Custodito tra le propaggini degli Erei e dei Monti Iblei,
lambito a Nord dal fiume Simeto, si sviluppa il Calatino, un’ area di grande
valore storico e culinario.
Qui regna una radicata tradizione di piatti tipici che
mostrano mille volti di un complesso intreccio di popoli che si sono
succeduti nell’ isola, ognuno dei quali ha lasciato nel tempo un tassello
per comporre un incredibile puzzle gastronomico. Una simbiosi tra natura,
prodotti di ottima qualità e tradizione.
Una danza di piatti poveri e genuini che s’ intreccia con
i sontuosi piatti della cucina baronale siciliana, tutto all’insegna della
straordinaria generosità della terra..
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U PANI CUNZATO ALLA CURVA DI
AGNONE, NELLA STORIA DELLA SS. 114
Passargli accanto significa fermarsi e prendere almeno un
boccone. Da tempo immemore istituzione provinciale e non del "pane condito" per
eccellenza. Il classico resta sale, olio, pepe e primo sale ma abbinare gli
altri salumi è giocare con fantasie, voglie e sfiziosità personali che non
lasciano mai dubbi a riguardo (recensione TRipadvisor)
Il pane che si fa in Sicilia deve la
sua bontà alla tradizione, a una sapienza che si è sviluppata e arricchita,
secolo dopo secolo. Ogni provincia ha il suo tipo di pane, con o senza cimino,
più morbido o più croccante.
Ma sempre delizioso. Per diventare “cunzatu”, cioè
condito, lo si deve imbottire, seguendo il gusto e la fantasia.
Tra le più famose ricette di pani
cunzatu c’è quella di Scopello (la trovate qui). Il piccolo borgo in provincia
di Trapani, un gioiellino a due passi dak mare, lo si fa con pomodoro, primosale,
acciughe, olio e sale. A
nche il panorama, naturalmente, fa la sua parte.
Immaginatevi seduti a godervi le gradevoli temperature siciliane, mentre
addentate il vostro pane, circondati dalla pittoresca Scopello. Un’esperienza
imbattibile.
La stessa ricetta di Scopello, la
potete trovare in altre località della nostra bellissima Sicilia, con qualche
variazione sul tema.
Anche a Cefalù, nel Palermitano, ad
esempio si prepara un delizioso pani cunzatu e siamo certi del fatto che tante
città e tanti paesini propongono la loro gustosa versione.
Vi consigliamo di
provarlo e di rifarlo a casa, ma vi avvisiamo: la bontà dell’originale è
difficile da imitare!
https://www.siciliafan.it/pani-cunzatu-siciliano/?refresh_ce&fbclid=IwAR2iQ0S-mQ-q7jetUfKBjhnTrjWa2ycdPlEdzVVliFWjxZHHbcy5Qn_XNSA
Catania da Costa Saracena
Caltagirone
La cucina tipica di Caltagirone è la conseguenza di una
società che per secoli si è articolata in due classi
sociali: una ricca,
colta e aristocratica, l’altra povera e contadina.
I piatti della cucina “povera” manifestano un forte
legame con i prodotti della terra. Un piatto molto popolare è il macco di
fave, u maccu.
Già Aristofane attribuiva a questa purea di fave il
potere di far compiere a Ercole incredibili gesta amorose. Preparato in
occasione della festa dedicata a San Giuseppe, prevedeva la presenza di
altri legumi quali piselli, ceci, fagioli, lenticchie, nonché verdure varie
quali borragine, finocchietto selvatico, pomodori secchi, cipolla.
Il macco costituiva il piatto unico di tanti braccianti,
cui i padroni passavano solo una scodella come pasto principale della
giornata. Solo durante la trebbiatura era concesso loro un piatto di pasta.
La cucina “ricca” è stata sensibilmente influenzata delle
varie dominazioni. Lo si avverte in particolare nella pasticceria dagli
influssi arabi e francesi. Dolci come cassatelle, cannoli e collorelle qui
sono motivo di orgoglio.
L’ allevamento e la disponibilità di latte di pecora
favoriscono la produzione di ottima ricotta e formaggi eccellenti quali tuma,
primo sale, pecorino e ricotta salata.
Di qualità altrettanto elevata è la produzione di
ortofrutta, come la pesca di Piano S. Paolo, l’uva, l’arancia a polpa rossa.
Un altro prodotto pregiato è l’ olio extravergine di oliva.
Piatti tipici sono i vaccareddi (lumache), i favi nuveddi
(fave fresche), i piruni (calzoni con spinaci o broccoli), a cocuzza ru
nvernu (zucca gialla), a frittata ri sparaci (frittata di asparagi).
Castel di Judica
Uno dei piatti più tradizionali è la cuccia. Si tratta di
un piatto a base di grano bollito che ha origine araba. Questa tradizione è
collegata ad una lunga carestia e alla comparsa miracolosa di un carico di
grano che venne subito cotto e mangiato dal popolo affamato.
Il grano cotto viene dolcificato con miele o mosto cotto,
o in alcuni casi con ricotta di pecora fresca.
La cuccia viene preparata spesso ed è di buon auspicio
condividerla con i vicini e i familiari. Era abitudine offrirla ai poveri il
giorno della morte di un parente stretto.
Piatti tipici di Castel di Judica sono la mostarda (calda
e fredda), i maccheroni fatti in casa con il sughetto di fichi d’ India, i
cannoli ripieni con crema dello stesso frutto. Prodotti tipici: agrumi,
Arancia Rossa di Sicilia IGP, cereali, olive.
Grammichele
Intorno all’ 827 gli arabi conquistano la Sicilia.
Portano una raffinatissima cultura gastronomica, che ben presto diventa
patrimonio e vanto dell’isola. E così zucchero, mandorle, agrumi e cannella,
hanno costituito una vera e propria rivoluzione nelle abitudini alimentari
dei Siciliani.
I Cuddureddi ‘i meli, antico dolce le cui tracce
risalgono al XV secolo, sono tipici della città di Grammichele, si preparano
durante le festività natalizie e hanno una forma ad anello o ad S. I dolci
hanno spesso forme geometriche simboliche.
Il cerchio, ad esempio, è simbolo maschile di completezza
ed eternità, mentre la forma ad S simboleggia il serpente.
Le principali feste religiose sono legate a dei cibi e
soprattutto a dei dolci particolari: la cuccìa per Santa Lucia, le sfingi
per San Giuseppe, l’aceddu ’cu lova (uccello con l‘uovo) e i cassateddi di
ricotta per Pasqua, il pane benedetto per Sant’Antonio di Padova e in
occasione dei pellegrinaggi all’eremo di Sant’ Arcangelo, i cocomeri per San
Rocco, la salsiccia per la Madonna del Piano.
Altri cibi e dolci tipici di cui alcuni con nomi
fantasiosi che si usano nelle varie feste sono i testi di turcu, i tumai di
ricotta, i piruni a base di spinaci, i cudduri e i cucciddati farciti con i
prodotti tipici della terra: mandorle, fichi secchi, uva passa, noci,
pinoli, frutta candita, scorza d’arancio, e la cucuzzata.
Imperdibile infine è la salsiccia, il cui trito di carne
ricavato da maiali allevati biologicamente ne fa un prodotto di eccellenza.
Cotta alla brace, nelle piazze gremite di gente, viene arrostita e mangiata
calda. Un’ altra ricetta tipica di Grammichele è la trippa fritta.
Mineo
Mineo si contraddistingue per la ricca produzione di
agrumi, uva da mosto, mandorle, grano, fichidindia, e per l’eccellente olio
extravergine d’ oliva che è possibile assaggiare a dicembre nell’annuale
Sagra dell’ olio d’ oliva.
Ricavato nei frantoi secondo l’ antico sistema
tradizionale, viene utilizzato per insaporire una miriade di pietanze, tra
le quali spiccano i legumi con le cotiche e la verdura.
Nelle sue campagne si allevano bovini, ovini e suini.
Sono prelibati gli agnelli, i capretti, i conigli selvatici, le galline
allevate “a parti di casa”. In alcune masserie, che mantengono immutato il
fascino della campagna calatina, si può ancora assaggiare la ricotta calda
appena fatta.
I piatti rinomati della zona sono senza dubbio i
cavatieddi, conditi con salsa di pomodoro, melanzane e ricotta salata e la
pasta di casa con i finocchietti selvatici. Tra i dolci i più caratteristici
sono i sfinci.
Licodia Eubea
In epoca medievale, Licodia fu considerata la Piccola
Palermo per l’ abbondanza di nobili presenti nel suo territorio e la
ricchezza stessa delle sue terre.
Antiche sono le ricette locali a base di legumi, come i
Fagioli di Santa Pau, i ceci alla Buriana e le lenticchie dei Cappuccini,
pietanze medievali che è possibile assaporare durante la Sagra della patacò.
È chiamata patacò la farina ricavata dalla macina di una pianta leguminosa:
la cicerchia. L’utilizzo di questa polenta in territorio Licodiese risale
alle antiche Puls romane (polenta di legumi). La Sicilia sotto l’ impero
assorbì modi e costumi della grande Roma e con essa anche le abitudini
alimentari.
Fiorente è l’allevamento di bovini, ovini, caprini e
equini e la produzione di squisiti formaggi tipici siciliani.
È abitudine locale preparare nei mesi freddi ed in
particolare a Natale, a Pasqua e durante il carnevale la pagnuccata. Questo
dolce caratteristico Licodiese era considerato “il torrone” dei poveri
perché non venivano utilizzate le mandorle, sicuramente più costose, ma
veniva mantenuto lo stesso aspetto del torrone.
Militello in Val di Catania
La gastronomia militellese predilige i dolci con mandorle
o vino cotto.
Tipiche le cassatiddine o dolci della zia monaca ,
dolcetti di pasta frolla ricoperti di glassa, un tempo preparate nel
convento di Sant’ Agata.
A Natale si preparano prelibate leccornie dolciarie quali
i mastrazzola e i ‘nfasciateddi, mentre per le feste di Santa Lucia e di San
Giuseppe sono d’obbligo la cuccìa di frumento cotto e la pipirata di riso.
Mazzarrone
Il nome Mazzarrone ha un’etimologia interessante, di
origine greca, legata profondamente al culto del cibo: Maz, spiga, e aron o
arun, frumento, è cioè terra ricca di frumento.
Un’ antica usanza, tramandata di padre in figlio, è la
Cena di San Giuseppe, preparata come segno di voto per grazia ricevuta. In
quest’ occasione si invitano a banchettare tre persone che rappresentano la
Sacra Famiglia e si preparano le pietanze più tipiche.
Il culto della tradizione, la tutela della genuinità e l’
ambizione di migliorare la qualità dell’uva hanno fatto di Mazzarrone un
punto nevralgico della produzione d’uva da tavola. Dunque uva, vini locali,
mostarda e tutti i dolci tipici preparati con vino cotto qua regnano
sovrani.
Palagonia
Paese celebre per la produzione delle arance rosse, l’oro
rosso di Palagonia.
Ovunque si diriga lo sguardo la Piana appare ricoperta di
giardini di arance rosse, succose e profumate.
Anche a Palagonia, come a Castel di Iudica, si prepara la
cuccia. E’ il piatto tradizionale che si prepara il 13 dicembre per Santa
Lucia.
Raddusa
Raddusa, terra di abbondante vegetazione, dall’ arabo
Rabdusa . In passato questo paese ha meritato il titolo di granaio della
Sicilia orientale per la sua abbondante produzione di grano.
Selezione e duro lavoro lo hanno reso un prodotto di
eccellenza in Sicilia. Infatti il grano di Raddusa fa parte dei prodotti di
nicchia delle Vie del gusto. Se ne ricava un ottimo pane. Una preparazione
tipica è u brusciareddu, grano duro cotto in graticola con la carbonella.
Da assaggiare la cuccia condita spesso con finocchietto
selvatico. A marzo per la festa di San Giuseppe vengono allestiti gli altari
votivi e in quell’ occasione viene offerta la minestra di San Giuseppe, a
base di legumi e pasta fatta in casa. Secondo le antiche tradizioni essa
viene preparata in una grande quadara (pentola) e distribuita nei piatti o
nelle pentole che gli invitati hanno portato da casa.
Ma Raddusa è anche culla di formaggi prelibati come il
pecorino raddusano, forse il più antico formaggio prodotto in Sicilia: le
sue origini risalgono infatti al IX sec. a.C. Una preparazione tipica a base
di formaggio è la carrubella.
Ramacca
Il paesaggio ramacchese è abbellito dalle splendide
masserie sparse tra le campagne: veri e propri capolavori d’architettura
rurale. Terra di carciofi, dove si coltiva il carciofo violetto di ottima
qualità. La coltivazione del carciofo a Ramacca ha una storia più che
millenaria: sembra risalga agli arabi che tra il IX e il X sec. gli diedero
il nome di Kharshuf.
Quella del carciofo è una pianta davvero generosa, si
utilizza praticamente tutto: dai fiori ai cardi, le foglie fresche e quelle
secche per il bestiame. A fine estate, quando la terra matura i suoi frutti,
si preparano pietanze a base di carciofo da offrire ai visitatori nelle
piazze vestite a festa.
Anche a Ramacca, come in tante altre parti della Sicilia,
il prodotto principe è il grano. Qui in passato i contadini del luogo
crearono e selezionarono una speciale qualità di grano, chiamata Margherito,
che prende il nome dall’ omonima contrada. Il pane che se ne ricava è famoso
in tutta la zona orientale dell’Isola.
Nell’economia locale importantissimo è l’allevamento
degli ovini; la produzione casearia eccelle per varietà: da citare u picurinu, il pecorino.
San Cono
A sud dei monti Erei, adagiato ai piedi del Monte San
Marco, sorge il piccolo comune di San Cono, Città del Ficodindia. Hernàn
Cortès nel quindicesimo secolo lo portò in Europa, e in Sicilia servì
inizialmente per dare una nota esotica alle residenze nobiliari.
Un vecchio proverbio recita: Jinchi la panza e jinchilia
ri spini (riempi la pancia e riempila di spine) forse a giustificare il
fatto che anche le bucce venivano mangiate, panate e fritte.
Il ficodindia, oltre ad essere consumato fresco, viene
lavorato in svariati modi, ottenendo così succhi, liquori, gelatine,
marmellate, gelati. Anche le pale possono essere mangiate fresche, in
salamoia, candite, mentre le bucce, sapientemente spinate, spesso vengono
cucinate a cotoletta. I contadini le utilizzano anche come foraggio.
Nella medicina popolare l’applicazione diretta della
polpa su ferite costituisce un ottimo rimedio antiflogistico. Il decotto dei
fiori ha proprietà diuretiche.
I frutti sono considerati astringenti per la loro
ricchezza in vitamina C.
San Michele di Ganzaria
L’ antico borgo di San Michele è di epoca araba. Esso
raggiunse il massimo sviluppo in età angioina. Il nome deriva dal suo Santo
Patrono con l’ aggiunta del termine arabo Kanzir che significava allevamento
di maiali.
Il paese vanta una ricca produzione di cereali, uva,
olive, frutta e agrumi, oltre a consistenti allevamenti di ovini, caprini,
suini e bovini. Ottima la produzione di uova fresche.
Fra i piatti tipici ricordiamo la pasta con i
finocchietti e la muddicata (la mollica di pane soffritta con olio e
acciughe), il chiullo, una polenta ricavata dalla farina di cicerchia, il
crastagneddu (il castrato), u pani che ficu, il pane con fichi secchi, le
lasagne preparate in casa e condite con il sugo di coniglio, la cutinedda,
la cotenna di maiale.
Scordia
Il nome Scordion di origine greco-bizantina, significa
aglio.
Il paese è uno dei principali centri agrumicoli della
Sicilia per l’ eccellente qualità del prodotto. Numerose aziende locali,
infatti, sono impegnate nella coltivazione delle arance destinate ormai al
mercato internazionale.
Varie sono le tentazioni per il palato: frutta secca,
confetture, fichi d’india essiccati, vari tipi di salumi ed insaccati,
formaggi, pasticceria.
Tra i piatti della tradizione scordiense è d’ obbligo
citare le scacciate, la gelatina, i ceci abbrustoliti, i cucciddati, la
pagnuccata, i biscotti chiamati ossa dei morti, la mastazzola, l’insalata di
arance. La schiacciata è una tradizionale preparazione della cucina popolare
del catanese. Infinite sono le varianti: la classica é quella preparata con
olive nere, acciughe e la tuma, un formaggio locale. Altri ingredienti
utilizzati per il ripieno sono il cavolfiore, la salsiccia e il pepato
fresco.
Vizzini
Il prodotto tipico per eccellenza di Vizzini è la ricotta
fresca di pecora. Gli allevatori nel tempo hanno selezionato ottime razze da
latte che hanno consentito la produzione di pregevoli formaggi Rinomati sono
i dolci preparati con la ricotta locale. Questo è il posto giusto per
deliziarsi con la cassata, le cassatelle, i pasticcini, il gelato alla
ricotta, la mostarda di mosto, la nucatola, la mostarda di fichi d’India, il
cutumé, le frittelle di S.Giuseppe, i biscotti giulebbati, le giammelle.
Ragalna
Il ciliegio ingentilisce le aspre e ruvide terrazze in
pietra lavica. Il “funciaro” con il “panaro” di vimini raccoglie nei fitti
boschi i funghi
di ferula. Oggi come allora, è facile imbattersi in persone
chine per le campagne a fari a viddura (raccogliere la verdura). Si produce
un ‘ottimo olio D.O.P. .
Sopravvive un’ antica cultura rurale che utilizza i
prodotti della terra come gli asparagi selvatici e un’infinita varietà di
verdure come i cosci ‘i vecchia (verdura Costolina) e i caliceddi (cavolicello),
che di solito, saltati in padella con aglio e peperoncino, accompagnano la
salsiccia alla griglia.
Biancavilla
Qui il suolo è straordinariamente ricco di potassio,
elemento importantissimo per le produzioni ortive; inoltre, il territorio
biancavillese brulica di sorgenti d’ acqua e gode spesso di un clima
particolarmente mite, il motivo per cui Biancavilla ha da sempre avuto una
spiccata vocazione ai sistemi di agricoltura Biologica. Le campagne sono
ricche di vasti pascoli, il foraggio ed il fieno, qui, abbondano, ecco il
motivo che ha permesso lo sviluppo dell’allevamento di ovini, bovini,
caprini, con ottime rese.
Si producono ottime qualità di mandorle dolci, olive DOP
nocellara dell’Etna, ficurinia- ficodindia – e fioroni ottenuti dalla
seconda fioritura del ficodindia, pregiate arance rosse, tarocchi e molti
altri prodotti ortofrutticoli.
Negli antichi Palmenti e nei frantoi oleari del
territorio si ottengono superbe qualità Olio extravergine d’oliva. I vitigni
danno buoni vini da tavola come il pregiato Etna Rosso.
Fra le specialità del luogo ricordiamo scacciate con tuma,
un’ infinità di erbette di campo fatte in ogni modo, olive cunzati (condite
con aglio e origano), ottime parmigiane di melanzane. In pasticceria c’è
solo l’ imbarazzo della scelta: torroncini morbidi alle nocciole, Scumuni
(lo spumone gelato), gelati, biscotti, iris, paste di mandorla, una notevole
varietà pasticceria di riposto (secca da the) e di pasticceria mignon.
Straordinaria la pasticceria tradizionale come i cannoli con ricotta e
canditi, i mastazzoli, le mostarde, le cotognate e i rosoli di fico d’
india.
La ricotta di Vizzini, un prodotto tutto
da scoprire
Fresca o stagionata, infornata o asciugata dal sole, salata o
dolce, può soddisfare tutti i palati. Non è propriamente un formaggio perché
viene ottenuta non dalla coagulazione della caseina ma dalle proteine del siero
di latte, cioè della parte liquida che si separa dalla cagliata durante la
caseificazione. Vizzini, il piccolo paese - situato tra le province di Catania,
Ragusa e Siracusa - che regalò i natali al grande Giovanni Verga ne è diventato
la patria, tanto che, da quasi quarant’anni le dedica una sagra, diventata ormai
uno degli incontri gastronomici più antichi ed importanti della Sicilia: la
sagra della ricotta.
Tale appuntamento, che ogni anno coincide con il giorno
della Liberazione d’Italia, offre la possibilità di osservare l’antico
procedimento di produzione della ricotta nella cosiddetta "quarara", un’enorme
pentola di rame dove il siero di latte della specie prescelta viene unito al
sale e al latte della stessa specie e viene riscaldato a circa 90°C e mescolato
con un grande bastone di lagno, "u zubbu", fino a quando la ricotta, affiorata,
viene raccolta nelle fiscelle, cestini di giunco che consentono al prodotto di
eliminare il siero in eccesso.
A Vizzini, questo latticino, ottenuto dalla ricottura del
siero di latte residuato dalla fabbricazione del formaggio, viene prodotto
principalmente con il latte di pecora ma esistono anche ricotte realizzate con
il latte vaccino, caprino e di bufala.
Con il suo inconfondibile profumo di siero, e la sua
invitante morbidezza, la ricotta viene generalmente consumata ancora calda nelle
tradizionali cavagne, ovvero quei tipici contenitori dalla forma conica creati
con listelli di canna, ma può essere lavorata per creare piatti invitanti e
gustosi: semplici come la pasta condita con la ricotta fresca e la frittata con
la ricotta, o più elaborati come i cutumè, frittelle a base di ricotta, farina,
uova, zucchero e cannella, come i più famosi cannoli siciliani e come la celebre
cassata siciliana, una torta realizzata con la ricotta zuccherata
(tradizionalmente di pecora), il pan di Spagna, la pasta reale e la frutta
candita.
Avete già l’acquolina in bocca? Allora non vi resta altro che
assaporarla in tutte le sue varianti.
di Paola Federica Giordano
http://www.ilgiornaleweb.it/food/gastronomia/1111_la-ricotta-di-vizzini-un-prodotto-tutto-da-scoprire-au49.html
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Randazzo
È il regno di betulle, castagni, volpi, ricci e conigli
selvatici che rendono questo luogo affascinante ed unico. La sua cucina è a
base di funghi, salumi e carni provenienti sia dall’ Etna che dai vicini
monti Nebrodi. Le ricette sono una sintesi delle tradizioni gastronomiche
Etnee: funghi di ferula alla brace, carpaccio di porcini e ovuli, provola
dei Nebrodi, arrosto con funghi trifolati, ricotta fresca o infornata e
verdure locali. La pasticceria offre gli “occhi di bozze” (biscotti di
nocciole), la pignolata, la marmorata, i tirrimulluri, la mostarda.
Maletto
Nelle sue campagne abbondano vecchi vitigni e i sempre
verdi fragoleti, che offrono il prodotto più noto e tipico della zona: la
“fragola di Maletto”. Si allevano bovini, ovini, suini e si producono ottimi
formaggi e un’incredibile ricotta.
Il turismo rurale si avvale di un’ offerta gastronomica
straordinariamente varia: l’ agnello e il castrato locale cucinato al forno
o alla griglia, le tagliatelle ai funghi di ferla, la salsiccia di suino
locale semplice o condita con pomodorini e formaggio, la frittata d’
asparagi selvatici, il risotto alle fragole, le pappardelle fresche ai
funghi porcini e i maccheroni col sugo di coniglio selvatico, pane fatto in
casa e un buon vino locale, legumi, cereali,frutti, ortaggi.
Bronte
Nella dura roccia lavica i contadini hanno impiantato
alberi di pistacchio che riescono a crescere forti e rigogliosi. Ed è
proprio il pistacchio la principale risorsa
economica del territorio. Ottime anche le pesche, le
albicocche, prodotte lungo la fertile valle del Simeto. Spiccano i prodotti
caseari come l’ ottimo formaggio pecorino e la ricotta, che primeggia per il
sapore antico e genuino.
I brontesi amano gli sparacogni, una verdura che somiglia
all’ asparago e cresce spontaneamente nei boschi e nelle sciare tra i
pistacchieti (detti Lochi). La cultura contadina, ha trasformato proprio il
caratteristico sapore leggermente amarognolo in piatti gustosi. Con la pasta
o fritti, con l’ uovo o anche come contorno o nelle tradizionali frittate.
La pasticceria tradizionale è ricca di ricette con
ingrediente fondamentale il pistacchio, come i “mammurati” (i “cosaruci”,
cose dolci), composto da un impasto di mandorle e/o di pistacchi, bianco
d’uova e zucchero, a forma di cuore, ricoperto da una glassa bianca
punteggiata da “javuricchi” (diavolina colorata) e cotto al forno.
Con il termine un po’ lapidario “Castrato” si intende normalmente il maschio
ovino castrato. Se la castrazione avviene quando l’animale è ancora giovane,
la carne diventa migliore, più tenera e più sapida, come effetto diretto
della precocità e di una maggiore assimilazione degli alimenti. Potete
riconoscere un castrato di buona qualità esaminando il colore della carne
(rosso porpora, con il grasso bianco madreperlaceo) e verificando che la
coscia e le masse muscolari siano rotondeggianti.
In cucina è una carne piuttosto versatile, a seconda del taglio sono
consigliabili diversi metodi di cottura: la spalla e il petto vanno
preparati in umido (interi o in spezzatino); mentre la sella, il carré e il
cosciotto vanno fatti arrosto, o alla griglia, perché sono morbidi e hanno
un sapore deciso, ma gradevole. Sicuramente, tra tutte, la parte più in auge
del castrato sulle nostre tavole sono le costolette. Il punto di cottura
consigliato è “al sangue”: diciamo che delle costolette alte 2,5 cm
dovrebbero cuocere sulla griglia due minuti per parte, in modo da restare
rosate e succose all’interno, mentre un cosciotto di 2 kg (sezione di 20 cm
circa) deve cuocere 1 ora al forno e 1 ora e 10 minuti allo spiedo, non
oltre.
Dalle nostre parti la carne di castrato non è molto ricercata, soprattutto
perché in Italia gli ovini sono sempre stati allevati più per produrre lana
e latte, che per la carne. La castrazione non è un procedimento naturale,
bisogna intervenire sull’animale in età giovane… Il fatto che da noi vada
per la maggiore l’agnello da latte, fa sì che si parli poco di castrato:
insomma, o l’uno, o l’altro! In Francia e in Inghilterra, invece, dove
questa carne è molto più apprezzata, i maschi ovini vengono allevati
appositamente per questo. Diciamo che, in Italia, ne esistono di allevamenti
di ovini da castrato, ma non su scala nazionale, piuttosto a carattere
regionale (zone calde la Romagna e la Garfagnana). Un’altra soluzione (per
la verità un po’ illegittima) è che il castrato in circolazione provenga da
arieti o pecore “convertiti” a fine carriera… In cucina, però, questa
stagionatura si traduce in un sapore molto accentuato che si tenta di
attenuare con la preparazione. I capi giovani (cioè i castrati degni di
questo nome) spesso vengono importati da Irlanda, Francia o Ungheria, oppure
surgelati da Nuova Zelanda e Australia. La carne surgelata si può consumare
subito dopo lo scongelamento, ma è meglio utilizzarla solo per cotture in
umido. Per la quantità di grasso che contiene può risultare un po’
indigesta.
di Silvia Salomoni.
https://www.ilgiornaledelcibo.it/castrato/
Il
Castrato alla brace a Floresta C’
è qualcosa di più caratteristico e piacevole che
trovarsi intorno alla brace e addentare un boccone
di carne ancora fumante appena tirata su dal fuoco?
E’ proprio il gusto di provare un tale piacere che
spinge numerose persone a recarsi a Floresta; magari
in una bella domenica estiva.
Il castrato alla brace è un piatto tipico di
Floresta. Le carni impiegate per questa prelibata
pietanza provengono da allevamenti locali dei
Nebrodi. Si tratta di agnelloni castrati che hanno
già compiuto la fase dello svezzamento, da un peso
che oscilla dai 13 ai 15 Kg.
La carne viene macellata e quindi ridotta in tranci,
costolette e fettine che, una volta salati, vengono
posti sulla griglia e quindi sulla brace. Durante la
fase di cottura, la carne viene continuamente
attinta con del “salmoriglio” (olio, aceto,origano)
utilizzando un pennello fatto di ramoscelli di
origano. Il fumo e il profumo della carne di
castrato alla brace,che si emana per le vie di
Floresta, fa veramente venire l’acquolina in bocca!
http://www.florestagiovane.it/Il%20Castrato.htm
Il Suino Nero dei Nebrodi
Il
termine "Suino nero dei Nebrodi" indica una popolazione di suini autoctoni
dellíarea dei Monti Nebrodi, - Sicilia Nord-orientale. Il territorio che
interessa la vita e lo sviluppo del suino nero dei Nebrodi comprende tutta
la catena montuosa che va dalla valle del fiume Timeto (Patti) a Finale di
Pollina. La maggiore concentrazione di allevamenti si trova nei Nebrodi
Centrali.
Sono animali molto rustici, grandi camminatori, capaci di riprodursi in zone
molto povere di risorse alimentari e negli ambienti più impervi, di
sopravvivere e resistere alle malattie in condizioni "estreme".
L’allevamento del Suino nero dei Nebrodi viene effettuato allo stato brado e
semibrado e con il sistema in plein-air; come ricovero vengono utilizzate,
per il benessere dell'animale e per il basso impatto ambientale le
tradizionali "zimme"; Le scrofe, partoriscono due volte l'anno, da 7 a 9
suinetti.
Per quanto possibile, l'alimentazione deve avvenire esclusivamente con
pascolo naturale, si nutrono di castagne e ghiande, possono essere
utilizzate per l'ingrasso, cereali e legumi tipici locali.
http://www.presidislowfood.it/ita/dettaglio.lasso?cod=143
Spesso i
boschi dei Nebrodi (50 mila ettari di faggi e querce
in gran parte all’interno di un parco naturale) sono
cintati da reti altissime, e basta accostarsi ad
esse quando un piccolo branco di suini grufola nelle
vicinanze, per comprenderne la ragione. Infatti
questi animali – molto più simili a cinghiali
selvaggi sia nelle fattezze sia nelle abitudini –
non hanno
nulla di mansueto e di domestico.
Di
taglia piccola e mantello scuro (caratteristica
delle razze suine autoctone italiane), i suini Neri
dei Nebrodi sono allevati allo stato semibrado e
brado in ampie zone adibite a pascolo: solo in
concomitanza con i parti si ricorre all’integrazione
alimentare.
Frugale
e resistente, questa razza negli ultimi anni ha
visto ridursi considerevolmente il numero dei capi
(attualmente si può presumibilmente stimare la
presenza di circa 2000 animali). Gli allevatori
hanno aziende molto piccole e, nella maggioranza dei
casi,sono
anche trasformatori. I loro prodotti, tuttavia,
raramente raggiungono il mercato: destinati in
massima parte al consumo familiare oppure oggetto di
piccoli scambi locali.
Tutte le
specialità norcine della Sicilia sono concentrate in
questa zona nord-orientale dell’isola: il salame
fellata, la salsiccia dei Nebrodi, i salami, i
capocolli e le pancette. Un tempo erano tutti
prodotti con il suino Nero, oggi la situazione è più
confusa: molti norcini, infatti, sono costretti a
rifornirsi di suini ibridi dagli allevamenti
industriali. Ma tutte le degustazioni comparate
provano che i prodotti realizzati a partire dalla
carne di suino Nero allevato brado esprimono
un’intensità aromatica nettamente superiore e
possiedono una maggiore attitudine alle lunghe
stagionature. Naturalmente la carne di suino Nero –
nei suoi vari tagli – può anche essere consumata
fresca.
Il
Presidio
L’importanza e la tutela della tecnica di
allevamento, la particolarità di questi suini, il
territorio in cui essi sono allevati, sono stati gli
elementi decisivi che hanno fatto nascere il
Presidio.
L’estinzione di questa razza suina (una delle poche
sopravvissute in Italia) costituirebbe una grave
perdita per il patrimonio genetico, ma anche e
soprattutto per l’economia locale e per il piacere
gastronomico: il Nero dei Nebrodi, infatti, offre
carni di altissima qualità. Il Presidio ha riunito
un gruppo di allevatori e norcini e promuove la
ricca e variegata gamma di prodotti norcini
tradizionali di questa zona: il capocollo, la
salsiccia fresca e essiccata, il salame detto
fellata, la pancetta.
Area
di produzione Tutti
i comuni dell’area dei Monti Nebrodi (province di
Messina, Enna e Catania).Stagionalità La
carne e i trasformati del suino nero sono reperibili
tutto l’anno.
Capocollo In
Sicilia come in tutto il Meridione d'Italia, il
capocollo è il salume (chiamato coppa nelle regioni
del Nord) che si ricava dall'omonimo taglio suino,
corrispondente ai muscoli della parte dorsale del
collo. Dopo essere stato disossato, sgrassato e
rifilato, il pezzo di carne è lasciato per una
decina di giorni a insaporirsi in una concia di
sale, pepe e altri aromi naturali. E' quindi
insaccato in budello di maiale, legato e trasferito
in ambienti freschi e arieggiati, dove resta almeno
un paio di mesi. Alcuni produttori lo sottopongono
anche a una leggera affumicatura.
Fellata La
zona di produzione di questo salume comprende il
comune di San Marco, i comuni di Castell'Umberto e
Mirto, nella Valle del Fitalia, e Sinagra, nella
Valle del torrente Naso. E' ottenuto da carni di
maiali di razza Large White, Landrace, Nero dei
Nebrodi e loro incroci. I tagli utilizzati sono
coscia, spalla e lombi per la parte magra, pancetta
per quella grassa. La carne e il grasso, tagliati a
grana grossa in punta di coltello, sono conciati con
sale, pepe e talvolta peperoncino. Quest'ultimo
ingrediente caratterizza il salame di San Marco,
differenziandolo dall'analogo insaccato prodotto
nella poco distante cittadina di Sant'Angelo di
Brolo.
L'impasto
è insaccato nel budello gentile suino, conosciuto in
Meridione col nome di cularino: le sue pareti,
particolarmente grasse, mantengono morbido il salame
anche al termine di una lunga stagionatura. Questa,
in funzione della pezzatura (tra 500 e 1000 grammi),
varia mediamente dai due ai tre mesi. Più raramente,
i salami sono messi in commercio dopo soli 40 giorni
o dopo quattro mesi.
Prosciutto crudo di
suino nero Il
Prosciutto crudo di suino nero si ottiene da suini
allevati con metodo semi estensivo, cosiddetto in
"Pien'aria", alimentati con ghiande ed essenze
foraggiere che conferiscono caratteristiche
organolettiche tipiche. Zona di produzione: Monti
Nebrodi
Caratteristiche del prodotto: Caratteristico con il
piedino di forma allungata con grasso periferico
abbastanza evidente
Come viene preparato: Il prosciutto viene preparato
con le cosce del suino nero dei Nebrodi e sottoposto
a un processo di salatura con sale secco in ambiente
naturale o termocondizionato secondo la stagione.
Segue una fase di stagionatura. in ambienti naturali
costruiti in pietra arenaria e malta di terra
(Catoj) idonei per temperatura ed umidità, per un
periodo compreso tra 18 e 36 mesi.
Come si conserva: Una volta aperto il salume và
conservato a temperatura ambiente avvolto in una
tela di cotone o in frigo nel reparto frutta in
questo caso prima del consumo portarlo fuori il
tempo necessario per raggiungere la temperatura
ambiente.
Le carni del Suino nero dei Nebrodi si utilizzano, tanto per il consumo
fresco quanto per la produzione di salumi. Tali carni pur presentando un
quantitativo di grasso maggiore rispetto a quelle dei suini chiari, sono
decisamente di qualità superiore. In particolare hanno un contenuto maggiore
se non prevalente di colesterolo HDL cosiddetto "buono", che svolge
un'importante azione protettiva per l'organismo umano.; inoltre sono più
ricche in ferro e lo si nota dal colore rosso intenso, hanno una maggiore
capacità di ritenzione idrica, il che si traduce in una resa qualitativa
migliore nella cottura ed anche nella preparazione di salumi, infine
presentano un'ottima consistenza al taglio.
Le produzioni sono ad alto valore biologico,ed a garanzia dei consumatori,
tutte le carni ed i salumi sono accompagnati da un dettagliato certificato
di tracciabilità rilasciato dal consorzio.
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DAL CAMPO ALLA TAVOLA
L’azienda agricola dei fratelli Borrello, nell’estremo nord della Sicilia,
in provincia di Messina, in una valle solare attraversata dal fiume Naso,
appartiene a quella classe di realtà agricole con i piedi ben radicati nella
terra, che nel tempo hanno costruito e sviluppato, pietra su pietra, zolla
su zolla, le proprie risorse. Parliamo di una fattoria autarchica, a filiera
chiusa e biologica nata negli anni Sessanta e oggi estesa su 100 ettari di
terra sulle colline ai piedi dei Monti Nebrodi ma vicino alle coste di Capo
d’Orlando e a pochi minuti dalle Isole Eolie, che ha nell’allevamento
semibrado di vacche, pecore, capre e suini neri dei Nebrodi lo zoccolo duro
della propria attività. Un allevamento da carne ma anche da formaggi e da
salumi. Inoltre, produce ortaggi, nocciole, olio e vino. E anche buona parte
del foraggio per il bestiame viene coltivata in azienda. Quanto viene
prodotto in azienda viene venduto nella macelleria interna e impiegato nella
trattoria di famiglia, rigorosamente di terra e di territorio. I salumi di
suino nero dei Nebrodi vengono distribuiti in negozi, enoteche e ristoranti
di nicchia e votati ai sapori siciliani.
SALUMI SPAZIALI
Il latte proveniente dall’allevamento maison è trasformato in provole dei
Nebrodi (una specie di caciocavallo), ricotte al forno, salate, fresche e
stagionate, caciotte e formaggi stagionati tra caprini, pecorini e
canestrato. Ma le glorie dei fratelli Borrello sono i salumi di suino nero
dei Nebrodi: eccellenti, difficile di trovarne di più buoni, intensi,
evoluti. Anche in questo caso le carni sono del proprio allevamento di suini
rustici locali, che vivono all’aperto sulle colline a ridosso del Parco dei
Nebrodi e si nutrono di ghiande e radici, integrati da siero di latte,
frutta, legumi e cereali. Materia prima eccellente dunque, per Dna,
allevamento e alimentazione. Ma per fare salumi a questo livello, ricchi di
gusto e aromi–che hanno incantato il panel d’assaggio durante le
degustazioni per la guida Grandi Salumi del Gambero Rosso, raggiungendo
punteggi vicino ai 100/100 – bisogna saper lavorare bene le carni: averne
conoscenza, rispettarle, assecondarle, trasformarle e stagionarle senza
forzature. I salumi Borrello valorizzano le pregiate carni dei suini
rustici, sono realizzati a regola d’arte e senza impiegare additivi e
conservanti, “tutt’al più un po’ di E 252 (nitrato di potassio, o
salnitro,n.d.r.) nel salame per conservarlo e mantenere il colore”precisa
Franco Borrello, alla conduzione dell’azienda insieme al fratello Antonio.
LA DEGUSTAZIONE
Il fiore all’occhiello dei salumi Borrello, Eccellenza nella guida Grandi
Salumi del Gambero Rosso, è sicuramente il prosciutto crudo, che ha
conquistato. Per dare un’idea, immaginate una sorta di Parma fatto con il
suino nero dei Nebrodi, dal sapore più intenso per genetica e allevamento, e
stagionato sì in collina ma del profondo Sud. Il risultato è una faccia di
colore rosso intenso aranciato, un profumo ampio, intenso e complesso che
richiama un’ottima carne stagionata, frutta secca ed essiccata (albicocche,
carrube), accenti tostati, e soprattutto una splendida bocca: la finezza, la
rotondità gustativa, la sapidità controllata incontrano un’incredibile
esuberanza aromatica. Grande persistenza, fantastica struttura di una
solubilità godibilissima. La pancetta – 3 Fette nella stessa guida – ha un
naso ricco e complesso con intense note di frutta secca tostata e cotta
(noce, nocciola, castagne bollite) e ricordi floreali. La bocca è rotonda e
pulita, di grande intensità e persistenza, equilibrata nonostante la
sapidità importante e con una sua rustica eleganza, la struttura è sostenuta
ma di ottima masticabilità. Il salame, in budello gentile e aromatizzato con
il finocchietto, ha un naso molto intrigante giocato sui profumi della
macchia mediterranea, con finocchietto e ginepro in evidenza, più accenni di
pepe, spezie dolci e tostati. Al palato è intenso e persistente, con buoni
sentori animali e pepati, una punta di acidità e una struttura impegnativa
al morso. Gli altri salumi Borrello sono il lardo, il capocollo e il
guanciale.
F.lli Borrello | Sinagra (ME) | c.da Forte, 7 | tel. 0941 594 844 – 0941 594
436 |
www.trattoriaborrello.it
https://www.gamberorosso.it/notizie/articoli-food/grandi-salumi-d-italia-f-lli-borrello-elogio-del-suino-nero-dei-nebrodi/
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