Questo è il periodo di borragine, tarassaco, ortica, cicorie, spinacini e lattughino da taglio. È il momento in cui si trova la misticanza, con le sue mille sfumature di sapore. Da mangiare cruda, per accompagnare un semplice pesce al vapore (se siete in vena detox), un pane abbrustolito con un buon olio saporito se volete un piatto contadino, che però può essere stupefacente (qui gioca un ruolo fondamentale la scelta degli ingredienti) ma buono anche per piatti più complessi. Le erbe amare, quelle da mangiare cotte, si usano per torte, minestre rustiche (buone anche tiepide), crostoni. Poi, se avete un po' di tempo da dedicare alla loro pulizia, non mancate la barba di frate, o agretti che dir si voglia. Per preparali ci vuole un po', ma la cottura è velocissima, appena qualche minuto. Un po' di succo di limone o ripassati nel burro, sono uno di quei contorni che fanno subito festa. Con il clima che non è più quello di un tempo (sapete la storia delle mezze stagioni che non ci sono più?) si avvistano già da un po' fave, piselli, e a breve anche taccole e fagiolini. Preparatevi a farne scorta e a inventare ricette. Cosa c'è di più raffinato e semplice degli asparagi al vapore? Buonissimi con un filo di olio di qualità, uniti alle uova sono un abbinamento classico che saprà risolvere un pasto veloce, come una tavola formale: sono due sapori che, insieme, sono semplicemente perfetti. Basta cambiare appena qualche cosa: la presentazione, innanzitutto. E poi il modo in cui preparate le uova. L'ideale è la cottura in camicia o poché, ma vanno bene anche frittellate, strapazzate, sode (sbriciolate il tuorlo in modo decorativo sul piatto), in frittata o in omelette (ovviamente con gli asparagi all'interno) o in una maionese leggera.
Per dare ancora più eleganza alla cena, però, non esitate a preparare un buon risotto, ricordatevi di tenere le punte degli asparagi integre (sono molto decorative) e usate il resto per dare sapore al piatto. Ma le punte di asparago possono essere anche abbinate a gamberi e parmigiano, come nella ricetta che vi mostriamo. Se poi trovate l'asparagina selvatica... beh avete fatto bingo. Riguardo la frutta aprile dà finalmente i primi segnali di rinnovamento. E che rinnovamento. È il mese delle fragole: assolute, con limone e zucchero, crema pasticcera, yogurt, panna montata o gelato. Sono squisite, e anche allegre, per questo perfette anche per decorare le torte. Se avete poco tempo e poco in casa (a volte basta un solo ingrediente) tagliatele a metà e alternatele a strati di ricotta condita e qualche fogliolina di menta in un bel bicchiere: pochi minuti e il vostro dessert è pronto. Ma non è difficile neanche rivestirle di cioccolato per chiudere in grande stile un pranzo più formale. Stavolta però vi suggeriamo una ricetta che più golosa non si può: fondant al cioccolato con lamponi e fragole.
lattuga, radicchio, bietola, asparago, indivia, borragine, sedano, spinacio, rucola, catalogna, cavolo, basilico, bietola, spinaci, cardo, cicoria;
ASPARAGO COMUNE Gli asparagi sono ortaggi primaverili teneri e succulenti, estremamente ricchi di proprietà benefiche. Essi rappresentano una varietà perenne, la cui coltivazione in Europa ebbe inizio oltre mille anni fa. L'Italia, insieme alla Francia ed alla Germania, ne è uno dei maggiori produttori a livello europeo. Scegliere di consumare asparagi significa dare la propria preferenza ad alimenti locali e di stagione, oltre che ricchi di proprietà benefiche utili a proteggere il nostro organismo dalle malattie. Gli asparagi sono uno scrigno di nutrienti benefici, tra i quali possiamo trovare fibre vegetali, acido folico e vitamine, con particolare riferimento alla vitamina A, alla vitamina C ed alla vitamina E. Presentano inoltre un interessante contenuto di sali minerali, tra i quali è bene evidenziare il cromo, un minerale che permette di migliorare la capacità dell'insulina di trasportare il glucosio dal flusso sanguigno verso le cellule del nostro organismo. La varietà più comune degli asparagi è costituita da ortaggi di colore verde scuro o verde chiaro ma, a seconda delle zone d'Italia da noi frequentate, potremo trovare asparagi di colore bianco, rosa e viola. I differenti colori caratterizzano le punte degli asparagi e ne determinano la varietà. E' inoltre bene differenziare tra l'asparago coltivato (Asparagus officinalis) e l'asparago selvatico (Asparagus acutifolius) conosciuto anche come asparagina, la cui presenza può essere individuata in aree di campagna, pascoli e boschi. Marta Albè http://www.greenme.it/mangiare/di-stagione/10132-asparagi-prorprieta-benefici-varieta Dall’asparago comune, per selezione, l’uomo, sin da tempi antichissimi (se ne hanno testimonianze nei geroglifici egiziani), ha ottenuto l’Asparago coltivato. Di esso, attualmente, esistono numerose cultivar nelle quali si riscontra una maggiore produzione di turioni, un aumento delle loro dimensioni e un sapore più esaltato (anche se resta inferiore a quello dell’Asparago pungente e dell’Asparago bianco). Sull`Etna l`Asparago comune, detto Sparaciu `mpiriali, si riscontra quasi esclusivamente in coltivazione negli orti. Secondo alcuni abitanti di Nicolosi e di Randazzo si rinviene anche allo stato spontaneo, probabilmente inselvatichito.
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GLI ASPARAGI Le controindicazioni Mangiane con parsimonia solo se tendi a soffrire di disturbi renali, di cistiti e di calcoli renali, perché contengono acido urico che può incrementare l'infezione già in atto. Come consumarli Quando acquisti gli asparagi, fai attenzione a queste caratteristiche, che ne testimoniano la freschezza: devono essere duri, quindi non piegarsi ma spezzarsi; non devono apparire legnosi (vuol dire che sono vecchi) e di colore spento; verifica soprattutto che quelli che si trovano al centro del mazzo sia ancora integri e non presentino un inizio di marcescenza. Per preservarne il sapore e la consistenza degli asparagi, ma soprattutto per non incidere sul totale delle calorie quotidiane, è importante il metodo di preparazione: Crudi: Il modo migliore per consumare gli asparagi è a crudo, tagliandoli a fettine piccole e unendoli all'insalata. Al vapore: Si tratta di una cottura molto valida dal punto di vista nutrizionale. Per prepararli, procedi in questo modo: taglia la parte finale legnosa del gambo, pioggia gli asparagi su un tagliere per evitare che si rompano, quindi sbuccia il gambo rimasto partendo dal centro verso la fine, in modo da togliere anche la parte più fibrosa. Sciacquati sotto acqua corrente, raccoglili a mazzetti e legali con spago da cucina, quindi mettili in piedi in una pentola alta, in acqua bollente, lasciando che le punte, più tenere, restino fuori dall'acqua e cuociano solo con l'effetto del vapore: di solito sono pronti dopo 10-15 minuti, in base allo spessore. Per condirli: Dato che assorbono molto il condimento, fai attenzione a non eccedere né con l'olio né tanto meno con il burro. Usa solo olio extravergine d'oliva e limone, oppure prepara gli asparagi, in un'insalata insolita, con qualche gamberetto lessato oppure con carne di pollo o straccetti di carne di manzo. http://www.riza.it/dieta-e-salute/cibo/2802/le-virtu-sconosciute-degli-asparagi.html
L’INSALATA ha origini piuttosto incerte: sembra essere originaria dell’Oriente, anche se è accreditata l'ipotesi che essa provenga dalla Siberia. Questa verdura fresca era già conosciuta dagli antichi egizi; i medici greci antichi credevano che l’insalata, ed in particolar modo la lattuga, potesse avere una leggera azione soporifera. Come annoverano Plinio e Columella, l’insalata era già conosciuta e coltivata dai Romani, che, ritenendola piuttosto insipida, preferivano consumarla associandola a foglie aromatizzanti di ruchetta (Eruca sativa). Essi promossero la coltivazione di insalata in tutto l'Occidente, attribuendole svariate virtù terapeutiche. Fino al Rinascimento la produzione di insalata interessò pochissime varietà, che fecero poi registrare un netto incremento a partire dal 1600, in seguito all'avvento di una nuova tecnica che consentì la coltura forzata di questi vegetali. Cristoforo Colombo, durante gli anni della scoperta dei Nuovi Mondi (1492-1495), pare abbia “esportato” la lattuga nelle Americhe, con un successo straordinario della coltura. Il fatto certo, comunque, è che l'insalata sia una verdura antica, soprattutto in Italia, tanto da essere usata in molti dialetti in senso metaforico; spesso inoltre in Italia, per ogni varietà di insalata prodotta, corrisponde nelle diverse regioni un nome «locale». La storia dell'insalata si confonde con quella stessa dell'alimentazione perché non esiste area culturale nel mondo in cui questa tipologia di verdura fresca cruda, più o meno insaporita, non si sia usata in qualche misura. Nel settore ortofrutticolo mondiale vengono prodotte innumerevoli varietà diverse di insalate, tanto che, ad oggi, l’insalata risulta tra gli ortaggi freschi che conta tra il maggior numero di varietà prodotte e commercializzate sul mercato ortofrutticolo internazionale. Numerosissime sono oggi le aziende produttrici di insalata, le aziende certificate per la produzione di insalata, i produttori di insalata, le aziende produttrici di insalata biologica, le aziende che si occupano di commercio di insalata (confezionamento di insalata e prodotti di quarta gamma a base di insalata), i distributori di insalata, gli importatori di insalata, gli esportatori di insalata ed i grossisti di insalata: la scelta varietale così ampia ha così notevolmente incrementato la concorrenza tra i Paesi nel mondo (appartenenti all’Unione Europea e non) per le produzione di insalata ed il commercio di insalata. http://www.zipmec.com/insalate-storia-produzione-commercio-guide-verdura.html
La lattuga (Lactuca sativa) è la verdura più comune presente nell’insalata. Nonostante sia così “famosa” molti ancora non sanno che ha innumerevoli qualità e che mangiarla quotidianamente è un toccasana per la salute. La lattuga è ricca di betacarotene (precursore della vitamina A; presente nelle carote ma in quantità ancora maggiori in alcuni vegetali), pectine, lactucina e moltissime vitamine (A, E, C, B1, B2 e B3). Contiene minerali quali: calcio, magnesio, potassio e sodio. Contiene una buona concentrazione di ferro utile per chi soffre di anemia. E’ riccissima di fibre; insostituibile per chi ha problemi di transito intestinale e stitichezza. La lattuga ha anche proprietà analgesiche e calma i dolori muscolari. Contiene antiossidanti che aiutano a combattere l’invecchiamento cellulare, la circolazione sanguigna e a tenere sotto controllo i livelli di colesterolo. E’ l’ideale per chi soffre di diabete per il fatto che la lattuga aiuta a regolare il livello di zuccheri nel sangue. Oltre ad avere prorprietà digestive è molto utile per chi soffre di flatulenza. (Flatulenza: Come ridurre i gas intestinali) E’ di gran aiuto per chi soffre di ritenzione idrica e calcoli renali. Leggo e riporto una notizia apparsa sul Corriere che attribuisce alla lattuga proprietà afrodisiache tali da poterla paragonare al Viagra: Lattuga, il Viagra naturale degli Egizi Per concludere possiamo aggiungere che è abbastanza economica e che si lega bene con molti piatti leggeri e poco calorici. Per chi segue una dieta dimagrante è un validissimo aiuto per combattere il senso di fame. http://www.megliosapere.info/2009/05/proprieta-e-benefici-della-lattuga/
LATTUGHE CAPPUCCIO
varietà di lattuga di forma rotonda e dalle foglie molto larghe, concave e rugose. Si tratta del tipo di lattuga più utilizzato, consumato e commercializzato sul mercato ortofrutticolo.
LATTUGHE DA TAGLIO O LANGIFOLIA A COSTA LUNGA
si presenta di vario tipo, a foglie lunghe e verdastre o tenere e bianche o raccolte in piccoli cespi ricciuti. La pianta è ricca di foglie tenere, che possono essere tagliate due o tre volte durante il ciclo vegetativo perché si riformano rapidamente. Esse sono consumate sia a crudo nelle insalate, sia cotte brasate o nella preparazione di minestre.
LATTUGHE A FOGLIA ONDULATA
varietà di lattughe la cui caratteristica primaria è quella di avere foglie ondulate, di colore verde intenso tendenti al rossiccio, particolarmente dolci e croccanti.
http://www.zipmec.com/insalate-storia-produzione-commercio-guide-verdura.html
Foglia di quercia - Canasta
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RUCOLA DOMESTICA
La Rucola Domestica o Rughetta Domestica (specie Eruca sativa) è una saporita pianta appartenente al genere Eruca e alla famiglia delle Brassicaceae (o Cruciferae). Questa pianta è comune trovarla nei mercati ortofrutticoli poichè, specie coltivata. È dall'inconfondibile gusto amarognolo e intenso ed è tipicamente consumata nell'insalata. La pianta deve il suo sapore piccante a un glucoside che genera un'essenza solfocianica dalle proprietà toniche ed eccitanti. Cresce anche spontaneamente ai bordi dei campi e nelle macerie fino a 800/1000 metri di altezza sul livello del mare. Si riconosce per il fusto eretto peloso verso il basso, con grandi foglie basali disposte a rosetta. Le foglie di un verde scuro hanno una caratteristica forma che ricorda alcune verdure della stessa famiglia, come le rape (specie Brassica rapa) e il ravanello (specie Raphanus sativus). Il fiore della rucola domestica è dotato di un colore tendente al bianco con striature violacee. Le foglie basali sono grandi pennate con lobi irregolari. Le proprietà delle parti aeree della pianta sono antiscorbutiche, eccitanti, stimolanti, stomatiche, toniche; le radici sono stimolanti. Le radici della rucola unite a quelle della bardana e dell'ortica servono a preparare un'ottima lozione stimolante del cuoio capelluto. Io personalmente utilizzo le radici della rucola e dell'ortica e preparo una lozione per attivare la crescita dei capelli e per prevenire la caduta. http://www.atuttoportale.it/downloads/rubrica_amica_dimenticata/03_Rucola.pdf
Rucola, la piantina dell’amore (e non solo) Ricca di vitamine, di minerali e soprattutto di tanta, tanta acqua. La rucola non manca mai sulle nostre tavole soprattutto d’estate. E, spesso snobbata, si tratta di una pianta dai tantissimi benefici per il corpo umano bunch of fresh organic arugula on rustic table closeup Secondo il più diffuso dei luoghi comuni, si tratta di una pianta in grado di far aumentare il seno femminile. Ma qui si è davanti ad una vera e propria leggenda metropolitana, diffusa soprattutto nel sud Italia. La realtà, invece, è che la rucola ha un elenco lunghissimo di proprietà benefiche per il nostro corpo.
Selvatica ma non solo Il suo nome scientifico è Eruca Sativa Mill, fa parte della famiglia delle Crucifere, viene chiamata anche rughetta e può nascere spontaneamente oppure essere coltivata. La rucola spontanea ha un sapore più deciso rispetto a quella coltivata, con la foglia più dura e scura e con una crescita molto rapida. In poco più di un mese, circa quaranta giorni, è già possibile raccoglierla per aggiungere in gustose insalate la sua leggera piccantezza, derivante dal fatto che si tratta di una pianta che cresce solitamente in terreni aridi. Il periodo migliore per coltivare rucola va da marzo a settembre e già dai tempi antichi veniva usata anche come afrodisiaco o assunta sotto forma di decotto per combattere l’impotenza. In Italia e nella storia Nell’antica Roma, ad esempio, era utilizzata come ingrediente basilare di filtri amorosi e spesso veniva coltivata in terreni che ospitavano statue falliche realizzate per rendere onore a Priapo, dio della virilità. Nel Medioevo, invece, la sua fama che accompagnava ne vietava la coltivazione nei monasteri. E non si trattava solo di credenze infondate. I ricercatori del dipartimento di Scienze farmacologiche dell’Università di Milano e di quello di Scienze farmaceutiche dell’Università di Bologna, infatti, hanno effettuato degli studi per verificare l’efficacia della rucola come eccitante sessuale. Hanno testato alcune piante dotate di componenti capaci di inibire l’attività di un enzima, la Fosfodiesterasi-5, determinante nella perdita dell’erezione, usati anche nei farmaci contro il deficit erettile, dimostrando come la rucola sia una delle specie più efficaci nell’inibizione di questo enzima. Benefici non solo sotto le coperte Ma la rucola, povera di calorie (solo 25 ogni 100 grammi), fonte di vitamina C, ricca di acido folico e indicata per le donne in gravidanza ha numerose altre proprietà. Ad esempio stimola l’appetito, è indicata per chi soffre di influenza grazie al suo apporto di minerali e vitamina C, ha notevoli proprietà diuretiche ed è ideale per disintossicare il fegato. Inoltre, la rucola è una vera e propria amica delle ossa, ha proprietà capaci di stimolare la produzione di succhi gastrici, rilassa e concilia il sonno e rafforza il sistema immunitario, grazie ai suoi minerali. Toccasana per pelle e stomaco Grazie alle alti dosi di vitamina A contenute, la rucola è anche protettiva per la pelle e per lo stomaco, mentre alcuni studi hanno persino dimostrato che si tratta di una pianta utile anche alla guarigione dell’ulcera. Ma solo se consumata fresca: la rucola ingiallita e non proprio appena raccolta, infatti, perde gran parte delle sue proprietà, che invece restano invariate se lavata bene e conservata in frigo. Ideale per le insalate In cucina, può essere usata come insalata o come ingrediente per pesto e sughi, oltre che per la preparazione di tisane. Il suo infuso, inoltre, è utile per guarire da raucedine e laringite, ma si potrebbe mescolare la rucola con la melissa o con la menta per rendere il suo gusto un po’ più piacevole. Anche coi primi piatti freschi, tipicamente estivi, e sulle bruschette al pomodorino, difficile rinunciare alla rucola. Le insidie della rucola Eppure, nonostante si tratti di una pianta con tantissime qualità, non nasconde delle insidie. Certo, come tutti gli elementi naturali, anche la rucola non ha importanti controindicazioni, se non nei soggetti allergici. Ma un accorgimento da prendere c’è ed è quello di non consumarne troppa: a dosi elevate la rucola potrebbero produrre infatti un metabolita con effetti irritanti sull’organismo. Gli esperti nutrizionisti, quindi, consigliano di assumerne, in media, due pugni al giorno.
ortaggi da bulbo: cipolla, aglio, scalogno, porro, cipollotto.
La differenza tra porro e cipollotto
porro e cipollotto Porro e cipollotto sono vegetali molto usati in cucina, che fanno parte famiglia delle cipolle (dal punto di vista botanico sono Liliaceae). Hanno ognuno specifiche caratteristiche che li distinguono sia dai “parenti” (cipolla e scalogno), che tra di loro. Porro e cipollotto hanno differenze morfologiche e organolettiche evidenti, anche se da lontano possono sembrare simili. Il principale elemento di diversità sta nel fatto che la parte commestibile (o meglio “più abitualmente mangiata”, essendo interamente commestibili) è il bulbo nel cipollotto, mentre la parte bassa delle foglie nel porro. I colori e le dimensioni sono simili e la parte apicale delle foglie è in entrambi verde, lineare e appuntita. Il porro è tipico dell’area mediterranea: si hanno notizie della sua coltivazione nell’antico Egitto e presso i Romani, che ne facevano ampio utilizzo. Plinio il Vecchio racconta che l’imperatore Nerone lo mangiasse condito con olio d’oliva per schiarirsi la voce (l’imperatore romano si vantava di essere un grande uomo di spettacolo). Anche il cipollotto è coltivato fin dai primordi della civiltà nell’area mediterranea e nel Vicino Oriente. In particolare il nostro ortaggio ha trovato un terreno d’elezione nella zona vesuviana, tanto che il Cipollotto Nocerino è un prodotto a denominazione di origine protetta. Il sapore dei due ortaggi è pressoché identico, forse lievemente più delicato quello del porro, ma dipende molto dal palato dall’assaggiatore. Differiscono invece in una certa misura per quanto riguarda il loro impiego in cucina. Il cipolotto può essere servito tagliato a metà in senso longitudinale e assurgere così al ruolo di contorno vero e proprio, mentre il porro è generalmente usato sminuzzato per le zuppe e le frittate oppure fritto in striscioline come guarnizione. Di certo le proprietà di porro e cipollotto sono analoghe e di grande utilità per l’organismo. Acqua (sempre preziosissima in un alimento), vitamina A, calcio, magnesio, potassio sono i principi nutritivi più importanti che si trovano in questi due prodotti dell’orto. Il loro ridottissimo apporto calorico li fa essere adatti a qualsiasi tipo di dieta. Altre peculiarità di porro e cipollotto sono le proprietà antisettiche e soprattutto lassative, in particolare quando sono consumati crudi.
http://www.artimondo.it/magazine/porro-e-cipollotto/
ortaggi da frutto: cetriolo, carosello, zucchina, zucca, peperone, melanzana, fagiolino, pomodoro;
Il Piccadilly è un pomodorino di piccole dimensioni che trae origine dall’antico pomodoro “Vesuviano”, coltivato nel sud Italia. I suoi grappoli contengono dai 15 ai 20 frutti di forma ovale e dal peso di 30-50 grammi ciascuno. È un pomodoro ottimo per preparare salse perché durante la cottura la buccia entra in amalgama con la polpa, ma è ottimo anche in insalata per il suo gusto saporito e dolce. Il colore è un bellissimo rosso vivo. Il grappolo può essere conservato appeso in luogo asciutto ed aerato per diverse settimane mantenendo inalterato il gusto e il profumo. Scheda tecnica Edicarpo liscio, di colore rosso molto acceso - Forma sferica a grappoli a forma di lisca di pesce - Calibro Calibro piccolo (20-25 gr) Tenore zuccherino molto elevato - Durezza media - Sapore dolcissimo - Proteine 0.8 - Grassi 0.3 - Carboidrati 3.5 - Calorie 19 Disponibilità Da gennaio a luglio
carciofo, cavolfiore, broccolo;
Le Caratteristiche del Carciofo: II carciofo (Cynara scolymus L.) appartiene
alla famiglia delle Asteraceae (ex Compositae), tribù delle Cynareae. Oltre ad essere un eccellente protettivo epatico il carciofo abbassa il tasso di colesterolo nel sangue, con benevoli effetti sulla circolazione sanguigna e sull'attività cardiaca. Inoltre al carciofo è attribuita una forte capacità antiossidante. L'elevato contenuto di inulina lo rende particolarmente idoneo all'alimentazione dei diabetici. Grazie alla ricca presenza di composti vitaminici, infine contribuisce a ridurre la permeabilità e la fragilità dei vasi capillari. In cosmesi, il succo svolge un'azione bioattivante, vivificante e tonificante per la pelle.
PESCHERIA DI CATANIA
Il limone è una pianta generosa: seguendo il ciclo delle stagioni sa regalare tre differenti fioriture, garantendo freschi raccolti per tutto l’anno. Si tratta di una naturale magia che accompagna un frutto dalle potenti proprietà benefiche. Ecco perché le tre fioriture di limoni rientrano nella selezione di prodotti a marchio Orto Italiano di Citrus: frutta e ortaggi a filiera controllata che aiutano gli studi scientifici finanziati dalla Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito della Nutrigenomica e promuovono l’educazione alimentare.
CLASSIFICAZIONE
Varietà di Limoni
Esistono diverse varietà di limoni, le cui differenze risiedono sopratutto nella loro presentabilità esteriore, mentre identiche rimangono le caratteristiche organolettiche e la loro commerciabilità. L'elencazione è molto lunga e si può pure affermare che quelle di maggior interesse si riferiscono a cultivar nazionali che straniere. Le cultivar di maggiore diffusione in Italia sono:
Femminello comune (con le sue diverse clonazioni (Femminello a Zagara Bianca, Femminello IGP siracusano, Femminello apireno Continella, femminello Dosaco, Femminello SantaTeresa, Femminello Scandurra, Femminello Lunario) è la cultivar più diffusa a livello nazionale, sopratutto in Sicilia e in Calabria, coprendo quasi il 70% della produzione nazionale. Presenta la caratteristica della rifiorescenza, per cui a parte la produzione normale, caratterizzata da limoni con epicarpo rugoso ma dotati di elevata acidità, che copre il periodo ottobre-marzo, il ripetersi della fioritura consente una raccolta più precoce (Sett-ott) con il Primofiore, mentre il periodo Aprile-Maggio viene coperta dai Bianchetti, con l'epicarpo poco rugoso, di scarsa acidità e di colore giallo pallido. I verdelli si raccolgono durante il periodo estivo e si presentano meno acidi, privi di semi e con l'epicarpo liscio.' Interdonato: è diffuso nel versante Ionico messinese, di origini incerte, è di pezzatura medio-grande allungata, ma poco succoso , la sua rilevanza è da accreditare alla precocità della produzione basata sopratutto sul Primofiore. Monachello: poco rilevante poichè di scarsa produttività, anche se rispetto alle altre cultivar resiste di più al malsecco. Sfusato amalfitano (o femminello sfusato): diffuso nella costiera amalfitana , è di grande pezzatura, quasi privo di semi, presenta la scorza piuttosto spessa e rugosa, ricca di oli essenziali, da cui per la prima volta i contadini della zona hanno prodotto e diffuso il famoso Limoncello. Femminello Lunario: è un cultivar dalla scarsa produttività e scarso contenuto di acido citrico e oli essenziali, nonostante la sua caratteristica sia quella della fioritura durante tutto l'anno "il limone delle quattro stagioni". Alla scarsa importanza commerciale, si contrappone, proprio per la sua grande capacità di fioritura e fruttificazione continua, un largo impiego negli orti e giardini o come pianta ornamentale da vaso. Femminello apireno Continella: prende nome dall'agricoltore Saverio Continella di Acireale, che lo ha scoperto; varietà pregiata, poichè quasi priva di semi, è di piccola pezzatura, con la buccia spessa, di buona succosità e con un tasso piuttosto alto di acidità. http://www.valdiverdura.com/limoni-di-sicilia
Tre specialità che si alterneranno sulle tavole per tutto l’anno. Ed è un frutto che può essere pensato anche come condimento per insalate e verdure lessate. Preparando emulsioni di limone, erbe aromatiche e olio extravergine di oliva sarà infatti possibile insaporire i piatti limitando l’uso del sale in cucina. Il limone ha inoltre proprietà depurative, antiossidanti e aiuta a regolarizzare l’intestino. Nella sua scorza è presente il limonene, preziosa molecola responsabile del suo caratteristico profumo e principale componente dell’olio essenziale. Proprio il limonene è al momento oggetto di studio come fattore protettivo della salute e - stando ai primi risultati - pare sia utile nel prevenire la crescita tumorale, probabilmente grazie alla sua attività antinfiammatoria. Come tutti i prodotti della linea L'Orto Italiano, anche il limone, nelle sue tre fioriture, è stato selezionato con l'approvazione della Fondazione Umberto Veronesi. La scelta si basa su dati scientifici in merito ai valori nutrizionali e ai potenziali effetti benefici di questo frutto.
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LA COLTIVAZIONE DEL FICODINDIA
La filiera produttiva del ficodindia è, a livello europeo, esclusiva della Sicilia che detiene il monopolio del mercato italiano ed oltre il 90% del mercato comunitario. La superficie complessiva interessata alla coltivazione specializzata del ficodindia in Sicilia, è di circa 4000 ettari. La zona più importante per superficie e grado di specializzazione degli impianti è l’areale di San Cono (CT) che copre il 60% dell’intera superficie regionale coltivata a ficodindia, seguito da una vasta area caratterizzata dalla “DOP Ficodindia dell’Etna” che comprende numerosi comuni alle pendici del vulcano, dall’areale di Santa Margherita Belice (AG) e da una piccola area in forte espansione nel territorio di Roccapalumba (PA). Il successo della produzione siciliana va ricercato nell’ottima qualità dei frutti, raggiunta grazie alla applicazione di tecniche colturali come la concimazione, l’irrigazione e il diradamento cui questa specie, considerata molto rustica, tradizionalmente non era assoggettata, allo standard di coltivazione a basso impatto ambientale. ESIGENZE AMBIENTALI La produttività quali-quantitativa del ficodindia è fortemente influenzata dai fattori ambientali, quali il clima e il suolo. Il ficodindia è una pianta tipica degli ambienti caldo-aridi essendo capace di resistere ad altissime temperature, anche oltre i 45 °C. Per la realizzazione di nuovi impianti è necessario disporre di informazioni sulle caratteristiche climatiche e pedologiche dell’area interessata, al fine di verificare se rispondono alle esigenze della coltura. Il clima ottimale è quello di alta collina, con inverni non troppo rigidi e con stagioni estive caldo-umide. In coltura intensiva è preferibile impiantare nelle aree con altitudine non superiore ai 600 m s.l.m., in particolare per la produzione di frutti derivati dalla scozzolatura, ed in terreni sciolti con una bassa componente argillosa; la pianta, infatti, teme i ristagni idrici.
SCELTA VARIETALE Il panorama varietale della coltura è limitato sostanzialmente a tre cultivar che differiscono per la colorazione del frutto: gialla (Surfarina), bianca (Muscaredda) e rossa (Sanguigna). La cultivar Surfarina è la più diffusa per la maggiore capacità produttiva e la buona adattabilità a metodi di coltivazione intensiva. In genere vi è comunque la tendenza ad integrare la coltivazione delle tre cultivar, in modo da fornire al mercato un prodotto caratterizzato da varietà cromatica. IMPIANTO Il ficodindia viene propagato esclusivamente per talea. Le talee vengono spesso prelevate dai residui di potatura anche se sarebbe più opportuno prelevarle da apposite piante madri. Si utilizzano semplici cladodi (1-3 anni) o più cladodi articolati tra loro. La messa a dimora delle talee, preceduta da un’operazione di scasso eseguita nel periodo estivo ad una profondità non inferiore a cm 70 e da una concimazione di fondo, viene generalmente eseguita intorno alla metà del mese di maggio. Le talee, prelevate tra aprile e maggio, vengono disposte lungo il filare o accanto alle buche e lasciate al sole per un periodo di 10-20 giorni. E’ preferibile far avvenire la cicatrizzazione delle talee sotto reti ombreggianti. Dopo la cicatrizzazione delle ferite, le talee vengono interrate perfettamente perpendicolari, per assicurare in futuro il migliore equilibrio alla pianta. Si interrano i due terzi del cladodo alla profondità di 35 cm. Possono essere impiantate una, due o tre talee per posta (per ridurre i tempi di formazione della pianta). Il sesto di impianto varia a seconda della forma di allevamento che si vuole ottenere. Dove si alleva la pianta a vaso, il sesto più consono è di 6-7 m tra le file e 4-5 m sulla fila. I filari andrebbero orientati in direzione nord-sud per favorire una buona illuminazione ed un buon arieggiamento anche delle parti interne della chioma nonché una razionale esecuzione delle operazioni colturali.
LE NUOVE FAVE SONO QUASI PRONTE!
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Nel ricco assortimento della frutticoltura etnea il pero rappresenta la specie più importante sia in termini di diffusione che per numerosità delle varietà coltivate nel tempo. La cospicua entità del suo germoplasma nel territorio etneo e, più in generale, siciliano è testimoniata dalle opere del Cupani e del Nicosia che, nel XVIII secolo descrivevano ben 77 varietà e sotto varietà, di cui alcune tutt’oggi presenti. La sua diffusione capillare sul territorio era favorita in passato dall’innesto sul perastro, presente allo stato spontaneo, di varietà locali. Oggi la pericoltura nel massiccio etneo si differenzia nei due versanti occidentale ed orientale per aspetti varietali e colturali: nel primo versante, particolarmente nel territorio di Bronte, la coltura si caratterizza per una maggiore specializzazione, è generalmente irrigua e costituita da nuovi impianti coltivati con forme di allevamento che consentono una elevata densità; anche nei comuni di Biancavilla e Ragalna si trovano impianti specializzati, più frequentemente allevati a vaso ed in asciutto. Le innovazioni varietali hanno visto la progressiva sostituzione delle varietà Coscia e Butirra con altre alloctone (Abate Fetel, Conference, Decana del comizio, cc.). Il versante orientale, in particolar modo nei territori di Trecastagni, Zafferana etnea, Sant’Alfio e Milo, si distingue per una pericoltura più frequentemente in consociazione, spesso con il melo, impianti generalmente di età adulta coltivati in asciutto nella tipica forma a vaso; queste condizioni di coltivazione più tradizionale consentono di riscontrare una più ampia biodiversità con la presenza di diverse accessioni locali. Questa tipologia colturale, basata su piante sparse o su impianti promiscui, è in notevole regressione ed in alcune zone può ritenersi del tutto scomparsa. Ciò determina rischi di erosione genetica delle numerose varietà locali cui la coltura ha fatto tradizionale riferimento. La ricchezza di tale patrimonio è comunque ancora notevole; le indagini confermano che la pericoltura dell’Etna è ancora ricca di numerose accessioni a frutto medio o medio-piccolo tra le quali risulterebbero esclusive, o quasi, Buccadama, Chiuzzu, Falcuneddu, Ialofru, Iazzolo, Iazzuleddu, Moscatello, Rosa, Sanamalati etnese, Savino, Spineddu, Ucciarduni. Esse coprono per intero, quanto ad epoca di maturazione, il periodo compreso tra giugno e ottobre, senza contare le cultivar i cui frutti richiedono il passaggio in fruttaio dove maturano durante il pieno inverno; numerose altre cultivar locali non esclusive del territorio etneo sono presenti. Rappresentato è il gruppo delle cosiddette perine (San Giovanni, Rosa, Facci bedda e Moscatello) i cui piccoli frutti sono conosciuti ed apprezzati sui mercati locali.
LE VARIETA' PIU' DIFFUSE IN QUESTO MESE
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Tarocco Sant’Alfio. È il clone più tardivo; il succo presenta valori del rapporto di maturazione intorno a 8 da fine febbraio, ma i frutti si mantengono bene sulla pianta fino a tutto maggio. La pezzatura è media, la forma è sferoidale; la buccia, sottile e a tessitura compatta, raggiunge livelli di pigmentazione antocianica piuttosto modesti, così come la polpa. L’epoca di maturazione particolarmente tardiva ne consente la presenza sul mercato in un periodo in cui i frutti di altre pigmentate o sono assenti o presentano segni di senescenza più o meno marcati. Esistono diverse altre linee di Tarocco: tra le precoci ricordiamo il Tarocco Tapi, il Tarocco TDV e il Tarocco Gabella, tra le tardive il Tarocco Messina e, per l’intensa pigmentazione dei suoi frutti, il Tarocco Lempso.
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VALENCIA Arancia a polpa bionda coltivata in molte zone della Sicilia. È una cultivar di grande diffusione in tutti i paesi agrumicoli del mondo, vista la sua facilità di adattamento alle varie condizioni ambientali. Ne esistono diversi cloni: Campbell nucellare, Delta, Midknight. In tutte le sue varietà è particolarmente adatta sia per il frutto fresco che per l'industria. Maturazione: molto tardiva, fine aprile, ma viene raccolta anche a fine giugno Calibro: medio Forma: sferoidale Buccia: di colore arancio chiaro di spessore medio fine Polpa: di colore giallo arancio, di tessitura media, molto succoso con zuccheri ed acidita' elevati. Semi in piccole quantità. è un agrume coltivato in molte zone dell'isola. Viene coltivato in gran parte dei paesi agrumicoli del mondo, e come tutte le arance bionde è molto ricca di zuccheri. Ricchissima di vitamina C. Di forma sferoidale, buccia fine è l'arancia tardiva per eccellenza. Matura a fine aprile, ma viene raccolta anche a giugno inoltrato, prima comunque del manifestarsi del suo tipico reinverdimento. Ha una buona percentuale in succo, un sapore discreto, e presenta qualche seme. E' un'arancia che si presta ad essere frigoconservato per tempi abbastanza lunghi.
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MANDARINO TARDIVO DI CIACULLI
Il mandarino tardivo di Ciaculli, detto anche marzuddu, è un frutto che a differenza delle altre varietà di mandarino, matura a Marzo. Ad oggi il mandarino dei Ciaculli è un prodotto inserito fra i presidii Arca del Gusto di Slow Food. Ciò che è importante evidenziare è che stiamo parlando di un albero endemico che non è stato realizzato da innesti o da operazioni di ingegneria genetica. E' siciliano. Un dono della nostra terra. Uno dei tanti sottovalutati. Visto che la sua produzione è limitata a circa 200 ettari facenti capo a piccoli proprietari riuniti in un consorzio. La pianura che circonda la città fino alla metà del secolo scorso era un unico, grande giardino che accoglieva nel verde dei suoi agrumeti i viaggiatori che qui concludevano il Grand Tour (giro d'europa): un luogo mitico, raccontato da poeti e scrittori, che andava da Villabate a Sferracavallo. Ma questo durò fino a quando mafia e grandi imprenditori con le pezze al culo decisero di puntare tutto sul cemento (forse non avevano più dove nascondere i cadaveri!). Pensate che vi fu un tempo in cui la coltivazione del mandarino tardivo copriva i 15 mila ettari di terreni: tutti coltivati intensamente. Tanto che i giardini arrivavano fino a 250 metri sul livello del mare, trattenuti da muretti a secco. Ed oggi? Ad oggi l'80% di quella meraviglia non esiste più. Si continua a costruire nell'imperizia e nel rischio forte di dissesti idrogeologici. Ma poco importa se quando piove Palermo si allaga manco fosse arrivato il diluvio universale. Poco importa se le città sono sporche. Poco importa se i cittadini non rispettano più la legge, perchè la vivono come una stupida imposizione di regole puntualmente rotte dai signorotti di turno. Il cemento appiana qualsiasi dubbio. Proprio come una lapide su un freddo corpo. Solo le borgate di Ciaculli e di Croceverde Giardina sono coltivate quasi totalmente a mandarini. Ed allora valorizziamole. E' lì che è nato il mandarino Ciaculli. Mandarino che possiede un forte aroma; un elevato contenuto zuccherino; pochissimi semi ed ha la buccia molto sottile. Si tratta di una mutazione spontanea del mandarino Avana. Il Consorzio “Il Tardivo di Ciaculli” riunisce 180 piccoli coltivatori che complessivamente sono proprietari di circa 280 ettari, tutti quanti sostanzialmente biologici (il tardivo è resistente e non necessita di trattamenti particolari). Potete visitare il loro sito qui www.tardivodiciaculli.net e potete contattarli al numero +39 – 091 – 6304260. Non buttiamo alle ortiche quello che la Natura ci ha donato. Cominciamo a consumare i nostri prodotti. E perchè no? Magari a risparmiare, se saltiamo la abominevole filiera che carica sulla frutta e verdura costi da nababbi. Viola Dante http://www.siciliafan.it/mandarino-tardivo-ciaculli-dono-prezioso-della-sicilia/
IL MANDORLO Un frutto dalla storia millenaria La pianta di mandorlo, originaria dell'Asia Centrale e proveniente dalla Grecia - era infatti nota ai Romani come "noce greca" -, venne introdotta in Sicilia dai Fenici, salvo poi svilupparsi e attecchire in tutta l'area del Mediterraneo. Molto longeva, è una pianta a medio sviluppo, che cresce fino ad un'altezza variabile tra gli otto e dieci metri, mentre il tronco si attesta intorno ai dieci centimetri di diametro. La fioritura è precoce e avviene solitamente nel periodo compreso tra gennaio e i primi giorni di aprile, variando a seconda delle condizioni climatiche contingenti. Tra le culle naturali che storicamente regalano le mandorle qualitativamente migliori spicca la Val di Noto, tra le province di Siracusa e Ragusa. E come dare torto alla mandorla, che ha deciso di fiorire rigogliosa proprio nella culla del barocco, eleggendo a proprio habitat naturale quel patrimonio dell'umanità Unesco? Un concentrato di bellezza artistica e naturale tutto siciliano fa da cornice ad un prodotto unico, che col tempo è divenuto sinonimo di eccellenza, facendosi conoscere anche a livello internazionale. Giunto sul Mediterraneo e in Sicilia partendo dall'Asia Centrale, attraverso Asia Minore e Grecia, la pianta di mandorlo è storicamente legata alle sorti e alle vicissitudini dell'intera area del Mare Nostrum. Lo testimoniano i tantissimi testi di letteratura antica che citano proprio la nobile pianta: ne parlano infatti Virgilio, sia nelle Bucoliche che nelle Georgiche, Valeriano nei Geroglifici e Plinio il Vecchio nel celebre Naturalis Historia, trattato naturalistico in forma enciclopedica che tra i primi si prefisse di catalogare le specie naturali conosciute. Si parla del mandorlo anche nelle Sacre Scritture. Citato nel Genesi come uno dei migliori prodotti del paese: "Israele loro padre disse: "Se è così, fate pure: mettete nei vostri bagagli i prodotti più scelti del paese e portateli in dono a quell’uomo: un po’ di balsamo, un po’ di miele, resina e laudano, pistacchi e mandorle".
Mandorli in fiore a Centuripe (foto Nino Gemmellaro)
Anche la mitologia greca si è occupata della storica pianta: secondo la leggenda infatti il mandorlo nacque da uno di quegli amori sfortunati narrati con ineguagliata maestria dai Greci. Si narra in tal senso di Fillide e Acamante: dopo una conclusione sfortunata della loro storia d'amore, Fillide fu trasformato in un albero di Mandorlo e la bella Acamante ne divenne le foglie. Dai tempi di Plinio il Vecchio, sono innumerevoli le pagine dedicate al mandorlo in tutti i suoi aspetti nei libri di botanica e più in generale sui testi dedicati alla natura. Di particolare pregnanza gli studi condotti sulla mandorlicoltura da Giuseppe Bianca e da Francesco Monastra. Lo studioso avolese Giuseppe Bianca si impegnò per oltre un ventennio in ricerche svolte nell'ambito del suo territorio d'origine, catalogando circa 800 varietà di mandorlo, tra cui le celebri Pizzuta e Romana (meglio nota come Corrente). All'interno del suo "Manuale della coltivazione del Mandorlo in Sicilia", pubblicato nel 1872, viene redatta una descrizione tout court dell'utilità, degli usi, dei metodi di coltivazione e raccolta e persino dei primi dati commerciali dell'epoca relativi al commercio del frutto. Sei anni più avanti, nel 1878, Bianca riprende i suoi studi sulla mandorlicoltura avolese, pubblicando la "Monografia agraria", più orientata sulla descrizione delle realtà produttive locali dell'epoca, con riferimenti più circostanziati alle condizioni tecniche del suolo, del clima e dell'interazione con le abitudini e gli usi della popolazione del paese. Più recente il contributo apportato dagli studi dal professor Francesco Monastra, Direttore della sezione di Caserta dell'Istituto Sperimentale per la frutticoltura di Roma, che si è occupato degli insorgenti problemi della coltura del mandorlo paventatisi nel secondo dopoguerra. Il suo contributo, concentratosi in particolare sulle zone di Ispica e Pozzallo, va rimarcato per le puntuali direttive date in maniera diretta agli agricoltori, finalizzati all'ammodernamento del settore e alla costruzione ragionata di una nuova mandorlicoltura, moderna nelle tecniche e nella gestione dei terreni. http://namasrl.net/mandorle.php
«Frutto della passione in Sicilia, vi racconto la mia sfida» Sicilia patria degli agrumi e degli ortaggi. Ma cresce sempre più la vocazione esotica dell'isola. Sicilian Passion è l'esempio di come ricerca e innovazione si possano unire in una storia di successo: la produzione del frutto della passione. Il progetto muove i primi passi sette anni fa grazie a un'intuizione di Antonino Moscato e dopo i positivi riscontri negli impianti pilota, oggi l'azienda di Licata (Agrigento) opera su tre ettari con 3.500 piante di passion fruit messe a dimora. "Quest'anno, a partire da luglio, saremo in piena produzione - spiega l'imprenditore siciliano a Italiafruit News - e la raccolta andrà avanti sino a febbraio. Sto lavorando per ampliare la finestra commerciale e l'obiettivo è di riuscire a fornire il frutto della passione siciliano per dodici mesi all'anno". Per la coltivazione sono state realizzate strutture ad hoc e si sono sfruttate le condizioni pedoclimatiche della zona, tra cui la vicinanza al mare, per evitare escursioni termiche pericolose per questa pianta. Sicilian Passion ha un proprio brand con cui commercializza il frutto. "Abbiamo voluto dare un tocco di sicilianità al marchio e richiamare il concetto del tropicale con un banano stilizzato - prosegue Moscato - Stiamo lavorando a una nuova immagine per il packaging dei nostri prodotti, che introdurremo a partire dalla prossima campagna. Con i volumi che crescono l'intento è di riuscire a servire la Grande distribuzione organizzata e il Nord Europa. Con le prime produzioni abbiamo servito soprattutto i mercati all'ingrosso italiani e francesi. La richiesta è positiva, perché il nostro prodotto è portatore di alcuni valori davvero interessanti: partiamo dal gusto, perché noi raccogliamo a maturazione e non stacchiamo il passion fruit prematuramente come succede con il prodotto che arriva via nave e deve sopportare 40 giorni di viaggio. Il nostro frutto della passione esprime 18-19 gradi brix e unisce questa dolcezza a un tipico sapore acidulo nel finale. Poi abbiamo una pezzatura importante con un diametro tra 5 e 6,5 centimetri e anche il contenuto in polpa è elevato. Queste peculiarità, oltre al fatto che parliamo di un prodotto Made in Italy, e questo è un valore aggiunto". Sicilian Passion punta al residuo zero e avvierà la procedura per la certificazione biologica delle sue coltivazioni. "Il tema della sostenibilità ci sta a cuore - rimarca l'imprenditore - E per la nostra selezione extra stiamo ragionando di come eliminare la plastica dal packaging: tra le ipotesi abbiamo una soluzione in polpa di legno e cartone. Abbiamo poi stretto un accordo con un apicoltore della zona perché collochi le arnie nel nostro impianto, questo per sottolineare come la salvaguardia dell'ambiente sia per noi rilevante. Inoltre - conclude Moscato - a fine campagna vedremo se sarà possibile realizzare un miele del frutto della passione".
Cacocciuliddi in vendita alla Pescheria di Catania (foto di Francesco Raciti)
CARCIOFO SELVATICO ( Cynara horrida Aiton)
I catanesi sono molto golosi per questi carciofini selvatici venduti già cotti. Una volta li tenevano in sacchi di juta, oggi nella plastica. Sono piccoli carciofi ottenuti da Cynara cardunculus L., pianta imparentata con il carciofo, molto spinosa (non a caso un sinonimo della specie è Cynara horrida Aiton). Sul fatto che si vendano già bolliti, si ipotizza che questo consenta una più agevole manipolazione del prodotto, essendo molto spinoso. Commestibili le parti tenere del fusto, le costolature fogliari e le foglie più tenere e centrali del cespo. Sono consumati lessati e conditi con olio, limone e aceto, ma utilizzati spesso come componenti principali di frittate o stufati con altre erbe aromatiche. ______________ Ecco un commento tratto da “La ricchezza di la terra” (Nomadart 2016 – Palermo): I cacocciuliddi sunnu cchiù tenniri e belli a vidirisi ri cacocciuli ‘ranni, picchì chisti sunnu i figghiulina chi nnàscinu doppu. Hannu a punta spinusa, i pampini virdi scuru ca pari viola, u civiteddu nicu e virdi-giarnu. A quantu pari, i cacocciuli, foru purtati ri l’antichi greci e hannu stu nnomi picchì accussì e ‘na parola greca chi ci’assimigghia. Questi sono i carciofini. Più delicati e colorati dei normali carciofi, sono dei boccioli che crescono lateralmente allo stelo, hanno l’apice molto spinoso, e le foglie verdi e viola intenso. Il cuore piccolo e verde pallido. I carciofi vennero portati in Sicilia dai Greci circa 3000 anni fa ma in Italia del Nord il carciofo è arrivato nel 1500 dai commercianti arabi (al-hursufa e quindi carciofo), che per primi lo portarono in Spagna ed in Italia.
AGLIO PELOSETTO (Agghiu sarbaggiu)
L’aglio pelosetto è una specie stenomediterranea a gravitazione occidentale presente in tutte le regioni dell’Italia meridionale, in Sardegna e lungo tutte le coste tirreniche. Cresce in pascoli aridi, negli incolti, nelle garighe e in boschi aperti, dal livello del mare a 600 m circa. Si rinviene sporadicamente al margine degli stagni temporanei sardi a contatto con prati aridi e garighe. Le cellule intatte di tutti gli Allium contengono alliina, un amminoacido inodore che per azione dell'enzima alliinasi, liberantesi con la rottura del bulbo, si trasforma in allicina, composto fortemente odoroso; tutte le specie di Allium possiedono diverse proprietà medicinali; bulbi e foglie sono commestibili. Il succo viene utilizzato come repellente per le falene, e nella credenza popolare è detto che funzioni anche contro insetti e talpe. Il nome generico, già in uso presso i Romani, deriva da una radice indoeuropea che significa 'caldo', 'bruciante', per l'odore e sapore pungenti dei bulbi; quello specifico si riferisce alla pelosità delle foglie. Forma biologica: geofita bulbosa. Periodo di fioritura: marzo-maggio. Nome italiano: Agghiu sarvaggiu (Sicilia, Etna), Aglio pelosetto (Italia), Aglio subirsuto (Italia), Aglio viperino (Toscana), Allu de carroga (Sardegna, Cagliari), Moly (Toscana) http://dryades.units.it/stagnisardi/index.php?procedure=taxon_page&id=6896&num=6110
BARLIA o FIOR DI LEGNA (Pizzingurdu) Famiglia: Orchidaceae - Limodorum abortivum (L.) Sw. Basionimo: Orchis abortiva Sinonimo: Serapias abortiva; Epipactis abortiva Etimologia: il nome del genere Limodorum ha origine dalla voce greca leimódoron, che significa “dono del prato”. L’epiteto specifico abortivum deriva dal latino abortus, aborto nel senso di “male sviluppata” per le foglie ridottissime e per i boccioli fiorali che spesso appassiscono prima dell’antesi. Descrizione: pianta alta 30-80 cm; caule eretto e robusto, di colore verdastro-violaceo; foglie cauline ridotte a squame violacee guainanti; brattee lanceolate, più lunghe dell’ovario; infiorescenza a spiga lassa, allungata con fiori piuttosto grandi di colore bionco-violaceo; sepali laterali lanceolato-acuti, opposti, il mediano più largo dei laterali e diretto in avanti, petali più corti e stretti, labello più corto, grande ricurvo a forma di sella, con ipochilo ristretto alla base ed epichilo slargato all’estremità, con margini rialzati ed ondulati, striato di viola; sperone cilindrico, sottile, inclinato verso il basso. Habitat: boschi, cespuglietti, luoghi ombrosi e caldi, da 0 a 1800 m. Periodo fioritura: Aprile – Luglio http://www.meditflora.com/orchidee/limodorum/l_abo/l_abo.htm
COSTOLINA (Cosci i vecchia) Nome scientifico: Hypochoeris radicata (nomi dialettali:costolina, petaciun, costola d’asino, costa d’asino, ingrassaporci, scarnetta, piattello) È una pianta comune in tutta Italia, isole comprese, fino alla collina. Le sue foglie sono carnose, croccanti e di un bel verde, più o meno acceso, coperte da un' impercettibile peluria. A differenza delle altre cicorie non cresce in altezza, ma rimane schiacciata a terra. Da questo aspetto, probabilmente, deriva il nome volgare di piattello. Consigli in cucina.Le foglie basali vengono utilizzate sia crude, in insalata, sia cotte per minestre, zuppe, frittate e torte salate. Le rosette basali si raccolgono da fine marzo a tutto giugno, quando sono ancora tenere, quelle raccolte più tardivamente, a volte fino all’inizio dell’inverno, sono più piccole, un pò più dure e di gusto leggermente più amaro, eliminabile con la cottura. L’uso alimentare crudo di questa pianta nelle insalate di campo (si unisce alle altre cicorie: Crespino, Caccialepre, Tarassaco, Pimpinella, ecc.) è abbastanza diffuso. La rosetta basale costituisce un piatto di verdura particolarmente saporito e piacevolmente amarognolo. Queste caratteristiche organolettiche, sono ancor più evidenti quando la pianta è ancora giovane (autunno-inverno) mentre d’estate le sue foglie diventano ispide, fibrose e insipide, ma si possono ancora utilizzare cotte. Dopo aver mondato le piantine da eventuali foglie appassite, le si possono preparare lesse e condite con olio. Anche la radice è commestibile, ma richiede un po’ più di lavoro per mondarla. Le sue foglie (e le radici) cotte possono essere utilizzate per delle zuppe, insieme con altre erbe selvatiche, come nell’acquacotta, oppure nelle zuppe di verdure o per le frittate, o anche nei tortini rustici. A differenza delle altre cicorie di campo, dopo la cottura riduce di poco il suo volume. Dopo averle lessate le si possono utilizzare anche condite con olio e aceto, oppure ripassate in padella con olio, aglio e un pizzico di peperoncino. Nelle regioni del Sud questa erba si usa anche in piatto unico con i legumi e le patate lessate, ripassate in padella con aglio, peperoncino e qualche pomodorino. Si può aggiungere anche del finocchio selvatico. Il ferro contenuto nella pianta abbassa il Carico Glicemico Complessivo di un piatto altrimenti troppo “zuccherino”.
TARASSACO, DENTE DI LEONE o CARDELLA (Caddedda fimminedda) Pisciacane, piscialletto, soffione, al tarassaco sono stati dati tanti nomi, in gran parte legati alle proprietà diuretiche di questa pianta, ma quello più corretto è dente di leone, color giallo dorato, con i semi che si possono soffiare ai quattro venti. Comunque vi piaccia chiamarlo, il tarassaco è un ottimo rimedio naturale per diversi disturbi e anche un ottimo cibo da portare in tavola. Il tarassaco o dente di leone (Taraxacum officinale) originario dell’Eurasia, è una delle più comuni erbe spontanee in Italia. Presente con numerose sottospecie, tutte molto simili per proprietà e tutte commestibili, è inconfondibile con le sue foglie lanceolate e i suoi grandi fiori gialli, simili a margherite, e soprattutto i grandi “pompon” pieni di semi che i bambini si divertono a soffiare. Il tarassaco cresce spontaneo in Italia ed è di facile coltivazione; benché reperibili in commercio, i semi si possono facilmente recuperare anche da una pianta selvatica. Il tarassaco è molto prolifico e quasi impossibile da eradicare una volta naturalizzato. Si propaga non solo attraverso i semi dotati di piccoli “paracadute” e quindi trasportabili a grande distanza dalla pianta madre, ma anche attraverso la potente radice a fittone: se si decide di estirparlo (meglio se a inizio primavera), occorre fare grande attenzione a estrarre l’intera radice, o la pianta tornerà a germinare anche da un minuscolo frammento. Come raccoglierlo Del tarassaco si possono raccogliere selettivamente le sole foglie tenere, i boccioli o i fiori nonché, per usi officinali, la radice. Volendo raccogliere l’intera pianta (fuori della stagione della fioritura), occorre praticare un taglio orizzontale al colletto, in modo tale che la radice produca una nuova pianta. Proprietà Molte e ben note fin dall’antichità sono le proprietà medicinali del tarassaco (il suo nome deriva dal greco “rimedio,” “guarigione”): come la maggior parte delle composite, ha proprietà digestive, antinfiammatorie e depurative, soprattutto del fegato, ed è tradizionalmente utilizzato come diuretico (in Francia e in alcune regioni italiane è non a caso noto come “piscialetto”). Le foglie sono ricche di vitamine A, gruppo B, C e D, nonché di sali minerali come ferro, potassio e zinco; erano un tradizionale rimedio per lo scorbuto e altre carenze alimentari. Ma è soprattutto la radice a essere usata per scopi depurativi; è anche in grado di abbassare il tasso glicemico nel sangue. Sebbene manchino studi medici approfonditi, non vi sono controindicazioni (se non la specifica allergia alle Asteraceae / Compositae) per l’utilizzo di decotti e infusi tradizionali di tarassaco come coadiuvante nella digestione e nei piccoli disturbi del fegato e dei reni. Il suo consumo alimentare è indicato per tutti, anche per i bambini; tuttavia è consigliabile assumere sotto controllo medico i suoi decotti o infusi in presenza di calcoli renali o epatici (perché potrebbe smuoverli) o di terapie per il diabete (poiché potrebbe abbassare troppo la glicemia). Il suo lattice bianco è un rimedio tradizionale per eczemi e verruche. In cucina Le foglie giovani del tarassaco si possono aggiungere a insalate e panini, utilizzandole come la comune cicoria, mentre tutte le foglie sono adatte alla preparazione di minestre e frittate. Il suo gusto amarognolo può essere temperato mescolandolo con altre erbe spontanee o verdure a foglia dal sapore più delicato (come spinaci, bietole, ortiche o malva). In Liguria tutte le Compositae selvatiche, incluso il tarassaco, sono un ingrediente del preboggion (un misto di erbe selvatiche con il quale si realizzano dei tortelli di verdura noti come pansoti, torte di verdura e altro ancora). I fiori, che si possono aggiungere a insalate e frittate, sono tradizionalmente usati per farne una sorta di vino, e i boccioli sott’aceto vengono consumati come i capperi. Dalle foglie, in Europa settentrionale, si ricavava una sorta di “birra” molto scura, mentre la radice tostata e macinata è un noto surrogato del caffè (il famoso “caffè di cicoria” del tempo di guerra). Dalle radici, con aggiunta di albume d’uovo, si può ottenere una tintura color magenta, e con aggiunta di ferro invece si ottiene un giallo scuro. Le foglie fresche sono utilizzate nell’alimentazione dei conigli.
SENAPE NERA - Brassica nigra (Sinapi)
La senape nera (Brassica nigra) è una pianta erbacea, annuale, della famiglia delle Brassicacee. Diffusa in Europa centrale e meridionale, Nordafrica e nell'Asia occidentale, in Italia si trova diffusa in tutte le regioni, cresce nei campi e nei ruderati. Pianta glabra o quasi, solo sui rami e sui picciuoli si può trovare qualche setola. Le radici corte, gracili e di colore bianco. Pianta con fusto alto dai 50 cm ai 120 cm, solcato angoloso, fistoloso, semplice o ramificato, con rami alterni. Le foglie sono tutte picciuolate, ruvide, le inferiori, grandi e pennatosette, con lacinee ovato oblunghe, col segmento centrale vistosamente più grande dei 2-4 laterali, tutti irregolarmente dentati, le superiori lanceolato allungate, intere, ma a margine superficialmente ed irregolarmente dentellato, comunque con intaccature sempre meno profonde. Fiori terameri, regolari e piccoli, inizialmente l'infiorescenza è corimbiforme che con l'allungarsi dell'asse si trasforma in un racemo che compone una pannocchia ampia e rada. Il peduncolo è lungo 2-3 mm i sepali liberi sono verde chiaro e patenti, la corolla gialla, larga meno di 1 cm è formata da 4 petali interi disposti a croce alterni coi sepali. L'androceo ha 6 stami, dei quali i due laterali più brevi, tutti hanno filamenti liberi e sottili con antere oblunghe e biloculari. Gineceo con ovario oblungo e biloculare, formato da due carpelli saldati sui margini, colla cavità divisa da un segmento membranaceo e sormontato da un breve stilo con stimma capitato, bilobo. La siliqua più o meno addossata al rachide è lunga 2 cm circa, terminata in un rostro lungo 2-3 mm è molto stretta a sezione quasi quadrangolare, per la presenza sul dorso delle valve di un nervo mediano grosso e sporgente contenent numerosi semi. Ha i semi in una sola serie per loggia. I semi sono piccoli più lunghi che larghi, di diametro di 1 - 1,5 mm. Hanno colorazione bruno-rossatra, più o meno scuro, le tonalità del colore può variare anche sulla stessa pianta. Esternamente hanno un rticolo formato da creste sottilissime che difficilmente si riesce a distinguere ad occhio nudo. Dai suoi semi si ricava la senape nera, salsa di condimento dal sapore aspro e piccante. Fonte: Wikipedia
Boschi dell’ambiente collinare
Alberi da frutta
RICOTTA SICILIANA. Dal latte al cannolo: i segreti di una grande ricotta di Daniele Miccione
Ci sono alimenti che mangiamo tutti i giorni ma di cui non sappiamo nulla o quasi. Un po’ come andare a cena con un perfetto sconosciuto… Prendiamo la ricotta. Le domande sono tante: come si produce, da quale tipo di latte, come si fa a distinguere tra artigianale e industriale? In Sicilia, tra produttori e cuochi, abbiamo fatto il punto. Partiamo dal nome che descrive perfettamente la lavorazione: la ricotta non è un formaggio ottenuto dalla coagulazione della caseina ma un latticino prodotto grazie alla “ricottura” del siero di latte. La parte liquida del latte, che si separa durante la preparazione del formaggio, viene cotta di nuovo ad alta temperatura (80-90°). Avviene così un processo di coagulazione delle proteine e la massa che si ottiene è la ricotta, che poi viene messa a scolare in contenitori di plastica forata dalla forma di un cono troncato. Più di altre regioni è la Sicilia ad aver fatto della ricotta un’arte. È la base di capolavori della pasticceria regionale – come il cannolo e la cassata – che ormai sono classici in tutto il mondo. Ma si usa quella di pecora o di mucca? “Ah non c’è dubbio pecora! – dice Corrado Assenza, grande pasticciere del Caffè Sicilia – Noi a Noto siamo pecorai”.
Sebastiano Formica, dell’Osteria U’Locale di Buccheri, sui Monti Iblei, non è un pasticciere ma ha in carta da ottobre a Pasqua un super cannolo: “Si è sempre detto formaggio di mucca, ricotta di pecora e latte di capra. Anch’io per il cannolo preferisco quella di pecora che ha un sapore più ricco e complesso grazie all’alimentazione degli ovini. La pecora pascola e mangia le erbe, la mucca sta nella stalla. Ma se il produttore è bravo non ci sono problemi qualunque tipo di latte usi. Io ne conosco uno che parte dal siero di mucca ma ci aggiunge un po’ di latte di pecora: il risultato è eccellente. La ricotta di capra invece è piuttosto rara, molto magra e con un sapore delicato. L’importante è che la lavorazione sia corretta altrimenti la ricotta emana quell’odore di stalla che rovina il prodotto”. Ecco la ricetta del ripieno del cannolo, semplicissima, basata tutta sulla qualità della materia prima: “La ricotta deve asciugare per almeno un paio di giorni altrimenti non tiene. Uso 150-200 grammi di zucchero per chilo. Mescolo ed è pronta, nient’altro. La uso fino a Pasqua, dopo cambia l’alimentazione degli animali e assume un sapore troppo forte”. Il fratello Giuseppe, appassionato di storia e tradizioni locali, ricorda: “Da bambini andavamo dal pecoraio con zuppiera, cucchiaio e pane raffermo. A contatto con siero e ricotta calda il pane si ammorbidiva. Il pecoraio la conservava nelle cavagne, fatte con le canne. La parte scoperta veniva avvolta invece nelle foglie di cipuddazza selvatica”. Una caratteristica del ragusano – unica in Sicilia – è la preferenza assoluta per formaggi e ricotte di mucca. “È la tradizione del territorio dove si è sviluppato soprattutto la filiera bovina”, spiega Mario Di Benedetto, 48 anni, titolare di Donna Marina, allevamento di mucche da latte nel ragusano, a due passi dal paese di Monterosso Almo. Lotta – come tutti i produttori – con il centesimo in più o in meno che spunta il prezzo del latte. E in questo momento il segno punta verso il meno… Così per uscire da una strettoia che sta strangolando tutto il settore ha messo in piedi un piccolo laboratorio dove fa formaggi tipici e ricotta, con l’idea di dare un po’ di valore a un latte di alta qualità. “Di ricotta ne facciamo poca, 13-14 chili al giorno, che vendiamo soprattutto ai bar e alle pasticcerie. Sembra pazzesco ma anche qui che è pieno di piccoli produttori non c’è una vera filiera e la maggior parte degli esercizi finiscono per approvvigionarsi dalle industrie che sono anche più economiche, da 2,70 e 4 euro al chilo. Noi siamo più cari, 5 euro al chilo, ma pian piano stiamo convincendo i pasticcieri che diamo più qualità, che vale la pena spendere qualcosa in più. L’idea è di crearsi una nicchia di mercato”. Di Benedetto racconta il processo mentre estrae la ricotta e la mette ancora bollente in piccoli contenitori di plastica. “La lavorazione è semplice – spiega – partiamo da latte crudo, non pastorizzato. Quando raggiunge i 36° aggiungiamo caglio animale, noi usiamo quello di capretto, e in un’ora avviene la coagulazione. A quel punto prepariamo le tume aromatizzate con pepe, rucola, olive oppure il classico canestrato. Al siero di latte rimasto aggiungiamo un 10% di latte fresco ed è questo che ci differenzia dalle industrie che invece tendono a contenere i costi. Facciamo di nuovo cuocere tutto e a 82° avviene la precipitazione delle albumine. La ricotta, grazie al latte fresco, ha un sapore molto più vivo e gradevole”. E questo possiamo garantirlo. Ma al di là della lavorazione il problema è alla base: il latte. Di Benedetto non fa grandi proclami etici ma è convinto di una cosa banale: se la mucca sta bene produce un latte migliore. Il problema è che anche la banalità ha un costo. Per Di Benedetto però non è detto che far stare meglio la mucca voglia dire per forza perdere dei soldi. “Con le aziende della pianura padana ci separano almeno 30 anni di progresso. Loro vanno alla velocità della luce”, spiega mentre ci fa visitare la stalla dove le mucche – tutte frisone – vengono allevate in stabulazione libera. “Mangiano, possono uscire fuori all’aperto e per un’ora al giorno pascolano. Non serve a produrre più latte ma sono convinto che serva a farle stare meglio. Negli allevamenti invece che usano la stabulazione fissa gli animali sono bloccati nello stesso posto tutto il giorno, tranne il momento della mungitura. La media delle mie mucche è 20 litri di latte, nella pianura Padana si arriva a 30 ma certe aziende si spingono anche a 40. Questo sistema è redditizio se il prezzo del latte è alto, ma in questo momento che è basso, se calcoli che una mucca stressata vive meno e fa meno vitelli, alla fine siamo lì. Io sono convinto che questo lavoro va fatto secondo il principio della sostenibilità non del picco massimo. Non mi interessa avere una Ferrari che va a 300 all’ora ma consuma tanto, datemi una più tranquilla Punto e con il tempo necessario girerò il mondo…”. http://gazzagolosa.gazzetta.it/2016/02/26/ricotta/
DIFFERENZA TRA RICOTTA DI PECORA E DI MUCCA
La sostanziale differenza tra ricotta di pecora e di mucca. Le differenze risiedono nel tipo di latte usato che si ripercuotono nel sapore e nelle quantità di parte grassa e di calorie. La differenza tra la ricotta di pecora e di mucca sta proprio nelle calorie in esse contenute, infatti non sempre la ricotta è considerata magra come si può pensare, ma dipende piuttosto dal latte e dal tipo di ulteriori ingredienti in essa contenuta. Ogni 100 grammi, per la ricotta di mucca vi sono 147 kcal, nella ricotta di pecora abbiamo 157 kcal. Non una differenza enorme. Comunque per rendersi meglio conto di quanto sia "leggera" una ricotta basta paragonarla ad una mozzarella. La ricotta di mucca è più magra rispetto alla sua mozzarella, ogni 100 grammi di prodotto abbiamo 146 kcal rispetto a 290 kcal della mozzarella. La differenza tra le due ricotte sta anche nel tipo di produzione: se venduta nel banco frigo e prodotta da caseifici tradizionali oppure se prodotta in industria e quindi probabilmente ricca di panna e latte intero. Proprio per questo ultimo motivo sarà considerata più grassa. Su 100 grammi di ricotta di mucca 10,90 g sono grassi mentre in quella di pecora 11,50 g. Per la ricotta di pecora è utile controllare spesso l'etichetta in quanto varia di molto a seconda del produttore e di ciò che viene utilizzato nella sua produzione. La differenza tra ricotta di pecora e di mucca sta anche nel gusto, infatti la ricotta di pecora risulta più grassa e quindi anche molto più gustosa, mentre la ricotta di mucca è meno calorica e il suo sapore alquanto leggero e poco deciso. La differenza del sapore tra le due ricotte risiede proprio nel tipo di latte usato: il latte di pecora ha infatti un sapore ed un odore notoriamente più forti. Una ricotta di mucca appena prodotta ha comunque il suo perchè. Grazie al suo gusto unico e delicato è in grado di differenziarsi da qualsiasi altro prodotto derivato dal latte. La ricotta non è un vero e proprio formaggio, in quanto ottenuto dal siero del latte subito dopo la coagulazione della caseina durante tutto il suo processo di lavorazione, è quindi considerata un latticino. La ricotta viene consigliata nelle diete per la sua bassa percentuale di kcal, adatta sia per essere consumata dai bambini che dagli adulti, ma soprattutto dagli anziani per la sua alta percentuale di calcio senza dimenticare le molteplici vitamine e proteine essenziali per il corretto fabbisogno giornaliero. http://www.supercuoca.it/antipasti/differenza-tra-ricotta-di-pecora-e-di-mucca-118.html
LA SAGRA DI VIZZINI
La “Festa dei Sapori e dei Saperi nelle terre del Verga” è un evento ricco di folklore, gastronomia e spettacoli, ma i protagonisti assoluti saranno, come sempre, ricotta e formaggi. La ricotta fresca è il prodotto tipico per eccellenza della città di Vizzini. La tradizione contadina locale ha sviluppato nel corso degli anni una forte specializzazione nel settore dell’allevamento degli animali da latte e della produzione di formaggi di varia natura, da quelli freschi e consumabili pochi giorni dopo la produzione, a quelli che richiedono una breve, media o lunga stagionatura. In breve tempo la ricotta si è affermata come prodotto non solo locale, conquistando il palato di numerosi estimatori e trasformando Vizzini nella patria della ricotta e dei formaggi per eccellenza. Oggi la ricotta di Vizzini è conosciuta in tutta la Sicilia, e trova apprezzamento anche oltre i confini dell’Isola. Lo straordinario successo di questi prodotti ha offerto lo spunto per la creazione di una sagra ad essi dedicata, che è diventata uno degli appuntamenti gastronomici più antichi ed importanti della Sicilia. La Sagra, ogni anno, attira nel paese di Verga decine di migliaia di visitatori, e il suo straordinario successo ha spinto gli organizzatori a portare a tre le giornate dedicate ai prodotti tipici locali derivati dal latte. La sagra si offre anche come appuntamento folkloristico, culturale e gastronomico di ampio respiro, proponendo non solo la degustazione e la vendita di ricotta preparata sul luogo e di formaggi a breve, media e lunga stagionatura, ma anche eventi in grado di far scoprire le mille facce della storia e della cultura locale vizzinese, insieme ai suoi tesori architettonici. In mattinata l’inizio della mescita in Piazza Marconi e l’apertura degli stand dedicati ai prodotti caseari. A seguire, per tutta la giornata, sfilate lungo le vie cittadine: carretti siciliani, musici e sbandieratori e gruppi folkloristici. Gli appuntamenti teatrali saranno doverosamente legati a Giovanni Verga, con le rappresentazioni. Ricco anche il cartellone degli appuntamenti culturali, chiese e musei cittadini saranno apertie visitabili, con orario continuato, per tutta la giornata. Il Percorso Verghiano, basato principalmente sui luoghi descritti nelle novelle del Verga, farà assaporare le atmosfere del verismo con una passeggiata tra chiese e palazzi divenuti famosi. Info e programma: https://www.facebook.com/Vizzini-Sagra-della-Ricotta-Cultura-Eventi- www.comune.vizzini.ct-egov.it
(forme di ricotta al forno a Vizzini)
Rossa Siciliana Mezzalina e Montanina Convergono in questa razza popolazioni bovine Siciliane un tempo note come varietà della razza Modicana dette rispettivamente Luogo di origine e diffusione: catena montuosa dei Peloritani, Nebrodi e Madonie (Sicilia), particolarmente difficile sia dal punto di vista pedo-climatico che alimentare. La popolazione “Bovina Siciliana” è iscritta al Registro Anagrafico delle Popolazioni Bovine Autoctone e Gruppi Etnici a limitata diffusione. Altezza al garrese: da 125 a 130 cm, comunque i rilievi biometrici eseguiti ed i relativi indici calcolati (Liotta et al., 2000) hanno messo in evidenza una certa prevalenza dei diametri longitudinali rispetto quelli trasversali, come confermato dall'elevato valore dell'indice corporale tronco-torace (80,84). Questo e il valore dell’indice altezza toracica (52,45), a conferma della grande agilità dell’animale. Disegno e colori del mantello: Il colore del mantello va dal fomentino al rosso scuro con accentuazioni verso il vinoso e il nero. Corna: presenti, di forma a lira raccorciata nella femmina, più corte e tozze nel maschio. Musello: ardesia o rosso molto scuro. Attitudine prevalente: la "Bovina Rossa Siciliana" è tra i tipi a costituzione tendenzialmente longilinea, quindi da inquadrare per l’attitudine alla produzione di latte. Questa bovina presenta una mammella a base poco ampia, mediamente alta posteriormente, di forma tendente al globoso, con capezzoli non eccessivamente grossi e lunghi. http://www.agraria.org/razzebovineminori/rossasiciliana.htm
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