
ripreso ad essere testimoni e simbolo dello sviluppo
economico,sociale e culturale dei nostri giorni.
Prezioso esempio
di archeologia industriale reso fruibile grazie alla scelta
di valorizzazione ambientale, voluta dalla amministrazione
provinciale e all´accurata opera di recupero e
ristrutturazione, coordinata dall´architetto catanese
Giacomo Leone.
Oggi il Centro
le Ciminiere rappresenta, con la sua memoria storica ed il
suo suggestivo segno architettonico, un´ideale vetrina sul
Mediterraneo e sul mondo per attività Prospettiva delle
ciminiere espositive, fieristiche, congressuali, culturali e
didattiche.
Comunicazione e cultura: un quartiere fieristico globale.
Le Ciminiere in Viale Africa
Punti di forza del Centro le Ciminiere sono la
centralità della posizione geografica, rispetto al bacino
del Mediterraneo ed ai mercati dell´Europa Meridionale, del
Nord Africa e del vicino Oriente, ed il vasto ed articolato
panorama di attività ed iniziative attuabili. Il Centro si
estende su di una superficie di circa 25.000 metri
quadrati,suddivisa in tre distinte aree (Fieristica,
Espositiva, Congressuale) integrate e complementari.
Musei, convegni, spettacoli, luoghi di comunicazione e di
incontro, teatri, sale per concerti, laboratori di
addestramento professionale, esposizioni, fiere, corredati
di servizi,sorvegliati e assistiti permanentemente.
Il Centro le Ciminiere mette a disposizione dei fruitori e
del pubblico grandi spazi attrezzati e con un elevato
standard qualitativo.
Raggiungibile in pochi minuti dal porto, dall´aeroporto,
dalle autostrade e dalla tangenziale è servito da tutti i
mezzi di trasporto pubblico.
Ogni area, come ogni edificio, è priva di barriere
architettoniche
Il Centro
culturale fieristico dell'Artigianato di viale Africa,
conosciuto anche come Le Ciminiere, é uno degli esempi
più avanzati di sperimentazione nell'ambito
dell'architettura contemporanea in Sicilia. Autore del
progetto è l'architetto Giacomo Leone. Esso recupera parte della cittadella industriale, sorta
all'inizio del secolo, che il PRG del 1964 prevedeva di
demolire e che il Piano Particolareggiato prevedeva di
adibire a grande autostazione. Il progetto unifica,
senza soluzioni di continuità, antico e moderno. La
lunga facciata sul viale è un continuum di preesistenze
e integrazione, non celata quest'ultima, ma distinta con
vigore. Ai conci di pietra lavica e ai mattoni viene
opposto l'acciaio congiunto al vetro: l'acciaio, perchè
permette di svincolare la struttura muraria preesistente
dai solai intermedi e dalle coperture; il vetro, perchè
lascia trasparire il ventre degli edifici. Paradosso
progettuale è che le trasparenze rendono giustizia alle
raffinerie, affermando la presenza e il potere di quelle
memorie, mentre l'architettura nuova in alcuni tratti è
stata volutamente stroncata al fine di renderla rudere,
di sfregiarla come è avvenuto
www.cormorano.net
IL MUSEO DELLO SBARCO IN SICILIA NEL 1943 (complesso Le Ciminiere)
Prima
di muoverci lungo via Crociferi, percorriamo idealmente
via Vittorio Emanuele, da ponente a levante,
dall'incrocio con via Plebiscito fino a piazza dei
Martiri. Per storia, posizione, tracciato e
architettura, si tratta di una delle strade più
importanti della Catania settecentesca.
Come ho avuto modo di accennarvi, questa arteria, ideata
dal duca di Camastra, si chiamò in origine strada del
Corso perchè, durante i festeggiamenti agatini e anche
in altre occasioni, vi si svolgevano le corse dei
cavalli, con o senza fantino. Nella seconda metà
dell'Ottocento, venne intitolata al re Vittorio Emanuele
II; ma poteva ben essere intitolata a Giovambattista
Vaccarini, poiché in questa strada si affacciano le
opere più significative di questo geniale architetto.
Proviamo ad immaginarla com'era sul finire del
Settecento, senza l'ingombrante presenza delle
automobili, senza i pali della segnaletica, senza le
ragnatele dei fili
elettrici, senza la bruttura di certe orribili insegne
pubblicitarie. Proviamo ad immaginarla com'era in pieno
Ottocento, nel fulgore della sua architettura
incontaminata, immersa nei dolci silenzi notturni, o
durante le solenni processioni religiose, piena di
folla, strabocchevole di cavalli e di carrozze, con le
dame, in
crinolina e parrucca, appoggiate alle panciute ringhiere
dei balconi. Quale differenza con lo stato attuale!
Allora sì , l'arte del Vaccarini trovava spazio e poteva
agevolmente imporsi all'ammirazione dei catanesi e dei
forestieri. Qui, infatti, egli realizzò opere destinate
a restare come l'esempio più rimarchevole del
barocchetto catanese: il monastero e la chiesa di
Sant'Agata, di cui abbiamo parlato, i palazzi Valle e
Serravalle, l'atrio del collegio Cutelli, il palazzo
Reburdone e, poco distante, la sua stessa casa, ne danno
ampia testimonianza.
- Scusi professore, . . . - Dimmi, Donatella. - Gradirei
conoscere il significato dell'espressione « barocchetto
catanese ».
- Ma certamente, cara. Catania settecentesca, si mostra
in architettura attraverso il barocco delle chiese e dei
palazzi; con lo sfoggio dei bugnati, dei frontali ricchi
di frastagli, di volute, di mascheroni; con le grate
panciute dei balconi; insomma, con un'architettura
sfarzosa e, per molti aspetti, singolare. Ora, voi mi
chiederete cos'è il barocco. In architettura (a noi
interessa questo settore), è uno stile che prevalse nel
Seicento, e si caratterizzò per le sue forme curvilinee,
i disegni elaborati, le decorazioni complicate, gli
effetti prospettici ricchi di chiaroscuri. Poi degenerò
nel cattivo gusto; divenne artificioso, ampolloso,
esagerato.
Non lasciatevi impressionare da certe parole ostiche;
bisogna prendere confidenza anche con le parole che non
ricorrono nella parlata di tutti i giorni. Il
vocabolario c'è per questo, e bisogna farne buon uso.
Dicevo, dunque, non lasciatevi impressionare dalle
parole difficili, e seguitemi nella logica del discorso.
Voi avete l'idea di che cosa voglia dire esser semplici?
voi sapete cos'è la semplicità? Certamente, sì . Esser
semplici significa lineari, credibili, naturali,
essenziali, veri, spontanei. Ebbene, il barocco fu
l'opposto della semplicità, divenne, anzi, sinonimo di
tutto ciò che appare complicato, pesante, tronfio,
aggrovigliato (non soltanto in architettura). Ma -
potreste osservare - se così è, il barocco non serve, è
da buttare! No. Il barocco catanese non arriva agli
accessi testé elencati.
Resta entro i limiti della misura, tanto che alcuni
autorevoli studiosi lo hanno definito « classico
fiammeggiante ». Il barocco del Vaccarini, in
particolare, sobrio e fastoso al tempo stesso, ricco di
slanci ma privo di complicate strutture, pulito, leggero
come non se ne vede altrove, ha tutti i requisiti per
rappresentare il «barocchetto catanese».
Via Vittorio Emanuele sfoggia questa splendida cornice,
soprattutto nella parte bassa, da piazza Duomo al piano
della Statua (poi ribattezzato piazza dei Martiri,
perché nel 1837 vi furono fucilati - ad opera dei
Borboni, alla cui tirannide si erano ribellati - otto
patrioti catanesi). Ma, essendo andati a finire al piano
della Statua, conviene indugiare un po’ in quei paraggi,
osservare i lati più interessanti di quest'angolo della
vecchia città. E vediamo perché, in origine, si chiamò
piano della Statua. Premesso che, nel Settecento, la
parola piano veniva usata per indicare una piazza, resta
da conoscere la radice del toponimo.
- È facile, professore. Si chiamò piano della Statua
perché c'è la statua al centro della piazza.
- Bravo, Fabio. Dato che ci sei, dicci di quale statua
si tratta. - Della statua di Sant'Agata!
- Due volte bravo. Si tratta proprio della statua di
Sant'Agata.
Lucio Sciacca - “La città” da Katana a Catania le lunghe
radici - Cavallotto Edizioni - Anno 1980
http://www.cataniaperte.com
PIAZZA DEI
MARTIRI
Alla fine della via
Dusmet si incontra piazza della Statua (prima
individuata come "chiana da fucca", perché vi venivano
giustiziati a mezzo della forca i condannati a morte),
dopo chiamata dei Martiri, perché, nel periodo borbonico
vi vennero fucilati patrioti per l'Unità d'ItaIia.
Proseguendo sulla via VI Aprile a sinistra si incontra
la chiesa parrocchiale del Santissimo Sacramento
Ritrovato e
sulla destra il parterre (chiamato dai
catanesi Passiaturi), realizzato per offrire ai
cittadini I'illusione della vista di un sottratto
paesaggjo marino, che resta lontano ed inaccessibile ed,
appena prima della Stazione ferroviaria, la fontana del
Ratto di Proserpina dello Scultore Giulio Moschetto.
La statua di S. Agata
che calpesta un dragone, simbolo della peste, posta in
cima ad una monolitica colonna di granito, proveniente
dal nostro anfiteatro romano, venne edificata a seguito
di una epidemia colerica che si era manifestata nella
zona del Messinese, per cui i catanesi terrorizzati si
rivolsero con fiducia alla loro Patrona S. Agata al fine
di non esserne contagiati, promettendo il voto di
innalzarle un monumento presso la marina della Civita,
provenendo il pericolo del contagio dal mare. Per cui,
quando il pericolo fu scongiurato, dopo un Te Deum di
ringraziamento, il 5 febbraio del 1774 venne eretto
l'artistico marmoreo monumento votivo nella piazza.
________________________________________________________________________________________________________
da "Catania dal blasonato
barocco della ricostruzione al vivace liberty dei viali"
di Gaetano D'Emilio - Editore Media Libri - 2009
IL PIANO
DELLA STATUA
Il Duca di
Camastra, giunto a Catania nel pomeriggio del 12
febbraio 1693, esattamente un mese e un giorno dopo
l'evento fatale, si trovò dinanzi ad un paesaggio
allucinante: la città distrutta, migliaia di persone
senza tetto, senza pane, senza speranza.
Dotato di polso ferreo e di ferrea volontà, munito dei
pieni poteri conferitigli da Uzeda, il coraggioso
magistrato, a cui non mancavano idee in fatto di
urbanistica, si rimboccò le maniche e si mise subito a
lavorare.
Per bonificare l'ambiente cominciò col togliere di mezzo
due grossi ostacoli: i ladri che rovistavano ancora fra
le macerie e i fabbricati pericolanti che minacciavano
d'intralciare l'attuazione del suo piano regolatore. I
ladri colti sul fatto furono impiccati e i fabbricati
fatiscenti demoliti (a proposito di questi ultimi,
scaturì poi il detto popolare: Ciò che il terremoto
risparmiò, Camastra distrusse).
Trovatosi a dover operare sulla tabula rasa che gli si
stendeva davanti, appuntò l'asta del suo ideale compasso
nel centro dell'ex platea magna, (dove a tamburo
battente sarebbero stati ricostruiti la Cattedrale, il
Seminario e il Palazzo Senatorio) e da quel punto
nevralgico tracciò con mano sicura quattro lunghe linee
rette fra di esse ortogonali, le quattro strade
costituenti la spina dorsale sulla quale, mese dopo
l'altro, si formerà il tessuto connettivo della
ricostruenda città.
L'odierno nostro itinerario ci porta a considerare il
coronamento di una di queste strade, di quella che,
tagliando la città alla base, da ponente a levante, si
sarebbe poi conclusa verso il mare nel piano della
Statua (oggi piazza dei Martiri).
Conviene annotare, in primo luogo, che al tempo del
Camastra la strada s'interrompeva all'altezza di piazza
Cutelli, e lì si fermava.
Nel giro dei successivi cinquant'anni, alcune cose
cambiarono in quella zona.
Il tracciato viario fu prolungato fino al mare; nuove
costruzioni si elevarono ai limiti dello spiazzale (tra
queste, notevole il palazzo Reburbone, poi Gravina); il
quartiere della Civita si dilatò a levante, scavalcando
la porta di Ferro e il convento di San Francesco di
Paola; lo spiazzale stesso venne ingrandito, così da
poter degnamente accogliere una marmorea statua di
Sant'Agata che i catanesi vollero, in quello scorcio di
secolo, per saldare un debito di gratitudine con la loro
Protettrice.
I fatti che
determinarono l'atto di omaggio sono noti. Li
riassumiamo in breve.
Nel 1743 la
peste infierì nella città di Messina seminando, per
cinque lunghissimi mesi, morte e desolazione fra quella
gente. I catanesi, provati da non troppo remote
sventure, paventarono il contagio, tanto più che il
morbo s'era preannunciato anche a Siracusa.
Presi fra due fuochi, cosa potevano fare per uscirne
illesi? Tapparsi in casa o fuggire? Affidarsi alla
cintura sanitaria imposta dal regio governo? No. Una
sola cosa c'era, piuttosto, da fare: rivolgersi a
Sant'Agata. A Sant'Agata si rivolsero; e Sant'Agata li
salvò dalla peste.
Riconoscenti per lo scampato pericolo, vollero un
monumento che, onorando la Santa, ricordasse ai posteri
il memorabile evento. Così, nel 1744, la statua (che
rappresenta Agata nell'atto di calpestare l'idra
velenosa della pestilenza, ed è opera del palermitano
Michele Orlando) scolpita in marmo di Carrara, venne
alzata sulla sommità d'una colonna romana proveniente
dall'Anfiteatro, e collocata nel centro dello spiazzo
che, da quel momento, fu chiamato piano della Statua.
Malgrado così nobile decorazione, nonostante l'impegno
svolto dal patrizio Giovanni Rosso di Cerami (cui si
devono l'ingrandimento della città e il primo progetto
d'una passeggiata a mare in quella zona), malgrado il
fervore religioso e le buone intenzioni del Decurionato,
il piano della Statua per molti anni non fu che una
polverosa spianata con la superba veduta dell'Etna sullo
sfondo libero di tramontana, e nient'altro.
Nel
1806, un grosso avvenimento lo toccò da vicino.
Un ospite illustre prese alloggio nel palazzo del
principe Reburdone: Ferdinando IV, terzo re di Sicilia.
Dalle cronache del tempo risulta che, nei quattro giorni
trascorsi .a Catania, il re non si stancò di ammirare le
bellezze della città, delle sue strade, delle sue
piazze. In particolarè egli elogiò la imponente strada
dritta dal Borgo a piazza Duomo; la strada Ferdinanda,
coronata a occidente dalla Porta dell'Ittar; la strada
del Corso, riccamente addobbata.
Del piano della Statua nemmeno un cenno. Come mai?
Possibile che l'augusto ospite, che pure dormiva
accanto, guardando il mare non lo avesse notato? O si
trattò di presagio di futuri eventi?
Sta di fatto che trentuno anni dopo l'avvenimento
ricordato, i patrioti catanesi che si erano ribellati
alla tirannide borbonica furono in quel luogo fucilati.
"Là, suIl'ararida spiaggia, in quella piazza che doveva
poi ricordare ai posteri il loro martirio, volto il viso
verso l'immensa distesa del mare, i loro occhi fissarono
per l'ultima volta l'azzurro del cielo ... ".
Cosi, in faccia al cielo settembrino, ai piedi di Agata,
morirono Barbagallo Pittà e gli altri i cui nomi
scolpiti in prosieguo di tempo nel marmo d'una lapide,
furono cementati - guarda caso - su una parete di quel
palazzo che aveva ospitato il terzo re di Sicilia.
Ribattezzata piazza dei Martiri e tuttavia trascurata
dalle civiche amministrazioni succedutesi nell'ultimo
Ottocento, essa servì soprattutto ai pescatori della
vicina Civita che vi trovarono sole e spazio per
stendere e asciugare le loro reti.
Poi,
qualcuno prese a cuore le sorti di questa trascurata
piazza, cosi vicina al mare alla stazione ferroviaria al
porto; una piazza decorata da una colonna romana, dalla
Statua per antonomasia, dal sangue dei martiri del 1837;
una pIazza spazIosa, invitante, di felice squadratura.
Bitumato il fondo, sistemata la base della colonna,
piantati tutt'intorno una collana di palmizi, costruiti
dei sedili, delle aiuole e persino un grande albergo,
essa si abbellì per la prima volta dopo un secolo e
mezzo di abbandono.
E tuttavia,
la toeletta non poteva dirsi completa. Le mancava
l'ornamento più necessario e prestigioso: la passeggiata
a mare.
Era l'inizio del ventesimo secolo. Giuseppe De Felice,
pro-sindaco del tempo, trovò modo di occuparsi anche del
piano della Statua.
Superate non poche difficoltà (remore di carattere
finanziario, resistenze di privati, ostilità di
politici), egli potè realizzare l'ambìta opera la quale,
col passare del tempo, rivelò i suoi limiti.
Una parte del film è
ambientata e girata a Catania. Fefè infatti
ha voglia di rivedere Angela e deve fare un
acquisto importante, così, dopo la prima
scena che mostra una panoramica su piazza
Duomo, con la fontana dell’Elefante,
ritroviamo il barone al tavolino di un bar
del porto di Ognina mentre immagina il suo
delitto e offre del vino ad un avvocato. |
|
|
L'espandersi dei vicini binari della ferrovia andò
sempre più allontanandola dal mare; e i catanesi, che
non avevano mai dimostrato inclinazione per quel
passeggio, non seppero fare di meglio che voltarle le
spalle.
La mai abbastanza compianta Carmelina Naselli scriveva
agli inizi degli anni Trenta: " ... io dico che di
passeggiate i catanesi ne facciamo ancora molte, e
tuttavia disertiamo volentieri l'ampia terrazza della
piazza dei Martiri la quale, a parte ogni altra
considerazione, così alta com'è e isolata dal traffico,
rimane uno dei posti più tranquilli e suggestivi ...
Davanti, a perdita d'occhio, le acque più azzurre, dopo
quelle di Capri, che offrano i mari d'Italia; a sinistra
la selvaggia bellezza della scogliera prolungantesi
lontano, più oltre Acitrezza; a destra la dorata distesa
della Plaja; alle spalle l'Etna, maestosa nel cobalto
del cielo, elemento di bellezza, di ricchezza, se pur
anche di timori ... " .
Verissimo. Ma, a dispetto di tutto questo, la bella
terrazza fu smaccatamente snobbata dai catanesi.
Questione di fortuna; di quella fortuna che la piazza
non aveva avuto, evidentemente.
da
Catania com'era, di Lucio Sciacca - Vito Cavallotto
Editore
E se la via Etnea costituì
l'avamposto dì una vita culturalmente, socialmente e politicamente
nuova oltre che per la presenza dell'Ateneo, per i numerosi locali
letterari che offriva, la Civita rappresentò durante e dopo la
ricostruzione, il quartiere residenziale più illustre, comprovato
dalle residenze di prestigiosi Cittadini e dai numerosi locali
teatrali che essa ha ospitato. A quel tempo teatri, circoli e
riviste periodiche erano le uniche vie percorribili dalle attività
culturali e ricreative di quella società.
Anche se all'inizio i ritrovi
da intrattenimento erano esclusivi, i cui locali venivano ricavati
adattando parti delle stesse residenze nobiliari, restando i ceti
sociali rigorosamente distinti.
Per poter aumentare il numero
degli invitati si arrìvò così a costruire veri e propri teatri.
Successivamente vennero realizzati teatri privati ad uso pubblico,
seppur con settori dì distìnzione sociale diversificata che, sempre
di meno venivano rispettati.
È noto come fin dalle orìgini
I'uomo, per farsi comprendere, si è aiutato con gesti ed espressioni
facciali. Sappiamo che nell'epoca rupestre egli, non possedendo una
scrittura, per trasmettere i suoi messaggi sostituiva ad essa
rudimentali disegni (disegni rupestri).
lmmagini che, quando
l'espressione parlata venne praticata mediante scrittura, non
vennero eliminati, bensì perfezionati. Infatti il disegno, la
pittura, Ia scultura continuarono ad avere una funzione determinante
a sostegno di una migliore comprensibilità come mezzo di
comunicazione del pensiero. Sempre di più, agli ascoltatorì,
l'esposizione di un avvenimento vero o immaginario, veniva
affiancata oltre che ad un espressione faccìale e gestuale, ad una o
più immagini, ottenendo risultati esaustivi al fine di una loro
comprensione.
Man mano che la gestualità, la
vocalità, la varietà della vestitura, a supporto di uno spettacolo,
vennero associati rappresentarono preziosi complementi di arte e di
cultura. Tali iniziative, poi trasformate in spettacolo vero e
proprio, ebbero un ruolo culturale ed istituzionale a sostegno di
principi morali. Quando questi spettacoli diventarono volgari o
addirittura licenziosi, vennero relegati a spettacoli della plebe,
oltre che proibiti. Seppur disprezzati ufficialmente dalle élite
colte, restavano gradìti al popolino; ma capitava che,
riservatamente, venissero organizzate all'interno di periferici
edifici nobiliari.
________________________________________________________________________________________________________
da "Catania dal blasonato barocco
della ricostruzione al vivace liberty dei viali" di Gaetano D'Emilio
- Editore Media Libri - 2009
ENTRIAMO NEL
CUORE DELLA CIVITA
L'AVVURU ROSSU
(grande platano) Era anche il nome del quartiere in cui
si trovava il palazzo arcivescovile. Sotto l'albero, la statua di Ferdinando I di Borbone.
Alta più di tre
metri, mostra il sovrano con un ampio mantello rifinito
sul retro da fiordalisi (abito cerimoniale di Gran
Maestro dell’Ordine di San Gennaro).
La statua venne eretta il 12
gennaio 1853, e posta originariamente nel Largo San
Francesco, nel centro storico di Catania. Nel 1860,
quando le truppe garibaldine invasero l’isola, la statua
del sovrano venne letteralmente decapitata, azione che
denota il fanatismo antiborbonico legato agli eventi
rivoluzionari. La testa non fu mai più trovata, mentre
la statua fu conservata per un secolo nei magazzini
municipali (che all’epoca si trovavano nell’ex monastero
dei Benedettini) e ricollocata di fronte alla facciata
est di Palazzo Biscari nel 1964.
http://www.vivict.it/luoghi-e-monumenti/le-tre-statue-borboniche/
Oltrepassando la
cittadella Vescovile lungo la via Cardinale Dusmet
troviamo l'arvulu rossu, all'angolo della via Porticello
che porta nella piazzetta S. Placjdo (ex porto Saraceno
o porticello, dove inizalmente sfociava l'Amenano).
Qui
si incontra la Chiesa di San Placido in tututto con Casa
Platamone che, attraverso le vie Vittorio Emanuele e
Biscari, collegate dalla via Landolina, riporta nella
piazzetta che prende il nome della chiesa.
Dal lato nord,
percorrendo la via Vecchia Dogana ritroviamo in via
Vecchio Bastione l'antico teatro Coppola al fianco di
quanto rimane dell'ex Collegio Stesicoro a seguito dei
bombardamenti dell'ultimo conflitto bellico
Superando il
complesso Biscari a sinistra si accede nella piazza Duca
di Genova e quindi nella piazza Bellini, con il suo
Teatro Massimo a sud ed il Palazzo dell'lntendenza di
Finanza a nord, sul sito dove sorgeva l'Abbazia di
Nuovaluce, ed era in previsione la costruzione di un
grande teatro cittadino.
|
|
IL
OUARTIERE PRIMOGENITO
Anche se sono state riscontrate
tracce di un insediamento umano su una delle alture, tra le tante
che oggi fanno parte della città, Ii ubicata, per meglio difendersi
da gruppi ostili trovasi, non lontano dall'attuale porto, Ia Civita,
quartiere storicamente più importante di Catania.
Viene riportato che un tempo esso
dovette essere una cittadina, tanto che molti popoli mediterranei,
al tempo dei normanni, per Civita intendevano indicare l'intera
città.
Su indicazioni che provengono da
testimonianze storiche, si è certi che la Civita è stato il vero
primo nucleo abitato dai catanesi.
Sorto in riva al mare punti di
riferimento sono: il Porto, la Platea Magna e la Marina.
Essi in
sinergia hanno favorito le attività pubbliche e private dei vari
insediamenti umani che nel tempo si sono succeduti.
Fin dall'epoca preistorica, il
territorio del quartiere è stato interessato dalle colate laviche
dell'Armisi che, raggiunto il mare, hanno disegnato l'andamento
dell'attuale bagnasciuga.
Genericamente viene indicata
Civita il quartiere che, dal lato mare, inizia dalla villetta Pacini,
segue la costa tra la piazza Duomo e la piazza dei Martiri,
prolungandosi per la via VI Aprile fino nei pressi della Stazione
Ferroviaria; dal lato monte comprende parte del territorio lungo la
via Di Sangiuliano, a partire dalla via Coppola, fino ad incrociarsi
con la stessa via VI Aprile all'altezza della Stazione, al confìne
tra i quartieri di S. Berillo da una parte e dello Spirito Santo
dall'altra; seppur vengono considerate "Civitote" altre aree
circostanti.
La parte est della via Vittorio
Emanuele, tra le vie Cardinale Dusmet e Di Sangiuliano, rappresenta
la centralità del quartiere.
E, se per i normanni con la
Civita veniva indicata l'intera città, per gli antichi catanesi il
quartiere andava.. d'ò Signuri asciutu all'arvumare e delle attività
religiose che, di epoca in epoca, si svolgevano nella Platea Magna,
sono state una componente importante per la formazione del quartiere
prima e della città successivamente.
________________________________________________________________________________________________________
da "Catania dal blasonato barocco
della ricostruzione al vivace liberty dei viali" di Gaetano D'Emilio
- Editore Media Libri - 2009
Il percorso di oggi
ci ha fatto riscoprire il piacere di passeggiare
attraverso i vicoli del più antico quartiere della
nostra città, per ritrovare in esso gioielli
architettonici come la casa di Giovan Battista Vaccarini
– il principale protagonista della rinascita barocca
della città dopo il disastro del 1693 – e luoghi carichi
di storia, come la piazza XVII Agosto, con le sue
pesanti memorie legate ai bombardamenti del 1941 ma
anche e soprattutto testimonianza della capacità di
rialzarsi che Catania ha sempre dimostrato nei momenti
più difficili della sua storia.
Qui fra vicoli, cortili e case terrane ancora oggi è
facile trovare anziani pescatori seduti a cucire le
reti, aiutati dai nipoti in una importantissima
continuità nella trasmissione dei valori, delle
tradizioni e dei mestieri che da millenni caratterizzano
questa zona della città.
Le stesse scene avremmo potuto infatti ritrovarle anche
nel Medioevo, quando attorno alla nuova Cattedrale
normanna nasce la Civitas, sebbene allora il quartiere
si presentasse molto diverso rispetto ad oggi. La
principale differenza, che salta agli occhi guardando le
antiche carte, era la presenza della possente cinta
muraria.
La tradizione, la topografia e la toponomastica, estremi
baluardi di una memoria storica sempre più labile,
raccontano ancora di quel tempo – nemmeno troppo lontano
– in cui l’orizzonte della città era chiuso entro un
limite sicuro e invalicabile. Di questo sono pochi i
catanesi ad aver coscienza, sebbene in migliaia ogni
anno il 4 febbraio, nel “giro esterno” di Sant’Agata,
seguano inconsciamente quell’antico tracciato che,
seppur con modifiche e adattamenti, rimase pressoché
invariato dall’ XI al XVIII secolo.
All’alba del Cinquecento Catania si presentava ancora
cinta dalle antiche fortificazioni normanne, segnate da
piccole torri a pianta quadrata, e con la zona della
marina che – dicono le fonti – versava in condizioni
pessime, spesso impaludata dalle piene dell’Amenano ed
esposta a venti e mareggiate.
Ma dal 1541 iniziarono grandi lavori che cambiarono il
volto della città, seppure portati avanti lentamente e
conclusi soltanto pochi anni prima che la lava del 1669
e il terremoto del 1693 spazzassero nuovamente tutto
via.
Primo, fondamentale oggetto di restauro, furono le
fortificazioni che urgeva adeguare alle nuove tecniche
di assedio, su progetto di Antonio Ferramolino da
Bergamo. Iniziati a rilento, i lavori ebbero
un’accelerazione a partire dal 1551, per impulso del
viceré Juan De Vega e del pressante pericolo turco, e
avanzarono tenendo conto delle priorità, poiché i fondi
– provenienti da un’autotassazione dei cittadini – erano
limitati.
In questo senso si spiega la maggiore attenzione che fu
rivolta al fronte mare, il più esposto agli attacchi,
che venne totalmente rifatto e protetto da una spessa
cortina muraria, rafforzata dai nuovi bastioni di San
Giorgio e Santa Croce attorno al Castello Ursino, don
Perrucchio (nella zona dell’attuale via Vecchio Bastione
prendeva nome da don Perrucchio Gioeni personaggio di
spicco dell’aristocrazia catanese del tempo, che aveva
il compito di curarne la manutenzione) e il Bastione
Grande nella zona dell’attuale piazza dei Martiri, detto
anche San Salvatore dal nome della vicina chiesetta in
cui era conservato il mezzobusto ligneo di Cristo
veneratissimo dai pescatori (dopo la demolizione della
vecchia chiesa per far posto alla linea ferrata, oggi è
conservato nella cappella di Via Dusmet).
Tali interventi nel
1620 furono completati su iniziativa di don Francesco
Lanario, Duca di Carpignano, Soprintendente generale
alle Fortificazioni. Egli, oltre al miglioramento
funzionale delle difese, curò la nuova sistemazione
della marina che, da sito pericoloso e malsano, divenne
luogo di delizie e di piacevoli passeggiate, con
panchine e palchetti per la musica.
Questa nuova strada, ribattezzata Via Lanaria in onore
del Duca, seguiva l’andamento dell’attuale via Dusmet,
era pavimentata – cosa straordinaria per l’epoca – ed
arricchita da tre monumentali fontane nelle quali era
stata incanalata l’acqua dell’Amenano: la prima era la
biviratura magna sotto la cortina di Gammazita, la
seconda la grande Fontana dei 36 Canali vicino alla
porta omonima che ancora oggi si può ammirare alla
Pescheria, e la terza la Fontana di sant’Agata
realizzata sul luogo in cui secondo la tradizione i
catanesi salutarono fra le lacrime le reliquie della
martire trafugate nel 1040 dal generale bizantino
Giorgio Maniace. Quest’ultima fontana è l’unico ricordo
che resta di quel sito di delizie, cancellato dalla
furia della lava del 1669 che cambiò totalmente al
morfologia di questa zona della città.
Altro fu invece il destino delle mura, che resistettero
bene alle calamità naturali che alla fine del ‘600 si
abbatterono sulla città, ma non ad un nuovo modello di
sviluppo urbano proiettato all’espansione sul
territorio, che dalla metà del XVIII secolo portò a
sacrificare gli antichi imponenti bastioni sull’altare
dell’apertura dei nuovi assi viari.
Ma sotto il moderno assetto urbanistico, si può ancora
seguire il tracciato della possente cinta muraria fatta
per resistere agli attacchi del temibile pirata Dragut.
Essa è ancora parte della memoria storica della città.
Non perdiamola.
MATILDE RUSSO
http://cataniagiovani.wordpress.com/2011/01/09/catania-il-volto-dimenticato-della-citta%E2%80%99/
A colori e in bianco
e nero.
A colori come il mare e
il cielo di Catania ma anche come quello dei suoi palazzi: il bianco
del tufo e il nero della pietra lavica. E nella città vecchia di
questi palazzi ce ne sono parecchi.
E poi, consentitemelo,
mi sono voluto un po' divertire a pennellare questo spazio
fotografico dedicato allo splendido quartiere della Civita ovvero
l'antica Catania all'interno della quale, vicino ai rioni popolari -
architettonicamente non meno validi di quelli più blasonati che li
circondano -, furono ricostruiti i sontuosi palazzi
dell'aristocrazia catanese ad opera dei migliori architetti del
tempo dopo il terremoto del 1693.
Una ricostruzione che
non avvenne solo alla Civita, e gli esempi sono a tutti noti: anzi
Noto, Acireale, Militello Val di Catania, Vizzini, Modica, Ragusa,
tutta la zona di Via Crociferi, Piazza Duomo e parte del centro
storico di Catania. Fu, soprattutto, l'occasione per mettere in
opera l'estro e la fantasia di quegli architetti (possiamo chiamarli
artisti?) fra i quali spiccarono Ittar, Battaglia e Vaccarini,
fautori del forte sviluppo dell'arte barocca in Sicilia orientale.
Ma non solo quello, perchè tutta la parte bassa di Via Vittorio
Emanuele (quella che da Piazza San Placido porta fino in Piazza dei
Martiri e quindi al mare) è stata creata grazie alla costruzione,
fino alla fine dell'Ottocento, di bellissimi e nobili palazzi che
molti catanesi sconoscono. A volte basterebbe sollevare solo un po'
il nostro naso per renderci conto di quello che abbiamo sopra le
nostre teste. Questa è roba nostra, alla nostra portata; è in attesa
di farci vedere i suoi terrazzi, i saloni, le stanze, la sua storia
..... e le occasioni sono tante, basta solo informarsi. Purtroppo i
nostri sguardi rimangono calati in basso perchè al piano-terra di
questi edifici c'è il ristorante dove cucinano un kebab eccezionale
o perchè al Circolo culturale di fronte suona chissà chi.
Incastonato fra il
centro storico e il porto, questo quartiere è un gioiello che va
invece salvaguardato perchè è il biglietto di benvenuto per chi
entra a Catania da ovest passando attraverso quegli archi bianchi e
neri che la separano dal mare. Quel mare arretrato artificialmente
tanto tempo fa e che una volta lambiva addirittura le mura della
città, appunto la Civita.
LA STORIA URBANISTICA DEL
QUARTIERE
Nel successivo
periodo medievale,
il quartiere fu interessato da una ristrutturazione per la
realizzazione di isolati circondati da strade larghe e piazze che
avvenne a cominciare dal mare. E si presume essere il periodo in cui
gli ebrei, integrati vi abitarono, occupandosi di artigianato,
commercio ed anch'essi della commercializzazione della seta
siciliana tra le più richieste in tutta Europa ed anche in Asia,
tanto da creare, per funzionalità e garanzia commerciale sulla
qualità della merce, i cosiddetti "consolati della seta", per cui
nella città esiste una via chiamata Consolato della Seta.
Quando l'11 gennaio del 1693 si
verificò il terribile evento sismico, Ia città cinquecentesca murata
lamentò tante vittime che ridusse di due terzi la popolazione di
allora; ne restarono pochi di catanesi che si aggiravano tristemente
tra le macerie di quanto era rimasto.
Nella
fase di ricostruzione della città,
con la scelta del fronte mare vicino al porto e la conferma
dell'area del vecchio sito, ripartendo dalla storica Platea Magna
collegata al porto ed il recupero della Cattedrale non completamente
distrutta, la Civita venne confermata residenza del ceto abbiente e
nobile. Previsioni urbanistiche principali che, comprendendo il
lungomare, si orientavano a nord verso il vulcano Etna e ad ovest
verso l'altopiano di Montevergine, con possibìlità di espansione
lungo l'ovest di via Garibaldi.
Sgombrate le macerie, vennero
disegnati ampi isolati, edificati magnifici edifici residenziali
della nobiltà del tempo, pur frammisti a numerose zone interne di
modeste abitazioni tra viuzze e cortiletti. Per le fondazioni di
grandi realizzazioni edificatorie,
si utilizzarono tratti di mura di fortificazione e baluardi
(città Vescovile, palazzo Biscari,
Collegio Cutelli, Teatro Bellini, Casa Vaccarini).
Il Piano di S. Agata, dove
venivano localizzati il potere religioso, politico, commerciale ed
amministrativo, avrebbe continuato a svolgere il ruolo di guida
centrale della nuova città. Considerate, dalla apposita commissione
speciale costituita, quelle aree del quartiere di "posizione
ambientale pregiata",
venne stabilito per esse, un prezzo triplo rispetto alle altre; in
verità, in modo tale che restasse zona residenziale riservata ad
aristocratici, ricchi e potentati.
Certamente nel processo di
ricostruzione, insieme alla via Etnea, la Civita rappresentò una
importante componente della risorgente città, la cui gran parte
delle costruzioni barocche lungo le vie principali, hanno dato
lustro all'intera città, tali da risultare determinanti, per essere
il Centro Storico catanese, riconosciuto dall'Unesco patrimonio
dell'umanità da tutelare.
Fra le più apprezzate costruzioni
della Civita vanno citate quella dei Biscari, Valle, Boccadifuoco,
Rapisardi di S. Antonio, Platamone, Bonajuto, Reburdone, Polino
Alfano, Serravalle, Vaccarini oltre la cittadella Arcivescovile, la
Chiesa della Badia di S. Agata, il Convento di S. Caterina (oggi
Archivio storico), il Collegio Cutelli, la Chiesa di S. Placido.
Non c'è dubbio che il ruolo
trainante della Civita è stato, in tutte le epoche, determinante
perché numerose iniziative, che avevano origine dagli illustri
cittadini della avita, si discutevano e si decidevano nelle sedi
istituzionali della piazza grande della città: la Platea Magna,
Biscari, Platamone, Cutelli, Vaccarini, Alonzo Di Benedetto, S.
Alfano, Di Sangiuliano, Manganelli, Gioeni, Carcaci, Casalotto,
Cilestri, Paternò Castello, anche se non tutti risiedevano da quelle
parti, lì si concentravano
e decidevano gli interessi della città.
Nel
1867 I'Amministrazione Casalotto
costituì l'Ufficio Tecnico Comunale e, nel 1879, per concorso
pubblico, assunse gli ingegneri Filadelfio Fichera e Bernardo
Gentile Cusa. Quest'ultimo
ebbe l'incarico di studiare il risanamento urbanistico di alcuni
quartieri della città e tra questi quello della Civita. Gentile Cusa
, fra l'altro, lungo la via della Marina (oggi Cardinale Dusmet)
propose, seguendo lo schema "camastriano", la ristrutturazione della
zona a sud della piazza Cutelli, precedentemente abitata dagli
arabi, prevedendo alcune nuove vie "larghe ed ortogonali fra di
loro". Le via Calì, Porta di Ferro, S. Gaetano, Partenope e
Cristoforo Colombo, in modo da eliminare un aggrovigliamento di
viuzze e vicoli di percorso mistilineo, ed all'interno di tali nuove
vie realizzare la vasta piazza Rattazzi che. formando due grandi
monoblocchi rettangolari, avrebbe collegato la via S. Gaetano con la
via Porta di Ferro e la piazza Cutelli. La via Partenope, così pure
la piazza Rattazzi, non vennero realizzate e neanche quella parte di
via Cristoforo Colombo in sostituzione della via Vecchio Bastione.
Subito dopo la costituzione
dell'Ufficio Tecnico Comunale, vennero studiate varie proposte di
risanamento dei quartieri in degrado. Per quanto riguarda la Civita
riscontriamo lo studio urbanistico di un quartiere destinato ad
essere abitato anche dalla gente di mare. Era stata infatti
prevista, sul lato mare, una sistemazione con tale obietto
nell'allora contrada di S. Francesco Di Paola. Così pure per il
Largo della Statua veniva programmata una ristrutturazione urbana,
tra la fine della via quattro Cantoni (Di Sangiuliano) ed il
collegamento viario con il Largo della Statua, in cui si prevedeva
un vasto giardino ed una via indirizzata verso Ognina, più larga
dell'attuale via VI Aprile Mentre dal Gentile, che fu il primo
professionista dell'Ufficio tecnico a guardare il problema
urbanistico di Catania, sia nella direzione del risanamento che
delle previsioni di ampliamento, viene riportata un'ipotesi dì
risanamento della parte degradata che va dalla Piazza Cutelli fino
alla via della Marina, iniziatasi ma non conclusasi.
Nella zona Porto della Civita il
Gentile Cusa, che aveva studiato tante ipotesi per risanare quella
parte di quartiere, lamentava che, malgrado la vecchia avita fosse
stata "sventrata dalle tre grandi vie S. Gaetano, Porta di Ferro e
Cali, proseguendo su questa scelta urbanistica, il risultato non
sarebbe stato pienamente raggiunto. Il marcio ed il luridume sarebbe
rimasto, bisognava pertanto non soltanto sventrare caseggiati per
aprire strade e piazze, ma continuare la distruzione del caseggiato
insalubre fin a raggiungere lo scopo completo". Diceva bene ma
I'Amministrazione non aveva i mezzi sufficienti per operare in tal
senso.
________________________________________________________________________________________________________
da "Catania dal blasonato barocco
della ricostruzione al vivace liberty dei viali" di Gaetano D'Emilio
- Editore Media Libri - 2009
E' uno dei più
antichi palazzi della città, preziosa testimonianza di
barocco siciliano. I suoi saloni affrescati mantengono
ancor oggi intatti fascino ed eleganza, ponendosi come
splendido scenario per occasioni importanti quali
concerti, meeting, ricevimenti, serate di gala, sfilate
di moda e altro. Palazzo Biscari è nel cuore della
città, nelle sue immediate vicinanze si trovano tutti
gli altri tesori di Catania storica
All'interno, si
trova il "salone delle feste", di stile rococò dalla complessa
decorazione fatta di specchi stucchi e affreschi dipinti da
Matteo Desiderato e Sebastiano Lo Monaco. Il cupolino centrale
era usato come alloggiamento dell'orchestra, ed è coperto da un
affresco raffigurante la gloria della famiglia Paternò Castello
di Biscari.
Palazzo
Biscari, il più sontuoso edificio privato di Catania,
rappresenta un caso unico, per la struttura, la pianta e
le decorazioni. Dopo il terremoto che nel 1693 distrusse
quasi interamente la città, Ignazio Paternò Castello III
Principe di Biscari ottenne dal Luogotenente Generale
Giuseppe Lanza, Duca di Camastra, artefice della
ricostruzione catanese, il permesso di edificare il
nuovo palazzo sul terrapieno delle mura cinquecentesche
di Carlo V. Ignazio muore nel 1700, il figlio Vincenzo,
IV principe di Biscari, inizia lavori organici e
continuativi che dureranno più di un secolo e a cui
parteciperanno i più grandi architetti catanesi
dell'epoca: Alonzo di Benedetto, Girolamo Palazzotto,
Francesco Battaglia e suo figlio Antonino.
All'inizio del Settecento l'edificio si presentava come
un vasto trapezio, accentrato sul grande cortile a cui
si aveva accesso attraverso un portale riccamente ornato
e sormontato dallo stemma con i quattro quarti di
nobiltà. Nei primi decenni del secolo Antonino Amato
completò la decorazione della facciata alla marina.
Per
chi allora arrivava dal mare, l'incontro con il palazzo
offriva, grazie al totale dispiegarsi del paramento
decorativo, la snella visione dei balconi e delle lesene
con decorazioni a fiori, putti e telamoni che emergevano
dal fondo nero della base lavica. E' il trionfo non
solamente di un gusto e di uno stile, ma anche delle
capacità tecniche degli intagliatori e dei decoratori
che si erano formati nel grande cantiere della Catania
del XVIII sec.
La terrazza si prolunga in una linea ideale, la stessa
che collega l'ultima parte del Palazzo Episcopale e che
doveva far parte di quel "Teatro alla Marina" a cui
pensavano i nobili e il senato catanese alla fine del
dodicesimo secolo.
Guardando il palazzo dal mare si distingue la parte
verso est, più austera e maestosa, realizzata dopo il
1750, caratterizzata dal gioco di colonne e dai profondi
balconi. Qui Battaglia discosta senza boria la sua opera
dalla decorazione degli Amato, accanto ai quali aveva
svolto la sua attività giovanile. L'ariosa galleria,
pacatamente ripartita tra larghi binati di semicolonne,
s'imposta sul cordone delle mura, distendendo piane
superfici e fusti levigati: strutture limpide,
articolate in funzione del ritmo e del paesaggio. Senza
forzare verso una fredda compostezza formale, Francesco
Battaglia mostra la genuinità, se non il vigore, delle
sue inclinazioni classicistiche.
Il palazzo raggiunse il massimo splendore con
l'intervento di Ignazio V Principe di Biscari, uomo
eclettico, appassionato d'arte, di letteratura e di
archeologia una delle figure delle più significative
nella vita culturale di Catania nella metà del
Settecento. Committente non comune, il principe non si
limita a manifestare all'architetto le proprie esigenze,
ma suggerisce e propone modelli e soluzioni che gli
vengono ispirate da tutto ciò che vede durante i suoi
numerosi viaggi.
Interessato al progresso culturale della sua città fece
edificare un teatro privato con due ordini di palchi e
con un accesso esterno per il pubblico che concede per
l'Opera in attesa che quello cittadino sia completato e
in cui paga i palchi che si è riservato.
Ma forse è come archeologo che è il benemerito di
Catania. Riedesel e Brydone hanno assistito di persona
ai lavori che, sotto la sua direzione, hanno portato
alla luce l'anfiteatro antico. Incaricato della
intendenza per gli scavi archeologici nella Val Demone e
Val di Noto (l'attuale Sicilia Orientale), dedicò un
particolare impegno alla costruzione e alla sistemazione
di un museo che volle come degna cornice per le sue
raccolte archeologiche provenienti dagli scavi che lui
stesso dirigeva (1746).
Le ampie sale ornate di colonne,
disposte intorno a due cortili racchiudevano una
collezione scelta con competenza, lodata ed elogiata nei
diari dei numerosi eruditi di tutta Europa che nel
Settecento vennero a visitarlo. La raccolta non
comprende soltanto oggetti antichi (medaglie, vasi,
cammei, statue) ma anche un museo storico siciliano
(armi, abiti, giocattoli) e un gabinetto di fisica e
storia naturale (strumenti e minerali). Vi si trovano in
particolare, sotto la denominazione di "frutti
dell'Etna" dei campioni di lava, di zolfo ecc.
Oggi il
cortile centrale del palazzo si presenta attorniato da
costruzioni di epoche diverse e dominato dalla scalinata
centrale a tenaglia che introduce nella parte più
preziosa dell'edificio.
La visita dell'interno si rivela di non comune
interesse. Legata alla personalità di Ignazio, si
sviluppa una coerente distribuzione degli spazi,
specchio di una misura di vita, che si deve svolgere in
una casa confortevole per lo spirito e per il corpo,
nell'ordine e in armonia con ideali che non restano
limitati nella contemplazione del passato.
Dopo la sala d'ingresso che contiene grandi tele
raffiguranti le piante dei possedimenti dei Biscari,
superate le successive stanze, si entra nel grande
salone, che riunisce molti artifici dello stile rococò.
Tutto è luce: le specchiere, le bianche porte e il
rilucente pavimento di mattonelle ceramicate napoletane.
Posti sopra i camini,inseriti in eleganti nicchie, gli
specchi con la loro luce riflessa, nel mondo allusivo
del rococò, evocano simbolicamente il fuoco. Il cui dio,
Vulcano, ritroviamo nel "Consiglio degli Dei" riuniti a
celebrare il trionfo del casato dei Paternò Castello
nell'affresco del soffitto di Sebastiano lo Monaco. Qui
si trova una realizzazione quasi unica: il cupolino si
apre in un ballatoio su cui si disponevano tutt'intorno
i musicisti. La grande cupola è decorata con otto ovali
con figure allegoriche contrapposte: Purezza e Vanità,
Forza e Giustizia, Giorno e Notte, Amore e Morte.
Le porte sono sormontate da sette grandi tele che
mostrano vedute di Napoli, di ottima fattura e piene di
particolari della vita di ogni giorno e di riferimenti
topografici ed architettonici. Sono opere di Eustachio
Pesci (1771) autore anche delle vedute presenti nel
Palazzo Reale di Portici.
Nell'ingresso dell'alcova di fondo le colonne vengono
capovolte, quasi con finalità anticostruttive per
scioglierle da ogni rapporto con i canoni architettonici
e per inserirle nella predominante ricerca
dell'asimmetria. Ma è nella galleria che si coglie il
frutto più sorprendente del "nuovo stile" introdotto
nell'Isola. La scala riceve con esatta tangenza la luce
che entra dalle larghe vetrate, gli stucchi accompagnano
il dispiegarsi del ritmo, quasi la descrizione nello
spazio di una vaporosa piroetta. Opera che supera i
risultati dell'attività degli artigiani locali, e che
potrebbe essere nata dalla collaborazione
dell'esperienza tecnica di Francesco Battaglia con i
decoratori (pensiamo ad Antonio Pepe), stimolati dai
disegni che il principe Ignazio raccoglieva per la casa
e per la biblioteca. Sulla porta della galleria gli
affreschi aggiungono un elemento ricorrente della
decorazione rococò: scene galanti alla Watteau sulle
quali scorciano prosperosi putti, gemelli di quelli che
nel soffitto del salone allargano la corona di fiori e
frutta.
Boiseries, intarsi, specchi, affreschi, porcellane,
cineserie si ritrovano nelle stanze dell'appartamento
del primo piano, una suite di tre piccole camere,
l'ultima delle quali è di grande interesse. In essa il
pavimento a commesso di marmi antichi, è simile a quello
della stanza di Leda a Palazzo Rondinini a Roma ( 1760).
Il gusto dei marmi antichi, sia come collezione che per
reimpiego, conobbe grande favore nella seconda metà del
'700 in seguito agli scavi di Ercolano. Trovare questo
in Sicilia è di indubbio interesse poiché, mentre nella
Città Eterna l'abbondanza di marmi antichi permetteva
questi disegni con grandi lastre, ciò era molto più raro
nelle città "periferiche". Le pareti sono rivestite da
una boiserie in legno di rosa con intarsi che creano
motivi "à berceau" con intrecci di rami e pagode "en
chinoiserie" eseguiti con notevole maestria.
Il palazzo è
ancora oggi in gran parte abitato dai discendenti della
famiglia e i suoi saloni principali sono spesso usati
per manifestazioni di prestigio di carattere mondano e
culturale.
Gran parte delle collezioni raccolte nel museo del
principe di Biscari sono state donate al comune e
trasferite al Museo Civico di Castello Ursino.
www.palazzobiscari.com
Nicoletta Moncada
Paternò - Castello
Via Museo Biscari, 10-16 95131 Catania - Italy Tel. 095
7152508 - 095 321818 -
329 4145955 Fax: 095 32 1818
e-mail: info@palazzobiscari.com
Urbanisticamente la città è un
guazzabuglio di stili perché tutti quelli che son passati da queste
parti hanno lasciato una traccia. Greci, romani, arabi… Nonostante
ciò, a parte qualche vicolo superstite, la pianta della città è
molto nordica, con vie che s’incrociano ad angolo retto, grazie alla
ricostruzione dopo il terremoto del 1693, opera dell’architetto Gian
Battista Vaccarini.Lo stile predominante è il Barocco: un tripudio
di curve, bombature, decorazioni leziose, fronzoli dorati. La summa
di quest’universo architettonico è Palazzo Biscari, un vero e
proprio trionfo di putti, sculture, cariatidi e balconi incorniciati
da cartocci. Oggi, con la sua famiglia, un enorme cane e un gatto,
ci vive Ruggero Moncada. Le origini del suo casato si perdono nel
tempo. È il 1059 quando Roberto, figlio morganatico del conte di
Embrun, congiunto con i principi normanni, viene mandato dal padre
in Sicilia e partecipa alla sua conquista dimostrando grande valore.
La leggenda dice che al termine di una feroce battaglia mostrò al
conte Ruggero il proprio scudo dorato privo di insegne e questi, con
le dita insanguinate, tracciò le quattro canne rosse su campo oro
che da allora caratterizzano lo stemma del casato. «La mancanza dei
quattro quarti di nobiltà - ci racconta il Moncada, accompagnandoci
nelle stanze del palazzo - venne marcata da un cingolo blu che in
quella posizione voleva dire gentiluomo di spada sì, ma bastardo».
Oltre alle insegne a Roberto fu fatto dono anche di terre, casali e
soprattutto di un bivio che portava al paese di Dernò, l'odierna
Adrano. Divenne quindi signore del bivio “Per Dernò”. Probabilmente
il suono di queste parole piacque a Roberto, che decise di chiamarsi
Paternò. Da tre secoli tra i possedimenti dei discendenti dei
Paternò, che dal 1632 si fregiano del titolo di Principi di Biscari,
c'è l'omonimo palazzo. Trecento anni di incessanti lavori che hanno
partorito un caotico labirinto a sei livelli sfalsati, che copre
un’area di circa ottomila metri quadrati, con oltre seicento stanze,
sette cortili, un giardino pensile, un giardino giapponese, le
vestigia di un teatro, i sotterranei. «Il massimo della
spettacolarità è offerto dal grande salone da ballo a pianta
ottagonale» - ci spiega il padrone di casa introducendoci in uno
splendido spazio che ospita un vasto campionario dei molti artifici
tipici dello stile rococò -. Qui è stato ricavato il primo campo da
tennis indoor di Catania». Quando gli alti comandi delle truppe
inglesi sbarcarono in Sicilia nel secondo conflitto mondiale, dopo
aver preso possesso di Palazzo Biscari, stupiti dalla grandezza del
salone da ballo tracciarono delle righe sul pavimento (realizzato
con splendide maioliche di Vietri) e decisero di utilizzarlo come
campo da tennis. Probabilmente il più elegante campo da tennis della
storia.
Intervista con il Gattopardo catanese: l'educazione,
le vacanze da ragazzino a Forte dei Marmi, la fuga d'amore,
l'esistenza sotto un vulcano dall'Etna a Stromboli
Di Ombretta Grasso - 24 Settembre 2023
Sotto un vulcano, sempre. Con lo sguardo sull’Etna o all’ombra dello
Stromboli, immerso in quel flusso di energia. Ruggero Moncada
Paternò Castello, gattopardo ironico e racé, è il signore di Palazzo
Biscari, un magnifico frammento della storia universale della
Sicilia. Una favolosa dimora aristocratica che conta 600 stanze.
Troppe? Forse, ma «una casa di cui si conoscono tutte le stanze non
è degna di essere abitata» (“Il Gattopardo”).
«Provengo da una famiglia con delle tradizioni, ma sane. Ho avuto
un’educazione severa, rigida. Da bambino ero schifiltoso con il cibo
e ho preso tante di quelle botte… Mia madre non cucinava “per”
qualcuno ma “contro”: il sale lo metteva il lunedì ed era a posto
per la settimana! Quando nasci in una famiglia con dei valori, a
vent’anni sei un po’ rigidino però ti alzi in piedi quando entra una
signora, apri lo sportello, baci la mano, hai delle regole. A volte
inutili, altre volte fanno la differenza. Piaci moltissimo a mamme e
nonne, alle ragazze no. Sei un “citrolo” di 14-15 anni, e loro
preferiscono quelli malandrini, non i damerini. Poi, crescendo,
vieni apprezzato. Sai dire bene le parolacce… puoi dire cose
politicamente scorrette… E a me diverte, ma spero con garbo e
autoironia. Fa parte dal modo di essere che la gente si aspetta, il
turista che visita Palazzo Biscari cerca un principe, un Tancredi».
Una vita di privilegi?
«Mia
madre era una borghese, c’è un misto di valori nell’educazione. Poi,
ho avuto un maestro di sinistra che mi ha fatto capire che ero
particolarmente fortunato. E che non tutti lo erano. Mi è entrato un
sentimento di partecipazione, di condivisione, e anche un prendere
in giro queste famiglie che hanno i loro difetti. Tomasi di
Lampedusa li racconta benissimo perché li conosce, De Roberto,
borghese, non salva nulla dell’aristocrazia».
Nei saloni di Palazzo Biscari hanno girato alcune scene della serie
tv Netflix sul Gattopardo.
«Una
specie di “Downton Abbey” siciliana. Nei nostri saloni rococò hanno
girato il ballo dell’Unità d’Italia, non quello celebre del
fidanzamento di Angelica. Può essere un ulteriore lancio, se gli
aeroporti saranno in funzione, se la città sarà pulita. Parliamo
tanto di turismo ma siamo indietro, non si può trascurare così
Catania, non si può trascurare la Sicilia».
Tanti gli ospiti famosi del Palazzo.
«Dalla
Regina madre d’Inghilterra a Mick Jagger. Con lui è stato fantastico
perché gli ho potuto raccontare un episodio di vent’anni fa quando
Marta Marzotto venne per Sant’Agata e pubblicò su “Chi” una mia
foto. Nelle didascalie c’era Bianca Jagger a New York e, nell’altra
foto, Ruggero Moncada a Catania per Sant’Agata.
Gli ho detto: sono stato con tua moglie Bianca: lei sopra e io
sotto… Lui mi ha guardato un po’ storto».
Vive nella grande bellezza.
«Sono
nato e cresciuto qui. Ma la bellezza si può trovare anche in una
conchiglia».
Dove trascorreva le vacanze?
«Al
Forte, in quello che ora è il regno della Santanchè. Mia madre era
lombardo veneta, il nonno un famosissimo dermatologo. Dal 1955 al
1975 ho passato a Forte dei Marmi tutte le mie estati. Vacanze da
“Sapore di mare”, un’atmosfera abbastanza simile ai film, con quella
sfilza di personaggi. Io ero il meridionale ed anche il nobile in
mezzo ai ricconi milanesi con villona e motocicletta».
C’erano feste, balli, occasioni mondane?
«C’era
già un gruppo più intellettuale, di nicchia. Frequentavamo Carlo
Carrà, suo figlio, i nipoti. Fiammetta Carrà era una cara amica.
Passavano la Bellonci, Giuseppe Berto, scrittori premi Strega e
Campiello. L’ambiente in cui noi ragazzini vivevamo».
Com’erano le giornate?
«Si
faceva vita di pineta, si andava al cinema. Si viveva del gelato,
delle passeggiate. Il nonno piazzava moglie, due figlie, i generi,
cinque nipoti, i camerieri, un’infermiera per la nonna diabetica,
una cuoca, insomma un popolo, in questa casa al mare. Noi ragazzi
stavamo nelle stanze con i letti a castello. I due più grandi
avevano una vita notturna, andavano alle Capannine. Io non l’ho mai
fatta. Ero un ragazzino magretto, un barone rampante sugli alberi. A
20 anni, sono andato all’università a Padova perché mi piaceva una
ragazza che è diventata mia moglie, Nicoletta. Siamo insieme da 48
anni».
Vacanze in Sicilia?
«Da
bambino ci mettevano vicino all’hotel Airone. La casa veniva
affittata con i Castorina e i Serrano, quelli dei cinema. Stavamo lì
con le bambinaie e ogni tanto ci venivano a trovare. Io ne
avevo una bellissima, Teresa. Le persone di servizio che lavoravano
per mia madre si sposavano entro l’anno dal loro arrivo. E bei
matrimoni. C’era un’amica zitella che ci chiedeva ridendo di passare
da noi un paio di settimane. Più grandi, finite le scuole si andava
al mare all’Excelsior, poi ai Ciclopi, quindi si partiva per la
villeggiatura al Forte. Vacanze infinite».
E dopo i 20 anni?
«Lunghi
e meravigliosi viaggi con mia moglie. Nel ’76 andammo in auto in
Spagna per un mese. Poi, un viaggio indimenticabile in Grecia, nel
1978-79. Il mio migliore amico, Mario Castorina, arrivò con un pezzo
per la barca di Pino Sivieri, l’ingegnere che aveva costruito l’Atlantis
Bay e il Palacongressi a Taormina. Giravamo il Peloponneso su questa
barca d’altri tempi, vela latina a penna, per polena una sirena
azzurra, usata per il contrabbando del sale. A bordo Steve Caramazza,
Maria Francesca Natoli, Elena Cutrona. Non andavo più al Forte, mia
madre era divertentissima, ma possessiva».
E il papà Vincenzo?
«Fantastico,
un uomo di grande rettitudine. Ha preservato tutto questo. Era
bravissimo in campagna, un imprenditore adorato da tutti. Mia mamma,
Annalisa Flarer, era una scrittrice, nella cinquina del Premio
Strega con “L’anno venturo al di là del mare”. Ha scritto un libro
sui San Giuliano. Una grande famiglia».
Adesso dove trascorre l’estate?
«Le
mie vacanze erano le villeggiature con i nonni, poi più niente. La
casa al Forte è diventata quella dei ricordi delle mie figlie, che
la amano tantissimo. Da sette anni abbiamo casa a Stromboli. C’è un
gruppo letterario fantastico, Paola Mastrocola, Lidia Ravera, Daria
Bignardi, tanti attori e alcuni amici napoletani. Io sono molto
casalingo».
Cos’è Stromboli per lei?
«Io ho un senso del dovere che mi massacra. Mi carico sulle spalle
il mondo ogni mattina, penso che se non ci fossi io crollerebbe.
Stromboli riesce a rilassarmi, mi permette di vuotare il cervello
dalle preoccupazioni, ma anche lì non sto fermo: cucino, pulisco la
spiaggia, costruisco lampade con pietre e legni. L’isola ha un
grande fascino. E’ un buon modo vivere e morire sotto un vulcano».
https://www.lasicilia.it/sicilians/ruggero-moncada-paterno-castello-il-signore-di-palazzo-biscari-parliamo-tanto-di-turismo-ma-siamo-indietro-non-si-puo-trascurare-cosi-catania-1898992/
(Foto Renato Zacchia)
http://www.missionline.it/riviste/mission/dettaglio.aspx?i=922&n=938
Nella stanza
si apre una piccola alcova affrescata con motivi
"rocailles", su un lato della quale è posta una grande e
profonda vasca di marmo dalle alte pareti, che non
parrebbe destinata per le semplici abluzioni. Fungeva
forse da fontana interna, creando, insieme alla
boiserie, una sorta di fresco angolo di Arcadia,
consacrato a guisa dei luoghi ombrosi di un giardino, a
conversazioni di cui possiamo ancora percepire l'eco.
In queste stanze eleganti vetrine mostravano porcellane
e preziosi oggetti.
http://craigandjeri-sicily.blogspot.it/2011/10/day-9-taormina-to-siracusa.html
“Fummo
introdotti dal Principe il quale ci fece vedere la sua
collezione di monete per un atto di deferenza
speciale... Dopo aver dedicato a quest'esame un certo
tempo, sempre troppo poco tuttavia, stavamo per
congedarci, quando egli volle presentarci alla madre,
nel cui appartamento erano esposti altri oggetti d'arte
di più piccola dimensione...Ci aprì ella stessa la
vetrina, in cui erano custoditi gli oggetti d'ambra
lavorata... Questi oggetti come pure le conchiglie
incise, che vengono lavorate a Trapani e infine alcuni
squisiti lavori in avorio formavano la compiacenza
particolare della gentildonna, che trovava il modo di
raccontare in proposito più di una piacevole storiella.
Il principe
dal canto suo ci intrattenne intorno a cose più serie e
così trascorsero alcune ore dilettevoli ed istruttive.
Nel frattempo, la principessa aveva appreso che eravamo
tedeschi, per cui ci domandò notizie dei signori von
Riedesel, Bartels, Munter, tutti da lei conosciuti e dei
quali aveva anche saputo discernere ed apprezzare
egregiamente il carattere e il costume. Ci siamo
congedati a malincuore da lei, ed ella stessa parve ci
lasciasse andar via di malincuore.”
J. W. Goethe
- Viaggio in Italia
|
La scala a forma di “fiocco di
nuvola”.
Si tratta di una scala a
chiocciola definita da molti come un vero e proprio
gioiello del rococò siciliano.
La scala, decorata
interamente con stucco bianco, è ubicata in una grande
galleria che si affaccia sulla marina, uno dei luoghi
più suggestivi del capoluogo etneo, e conduce nella
cupola della loggia della musica posta sul soffitto del
“salone delle Feste”.
Il cupolino centrale della sala
fungeva dunque da alloggiamento per l’orchestra.
I musicisti che allietavano le
feste celebrate nel prezioso edificio percorrevano
dunque questa magnifica scala.
Non a caso essa era
conosciuta al tempo anche con il nome di “scala dei
musici” di Palazzo Biscari.
La denominazione “Fiocco di
Nuvola” venne data, invece, dal Principe Ignazio di
Biscari per esaltarne le forme leggiadre e vaporose che
accompagnano il visitatore all’ascesa al piano
superiore.
Anche questo appuntamento
settimanale con Sicilia in Arte termina qui. Vi invito a
seguirmi anche mercoledì prossimo per scoprire insieme
un nuovo capitolo di questo affascinante percorso che ci
farà conoscere le testimonianze più emblematiche della
creatività siciliana.
Salvatore Rocca
http://www.vivict.it/sicilia-in-arte/sicilia-arte-la-scala-fiocco-nuvola-palazzo-biscari/
|
BISCARI
PHOTOGALLERY
Chi era Ignazio Paternò Castello e perché il
suo mecenatismo ha cambiato il volto di Catania
«Spesso sembra che noi Italiani dimentichiamo
quale straordinario strumento abbiamo ereditato dai nostri antenati:
abbiamo delegato ad altri popoli il compito di formulare nuove
lingue e strumenti in grado di connettere il mondo, perdendo la
consapevolezza della nostra identità, fondata sulla bellezza».
Costantino D’Orazio, lo storico dell’arte che conduce la rubrica
culturale AR su RaiNews24 e autore di svariati saggi, introduce così
il suo il suo nuovo testo intitolato “Mercanti di Bellezza”, edito
da Rai-Eri. D'Orazio affronta una tematica tanto vicina alla nostra
identità culturale: il mecenatismo. Viene messo in evidenza,
infatti, come tanti personaggi, più o meno celebri, nel corso dei
secoli abbiano mutato il volto dell’Italia grazie alla loro passione
per l’arte e la cultura. Adesso domandiamoci: anche la Sicilia ha
avuto la sua parte in questo processo di ricerca del bello?
MECENATISMO. Tra i capitoli più significativi
del saggio “Mercanti di Bellezza”, quanto meno per noi Siciliani,
spicca senza dubbio quello dedicato ad Ignazio Paternò Castello.
Tuttavia, prima di addentrarci nei meandri della vita di un uomo
tanto straordinario cerchiamo di comprendere il significato del
termine “mecenatismo”. Detto in poche parole, non è altro che il
sostegno rivolto ad attività artistiche e culturali ed, in
particolare, ai loro esponenti. Sia che fosse per fini di prestigio,
o solo per mero edonismo, fatto sta che questa tendenza, che
caratterizza la nostra Penisola da secoli, ha influenzato
notevolmente il nostro modo di essere e ci ha permesso di ricevere
in eredità tesori preziosissimi provenienti dalle menti più fini che
il genere umano abbia mai concepito. Come dicevamo, anche la Sicilia
non fu da meno e possiamo affermare con orgoglio che anche in questo
caso la vera protagonista è la nostra Catania.
DAL PALAZZO AL TEATRO ROMANO. «[…] l’esterno
di Palazzo Biscari è solamente un invito, la promessa che al suo
interno saranno ancora più numerose le opere degne del più sincero
stupore». Tutto ha inizio lì, nel palazzo di famiglia, il più
elevato esempio del Barocco catanese tra le dimore nobiliari.
Ignazio Paternò Castello, Principe di Biscari, fu un uomo delle
prospettive evolute. Rese la residenza ereditata dal padre un
gioiello agli occhi dei concittadini e degli ospiti stranieri e,
cosa ancora più grande, esternò la sua passione per l’archeologia e
per la sua città, la nostra Catania, in un’opera davvero
straordinaria. Costantino D’Orazio ci ricorda, infatti, che: «La
massima soddisfazione giunge nel 1770, quando Ignazio Paternò
Biscari ottiene finalmente l’autorizzazione per scavare nel
capoluogo etneo. La campagna archeologica si conclude con un
successo: la scoperta di parte del teatro romano che, insieme
all’anfiteatro e agli stabilimenti termali, rappresenta il tesoro
principale del patrimonio archeologico catanese. Un evento
eccezionale, che si deve totalmente all’intraprendenza, alla cura e
alla determinazione del principe».
UN UOMO ILLUMINATO. Il Principe di Biscari
non si fermò di certo a rendere la città di Catania un cantiere.
Raccolse il frutto delle sue ricerche nel primo Museo delle
Antichità che il capoluogo etneo abbia mai avuto, da lui stesso
fondato. In seguito, si dedicò alla trasformazione in orto botanico
di Villa Labirinto, meglio conosciuta al giorno d’oggi come Villa
Bellini, fece parlare di sé in ambito editoriale per alcune sue
pubblicazioni dedicate alle tecniche agricole siciliane, e sugli
allevamenti dei bachi da seta, e «fu intensa, inoltre, la sua
attività di studioso e benefattore, a cominciare dai moltissimi
artisti coinvolti nella lunga gestazione di casa sua, che qui
trovano un ambiente favorevole per esprimere il proprio talento,
oltre che un lavoro sicuro e durevole e un committente coltissimo,
rispettoso e pieno di idee». In definitiva, un personaggio
eclettico, amante del bello e desideroso di offrire ai suoi
concittadini un esempio di virtù. A noi che ancora oggi godiamo
della sua opera, non resta che ringraziare Costantino D’Orazio per
questo prezioso viaggio nel tempo alla scoperta delle nostre
origini.
Simone Centamore
http://www.lasicilia.it/news/sicilia-segreta/151893/chi-era-ignazio-paterno-castello-e-perche-il-suo-mecenatismo-ha-cambiato-il-volto-di-catania.html
Ignazio Paternò Castello,
principe di Biscari, offerse,
nella Catania feudale dei suoi tempi, un esempio piuttosto unico che
raro. La città fu bensì, allora, — «un fonte inesausto della più
fiorita nobiltà, ed una scaturiggine del sangue più illustre» — a
detta del nostro spagnolesco Muglielgini, il quale è tutto felice di
poter citare uno Spagnuolo puro sangue, don Sebastiano Cabarruvias
Orosio, secondo il quale «en Italia llaman Catanes, y Valvasores,
a los que en España llaman Infanzones», essendo Infanzones «termino
antiguo, y vocablo que aora no se usa», il quale «vale tanto come
caballero noble hijo de Algo señor de vassallo, pero no de tanta
autoridad, come el titulado, o Señor de titulo».
Ma l'Accademico Infecondo, se
porta al cielo la nobiltà cittadina, non va fino a sostenere che i
signori catanesi si distinguessero nell'età sua per un eccessivo
amore alle lettere ed alle arti. Tanto più notevole fu quindi che un
gran signore come il principe di Biscari le onorasse e ne facesse lo
scopo e la passione della sua vita. Tutte le persone di riguardo che
passarono per questo estremo lembo d'Italia ebbero onesta ed
intelligente accoglienza nel suo palazzo, costruito verso la fine
del Seicento sulla cortina delle vecchie mura, alla Marina; e non
dovettero provare poca meraviglia trovando nella piccola e povera
Catania di quella età una dimora tanto magnifica, ricca di sale
sontuose e d'un salone che per architettura e decorazione è anche
oggi mirabile.
Con una profusione di
lacche, di ori, di stucchi e di affreschi rappresentanti la storia
di don Chisciotte — opera del catanese Pastore — , il cielo d'una
cupola impostata sul centro della vôlta e illuminata da finestre
invisibili gli dà una luce ed una elevazione straordinaria; nella
loggia coperta sulla quale esso si apre a mezzodì, una
leggiadrissima scala a giorno, leggiera e rabescata come un
merletto, dalla quale par che debba discendere una incipriata
marchesa, porta al quartiere superiore.
Nell'ornamentazione esterna delle
finestre il barocco imperante in città è d'una ricchezza
straordinaria: le cariatidi, i puttini, i festoni, tutti i motivi
decorativi vi sono profusi. Il principe aveva anche costruito in
casa sua un teatro che fino ai principii del secolo scorso fu, con
la sala degli spettacoli dell'Università, il solo della città; ma il
maggior titolo di questo signore al rispetto dei posteri fu lo zelo
col quale fece scavare a proprie spese il sottosuolo di Catania e di
altri luoghi dell'isola e del continente, ed il gusto che lo spinse
ad acquistare molte opere d'arte: con gli oggetti ritrovati e
comprati egli mise insieme, in un edifizio appositamente costruito
accanto al suo palazzo, un museo ad uso dell'Accademia degli Etnei e
di tutti gli studiosi. Una bella medaglia fu coniata nell'occasione
della solenne cerimonia inaugurale, avvenuta nella primavera del
1758, ed il principe stesso recitò allora, dinanzi a una dotta
adunanza, una sua canzone:
Per secondar talun l'innato
sdegno
D'irato Re si fa ministro
all'ira,
Marte seguendo sanguinoso e
fero.
Per serbar d'altri il Regno
Anelante si mira
Sotto il grave cimiero;
Ma da nemica man pugnando
offeso,
O vinto, o al suol disteso
Estinto, o prigioniero
Rimane alfin dopo l'altrui
vittoria
Senza onore di tomba, e senza
gloria.
Io non così; di Giove infra le
figlie
Meno di vita lieti i giorni, e
l'ore
In bella pace alla virtute
amica....
La qual cosa non impedì che uno
scultore lo rappresentasse vestito all'eroica, con corazza e lorica,
proprio nell'atrio di quel museo dove
In mirar tra chiusi vetri
quanto
Offerse prisco tempo, arte e
natura
Trovo larga mercede al sudor
mio
e quando espressamente egli
disse:
Sarà mia gloria e vanto
Appo l'età futura,
Che seppi il suol natìo
Ornar così di pregio illustre;
e a Voi
Ben degni figli suoi,
A scorno dell'oblio
Per coltivar le belle Muse,
ameno
Campo vi apersi, ed ubertoso
appieno.
Non era millanteria: Volfango
Goethe, qui venuto il 3 maggio del 1787, scrisse sul suo Diario: «Le
statue, i busti di marmo e di bronzo, i vasi e le altre antichità
raccolte in questo museo, hanno molto slargato il cerchio delle
nostre cognizioni artistiche...».
da
"Catania" di Federico De Roberto
ISTITUTO ITALIANO D'ARTI
GRAFICHE — EDITORE 1907 |
LAVORI DI SISTEMAZIONE PER PALAZZO BISCARI
(1920-1925)
(articolo di Albarosa D'Arrigo da "Archivio di
architettura tra '800 e '900")
Ventuno disegni, tutti studi preparatori ed un
disegno al vero per spolvero ,costituiscono il corpus dei materiali
relativi al progetto di ristrutturazione di una porzione dell'ala di
Ovest del Palazzo Biscari alla Marina, redatto dall'ingegnere
Salvatore Sciuto Patti a partire dal marzo del 1920.
Seppur in maniera frammentaria, l'insieme di
questi disegni descrive alcune opere eseguite nella "Casa del
Principe di Biscari ",finalizzate a ricavare un nuovo appartamento
autonomo, nell'ala di ponente del palazzo. Utilizzando come accesso
il cortile maggiore, l'ingegnere Salvatore Sciuto Patti progetta in
un vano ,a sinistra del monumentale scalone esterno, una scala con
stucchi e decorazioni che conduce ai piani superiori.
Lì verranno ricavati, attraverso una nuova
distribuzione interna,una camera da letto con sala da bagno
adiacente al salone, una cucina, nuove porte delle quali si conserva
il disegno, infissi ed un camino. In un vano rettangolare,
collaterale alla nuova scala maggiore dell'appartamento, viene
progettata una seconda scala che attraverso pianerottoli arrotondati
assume planimetricamente un impianto ellittico.
La scala, progettata in ferro con travi a
doppia T,pomice e gesso e rivestita in lastre di marmo,mostra da
parte del progettista un attento studio dell'apparato estetico e
decorativo mirato di certo a rappresentare la ricchezza e preziosità
della famiglia e del contesto;infatti è ritenuta l'opera di maggiore
rappresentatività di Salvatore Sciuto Patti all'interno di Palazzo
Biscari.
I lavori, documentati dalle carte del Fondo,si
susseguono dal marzo 1920 sino al 14 maggio del 1925,quando viene
corrisposto il compenso per i lavori di falegnameria.
Le maestranze che hanno eseguito le opere sono
per i lavori in legno Rosario Conti,per quelli in pietra calcarea di
Priolo Rosario Vinciguerra, per i lavori in marmo Domenico
Spampinato, per la fornitura dei ferro Francesco Fichera Sapuppo .
La preziosa balaustra che caratterizzava la
loggia interna dell'appartamento è stata rimossa:gli originari
pilastrini sono oggi collocati nei cortili del Palazzo.
grazie a Milena Palermo per
Obiettivo Catania
https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/
Nel Quattrocento, la famiglia Platamone era a
Catania tra le più prestigiose, vale a dire tra quelle che
riuscirono ad ottenere un buon numero di incarichi; infatti i suoi
membri affiancarono al commercio, attività alla quale erano dediti,
la gestione di numerose cariche pubbliche.
Annoverò vari esponenti di spicco, tra cui
Michele Platamone (figlio di Baldassare, duca di Belmurgo per
eredità Cannizzaro), che fu investito il 16 marzo 1803 dei titoli di
principe di Larderia, principe di Rosolini, conte di Sant'Antonio,
barone di Roccapalumba, barone di Cipolla, barone dell'Imposa,
barone di Longarini, signore di Buscaglia, Ritibillini e Almidara,
Sannini.
Un Francesco Platamone acquisì per matrimonio
con una Corvino il marchesato di Mezzojuso e Platamone[4]. La
famiglia annovera numerosi cavalieri dell'ordine gerosolimitano.
Uno dei personaggi di maggior rilievo di tale
famiglia fu comunque Giovanni Battista Platamone laureato in legge
all'università di Padova, dal 1420 egli occupò diverse cariche di
natura fiscale ed amministrativa, tra cui quella di viceré, e
ambasciatore presso Alfonso d'Aragona e papa Eugenio IV, accumulando
tra l'altro molti titoli nobiliari e feudi tra cui la città di Jaci
e Rosolini, a tal punto da essere in grado di prestare danaro alla
Corona.
Il suo nome, così come quello di un altro
importante giurista dell'epoca, Adamo Asmundo, è legato, insieme a
quello di Alfonso il Magnanimo, alla nascita della prima Università
siciliana, appunto quella di Catania (1434).
CORTILE PLATAMONE PHOTOGALLERY
Scrive il Di Blasi su di lui:
« ...costando dagli archivii di questa
famiglia che ei fu cavaliere catanese, e nacque in detta città da
Bernardo Platamone; ed ebbe inoltre due fratelli: Pietro, che fu
cavaliere dell'ordine di S. Giovanni Gerosolimitano, e Antonio, che
fu vescovo di Malta fin dall'anno 1412,
ed
era monaco benedettino. Battista da ragazzo cadde in mare, e corse
risico di sommergersi. Fu di poi mandato dal padre a Bologna ad
oggetto di apprendervi la giurisprudenza, dove ricevé la laurea
dottorale nell'una, e nell'altra legge. Ritornato in Sicilia ricco
di legali cognizioni esercitò con molta riputazione il mestiere di
avvocato; in guisa che arrivate al re Alfonso le notizie della di
lui dottrina in giure, lo promosse l'anno 1420 al rispettabile grado
di avvocato fiscale della gran corte, che esercitò per sei anni fino
all'anno 1426, in cui rinunciò questa carica per volere del medesimo
re, che lo chiamò presso di sé, come consigliere intimo, e
segretario. L'elogio che ne fa questo principe, è il più certo
argomento del conto in cui lo avea, imperciocché vien da lui detto
consiliarius, et secretarius noster, et nostri cordis interiora
sciendo, et conservando. Non fa perciò meraviglia che sia stato da
questo sovrano adoprato nelle più scabrose commissioni. Noi sappiamo
che fu mandato ambasciadore a varî pontefici, alla regina Giovanna
di Napoli, e ad altri principi dell'Europa, e che sempre ottenne
quanto il suo re bramava. Questi servigi resi alla corona gli fecero
meritare, che fosse fatto giudice perpetuo della gran corte: cosa
che finora è stata senza esempio, e inoltre la carica di presidente
del regno, e poi quella di viceré proprietario, come in appresso
diremo. Rammentasi con lode di questo cavaliere, che ritrovandosi il
re Alfonso esausto in denari per le spese esorbitanti che gli
conveniva di fare a cagione della guerra nel regno di Napoli, egli
generosamente vendé il castello e il territorio di Aci suoi proprî
per la somma di once novemila, che corrispondono a ventiduemila e
cinquecento scudi, e soccorse così il suo sovrano. Fissano gli
scrittori catanesi la morte di questo cavaliere intorno all'anno
1448. »
A Trapani la famiglia Platamone fu molto
influente ed ebbe notevoli rappresentanti. Con decreto reale
dell'undici agosto 1897 susseguito da Regie Lettere Patenti del 15
maggio 1898 venne concesso al signor Enrico Platamone, figlio di
Giuseppe, nato in Trapani il 3 gennaio 1841, il titolo di marchese.
Giuseppe Platamone fu uno dei discendenti di spicco.
I palazzi Platamone
Nel XV secolo i Platamone eressero un vistoso
palazzo a Catania, che contendeva a palazzo Biscari la fama di
palazzo più lussuoso e rappresentativo della città. Il palazzo poco
dopo fu donato ai religiosi, e per questo, dopo il terremoto del Val
di Noto del 1693 che distrusse in gran parte il Monastero di San
Placido, durante ricostruzione di quest'ultimo vennero annesse le
testimonianze più antiche del palazzo Platamone. Oggi non rimane che
un loggiato, sormontato da un balcone, custodito nel cortile del
Monastero.
A Trapani a inizio novecento il marchese
Enrico Platamone, fece costruire palazzo Platamone al di fuori della
cinta muraria originaria della città vecchia ad angolo tra via
Regina Margherita e piazza Vittorio Emanuele, in stile neoclassico,
tipico dell'architettura gentilizia del tardo ottocento.
https://it.wikipedia.org/wiki/Platamone
Tradizione tramandata vuole che S
Agata sia nata da quelle parti, dove attualmente esiste a casa
Platamone, per cui nel suo muro esterno sul lato della via Biscari è
stato posto un busto marmoreo della Santa.
Molti ancora affermano che la
parte sud della via Vittorio Emanuele, per le linee architettoniche
e la unicità degli edifici, resta migliore della via Etnea, pur
restando quella il salotto della città.
________________________________________________________________________________________________________
da "Catania dal blasonato barocco
della ricostruzione al vivace liberty dei viali" di Gaetano D'Emilio
- Editore Media Libri - 2009
|
Palazzo Valle,
gioiello del barocco siciliano
Archetipo dei palazzi signorili catanesi,
Palazzo Valle è il più bello tra gli edifici civili progettati dal
grande architetto Giovanni Battista Vaccarini (Palermo, 1702-1768).
Progettato nella prima metà del ‘700, occupa
l’isolato compreso tra le vie Vittorio Emanuele, Landolina, Valle e
Leopardi. Fu Pietro La Valle a commissionarne l’edificazione, che si
svolse in tre tempi e si concluse nella seconda metà dell’800.
La facciata esprime in pieno la creatività del
Vaccarini: mensole smussate e addolcite agli angoli, campi
geometrici riquadrati, l’aggraziato balcone nel cui timpano
circolare spicca lo scudo della casa Valle-Gravina, la pietra
calcarea posta su intonaco scuro, i particolari e le rifiniture,
l’imponente portone, conferiscono al prospetto principale una grande
eleganza.
Il restauro
Dopo una serie di atti di successione,
iniziata alla fine del ‘700, e molteplici destinazioni d’uso,
Palazzo Valle era caduto in uno stato di abbandono e di
deterioramento.
Acquistato l’immobile nel 2001 dagli Asmundo
Zappalà di Gisira, Alfio Puglisi Casentino lo ha riportato al suo
antico fasto e lo ha ridonato alla città.
Gli interventi di recupero, realizzati tra il
2004 e il 2008 grazie al contributo della Finsole e a finanziamenti
regionali, sono stati condotti con rigore progettuale ed esecutivo e
in accordo con la Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali
di Catania.
http://www.fondazionepuglisicosentino.it/PalazzoValle.aspx
Palazzo
Pedagaggi sorge in Via Vittorio Emanuele all'incrocio
con Piazza Cutelli occupando l'intero isolato fra queste
e le vie Sorrentino e Pedagaggi.
Fu
edificato a partire dal 1803 dal barone di Pedagaggi su
progetto dell'ingegnere Salvatore Zahra Buda, mentre
l'ingegnere Mario Musumeci si occupò di seguirne i
lavori fino al completamento definitivo nel 1809. Don
Vincenzo Guttadauro, barone di Pedagaggi, aveva ricevuto
in eredità dal padre, Don Enrico, I Principe di Emmanuel
un'ala a sua scelta del vicino Palazzo Reburdone ma
venuto in conflitto col fratello Luigi, II principe di
Emmanuel, scelse di costruirsi una sua casa
indipendente. Morto senza figli nel 1819, il barone
lasciò alla pronipote Eleonora Guttadauro tutti i suoi
beni compreso il palazzo che passò, per il matrimonio di
Eleonora, ai Paternò Castello di Carcaci fino alla
vendita nel 1859 al Barone Calì, la cui famiglia lo
tenne fino al 1889 quando fu venduto al Banco di Sicilia
per poi passare in parte all'Università di Catania che
vi ha installato la Facoltà di Scienze Politiche.
Il progetto
del palazzo prende ad esempio quella del Palazzo
Reburdone, non tanto per i legami parentali fra i
proprietari quanto per la struttura in se, la più
moderna in quel momento disponibile in città. Così
l'architetto adegua le caratteristiche essenziali di
Palazzo Reburdone (la serie
portale-androne-corte-scalone-loggia in prospettiva e
l'infilata di stanze col salone angolare in fondo) allo
spazio più contenuto di Palazzo Pedagaggi. Al Piano
nobile il salone principale, ora aula magna di Scienze
Politiche, presenta le proporzioni del diapente cioè di
2/3, al posto del diapason del modello avito e viene
affrescata dal trapanese Giuseppe Errante che si occupa
anche delle tele delle sovrapporte, con scene
mitologiche e monocromi.
Palazzo Pedagaggi si trova in Via Vittorio Emanuele,
all’incrocio con Piazza Cutelli, dove un tempo (intorno alla
metà del Settecento) esistevano soltanto alcune case terrane e
piccoli lotti di terreni privati. Morto senza lasciare figli nel
1819, il barone lasciò in eredità il palazzo alla pronipote
Eleonora Guttadauro, insieme a tutti i suoi beni; la costruzione
passò in seguito alla famiglia dei Paternò Castello di Carcaci
e, nel 1859, al Barone Calì; trent’anni dopo venne venduto al
Banco di Sicilia per poi passare, solo in parte, all’Università
degli Studi di Catania che ne fece sede della Facoltà di Scienze
Politiche.
Università di Catania - Dipartimento di Scienze
politiche e sociali
|
|
Progettato
da Francesco Battaglia per la famiglia Guttadauro,
Palazzo Reburdone fu costruito tra il 1776 e il 1785,
anno in cui fu montato in facciata lo "scudo
dell'Armi" dei Guttadauro ma i lavori di completamento
del palazzo si protrassero per molti anni ancora. Voluto
da una famiglia che cercava in quello scorcio di fine
settecento di entrare a far parte della più alta
aristocrazia isolana e insieme dell'elite patrizia
catanese, Palazzo Reburdone doveva essere il simbolo più
evidente della ricchezza e del prestigio della famiglia
Guttadauro, originaria di Mineo, dunque provinciale e
che in quel periodo stava rapidamente salendo i gradini
della nobiltà siciliana (ascesa coronata nel 1787 con
l'acquisizione del titolo principesco di Emmanuel). Il
risultato fu uno dei più imponenti e nobili palazzi
della città. Inponenza dovuta anche a ragioni dinastiche
oltre che di prestigio; doveva infatti accogliere,
secondo il volere del committente il Principe Enrico, le
famiglie dei due figli maschi, il primogenito, erede del
principato, e il secondogenito, Barone di Pedagaggi. Per
contrasti insorti fra i due fratelli alla morte del
padre il Pedagaggi non andò mai a vivere nel quarto che
gli era destinato ma si fece costruire un altro palazzo,
il vicino Palazzo Pedagaggi appunto. Estintasi la linea
maschile dei Guttadauro nel 1820 il palazzo passò
tramite Eleonora , ultima principessa di Emmanuel di
casa Guttadauro, ai Paternò Castello ed ora è sede, in
parte, del Dipartimento di Sociologia (al primo piano) e
del Dipartimento di Analisi dei Processi Politici,
Sociali e delle Istituzioni - DAPPSI (al secondo piano),
entrambi della facoltà di Scienze Politiche
dell'Università degli studi di Catania; nonché della
prestigiosa Accademia Gioenia.
Palazzo Reburdone presenta in alzato lo schema tipico
dei palazzi patrizi catanesi: piano terra con botteghe
su prospetti esterni e magazzini e locali di servizio su
quelli interni; primo piano, o ammezzato per l'amnistrazione
o dato in affitto a famiglie di basso ceto che
gravitavano intorno alla famiglia Guttadauro per motivi
economici o sociali; secondo piano o piano nobile, dove
abitavano il padrone e la famiglia; terzo piano o piano
cadetto, per la servitù e i cadetti. Tutti questi locali
si distribuivano intorno alla grande corte d'onore, una
delle più grandi di Catania, conclusa dal grande scalone
a tenaglia dentro un corpo a duplice portico (un tempo
attribuito al Vaccarini ma restitutito al Battaglia
tanto per motivi stilistici quanto per motivi
cronologici). Un secondo cortile sul lato ovest, serviva
la cavallerizza e gli altri locali di servizio. Il piano
nobile si raggiunge salendo il grande scalone da cui si
dipartono le due ali del palazzo, con le due infilate di
stanze che si concludono nei due grandi saloni, a
rinserrare l'appartamento del principe con la sua alcova
"alla turca" al centro della facciata, aperto sulla
tribuna d'onore sopra il portone, luogo simbolico per
eccellenza della continuità dinastica della famiglia. I
due saloni gemelli seguono la proporzione del diapason,
cioè due cubi perfetti posti uno accanto all'altro e
sfondano con le loro volte il solaio del piano cadetto,
i cui balconi in corrispondenza non sono per questo
praticabili; le due volte presentano poi affreschi del
sortinese Sebastiano Lo Monaco (salone est) e
neoclassici (salone ovest).
|
|
Dopo
il catastrofico terremoto del 1693, nella Catania
risorta si annovera il Convitto Cutelli, Collegio voluto
dal Conte Mario
Cutelli.
La sua realizzazione può collocarsi attorno al 1760 e
costituisce, dal punto di vista architettonico, un
gioiello dell'arte settecentesca. L'opera dell'Abate
Giovan Battista Vaccarini non poteva non essere presente
nella progettazione di un edificio monumentale che,
appunto, il grande architetto preparò, anche se si
avvalse dell' aiuto di Francesco Battaglia. Il prospetto
neoclassico sulla via Vittorio Emanuele è opera del
Battaglia e continua sul lato di via Monsignor
Ventimiglia e su quello di via Teatro Massimo. La parte
attribuita al Vaccarini, che sappiamo alunno del
Vanvitelli, è quella del circolare cortile monumentale
che, per la purezza e l'armonia delle forme, si ammira
entrando nell'edificio. La bella corte circolare è
caratterizzata da un pavimento centrale in bianco e
nero. All'interno, sotto il quadrante del grande
orologio da torre, situato tra le statue del Tempo e
della Fama, vi è un'iscrizione: "Ut praeesset diei et
nocti anno MDCCLXXIX" (Questo orologio fu costruito
affinché presiedesse al giorno e alla notte). Le statue
del tempo e della fama simboleggiano la rivalità tra le
due forze.
Degno di
menzione è lo scalone di marmo che porta al piano
superiore dove si apre l'Aula Magna. In essa sono
affrescate le figure delle glorie siciliane appartenenti
al mondo scientifico e giuridico (Caronda, Empedocle,
Teocrito, Stesicoro, Recupero, Ingrassia, Gioieni) e
dove, nel 1837, furono condannati gli insorti contro la
tirannia dei Borboni, come ricorda la lapide affissa
alla facciata esterna inaugurata il 4 novembre 1926.
Lungo il percorso della Via Vittorio Emanuele,
incastonato nel centro storico barocco della città,
s’erige la sede dell' istituzione scolastica superiore
più antica di Catania. Il conte Cutelli nel suo
testamento manifestò l’esplicita volontà di destinare
una parte dei suoi averi alla fondazione di un collegio.
Il progetto iniziale del conte prevedeva la creazione di
un istituto scolastico per soli nobili; era suo
obiettivo la formazione di un vivaio di giovani patrizi
in grado d’occupare le alte cariche presso la grande
corte e l’amministrazione della città. Furono gli echi
della rivoluzione francese a schiudere l’ingresso del
convitto ai giovani privi di origine nobile. In un
secondo momento a seguito di autorizzazione papale nel
convitto oltre all’insegnamento del diritto civile e
canonico s’iniziarono ad impartire lezioni di scienze e
di lettere. Oggi il convitto si presenta nel suo aspetto
architettonico originario ed ospita una scuola
elementare, una scuola media e il liceo classico
europeo. Assai pregevole è la struttura che, però,
necessita di tempestivi interventi al fine di preservare
quest’esempio di edilizia scolastica settecentesca.
http://xoomer.virgilio.it/convittocutelli
CONVITTO CUTELLI
Tra le vie Porta di Ferro e
Calì, lungo la via Vittorio Emanuele, prospettante su una vasta
piazza dall'omonimo toponimo, si trova il Collegio dei nobili.
Il fondatore di tale istituzione fu il Conte Mario Cutelli che,
per testamento rese nota la volontà di destinare parte dei suoi
averi alla realizzazione di un collegio, simile a quello che
esisteva a Palermo ed in diversi luoghi della Spagna. Esso
doveva ospitare i discendenti di uomini nobili che a quel tempo
erano avviati più alla spada che alla cultura, tranne i
destinati ai seminari cattolici.
Il Real Collegio venne
realizzato, intorno al 1760, sull'area di sedime del Baluardo di
S. Giuliano, facente parte delle mura cinquecentesche della
città.
Mario Cutelli nato a Catania,
nobile di nascita era un laico alla Cavour: libera Chiesa in
libero Stato (dichiarazione che poteva portare alla scomunica
come avvenne per il Cavour).
Riconosciuto in tutta Europa
per essere eminente giurista, venne chiamato dal Re di Spagna
per dirimere la controversia, con la Chiesa, sull'attribuzione
della "preminenza" tra i Tribunali dell'lnquisizione e quelli
Ordinari degli Stati. Egli, dissertando giuridicamente, chiarì
una volta per tutte (veniva ancora ricordato
il caso della sofferta abiura
del Galilei) che, in uno Stato la prevalenza giuridica non può
essere quella dei Tribunali Ecclesiastici (vedi Santa
lnquisizione), ma quella dei Tribunali Ordinari che i singoli
Stati ritengono di darsi, dove vanno previste religioni
diversificate, raccogliendo consensi e stima in tutta Europa.
________________________________________________________________________________________________________
da "Catania dal blasonato barocco
della ricostruzione al vivace liberty dei viali" di Gaetano
D'Emilio - Editore Media Libri - 2009
Costruita nei primi
anni cinquanta su progetto di Domenico Cannizzaro, la
fontana delle Conchiglie è costituita da una vasca
circolare con al centro un obelisco a sezione quadrata
alla cui base si trovano quattro valve di conchiglia che
danno il nome alla fontana.
Prese il posto di una
fontana precedente (metà del XIX secolo) che aveva
anch'essa un obelisco al centro della vasca.
Anche
questo palazzo è sito in via Vittorio Emanuele. La
facciata, nella fascia bassa, è animata da tre filari di
aperture coronate da archi ribassati; in quella mediana
da cornici sporgenti. La parte superiore, invece, ove si
mostra il semplice telaio della finestra, non presenta
alcuna cornice. Anche qui le lesene hanno in cima
papitelli con pieducci floreali.
Si trova al numero 37
di via Vittorio Emanuele; l'architetto Francesco Fichera
lo attribuì al Vaccarini. In tono più modesto si trovano
molti motivi usuali vaccariniani. Risale ai primi anni
della ricostruzione successiva al terremoto del 1693. In
esso sono presenti gli elementi caratteristici della
tipologia del palazzo baronale settecentesco; in
particolare troviamo al piano terra le finestre con alti
davanzali, invece delle botteghe, elemento questo della
più coerente e originaria tipologia: infatti nei palazzi
di costruzione successiva il piano terra, per ragioni di
utilità commerciale, sarà quasi sempre destinato a
bottega. A proposito del partito centrale Fichera
scrive: "La bella porta così grandiosa nella sua
piccolezza: con la mostra incassata tra le larghe lesene
lisce, e la cornice raggiunta all'altezza della chiave
da un rigiro della sagoma della mostra, in sostituzione
della vieta mensola romana. Anche qui le lesene hanno in
cima i capitelli, con appendice e pieduccio, per
preparare il timpano che sta al di sopra, posato su un
largo pennello e dal cui sommo si bipartisce un grosso
pendaglio intagliato, affidato ad una mensola centrale".
La
cappella Bonajuto o del Salvaterello è un edificio
religioso d'epoca bizantina di Catania, eretto tra il VI
e il IX secolo d. C.
Unico
manufatto di rilievo superstite dell'epoca bizantina a
Catania, la cappella è collocata all'interno del barocco
palazzo Bonajuto in via Bonajuto 7, nel popolare
quartiere catanese della Civita. Si presenta a croce
greca con pianta quadrata, cupola e tre absidi («cellae
trichorae» o «chiesa a trifoglio») in forma simile alla
cuba bizantina presente in Sicilia. Oggi rispetto al
piano della strada si trova interrato di circa 2 metri.
L'edificio, che è inoltre arricchito di testimonianze
medioevali e quattrocentesche, è scampato ai diversi
terremoti che hanno colpito la città, fra cui quello
devastante del 1693 (Terremoto del Val di Noto).
La famiglia
Bonajuto prese possesso della cappella a partire dal
quattrocento e nel secolo successivo vi edificò la
propria residenza. Sino all'insediamento dei Bonajuto la
cappella era dedicata al SS.Salvatore, denominazione che
mantenne probabilmente sino al XVIII secolo [2]. Nel
XVIII secolo quando la cappella fu oggetto di restauri e
ristrutturazione dell'ingresso, questa fu meta del
viaggio del pittore francese Jean Houel.
La cappella
è stata restaurata da Paolo Orsi e Sebastiano Agati
negli anni trenta. Cliccare sotto per ulteriori
informazioni e visite guidate
_____________________
"un tempo Chiesa del Salvatorello o del SS.Salvatore,si trova
nel quartiere Civita a Catania,e' uno degli edifici
sopravvissuti al terremoto del 1693,gia' nel '400 era stata
inglobata nel palazzo della famiglia Bonajuto, nel '700 venne
adibita a oratorio privato fino agli inizi del XX secolo,quando
vennero eseguiti i primi restauri,la Cappella si presenta con
un'aula quadrata sulla quale si aprono tre absidi
semicircolari,sormontata da una volta emisferica sorretta da
quattro archi ciechi,sull'apice della calotta si apre un Oculus
di 1,10 m. di diametro,forse non originale,e rappresenta l'unico
punto luce,l'abside venne mutilata per dar spazio alle
costruzioni del '400 e del '500,cosi' come la nicchia mediana
mutilata nel '700...l'accesso originario si trovava sulla parete
sud-orientale in corrispondenza dell'ampia apertura arcuata oggi
chiusa...il primitivo pavimento era nascosto dalle celle
funerarie,che nell'800 erano state predisposte dalla famiglia
Bonajuto,fu con il successivo sgombro che si porto' al
rinvenimento del piano settecentesco,e circa un metro piu' in
basso venne ritrovato un nuovo livello di eta'
basso-medievale,dove erano state inserite diverse tombe.
(Il principe di Biscari commissiono'degli schizzi a Jean Houel
che avvalendosi del suo disegnatore,Luigi Mayer, ne disegno' la
pianta e la sezione del monumento,rappresentando la scena del
ritrovamento dei loculi avvenuto nel 1761,quando il barone
Vincenzo Bonajuto dispose lo scavo di alcune tombe per la sua
famiglia)"
(da Celle tricore di G.Margani)
VIA SAN TOMMASO
E se sul lato sud il
quartiere si fermava all'altezza della pescheria, per le
vaste paludi che si verificavano nei periodi piovosi,
create dallo scolo delle acque piovane del territorio
catanese, geograficamente a quota più alta, sulle altre
direzioni si trovavano spazi ed orti che invitavano a
nuove possibili espansioni urbane. Dalla irregolarità
delle strade strette e curve ritrovate in alcune parti
di quel territorio si evince che, nel tempo
dell'invasione araba, esso si identificasse con il
quartiere musulmano, la cui attività primaria degli
abitanti era quella del commercio con vari popoli
mediterranei, e soprattutto l'esportazione della seta e
di prodotti alimentari. lnfatti pnma del millennio d.C.
venne fondata nel centro del quartiere una moschea in un
cortile rettangolare circondato da portici, in cui una
nicchia indicava I'orientamento della Mecca.
Nel periodo dei
normanni, con la cacciata degli arabi, per richiesta dei
seguaci inglesi rifugiatisi nella Civita, dopo
I'assassinio nella Cattedrale di Canterbury del loro
Arcivescovo Tommaso Becket, nel sito venne edificata una
chiesa a lui intestata.
Mutato poi il titolo
in S. Tommaso Apostolo che venne successivamente
demolita. Alla Civita restò in ricordo la via S Tommaso,
mentre la chiesa oggi, dedicata a S. Tommaso Becket e
SS. Martiri inglesi, affidata ai padri Gesuiti, si trova
presso la Villa Sangiuliano, a Sant'Agata Li Battiati.
________________________________________________________________________________________________________
da "Catania dal blasonato
barocco della ricostruzione al vivace liberty dei viali"
di Gaetano D'Emilio - Editore Media Libri - 2009
Palazzo
Hernandez, 60 anni di abbandono tra nobili spiriti,
dicerie e false attribuzioni
Luisa Santangelo | 6
maggio 2014
A vederlo da piazza
Duca di Genova sembra uno stabile vecchio e sporco nel
centro di Catania. Eppure, nonostante sia incompiuto,
conserva al suo interno un «portico rampante» attribuito
– lui solo – a Giovanni Battista Vaccarini. Oggi quel
doppio scalone di gran pregio è coperto da un garage e
diviso a metà da una alta parete, mentre buona parte
della struttura è lasciata al totale degrado.
«Ah, questo palazzo
ha una storia incredibile: era bellissimo, doveva essere
bellissimo». Gianfranco Costanzo guarda la facciata di
Palazzo Hernandez che dà su via San Tommaso e fa una
smorfia. Lui, avvocato, vive nella palazzina di fronte,
di proprietà della sua famiglia da generazioni: «La vede
l’incisione nel muro? 1746, noi siamo qui dal 1746 e
qui, dove adesso c’è il cortiletto, c’era la cappella
dedicata a Santo Masi al Porto… La gente marinara
l’aveva chiamato così». E mentre la famiglia Costanzo
costruiva casa sua, i più celebri dirimpettai mettevano
in piedi un nobile palazzotto.
La targa marrone
delle indicazioni turistiche – che si trova di fronte
all’ingresso di via San Lorenzo – fa risalire Palazzo
Hernandez all’inizio del XVIII secolo e attribuisce la
paternità architettonica al più illustre dei progettisti
a cui Catania abbia dato ospitalità: Giovanni Battista
Vaccarini. «Fu fatto costruire per la famiglia Hernandez
(spagnoli trasferitisi in Sicilia nel XVI secolo, ndr) –
spiega Costanzo – poi passò alla famiglia Francica-Nava
(stirpe siracusana che inizia nel XVII secolo, ndr) e
infine all’avvocato Torrisi, che sposò una nobildonna e
se ne appropriò. Ma lui dilapidò il patrimonio, la
famiglia e il palazzo caddero in rovina».
Di fantasie e
leggende su Palazzo Hernandez se ne sono raccontate
tante: «Quando ero bambino si diceva che c’erano i
fantasmi, che la buonanima dell’avvocato Torrisi in
disgrazia vagasse per le stanze del complesso». «Si sa –
conclude l’uomo, ridendo – sono tutte dicerie: del
resto, la Civita era un quartiere sia di grandi famiglie
istruite, sia di poveri cittadini senza scuola».
Con Palazzo Biscari
alle spalle e Palazzo Platamone alla sua sinistra, il
Palazzo Hernandez rientra nel novero degli edifici
storici catanesi di grande valore. Eppure, a differenza
dei due noti vicini, non può dirsi altrettanto
fortunato. In parte abitato e in parte adibito a uffici
per l’università degli studi etnea, «l’abbandono risale
al minimo agli anni ’50». In realtà, oltre alle
fantasiose storie sui fantasmi, altrettanto fasulla è
l’attribuzione dell’intero stabile a Vaccarini: «La
famiglia Hernandez acquisì, verosimilmente nei primi
anni dal terremoto del 1693, alcuni casolari del
quartiere Civita e a partire dagli anni ’40 del
Settecento affidò a Gian Battista Vaccarini la
realizzazione di un sontuoso palazzo, di cui la coorte
poligonale (condizionata forse dalle strutture
pre-sismiche) avrebbe costituito l’attrattiva maggiore»,
spiega Iorga Prato, tecnico archeologo. Nei fatti, però,
l’unico elemento di paternità vaccariniana è il «portico
rampante del cortile», un doppio scalone «oggi
vergognosamente coperto da un garage e da una alta
parete che lo taglia in due».
Palazzo Hernandez
doveva essere probabilmente «una casa di comodo, con uso
residenziale relativo al periodo di permanenza nella
città etnea per affari», e già nei primi dell’Ottocento
è stato diviso in vari ambienti «assai diversificati per
stile e gusto». L’ultimo tentativo – rimasto incompiuto
– di dare uniformità a ciò che non l’aveva risale al
Novecento. Però, spiega Prato, l’edificio era passato in
mano a ricchi borghesi «disinteressati all’architettura
nobiliare». Tra questi, anche i signori Patti, genitori
dello scrittore Ercole. Lo spezzettamento ha fatto sì
che alcuni vani venissero «affittati, venduti o lasciati
all’abbandono». Il risultato, secondo il tecnico
archeologo, è devastante: «Le architetture si
sovrappongono senza armonia e il cortile originario è
spaventosamente modificato, al punto da non essere più
leggibile il progetto di Vaccarini».
Le guerre hanno fatto
il resto. «Nell’immediato dopoguerra, l’intero quartiere
Civita venne spopolato e affittato a nuclei di famiglie
povere – prosegue Iorga Prato – Alcuni occuparono
abusivamente parti dell’edificio abbandonato e negli
anni ’60 e ’70 vi si nascondevano droga e armi».
Archiviata la fase deposito illecito, rimangono le
botteghe fatiscenti e le stanze inaccessibili e
devastate. A denunciare lo stato di Palazzo Hernandez ci
pensa l’opera di uno street artist: accanto a un balcone
del primo piano con vista su piazza Duca di Genova un
anonimo creativo ha attaccato un grosso adesivo: ritrae
un ratto.
http://ctzen.it/2014/05/06/palazzo-hernandez-60-anni-di-abbandono-tra-nobili-spiriti-dicerie-e-false-attribuzioni/
SAN FRANCESCO DI PAOLA
La Chiesa di San Francesco di
Paola, che dà il nome all'antistante piazza, nel 1894 venne
distrutta da un incendio, sviluppatosi in un locale attiguo.
Riedificata nel 1907 per volontà del Cardinale Francica Nava in
prossimità del porto, venne riconosciuta parrocchia nel 1950
ln effetti, malgrado le
difficoltà conseguenti dalla carenza di spazi esterni, la parrocchia
più frequentata dalle famiglie della Civita oggi è quella di S
Francesco di Paola che la lega all'ambiente portuale oltre che al
personale militare di mare e della Guardia di Finanza marittima, in
quanto S. Francesco è venerato in quell'ambiente marinaro.
________________________________________________________________________________________________________
da "Catania dal blasonato barocco
della ricostruzione al vivace liberty dei viali" di Gaetano D'Emilio
- Editore Media Libri - 2009
|
http://www.sanfrancescodipaola.ct.it/
adesso Piazza
Cardinale Pappalardo
Palazzo Boccadifuoco
IL TEATRO COPPOLA
Il teatro di via Vecchio
Bastione, abbandonato per un lungo periodo, nel 1895 viene concesso
al Circolo Catanese Filodrammatico che, dopo averlo rimesso a nuovo
a sue spese, lo riapre a tempo di record. Successivamente esso,
viene intestato al compositore e maestro orchestratore Antonio
Coppola.
Durante il secondo conflitto
mondiale, fortemente danneggiato da bombardamenti, viene abbandonato
riducendosi a deposito per i pescatori della zona. Era intenzione,
da parte delle amministrazioni comunali di ricostruirlo ma si
rinunciò a favore di opere ritenute più urgenti, fino a diventare,
per decenni, laboratorio scenografico e deposito del Teatro Massimo
Vincenzo Bellini.
Oggi l'amministrazione Comunale
ha tollerato la occupazione bonaria di un gruppo di giovani
intellettuali che stanno eseguendo, con sacrifici economici
personali, i lavori di adattamento indispensabili per riattivarlo,
in attesa che l'Amministrazione lo restituisca, con gli antichi
splendori alla città, perché fa parte della sua storia Culturale.
________________________________________________________________________________________________________
da "Catania dal blasonato barocco
della ricostruzione al vivace liberty dei viali" di Gaetano D'Emilio
- Editore Media Libri - 2009
|
S. GAETANO ALLA MARINA
Sulla chiesa di S. Gaetano
nell'omonima via, le notizie stonche partono dal 1727 per la
presenza di un famoso predicatore Teatino vissuto nei locali
dell'antico monastero di S. Giuliano. Distrutto il monastero, la
chiesa ricostruita venne affidata al Vescovo del tempo. Nel 1952
diventò parrocchia autonoma, assai carente di adeguata area di
servizio al suo intorno, che ne limitava l'attività associativa ma
non quella religiosa.
Volendo caratterizzare alcuni angoli storici
della Civita, prima e durante il terremoto, che oggj hanno
rriferimento toponomastico e religioso, non si può non menzionare
l'area del S. Placido che fin dai tempi
pre-cristiani fungeva da Agorà, fulcro della vita cittadina.
________________________________________________________________________________________________________
da "Catania dal blasonato barocco
della ricostruzione al vivace liberty dei viali" di Gaetano D'Emilio
- Editore Media Libri - 2009
|
|
scene girate a
Paternò, Villa Curia, Ognina, piazza Duca
di Genova, Porto (molo di Levante e via Dusmet), via XX Settembre, Via
G. D’Annunzio, via Gemmellaro, viale Artale Alagona, via San Giuseppe
Alla Rena, piazza dei Martiri, Piazza Europa.
|
|
|
|
|
Il faro
Biscari |
Piazza
Giovanni XXIII |
|
|
Il porto |
La Civita
ai primi del '900 |
|
|
Via Dusmet |
Villa Pacini |
Ex CONVENTO DI SANTA CATERINA O
DEI DOMENICANI (oggi sede dell'Archivio di Stato)
(Testo dell'architetto Franca Restuccia e
dell'ingegnere Gaetano Palumbo)
- Il complesso occupa attualmente l'area
dell'intero isolato circondato dalla via Vittorio Emanuele a sud,
dalla via Sant'Agata a ovest, dalla via Pulvirenti a nord e dalla
via Mazza ad est.
Le vicende del convento sono riassunte in un
documento, conservato presso la Curia Arcivescovile di Catania,
redatto da Padre Aloisio Mercadante, nei primi anni del '700 Priore
del convento. Esso viene fondato nel 1600 ,con decreto pontificio in
esecuzione della volontà dei defunti don Vincenzo e donna Margarita
d'Arcangelo e Paternò, che avevano disposto che nella contrada della
Civita, al posto di "tenimenti di case"di loro proprietà, si
costruisse un monastero di donne "moniche "sotto il titolo di Santa
Caterina da Siena, per 4 zitelle e 13 vergini alle quali non doveva
essere imposto di portare la dote.
Successivamente per ampliare il complesso
vengono comprate altre case contigue e,prima del terremoto del
1693,il convento aveva un chiostro con colonne di marmo, il
dormitorio, "reposti ", magazzini, la dispensa, il refettorio, la
cucina, le congregazioni, l'aromataria e botteghe. La chiesa era
adorna di stucco reale e finissime pitture, decorata tutta in
oro,con "magnificenza così grande, che si rendea la più bella,
grande, e sontuosa chiesa e tempio di questa suddetta città ".
Tutto fu distrutto dal terremoto e la
ricostruzione, certamente per motivi economici, si protrasse per
lungo tempo se in un documento del 29 gennaio 1761 denunciando la
povertà del convento il Priore afferma che i religiosi vivono in una
capanna e che la nuova chiesa è ridotta " a fabrica quasi più della
metà ".
Solo nel 1855 si appaltano ad Onofrio
Finocchiaro, Salvatore Spina e Alfio Maugeri le opere per portare a
compimento il convento e cioè:
1)"Il prospetto ossia la facciata della chiesa
del ....convento giusta il disegno eseguito dal S.Architetto
D.Gaspare Nicotra Amico.
2)Imbiancare a latte lucido carmelitano
l'interno tutto della chiesa con i risarcimenti che si richiedono al
totale perfezionamento.
3)Sfondare le due cappelle laterali alla porta
maggiore di detta chiesa e portarli a compimento tale da potere
servire all'uso come sono le altre di detta chiesa meno degli
altari.
4)Costruire le quattro stanze rimpetto a
ponente e due rimpetto a mezzogiorno onde completare l'intiero
Chiostro di esso convento da consegnarsi al detto Padre Priore atte
a potersi abitare con tutte le opere di muratore falegname e ferro.
5)Finalmente eseguire tutti quei restauri e
risarcimenti bisognevoli al restauro ed intonaco del muro di
prospetto a ponente del convento suddetto che dà nella strada
pubblica e propriamente nel Vico S.Agata e di quello della chiesa a
tramontana del piano dei Morti ....."
Nel contratto d'appalto si precisa che i
lavori, dai quali erano esclusi lo scavo "delli pedamenti "della
facciata ed il loro riempimento a cui avrebbe provveduto il Padre
Priore in economia, dovevano essere eseguiti sotto la direzione del
Nicotra Amico, cui competeva anche la scelta degli scultori che
dovevano eseguire le statue da collocare nella facciata, e che le
stesse statue dovevano essere di gradimento del Padre Priore. Nello
stesso contratto si prescrivono anche alcune modalità costruttive
come ad esempio l'obbligo di eseguire la malta con ghiaia vulcanica
o rossa e di utilizzare per le murature in pietra composta
tutta,tranne le schegge e le zeppe per necessarie per gli assetti,da
"cannarozzoni e balatoni " con l'espresso divieto di usare la pietra
cosiddetta "fucilara".
L' organismo conventuale si sviluppa attorno
ad una corte quadrangolare, in origine circondata, secondo la
soluzione canonica, da portici sui quattro lati,situata in asse
all'ingresso principale che è sulla via V.Emanuele, la strada
ritenuta di maggiore importanza. In un impianto distributivo
piuttosto rigido che avvicina l'organismo monastico ad uno schema
assimilabile a quello del palazzo nobiliare, le celle sono disposte
sui prospetti esterni ed il collegamento tra gli spazi comunitari di
riunione e di relazione (chiostro, refettorio, chiesa)è assicurato,
dal corridoio che avvolge il perimetro della corte.
L' impianto figurativo del prospetto, le cui
proporzioni oggi appaiono alterate a causa
dei lavori eseguiti per il piano di livellamento delle superfici
stradali eseguito nella città nel 1869,sulla via Vittorio Emanuele è
scandito da lesene in pietra bianca che insieme alla modanatura che
denuncia il livello del pavimento del piano corrispondente alle
celle del cenobio,ed a quella di coronamento sulla quale è poggiato
il tetto , anch'esse in pietra bianca, aggettano leggermente
dall'intonaco grigio scuro della massa muraria formando una trama
regolare di riquadri nei quali sono inserite le finestre.
Quest'ultime sono contornate da sobrie mostre in pietra di andamento
curvilineo, che collegando
verticalmente le aperture corrispondenti ai diversi livelli esaltano
la verticalizzazione dell'intera facciata. La sequenza modulare
delle finestre è interrotta in corrispondenza dell'ingresso
principale al chiostro che viene denunciato, come l'atrio dei
palazzi nobiliari ,dal grande portale che insieme alla tribuna
sovrastante, alla quale viene collegato con un'unica cornice, può
essere considerato il semantema costante e più diffuso che accomuna
il linguaggio dell'architettura religiosa a quello dell'architettura
civile.
La chiesa, che in genere veniva disposta con
il prospetto sulla strada più importante e con l'asse principale
parallelo all'asse dell'atrio d'ingresso al chiostro, in questo caso
è situata nell'angolo nord-ovest dell'isolato nello stesso sito che
occupava prima del terremoto ed aveva una tipologia basilicale a tre
navate.
Completamente distrutta dai bombardamenti nel
1943,è stata ricostruita modificando completamente lo spazio
interno, attualmente adibito ad uffici del Comune di Catania,(sede
Archivio di Stato)e restituendo la facciata in "stile"
il
sito ufficiale dell'Archivio di Stato
________________
Ed ecco, a destra, com'era la Chiesa di Santa
Caterina da Siena dell'omonimo convento prima che venisse distrutta
completamente dai bombardamenti del 17 luglio 1943
Fu successivamente ricostruita ma in modo
totalmente diverso, persino negli spazi interni tanto che oggi ,chi
non conosce la storia, non crede che l'edificio di via Sant'Agata
col prospetto in fondo a via Santa Caterina al Rosario, sia stato
una chiesa.....anche perché fu ricostruita per uso uffici comunali
La chiesa era nata nel 1600 insieme al
convento monastico, ma distrutta dal terremoto del 1693 ,fu
ricostruita nello stesso sito fino a morire definitivamente nel 1943
Documenti di fondazione la descrivono come tra
le chiese più sontuose di Catania
foto di Antonio Trovato
grazie a Milena
Palermo per Obiettivo catania
https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/
Di
fronte al Palazzo Biscari è situato il Convento di San
Placido. Sul lato meridionale sono visibili il Portone
seicentesco di pietra ed un' edicola della stessa epoca
che incornicia un rilievo di Sant'Agata.
Esso sorse sul Tempio di Bacco. Nel XV secolo vi
risiedettero i Platamoni, nobile famiglia catanese oggi
spenta, che qui aveva il proprio palazzo, in seguito
donato al monastero. Della casa della famiglia rimane,
nel giardino della Badìa, un terrazzo decorato da
chevron.
La facciata barocca della Chiesa di San Placido è di
Stefano Ittar, che la realizzò nel 1769. L'interno è a
navata unica e custodisce affreschi di G.B. Piparo e
dipinti di M. Rapisardi.
All'interno
del monastero di S. Placido sono incastonate alcune
strutture murarie, nonché le case, che appartenevano
all'antico palazzo "alla marina" della famiglia
Platamone; di fatto, già nel XV secolo la famiglia le
aveva donate ai religiosi. Uno dei privilegi concessi a
tale famiglia fu l'autorizzazione ad aprire nelle mura
del palazzo una "posterna", in altri termini un
passaggio che avrebbe condotto direttamente al porto. A
causa dei nefasti avvenimenti che colpirono la città
alla fine del Seicento, oggi rimangono poche
testimonianze di tale edificio. Tuttavia, dopo il
terremoto del 1693, che distrusse in gran parte il
monastero, nella ricostruzione di questo ultimo vennero
annesse le testimonianze più antiche del palazzo.
www.cormorano.net
La prima fondazione
risalirebbe, secondo il Rasà, al 1409, anno in cui la
regina Bianca, figlia del re di Navarra, sposa di re
Martino, alle sue seconde nozze, e vicaria del regno di
Sicilia, donò preziosi arredi sacri al monastero delle
suore benedettine, ancora da erigere, forse rimanendo a
lungo ospite delle consorelle.
Inoltre, nel XV
secolo anche Ximene e Paola di Lerida - "coniugi di gran
pietà e di nobile e ricco casato catanese"[1] -
contribuirono finanziarianente alla costruzione del
monastero di San Placido, anche se l’atto di fondazione,
datato 4 dicembre 1420, dimostra che fu donna Paola,
ormai vedova, la sola ispiratrice della fondazione della
casa religiosa.
L'edificazione
avvenne sulle rovine di un antico tempio pagano dedicato
al dio Bacco, luogo di culto per la tradizione religiosa
catanese, poiché si diceva che un tempo vi sorgesse la
casa natale di sant’Agata, patrona della città.
La chiesa venne rasa
al suolo dal catastrofico terremoto del Val di Noto del
1693, che distrusse Catania.
Su iniziativa delle
uniche tre suore che scamparono alla morte, dalle
macerie del sisma, venne avviata la ricostruzione,
affidata all'architetto Stefano Ittar, e la nuova chiesa
venne consacrata nel 1723.
Nel 1976 venne chiusa
a seguito del riscontro di problemi alla struttura e,
dopo circa tre anni di lavori di consolidamento, venne
riaperta al culto nel 1979.
San
Placido
Il Cuore
della Catania barocca, racchiude nel suo seno una perla
di prelibate dolcezze, "I Dolci di Nonna
Vincenza".L'esperienza di tutta una vita, la passione e
l'amore per le tradizioni della nostra terra, il
desiderio di non disperdere un vero e proprio patrimonio
culturale, sono gli ingredienti base che Nonna Vincenza
e i suoi figli hanno utilizzato per intraprendere la
propria attivit?. E' un'aria di casa quella che si
respira entrando nella bottega di "Nonna Vincenza",
interamente arredata con mobili di fine ottocento, sita
nella barocca piazza San Placido, distante pochi metri
da piazza Duomo e dal Teatro Bellini.
Tra i palazzi della Catania barocca si
consuma il dramma di un uomo. Antonio Magnano, giovane
di famiglia alto borghese, affascinante e corteggiato,
non riesce a consumare il matrimonio con la bella moglie
Barbara Puglisi della quale è profondamente innamorato.
L' impotenza di un Magnano, sulla cui mascolinità
nessuno aveva mai osato dubitare, distrugge le certezze
del padre Alfio (Pierre Brasseur), federale ai tempi del
fascismo, frequentatore di bordelli e sedicente «sciupafemmine».
Una fine drammatica come drammatico è il film, "Il bell'
Antonio" (sceneggiato da Pier Paolo Pasolini e Gino
Visentini) attraversato da una venatura di sottile
ironia che mette in ridicolo il mito dell'uomo forte e
le incrostazioni culturali di certa borghesia siciliana.
Il regista Mauro Bolognini affida la parte dei
protagonisti ai «bellissimi» del cinema italiano,
Marcello Mastroianni, allora trentacinquenne, e Claudia
Cardinale, all'inizio della carriera. Rispetto al
romanzo di Vitaliano Brancati (scritto nel 1949 e
ambientato nella Catania fascista), Bolognini sposta la
storia (rimaneggiata in più parti) nel periodo a cavallo
fra gli anni Cinquanta e Sessanta, tempi in cui il mito
del maschio resiste ancora, soprattutto nella capitale
del «gallismo» siciliano. Per l'ambientazione sceglie
gli angoli più suggestivi del centro storico. Basta
affacciarsi dalla terrazza del palazzo settecentesco di
via Vittorio Emanuele, che nel film appartiene ai
Magnano, per capire come la scelta di Catania si riveli
felice. Un «giardino di pietra» costruito dopo il
terremoto del 1693, ammantato dalle atmosfere magiche
della pellicola in bianco e nero: la sagoma dell'Etna,
le cupole delle chiese, i tetti delle case, il duomo che
si affaccia sulla piazza dove spiccano i palazzi
progettati dall' architetto palermitano Giovan Battista
Vaccarini, l' obelisco con l' elefante e la via Etnea,
quattro chilometri di raffinato barocco. La storia
inizia alla stazione di Catania.
Antonio Magnano proveniente da Roma, dove ha vissuto per
qualche anno, torna nella sua città. Antonio si
incammina verso la casa di famiglia costeggiando la
marina, il palazzo dei principi Biscari, fino a porta
Uzeda, dal nome dei viceré spagnoli che governarono la
città. Poco dopo arriva a piazza Palestro dove si erge
porta Garibaldi, un arco di pietra nera inframezzato da
blocchi di pietra bianca eretto nel 1768. Siamo nel
popolare quartiere Fortino. Cammina ancora. Adesso la
macchina da presa inquadra la chiesa della Madonna del
Carmelo in piazza Carlo Alberto, nel film completamente
vuota, nella realtà sede del pittoresco mercato della
«Fera 'o luni». Tra sporadiche Seicento e qualche tram
in lontananza, giunge nella casa di famiglia.
La dimora dei Magnano è al secondo di un palazzetto di
tre piani. A pianterreno si intravedono la pasticceria
Reale, un negozio di mobili e di ciclomotori (ormai
scomparsi). Sullo sfondo una scritta, "Vespa". Dal
balcone accanto si affaccia la moglie dell'avvocato
Ardizzone: «Signor Alfio, ho saputo che suo figlio è
tornato dalla capitale». Poco dopo ecco anche la figlia
(l'attrice Fulvia Mammi), da sempre desiderosa di
sposare Antonio. E poi dal piano di sotto il senatore.
Tre balconi che nel film hanno un ruolo importante.
All' epoca proprietari dell'abitazione erano i Gemma,
benestanti catanesi concessionari della Piaggio. Alberto
Gemma aveva 18 anni: «Un giorno si presentarono a casa
il regista Mauro Bolognini e il produttore Alfredo Bini,
patron della casa Cino Del Duca, che chiesero il
permesso di utilizzare l'appartamento per gli esterni.
Evidentemente il nostro edificio, all'angolo fra la
chiesa di San Placido e i palazzi di via Vittorio
Emanuele, faceva al caso loro. "Inutile dire", spiegò
Bini, "che la produzione pagherà il disturbo". "Non
vogliamo soldi", disse mia madre. "Chiediamo soltanto la
presenza di Mastroianni e della Cardinale nel negozio:
vorremmo fotografarli a bordo delle Vespe". Il
produttore rimase di stucco, l'affitto di una casa per
girare un film veniva pagato profumatamente.
Dopo
mezz'ora mandò cinquanta rose gialle. Nella sede
centrale della Piaggio quando videro le foto non
credettero ai loro occhi. Le pubblicarono sulla loro
rivista, anche in copertina. Il cast stette una
settimana e mia madre non faceva mancare i cannoli. La
Cardinale era molto riservata, ma anche molto simpatica.
L' amicizia durò anche dopo: per tanti anni, in
occasione delle feste, ci fu un intenso scambio di
biglietti di auguri. A Mastroianni andò la mia stanza
per i riposini pomeridiani. A Pierre Brasseur,
simpaticissimo e bravissimo attore, faceva trovare una
bottiglia di vino che lui tracannava in pochissimo
tempo. Ogni tanto veniva anche Tomas Milian, che
interpretava il cugino di Antonio».
Ma torniamo al film. Dopo il fidanzamento fra Antonio e
Barbara, muore il nonno della ragazza. Tre i luoghi
scelti per il funerale: piazza Duomo, via Etnea, piazza
Università. In una atmosfera crepuscolare si scorge il
bar Duomo, l'antica gioielleria Avolio e la sede dell'
Ateneo catanese. Il corteo procede lentamente, le donne
affacciate ai balconi osservano Antonio: «Quant' è
bello». Barbara nasconde il volto con il velo nero.
Improvvisamente la bara scivola per terra e Bolognini è
costretto a ripetere la scena. A ricordare questo
particolare sono due comparse, Roberto e Aldo Pistorio,
allora di 16 e 8 anni: «Nostro padre ci portava sempre a
fare le comparse. Faceva il cuoco ma partecipava a tutti
i film che venivano girati a Catania».
Dopo il funerale Antonio e Barbara si sposano. La scena
viene realizzata fra le colonne incompiute della solenne
chiesa di San Nicola, in piazza Dante. Quando Goethe la
visitò restò incantato dall' organo di Donato Del Piano:
«Non vi è cosa più solenne, più profonda, più maestosa
di questa». Oggi l'organo non esiste più. Saccheggiato
negli anni. Un' immensa luce bianca penetra dagli ampi
finestroni e si espande fra le tre navate della chiesa.
Il dramma fra Antonio e Barbara si consuma in una
bellissima villa dove la coppia va a vivere. è nella
parte alta della città, era dell'ex sindaco di Catania,
Papale: allora era circondata da aranceti, oggi è
soffocata dal cemento. Fra Antonio e Barbara un anno di
carezze, di baci, di parole d' amore. Nient' altro.
La notizia arriva all' orecchio del notaio Puglisi,
padre della ragazza, che mediante lo zio monsignore
riesce a fare annullare il matrimonio e a combinare le
nuove nozze con il duca di Bronte. La madre di Antonio,
in un disperato tentativo di riconciliazione, parla con
Barbara. Il colloquio avviene nella sagrestia della
chiesa di San Giuliano, in via Crociferi. Il fallimento
della discussione sancisce la rottura definitiva fra le
due famiglie. Ad attendere Rina Morelli sul sagrato c' è
il marito infuriato: «So io come parlare ai Puglisi».
Attende il monsignore ed entra con lui nel convento dei
gesuiti che si trova di fronte. L'ex federale accusa la
Chiesa di ipocrisia. Il battibecco si svolge nel
suggestivo chiostro, con il pavimento di ciottoli
bianchi e neri.
La via Crociferi è l' angolo più incantevole del centro
storico. Piena di chiese, di monasteri, di palazzi
nobiliari, ha ispirato grandi scrittori come Verga, De
Roberto e Brancati. Tutto è immerso in un' atmosfera
irreale fatta di putti, di mascheroni, di cariatidi, di
ricami pietrificati.
Stefano Valastro ha 72 anni e fa il ciabattino. Si siede
sui gradini della bottega e comincia a parlare: «Quando
fu girato il film il responsabile della chiesa di San
Giuliano era padre Consoli, un frate che faceva anche
l'esorcista. Qui per gli esorcismi venivano anche dalla
Calabria. Un paio di persone nerborute accompagnavano i
posseduti dal diavolo, venivano chiuse le porte e dopo
un po' si sentivano grida disumane. Succedeva quando
Satana veniva cacciato dal corpo».
Poi Barbara si sposa con il duca di Bronte. Dopo la
cerimonia gli sposi salgono in macchina. Tutto si svolge
con il magnifico sfondo del palazzo aristocratico degli
Asmundo. La macchina costeggia i manufatti della via
Crociferi. Improvvisamente appare Marcello Mastroianni,
statuario, bellissimo, triste. Che attende il passaggio
di Barbara in una via Alessi lastricata con le strisce
di basalto lavico (poi trasformate in scalinata). Lo
sguardo di lui incrocia quello di lei. è la scena più
struggente del film. Lui innamorato e disarmato, lei
ineffabile e corrucciata. Antonio accompagna con lo
sguardo la macchina, poi percorre la via con la morte
nel cuore, mentre centinaia di curiosi osservano la
scena.
Antonio Di Grado, oggi docente di Lettere all'
Università di Catania, nel '59 ha dieci anni ed è
affacciato al balcone con lo zio. Sta lì dalla mattina
alla sera: «Il film consolidò la cultura interclassista
del centro storico: nei piani bassi gli artigiani, in
quelli medi la borghesia, in quelli alti i nobili. Tutti
assistevano alle riprese. Affacciato al balcone c' era
anche un barbiere. Aveva una storia incredibile:
essendosi ammalato da giovane, aveva promesso a Sant'
Agata che se fosse guarito avrebbe sposato una
prostituta. E così fece».
Ormai sono le ultime scene del film. Il vecchio federale
smaltisce la vergogna in un bordello. Va al vecchio San
Berillo, il quartiere delle prostitute, da sempre
ritrovo di militari, ragazzini, anziani e gente sposata.
La scena viene girata dal vivo. Pierre Brasseur
attraversa le stradine sconnesse, via delle Finanze, via
Maddem, via Di Prima, sale le scale, va da Mariuccia,
una vecchia conoscenza. Muore dopo «l' adempimento del
proprio dovere» fra le braccia della donna, mentre
pronuncia l' ultima frase della sua vita terrena: «Tutti
dovranno sapere che a sessant' anni suonati Alfio
Magnano andava ancora a donne».
________________________
LUCIANO MIRONE from "Mastroianni e Cardinale a Catania
il centro storico diventa magico - Repubblica,
28.1.2005"
La targa è
stata piazzata, fotografata e lasciata a Catania in via
Vittorio Emanuele II al 133, nel preciso palazzo dove
nel film abitano i genitori del bell'Antonio, in barba
alla telecamera della BNL. Poi fu rimossa.
_____________________
Mettetela
come volete: la musica del Padrino, i berretti neri, il
Bell’Antonio, i baffi, i fichi d’India, i cannoli, beddamatri,
mizzica… ma i matrimoni in Sicilia hanno un fascino tutto
particolare.
E’ uno spettacolo. Come per incanto, tutto è
fermo in attesa di essere dipinto, girato, scritto. Già la sposa fa
parte del capolavoro appena esce fuori dalle chiese barocche di tufo
e pietra lavica, coi suoi neri capelli e gli occhi come olive.
Aggiungiamoci alcune pennellate di cavalli, il cocchiere, le
musiche, gli invitati (soprattutto gli invitati), il selciato, i
colori, i paggetti e i testimoni, il tragitto, i curiosi, il
rinfresco, il posto.... e l'opera è completa.
E poi ditemi perchè qui, anche in quel
particolare giorno, tutto diventa un film di Maestri del cinema come
Visconti, Bolognini, Germi, Wertmuller, Zeffirelli, ecc. ecc. ecc.
Forse perchè solo qui in Sicilia, questi geni dell'arte hanno sempre
saputo individuare l'interruttore per accendere ….. la luce!
(Mimmo Rapisarda)
Impropriamente
attribuito alla residenza di Micio Tempio.
Inserito insieme con altri edifici
nell'isolato compreso tra le vie Vittorio Emanuele, Leonardi ,Pulvirenti
e Mazza è un organismo complesso dove l'irregolarità della maglia
della struttura muraria contraddice l'ortogonalità della maglia del
piano camastriano, il che induce a ritenere che nelle nuove
fabbriche siano state utilizzate le fondazioni degli edifici
esistenti prima del terremoto(del 1693).
L' edificio attuale è il risultato
dell'aggregazione di tre blocchi:Il primo in angolo tra la via Mazza
e la via V.Emanuele, il secondo tra quest'ultima strada e la via
Leonardi, il terzo sulla via Leonardi.
Nella distribuzione planimetrica, nell'intento
di migliorare l'organizzazione distributiva degli ambienti,
l'edificio ha subito nel tempo diverse modifiche, come l'inserimento
e la sostituzione di collegamenti verticali e la realizzazione di
trasmezzature interne,che certamente non contribuiscono alla
chiarezza dell'organismo.
Fra le modifiche subite dal complesso vanno
inoltre segnalate le superfetazioni di notevole entità realizzate al
livello della copertura e l'inserimento nel cortile di due corpi di
fabbrica:uno con un solo piano ed uno di due piani.
Gli elementi architettonici e decorativi, per
i quali viene sempre in qualche modo ripreso lo stesso disegno,
unificano percettivamente i prospetti dei 3 edifici e denunciano
chiaramente la successione nel tempo della realizzazione delle
fabbriche. Anche in mancanza di notizie certe supportate da
documentazione, la cui ricerca non ha dato esiti positivi, si può
pensare che il primo blocco ad essere costruito sia stato quello in
angolo tra le vie V.Emanuele e Mazza e l'ultimo quello prospiciente
sulla via Leonardi.
Il blocco situato in angolo tra le vie
V.Emanuele e Mazza ha un piano terra destinato a botteghe e tre
piani di cui il secondo assimilabile al "piano nobile "ed il terzo
non del tutto realizzato originariamente per l'ala prospiciente la
via V.Emanuele e successivamente completato con l'inserimento di un
volume arretrato che non si raccorda in alcun modo all'edificio
originario.
L' ingresso,posto sulla via V.Emanuele, è
sottolineato da un portale in pietra con bugne a diamante, le cui
proporzioni risultano chiaramente alterate dal livellamento della
via V.Emanuele effettuato nel 1869,ed immette nell'atrio dal quale
si accede al cortile ed alla scala che conduce ai piani. Ai vari
piani i vani posti in corrispondenza del portale d'ingresso hanno il
pavimento ad una quota diversa da quella degli altri ambienti il che
fa pensare che, pur senza modificare la candela architettonica
costituita dal portale e dal balcone soprastante, l'impianto
originario abbia subito nel tempo sostanziali modifiche e
rimaneggiamenti, ipotesi confortata anche dalla soluzione adottata
per i ballatoi che sulla via Mazza al primo e secondo piano
unificano due aperture con un disegno che non si riscontra in
nessuno degli edifici settecenteschi.
Il blocco posto in angolo tra la via
V.Emanuele e la via Leonardi oltre al piano terra, destinato a
botteghe, ha in elevazione tre piani ai quali in corrispondenza
dell'angolo è stata aggiunta, eliminando la copertura a tetto,una
notevole superfetazione che può essere considerata un quarto piano.
Il grande portale esistente sulla via
V.Emanuele secondo i canoni consueti introduceva ad un atrio che
sfociava nel cortile e dal quale probabilmente si accedeva anche
alla scala che conduceva ai piani superiori. Oggi nello spazio
dell'atrio è stata ricavata una bottega con ammezzato e fra le
paraste che concludono lateralmente il portale sono inseriti la
porta d'ingresso alla bottega ed il balcone del piano ammezzato.
Attualmente i piani sono serviti da una scala
il cui ingresso, situato sulla via Leonardi, è evidenziato da una
mostra conclusa in sommità con un arco a tutto sesto che non ripete
il disegno delle mostre che contornano le aperture delle botteghe
trattate più semplicemente e concluse con archi ribassati.
La facciata è organizzata canonicamente ed è
sottolineata dal ritmo delle aperture, fino al secondo piano
unificate dalla continuità delle mostre e contromostre che le
contornano, dalle mostre orizzontali, dall'elemento portale e dai
balconi angolari.
Il terzo blocco ,interamente prospiciente
sulla via Leonardi, ha il piano terra destinato a botteghe e tre
piani in elevazione serviti da una scala cui si accede dalla via
Leonardi. Gli elementi architettonici, ripresi in "stile",e il
taglio delle aperture denunciano chiaramente la sua costruzione in
data successiva a quella del blocchi già descritti .
(Ing. Gaetano Palumbo)
grazie a Milena Palermo per
Obiettivo Catania
https://www.facebook.com/ObiettivoCatania/
VIA VITTORIO EMANUELE
Saverio Fiducia nel suo
"Passeggiate sentimentali" considera la via Vittorio Emanuele
sorella della via Etnea perché esse rappresentano i maggiori
rettifili tracciati dal Camastra, nate nello stesso periodo e
programmate dagli stessi progettisti in perfetta unità di stile;
l'una partendo dalla piazza Duomo consente di ammirare l'intero
percorso che ha "per fondale l'iridato dorso della Montagna" ,
essendo l'altra, bella da qualunque sia il punto dove ci si fermi
per guardarla suo percorso che ha per fondale la colonna e la statua
votiva stagliarsi nel mare del più tenero azzurro" .
Non aveva infatti torto Saverio
Fiducia nel giudicare il livello della bellezza architettonica degli
edifici della Civita rispetto a quelli della sorella via Etnea, se
teniamo conto della preziosità che essi dimostrano, malgrado molti
di loro necessitano di opere di rigenerazione.
Recentemente lungo la via
Vittorio Emanuele ad angolo con la piazza Cutelli è stato utilizzato
dall'Ateneo catanese il palazzo Pedagaggi per destinarvi la Facoltà
di Scienze politiche, dove già esisteva una importante
rappresentanza del Banco di Sicilia, così pure un' altra antica
nobile residenza di via Dusmet a poca distanza dalla piazza dei
Martiri. Rivitalizzato da un gruppo privato anche il grandioso
edificìo della Vecchia Dogana del porto, primo luogo di accoglienza
dei croceristi.
Mentre il palazzo dei principi
Biscari continua la sua attività culturale quale sede di club
teatri, atelier e manifestazioni varie di alto livello nei suoi
secolari accoglienti locali.
Sono iniziative che indicano la
volontà della città di riportare il quartiere della Civita alle sue
originarie radici.
________________________________________________________________________________________________________
da "Catania dal blasonato barocco
della ricostruzione al vivace liberty dei viali" di Gaetano D'Emilio
- Editore Media Libri - 2009
La Civita,
antico quartiere marinaro, era ai tempi di Gian Battista
Vaccarini il cuore della città che risorgeva dopo il
disastroso terremoto del 1693. Proprio in questo
quartiere, che lo aveva visto maggiormente impegnato coi
lavori di ricostruzione e che più amava, l'abate
architetto costruì la sua casa. A due passi dal mare,
nei pressi dell'antico convento dei frati di S.Francesco
da Paola, i quali gli avevano offerto, in cambio dei
servigi resi, una striscia della loro vigna. La piccola
costruzione, che nell'esiguità della sua mole è un
esempio di raffinata eleganza, è stretta a Nord tra la
via Sorrentino, ad Est via Serravalle e via Colapesce a
Sud.
Sorta in
periodo tra barocco e rococò, è invece decisamente
classicheggiante e rinascimentale, anche se la presenza
di alcuni elementi decorativi la pone di estrazione
barocca. È piana e riposante. A pianta quasi quadrata,
si articola su due piani: dieci stanzette e un saloncino
al piano nobile e quattro vani al piano terra. La
facciata in via Colapesce era una volta in vista del
mare. In pietra calcarea bianca, è ritmata da quattro
arcate che sorreggono una terrazza delimitata da una
balaustrata con il caratteristico motivo a «trafori
ovali» di invenzione vaccariniana.La costruzione gira
l'angolo in via Serravalle, dove presenta una altra
apertura ad arco, chiuso in origine da una chiave di
volta decorata e sormontato da un altorilievo
rappresentante il busto di S. Agata, protettrice della
città.
L’apertura è formata da uno scalino in pietra
lavica; oggi molto rialzato, ma una volta a livello
stradale; si suppone che questo fosse l'ingresso
principale della città. La facciata in via Sorrentino
sembra essere rimasta incompleta: un semplice portone di
ingresso ad arco di pietra bianca, sormontato da una
finestra quasi rinascimentale affiancata da altre due a
cornice piana; due semplici aperture in basso
fiancheggiano il portone. Quattro occhialoni delimitati
da una cornice circolare in pietra bianca, ritmano le
superfici piane della facciata, dando luce alle scale
interne. La casa, alla morte del maestro, passò in
eredità alla sorella. Fu in seguito acquistata da una
certa famiglia Piazza e divenne negli anni a venire
abitazione di nuclei di pescatori e abitanti della zona.
Solo nel 1941, già malridotta e cadente, fu dichiarata
«monumento nazionale».
Nel giugno
del 1988, ultimati tutti i lavori a seguito di un
devastante degrado, la Domus Magistris ha finalmente
potuto riacquistare la sua vera fisionomia. Lunica
licenza riguarda il busto di S. Agata. Originariamente
posto come chiave di volta nell'arco di ingresso, il
busto è stato restituito alla devozione dei catanesi. Ma
per la riapertura al pubblico della storica casa,
occorreva altro tempo. Certo che il gioco altalenante
delle pubbliche amministrazioni ha indubbiamente
influito su tale ritardo, ma è proprio uno strano caso
che la riapertura della dimora del massimo artefice
della rinascita di Catania sia avvenuta quest'anno, nel
1993, a trecento anni giusti di distanza da quella
terribile data: 1693, quando la città scempiata e
stravolta, poté riacquistare corpo e anima grazie
all'opera di Gian Battista Vaccarini, grande architetto
e abate di Milazzo.
(Marilena
Torrisi)
Archi
della Marina
Materiale pietra: roccia lavica e roccia calcarea
Progettista ing. Petit Costruzione 1864-1869
In siciliano Archi dâ Marina, è il nome di largo uso
tradizionale e popolare con cui è chiamato il lungo
viadotto ottocentesco in muratura, della ferrovia
Catania-Siracusa, che collega la stazione di Catania
Centrale all'imbocco della galleria dell'Acquicella.
Il progetto del viadotto nacque in seguito ai programmi
di costruzioni ferroviarie della Società Vittorio
Emanuele. Questa, costituita con capitale interamente
francese e presieduta da Carlo Laffitte, era subentrata
nella costruzione e nell'esercizio delle linee
ferroviarie calabro-sicule quasi d'autorità sostituendo
la Società livornese Adami e Lemmi che, con decreto
dittatoriale del governo provvisorio di Garibaldi del 25
settembre 1860 ne aveva ottenuta la concessione.
La Società
Vittorio Emanuele subentrò facilmente alla Società Adami
e Lemmi anche perché aveva fatto acquisto di una
consistente partecipazione azionaria in quest'ultima. Il
27 agosto 1863 vi fu l'atto di affidamento per la
costruzione delle nuove linee alla società Parent,
Schaken e C. e Salamanca che, il 25 settembre
successivo, la subconcessero alla società in accomandita
Vitali, Picard, Charles e C. già preventivamente
costituita a Parigi il 24 agosto 1862 (i cui soci
accomandanti erano Parent, Schaken e C. e gli
accomandatari Vitali, Picard, Charles ed Oscar Stevens).
Quest'ultima società appaltò ulteriormente la
costruzione dei tronchi ferroviari Alcantara-Catania,
Catania-Siracusa, ed i lavori della Stazione di Catania
Centrale all'impresa Beltrami Gallone e C.
Frattanto
in seguito all'emanazione, il 14 maggio del 1865 di
un'apposita legge, la n. 2279 si costituiva la Società
per le Strade Ferrate Calabro-Sicule e si affidava alla
suddetta società la concessione per la costruzione e
l'esercizio delle future ferrovie di Calabria e Sicilia.
Nel 1866 non riuscendo a portare avanti i lavori per
motivi finanziari, la Società per le Strade Ferrate
Calabro-Sicule (ex Società Vittorio Emanuele) metteva in
liquidazione la Vitali, Picard, Charles e C e il 29
novembre dello stesso anno stipulava una nuova
convenzione con l'Impresa Generale per la costruzione
delle strade ferrate calabro-sicule per continuare i
lavori della Messina-Siracusa.
In questi frangenti, tra diatribe e dibattiti
interminabili, si inseriva la questione degli Archi
della Marina; era infatti opinione dell'amministrazione
comunale e della Camera di Commercio cittadina della
città di Catania che il tracciato presentato nel marzo
del 1864 dall'ingegnere Petit, della Vittorio Emanuele,
fosse penalizzante per la città in quanto creava una
cintura di ferro che penalizzava pesantemente il
movimento mercantile del porto e cancellava la
Passeggiata a mare cittadina costituita dal viale
esterno alle Mura di Catania che conduceva al piazzale
posto al termine della via Vittorio Emanuele.
Veniva quindi proposto, dalla commissione di ingegneri
incaricati dal comune, un percorso alternativo a monte
della città che passasse per il piano del Borgo e con
diramazione a Cibali per Siracusa e Palermo che avrebbe
allacciato il porto da sud nell'area detta di Villa
Scabrosa evitando anche la costruzione della galleria
dell'Acquicella. Il dibattito parlamentare sembrò
accogliere il progetto ma con un vero e proprio atto di
forza, con decreto del 6 agosto 1864, il Ministero dei
Lavori Pubblici approvava il progetto di massima
presentato il 12 giugno 1864 dalla Società Vittorio
Emanuele, prescrivendo alla stessa il tracciato a sud
con il lungo viadotto e la galleria di 1 km sotto la
città.
Nonostante
ciò da parte delle numerose istanze cittadine si tentava
di ottenere dal Ministero l'approvazione delle varianti
proposte fino all'anno successivo.
Il 3 gennaio 1867 veniva aperta all'esercizio la
Stazione Centrale costruita sulla scogliera dell'Armisi,
luogo che era stato oggetto di contestazione, con la
inevitabile costruzione del viadotto che venne aperto al
traffico ferroviario il 1º luglio del 1869
contemporaneamente alla galleria dell'Acquicella, al
collegamento dei binari del porto e alla prima sezione
della linea per Siracusa.
Negli anni trenta con i lavori di ampliamento del Porto
di Catania anche il viadotto venne inglobato nel tessuto
urbano dato che venne realizzato l'ampio piazzale
artificiale del Molo Crispi.
A metà degli
anni sessanta nel corso dei lavori di ammodernamento
della ferrovia Catania-Siracusa venne raddoppiato il
viadotto dal lato sud, verso il porto, costruendone una
seconda sezione affiancata dal lato mare, esteticamente
uguale a quella antica.
Nel corso dei primi anni duemila il viadotto è stato al
centro di polemiche, tra l'amministrazione comunale e
vari ambienti culturali cittadini, in seguito al
progetto di un suo abbattimento in seguito ai lavori di
costruzione del passante ferroviario di Catania di RFI.
In seguito a ciò e, soprattutto, dato l'elevatissimo
costo necessario a tale operazione il progetto è stato
successivamente modificato prevedendo l'interramento
della sola Stazione Centrale che si dovrebbe collegare
con una rampa in ascesa al viadotto.
Caratteristiche
Il viadotto
venne realizzato, a semplice binario, mediante una
successione ininterrotta di archi in muratura poggianti
su pile anch'esse in muratura. Nella scelta dei
materiali di decorazione venne utilizzata la tipica
alternanza di colori, grigio Basalto e Avorio, che
caratterizza molte delle costruzioni cittadine. Il
percorso del viadotto assume la forma di una S coricata
che inizia da un contrafforte artificiale all'altezza
del molo foraneo del porto e termina poco oltre la porta
Uzeda, in corrispondenza della pescheria. Il percorso
contorna all'esterno il vecchio perimetro della città
allargandosi sul mare all'incirca a metà del suo
percorso.
http://it.wikipedia.org/wiki/Archi_della_Marina
Archi
della Marina, li abbattiamo o li valorizziamo?
La proposta del Sindaco
Questa mattina
a Confindustria, con il Presidente dell’Autorità di Sistema, abbiamo
parlato di piano regolatore del Porto. Una previsione su cui ci
troviamo assolutamente in sintonia, che permetterà, alla
finalizzazione del processo, la restituzione del mare ai cittadini.
In questo
contesto abbiamo parlato anche del nodo Catania, il piano di
interramento della stazione ferroviaria e della linea ferrata fino
al castello Ursino, che stiamo discutendo con il gruppo ferrovie
dello Stato.
Nel caso in cui
l’ambizioso progetto vedesse la luce, mi è stato chiesto cosa
penseremmo di fare degli archi della Marina. Ho specificato che si
tratta di soluzione troppo importante che non potrebbe che essere
affidata a un confronto con la cittadinanza intera; pur precisando
che, a titolo personale, io propenderei per l’abbattimento, con il
mantenimento di una parte sopra la pescheria come memoria storica. È
troppo prematuro parlarne, ma immagino che la divulgazione della
notizia provocherà non pochi dibattiti. Il mio vale come giudizio
personale e non conta nulla. In ogni caso mi piace sottoporre queste
due fotografie di come è adesso e come potrebbe essere: ogni volta
che le mostro, persuadono alla demolizione anche i più convinti
sostenitori dell’idea di mantenerli (e non è neanche la parte più
iconica, come potrebbe essere quella prospiciente Palazzo Biscari).
Enrico Trantino
Sindaco, 19.9.2024
Archi della
Marina: un storico simbolo o uno storico "sfregio" al
waterfront barocco?
Se lo chiede la prima municipalità
di Catania, quella che fa riferimento al "cuore" storico
della città, dove sorgono appunto gli archi, con una
raccolta firme. Come a dire "se il Consiglio comunale
non è capace di decidere, chiediamolo ai cittadini". Di
abbattere o di valorizzare questi, comunque li si
considerino - belli brutti inutili romantici inquietanti
- "storici" simboli di Catania se ne parla da anni, più
o meno da quando si parla di "piano regolatore nuovo".
Vale a dire da almeno 20 anni (l'ultimo PRG è del '69,
il "Piano Piccinato"). Abbatterli vorrebbe dire
recuperare il "Water front" storico della Catania
barocca, con il Palazzo Biscari, l'arcivescovado e tutti
gli altri edifici storici della via Dusmet che
riacquisterebbero il loro ruolo di "biglietto da visita"
per i turisti che vengono dal mare, dal porto, lì a due
passi. Ma la prospettiva di trasformare gli archi, ora
ponte ferroviario, in una pista ciclabile all'interno
della città non è per nulla una cattiva idea, tanto più
che sarebbe economica e di facile realizzazione, mentre
l'abbattimento degli archi richiederebbe anche la
completa riprogettazione dell'intera area portuale,
riportando il mare a pochi metri dal centro storico.
Un'impresa
titanica, ma visti i tempi che corrono a Catania -
dissesto finanziario alle porte, crisi economica, crisi
ambientale, crisi occupazionale, crisi universitaria,
crisi in ogni sua forma - forse è meglio volare basso e
realizzare il realizzabile. I catanesi poi sono
affezionati agli archi, che sono anche il centro di
molti detti popolari, e la loro presenza è rassicurante.
Il presidente dell'autorità portuale Castiglione (ex
assessore comunale ai tempi di Scapagnini) assicura che
resteranno dove sono, ma l'ultima parola non spetta a
lui, ma al Consiglio Comunale.
Voi cosa ne fareste? Li valorizzereste restaurandoli e
integrandoli nel contesto urbano, o li abbattereste per
far spazio al "waterfront" che tanta ammirazione ispirò
ai viaggiatori del Grand Tour?
http://40xcatania.ning.com/profiles/blogs/degno-di-nota
Lanfranco
Zappalà*- Se chiedessi a tutti i catanesi cosa sono gli
“Archi della marina” sono sicuro che ciascuno di essi
saprebbe rispondermi. Un tempo il nostro bel mare
arrivava fin là sotto, proprio sotto i nostri grandi
Archi e credo che debba essere stato uno spettacolo
meraviglioso osservare le onde infrangersi contro di
essi.
Oggi il mare
è ben lontano dagli Archi e certamente guardandoli
adesso non credo che sia tanto spettacolare come una
volta. Ritengo che gli “Archi della marina”, oltre a
rappresentare un importante testimonianza del passato di
Catania, possano anche divenire un vero e proprio
simbolo della città. Piuttosto che lasciarli al degrado
o vederli trasformati in bancarelle o ancora peggio in
selvaggio deposito di auto e furgoni, gli “Archi della
marina” potrebbero divenire un vero e proprio “Museo”.
Questa è la mia idea!
“Il Museo a
cielo aperto”, così ho chiamato il mio progetto, vuole
essere un tributo alla sicilianità e rappresentare
quelle magnifiche tradizioni legate alla terra , al
mare, all’arte, alla cultura di Catania e della Sicilia
in genere. L’Etna e i suoi preziosi frutti, il mare, la
pesca, l’arte dei pupi, l’artigianato in tutte le sue
manifestazioni, dal carretto siciliano alle ceramiche.
GLI ARCHI E LA FERROVIA
Se l'attività portuale crea inevitabili
situazioni di degrado in un quartiere fortemente antropizzato,
ancora di più la strada ferrata le cui locomotive, a quei tempi a
carbone, ne rendevano l'ambiente malsano. Ambedue fattori tali da
rendere degradata l'intera area abitativa, per cui la nobiltà, che
nel periodo della ricostruzione aveva pagato il valore di quelle
aree il triplo di altre perché, al confine con il lungomare, vennero
considerate di posizione ambientale pregiata, negli anni del
novecento, cominciò ad
abbandonare il quartiere. lnfatti con
la perdita del paesaggio e lo sconfinamento con il mare dovuto
all'attraversamento ferroviario, l'ambiente iniziale venne
stravolto, con conseguente abbassamento dei valori patrimoniali
degli immobili.
La costruzione del ponte
ferroviario (archi della marina) e della Stazione Centrale,
portarono alla distruzione di quella parte di mura di Carlo V non
crollate a causa del fenomeno sismico, interessando le porte del
Porticciolo e di Ferro, ma soprattutto tolsero il mare alla città
del tempo ed a quella del futuro.
Addirittura nell'infausto giorno
dell'inaugurazione dell'ecomostruosità venne distribuita una
cartolina che ricorda lo storico misfatto ambientale, di cui, ancora
oggi molti professano I'ambientalismo senza chiederne
l'abbattimento.
________________________________________________________________________________________________________
da "Catania dal blasonato barocco
della ricostruzione al vivace liberty dei viali" di Gaetano D'Emilio
- Editore Media Libri - 2009
L' ERRATA UBICAZIONE DELLA STAZIONE
FERROVIARIA CHE HA DETERMINATO LA SOTTRAZIONE DEL MARE ALLA CITTÀ
-Con l'errata scelta dei luoghi di
attraversamento della strada ferrata,i cui archi di sostegno dopo breve tempo si
ritrovarono all'interno della città e la presenza del porto e della stazione
ferroviaria sempre più impattati sull'ambiente urbano per il tipo di traffico
che causava il trasporto e la spedizione delle merci ed in particolare dello
zolfo,cominciò la fase discendente del quartiere.
Al danno prodotto dall'attraversamento della
ferrovia si aggiunge la costante penetrazione del degradato quartiere del San
Berillo nella Civita,per cui si comprende la causa dei decadimento del più
nobile ed antico quartiere della città ed il trasferimento altrove
dell'interesse residenziale dell'aristocrazia.
Fu realizzata una "cintura di ferro",come
venne chiamata dal prof.Francesco Fichera in un convegno:"nel 1860 allorché fu
costruita quella serie di orribili cassepanche in muratura che hanno ricevuto
l'appellativo di archi della marina (per cui gli archi purtroppo ci sono, ma la
marina non c'è piu), nonostante il disperato intervento di alcuni illuminati. "
Il Consiglio Comunale del tempo commise
l'enorme errore di respingere la proposta avanzata dall'impresa costruttrice
che, contro il compenso di lire centomila, avrebbe spostato a monte la linea
ferroviaria.
Esempio eclatante di amministratori dalla
vista corta nei confronti degli interessi pubblici le cui indecisioni graveranno
negativamente per secoli.
Ed era quello che Ignazio Landolina aveva
suggerito al Consiglio Comunale, con una relazione che riguardava lo spostamento
del percorso nella parte alta della città che, se accolta,avrebbe evitato quella
disastrosa "cintura di ferro ",archi per primi.
Tali "cassoni"hanno rappresentato per
Catania, il più grave misfatto paesaggistico che sia stato mai perpetrato in suo
danno, con l'aggiunta di avere creato un serio permanente impedimento alla
mobilità viaria della più preziosa area cittadina:a quel tempo, ed ancora oggi.
Dalle figure....si può facilmente verificare il danno che essi permanentemente
creano alla città e come potrebbe essere senza l'impedimento degli archi.
Con essi vennero "accecate "tutte le
residenze che avevano la vista su quel lungomare, oggi via Dusmet con una
conseguente devalorizzazione patrimoniale degli edifici coinvolti.
E non solo per gravissimo danno ambientale o
per la mobilità veicolare che non consente il necessario scorrimento, ma perché
impedisce il collegamento diretto tra il Templum ed il Castello Ursino che
doveva avvenire lungo la via San Calogero.
Infatti ad ovest, con la soppressione della
via San Calogero occupata dalla ferrovia, si venne ad accentuare una
discontinuità urbana, tra la parte est della città (Civita)e la parte ovest che
portava al Castello Ursino, marcandone il diverso tipo di sviluppo. La Civita,
col tempo, non costituì più la parte culturale e nobiliare della comunità.
Non solo non era più in condizioni di dare
positività ambientale e culturale alle aree circostanti ma veniva coinvolta
dalle negatività del loro degrado, tenuto conto che esse erano cresciute
disordinatamente, senza avere osservato le regole dettate dal Camastra. Molti
cittadini, per una questione di affettività, derivante da un fenomeno di
quotidiana abitualità ,ritengono tuttavia oggi che questi archi vadano tutelati.
A questi rispettabili affezionati del passato
(seppur negativo),va proposto l'esempio dell'acquedotto dei Benedettini:come per
lo storico acquedotto si potrebbero salvare alcuni archi della marina, lasciando
di loro una consistente testimonianza storica che attraversa il verde -(Gaetano
D'Emilio)
Foto e testo tratti da "Catania dal blasonato
barocco della ricostruzione al liberty dei viali" di Gaetano D'Emilio
|
Tutto ciò e
molto altro racchiuso sotto gli archi ma a “Cielo
aperto”, un museo appunto aperto a tutti coloro che
costeggiano gli Archi della marina e possono ammirare le
raffigurazioni delle nostre meraviglie.
Il mio
obiettivo è non solo la valorizzazione di un angolo di
città molto caratteristico, attraverso l’esaltazione
delle nostre tradizioni, ma anche un’opera
artistico-culturale da offrire ai catanesi stessi e al
turismo.
Gli “Archi della marina” trovandosi alle porte della
città per chi ci raggiunge dall’aeroporto, dal porto e
dalla stazione, potrebbero divenire per i turisti
un’opera di benvenuto rendendo gradevole, e soprattutto
originale, l’ingresso nella nostra bella Catania.
http://40xcatania.ning.com/profiles/blogs/degno-di-nota
LA VILLA PACINI
Alle spalle del Piano di S.Agata,
attraversato dal percorso finale del fiume Amenano, tra il mare e la
cittadella del clero, successivamente venne programmata la elegante
villetta pubblica Pacini, in convinta attesa che fosse l'inizio,
come in altre città marinare, di un ampio ininterrotto lungomare
cittadino.
Il quartiere venne arricchito da
tale zona verde alle spalle della piazza Duomo, ricavata da una
vasta area liberata dalle ricorrenti inondazioni delle acque di
scorrimento piovane e del fiume Amenano che la rendevano melmosa. Di
quella area, sopraelevata, si ricavò invece un luogo di passeggio e
di incontri con vista sul mare, adornata da alberi d'alto fusto e
verdi aiuole segnate da eleganti bordure di verde, con un laghetto
alimentato da una delle tre ramificazioni regolamentata del fiume.
Frequentata da signore e signori eleganti desiderosi di rilassarsi o
apparire, di incontri amorosi o affaristici, di anziani dediti alla
lettura dei giornali quotidiani, di bambini che per gioco si
rincorrevano seguiti da genitori e nurses. Nel pomeriggio delle
serate estive erano molto frequentati i concerti della banda
cittadina che nei giorni festivi si raddoppiavano: uno nella tarda
mattinata e I'altro nella serata.
La villetta era anche luogo in cui
bravi cantastorie di professione , nei pomeriggi ma anche nelle
mattinate raccontavano ai cittadini di tutte le età, che accorrevano
numerosi, fantasiose quanto affascinanti storie medievali di lotte
tra Crocìati e Saraceni, ma anche di argomenti popolari quali la
storia della Baronessa di Carini, accompagnati da cartelloni a
colori precedentemente preparati, con ammesso dibattito, riscuotendo
successo e simpatia vivendo più di passione teatrale che dei pochi
spiccioli che racimolavano alla fine di ogni esibizione.
Successivamente, nel 1879,
l'Amministrazione Comunale volle onorare il valoroso musicista
catanese Giovanni Pacini, messo in ombra dalla fama di Bellini,
intestandogli la villetta con relativo monumento marmoreo; per cui
la villetta alla Marina venne ribattezzata Villa Pacini.
Quando venne costruito il
viadotto ferroviario che coinvolse anche la villetta, si discusse a
lungo, anche in Consiglio Comunale, se quei tozzi archi dovessero
essere trasferiti altrove, ma come da sempre, essendo i vertici
delle ferrovie italiane, uno Stato a parte rispetto a quello
ltaliano, non se ne fece niente, imbruttendo insieme alla città
anche la deliziosa villetta, unico verde pubblico in quella
importante area, trasformando il laghetto in vasca d'acqua ed
eliminando i concerti Cessarono infatti i pomeriggi musicali diretti
dal famoso maestro Pennacchio, a causa della ferrovia con i suoi
rumorosi passaggi provocati dalle locomotive a carbone per cui
l'ambiente non era più salubre; i bambini non continuarono ad
inseguirsi essendo diventata l'aria insalubre, vennero dirottati
altrove gli incontri amorosi o affaristici, accolti nei numerosi
eleganti locali della vicina via Etnea, per cui per l'arguto
popolano catanese diventerà solo "a villa e varagghi".
Nelle serate dal mite clima,
adesso che le locomotive non sono più alimentate a carbone, i
pescatori anziani, per tradizione tramandata da padre in figlio,
continuano ad incontrarsi per una partitina a carte o per avere
fresche notizie "radiovoce " di quartiere, ma anche per "rimediare"
qualche opportunità di lavoro.
Negli anni ottanta si è riusciti
a collocarvi qualche statua acefala dei re Borbone, giacente nei
depositi comunali fin dal 1860, a testimonianza storica.
________________________________________________________________________________________________________
da "Catania dal blasonato barocco
della ricostruzione al vivace liberty dei viali" di Gaetano D'Emilio
- Editore Media Libri - 2009
LA VILLETTA PACINI
(Testo di Lucio
Sciacca, da "Catania com'era",1974)
-Prima
dell'eruzione del 1669,la PLAIA si estendeva dalla punta del Faro
all'attuale darsena interna del porto, e i terreni che la
delimitavano a occidente,tra i più fertili dell'intera zona, erano
coltivati a ortaggi e, in parte, destinati a ville patrizie. Un vero
<<luogo di delizie >>,come allora veniva indicato tutto il litorale
meridionale catanese.
Per le
passeggiate estive,i catanesi, dunque, potevano spingere i loro
passi dal PORTICELLO SARACENO, brulicante di velieri colmi di
derrate,al vivaio Biscari che, per le sue serre favolose e la
dovizia delle sue colture, veniva considerato fra i più assortiti
d'Europa.
Una
passeggiata davvero lunga, a ben pensarci.
Finché,
un giorno di quell'infausto 1669,la Montagna ci mise la coda (di
fuoco),e gran parte di quei terreni,le ville,il vivaio Biscari, la
passeggiata stessa dei catanesi andarono in fumo in men che non si
dica.
L'
eruzione di quell'anno,insomma, modificò la topografia del litorale,
e dov'erano stati alberi frondosi, morbide arene e aiuole fiorite,
s'allargarono, d'un colpo,le durissime lave dell'Etna.
<<......Prima di raggiungere il mare - scrive il Recupero - il fuoco
si dilatò quasi in due miglia di larghezza, il cui sinistro corno
camminando rasente il Castello Ursino e le Mura della Marina,
sopravvanzò la loro altezza.....venendo a seppellire i 36 canali che
adacquano la città et erano ornamento impareggiabile della marina.
Il destro corno si diresse verso mezzogiorno dove incendiò ville et
giardini, orti e case e palazzi che adornavano quella riviera. E
ugualmente precipitando nel mare tutta quella gran mole di fuoco, si
avanzò quasi un miglio per entro a quello.....>>
(Si
avanzò tanto, quella <<gran mole di fuoco >>,da indurre i catanesi a
sperare che l'Etna, dopo le troppe rovine, avesse almeno dato loro
il Porto,un porto naturale.....)
La
spiaggia, divenuta costa dall'oggi al domani, obbligò i catanesi a
rivedere i loro itinerari festivi, costringendoli a limitarne
l'ampiezza.
Com'era
quindi da prevedersi, col passar del tempo essi rivolsero le loro
cure allo spazio prospiciente il Palazzo Vescovile, attiguo al
Porticello Saraceno, ch'era stato risparmiato dalla lava.Poiché in
fatto di opere pubbliche, il tempo è misurato col metrò dei decenni,
ed essendo ormai trascorso più di un secolo senza che alcun
provvedimento fosse stato preso per dotare la città d'una
conveniente passeggiata, la gente cominciò a protestare. E dinanzi
alle proteste popolari, anche i sordi odono, talchè l'Intendente del
tempo, duca di Sammartino, dichiara solennemente che non si darà
pace finché non avrà sistemato la Marina. Nel 1825 ebbero inizio,
infatti, quei lavori che dovevano ridare ai catanesi la loro ambita
passeggiata e allo stesso Intendente la soddisfazione d'un canto di
gratitudine indirizzatogli dal popolo, questa volta plaudente:
<<Ch'è
beddu lu 'Ntinnenti di Catania
ca fici
l'arvuliddi a la marina,
li
lampiuneddi fici a la rumana,
li
pisuleddi di marmura fina......>>
Così,il
vasto piazzale che si allargava dall'attuale via Porticello alla
Pescheria, venne livellato,alberato, dotato di sedili. Vi si snodava
la cosiddetta PASSEGGIATA ALBERATA,quella che <<lungo il mare
rigirando, va ad incontrare per la porta Uzeda la strada Stesicorea,
ed è ornata di sedili e provvista di abbellimenti lungo la cortina
non fuori lontana. Essa quantunque piccola per la numerosa
popolazione di Catania, non lascia pure di essere bella, utile ed
elegante. La sera viene tutta illuminata da spessi fanali e da
parecchi lanternini, e nei mesi canicolari e caldi,alfin di
trattenere divertito il pubblico, ito là a godere del fresco, si
fanno armoniosi concerti di musica.....>>
Benché
piccola - come giustamente apparve al Cordaro Clarenza - la
passeggiata alla Marina rappresentò,in quel tempo, l'unico luogo di
svago e di distrazione di cui potessero disporre i nostri
concittadini (ch'erano allora si e no centomila) i quali, poco alla
volta, riuscirono a trasformarla in vera e propria villa.Negli anni
1860 e successivi,infatti, si pose mano ad impegnativi lavori di
abbellimento. Venne rialzato il livello dei viali alberati;chiusa in
un canale coperto la foce dell'Amenano che impantanava la zona;
demoliti gli avanzi della Porta del Porticello che ingombravano la
via omonima;ingrandita la pescheria fino all'androne dell'ex
Seminario;ripristinata la fonte dei canali (ridotti da 36 a
7);innalzata una monumentale fontana all'ingresso alto della stessa
pescheria (quella dell'acqua a lenzuolo, dello scultore Tito
Angelini);costruito e messo in opera il cancello di ferro-battuto,
imponente coronamento della ringhiera del giardino.
All'interno poi,si crearono motivi pittoreschi con i due
<<fiumicelli>> dell'Amenano, il ponticello di legno che li
scavalcava, i sedili a sofà,il palchetto della banda, le siepi di
bosso,le bellissime aiuole.
Insomma,
in quegli anni, il giardino della marina era....lasciamolo dire a
Giovanni Verga:<<.....I viali erano affollatissimi;la musica
eseguiva le più appassionate melodie di Bellini e di Verdi;un bel
lume di luna si mischiava alle vivide fiammelle dei lampioncini
sospesi agli alberi.....>>
Un
angolo di paradiso, un incanto.
Annota
il Cristadoro che, nei giorni festivi, vi si tenevano due concerti,
uno a mezzogiorno, l'altro di sera;e che, quello diurno, venne poi
ritardato di mezz'ora per aderire alla richiesta di un gruppo di
dame che avevano bisogno di più tempo per <<essere compìte nella
toletta >>
Il
gentil sesso catanese non perdeva occasione per correre ai concerti
della marina, anche di sera e anche d'inverno, malgrado la scarsezza
della illuminazione e l'inclemenza del tempo.
Il 10
febbraio 1878 - scrive il Cristadoro nel suo diario - mentre la
banda teneva il serotino concerto, particolarmente affollato da
signore e signorine elegantemente vestite,ecco giungere alla villa
una torma minacciosa di scalmanati. (Si protestava contro il governo
che, per la morte di Pio IX, aveva vietato quell'anno il giro delle
candelore in città).I dimostranti si dividono in due gruppi, di cui
uno s'avvia verso il teatro. L' altro ,<<formato da un gran popolo
che dava timore, a cui si uniscono persone di tutti i ceti portando
delle torce a vento>>,attraverso la porta Uzeda si riversa nella
villa, e qui,con grida e schiamazzi, interrompe il concerto.
Lo
sbigottimento è generale.
Chi può
si sottrae prontamente alla stretta;il maestro non sa che pesci
pigliare e resta con la bacchetta a mezz'aria;le <<dame atterrite,
vanno in convulsioni >>.
Mentre
il <<popolaccio scatenato sta per violentare i carabinieri >>nel
frattempo intervenuti, arriva il Prefetto, promette che la festa si
farà e,lentamente, torna la calma nella turbata villetta.
Nel
frattempo, fatti ben più gravi erano maturati a danno della Marina.
Già nel
1865 era stata presa l'irrevocabile decisione di costruire il
viadotto ferroviario lungo il litorale;e sul finire dello stesso
anno <<si sono cominciate le fossate per piantare i pilastri delli
piloni per la costruzione del ponte della strada ferrata. La Marina
tutta è stata rovinata. Il pubblico borbotta.....>>
Gli
ARCHI,secondo le temute previsioni, invadono anche la villetta. È un
rospo che i catanesi stentarono a inghiottire se,ancora nel 1908,si
discuteva in Municipio intorno ai mezzi più adatti per liberare la
Marina <<dallo sfregio degli archi tozzi e antiestetici, spostando
la linea ferroviaria verso il nord e l'ovest della città, in modo da
congiungersi la stazione centrale con la stazione Acquicella, senza
che la linea di congiungimento passi per la Marina.....>>
Parole.
Gli
ARCHI restarono al loro posto, e i catanesi, che nel frattempo
avevano cominciato a farci l'occhio, continuarono ad affollare la
loro villa, ormai intitolata a Pacini, il cui mezzo-busto,
trasferito dall'ex giardino biscariano, aveva trovato ivi decorosa
sistemazione.Qualche anno dopo, nel cielo di Catania sorgerà l'astro
della nuova villa,di quella intitolata al Cigno,che i
catanesi
avevano lungamente atteso;e, inevitabilmente, comincerà il declino
del giardino Pacini.
Così,
giorno dopo l'altro scompaiono i <<fiumicelli >>e il ponte di legno,
il palco dei concerti, il sediaio, il venditore di gelati e tutto
quel campionario di umanità che l'animava. Per far posto al nuovo
mercato ortofrutticolo, scompaiono platani, aiuole, palmizi. Da
tempo sono state abolite le deliziose passeggiate;e le dame brillano
per la loro assenza.
A
pagarla un tesoro, non s'incontra più una gonna, alla villa Pacini.
Tutti uomini, ormai. E sulle ultime battute del secolo che se ne
va,un cronista annota:<<.....la parte elegante delle nostre signore
non ama più la villa Pacini, dove conviene un gran numero di uomini.
È una specie di convegno unisessuale. Che malinconia!>>
Ignorata
dal bel mondo, presa nella morsa di due rumorosi mercati, con
l'inizio del nuovo secolo anche il mare,poco alla volta, se ne
allontana.
Ormai,
alla villa Pacini si va per sbadigliare.
Che
malinconia.
(LUCIO
SCIACCA)
grazie a
Milena Palermo
VEDI ANCHE QUI
VIA VECCHIA DOGANA
IL PORTO
APPRODI CATANESI
Com'è facile
immaginare il problema degli approdi catanesi in età preistorica e
pro¬tostorica è complesso e di non facile definizione per più
motivi, quasi tutta la fascia costiera che ci interessa ai fini di
questa ricerca, cioè quella che va a Nord fino a Ognina e a Sud fino
all'attuale porto, è stata sommersa da colate di età storica che,
oltre ad avere ricoperto gli stessi abitati che vi dovevano essere
sorti in età preceden¬te, hanno anche radicalmente mutato la linea
di costa. Per le ipotesi ricostruttive sui mutamenti della costa
catanese si rimanda al lavoro di E. Tortorici in questo stesso
volume. In Sicilia la facies culturale diffusa su quasi tutta
l'isola, eccezion fatta per il messinese e la fascia costiera
tirrenica, è quella di Castelluccio, databile approssimativamente
tra i 2300 e 1400 a. C.
I numerosi
insediamenti pertinenti a questa facies ci consentono di avere a
disposizione una maggior quantità di dati rispetto ad altri periodi
e di conseguenza una interpretazione più agevole di essi. Come
conseguenza le testimonianze indirette dell'esistenza di approdi
nell'area di Catania si fanno più esplicite. Infatti all'assenza di
dati provenienti direttamente dalla fascia costiera, fanno da
contraltare la ricchezza di quelli provenienti dalla zona alta della
città, soprattutto nella fascia che va da Barriera del Bosco a
Canalicchio. Anche se per il momento nella zona di Catania sono
assenti materiali di provenienza egea, negli ultimi anni il
progredire della ricerca ha permesso l'individuazione di ceramiche
provenienti dalla penisola italiana, soprattutto dalla Calabria.
Questi abitati,
situati in posizione piuttosto interna, dovettero comunque gravitare
su un centro costiero oggi scomparso sia esso sorto intorno al Golfo
di Ognina, come penso, o a quello di San Giovanni Li Cuti. Infatti
la quantità e la varietà di tali materiali rispetto a quanto finora
noto da altri abitati coevi in altre regioni della Sicilia si può
spiegare soltanto con la presenza di un vicino scalo marittimo.
Anche se nella fascia pedemontana di Catania, soprattutto in quella
che gravita verso l'insenatura di Ognina, gli abitati di questa età
sono presenti, finora non ci è giunto alcun manufatto di produzione
extra-isolana.
La sola indicazione
che ci conferma come gli scali catanesi, e segnatamente quello di
Ognina, fossero comunque attivi, ci viene da una pubblicazione oavim
che presenta in una foto, un'olla panciuta biansata a breve collo
rinvenuta in mare poco a Nord di Ognina, in un tratto di costa
detta, significativamente, Quartarara. Si tratta di una forma il cui
solo confronto è con un vaso proveniente appunto dalla Grotta Basile
a Barriera, databile appunto alla facies di Thapsos.
II tipo di vaso è
assegnabile alla classe dei contenitori, adatto sia alla
conservazione sia al trasporto, che forse testimonia la presenza di
uno dei più antichi relitti tra quelli segnalati all'imboccatura del
Porto d'Ulisse. I dati riguardanti l'età del Bronzo recente e finale
e la prima età del Ferro a Catania e nella zona circostante sono
piuttosto scarsi, ma in costante aumento grazie alle ricerche più
recenti. Essi sono tali da indurci a ritenere che esistessero almeno
due insediamenti, uno nell'area del Monastero dei Benedettini e un
secondo a Monte San Paolillo a Canalicchio, gravitanti ancora una
volta, rispettivamente, sull'insenatura presso cui sarebbe sorto il
Castello Ursino e sul porto di Ognina.
(Gli approdi
catanesi nella preistoria e protostoria - Enrico Procelli)
Il porto Saraceno era il
Porto Ulisse?
Il porto di Catania,
chiamato Il porto saraceno potrebbe essere escluso perché la lava lo avrebbe
raggiunto solo dopo aver causato gravi danni danni e distruzioni nell'area
urbana; quindi, questa distruzione sarebbe ancora ricordato nei resoconti
contemporanei. A quel tempo, infatti, il porto saraceno era di discrete
dimensioni ormeggio per dimensioni ed importanza, situato a il molo naturale
dalle mura esterne di fortificazione al Cittadella vescovile (la cosiddetta
Civita), nell'area oggi occupata da Via Porticello e Piazza Borsellino.
L'eruzione del 1224 durò 15 giorni. La Continuazione Fucensis paragona
probabilmente questa eruzione a falangi armate riferendosi alle nuvole di
cenere, o al fumo denso causato dal incendio di boschi invasi da colate laviche
o da altre colate vulcaniche materiali.
Al-Idrisi (1100–1165, 1880)
descrive la città di Catania senza specificare l’ubicazione del porto: ‘Bello
questa Catania, conosciuta come
la città dell'Elefante famoso. Si trova sul mare e ha dei mercatini, magnifici
palazzi, moschee, chiese, terme, hotel e un bellissimo porto. I viaggiatori vengono a
Catania da tutte le parti; esporta tutto tipi di merci. Catania ha molti
giardini e vasti terreni agricoli. Attinge l'acqua dai fiumi vicini ed è dotata
di abbondanti fontane.
Il suo fiume principale è
l'Amenano, che da alcuni anni lo è così pieno d'acqua che funzionano i mulini,
negli altri anni è così secco che non c’è nemmeno una goccia d’acqua da bere’.
Probabilmente corrispondeva solo a un approdo non eccezionale all'area oggi
occupata da Villa Pacini. Le fonti menzionavano il porto di Catania come punto
di carico per il grano.
Fonte
“L'antico porto di Catania (Sicilia, Italia meridionale) fu sepolto dalle colate
laviche medievali?” Ottobre 2018
Scienze Archeologiche e Antropologiche
Autori:
Dott.ssa
Carla Bottari, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
di Catania
Prof.ssa
Maria Serafina Barbano, docente dell’Università di Catania
https://www.researchgate.net/publication/316362758_Was_the_ancient_harbour_of_Catania_Sicily_southern_Italy_buried_by_medieval_lava_flows
Il
porto di Catania è un porto artificiale prospiciente la
città di Catania nell'omonimo golfo. La sua attuale
struttura risale al XX secolo.
Il primo porto a Catania venne costruito su iniziativa
del re Alfonso d'Aragona, nel sito in cui era stato
costruito, nel X secolo, il porto da parte dei saraceni.
Il porto venne dotato di attrezzature adeguate
all'attracco di grossi vascelli da trasporto, ma le
violente mareggiate del golfo di Catania distrussero più
volte i moli artificiali che venivano costruiti.
L'evento più drammatico si verificò nel 1601, quando una
mareggiata di inaudita violenza cancellò ogni struttura
lasciando soltanto un mucchio di pietre.
All'inizio del XVIII secolo, si realizzò, da parte dei
Borbone, quello che possiamo vedere ancora oggi. Il
porto venne realizzato con tecniche moderne e la diga
foranea fu realizzata con grande attenzione alla
robustezza del manufatto, facendo attenzione a quanto
avvenuto nei secoli precedenti. Nel corso del secolo
vennero apportati miglioramenti ed agli inizi del XIX
secolo, sempre dietro l'impulso borbonico, il porto
migliorò le sue strutture.
Dopo la costruzione della Ferrovia Messina-Catania, il
1º luglio 1869 la Stazione di Catania Centrale venne
collegata al porto mediante un raccordo in discesa lungo
914 metri costruendovi inoltre un fascio di binari e la
Stazione di Catania Marittima. Intorno al 1898 anche la
Ferrovia Circumetnea raggiunge il porto costruendovi una
stazione di testa.
Intorno agli anni trenta del XX secolo, il regime
fascista decise di ristrutturare il porto apportandovi
notevoli modifiche; venne eseguito l'interramento e la
costruzione delle banchine, denominate Molo Crispi, ad
est degli Archi della Marina che vennero attrezzate per
l'attracco delle navi. Fino ad allora il mare lambiva le
mura della città in prossimità della Porta Uzeda. Ciò
gli fece raggiungere la struttura attuale e lo rese uno
dei porti più moderni del sud Italia. Venne prolungata
la diga foranea di altri 600 metri ed irrobustite le
difese dei moli; sulla diga foranea venne inoltre
costruita una grandissima gru a sbalzo per le operazioni
di carico e scarico.
Durante il secolo la struttura è stata sensibilmente
modificata tanto da spostare le banchine di circa 100
metri verso il mare guadagnando così degli spazi per
l'ampliamento delle banchine stesse e della viabilità
interna al porto. Alla metà del secolo scorso gran parte
della diga foranea venne fortemente danneggiata da una
mareggiata di grandi proporzioni e poi ricostruita.
Il porto è essenzialmente di tipo mercantile, anche se
da alcuni decenni sono state attivate delle linee di
traghettamento di veicoli industriali verso porti del
centro e nord Italia, consentendo così ai TIR di evitare
l'autostrada Salerno - Reggio Calabria non adeguata ad
un traffico snello con il nord Italia.
Esiste anche un traffico passeggeri anche se limitato a
navi da crociera e di alcuni traghetti con Genova,
Civitavecchia e Napoli. Altri servizi collegano, a mezzo
catamarano, Malta.
http://it.wikipedia.org/wiki/Porto_di_Catania
Fin
dall’antichità il tratto di costa compreso tra Catania e
Naxos ebbe un ruolo fondamentale per gli scambi
commerciali tra le popolazioni costiere per la presenza
di molti punti di approdo che già i coloni greci,
partiti dalla città di Calcide, utilizzarono nella loro
avanzata da Messina (la Zancle greca) verso Catania.
L’importanza del porto antico della città di Catania è
ricordata dagli scrittori latini che attribuivano allo
scalo di Catina romana un ruolo non indifferente nei
commerci del vino e del grano.
Ma sulla localizzazione dell’antico porto ancora oggi si
discute per la scarsità e frammentarietà dei dati
archeologici a disposizione, per le interpretazioni
spesso fantasiose ma soprattutto per le profonde
trasformazioni subite dalla linea di costa in seguito
alle colate laviche dell’Etna.
Il tratto di
costa compreso tra Catania e la baia di Capo Mulini fu
oggetto di interesse da parte degli eruditi del XVI e
XVII secolo che, dando seguito a tradizioni leggendarie,
collocavano nell’area di Acitrezza e di Capomulini le
imprese di Ulisse e Polifemo e l’approdo di Enea nel
territorio etneo, mentre nella baia di Ognina
riconoscevano il luogo del Portus Ulixis di cui parlano
le fonti antiche.
Ma al di là delle suggestioni date dai nomi di alcune
località come Le isole dei Ciclopi o il Porto di Ulisse
che ricordano le avventure narrate nell’Odissea resta il
problema della collocazione esatta delle strutture
portuali di cui si interessarono più concretamente gli
studiosi moderni a partire dal 1800.
Alla fine del XIX secolo lo Sciuto Patti diede notizia
dell’esistenza presso via Zappalà Gemelli, cioè non
lontano dal Duomo, di un muro romano che attribuiva
all’impianto portuale e nel 1927 i palombari
recuperarono nell’area del porto moderno, durante lavori
di ampliamento del molo occidentale, un gruppo scultoreo
ellenistico raffigurante Eracle ed Anteo.
Sulla base
di questo ritrovamento datato tra il VI ed il V secolo
a.C., di altri reperti rinvenuti in seguito e dei
recenti studi topografici e geologici si ritiene oggi
probabile che il porto antico fosse nell’area
dell’attuale Villa Pacini, non lontano dunque dal
moderno mercato della Pescheria e presso la foce del
fiume Amenano lungo il cui corso sorgeva la città
antica.
Le carte
geologiche mostrano il progressivo interramento ed
avanzamento della linea di costa in questo tratto
dall’età greca arcaica al medio evo, finchè la terribile
colata del 1669, colmando i fossati del castello Ursino,
entrò ampiamente in mare modificando in modo definitivo
il litorale.
Un altro ampio golfo risulta inoltre in tutti gli studi
geologici riguardanti la linea di costa nell’antichità:
l’area tra le attuali piazza Europa e piazza Nettuno.
Esso venne riempito dalle lave della poderosa colata del
1381 che colmò anche una parte dell’altra insenatura
dove è il porto di Ognina che ospitava probabilmente un
altro scalo antico.
La stessa colata del 1381 diede la conformazione attuale
al tratto di costa in corrispondenza del porticciolo di
S.Giovanni Li Cuti che secondo gli studiosi doveva
ospitare un altro scalo di età classica scomparso a
causa di quella eruzione.
Catania antica, avrebbe avuto quindi non un solo porto
ma un sistema di scali forse differenziati a seconda
della destinazione d’uso (commerciale, militare), per
rispondere alle complesse esigenze di quella che fu
nell’antichità una grande ed importante città.
Dalle fonti ricaviamo la notizia che in età repubblicana
il porto ospitasse un ufficio del "portorium".
https://wikiporto.wikispaces.com/Porto+di+Catania
Catania,
splendida città della Sicilia Orientale, è situata alle
pendici dell’ Etna ed è bagnata dal mare Jonio , la sua
costa frastagliata si caratterizza per la presenza di
roccia vulcanica ed oltre alle coste rocciose che si
estendono dal porto di Catania a Riposto troviamo una
lunga spiaggia a bassa energia tra il porto e la curva
di Agnone Bagni (SR) . All’importante porto commerciale
catanese si aggiungono una serie di approdi e
porticcioli turistici sfruttati dai pescatori di
"mestiere" locali e durante il periodo estivo anche dai
diportisti , e sono :il porticciolo nautico di Rossi
S.G.Licuti ,Ognina ,Acicastello ,Acitrezza ,Capomolini
,S.Maria La Scala ,S.Tecla ,Stazzo , Pozzillo ed infine
il porto di Riposto ormai diventato un simbolo della
nautica da diporto della Sicilia orientale.
Spostandoci
verso la zona sud ci accorgiamo che il golfo di Catania
bagna un arenile lungo circa 18km che si estende dal
porto di Catania alla curva di Agnone , ove la spiaggia
si presenta a grana fine ed a bassa energia ,i venti
regnanti sono l’ W e il NW e i dominanti l’ E e il SE ,
è possibile sfruttare la spiaggia con svariate tecniche
di pesca ma la più favorevole è il surfcasting da
praticare durante le mareggiate di scirocco e levante, i
pesci insidiabili sono le onnipresenti mormore , spigole
anche di grossa taglia e nel periodo estivo e autunnale
lecce amia e serra nei pressi del porto commerciale e
alle foci
del fiume Simeto e S.Leonardo da insidiare con il vivo e
trancioni di cefalo , una delle tecniche che primeggia
in queste spiagge è la traina a piedi con il barchino
(vedi sezione Traina), infatti in molti si dilettano a
fare avanti e indietro per la spiaggia durante le
scadute di scirocco tirando fuori spigole da capogiro ,
vi sconsiglio vivamente di andare a pesca dopo le grandi
piogge autunnali, l’acqua a causa dei fiumi Simeto e S.
Leonardo diventa colore cioccolata , altro consiglio non
andate a pesca da soli in notturna, la zona è
frequentata da persone poco raccomandabili.
Percorrendo
tutta la spiaggia verso nord troviamo il cosiddetto
"molo degli scecchi" , lungo circa 120-130m con dei
frangiflutti sparsi per tutta la lunghezza del molo come
difesa di se stesso, le tecniche che si possono
praticare in questo spot sono tante , pesca all’inglese
,alla bolognese e canna fissa con bigattino o gambero
vivo reperibile in loco oppure la pesca con il vivo alle
lecce amia , serra e spigole con le alacce sempre da
reperire in loco con una filosa a più ami oppure a
strappo con le ancorette , la maggior parte di chi
pratica questa pesca utilizza sistemi molto rudimentali
ma funzionanti , lenza a mano dello 0,40 e ancorotto
stagnato , ma riuscire a trovare un piccolo spazio
libero sul molo è un problema, qui vige la legge mafiosa
del tipo "kiddu è u scoghiu miu", altra tecnica da non
tralasciare è lo spinning che vi consiglio di praticare
con grossi popper alla ricerca di qualche serra o
leccia.
Accanto a
questo molo troviamo il porto commerciale di Catania
anche qui possono essere applicate le stesse tecniche di
pesca appena descritte, tecniche utilizzabili sia
all’interno che all’esterno del porto con qualche
variante , nella parte esterna ( sui frangiflutti di
difesa e precisamente sotto la grande gru in disuso)
possiamo insidiare qualche ricciola con la teleferica e
l’aguglia viva nei mesi che vanno da giugno a ottobre,
state ben attenti alle barche perché quando si sparge la
voce che sono entrate le ricciole il mare diventa un va
e vieni di barche continuo causano il taglio di qualche
lenza.
Emanuele
Lisi da Catania
Proseguendo
per il molo di levante andiamo a finire sotto il famoso
muro della stazione e da li inizia la prima parte di
scogliera catanese caratterizzata dalla pietra vulcanica
scura , un ottimo spot è la curva tra il muro della
stazione e l’inizio della diga frangiflutti, ne vale la
pena tentare 2 lanci a spinning per qualche spigola nel
periodo invernale.
Proseguendo
più avanti troviamo il lido della stazione e subito la
prima punta di roccia, da dove è possibile insidiare
aguglie e occhiate all’inglese con il bigattino nel
periodo estivo e durante le scadute di scirocco, tra
questa punta e il porto turistico di rossi si prendono
saraghi e spigole all’inglese con il bigattino, nella
stagione autunnale scorsa ho visto pescate da "panico",
mi raccomando di non tralasciare lo spinning con raglou
o siliconi vari per tentare la "cavagnola " alle prime
luci dell’alba tra il bunker e l’entrata del porto di
rossi .
Proseguendo
più a nord troviamo il porto di Ognina , lo spot si
presenta con un primo molo esposto a levante con una
serie di frangiflutti sparsi per tutto il lato esterno e
un secondo molo interno(il molo vecchio di ognina) .
Sul lato
esterno del primo molo durante il periodo invernale
possiamo praticare la pesca a calamari con il gamberone
finto o con la gabbietta innescata con il sugarello ,
proprio in inverno il molo è affollato, un’altra tecnica
praticabile è la pesca all’inglese per le occhiate e le
aguglie nei mesi primaverili ed estivi e quasi tutto
l’anno si prendono le ope con il galleggiante e la
bolognese , vale la pena fare qualche tentativo a
rockfishing con il vivo e la teleferica, e a fondo con
la sarda, 9 catture su 10 saranno gronghi e murene ma ci
può scappare qualche bella cernia . Per gli amanti delle
mormore i frangiflutti del molo cadono su una distesa di
sabbia bella fonda a non più di 50 -60m da riva
preferiscono abbondanti inneschi di arenicola e le ore
notturne.Tra il molo interno e la spiaggetta sotto il
ristorante La Costa Azzurra vive un branco di spigole
molto sospettose e difficile da insidiare che a volte
disdegnano anche lo 0,08 e ami piccolissimi. Nella
speranza che questo spot vi invogli a venirmi a trovare
nella mia città per una bella pescata tutti insieme vi
porgo cordiali saluti , restate in onda !!!!!!!!!!!!
http://www.pescareinsicilia.it/index2.php?path=itinerari&id=0&tema=porti
Si incrementano la navigazione e il commercio
con l'estero: il 25 giugno 1845 a Napoli si decreta che vi sarà
libertà di navigazione e commercio. Dal 1845 al 1851 si
stipulano trattati di navigazione e commercio con diverse
nazioni (Stati Uniti, Impero austriaco, Impero russo, Gran
Bretagna, Prussia, Impero musulmano, etc.) e sono regolamentati
i giorni di contumacia dei legni (imbarcazioni) che provengono
dall'estero.
Continua a svilupparsi il riconoscimento di
Catania come città dedita al commercio e alla navigazione: il 5
agosto 1846 Sua Maestà approva l'istituzione della Scuola
Nautica a Catania.
Dopo le insurrezioni del 1848, il governo
borbonico concede la Costituzione liberale e in seguito per
gestire meglio la Sicilia divide il potere. Il 27 settembre del
1849 il re Ferdinando II con due reali decreti riordina
l'amministrazione pubblica in Sicilia: l'amministrazione
civile, giudiziaria e finanziaria di Sicilia [al di là del Faro]
si dichiara distinta e separata da quella di Napoli [al di qua
del Faro] e il potere è assunto dal
Luogotenente
Generale.
Avviene l'istituzione della
Consulta in
Sicilia,
che discuterà, anche sulla concessione del
placito regio per la celebrazione delle fiere e dei mercati e
sulla concessione delle privative e delle patenti d'invenzioni,
o di qualunque genere d'industria. Con un Real Decreto del 18
novembre 1849 è istituito il
Gran Libro del
Debito pubblico in Sicilia.
É istituita a
Palermo sotto la dipendenza del Ministero di Stato presso il
Luogotenente Generale di Sicilia una
Commessione de'
lavori pubblici e delle acque e foreste.
Il 13 giugno del 1850 è approvato il
Regolamento
dei Porti di Sicilia:
oltre la
Commessione
Centrale dei Porti
istituita col rescritto del 9 luglio 1844,
s'istituisce la
Commessione locale dei porti.
La provvidenza col
Sovrano rescritto del 6 febbraio 1847 si estende a tutti i porti
dell'isola; si stabilisce che il commercio marittimo da un punto
all'altro del regno è riservato solo alla marina mercantile
nazionale. Allo scopo di migliorare il commercio con l'estero,
il re esaudisce il voto della città di Catania per essere in
parte alleviata dalla spesa necessaria per il compimento del
Molo,
di
ducati 125,718: una terza parte sarà contribuita in due anni
dalla Tesoreria di Sicilia, una terza parte dai comuni della
provincia, il residuo a carico del Comune di Catania;
A PUNTA O MOLU
Nel 1859 s'istituisce il
Tribunale di
Commercio di Catania, si avvia la
Cassa di corte e di
sconto che è volano del commercio locale, si
preparano i condotti per l'irrigazione dei campi, si stipula
l'appalto dei lavori del compimento del Molo, si lavora alla
realizzazione della villa pubblica, si avvia la costruzione
dell'ospedale, della Torre del Faro, della piazza dei
Commestibili e della passeggiata alla Marina. Vengono presentati
vari progetti per la Pescheria che prevedevano un eventuale
spostamento del luogo. Giuseppe Lo Turco pubblica nel 1859
Idee
preliminari su progetto di una Piazza Pubblica per vendita del
pesce in Catania, in cui rimarca la necessità di non spostare
il vecchio sito accanto a piazza del Duomo. Nel 1860 il patrizio
Pietro Andronico Finocchiaro nel suo rapporto al patrizio
titolare Pisani Ciancio dichiara che: "ha proposto e fatto
approvare la formazione della nuova piazza della vendita del
pesce, per la quale trovansi già presentati molti progetti
artistici a concorso".
Ha fatto costruire la nuova passeggiata alla
Marina, dalla Porta del Seminario al piano della Statua (piazza
dei Martiri) demolendo il forte S. Agata, come aveva già
proposto Francesco Moncada Paterno Castello nel 1856.
In questi anni vi è un grosso fermento
nell'attività amministrativa della città di Catania: nel 1860
Ignazio Landolina è direttore incaricato dei lavori pubblici;
dal 1861 al 1862, il cav. Giacomo Gravina, designato regio
delegato straordinario al comune dal governatore Tedeschi,
inizia un vasto programma d'opere pubbliche che in poco tempo
cambieranno il volto di Catania.
durante la costruzione della
Dogana - secolo scorso
Dopo aver allargato la strada della Marina,
nel consiglio comunale si discute sul progetto di formare una
villetta pubblica lungo il mare, un lavatoio pubblico e
l'allargamento della banchina per la passeggiata alla Marina.
S'ingrandisce il mercato del pesce, che viene esteso dalle vie
adiacenti fino alla parte coperta sottostante al refettorio del
Seminario dei Chierici precedentemente adibita a pubblico
passeggio. Il 12 dicembre 1861, il cav. Giacomo Gravina chiede
al Sig. Direttore del Giornale di Catania di pubblicare un
comunicato ufficiale riguardante la possibilità di migliorare il
porto di Catania:
Signore e signori, il compimento del nostro
Molo è stato sempre il vivo dei desideri di questo Popolo, ed
ora più che mai pel celere incremento del commercio di questa
piazza. Non potendosi colle comunali risorse a tanta spesa
sopperire, la civica rappresentanza con apposita deliberazione
del dì 1 maggio scorso presentava un voto al Real Governo
perché l'opera dichiarata venisse Nazionale. E gli onorandi
Professori di questa nostra Università degli Studi sig. D.
Giovanni Ardizzone e sig. Ignazio Landolina, che formavano parte
del Consiglio Comunale, trovandosi ora in Torino in missione per
affari della Università istessa, animati dall'amor patrio di che
son caldi, e con cortese di loro lettera del dì 3 stante mi
hanno significato tocche segue: Trovandoti in Torino per lo
adempimento della onorevole missione riguardante la nostra
antica e cospicua Università, abbiamo creduto nostro dovere
prendere conoscenza dello affare del Porto tanto interessante a
Catania. A qual'uopo siamo stati dall'Ispettore dei Porti, e
Fari Sig. Biancheri per sentire ciò che avea egli riferito al
Ministro dei lavori pubblici in risultamento dello esame locale
dell'opera, e con molta cortesia e gentilezza ci ha manifestato
le sue idee per dichiararsi il nostro Porto di seconda
categoria, la cui spesa in forzo della nuova legge de 1859, deve
gravitare metà a carico dello Stato, e metà a peso del Comune.
Sì, è, inoltre proposto di stanziarsi nel progetto del Bilancio
Nazionale del 1862 una somma perla continuazione della
scogliera, perla costruzione del Faro, pel casamento del Porto,
banchina, e due galleggianti all'entrata per assicurare i legni
in tempo di traversia. Per le opere poi d'ingrandimento del
Porto si va alla giusta idea di farsi compilare un progetto
tenendo presente le circostanze topografiche del sito, ed il
progressivo e celere aumento del commercio di Catania.
_________________________
Roberta Urso - da DOCUMENTI E IMMAGINI DELLA
PESCHERIA DI CATANIA - di N.F. Neri e M.L. Giangrande
Soprintendenza beni culturali e
ambientali di Catania - Regione Siciliana - Assessorato
Beni culturali - 2012
Presso Museo dei Pupi Siciliani - Marionettistica F.lli
Napoli di Catania c/o Vecchia Dogana (porto di Catania)
Via Beato Cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet, Catania
Pupi che
sembrano avere un'anima. A Catania, nei locali della
Vecchia Dogana, insieme al cineteatro dedicato a
Francesco Alliata è stato inaugurato il museo e teatro
dei pupi della compagnia marionettistica dei Fratelli
Napoli, la celebre famiglia di pupari catanesi che dal
1921 e da quattro generazioni ha incantato e fatto
sognare il popolo catanese.
"L'Opira
catanese" si distingue per altezza e dimensioni: un
metro e trenta di altezza, con un peso di circa 35 chili
e per il diverso sistema di manovra. I pupi catanesi
vengono animati dall'alto di un ponte posto dietro i
fondali, chiamato "'u scannappoggiu", con i "pruituri
d'a ritta e d'a manca", da destra e da sinistra, che
porgono i pupi ai "manianti" per metterli in scena,
poggiando i piedi su una spessa tavola di legno sospesa
a circa un metro da terra "'a faddacca".
Nella
tradizione catanese è inoltre d'obbligo la voce
femminile, "a parratrici" che i Fratelli Napoli affidano
alla signora Italia Chiesa Napoli. Un'arte esclusiva che
oggi ha anche un museo con oltre sessanta pupi, teste di
ricambio, cartelli, animali di scena, sipari dei primi
anni del Novecento e un boccascena che venne esposto nel
1931 al teatro Massimo Bellini.
INFO: Ingresso
INTERO euro 4 ; RIDOTTO euro 3
Orari di
apertura: da Martedì a Domenica 10.00/13.00 -
16.00/20.00 - Lunedì 16.00/20.00
DOVE SIAMO:
Vecchia Dogana, via Beato Cardinale G. B. Dusmet, 2 -
95121 Catania
Tel. Museo:
+39 095 7678888
Catania
aspetta il Waterfront
Roberto Nanfitò - In Viaggio - supplemento a La Sicilia
Catania, "città sul mare, ma non di mare". Una città
portuale atipica la nostra che, diversamente dalle
grandi città medievali italiane, che grazie i loro porti
svilupparono un forte sistema ecomomico-finanziario,
subì per lungo tempo un declino commerciale dopo aver
perso il primato mondiale del traffico marittimo dello
zolfo. Solamente alla fine del secondo conflitto
mondiale il porto etneo riprese i suoi interscambi
commerciali. Le crisi nel settore marittimo-portuale,
peraltro, sono cicliche e sono causate dalle improvvise
congiunture economiche che possono essere superate,
accettando la sfida competitiva imposta dalla
globalizzazione dei mercati. Ma la nuova tecnologia dei
trasporti marittimi ha fortemente influenzato non solo i
porti, ma anche le loro città.
L'introduzione del
"container", che dall'aprile del 1956 ha rivoluzionato
il ciclo trasportistico e logistico dell'intera economia
mondiale, ha provocato infatti la fine irreversibile di
quei porti che non si sono adeguati ai mercati, poiché
le nuovi navi-container avevano bisogno di porti dotati
di infrastrutture più moderne, con pescaggi più
profondi, e di grosse aree per lo stoccaggio e la
ovimentazione delle merci. Per recuperare le vecchie
aree portuali dismesse, posizionate storicamente
all'interno delle città portuali, il cui mantenimento
comportava ingenti oneri per evitare il loro degrado
anche ambientale, si pensò di intervenire con una
politica innovativa di riqualificazione delle suddette
aree.
Nasce il "Water-front", un movimento culturale che ha
origini in Canada e nel Nord America agli inizi degli
Anni 60 e 70, e arrivato nella vecchia Europa. Con il
termine "Water-front", letteralmente fronte d'acqua, si
intende l'interfaccia porto-città, un fenomeno
universalmente riconosciuto ed identificato dalla
letteratura anglosassone riguardante l'architettura, ed
in particolare la progettazione urbana di aree portuali
dismesse che vengono rivitalizzate per diventare
contenitori culturali e sociali in grado di produrre
forte redditività economica. Di conseguenza capannoni,
depositi, manufatti portuali abbandonati vengono
ristrutturati e trasformati in centri museali,
contenitori sociali come il Sea South di New York, il
Bay Side di Miami, il Peers 39 di San Francisco, Cape
Town, Barcellona, Amburgo, Londra.
Grande
interprete, culturale e tecnico, in Italia e nel mondo,
del Water-front, è il nostro Renzo Piano, che a Genova,
anticipando qualificati urbanisti europei, ha inventato
il "porto antico", trasformando un'area portuale malsana
e pericolosa in un centro espositivo e culturale,
dotandolo di un acquario fra i più belli del mondo, di
una marina da diporto, di un albergo raffinato e di
locali alla moda. La politica del Water-front tende a
riqualificare i quartieri dei marinai delle città
d'acqua, che vengono trasformati in centri residenziali
e culturali per generare una forte ricchezza economica
ed occupazionale, migliorando così la qualità della vita
dei suoi cittadini. Anche il porto di Catania ha
finalmente il suo "Water-front", recuperando con il
supporto di capitali pubblici e privati la sua "vecchia
Dogana", un manufatto demaniale realizzato alla fine del
1800 dall'ingegnere Filadelfo Fichera e destinato a
deposito per le merci in attesa di essere sdoganate.
Dopo un'accurata opera di recupero e di riqualificazione
è stato inaugurato di recente per diventare un
"living-port" dove passare una serata per rilassarsi in
un contesto vivace dal sapore antico.
Un altro importante passo potrebbe essere il recupero
dell'antico quartiere marinaro della Civita, che ha
bisogno di essere riqualificato ed illuminato
sapientemente per conservare il suo antico fascino.
Catania per diventare polo culturale euro-mediterraneo
del terzo millennio ha bisogno dell'opera di un grande
architetto, che come il Vaccarini la ridisegnò nel '700
trasformandola in una splendida città barocca.
Oggi le "trasformazioni urbane" rappresentano
un'occasione unica per il rilancio della competitività
locale, per prevenire il rischio di declino urbanistico
e sociale derivante dalla mancata programmazione
territoriale a sostegno del progetto di sviluppo della
città. Il Water-front di Catania si presta a un
intervento di rigenerazione urbana, utilizzando gli
strumenti del partenariato pubblico-privato immobiliare,
ovvero sviluppando i nuovi percorsi autorizzativi di
diritto privato, prioritari sulle tradizionali procedure
di diritto pubblico. Il nuovo "passaggio a nord-ovest" è
già stato tracciato dall'Unione Europea. Spetta agli
Amministratori pubblici, ai loro staff e alle Imprese,
cambiare radicalmente i modelli organizzativi e
amministrativi per affinare insieme una nuova cultura di
ingegneria economica, l'unica in grado di presidiare il
progetto e l'intero ciclo realizzativo utilizzando
metodologie di " project-management accompagnate da una
forte visione strategica
'U
SGABELLU (il
mercato ittico all'ingrosso)
|
Parrocchie
S. FRANCESCO
DI PAOLA Piazza S.Franc. Di Paola - 95131 Catania tel:
095 534515
S. GAETANO ALLA MARINA Via San Gaetano 13 - 95131
Catania (CT) tel: 095 320509
SS SACRAMENTO RITROVATO Via Tezzano 1- 95131 Catania
(CT) |tel: 095 532042
SS. CROCIFISSO DELLA BUONA MORTE Piazza Falcone 1-
Catania tel: 095 535077
|
-
-
CINEMA
-
-
Achab-
Catania (ct) - viale Africa, 31 - 095 536515
-
King-
Catania (ct) - via A. De Curtis, 14 - 095 530218
-
Tiffany
- Catania (ct) - via Agnini, 20 - 095 325851
-
|
-
FARMACIE
-
CUTELLI V. Vittorio
Emanuele II, 54 095-531400
-
DE GAETANI ANTONIO V.
Vittorio Emanuele II, 114 095-326962
-
FINOCCHIARO GIUSEPPA
V. San Giovanni Battista, 74 095-420602
-
ROMA C.so Martiri
della Liberta', 16 095-530003
-
SANGIORGIO CARMELA V.
Sangiuliano, 109 095-316906
Croce Rossa - tel.
7312601 - Croce Verde - tel. 373333 - 493263 - Guardia
Medica - tel. 377122 - 382113
|
|