Se la fine della bella stagione vi ha scombussolati e i primi freddi vi mettono alla prova non temete: questo è un mese pieno di prodotti gustosi e nutrienti, con cui divertirsi sia a tavola che in cucina. Ecco la spesa di ottobre.
Ottobre, tempo di castagne, zucca e mele. Ma anche della raccolta delle olive e della fine della vendemmia. Sui banchi dei mercati i prodotti di fine estate lasciano il posto a quelli autunnali, ricchi di proprietà organolettiche e nutrimenti, che ci accompagneranno per qualche mese preparandoci ad affrontare i primi freddi. Abbandonati, o quasi, i sapori di fine estate, i banchi dei mercati iniziano a proporre le prime cavolacee, come verza e cavolo cappuccio. Sono ortaggi che ci accompagneranno per tutto l'inverno, e si prestano a infinite interpretazioni gastronomiche. Potete consumarli crudi o cotti, per creare delle insalate variopinte: arricchitele di radicchio rosso, rucola, valeriana e catalogna, e scegliete le barbabietole rosse per dare un tocco di colore ai piatti. In questo periodo si possono trovare anche le cipolle, i porri, le bietole a costa, il sedano e il sedano rapa, il rafano. Mescolate secondo il vostro gusto in una misticanza cotta: saprà confortarvi nelle prime serate d'autunno. La regina della tavola, in questo periodo, è indubbiamente la zucca: da raccogliere a ottobre, durerà per mesi se conservata intera e in luoghi freschi e asciutti. Nella cucina italiana è celebrata in mille piatti: dai risotti alle paste ripiene, come secondo piatto cotta in padella, al forno o in agrodolce, nelle zuppe e nelle minestre. La frutta Ad ottobre si registra un irresistibile cambio di guardia: via la frutta estiva, più succosa e dolce, in arrivo le castagne, celebrate in molte sagre e festival in tutto il paese. Anche qui la scelta è vasta: sono tantissime le varietà che si possono trovare nei boschi o sui banchi dei mercati, dalla carpinese alla ciria, dalla lojola al marrone, passando per la palestinese, la bellina e l’invernizza. Una fonte importante di sali minerali e acido folico, non a caso consigliate in gravidanza, ma anche di fosforo, utile dopo per ricaricarci e affrontare il lavoro o lo studio con maggiore concentrazione. Gli usi delle castagne in cucina sono molti, a partire dalle caldarroste, solitamente preparate sulle braci o sui caminetti a legna, per arrivare alla cottura in acqua bollente. Dalla loro essiccazione si ricava la farina di castagne, che viene usata per la preparazione del tradizionale castagnaccio, da arricchire con uvetta e pinoli, ma anche per preparare biscotti e paste secche, mentre per quanto riguarda i dolci freschi sono protagonisti i marron glacé e il Mont Blanc, o Montebianco che dir si voglia. Ma le castagne si prestano anche a piatti salati, per esempio come ripieno di paste fresche, farcitura di arrosti, o nelle zuppe, magari insieme alla zucca o ad altre verdure di stagione. L'autunno è la stagione delle mele, e non solo: ancora sui banchi del mercato si trova tanta uva, ideale per ricette dolci e salate, dalle classiche crostate di frutta fresca alle insalate in abbinata con parmigiano o altri formaggi. Si iniziano a scovare anche i cachi, o loti che dir si voglia. Diventano un perfetto fine cena senza dover fare nulla, solo ricavarne la polpa e aggiungere un biscotto di pasta frolla. Ma si può anche lavorare di fantasia e creare un tiramisù ai cachi con una crema alla frutta. Concludendo ci sono anche melagrane (usatene i chicchi per rinfrescare i piatti di carne), la carruba e le sorbe, e ancora susine e fichi maturati a fine settembre.
lattuga, radicchio, bietola, asparago, indivia, borragine, sedano, spinacio, rucola, catalogna, cavolo, basilico, bietola, spinaci, cardo, cicoria;
BIETOLA La bietola è una pianta erbacea che appartiene alla famiglia delle Chenopodiaceae, esattamente come la barbabietola, ovvero la Beta vulgaris. Originaria dell’Europa meridionale e del Nord-Africa, poi diffusa in America ed in Asia, la bietola cresce spontanea in molte regioni del Mediterraneo, anche se nelle nostre zone viene coltivata soprattutto come pianta da orto. Di questo ortaggio esistono numerose varietà poiché viene coltivato praticamente in tutte le zone del mondo con clima temperato, preferibilmente in un terreno profondo e fresco, che deve essere tenuto sempre umido e molto drenato, senza ristagni d’acqua. La semina della bietola avviene due volte all’anno: la prima nel mese di febbraio, in modo che la pianta possa maturare durante l’estate, la seconda nel mese di settembre per poter eseguire la raccolta durante la primavera. Per svilupparsi nella maniera migliore è necessario piantare le piantine di bietola a distanza di circa 50 centimetri l’una dall’altra. In generale si possono distinguere due tipi principali di bietola: la bietola da coste e la bietola da foglie. La bietola da coste ha foglie di colore verde scuro e presenta un gambo molto grande e carnoso, mentre la bietola da foglie ha le coste più piccole ma presenta foglie più sviluppate e di un colore verde brillante. Queste due tipologie di bietola sono diffuse nel nostro Paese, ma vengono coltivate soprattutto nelle regioni della Puglia, Liguria, Lazio e Toscana. Le bietole hanno un ciclo vitale annuale o biennale: la raccolta della parte edibile della pianta avviene con il taglio delle foglie, quando raggiungono la lunghezza di circa 20 centimetri. Le radici rimangono intoccate nel terreno in modo da poter sviluppare un nuovo apparato fogliare. Questo tipo di raccolta non è però valida per tutte le varietà: ad esempio, le bietole a costa larga, vengono raccolte asportando tutta la pianta.
La bietola ha notevoli proprietà nutrizionali, è costituita per la maggior parte da acqua e non presenta alcun tipo di colesterolo: questa proprietà la rende particolarmente digeribile e indicata per contrastare situazioni di obesità. Nonostante la sua leggerezza, la bietola fornisce però un buon apporto energetico, grazie alla composizione di molti sali minerali, fra cui sono rilevanti potassio, magnesio, ferro e calcio. Notevole anche la presenza di vitamine K, A e C, riscontrabile nelle foglie e da cui si possono trarre benefici evitando di cuocerle ad alte temperature e prediligendo la cottura a vapore o con poca acqua, al fine di non disperderne le sostanze nutritive. La bietola ha proprietà rinfrescanti e diuretiche: è infatti indicata nei casi di cistite e di malattie renali poiché favorisce l’eliminazione delle sostanze tossiche e dei grassi in eccesso che si accumulano nell’organismo. Inoltre, la bietola stimola inoltre la produzione dei succhi gastrici e della bile e favorisce la digestione. Grazie alle fibre contenute, la bietola ha proprietà regolatrice dell’attività intestinale, aiuta la motilità e combatte con efficacia la stitichezza. Notevoli anche le proprietà antiossidanti delle bietole: questi ortaggi contengono betacarotene, vitamina E, vitamina C, zinco, luteina, zeaxatina, quercetine e molte altre sostanze che aiutano a prevenire l’invecchiamento. Molto apprezzate anche le proprietà antitumorali grazie alla presenza della clorofilla che agisce con una funzione protettiva, e antianemiche, grazie alla presenza di acido folico e ferro. I benefici che la bietola apporta all’organismo sono tantissimi. Infatti, la bietola è infatti ricca di fibre, e quindi favorisce la regolarità intestinale, ed è anche ricca di luteina e beta-carotene, e per questo efficace anche come antiossidante. L’abbondanza della vitamina K presente nelle bietole è considerata un aiuto efficace per mantenere il corretto funzionamento sia del cervello che del sistema nervoso, poiché è fondamentale nello sviluppo della guaina mielinica, lo strato che protegge i nervi. Questi ortaggi tengono anche sotto controllo la pressione sanguigna, perché ricche di potassio: sarebbe quindi indispensabile assumerne la giusta quantità tutti i giorni. Sono anche una buona fonte di ferro, un elemento importante per mantenere in forma il sistema circolatorio ed evitare il rischio di contrarre l’anemia. Arricchire la dieta con le bietole e altre verdure contenti ferro aiuta notevolmente a scongiurarne il rischio. Le bietole sono ricche di biotina, una vitamina essenziale per contribuire alla crescita e alla salute dei capelli. Grazie alla biotina e ad altre sostanze utili nelle bietole è favorita la produzione di sebo da parte dei follicoli e i capelli si mantengono in salute. Infine, la presenza di fibre vegetali è anche utile per regolare i livelli di glucosio nel sangue.
L’utilizzo della bietola in cucina è aumentato notevolmente e si tratta di un prodotto commestibile in quasi tutte le sue componenti. Prima di tutto, è bene distinguere due tipi principali di bietola: la prima è la bietola da taglio, detta comunemente erbetta, che presenta foglie larghe con grandi nervature, la seconda è la bietola da coste, che presenta invece gambi molto lunghi ed è di colore bianco, ma è disponibile in commercio nei colori violetto, rosso o giallo. La bietola è utilizzata in cucina sotto forma di contorno o come ingrediente per la preparazione di piatti gustosi e nutrienti: è importante sottolineare che, nella preparazione, è indispensabile evitare che vadano disperse le sue sostanze nutritive, preziose per la salute dell’organismo. Per ovviare a questo inconveniente, occorre utilizzare metodi di cottura appropriati, come ad esempio la cottura a vapore oppure la lessatura, facendo attenzione ad utilizzare una quantità di acqua non eccessiva.
Oltre che in cucina, le bietole possono essere impiegate anche per realizzare una serie di rimedi naturali fai da te molto efficaci. Tra questi rimedi il più noto è il decotto di bietole, indicato per le sue proprietà diuretiche, ma ideale anche come coadiuvante per le infiammazioni del sistema urinario. Inoltre, le bietole sono anche indicate per alleviare il problema della stitichezza e quello delle emorroidi. E’ possibile preparare un decotto con le bietole facendo cuocere 50 g di foglie in 1 litro d’acqua per circa 20 minuti, poi filtrare. Bere 2 tazze di decotto al giorno fino alla scomparsa dei disturbi. Un altro rimedio efficace prevede la preparazione delle bietole lessate, tritate e lasciate raffreddare: dopo qualche minuto fare un composto da applicare su foruncoli, ascessi o anche brutte e fastidiose scottature. Il loro effetto è praticamente immediato, e lenisce in maniera significativa il bruciore o l’infiammazione. La bietola non ha particolari controindicazioni o effetti collaterali, ma è preferibile non utilizzarla da donne in stato interessante per la sua azione utero-stimolante che potrebbe portare conseguenze spiacevoli. Inoltre, è anche sconsigliata per i soggetti che hanno problemi di calcoli e coleocistite. Come può accadere con altri cibi, alcune persone possono essere allergiche alla bietola e il suo consumo può provocare eruzioni cutanee e anche gonfiore. https://www.portalebenessere.com/bietola-proprieta-benefici-valori-nutrizionali-calorie/1802/
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SEDANO Il sedano è una specie erbacea biennale appartenente alla famiglia delle Apiaceae, originaria della zona mediterranea e conosciuto come pianta medicinale fin dai tempi di Omero. Il grado di utilizzo nella cucina siciliana è discretamente ampio: mangiato cotto ma soprattutto a crudo, rappresenta un utile "sneak" pre-pasti, anche se molto spesso il "VERO" impiego in Sicilia è nelle insalate! Un gambo di sedano di medie dimensioni conta solo circa 6 calorie! Oltre ad essere un utile ed insaporitore alimento, rappresenta una fonte interessante di fibre per l'organismo. È falsa la credenza che il sedano abbia così poche calorie, che ce ne vogliono più a mangiarlo di quante ne ricavi l'organismo a digerirlo. (fonte Wikipedia.it) Per la presenza di alcune proteine allergizzanti (Api g 1 Api g 4 Api g 5), può essere causa di allergia alimentare anche grave. Forse non tutti sanno che...Selinunte (in greco Selinos, in latino Selinus) era un'antica città greca situata nella costa sud occidentale della Sicilia: il nome della città deriva dal sedano selvatico che i coloni vi trovarono in grande abbondanza. Sembra che Selinunte, in quel periodo, fosse uno dei maggiori centri di produzione e commercializzazione del sedano. Una pianta di sedano era raffigurata perfino nelle monete coniate in città. Ippocrate (460 a.C. - 377 a.C.), padre della medicina, scriveva: «Per i nervi sconvolti, il sedano sia il vostro alimento e rimedio». I romani lo utilizzavano abbondantemente in cucina, sia per il suo inconfondibile aroma, sia perché pensavano potesse contrastare gli effetti dell'alcol. Durante i banchetti romani non era raro vedere dei commensali con le teste adornate da corone di sedano. Nel Medio Evo il sedano ebbe un ruolo di rilievo nella vita delle popolazioni europee, soprattutto per le sue proprietà curative. Ildegarda di Bingen (1098-1179), conosciuta anche come Santa Ildegarda, mistica e religiosa benedettina fondatrice del monastero di Bingen, usava il sedano come rimedio contro la depressione. http://mangiobenemangiosiciliano.blogspot.it/2013/03/sedano-per-i-siculi-amici-semplicemente.html
ortaggi da tubero: patata, topinambur ZENZERO Tonico, stimolante, digestivo, antinfiammatorio e tanto altro.. questo è lo zenzero. Una spezia dalle grandissime proprietà curative. Ricco di proprietà, lo Zenzero (Zingiber officinale Roscoe), conosciuto anche con il nome inglese Ginger, è una pianta erbacea perenne, alta circa 90cm e appartenente alla famiglia delle Zingiberacee. La pianta del Ginger presenta un fusto sotterraneo, formato da un rizoma ramificato da cui nascono i fusti vegetativi. La parte medicinale dello zenzero è proprio il rizoma (che la maggior parte delle persone lo chiama erroneamente radice), ricco di olio essenziale, gingerina, zingerone, resine e mucillagini. Originario dell’India e della Malesia, lo zenzero si sviluppa meglio in posti tropicali (con alte temperature e umidità elevata) ma coltivare lo zenzero non è così difficile anche da noi, sia in terra piena che in vaso (ma deve’essere largo perchè la pianta si sviluppa in larghezza). Per coltivare lo zenzero in casa è possibile prendere il rizoma e piantarlo sotto la terra a pochi centimetri. Innaffiare spesso ma con poca acqua (va bene anche nebulizzarlo con acqua per ricreare l’umidità tipica di paesi di origine). In inverno bisogna stare attenti alle basse temperature che possono danneggiare la pianta. Leggi anche » » » Zenzero e limone: i benefici e 5 ricette speciali Le proprietà dello Zenzero Lo zenzero contiene acqua, carboidrati, proteine, amminoacidi, diversi sali minerali tra cui manganese, calcio, fosforo, sodio, potassio, magnesio, ferro e zinco, vitamine del gruppo B, vitamina E e olio essenziale. Questa spezia gode di tantissime proprietà curative. Vediamo ora in dettaglio le sue caratteristiche. Antitumorale Di recente un gruppo di ricercatori del Hormel Institute (Università del Minnesota) ha messo in evidenza proprietà antitumorali di questa spezia nei casi di carcinomi del colon-retto: assumere zenzero ogni giorno infatti, avrebbe una funzione protettiva contro i tumori del colon retto. Ann Bode, il ricercatore a capo dello studio, ha dichiarato: “alle piante della famiglia dello zenzero sono attribuiti poteri preventivi e terapeutici, oltre a un’attività anti-cancro“.
Zenzero contro la nausea Grazie alle sue proprietà, lo zenzero è usato tradizionalmente come digestivo e amaro-tonico. Studi scientifici hanno dimostrato una reale efficacia dello zenzero contro la nausea, in particolare è molto apprezzato in caso di nausea da gravidanza, mal d’auto e mal di mare. In particolare un infuso prearato con 5 grammi di radice di zenzero in 1/2 litro d’acqua o la radice da masticare risulta assai efficace contro la nausea. Zenzero per il benessere dello stomaco Lo zenzero fa bene a tutto l’apparato digerente grazie alle sue proprietà gastroprotettive ed è molto utile (se utilizzato a basse dosi) anche contro la gastrite e ulcere intestinali. I principi attivi dello zenzero infatti sono molto efficaci contro l’Helicobacter pylori, il batterio responsabile proprio delle ulcere allo stomaco. Inoltre lo zenzero stimola la digestione, combatte la diarrea e aiuta l’eliminazione dei gas intestinali. In caso di stati influenzali Stimolante del sistema immunitario lo zenzero è da millenni utilizzato dalle popolazioni asiatiche per combattere raffreddore e febbre. È anche un valido aiuto contro tosse e catarro. Grazie alle sue proprietà antisettiche e antinfiammatorie inoltre, lo zenzero è di grande aiuto anche in caso di infammazioni alla gola (faringite, laringite, ecc..). Antinfiammatorio e analgesico Recenti studi hanno dimostrato che lo zenzero, grazie alle sue spiccate proprietà antinfiammatorie, allevia il mal di testa, riduce efficacemente i dolori articolari e muscolari e allevia le infiammazioni di stomaco ed esofago. Zenzero: uno dei sette antinfiammatori naturali Zenzero: alleato del cuore Il rizoma di zenzero è un buon anticoagulante e come tale contribuisce a ridurre la formazione di coauguli nelle arterie, abbassa i livelli di colesterolo nel sangue e, secondo alcuni studi scientifici, lo zenzero diminuisce la pressione sanguigna. Quest’ultimo aspetto tuttavia è ancora oggetto di discussione, pertanto il nostro consiglio è quello di rivolgersi al proprio medico per valutare con lui la possibilità di usare questa spezia qualora si soffra di disturbi alla pressione. SCARICA ↓ Qualche consiglio su come utilizzare lo zenzero Utilizzare lo Zenzero in cucina Di questa pianta si utilizza in cucina il rizoma (chiamato anche radice), spesso grattugiato o ridotto in polvere. Questa spezia dal sapore delizioso e leggermente piccante, si utilizza nei piatti a base di carne, pesce e verdure. Inoltre è molto utilizzato per preparare torte e biscotti (specie quelli natalizi). Con lo zenzero (fresco o secco) si può preparare un ottimo decotto dalle proprietà digestive. Talvolta vengono usati anche i germogli, le foglie e le infiorescenze che si possono consumare crudi o cotti. Il Ginger si usa fresco o essiccato, sia a pezzi che ridotto in polvere da usare su numerose preparazioni culinarie. Per saperne di più sugli usi di questa spezia in cucina vi invitiamo a leggere la nostra guida completa: Come utilizzare lo zenzero in cucina. Utilizzare lo zenzero a scopo terapeutico: quanto usarne? Per beneficiare delle proprietà dello zenzero si può utilizzare una tisana, oppure può essere utilizzato sottoforma di polvere (1 gr circa) da mescolare con un bicchiere di acqua calda, o ancora sotto forma di capsule, estratto liquido o secco da assumere secondo le modalità riportate sulla confezione. Come fare la tisana allo zenzero Per fare la tisana allo zenzero si procede così: tagliate a fette sottili (o piccoli cubetti) circa 10 gr di radice fresca privata della pellicina esterna, lasciatela bollire in acqua per 7/8 minuti, spegnete il fuoco e filtrate. In alternativa potete preparare una tisana con zenzero secco, il procedimento è il medesimo però utilizzatene circa 1 grammo. Una volta preparata la vostra tisana allo zenzero potete gustarla così com’è o aggiungere a piacere miele e/o succo di limone. Un pezzetto di radice fresca o secca si può masticare all’occorrenza in caso di dolori intestinali, nausea o crampi allo stomaco. Generalmente si consiglia di non assumere più di 15/20 grammi di rizoma fresco o 3/4 gr di radice secca o polvere per evitare l’insorgere di fastidiosi disturbi intestinali. Infine in commercio vi è anche l’olio essenziale di zenzero, da diffondere nell’aria o da utilizzare per via cutanea. Vediamo ora le controindicazioni dello zenzero e quando è meglio non assumerlo. Sebbene sia utile in caso di nausee, consultare il medico prima di utilizzare lo zenzero in gravidanza. Evitare l’assunzione in caso di allergia a uno o più componenti presenti. L’allergia allo zenzero si nota con la comparsa di rossori sulla pelle ed eruzioni cutanee. Inoltre è bene non abusare di zenzero: l’uso massiccio di zenzero infatti può provocare gastrite, ulcere e gonfiori intestinali invece che curarli. Nel caso si soffra di questi disturbi gastrointestinali è bene consultare il medico prima di assumere questa spezia, che valuterà la possibilità o meno di assumerla (iniziando comunque con piccole dosi). Evitare l’uso dello zenzero in contemporanea a farmaci antinfiammatori e ipotensivi. Dato il suo effetto fluidificante del sangue, si consiglia sempre di consultare il medico prima di fare uso di zenzero nel caso in cui si assumono farmaci antiaggreganti e anticoagulanti (Coumadin, Cardioaspirina, ecc…). Curiosità Nell’antichità gli indiani usavano masticare zenzero quale purificatore dell’alito prima delle cerimonie religiose: con la bocca purificata infatti potevano cantare e parlare agli dei. Fonte: http://www.viversano.net/alimentazione/mangiare-sano/zenzero-gli-utilizzi-e-proprieta/
carciofo, cavolfiore, broccolo;
CAVOLO RAPA DI ACIREALE "TRUNZU DI ACI"
Il cavolo trunzu è un cavolo rapa (Brassica oleracea var. gongylodes ) coltivato da sempre nel catanese, in particolare negli orti di Acireale e delle località vicine. E’ di piccole dimensioni ma è riconoscibile in particolare perché la parte edule, presenta striature violacee, comune a molte a molti ortaggi coltivati nei terreni lavici dell’Etna.Come tutte le crucifere o brassicacee (cavoli, ravanelli, broccoletti, ecc.) contiene molti minerali e vitamine; la ricerca medica attribuisce a questi ortaggi anche una forte azione detossificante importante per prevenire l’insorgere di forme tumorali. Proprietà esaltate dai terreni di particolare qualità e dell’ambiente in cui viene coltivato. Già dalla prima metà del Novecento il cavolo trunzu (il nome riprende un epiteto con il quale i catanesi prendono in giro gli abitanti di Aci) era protagonista sui mercati ortofrutticoli della vicina città capoluogo. Negli anni Quaranta la coltivazione del cavolo è diminuita, soppiantata da produzioni più redditizie.Nel secondo dopoguerra le aree coltivate vicino alla città di Catania in generale sono diminuite, la città si è allargata a dismisura e si sono moltiplicati i centri commerciali, molti agricoltori sono emigrati al nord oppure in America, altri hanno invece trasferito l’attività nel ragusano.
Oggi nell’area storica di produzione gli orti coltivati a cavolo trunzu non raggiungono l’ettaro di superficie, e molte coltivazioni si sono estese anche in altre aree dell’Etna: a Milo, Adrano, e in altri orti della cintura. Il mercato catanese richiede questa specialità ma le tecniche di coltivazione sono cambiate rispetto a settant’anni fa, i cavoli spesso sono eccessivamente spinti con concimi chimici e,per questo si ottengono anche tre raccolti l’anno, quando in passato se ne otteneva uno, al massimo due. La produzione migliore si raccoglie da ottobre a novembre. il cavolo trunzu si produce in due cicli, da maggio a giugno e da ottobre e novembre. http://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/cavolo-trunzo-di-aci/
CAVOLFIORE VIOLETTO Cavolfiore violetto di sicilia è una varietà tipica. L'infiorescenze sono di ottima qualità, molto uniforme, dal peso elevato di kg 1,5 e dal colore violetto intenso. Si raccoglie a 100-110 giorni dal trapianto. Le varietà di cavolfiore violetto che mettiamo a disposizione consentono l'adattamento ai diversi ambienti e ai diversi periodi dell'anno. Il cavolfiore violetto è una varietà nostrana che si contraddistingue dagli altri cavolfiori per il suo sapore inconfondibile e unico. In cucina le ricette più utilizzate sono: cavolfiori gratinati, cavolfiori in pastella, fritti, a forno o semplicemente lessati e conditi con olio e sale. Informazioni nutrizionali: Ricco di sali minerali Calcio e Potassio, fibre, antiossidanti e Vitamina B2 in grado di stimolare la produzione di globuli rossi nel sangue, quindi ottimo rimedio per chi ha problemi di anemia. Inoltre i cavolfiori sono a basso contenuto calorico e privi di glutine, infatti sono molto utilizzati nelle diete ipocaloriche. Curiosità: I broccoli sono molto utilizzati in cucina fin dai tempi antichi, per le loro proprietà organolettiche e salutari, ma una nota dolente per questi ortaggi è purtroppo l'odore, alquanto sgradevole, sprigionato durante la cottura: ciò e dovuto alla presenza dello zolfo contenuto in discreta quantità nei loro tessuti. A tale problema possiamo rimediare, mantenendo le nostre case integre e profumate, spremendo un limone nell’acqua di cottura. La cottura a vapore è quella che riesce ad esaltare il sapore dei broccoli ed a mantenere inalterate tutte le loro proprietà benefiche e nutritive. https://www.ilgiardinodellemeraviglie.it/it/cavolfiore-violetto-di-sicilia.html
ortaggi da frutto: cetriolo, carosello, zucchina, zucca, peperone, melanzana, fagiolino, pomodoro;
ZUCCA Con il termine zucca vengono identificati i frutti di diverse piante appartenenti alla famiglia delle Cucurbitaceae, in particolare alcune specie del genere Cucurbita (Cucurbita maxima, Cucurbita pepo e Cucurbita moschata) ma anche specie appartenenti ad altri generi come ad esempio la Lagenaria vulgaris o zucca ornamentale. Il periodo di raccolta in Italia va da settembre a tutto novembre. La zucca è comunemente usata nella cucina di diverse culture: oltre alla polpa di zucca, se ne mangiano anche i semi, opportunamente salati. La zucca è un ortaggio che si presta a mille ricette: si consuma cucinata al forno, al vapore, nel risotto o nelle minestre, fritta nella pastella. Particolarmente famosi sono i tortelli alla mantovana, ripieni appunto dell'omonima varietà di zucca. Dai semi si ottiene un olio rossiccio usato in cosmesi e cucina tradizionale. Anche della zucca si possono usare i fiori, solamente quelli maschili, quelli cioè con il gambo, che si chiama peduncolo, sottile, che dopo l'impollinazione sono destinati ad appassire, da friggere, dopo averli impanati, come quelli delle zucchine. Nei paesi anglosassoni la zucca è utilizzata per la costruzione della Jack-o'-lantern, caratteristica lanterna rudimentale utilizzata durante la festa di Halloween per scacciare Spiriti maligni che secondo la leggenda vagano sperduti sulla terra e si dice che se una persona o un animale posseduto da uno di questi spiriti si avvicini alla casa in cui è presente una zucca quest'ultima si illumini di un azzurro intenso e lo spirito che tenta di entrarvi viene intrappolato nella fiamma della zucca La zucca è stata importata in Europa dai coloni spagnoli dall'America (Wikipedia)
IL POMODORO DI BELMONTE è un prodotto caratteristico dell'omonima località (Belmonte calabro) in Provincia di Cosenza. Stando alle tradizioni calabresi, il pomodoro Belmonte è stato introdotto nei primi anni del Novecento, quando un emigrante calabrese fece ritorno da un lungo viaggio in America, ritornando in patria con i semi di questa impressionante varietà. Dal 2003, il pomodoro Belmonte è l'unico pomodoro italiano a fregiarsi del marchio "Denominazione Comunale d'Origine" (De.C.O.) . Questa etichetta, proprio per identificarlo in modo inconfondibile, è appiccicata su ogni frutto. È stato inserito dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali nell'elenco degli alimenti tipici della tradizione enogastronomica calabrese: la zona di Cosenza non è solo la patria d'origine del Pomodoro Belmonte Calabro ma anche la terra che assolve circa il 70% dell'intera produzione. La coltivazione di questo pomodoro racchiude una forte tradizione, basterà pensare che nel borgo di Belmonte Calabro sono molti i contadini che eseguono manualmente la selezione dei nuovi semi per la produzione delle piantine.[ Le costolature non molto marcate dal peduncolo scendono fino alla parte terminale. In altri casi si presentano marcate come nel Marmande dell'Aquitania. La forma tipica del frutto è oblunga con accenno a goccia, con ingrossatura nel mezzo, spesso con umbone evidente; In questo caso ricorda nella forma la cultivar cuore di bue. Caratteristiche di pregio sono la serbevolezza, la colorazione e la consistenza della polpa che non è mai acidula. Sembra che la varietà sia un ibrido tra le cultivar Marmande e Cuore di bue, dal momento si osservano caratteristiche intermedie tra le due cultivar. In commercio si trova una cultivar a frutto rosso, ma non presenta le caratteristiche tipiche del "belmonte". Infatti, questo e da ritenersi una ibridazione con i caratteri dominanti del Marmande. Il pomodoro detto belmonte rosso si presenta con pezzature inferiore rispetto alla cultivar tipica, con acquosità abbondante e mancanza di turgore. Quest'ultima varietà è stata scelta per la riproduzione commerciale, soprattutto per la ridotta pezzatura dei frutti ( fino a 350 gr.). La qualità di questa cultivar, comunque, è molto distante dal rappresentare la cultivar tipica di "Belmonte". L'habitat ideale del "Belmonte" è la collina con terreni profondi di medio impasto. Considerando la crescita della pianta, la coltivazione avviene con filari caratterizzati da una separazione di circa 50/60 cm tra le file e da oltre 120 cm di spazio tra le interfile. La crescita della pianta viene assistita da tutori essere capaci di sostenere il peso dei frutti che può essere considerevole, specie per quelli basali, che raggiungono il perso di 1 kg con pezzature che spesso superano i 2 kg. È necessario espungere tutti i getti laterali, ed eventuali polloni alla base, al fine di non indebolire la pianta ottenendo frutti a basso tenore organolettico. Il pomodoro Belmonte viene tagliato a grandi fette, alla stregua di una bistecca fiorentina vegetale, per essere posto in piatti piani. Viene servito dopo averlo condito con olio extra vergine di oliva, sale grosso, basilico (o origano) e peperoncino. (Wikipedia)
note tratte da www.saporidipachino.it
Un rituale che si tramanda di generazione in generazione, un meraviglioso momento da condividere in famiglia, che ha tutto il colore e il profumo della migliore cucina siciliana. I 'buttigghi' – cioè le bottiglie – sono le conserve di pomodoro preparate in Sicilia in diverse località, secondo un metodo che non teme il passare del tempo. Ogni anno, nella stagione estiva, ci si riunisce per preparare la salsa di pomodoro, che verrà poi gustata nel corso dei mesi successivi. Il video che vi proponiamo è stato realizzato lo scorso 9 luglio a Minciucci, una contrada vicino Modica, dalla regista Alessia Scarso, che ha diretto il film "Italo".
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Quando preparare l’estratto di pomodoro diventa una festa: ed è subito “Ciauru ri astrattu” 7 Settembre 2016 - di Clara Minissale
Un entusiasmo contagioso e la voglia di raccontare, di far sapere a tutti che il giorno in cui si prepara l’estratto di pomodoro, di fatto, è una grande festa che coinvolge la famiglia e l’intera comunità. "Ciauru ri astrattu", la manifestazione organizzata ieri ad Aspra, frazione del comune di Bagheria in provincia di Palermo, dall’associazione culturale “Anna Varisco”, ha portato a Piano Stenditore, il lungomare della borgata marinara, una quindicina di donne esperte nella preparazione dell’astrattu, il concentrato di pomodoro, fatto alla maniera antica. Nel corso della mattinata, in barba alle nubi che hanno provato a rovinare la festa, il pomodoro è stato passato, salato e steso sulle vecchie tavole di legno, le maidde, seguendo la tradizione della preparazione dell’estratto tramandata oralmente da madre in figlia. Ciascuna delle donne presenti lo ha visto fare per anni dalle mamme e dalle nonne e oggi, a loro volta, insegnano tecniche e metodi di lavorazione alle più giovani. Una buona manualità, un po’ di pazienza perché il sole faccia il suo lavoro di essiccazione del succo, cento grammi di sale per ogni chilo di pomodoro e dopo circa due giorni – preparazione delle maidde comprese – l’estratto è pronto per essere conservato in dispensa, a disposizione per tutto l’inverno. “Nella nostra cucina è fondamentale – dice Pina Balistreri, una delle quindici esperte – Noi con l’estratto facciamo la pasta con le sarde, la pasta col ragù alla palermitana e poi qui ad Aspra prepariamo la pasta cu salamuricchiu con acciughe, estratto e mollica atturrata e un sugo con le parti meno nobili del maiale”. Salatura, essiccazione e arriminata fatta rigorosamente con le mani, sono fondamentali per ottenere un estratto a regola d’arte. E quando il sole e le mani esperte hanno completato il loro lavoro, l’estratto è stato raccolto e messo a disposizione di una decina di chef locali che si sono sbizzarriti nella preparazione di piatti a cavallo tra tradizione e innovazione. “L’estratto non può mai mancare nella mia cucina – ha detto lo chef una stella Michelin Tony Lo Coco de I Pupi di Bagheria – e quindi mi sono divertito a fare un grande classico, la pasta c’anciova e una sua rivisitazione, spaghetto fritto con una pennellata di anciova e mollica caramellata”. Ma nella corte interna di Villa Sant’Isidoro ad Aspra, che ha ospitato le seconda parte della manifestazione, si sono degustati anche altri piatti in cui l’estratto è stato protagonista. Dalle margherite con l’anciova di Domenico Balistreri di Sapore di Mare ai paccheri con estratto, gamberetti, curry e finocchietto di Ignazio Modica di Kalambaca; dalla tonnina con estratto e panatura di mandorle e menta di Claudio Oliveri di Donna Concetta, alla pizza di Gino D’Aniello di Colapisci fatta con il condimento della pasta con le sarde. E ancora focaccine di grani siciliani con fichi, primo sale, acciughe e un ciuffo di estratto dell’Antica Focacceria, pane cunzatu con estratto, cipolle, olive, acciughe e ragusano di Renato Monticciolo di Bitta, purpiceddi murati di Fortunato Restivo de Il Corallo e polpette di melenzane e bocconcini di ricotta e pecorino di Giovanni Librizzi di Osteria Donna Luisa. E come dolce le sfincette con zucchero e cannella di Don Gino. Per accompagnare i piatti, tutti cucinati al momento, cinque banchi d’assaggio di vini siciliani divisi per vitigno Nerello Mascalese, Nero d’Avola, Grillo, Inzolia e Zibibbo.
fava, pisello, fagiolo, lenticchia, cece, cicerchia, lupino
FAGIOLO BADDA DI POLIZZI
Da due secoli negli orti di Polizzi Generosa, nel Parco Naturale delle Madonie, si coltiva un fagiolo bicolore: medio piccolo e tondeggiante, chiamato badda, cioè palla, in dialetto. È un fagiolo screziato, pressoché sconosciuto fuori dalle Madonie, dalla colorazione unica: è infatti bicolore e, di volta in volta, può essere avorio con macchie rosate e aranciate, oppure avorio con macchie viola scuro, quasi nere. Si tratta indubbiamente di due ecotipi locali che si sono acclimatati benissimo, nel tempo, in questa zona. I polizzani lo chiamano anche fasolo badda bianca oppure badda niura o munachedda, a seconda che sia prevalente la colorazione rosato-aranciata oppure quella scura. I fagioli badda sono coltivati nei piccoli orti familiari e i contadini del luogo, per secoli, hanno riprodotto il seme autonomamente. Nelle zone più alte di Polizzi, in gran parte all’interno del Parco Naturale delle Madonie, che qui chiamano muntagna, la semina inizia la prima settimana di giugno: tradizionalmente si seminano i fagioli il giorno di Sant’Antonio da Padova. Alla marina invece, cioè a quote più basse, la semina si fa più tardi, oltre la metà di luglio, quando inizia a scemare il calore estivo. Le piante si arrampicano intorno a quattro canne sistemate a forma di piccola capannina: u’pagliaru. La raccolta dei baccelli verdi inizia dopo circa 60 giorni, secondo le quote si può arrivare sino a novembre. La raccolta dei fagioli da essiccare, invece, si fa da ottobre e novembre, prima che i baccelli si aprano e lascino cadere il seme. È un fagiolo sapido, con note erbacee e perfino salmastre, leggermente astringente, con sentori di castagna e mandorla nel finale. Con la cottura acquisisce una giusta cremosità, senza sfaldarsi. Il fagiolo badda viene raccolto da agosto a settembre, il prodotto essiccato può essere reperito tutto l’anno. http://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/fagiolo-badda-di-polizzi/ Da oltre due secoli negli orti di Polizzi Generosa, nel Parco Naturale delle Madonie, si coltiva un fagiolo medio piccolo e di forma tondeggiante, chiamato in dialetto “badda”, cioè palla. E’ un fagiolo dalla colorazione unica, bicolore, con una suddivisione netta tra le due colorazioni distinte che, di volta in volta, può essere avorio con macchie rosate, aranciate, oppure avorio con macchie viola scuro, quasi nere. Si tratta indubbiamente di due ecotipi locali che si sono acclimatati nel tempo nelle aree collinari del territorio polizzano. A Polizzi lo chiamano anche fagiolo “badda bianca” oppure “badda niura” o “munachedda”, nel caso sia prevalente la colorazione rosata – aranciata oppure quella scura. I fagioli “badda” sono coltivati in piccoli orti familiari e i contadini della zona per secoli sono stati i custodi del seme originario. Nelle zone più alte del territorio di Polizzi Generosa, la “muntagna”, la semina inizia la prima settimana di giugno: tradizionalmente si seminano i fagioli il giorno di S. Antonio da Padova. Alla “marina”, cioè a quote più basse, la semina inizia più tardi, oltre la metà di luglio, quando inizia a scemare il calore estivo. I fagioli si arrampicheranno intorno a quattro canne sistemate a forma di piccola capannina: “u pagghiaru”. La raccolta dei baccelli verdi, i “fasoli virdi”, inizia dopo circa 60 giorni e secondo le quote si può arrivare sino a novembre. La raccolta dei fagioli da essiccare invece si fa da ottobre a novembre, prima che i baccelli si aprano e lascino cadere il seme. E’ un fagiolo sapido, con note erbacee e perfino salmastre, leggermente astringente, con sentori di castagna e mandorla nel finale. Con la cottura acquisisce una giusta cremosità, senza sfaldarsi. Ha inoltre la caratteristica di essere estremamente digeribile e di non causare gonfiori durante la digestione. Il Consorzio di Valorizzazione e Tutela, recentemente costituito a seguito dell’istituzione del Presidio Slow Food, vuole ampliare la conoscenza e sviluppare la coltivazione del Fagiolo Badda in collaborazione con gli enti locali e le istituzioni tecniche e scientifiche.
Fonte: http://www.fagiolobadda.it/
KAKI DI MISILMERI
Il kaki di Misilmeri, in siciliano kakì ri Misilmeri, è un albero da frutto del genere Ebenacee, una famiglia di angiosperme dicotiledoni, originario dell'Asia orientale ed è una coltivazione tipica siciliana prodotta nel territorio di Misilmeri vicino Palermo. I frutti del kaki di Misilmeri rientrano nell'elenco dei prodotti agroalimetari tradizionali (PAT) stilato dal ministero delle politiche agricole e forestali (Mipaaf). La pianta del kaki giunse in Europa nel XVI secolo utilizzata come pianta ornamentale.In Italia arrivò attraverso la città di Firenze dove il primo albero fu piantato nel giardino di Boboli. Nel 1692 fu realizzato a Misilmeri un orto botanico ad opera di Don Francesco Bonanno del Bosco Sandoval (principe della Cattolica e duca di Misilmeri). Don Bonanno si avvalse per la realizzazione del giardino del francescano padre Francesco Cupani da Mirto, il quale introdusse la pianta del kaki con intenzioni ornamentali e scientifiche. Solo negli anni fra il 1925 e il 1930 il kaki di Misilmeri ha iniziato ad essere coltivato e a diffondersi come varietà Farmacista Honorati innestata su Dyospiros virginiana. Il kaki di Misilmeri ha un frutto rosso-arancio e foglie ocra cariche di pigmenti antociani. La sua cultivar, la Farmacista Honorati, occupa un'area produttiva di più di 250 ettari. Il frutto ha un sapore molto dolce dato dall’alto contenuto in zuccheri (16%) e quando è maturo ha una polpa deliquescente e profumata con toni vanigliati. Dal punto di vista nutrizionale ha un'elevata concentrazione di vitamina A accompagnata dalle vitamine B1, B2, C e pigmenti flavonici. La raccolta avviene in ottobre quando ancora la polpa è ancora verdastra, con i frutti che sono raccolti quindi quasi immaturi. Il raccolto viene immesso in un cassone, detto casciuni, viene quindi coperto per dare avvio al processo, detto ammanzimento, con cui il kaki perde la sua allappatura. Il frutto acerbo matura e la sua buccia passa da giallognolo al colore arancio-mattone. Con la sua piena maturazione aumentano gli zuccheri donando un sapore molto dolce al frutto. Per la promozione e la tutela dei kaki di Misilmeri gli agricoltori della zona si sono associati nell'Associazione Tu.Ka.Mi. Al kaki di Misilmeri è inoltre dedicata una sagra che si tiene in novembre a Misilmeri con degustazione dei kaki, delle sue confetture e dei prodotti di pasticceria con esso prodotti.Durante la sagra si svolge anche una gara di mountainbike. L'iniziativa è associata alla rassegna culturale e enogastronomia della valle dell’Eleuterio.
Wikipedia
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LE VARIETA' PIU' DIFFUSE IN QUESTO MESE
________________________ La coltura del pero viene effettuata in terreni idonei, che presentano le seguenti caratteristiche: suoli della piana alluvionale, profondi o molto profondi, a tessitura media o moderatamente fine, situati in posizione morfologica e altimetrica favorevole allo sgrondo delle acque. Le condizioni di impianto, le pratiche colturali e i sistemi di potatura dei pereti sono quelli tradizionali della zona di origine. I sesti di impianto e le forme di allevamento, riconducibili alle coltivazioni a palmetta o a fusetto, non dovranno superare le 5000 piante per ettaro. La commercializzazione deve avvenire tra luglio e novembre La pera da un punto di vista nutrizionale è un armonico complesso di sostanze nutrienti. E’ ricco di zuccheri naturali e semplici, specialmente di fruttosio, ma ideale per la dieta poiché l’apporto calorico è di circa 100 cal. Per questo motivo è consigliato anche ai diabetici o a chi vuole limitare l’apporto di calorie senza rinunciare al sapore dolce del frutto. E' ricca di fibra (un frutto di dimensione media contiene 2,3 grammi di fibra grezza e 4 grammi di fibra dietetica), un elemento indispensabile nella dieta umana che contribuisce a limitare il livello di zucchero nel sangue, aiuta il funzionamento dell’ apparato digerente, riduce il rischio di cancro, abbassa il livello di colesterolo nel sangue. Altro elemento che troviamo nella pera è il potassio: circa 210 mg in una pera di medie dimensioni, elemento molto importante per la salute umana, soprattutto per coloro che praticano sport, per facilitare la contrazione muscolare. Contiene infine la vitamina C, la vitamina antiossidante che regola il metabolismo cellulare e la ricostruzione dei tessuti, previene i danni da radicali liberi, mantiene la pelle giovane e levigata ed aumenta le difese immunitarie contro le più comuni infezioni.
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LE VARIETA' PIU' DIFFUSE IN QUESTO MESE
Fonte: Antichi frutti dell'Etna, di C. Bonfanti, A. Continella, A. Gentile, S. La Malfa
Le proprietà della buccia della mela. E’ lì che risiede il 50 per cento dei benefici.
Una mela al giorno leva il medico di torno…purché non si tolga la buccia! E’ così, la parte che quasi tutti scartano in questo frutto in realtà non andrebbe affatto tolta. Perché? Semplicemente per il fatto che proprio lì vi è il 50 per cento delle sue proprietà.Vitamine e principi nutritivi, infatti, risiedono nella buccia della mela, peraltro ricca di polifenoli e di fibre. Queste ultime sono molto utili in quanto aiutano il transito intestinale e i fastidiosi gonfiori di stomaco mentre i primi, essendo potenti antiossidanti, contrastano l’invecchiamento cellulare e problemi cardiovascolari.Inoltre i polifenoli, combattendo l’insorgere dei radicali liberi che danneggiano le cellule, contrastano indirettamente anche eventuali tumori. La buccia della mela, inoltre, aumenta le proprietà disintossicanti del frutto e l’eliminazione dei liquidi in eccesso: ecco perché viene prescritta in caso di diete, di ritenzione idrica e di malattie renali.Dare alle mele (complete di bucce) un posto di primo piano nell’alimentazione di tutti i giorni significa quindi proteggere la propria salute oltre che la propria forma fisica considerando che è ricca di vitamine (12 milligrammi di vitamina C ogni 100 grammi cioè il 25 per cento del fabbisogno giornaliero) e sali minerali come potassio, magnesio, calcio, bromo e silice e allumina. http://www.marieclaire.it/Benessere/dieta-alimentazione/buccia-mela-proprieta
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Puma Cola, regine dell’Etna di
Paola Pasetti (In Viaggio - supplemento a La Sicilia) La più coltivata, definita a buon titolo “regina dell’Etna”, era la mela Cola. “Puma Cola”, come vengono intese da queste parti: un nome che è derivato - pare - dal fatto che questa particolare varietà si diffuse in principio a Nicolosi, in una zona limitrofa al convento di San Nicola. Forma cilindrica arrotondata, buccia gialla segnata da piccole lentiggini color ruggine, polpa croccante e leggermente acidula. La mela Cola è stata coltivata ed è ancora presente su vari versanti: meleti si trovano anzitutto a Biancavilla e Ragalna, ma anche nel distretto Trecastagni-Pedara- Nicolosi, sul lato Sud; Zafferana e areale Milo-San’Alfio-Mascali, a Est.
Da qualche decennio, però, la Cola ha dovuto cedere lo scettro della
più coltivata a sua “figlia”: la Gelato-Cola. O Cola-Gelato, se si
preferisce. Un ibrido nato dall’innesto su un’altra varietà
autoctona dell’Etna, la “Gelatu”, oggi
Le caratteristiche della “nuova nata” la rendono diversa dalla Cola
per il sapore della polpa, meno acidula, per il profumo più intenso e
per la grana più raffinata. A occhio nudo, la si riconosce comunque per
la forma tronco-cilindrica e per il colore che va dal giallo-verdolino
subito dopo la raccolta al paglierino chiaro, quando la maturazione
arriva a compimento. Una passeggiata in macchina lungo questo percorso, attraverso le piacevoli strade provinciali immerse nel verde, riappacifica con il mondo. I centri abitati, poi, accolgono il visitatore con le loro botteghe aperte anche la domenica mattina, quando la montagna vive per i gitanti alla ricerca di aria buona. Un’occasione ghiotta per provare anche gli altri sapori tipici dell’Etna: funghi, miele, fichidindia, castagne, olio, vino. Tutti, insieme alle mele, si possono trovare nelle botteghe, nei mercatini locali o, più facilmente, lungo le strade man mano che si sale: panieri intrecciati ricolmi di frutta (o, meno poeticamente, secchi gialli di plastica) dal ciglio della strada invitano chi transita a fermarsi per un’acquisto, come si usa dire oggi, a chilometri zero.
Per
raggiungerla, bisogna lasciare la strada asfaltata che da Zafferana sale
verso Piano dell’Acqua all’altezza del fontanile di Scalazza. Subito
sulla sinistra si apre una stretta stradina sterrata che scende per
qualche centinaio di metri all’interno della grande conca in cui
confluiscono valle San Giacomo e il vallone Cavasecca. La Scalazza
inizia proprio lì, alla base del costone che divide le due vallate. Una
visione mozzafiato: il sentiero, in gran parte lastricato, è
completamente immerso nel bosco di castagni; cento tornanti consentono
di coprire un dislivello di quasi 500 metri, dai 700 di Piano dell’Acqua
ai 1200 della zona di Cassone,
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IL SORBO
Sorbo dell'Etna, il frutto "double face" che in casa cambia colore e sapore Quasi sconosciuto ai più, il sorbo dell'Etna è un frutto tanto bello da vedere quanto buono da mangiare, dopo un lungo periodo di maturazione successivo alla raccolta. A prima vista i piccoli pallini rossi che spuntano dalle estremità dei rami potrebbero sembrare quasi delle ciliegie selvatiche, ma il gusto acidulo di questa particolare varietà niente ha a che fare con la fruttosità rotonda dei prodotti commerciali di largo consumo. Dalle nostre parti, nel catanese, lo si può trovare durante il periodo autunnale in tutto il versante nord orientale dell'Etna, da Zafferana a Linguaglossa. Si tratta di un albero dalle foglie piccole e arrotondate che può raggiungere i 13 metri di altezza e fa la sua bella figura anche nei giardini più curati. "Lo si appende generalmente dentro casa per farlo maturare - spiegano dall'Agriturismo Case Perrotta di S.Alfio - e quando i frutti cambiano colore lo si può mangiare così com'è o impiegare nella preparazione di marmellate fatte in casa. Nel nostro territorio c'è chi adopera le foglie per lenire i dolori dei geloni e disinfettare le botti". Unica controindicazione: se lo assaggiate ancora acerbo il sapore è terribile e vi ci vorranno litri di succo di frutta per togliervi dalla bocca l'amaro!
SORBI DELL'ETNA
Sorbo selvatico o degli uccellatori (Sorbo aucuparia) di Loriana Mari
Caratteristiche: è un albero di media grandezza (10-15 metri al massimo), le foglie sono variabili, perché esiste in diverse specie (montano, domestico, degli uccellatori), ma i fiori sono invariabilmente bianchi e profumatissimi, le bacche rosso corallo a forma di minuscole mele maturano a settembre, ma restano intatte fino ad inverno inoltrato e per questo il sorbo simboleggia la rinascita della luce dopo le tenebre del solstizio… un’aurora invernale! Habitat: cresce nei boschi di latifoglie caldi, asciutti ed assolati dalla pianura alla fascia montana; Proprietà: gli erboristi d’un tempo lo usavano contro le coliche, per l’elevato contenuto di acido malico, inoltre combatteva efficacemente lo scorbuto. Anche la corteccia, raccolta in primavera e seccata al sole, era usata come febbrifugo, antireumatico ed astringente. Oggi si usano soltanto i frutti. Storia, mito, leggenda e magia: il suffisso “aucuparia” deriva dal termine latino “aucupio” ovvero uccellagione in quanto i cacciatori usano i frutti del Sorbo per attirare gli uccelli che ne sono ghiotti. Infatti, in autunno, il sorbo diventa meta di passeri, tordi e merli che vengono a “riempire” i loro stomaci. Nell’alfabeto Ogham il sorbo è simbolo di rinascita e protezione contro la negatività. Aiuta contro gli attacchi magici e la negatività, l’invidia e la gelosia e protegge anche dalla paura. E’ utile per ricavare discernimento ed ispirazione per le nostre azioni. L’animale totemico a lui collegato è il MERLO. Conosciuto già in epoca romana e descritto da Plinio il sorbo è una pianta caratteristica dell’ambiente mediterraneo. E’considerato efficace contro gli spiriti del male, dice un antico proverbio: “sorbo selvatico e filo rosso fan correr le streghe a più non posso”. Nella costruzione delle zangole si usava legno di sorbo per essere sicuri che fate e streghe non sorvegliassero il burro. I cavalli stregati si possono sempre domare con una frusta di sorbo. Il più efficace è considerato il sorbo volante, una pianta le cui radici non crescano nel terreno ma per esempio nelle spaccature di una roccia o sui rami di un altro albero. Esso occupava un posto speciale negli oracoli dei druidi, impiegavano fuochi del suo legno per evocare spiriti che poi obbligavano a rispondere alle domande sparpagliando bacche di sorbo su pelli di toro appena scuoiati. Era conosciuta anche una forma di divinazione che interpretava il significato di rametti rovesciati su una pelle di toro ben tesa, da cui il detto irlandese “camminare sui rami della conoscenza” per significare che si è tentato il possibile per ottenere un’informazione. Nel calendario dei Celti il Sorbo dava il nome al mese che andava dal 21 Gennaio al 17 Febbraio e che in gallese era chiamato “Cerdinene” oppure “Luis” in irlandese. I Celti lo consideravano l’albero dell’Aurora dell’anno, in cui cadeva la “festa del latte” (Imbolc), poiché la celebrazione coincide con il primo fiorire del latte nelle mammelle delle pecore, circa un mese prima della stagione della nascita degli agnelli. Questo sottile segnale di ritorno della fertilità era il primo di una serie di eventi che annunciavano il rifiorire della vita sulla terra e, per la tribù, segnava l’urgenza di cominciare un nuovo ciclo di attività. Questa è la festa più intima e raccolta dell’intero anno sacro: all’interno delle palizzate che circondano il villaggio, chiusi nelle capanne coperte di neve, raccolti intorno al fuoco caldo e crepitante, i Celti ascoltavano le storie del proprio clan, rendevano omaggio alla Dea e si preparavano al risveglio del mondo. Tornando al nostro sorbo va detto che Celti Germani lo univano alla mela come nutrimento per gli dei e secondo i Finni era l’albero della vita ed ospitava la ninfa Pihlajatar. In rapporto con le potenze invisibili, il sorbo poteva anche proteggere efficacemente da quelle malvagie e quindi era usato come amuleto contro i fulmini ed i sortilegi. Nel romanzo irlandese “La razzia della mandria di Fraoch” le bacche di un sorbo magico, custodite da un drago, hanno la virtù nutritiva di nove pasti, risanano le ferite ed aggiungono un anno alla vita d’un uomo. Nell’antica Irlanda prima di combattere i druidi accendevano fuochi con legno di sorbo, appunto ed invitavano così gli antichi spiriti del gruppo a prendere parte alla battaglia. Col suo legno si scolpiva una piccola mano, detta di strega, che serviva a scoprire i metalli nascosti sotto terra, ma anche manici di fruste, atte a dominare persino i cavalli stregati, e bastoni da pastori, che proteggevano il bestiame anche dalle epidemie. I suoi frutti dolci e leggermente astringenti sono ricchi di acidi organici (tra cui l’acido sorbico è solo il più famoso), tannini, pectine e mucillagini; si possono far seccare e durano per tutto l’inverno. Un tempo si mangiavano, si mescolavano alla pasta del pane, se ne ricavava una salsa da accompagnare alla selvaggina e servivano anche a preparare una bevanda a bassa fermentazione, simile al sidro, che in Europa centrale si produce ancora adesso. I Romani la chiamavano “cerevisia” Un antico proverbio così recita: “ con il tempo e con la paglia, maturano le sorbe e la canaglia”. Fino alla fine dell’Ottocento i frutti del Sorbo, dopo un appassimento al sole, venivano aggiunti all’impasto del pane per ottenere una specie di dolce. Era un albero sacro perché gli dei si nutrivano dei suoi frutti. Un pezzetto di legno di Sorbo, tenuto in tasca, è un ottimo talismano che ci protegge dai fulmini e dai sortilegi. I marinai attaccavano dei blocchi del suo legno sulla chiglia della nave perché li difendesse dalla furia delle tempeste marine. Piccole perle: “fare un infuso con un po’ di foglie di Sorbo in un litro di acqua bollente; dopo 10 minuti filtrare e bere. E’ un ottimo espettorante in caso di tosse” “togliere i semi da alcuni frutti di Sorbo ben maturi, macinateli con un passaverdura oppure schiacciateli bene con i rebbi di una forchetta; la “pappetta” ottenuta è un’ottima maschera per le pelli stanche” “fate bollire per circa un’ora alcuni frutti tagliati a quarti e non privati dei semi; filtrate il liquido ottenuto che vi servirà per sciacqui e gargarismi in caso di gola arrossata ed infiammata”.
Il Ficodindia appartiene al genere Opuntia della famiglia delle Cactacee. Originario dell'altopiano Messicano venne introdotta in Europa dagli spagnoli verso la metà del 1500 a seguito della conquista del Nuovo Mondo. Inizialmente venne coltivato negli orti e nei girdini dei nobili. Nelle regioni del Nord non andò, però, oltre questi spazi privilegiati, riuscendo a superare l'inverno solo in luoghi riparati o all'interno delle serre. Nelle più miti regioni mediterranee, il ficodindia trovò invece condizioni ambientali ottimali: si diffuse velocemente e si naturalizzò al punto da divenire uno degli elementi più comuni e ceratterizzanti del paesaggio. Il ficodindia è una pianta arborescente che può giungere a 3-5 m. di altezza, anche se in coltura si tende a limitare lo sviluppo a non più di 2-2,5 m.. E' caratteristica peculiare l'articolazione della parte aerea in cladodi (comunemente dette "pale"), segmenti lunghi 30-40 cm, larghi 15-25 cm e spessi 1,5-3, uniti alla base fino a formare lunghe branche. Le foglie sono effimere e caduche. I cladodi basali tendono a lignificare al quarto-quinto anno di età fino a formare un tronco ben definito. La parte interna dei cladodi, a cui è demandata la funzione fotosintetizzante, particolare nelle cactacee, è costituita da un tessuto parenchimatico opaco che assolve la funzione di immagazzinamento dell'acqua e che determina l'adattabilità del ficodindia a condizioni di estrema siccità. Sulla superfice dei cladodi si trovano le areole (130/160 per cladodio) caratteristiche gemme ascellare modificate tipiche delle Cactacee. Le spine vere e proprie, lunghe da 1 a 2 cm e saldamente inserite sono piuttosto rare nelle forme di ficodindia coltivate in Italia. I glochidi, invece, sono sempre presenti nelle areole; tali "spinette", lunghe pochi millimetri non risultano sclerificate alla base e qundi sono facilmente amovibili.
L'apparato radicale, infine, è superficiale, concentrandosi nei primi 30 cm. di profondità. I fiori del ficodindia sono ermafroditi, hanno il calice e la corolla formati da sepali poco evidenti e petali appariscenti di colore giallo-aranciato, numerosi stami che circondano il gineceo, costituito da un pistillo sormontato da uno stigma multiplo. L'ovario è infero, uniloculare, con diversi ovuli disposti in placentazione parietale. I fiori si concentrano sulle areole lungo il margine superiore della corona del cladodio.
foto di Nino Gemmellaro
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Prodotti tipici “La freschezza irresistibile di una natura vulcanica”. Non esiste pianta più appropriata del ficodindia per identificare la Sicilia con la sua storia e le sue tradizioni, la sua cultura e le sue colture di questi frutti concentrate in quattro aree principali, l’Etna, San Cono, Santa Margherita di Belice e Roccapalumba. Le ricerche scientifiche fanno riferimento alle tante iniziative tese a sottolineare le proprietà “magiche” di questa pianta in tutte le sue componenti, le pale (cladodi), i fiori e i frutti nei suoi colori giallo (sulfarina), bianco (muscaredda), rosso (sanguigna), con una copiosa attività industriale che si fonda proprio su questa coltivazione. Euroagrumi ha dedicato due siti internet a questa prodigiosa pianta www. ficodindinnova. it e www. fruttaetna. it, approfondendo nel primo gli aspetti sulle innovazioni nella coltivazione e nel secondo la diffusione delle conoscenze, foto curiosità e ricette a base di ficodindia. Però ci sono alcuni aspetti che meritano una riflessione perché attengono alla ecosostenibilità della pianta e alla tutela ambientale. Il primo riguarda il ridotto uso di pratiche agronomiche come l’irrigazione o la concimazione che fanno del ficodindia una coltura “simbolo” di sostenibilità ambientale, e quindi come una coltura intercalare per territori che hanno visto uno sfruttamento intensivo, agricolo e non, e che per la sua costituzione può costituire una pianta “frangifuoco” in aree in cui l’esercizio dell’agricoltura è stato messo a dura prova dalle crisi ripetute del mercato, o in aree marginali dove si ha una forte presenza di terreni incolti ad alto rischio ambientale (incendi ed erosioni). Sempre sul piano ambientale diventa sempre più frequente l’insediamento delle api per la produzione del miele in coltivazioni di ficodindia. Il popolo siciliano ha un legame forte con il ficodindia, pianta che in passato forniva preziosi alimenti nei momenti di difficoltà. Forse per questo motivo veniva visto come un frutto marginale ed era sinonimo di “povertà”. Oggi però il frutto si è affrancato da questo pregiudizio e ha assunto una posizione di nicchia per quei consumatori molto attenti agli aspetti salutistici non solo dei frutti ma anche del ciclo produttivo. Ultimo, ma non meno importante, utilizzo che si faceva con i frutti più piccoli, la trasformazione in dolci e vino cotto, così la “mostarda” diventava il “dolce dei poveri” o i mustaccioli che a Natale imbandivano le tavole di tutti i siciliani ed entrambi sono diventati oggi prelibatezze Negli ultimi anni, dalla pala del ficodindia si lavorano oggetti di pelletteria, scarpe, piastrelle, e chissà quante altre sorprese ancora vedranno protagonista questo frutto nell’utilizzo farmacologico, cosmetico e financo nella gioielleria più ricercata. Ficodindia e ciliegia dell’Etna Dop: due gioielli della terra etnea che si estende dal mare Ionio fino a 1600 metri di quota lungo i versanti est e sud-est del Vulcano LA SICILIA DOMENICA 3 AGOSTO 2014
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Adagiato ai piedi del Monte San Marco, il comune di San Cono vanta una vita piuttosto travagliata: in origine era un antico feudo, poi fu proprietà delle più note famiglie siciliane, alla fine del Settecento passò al Marchese di Floresta che lo riportò a nuova vita con il nuovo abitato, le piantagioni e le colture intensive. Tra queste spicca il fico d’India, di cui San Cono è tra i maggiori produttori ed esportatori. La sua, infatti, è una varietà che ha acquisito il marchio DOP, che si distingue per i frutti di grandi dimensioni, la vivace colorazione della polpa e della buccia e la particolare dolcezza e fragranza.
Si raccolgono da fine agosto a fine settembre oppure dalla seconda decade di settembre fino a dicembre. La qualità unica del fico d’India di San Cono viene celebrata ogni anno con la Sagra a lui dedicata, in programma quest’anno il 3 e il 4 ottobre. La Sagra del Fico d’India è uno dei momenti più importanti e attesi di tutto il paese, in cui si espone e si promuove il prodotto principe locale, orgoglio di tutti gli abitanti, con una ghiotta occasione per i buongustai più esigenti che qui possono venire ad assaporare uno dei frutti più saporiti del Mediterraneo assieme agli altri prodotti tipici. Il tutto accompagnati da serate danzanti grazie alla musica di gruppi folcloristici locali. Ma oltre alle ghiottonerie vale la pena scoprire anche le attrazioni che il paese offre. Ad incominciare dalla chiesa omonima, quella di San Cono, la prima chiesa madre del paese e la più antica, databile alla metà del Settecento: si presenta in stile barocco con pianta ad un’unica navata e l’altare in fondo, dove si può ammirare un quadro che rappresenta la Deposizione di Gesù, mentre sul soffitto sono rappresentati alcuni episodi della vita di San Cono. Annesso alla chiesa si trova Palazzo Trigona, fatto erigere al centro del feudo, dove si trovavano le abitazioni dei fattori e del procuratore. La chiesa principale è la Chiesa Matrice di Piazza Umberto I, progettata con elementi dorici, corinzi, bizantini e greco romani, che possiede un’unica ed ampia navata, mentre la Chiesa del Crocifisso, situata nella parte nord del paese, ospita all’interno un altare dominato da un grande Crocifisso di cartapesta. Oltre al Monumento ai Caduti c’è un altro piccolo monumento di particolare importanza: si tratta della Croce, nel quartiere della Forca, a poca distanza dal Palazzo Trigona: sorge dove un tempo era situata la forca che simboleggiava il potere feudale.
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OLIVA NOCELLARA DEL BELICE
L’Oliva Nocellara del Belice, nota anche come Oliva di Castelvetrano, è un’oliva di forma tondeggiante e colore verde intenso, la polpa morbida e densa le conferisce un sapore fruttato e molto delicato. Viene coltivata nel territorio circostante la città di Castelvetrano, nel trapanese, costeggiato dal Lago Trinità e dai templi di Selinunte che proteggono le coltivazioni da più di 2600 anni. La brezza marina del Mediterraneo promuove la crescita di una pianta con crescita vigorosa ed un oliva robusta. La sua coltivazione si estende in tutta la Valle del Belice tra Partanna, Campobello di Mazara, Santa Ninfa, Salaparuta, Poggioreale e Gibellina. Da tradizione, l’Oliva Nocellara viene raccolta manualmente, poiché, specialmente per le olive da mensa queste non devono essere maltrattate per garantirne la massima qualità. È l’unico prodotto in Europa ad avere due DOP per la stessa varietà: “Valle del Belìce” per l’olio (GUCE L. 273 del 21.08.04) e “Nocellara del Belìce” per l’oliva da mensa (GUCE L. 15 del 21.01.98). Quest’oliva siciliana da tavola è particolarmente ricca di fibra dietetica ad alta digeribilità, che contribuisce in modo rilevante a regolarizzare il funzionamento dell’apparato digerente e a prevenire l’insorgere di malattie. Questo aiuta inoltre a contrastare l’invecchiamento cellulare, perché contiene sovrabbondanza di polifenoli: sostanze con elevate proprietà antiossidanti. L’Oliva Nocellara del Belice garantisce un buon apporto di minerali, in percentuali addirittura superiori a quelle di molte verdure. In particolare, il quantitativo di calcio e magnesio nell’oliva da tavola è paragonabile a quello del latte materno.
Le Olive Nocellara del Belice, destinate al consumo a tavola come antipasto e contorno, vengono raccolte a mano nei mesi di settembre e ottobre e lavorate e conservate lo stesso giorno della raccolta per mantenere il massimo della qualità. Le olive vengono dapprima “cernite” (cioè vengono separate da impurità come terra, rametti e foglie) per poi essere lavate e calibrate (selezione delle olive in base al calibro). Quindi vengono incise, schiacciate o denocciolate per poi essere conservate. Generalmente si utilizzano tre diversi tipi di conservazione: Sistema al naturale come da tradizione:il prodotto viene stipato in fusti da 130 Kg circa che vengono riempite con una soluzione di acqua e sale (salamoia). Per un minimo di tre mesi si mantengono in salamoia per deamarizzare ed in seguito confezionate e immesse sul mercato. Sistema sivigliano: cernita, calibratura, trattamento con soda, lavaggi, salamoia, fermentazione, calibratura, confezionamento, pastorizzazione. Sistema Castelvetrano o alla soda: cernita, calibratura, soluzione sodico-alcalina, addolcimento, fermentazione. Cenni storici L’olivicoltura della Valle del Belice ha una lunghissima tradizione, specie per le olive da mensa: infatti questa coltura è riuscita ad affermarsi quasi spontaneamente sia per le idonee caratteristiche ambientali che per i requisiti merceologici pregevoli dell’unica cultivar rappresentata in maniera così preponderante. Ereditata dai Greci, dal 1600 l’olivicoltura è stata per la Valle del Belice, se non la sola ed esclusiva risorsa economica, indubbiamente la più importante nell’ordinamento culturale della zona. Nel corso degli ultimi due secoli si è scoperta la duplice attitudine della cultivar Nocellara del Belice e di conseguenza le produzioni olivicole si sono diversificate in olive da mensa ed olio extravergine. In questo link la presentazione delle Olive Nocellara del Belice fatta dal MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali).
Una regione che fa sicuramente la parte del leone nell'ambito della produzione e della vendita di olio extravergine d'oliva è la Sicilia che oltretutto può contare su una straordinaria varietà di cultivar autoctone. Le principali cultivar presenti negli uliveti siciliani sono le seguenti:
OLIVA MINUTA Il massiccio dei Nebrodi è il grande cuore verde della Sicilia: oltre 50 mila ettari di boschi localizzati nella parte nord orientale della Sicilia, che dividono la costa ionica da quella tirrenica. Nelle vallate percorse da fiumare si coltivano agrumi e, fino a circa 800 metri di altitudine, ulivi alternati a noccioli e castagni. In particolare, la fiumara di Sinagra e del Naso, i Comuni della valle del Fitalia e alcune aree vicine di Castell’Umberto e Sinagra rappresentano l’habitat dove cresce un raro e antichissimo olivo siciliano: la minuta. Circa il 90% degli uliveti, soprattutto nelle fasce di collina più alte, è impiantato a minuta: una cultivar rustica, più resistente alle avversità climatiche della santagatese, della ogliarola messinese o della verdello, coltivate a quote più basse. La minuta ha ottime qualità nutrizionali: ha un’alta componente in ortofenoli – in grado di ridurre il rischio di sviluppo di cellule tumorali – e una notevole concentrazione di vitamina E, antiossidante. Testimoniano l’importanza storica dell’oliva minuta nel territorio i molti uliveti ultracentenari e ancora produttivi. I frutti sono medio-piccoli e a maturazione medio-precoce. La raccolta si effettua manualmente da ottobre a novembre, secondo il grado di maturazione e in funzione dell’altitudine. Si procede alla bacchiatura, cioè allo scuotimento delle fronde con una pertica, ponendo delle reti sotto gli ulivi per evitare la dispersione delle olive nella caduta e il contatto con il terreno. La spremitura è a freddo e l’olio che si ottiene è fruttato, molto delicato e ha una bassissima acidità. La minuta è una delle tre cultivar principali della Dop Valdemone, assieme alla santagatese e alla ogliarola messinese. Produrre olio extravergine con la sola cultivar minuta è costoso: le rese sono basse e i costi di raccolta elevati, perché il terreno è accidentato. Inoltre l’olio di minuta dà il meglio di sé nei primi otto-dieci mesi di vita ed è necessario trovare soluzioni tecnologiche utili per superare questo problema e conservarne le peculiarità anche per un tempo più lungo. Il Presidio riunisce alcuni coltivatori di minuta che propongono un olio monovarietale ottenuto secondo un disciplinare di produzione rigoroso. L’olio di minuta è delicatissimo, con un giusto equilibrio tra l’amaro e il piccante, ricco di lievi sentori fruttati, con note floreali, caratteristiche insolite tra gli oli siciliani che, normalmente, sono caratterizzati da note più decise e piccanti. È quindi particolarmente indicato per i piatti a base di pesce. Le minute sono anche buone olive da tavola e la tradizione locale le propone conservate in vari modi: a tinello, cioè in salamoia con una miscela di acqua e sale marino, con aggiunta di erbe aromatiche della flora dei Nebrodi (finocchietto selvatico, aglio, alloro e rosmarino) oppure a suppresso, cioè pressate a strati, in contenitori di legno o ceramica, con il sale e le erbe aromatiche. Area di produzione Sinagra e alcuni comuni limitrofi dei Nebrodi (provincia di Messina). Presidio sostenuto da Comune di Sinagra, Regione Siciliana Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste https://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/oliva-minuta/
OLIVA OGLIAROLA MESSINESE Negli uliveti delle province di Palermo e Messina (e in misura minore, anche in quelli delle zone di Agrigento ed Enna, nel resto della Sicilia e persino in Calabria) è frequente trovare alberi di olivo della cultivar autoctona siciliana dell'Ogliarola Messinese. Nota anche con i sinonimi di Messinese, Terminese, Raffu e Castrense, questa varietà è a duplice attitudine ed i polposi frutti di Ogliarola Messinese sono abitualmente consumati anche a tavola ma producono anche un eccellente olio extravergine della Sicilia. Si tratta di una cultivar autofertile, con una produttività elevata eindex con una resa dell'olio molto soddisfacente che spesso e volentieri supera abbondantemente la quota del 20%, tuttavia in certi casi si riporta una certa alternanza da annata ad annata. A livello agronomico, questa cultivar richiede molta attenzione in primo luogo a causa degli agenti climatici. Essa, infatti è sensibile all'umidità dell'aria mentre tollera molto bene le temperature basse e la scarsità d'acqua. Per quanto concerne le malattie, invece, l'Ogliarola Messinese soffre molto gli attacchi di mosca e di alcuni coleotteri come l'Ilesino, è sensibile alla Brusca, al Mal del Piombo ed all'occhio di pavone, ad alcuni funghi come la Rosellinia (che attacca l'albero attraverso le radici e può arrivare anche ad uccidere la pianta) ed agli attacchi di un lepidottero, il Rodilegno Giallo, una specie di falena che si ciba del legno di alcuni alberi da frutto. La pianta di Ogliarola Messinese è caratterizzata da portamento espanso, media vigoria ed una chioma abbastanza folta e contraddistinta da una visibile compattezza. Le foglie, di dimensioni medie sia in larghezza che in lunghezza, hanno la caratteristica forma ellittico-lanceolataogliarola messinese con curvatura longitudinale iponastica. I frutti, che hanno un'epoca di invaiatura tardiva, hanno una colorazione che va dal verde al rosso vinoso o nero-violaceo e sono di pezzatura grossa con un peso che può raggiungere o superare anche gli otto grammi e con un rapporto tra nocciolo e polpa molto elevato. La loro maturazione avviene a partire dagli ultimi giorni di Settembre e può prolungarsi fino alle prime settimane di Ottobre e la raccolta viene effettuata secondo metodi tradizionali o con l'ausilio di semplici attrezzature meccanizzate. L'epicarpo della drupa di Ogliarola Messinese è pruinoso e presenta parecchie lenticelle piuttosto grandi, l'apice è appuntito mentre la base è arrotondata. L'olio extravergine monovarietale di Ogliarola Messinese è di colorazione giallo-oro, mentre dal punto di vista olfattivo è caratterizzato da un fruttato di oliva non molto intenso con sentori foglia ogliaroladi foglia d'erba appena tagliata, mandorla, pomodoro e carciofo, anche se tali aspetti possono variare in base al grado di maturazione delle olive. Il gusto di questi olii presenta un certo equilibrio tra piccante, dolce e amaro, e ciò li rende ottimali per la preparazione di cibi dal gusto deciso, siano essi a base di verdure, carne o pesce. L'Ogliarola Messinese è anche un'ottima oliva da tavola che viene preparata col sistema naturale e con l'aggiunta di erbe aromatiche, oppure al nero. Il consumo di questa tipologia di olio extravergine siciliano è molto indicato per i soggetti che soffrono di colesterolemia, grazie alla presenza di grassi monoinsaturi e quindi è molto indicato per la vendita al pubblico. http://www.oliodellasicilia.com/cultivar/ogliarola-messinese
Autunno, raccolta delle olive: ricetta delle alìvi scacciàti e cunzàti
Siamo nel periodo di raccolta delle olive, quindi perché non cimentarsi in un prodotto siciliano tipico come le ‘alìvi scacciàti e cunzàti’? Una sorta di conserva, che viene tenuta per tutto l’anno e regalata a parenti e amici. È tradizione al Sud, preparare ancora le conserve. Ma oltre alla passata di pomodoro rimasta presidio soprattutto dalle nonne, ci sono anche altri prodotti della tradizione contadina che ancora vengono conservati in un barattolo di vetro ben sigillato, in molte case. Le olive verdi, ad esempio, in Sicilia vengono schiacciate, condite con diversi ingredienti, e poi messe in salamoia; stesso discorso per le alici, che vengono conservate, soprattutto in Calabria, quasi esclusivamente sotto sale. E poi ancora melanzane sott’olio, peperoni sott’aceto e pomodori e peperoncini secchi, fino alle marmellate o alla mostarda, che però viene preparata soprattutto al Nord. Le olive sono un prodotto estremamente nutriente, sia così che gustate sotto forma di olio, un liquido giallo oro ricco di polifenoli, ovvero sostanze antiossidanti in grado di contrastare gli effetti disastrosi dei radicali liberi, e quindi capaci di metterci al riparo da molte malattie; inoltre, se utilizzato per condire, l’olio d’oliva aiuta la digestione dei piatti, in particolare delle fibre, di cui ne facilita anche la metabolizzazione.
Per preparare le ‘alìvi scacciàti e cunzàti’ non è necessario essere grandi chef, ma ricavarsi giusto un po’ di tempo e la giusta materia prima: Ingredienti: Olive verdi fresche, 2 peperoni rossi, 1 peperone giallo, 2 gambi di sedano, 2 carote, 1 peperoncino piccante, aglio, sale, aceto di vino bianco, olio extravergine d’oliva Preparazione: Lava per bene le olive e poi deponile su un tagliere, meglio se in legno. Armati di batticarne e inizia a schiacciare le olive, una ad una. Non sarà necessario denocciolarle, basterà il colpo ad aprirle. Una volta aperte, riponile in un recipiente colmo di acqua fredda. Una volta finito di schiacciare anche l’ultima oliva, butta l’acqua e riempi il recipiente con nuova acqua fredda: le tue olive dovranno rimanere così per almeno 8 giorni/una settimana, avendo cura di cambiare l’acqua almeno 2 volte al giorno. Ora, supponendo che siano trascorsi gli otto giorni, sarà necessario scolare le olive, per poi rimetterle a bagno con acqua e stavolta anche sale; 100 grammi per 1 litro basteranno: le olive dovranno rimanere in ammollo così per almeno 2 giorni. Al termine dei due giorni, potrai scolare le olive. Ora sciacquale delicatamente ma con cura, e poi asciugale con della carta assorbente: servirà ad eliminare il sale in eccesso perché quello che ci serviva a dare sapore, sarà penetrato nelle olive nei due giorni di ammollo. Tienile da parte. Lava, pela e taglia le carote a pezzetti; stesso discorso per i peperoni e i gambi di sedano. Metti le olive in un contenitore assieme alle verdure tagliate a pezzetti, aggiungi l’aceto (1 bicchiere ogni 2 chili di olive) e mescola. Lascia il tutto a macerare per almeno 24 ore, avendo cura di scuotere il contenitore di tanto in tanto. Passate le 24 ore, scola l’aceto e aggiungi due spicchi d’aglio triturati finemente e del peperoncino piccante; se non gradisci nessuno dei due, lìmitati ad aggiungere solo abbondante olio d’oliva extra. Ora le tue olive sono pronte per essere conservate, e per essere regalate a parenti ed amici: mettile in (piccoli o grandi) barattoli di vetro con chiusura ermetica e poi decorali; assicurati però che le olive siano sempre ben coperte c’olio, prima di darle via, e anche una volta aperte, per non farle andare a male. Le ‘alìvi scacciàti e cunzàti’ sono perfette come antipasto, insieme ad affettati e formaggi, ma si sposano bene anche sul pane, magari casereccio, come fossero un’originale forma di bruschetta; e perché no, le olive così arricchite stanno bene anche con la pasta, magari già condita con del pesce, o per arricchire un semplice piatto di verdure. Enrica Bartalotta http://www.siciliafan.it/novembre-raccolta-delle-olive-ricetta-delle-alivi-scacciati-cunzati/
La coltivazione delle olive La pianta sempreverde dalle caratteristiche foglie ellittiche dell'olivo appartiene al genere delle Oleacee. La specie è Europaea e tale denominazione sta ad indicare che l'areale originario della pianta sono le coste del bacino mediterraneo, con un grosso riferimento all'antica Grecia e a Roma. La sottospecie dell'olivo molto diffusa nel paesaggio mediterraneo è la sativa. La pianta è meritatamente il simbolo dell'ambiente mediterraneo visto che si adatta perfettamente al clima temperato ed ai suoli calcarei propri delle zone rocciose, cioè dove si trovano terre fertili e permeabili. La pianta, però, sa adattarsi anche ad altre condizioni ambientali, a patto che non sia sottoposta al ristagno dell'acqua. Gli oliveti hanno una struttura un pò anarchica che rispecchia principalmente la natura dei terreni scelti per la piantagione, in prevalenza aree collinari e montane, e la presenza dell'olivastro. In effetti, vista la lentezza propria l'olivo che produce il proprio frutto almeno 15 anni dopo la piantagione e che la pianta raggiunge la maturazione dopo circa 25 anni, c'è l'abitudine di privilegiare lo sfruttamento delle piante selvatiche, magari innestandovi le olive di migliore qualità, ed anche l'usanza di consociare l'oliveto con altre colture, come quella degli ortaggi e dei legumi, scelta attuata per compensare almeno in parte le spese dell'impianto delle olive. La consociazione si ha, inoltre, per compensare il fatto che l'olivo produce il suo frutto ogni due anni visto che l'anno di "magra" serve alla pianta per prepararsi alla produzione dell'anno successivo.
pianta di Ulivo presso Muglia (foto Nino Gemmellaro)
L'oliveto ha bisogno di cure particolari. Tra quelle annuali si ha l'aratura a febbraio, maggio e dicembre, procedimento che non deve andare troppo in profondità nel terreno in modo da non danneggiare la pianta. Per evitare i danni della caratteristica siccità estiva che porta il conseguente inaridimento del suolo si attua una zappatura ancora più leggera in modo da eliminare le crepe del terreno. Particolarità della pianta è il suo processo fecondativo: molte piante non possono utilizzare il proprio polline per soddisfare tale fase, per cui occorre garantire, negli stessi impianti, la presenza di vari tipi di pianta ma con fiori che danno un polline compatibile con quelle presenti nello stesso impianto. La maturazione delle olive non è contemporanea ed omogenea, per cui la raccolta del frutto non può affidarsi a dei canoni precisi e scientifici, ma alla singola scelta degli operatori del settore sul tipo di olio che si vuole ottenere. Successiva fase riguardante le olive è la loro raccolta, momento di socializzazione caratteristico della tradizione contadina e procedimento che può effetuarsi in modo manuale o meccanico. La procedura migliore per salvaguardare la qualità dell'olio è la "brucatura". Tale processo prevede l'intervento diretto di un raccoglitore che effettua una prima cernita delle olive. Le difficoltà di tale processo sono legate al tipo di terreno - la possibilità che esso sia scosceso rende più difficile l'operazione - ed alla necessità o meno di utilizzare una scala. Sistemi di raccolta più rapidi rispetto al precedente sono quelli meccanici che prevedono l'utilizzo di vari utensili per agevolare la raccolta delle oli ve staccandole direttamente dalla pianta. La fase successiva riguarda l'estrazione vera e propria dell'olio, fase che si svolge direttamente nel frantoio. Le olive son liberate da eventuali impurità, lavate accuratamente e disposte nei frangitori a molazze, cioè delle macchine che prevedono la presenza di due ruote che sfruttano la rotazione di un asse verticale per muoversi. Tali macchinari possono contare su di una millenaria tradizione che ha saputo anche evolversi in base alle nuove esigenze d'igiene e di produzione. In effetti, un tempo le ruote dei frangitori erano fatte di legno e mosse dalla forza animale, oggi sono fatte d'acciaio inossidabile e si muovono grazie all'ausilio di un motore elettrico.
Attualmente si fanno avanti i frangitori a dischi che accellerano la macinazione ed aiutano a regolare la granulometria della pasta. Tra le altre fasi di produzione occorre citare la snocciolatura delle olive e la gramolatura. La prima si attua perchè occorre separare la polpa dal seme in modo da ottenere separatamente i due oli, visto che quello estratto dal seme potrebbe danneggiare l'altro, mentre la seconda si attua riscaldando la materia oleosa in modo da tenerla fluida e rimescolandola attraverso delle macchine impastatrici in modo da separare le emulsioni acqua-olio ottenute dalle precedenti operazioni. Per completare il processo d'estrazione dell'olio occorre pressare la pasta di olive. Il metodo più tradizionale è l'estrazione a presse, sistema denominato anche metodo discontinuo. La pasta di olive è disposta su dei dischetti chiamati "fiscoli" che sono posti nell'asse verticale della pressa per subire così la pressione di kg 50/cmq ed ottenere l'olio-mosto. Si crede che l'olio estratto con una pressione minore ha una qualità migliore. Ci sono anche altri sistemi di estrazione, come quello della percolazione e della centrifugazione, sistemi denominati anche metodi continui. La coltivazione siciliana dell'ulivo ha delle radici antichissime, millenarie. Pare che siano stati i Fenici ed i Micenei ad imporre nell'isola tale pianta originaria delle regioni a nord-est del Mar Caspio. La sua storia ha avuto fasi alterne: i Romani incoraggiarono tale produzione, mentre in modo contrario si comportarono gli Arabi; una nuova fase positiva si ebbe sotto la dominazione normanna dell'isola mentre un nuovo periodo di oscurantismo si ebbe sotto quella spagnola per poi vivere una vera e propria fase di rivincita sotto i Borboni. http://www.olio-sicilia.it/art_coltivazione.htm
BRONTE,
capitale italiana del pistacchio! La Sicilia è l'unica regione italiana dove si
produce il pistacchio ("pistacia vera") e la cittadina etnea, con oltre tremila
ettari in coltura specializzata, ne esprime l'area di coltivazione principale
(più dell'80% della
superficie regionale) con una produzione dalle
caratteristiche peculiari.
Il frutto viene commercializzato sotto diverse forme: Tignosella (pistacchio
non sgusciato, i brontesi lo chiamano "babbalucella"), pelato (sgusciato e
privato dell'endocarpo), granella, farina, bastoncini, affettato o pasta di
pistacchio. Certamente quasi nessun agricoltore brontese vive più di solo
pistacchio: la coltivazione occupa solo una parte dell'impegno lavorativo e
fornisce una fetta di reddito; è in pratica una seconda attività, ma
essenziale per la sopravvivenza della famiglia e della comunità e forse è
più la passione che l'economia a spingere i brontesi ad impiantare ancora
alberi di pistacchio (che daranno i primi frutti solo dopo circa dieci
anni).
Il Mediterraneo è stato da
sempre uno dei principali centri di scambio e di valorizzazione delle
produzioni agro-alimentari mondiali. È stato, tradizionalmente, il mare del
gusto, degli aromi, dei sapori, delle spezie. Una peculiare caratteristica
che ha disegnato e formato la cultura, l'economia ed anche il paesaggio,
trasformandolo profondamente ed in modo quasi irreversibile.
Il Pistacchio di Bronte, tesoro di sicilia La Sicilia, 24 Settembre 2014 La Sicilia è l'unica regione italiana dove si produce il pistacchio e Bronte, con oltre tremila ettari di coltura, ne rappresenta l'area di coltivazione principale (più dell'80% della superficie regionale, pari anche all'uno per cento di quella mondiale) con una produzione dalle caratteristiche uniche che ne fanno un prodotto di nicchia di grande valore. Il pistacchio era già conosciuto dai greci e dai romani, ma è entrato a far parte delle coltivazioni agricole in Sicilia solo grazie agli arabi che hanno scoperto che sul territorio di Bronte la pianta su cui effettuare l'innesto cresceva spontaneamente. L'ambiente di coltivazione va dai 300 ai 900 metri sul livello del mare con la pianta che si adatta ad ambienti difficili come i terreni lavici brontesi, dove non cresce nient'altro se non la ginestra. Si raccoglie ad anni alterni, anche se qualche produttore sta sperimentando la produzione annuale. A Bronte se ne raccoglie per ben oltre 30 mila quintali, per un "controvalore" di quasi 15 milioni di euro. Il pistacchio di Bronte, infatti, è particolarmente pregiato e ricercato per il suo sapore aromatico e gradevole in pasticceria, in gelateria e per aromatizzare ed insaporire molte vivande. Famosi sono i dolci: paste, torte e gelati sono resi ancor più gustosi con il prezioso frutto dell'Etna che è servito negli anni anche ad inventare prelibatezze nuove.
LA NOCE DI MOTTA CAMASTRA
Un prodotto tipico di Motta Camastra è la Noce che ne conserva le origini e ne festeggia la sagra annualmente, ma anche a Gaggi è tipica e molto apprezzata: il suo seme o gheriglio è diviso in quattro ed è racchiuso da un involucro legnoso meglio conosciuto come mesocarpo. Una delle caratteristiche principali della Noce di Motta è quella di avere una pezzatura molto elevata che può superare anche il calibro di 40 mm di diametro e arrivare a un peso di 100 grammi. Per le sue proprietà organolettiche è da consumarsi preferibilmente fresca. Interessanti sono anche la lavorazione, la conservazione e la stagionatura della noce di Motta: la drupa viene infatti privata dell’endocarpo e viene poi lavata in acqua e messa ad asciugare al coperto o all’aria aperta, a meno che il frutto non si consumi fresco. Solitamente le Noci di Motta vengono conservate in silos o sacchetti per magazzini. In generale, le metodologie utilizzate per la produzione e la conservazione delle noci di Motta sono rimaste identiche a quelle di almeno un secolo addietro e tradizionalmente rimangono legate ad esse. Lo testimoniano non solo la presenza di questo particolare frutto in diversi libri di storia antica locale, ma anche e soprattutto dalla presenza di piante di noce secolare. L’etimologia della parola “noce” deriva dal termine latino Junglas Regia ovvero “Ghianda di Giove”, proprio a sottolineare la bontà e la ricchezza di questo frutto in termini nutrizionali. Diversi studi più o meno recenti hanno confermato le qualità della noce anche dal punto di vista medico, sia della drupa che delle foglie: sembra che la presenza di grassi insaturi del tipo acido linoleico e acido linolenico, comunemente conosciuti come Omega 3 e Omega 6, siano componenti essenziali delle membrane cellulari e fanno in modo che il consumo delle noci renda basso il livello di colesterolo nel sangue, prevenendo rischi di malattie cardio-vascolari e infarti. Altre proprietà e vantaggi della noce sono da accostare alla cosmesi e alla cura della pelle: la noce ha proprietà astringenti, depurative, ipoglicemizzanti e antisettiche. http://www.typicalsicily.it/sicilia/Elenco/prodotto-tipico-di-motta-camastra-noce/
Il territorio etneo è ricco di piante erbacee spontanee molte delle quali, assieme ai funghi ed ai frutti di bosco, fino ad un passato non troppo lontano rappresentavano una fondamentale risorsa alimentare per le popolazioni locali (contadini, boscaioli, pastori, ecc.). Infatti, era prassi quasi quotidiana andare per le sciare, le timpe, i coltivi ed i boschi in cerca di verdure selvatiche. Tale abitudine alimentare, principalmente, traeva origini da uno stato di necessità, data la cronica indigenza in cui versava la popolazione rurale e talora quella cittadina. Pure i cacciatori avevano l'abitudine di raccogliere piante selvatiche che trovavano nel loro girovagare. Si cercavano verdure selvatiche anche per variare la dieta giornaliera, principalmente a base di pasta, carne e legumi, e per la mancanza delle diverse varietà di ortaggi carnosi, multicolori ed esotici che oggi si trovano, invece, in bella mostra nei negozi di frutta e verdura. Da questa abitudine alimentare, attraverso i secoli, è giunto fino a noi un imponente patrimonio culturale, tramandato di generazione in generazione. http://www.dipbot.unict.it/alimurgiche/introduzione.htm
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Boschi dell’ambiente montano
Alberi da frutta
La qualità dei formaggi Siciliani è strettamente legata al territorio, alla razza e al sistema di allevamento. L'insieme di questi fattori, propri del territorio di produzione e non riproducibili altrove, fanno di questi formaggi dei prodotti unici, racchiudendo in se tutte le caratteristiche e le qualità della natura nel senso più ampio del termine. In aggiunta la biodiversità dello sviluppo batterico durante la produzione, può essere considerato un fattore fondamentale per il mantenimento delle caratteristiche tipiche dello stesso. Il progetto di valorizzazione dei formaggi Siciliani della Valdemone e del Val di Mazara ha approfondito i temi riguardanti la caratterizzazione tecnologica, microbiologica e della composizione chimica dei formaggi tradizionali Siciliani quali, il Maiorchino, La Provola dei Nebrodi e delle Madonie, il Canestrato, il Caciocavallo Palermitano e Trapanese, il formaggio Ericino, la Vastedda del Belice, la Tuma Pantesca ecc.
Asino Ragusano Zone di origine sono i territori dei Comuni di Ragusa, Modica, Scicli e S.Croce Camerina. Razza di recente costituzione: è stata infatti ufficialmente riconosciuta nel 1953, quando, attraverso lavori di selezione, l'lstituto di Incremento Ippico di Catania (che tiene il Registro Anagrafico) riuscì a fissare alcune caratteristiche-tipo. Gli asini presenti da sempre in Sicilia erano riconducibili all'asino di Pantelleria, diffuso in provincia di Trapani ed alla "razza siciliana" comunemente detta ed estesa in tutto il territorio insulare. Le due "razze" incrociate tra di loro e con l 'asino di Martina Franca, con qualche insanguamento dell’Asino Catalano, diedero, seguendo una serie di incroci a più vie, alcuni prodotti molto validi. A seguito di questi incroci, soprattutto in provincia di Ragusa, si trovarono soggetti dalle buone caratteristiche di sviluppo e conformazione. Si lavorò molto su questi soggetti incrociandoli in stretta consanguineità per cercare di fissare in maniera piuttosto rapida, il complesso dei caratteri veramente pregevoli ancora oggi riscontrabili. (Istituto di Incremento Ippico di Catania). Si adatta con facilità ai climi rigidi e in passato è stata utilizzata nel Nord Europa. Temperamento nevrile ed energico. Attitudini: soma, tiro e produzione mulattiera. I suoi muli sono stati utilizzati con successo dalle truppe alpine negli ultimi conflitti. asino ragusano (foto mimmo rapisarda)
Si chiama Rodolfo. E´ un asino, ma di posta se ne intende, tanto che è finito in un francobollo, emesso lo scorso 22 settembre da Poste Italiane. Un asino portalettere non si è mai visto, ma adesso è invece comparso l´asino in francobollo! Rodolfo proviene da un allevamento specializzato di Ragusa. Chissà cosa ne penserebbe di cotanta popolarità... se potesse parlare. Una qualità che, per il momento, ancora non possiede, al pari di un asino che vola. Rodolfo è un famoso stallone appartenente a questa razza siciliana.
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