Manca ancora un po' per dirsi completamente fuori dalla stagione più fredda. Ma già, qua e là, si respira l'aria di primavera. Nei rami fioriti e nei petali che coprono i marciapiedi, per esempio, nei primi raggi di sole. E, ovviamente, nelle primizie
Stanchi di questa dieta del cavolo? Ancora un po' di pazienza e ci siamo: tutta la sterminata famiglia delle crucifere tra un po' andrà a riposo. Con buona pace degli appassionati del genere, ancora poche settimane, dunque, e nelle regioni più calde inizieranno a fare capolino le prime fresche verdure primaverili. Cicoriette da taglio, spinacini, borragine, raperonzoli, tarassaco, finocchietto, lattughino, rosolaccio, cicerbita e tante altre che non di rado hanno denominazioni strettamente locali. Sono ricchissime di sapori e una ricchezza incredibile di gusto, con accenti amarognoli e sfumature di sapori. Usateli per frittate, zuppe rustiche, torte salate, frittelle o crocchette, oppure semplicemente come contorno, cotte e ripassate in padella per aggiungere nerbo. Se poi ne avete in abbondanza e cercate una conserva originale per impiegare tutte le verdure provate qui: la marmellata di ortiche. Perfetta per formaggi e arrosti elaborati. Quando le giornate si scalderanno un po' non sarà difficile trovare nei campi asparagi selvatici, e non solo quelli. E se ancora non sono al massimo potete provare a usarli in una crema invece che interi. In primavera si trovano anche alcuni funghi, come prugnoli e spugnole, che spuntano dove fa più caldo verso fine marzo per arrivare a luglio nelle zone fredde di montagna. Chiudiamo questa rassegna di ortaggi con le primizie: fave e piselli, cipollotti e agretti che fanno la loro comparsa sul finire del mese... ma di quelli vi parleremo poi. Frutta Meno novità sul fronte frutta dove si continua ancora con gli agrumi, che perdono un po' di succo e sapore prima di scomparire del tutto dalle nostre tavole, ci sono comunque arance, cedri, limoni, clementini, pompelmi, e poi kiwi, mele, pere, ma si avvistano anche le prime fragole in chiusura del mese. Stavolta vi suggeriamo una ricetta molto semplice, adatta anche alle temperature ancora rigide di questo periodo: le frittelle di mele. Facili, si prestano a molte varianti, per esempio provate la stessa ricetta con le pere o anche con l'ananas. Una volta pronta, poi, si può aggiungere allo zucchero n po' di cannella e zenzero in polvere, o anche accompagnare con uno sciroppo a base di succo di arancia o una crema inglese. Pesce
lattuga, radicchio, bietola, asparago, indivia, borragine, sedano, spinacio, rucola, catalogna, cavolo, basilico, bietola, spinaci, cardo, cicoria;
INDIVIA RICCIA E INDIVIA SCAROLA
L’indivia riccia e l’indivia scarola sono due ortaggi a cespo, con fusto corto, che racchiudono, all’interno di una rosetta di foglie, un “cuore”, che può essere più o meno compatto. Per favorire l’imbianchimento di questa parte del cespo, detta anche grumolo, a volte i cespi vengono legati circa due settimane prima della raccolta. Il periodo di semina più diffuso per entrambe è luglio-agosto, per poi effettuare la raccolta dall’autunno alla fine dell’inverno, a seconda del clima.
La scarola e la riccia sono quindi due ortaggi autunno-invernali, eccellenti per ottemperare alle necessità vitaminiche e saline nel periodo in cui la maggior parte delle verdure non è più disponibile. La riccia si caratterizza per le foglie frastagliate, dall’inconfondibile lembo arricciato, dal sapore gradevolmente amarognolo e dalla consistenza piacevolmente croccante. La scarola invece ha le foglie larghe dalla forma ondulata e i margini interi ripiegati verso il centro, è di consistenza croccante, e può essere considerata la più importante delle indivie, sia per qualità che per diffusione. Entrambe sono molto apprezzate, fin dall’antichità, per le loro proprietà toniche, depurative e diuretiche. In Italia hanno trovato terreni adatti alle loro necessità di crescita. Le indivie vengono commercializzate sia per il mercato fresco, consumate in insalata o come verdura cotta, oppure destinate alla produzione di insalate di IV Gamma. PROPRIETÀ BENEFICHE E’ anche doveroso sottolineare che il loro contenuto di fibra alimentare – associato alle vitamine ed al potassio – si rende utile nell’alimentazione di chi soffre di malattie metaboliche e/o presenta un rischio cardiovascolare e maggiore rispetto alla norma. http://www.lortodieleonora.com/it/prodotti/indivia-riccia-e-indivia-scarola/
LATTUGA ROMANA
Coste carnose con cespo oblungo. Il colore si intensifica con l’avanzare dello sviluppo della foglia. Le foglie esterne maggiormente sviluppate hanno un contenuto di clorofilla più elevato rispetto al cuore. Il nome non ha un diretto collegamento con la zona di coltivazione, tuttavia gli antichi romani solevano sfruttarla abbondantemente come pianta medicinale. A oggi la caratteristica della lattuga romana sta nel contenuto misurabile di Cromo, utile elemento per il controllo di glicemia e trigliceridi nel sangue. Le cultivar che fanno capo alla lattuga romana sono diverse, in base al periodo di raccolta, e vengono classificate come Bionda d’inverno, Bionda d’estate e Verde degli ortolani. In alcuni casi si possono trovare foglie a striatura rossa.
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basilico, maggiorana, prezzemolo, santoreggia comune, cerfoglio.
CORIANDOLO Il coriandolo è una pianta conosciuta fin dai tempi antichissimi ed ha una storia del tutto particolare: trovò impiego nelle civiltà mediterranee come pianta aromatica e medicinale; in alcune tombe egizie viene raffigurato come offerta rituale. Il suo utilizzo da parte dei Micenei è attestato nelle tavolette in lineare B, dove appare definito già come “ko-ri-a-ndo-no”. I Romani lo usarono moltissimo ed Apicio ne fa la base di un condimento chiamato appunto “Coriandratum”. Secondo Plinio il Vecchio mettendo alcuni semi di coriandolo sotto il cuscino al levar del sole si poteva far sparire il mal di testa e prevenire la febbre. Dai semi rivestiti di zucchero prendono nome i coriandoli di Carnevale, in un secondo momento pallottoline di gesso, ora dischetti di carta multicolori. I fiori sono bianchi, riuniti in infiorescenze ad ombrello. I frutti sono diacheni aromatici. Anche se in misura diversa a seconda della specie, la pianta di coriandolo non sopporta il freddo, per cui è opportuno orientare la scelta verso le varietà più o meno rustiche a secondo della propria zona climatica. In genere, le specie a seme più piccolo sopportano meglio il freddo. L’habitat ideale è quello caratterizzato da un clima temperato fresco – caldo, in cui le minime sono prossime allo zero, e da una posizione soleggiata, se l’obiettivo è quello di realizzare un buon raccolto di semi. E’ una pianta rustica, non particolarmente esigente, che si adatta alle varie tipologie di terreno, purchè leggero, fertile e ben drenato. Per le piante coltivate in piena terra o in vaso collocato all’esterno, le annaffiature devono integrare le piogge, per cui la frequenza non può che dipendere dalla zona climatica e dalla stagione: in genere, durante la stagione invernale risulta sufficiente l’acqua delle piogge, tranne casi di prolungati periodi di siccità; durante l’estate potrebbe essere necessario innaffiare almeno 1-2 volte alla settimana; durante le stagioni intermedie, autunno e primavera, dovrebbe risultare sufficiente annaffiare 1-2 volte al mese. La semina si effettua in primavera nelle zone a clima mite, in autunno nelle regioni più fredde. Il terreno deve essere fertile e sciolto. Le foglie tenere possono venire raccolte, a seconda delle necessità, a partire da un mese dopo la semina e si consumano crude in insalata o si aggiungono alle minestre. I semi, come in tutte le ombrellifere, vanno raccolti recidendo le ombrelle prima che completino la maturazione ed esponendole al sole sopra un telo. Controindicata per chi soffre di gastrite e ha problemi di reni, alla pianta di coriandolo vengono riconosciute proprietà terapeutiche, quali digestive e antispasmodiche. Viene impiegata per problemi di emicrania e di aerofagia. Possiede proprietà fungicida e antibatteriche. http://www.paccozero.it/2016/01/28/ilcoriandolo/
ortaggi da frutto: cetriolo, carosello, zucchina, zucca, peperone, melanzana, fagiolino, pomodoro;
LE PROPRIETÁ BENEFICHE DEL POMODORO Originario dell’America del Sud, il pomodoro è un ortaggio conosciuto e utilizzato in tantissimi paesi e particolarmente apprezzato per le sue proprietà salutari. In Cile e in Ecuador in particolare, il pomodoro esiste come pianta selvatica e grazie al clima tropicale, fornisce frutti durante tutto l’anno, mentre nelle regioni europee, se coltivato all'aperto, ha un ciclo stagionale limitato al periodo estivo. A far conoscere questa pianta anche in Europa, furono gli Spagnoli nel XVI secolo. Già in età precolombiana la sua coltivazione era conosciuta, tuttavia le piante venivano utilizzate solo come ornamento. Ciò perché il pomodoro veniva considerato una pianta velenosa a causa del suo alto contenuto di solanina, sostanza considerata in quei tempi dannosa per l’uomo e quindi non utilizzata nell’alimentazione. Non è chiaro in quale luogo ed in quale periodo il pomodoro da pianta ornamentale e velenosa, circondata da leggende popolari, sia diventata pianta commestibile, ma si ritiene che ciò sia avvenuto nel continente europeo intorno all’anno 1500. Caratteristiche della pianta La pianta appartiene alla famiglia delle Solanacee (Solanum Lycopersicum). Alcuni studiosi fanno derivare il suo nome dal latino pomum aureus (mela o pomo d’oro) mentre altri lo ricollegano all’etimologia della versione azteca Xitotomate o Nahuatl Tomatl (origine messicana). Il fusto della pianta, alta al massimo due metri, non è abbastanza resistente per sostenere i pomodori e quindi ha bisogno di appositi sostegni; quando viene piantata infatti, è “aiutata” da canne di bambù piantate in terra attorno alle quali si intrecciano le foglie e i piccoli rami. I fiori si presentano a grappoli distribuiti lungo il fusto e le sue ramificazioni. Il terreno ideale per la coltura del pomodoro, deve essere ben drenato e fresco con una temperatura di germinazione di 12–13 gradi e di 22–25 gradi per svilupparsi e produrre frutti. Il pomodoro non sopporta la siccità, ha bisogno di molta acqua che nei periodi di carenze idriche deve essere fornita artificialmente. I frutti del pomodoro sono chiamati anch’essi pomodori, sono delle bacche verdi o rosse che hanno dimensioni diverse a seconda della varietà; il sapore della sua polpa è piuttosto acido e varia a seconda delle varietà. Le specie più diffuse sono: per i pomodori costoluti: Marmande, Pantano, Samar, San Pietro e Costoluto Fiorentino; per i tondi lisci: Montecarlo, Money Maker, Sunrise e Ace; per i pomodori allungati: San Marzano, Napoli VF, Maremma e Romarzano. Il pomodoro viene prodotto e diffuso in tutto il mondo (oltre cinquanta milioni di tonnellate con i maggiori produttori tra Stati Uniti, Russia, Italia, Cina e Turchia).
Proprietà Il pomodoro si “sposa” benissimo con le esigenze del consumatore moderno, essendo un alimento povero di calorie, con un buon contenuto in minerali e oligoelementi, ricco di acqua e dotato di tutte le vitamine idrosolubili. leggero, rimineralizzante, dissetante, con un alto potere nutrizionale, molto saporito. Il suo principale ingrediente è l’acqua (94%). Le proteine non superano l’1% e i grassi corrispondono allo 0,2%. Un altro 2,8% è costituito dai carboidrati, rappresentati da fruttosio e glucosio. Il rapporto tra elevato contenuto di acqua e basso tenore di zuccheri fa sì che il pomodoro apporti poca energia, ma di utilizzo immediato. La sua prima importante caratteristica è che il consumo costante di pomodori, facilita la digestione dei cibi che contengono fecole e amidi quali pasta, riso, patate, e aiuta a eliminare l’eccesso di proteine provocato da un’alimentazione eccessivamente ricca di carni. Ma non solo: in molti casi il pomodoro risolve problemi relativi ad una digestione lenta o ad una scarsa acidità gastrica, grazie al ricco contenuto di acido malico, arabico e lattico. Da non sottovalutare anche la sua azione disintossicante, dovuta alla presenza di zolfo. Nella componente acquosa del pomodoro sono disciolti molti sali minerali e oligoelementi, primo tra tutti il potassio (297 mg/100 g), che aiuta l’organismo a “ritrovare” l’equilibrio idrico e quindi combatte la ritenzione dei liquidi, la stanchezza, i crampi, la debolezza muscolare e l’ipertensione; segue subito dopo il fosforo (26 mg), che risulta fondamentale, insieme ai grassi, le proteine e il calcio, per la salute delle ossa e dei denti. Il calcio (11 mg/100 g) riequilibra il sistema nervoso, evita i crampi alle gambe, l’irritabilità e il di mal di testa. Tra gli oligoelementi, è presente il ferro (0,3 mg/100 g), importante per combattere l’anemia, lo zinco (0,11 mg) e il selenio (2,3 mcg) che favoriscono la riparazione delle cellule e quindi combattono l’invecchiamento della pelle. L’importanza del pomodoro per la buona salute, è legata anche alla presenza di fibre (2%), concentrate nella buccia e nei semi. Il caratteristico sapore del pomodoro è dovuto agli acidi citrico e malico, presenti nella sua polpa, in grado di stimolare l’appetito e rigenerare i tessuti. Questo ortaggio, inoltre, è anche ricco di vitamine in particolare la vitamina C, presente nella misura di 25 mg; basta un pomodoro per coprire il 40% degli 80 mg che un adulto dovrebbe assumere ogni giorno di questa vitamina, utilissima per la produzione dell’emoglobina e dei globuli rossi nel midollo osseo. In esso è presente anche vitamina A sotto forma di betacarotene (610 mcg ogni 100 g), che gli conferisce il caratteristico colore: un “solo” pomodoro di 100 gr. “copre” il 15% della quantità di betacarotene da assumere ogni giorno. Le vitamine del gruppo B invece, presenti anch’esse, favoriscono il ricambio e l’ossigenazione delle cellule. Infine il pomodoro è considerato ottimo per combattere il caldo e prevenire numerose patologie e disfunzioni, ma anche reumatismi e intossicazioni, è molto indicato nei casi di gotta e problemi legati all’ipertensione. Inoltre svolge anche un’azione disintossicante e rigeneratrice di cellule dei tessuti e particolarmente utile per i disturbi generativi ed arteriosclerotici. Il massimo delle proprietà si hanno ovviamente consumandolo crudo, anche se di recente si è scoperto che un altro componente importante del pomodoro il licopene, con la cottura non viene danneggiato. In alternativa al prodotto fresco può venir utilizzato appena saltato in padella, risultando così anche gradevolmente digeribile. L’importanza del licopene nel pomodoro Cento grammi di pomodoro, tre volte alla settimana, rappresentano la dose minima perché il licopene possa esercitare la sua funzione preventiva. Il licopene è una sostanza responsabile del colore rosso del pomodoro. È un antiossidante naturale in grado di proteggere le cellule dall'invecchiamento. L’organismo umano non è in grado di sintetizzare il licopene e l’unico modo di assumerlo è tramite l'alimentazione. Alcune ricerche hanno dimostrato che il modo migliore per far assumere il licopene all'organismo è cuocendo il pomodoro e trasformandolo in sugo o salsa: in questo modo si esalta il suo potere antiossidante. Come evidenziato da una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica International Journal of Cancer, inserire abitualmente nella dieta settimanale un piatto a base di pomodoro, come la pasta o la pizza, significa ridurre in maniera considerevole il rischio di tumore dell’apparato digerente. Una seconda ricerca, condotta dalla Harvard Medical School su 48.000 uomini, ha rilevato che chi consuma alimenti a base di pomodoro più di due volte alla settimana, vede ridursi del 34% il rischio di cancro alla prostata rispetto a chi non ne consuma affatto.
ravanello, carota, pastinaca, barbabietola, rapa, navone;
CAROTA NOVELLA DI ISPICA La Carota novella di Ispica IGP (Daucus Carota L. sub specie Sativus Arcangeli) appartiene al gruppo della carota rossa semilunga nantese: è definita “novella” perché raggiunge la maturazione commerciale già dalla fine di febbraio fino all’inizio di giugno. La zona di produzione è circoscritta ai comuni di Ispica, Pozzallo, Vittoria, Acate, Ragusa, Modica, Chiaramonte Gulfi, Comiso, Santa Croce Camerina, Scicli (questi ultimi sei centri solo una parte dei loro territori) in provincia di Ragusa; di Pachino, Portopalo di Capo Passero, Rosolino e Noto (in parte) nella provincia di Siracusa; di Caltagirone (in parte), in provincia di Catania, e di Niscemi (in parte) in provincia di Caltanissetta. Questo territorio è caratterizzato da temperature medie invernali elevate, elevato irraggiamento solare (Pachino, Pozzallo e Ispica sono le città più assolate d’Italia), terreni di medio impasto tendente allo sciolto, talvolta al sabbioso, con buona dotazione di elementi nutritivi e con buone caratteristiche di profondità e freschezza.
Le caratteristiche morfologiche più importanti sono la forma cilindro-conica, l’assenza di radichette secondarie e radice apicale, l’aspetto lucido dell’epidermide, l’uniformità di colore, l’assenza di fessurazione del fittone, il calibro minimo di 15 millimetri e 50 grammi di peso e massimo di 40 millimetri e 150 grammi di peso. Quanto alle caratteristiche fisiche, vanno ricordate la polpa tenera e il cuore poco fibroso. Infine, tra quelle chimiche-nutrizionali, il contenuto in lucidi, beta-carotene e sali minerali. Tra le varietà coltivate si ricordano: Exelso, Dordogne, Nancò, Concerto, Romance, Naval, Chambor e Selene. I terreni destinati alla coltivazione della carota vengono arati e preparati circa un mese prima della semina, che viene eseguita in autunno, a seguito di periodi di rotazione di tre anni (nella foto a destra, piantine di carote novelle). La coltivazione può essere avvicendata con altri ortaggi, cereali e leguminose. Il disciplinare ammette due interventi di concimazione, uno di base prima della semina e uno di copertura. Inoltre, sono ammessi interventi di sarchiatura per eliminare le erbe infestanti. La raccolta viene effettuata giornalmente, a partire da febbraio e fino a giugno, mediante macchine raccoglitrici in grado di separare la carota dal suo apparato fogliare. In seguito, le carote vengono lavate, selezionata, calibrate, confezionate e quindi commercializzate. http://www.suoloesalute.it/carota-novella-di-ispica-igp/
Campagna ennese (foto Nino Gemmellaro)
carciofo, cavolfiore, broccolo;
______________________________________________________________________________________________________________ IL VIOLETTO DI RAMACCA
Il Violetto e la sua Città:Ramacca. Cittadina agricola sorta ai margini
sud-occidentali della piana di Catania, all'inizio del XVIII sec., vanta un
territorio di 305,382 kmq, uno dei più estesi della Sicilia. Questo si
articola in basse colline, morbidi declivi e vaste estensioni pianeggianti. Bellissime masserie sparse in tutto il territorio arricchiscono lo stupendo
paesaggio di veri e propri capolavori d'architettura rurale. Il territorio ramacchese stato abitato
fin dalle epoche più remote. Ciò è dimostrato dai numerosi siti
preistorici, scoperti nelle contrade Torricella, S. Maria, Poggio Croce,
Perriere Sottano, dalla presenza di una città indigeno-greca sulla Montagna
di Ramacca, abitata fin dal VII sec. a.C, fino all'età ellenistica. Gli scavi
archeologici hanno portato alla luce reperti, molti dei quali sono esposti
nelle sale del Museo Archeologico Civico. Il carattere urbanistico del paese presenta una pianta ortogonale, con vie larghe e rigorosamente squadrate. Il centro di Ramacca è costituito dalla piazza Umberto I, che ha la morfologia di un ottagono regolare, al cui lato meridionale sorge il settecentesco Palazzo baronale, oggi sede del Municipio, del Museo Civico Archeologico e della Biblioteca Comunale.
Le
Caratteristiche del Carciofo: II carciofo (Cynara
scolymus L.) appartiene alla famiglia delle Asteraceae (ex Compositae), tribù
delle Cynareae.
Sentirsi cacocciula o Sentirsi un cacocciolo e menzu: perché si dice?
Oggi ci soffermiamo su una frase che viene utilizzata, nelle diverse varianti, per quelli che si danno molte arie. Ecco cosa c’entrano i carciofi con le persone un po’ troppo presuntuose. La cultura popolare siciliana sa divertirci con alcuni modi di dire davvero originali. Alcune delle espressioni più tipiche, quelle che sentiamo pronunciare spesso, hanno un’origine arguta, che nasce dall’osservazione di ciò che abbiamo intorno. Prendete la frase Sentirsi cacocciula, cioè “sentirsi un carciofo”: a prima vista, potrebbe sembrare un modo per dire che qualcuno si sente poco attraente, ma non è affatto così. Il suo significato non riguarda l’estetica, bensì il modo di essere. Esiste anche nella variante Sentirsi un cacocciolo e menzu (cioè “sentirsi un carciofo e mezzo”) e, probabilmente, ci sono anche altre versioni, che si differenziano a seconda dell’area della Sicilia in cui si utilizzano. Ma perché è nato questo modo di dire e, soprattutto, cosa vuol dire? La risposta è presto detta, ma prima facciamo un piccolo passo indietro. Origine della parola cacocciula La parola cacòcciula è comparsa in Sicilia per la prima volta in un documento del 1416. Forse non tutti lo sanno, ma è diffusa in altre parti d’Italia, come la Calabria centro-meridionale. Esiste, da noi, anche la parola Carcioffula, con la quale condivide, forse la base etimologica dell’arabo ḫaršūfa. Alcuni studiosi considerano la parola italiana carciofo, conducibile anch’essa all’arabo ḫaršūfa, una mediazione spagnola. Altri, invece, ritengono sia un prestito diretto dall’arabo. Nei documenti la parola appare tardi (nel 1533), a oltre un secolo dall’importazione in Toscana della pianta. L’Italia settentrionale conosce invece il tipo articiocco, che forse ha dato origine alla famiglia francese di artichoque. Adesso che sappiamo l’origine della parola cacocciula, scopriamo perché si dice “Sentirsi cacocciula”. Questo modo di dire siciliano viene utilizzato per indicare qualcuno un po’ presuntuoso, che si dà delle arie. L’analogia con i carciofi ha una, anzi due, spiegazioni molto semplice. La prima è legata al fatto che i carciofi si stagliano al di sopra dei cardi, quindi comunque pretendono di dominare la scena. La seconda, molto simile, riguarda il fatto che, sul banco dei fruttivendoli, i carciofi vogliono sempre essere al centro dell’attenzione. Avete notato come hanno sempre un posto di rilievo o, addirittura, un angolino tutto per loro? Non c’è che dire: Sentirsi cacocciula e Sentirsi un cacocciolo e menzu sono due definizioni davvero azzeccate!
Le arance a polpa rossa. Città adagiata nella piana di Catania, a sud del
fiume Simeto, al confine fra le province di Catania e Siracusa, Scordia deve
il caratteristico aspetto del suo paesaggio di macchia mediterranea, al verde
intenso degli agrumeti che permane tutto l'anno, offrendo sfumature cangianti
a seconda delle stagioni.
Le arance a polpa rossa sono le ottime arance dalla polpa di colore rosso -
rubino, dovuto alla presenza di particolari sostanze, le ANTOCIANINE, che ne
pigmentano la polpa e il succo donandole non solo quella nota di colore che le
rende veramente appetitose, ma anche una grande carica salutare. __________________________________________________________________________________________________
È siciliano, il mandarino più richiesto in Europa Un'altra vittoria per la Sicilia, che dopo la conferma dell’entrata dell’uva di Zibibbo nei Patrimoni dell’Umanità UNESCO, adesso incassa anche questo: il mandarino siciliano è infatti il più richiesto d’Europa. Solo una settimana fa, la nota uva di origine araba che dà luogo al prezioso Passito di Pantelleria, è stata inserita definitamente nella lista dei “Patrimoni dell’Umanità”; è la prima volta che una pratica agricola riceve il prezioso riconoscimento, con voto, oltretutto unanime. Ora, la Sicilia pensa al mandarino. Il prezioso frutto aromatico dal colore arancio brillante, è infatti il più ricercato in Europa, come confermato anche dal Presidente di Coldiretti Sicilia, Alessandro Chiarelli, tramite i dati a sua disposizione. Il 2014 in particolare, è stata un’annata preziosa per il mandarino, altro noto serbatoio di vitamina C oltre ad arance, kiwi, fragole; in Sicilia sono infatti stati prodotti ben 610mila quintali di mandarini in 5mila ettari totali di campagne occupate dagli agrumeti. Nonostante dunque i miglioramenti apportati al frutto dalla tecnologia, che ha visto negli ultimi anni l’entrata sul mercato di mandarini ‘senza semi’, resta quello siciliano il più gustoso, e dunque il preferito. Cleopatra e Avana sono le cultivar più presenti sul territorio, ma ampiamente apprezzati sono anche i Tardivi di Ciaculli, dal nome della frazione di Palermo, che hanno la peculiarità di maturare più tardi. Il mandarino siciliano è più piccolo, ad esempio rispetto a quello spagnolo; ma è molto più aromatico, saporito, succoso. E sono proprio queste caratteristiche a fare del frutto autoctono siciliano un prodotto estremamente utilizzato in gastronomia e nell’industria alimentare. Il mandarino siciliano viene fatti impiegato per realizzare di tutto: dai liquori alle caramelle, dai canditi alle gelatine, fino ad entrare nel settore dolciario vero e proprio per poi sbucare anche nelle produzioni invece, salate. Nonostante però queste caratteristiche, il mandarino di Sicilia sta subendo i pesanti attacchi della competitività, garantita dal mercato libero. L’”oro arancione” dell’Isola deve infatti fare i conti anche con gli alti costi a carico dei produttori, che spesso superano le spese di gestione. Senza considerare il fatto che il prodotto estero dura di più, dato che i pesticidi chimici lavorano per bloccarne la maturazione, con il risultato però che ne viene penalizzato il sapore, e dunque chi, con tanta fatica e rispetto per l’ambiente, lo produce. Oltre a contenere importanti quantità di acido ascorbico, il mandarino presenta un elevato contenuto di acqua, calcio e potassio: è perfetto dunque anche se sei a dieta o se combatti costantemente contro la ritenzione idrica. L’apporto energetico è ottimo, ma allo stesso modo anche quello calorico, per cui se ne consiglia un consumo moderato per chi ha problemi di iperglicemia. Il mandarino presenta anche un ottimo contenuto di fibre, che essendo del tipo solubile, tengono lontana la stipsi. Il mandarino non è però solo indicato a chi ha problemi dell’apparato intestinale, è il frutto perfetto anche per gli ipertesi, ma anche per coloro che soffrano di artrite, acne e allergie. Enrica Bartalotta http://www.siciliafan.it/e-siciliano-il-mandarino-piu-richiesto-europa/
TAROCCO SCIRE'
È il clone che ha avuto la maggiore diffusione negli ultimi venti anni sia come nuovi impianti sia come reinnesti; oltre che per la produttività e la qualità dei frutti, probabilmente, il particolare apprezzamento gli deriva dalla buona persistenza dei frutti sulla pianta, caratteristica non frequente nell’ambito delle pigmentate. Il rapporto di maturazione presenta valori intorno a 8 già a inizio gennaio, ma poiché i contenuti di acidi diminuiscono molto lentamente la produzione si mantiene bene sulla pianta fino a febbraio-marzo e pertanto la raccolta può essere effettuata in un arco di tempo superiore a due mesi. I frutti sono di pezzatura media, forma subsferica con buccia di spessore medio e tessitura compatta; la pigmentazione antocianina è piuttosto bassa. La pianta è di vigore medio-elevato. Le foglie sono di colore verde intenso e presentano una certa eterofillia; quelle di piante giovani o di rami assurgenti sono a lamina particolarmente espansa e a sviluppo irregolare. In terreni non profondi e/o poco fertili la pezzatura dei frutti può risultare insufficiente, specie in caso di alta produzione. Si dispone di una linea nucellare, Arancio Tarocco Scirè nucellare D 2071, e di due linee risanate mediante microinnesto, Arancio Tarocco Scirè V.C.R. e Tarocco Scirè m11. La maturazione è graduale, con periodo ottimale di raccolta ai primi di febbraio. Il frutto maturo resiste sulla pianta senza subire cascola fino a tarda primavera.
______________ Peculiarità delle arance rosse Oltre che per la presenza di antocianine le arance rosse si distinguono per diverse altre caratteristiche: - presentano più alti valori di vitamina C; questa nei diversi frutti di agrumi raggiunge valori tra 50 e 60 mg per 100 ml; il succo rosso, in particolare quello dei frutti di Tarocco, raggiunge valori di oltre 70 mg; - sia i frutti che il succo sono di gusto particolarmente gradevole, dato da un rapporto armonico tra zuccheri e acidi e da una serie di sostanze aromatiche quali il limonene, il butanoato di etile e gli esanoli; - i succhi rossi, inoltre, si contraddistinguono per il più alto contenuto di acidi idrossicinnamici e per i maggiori livelli di acido cumarico; - i contenuti di acidi durante l’evoluzione dei processi di maturazione non si abbassano mai al punto da conferire un sapore piuttosto scialbo
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L’arancia Rossa di Sicilia è l’agrume più ricco di vitamina C, il migliore alleato contro il freddo
In inverno il modo migliore per combattere i malanni di stagione è fare il pieno di vitamina C. Questo è noto. Ma pochi sanno però che c’è un frutto in particolare che ne contiene più degli altri, ben il 40%. E’ l’Arancia Rossa di Sicilia IGP. Tale caratteristica è dovuta alla presenza nella sua polpa di pigmenti, detti antociani, che le conferiscono il colore rosso, e una notevole concentrazione di sostanze antiossidanti (acido ascorbico oltre ai già citati flavonoidi), che aiutano a combattere i radicali liberi, responsabili dell’invecchiamento. Rendendo il corpo più resistente verso diverse affezioni di varia natura tra cui bronchite, malattie cardiovascolari, cefalea e reumatismo. Ricca di acqua (87%), povera di grassi (34 calorie per 100 grammi) e proteine, l’Arancia Rossa di Sicilia IGP contiene molti minerali come calcio, fosforo, potassio, ferro selenio e soprattutto diverse vitamine fra cui, oltre alla vitamina C, la A, B1, e la B2. Ma non è tutto. Migliora il sistema respiratorio, facilita la deposizione di calcio e fosforo nelle ossa e nei denti, è indicata infatti nella dieta delle donne in gravidanza ed in menopausa. Inoltre i caroteni precursori della vitamina A sono ottimi alleati del sistema visivo e contrastano le infezioni di varia natura. L’areale di produzione è compreso tra le province di Enna, Catania e Siracusa. L’Arancia Rossa di Sicilia rappresenta un esempio di stretto legame tra fattori climatici e caratteristiche del prodotto; le stesse varietà di arancia, infatti, coltivate in altri climi non presentano il particolare colore e le specifiche caratteristiche organolettiche che le hanno rese famose nel mondo. L’Arancia Rossa di Sicilia IGP, frutto dal sapore dolce e caratteristico, è presente in commercio in tre varietà: Tarocco, Moro e Sanguinello. Grazie alle preziose proprietà nutrizionali e alla succosità è da preferire alle altre arance. Ed è bene consumarla soprattutto in questo periodo dell’anno, perché proprio in questi mesi il frutto esprime il massimo delle sue qualità benefiche in fatto di gusto e sapore. Spremuta o a spicchi, l’Arancia Rossa di Sicilia è l’alleato più fedele e gustoso della nostra salute. http://www.tutelaaranciarossa.it/ Peppe Caridi
Il Tabacco
Federico Marino é il primo produttore di tabacco in Sicilia che, dopo oltre 150 anni di inattività del territorio, ha riportato le piantagioni di tabacco in Sicilia. Circa sei ettari di terreno dedicati alla coltivazione di piante di tabacco, distribuiti nelle zone di Cerda e Bagheria, per la produzione di due tipi di tabacco: il Kentucky, ideale per i sigari, e il Burley, utilizzato per la concia di sigarette e pipe. «Ai tempi di Garibaldi, la città di Palermo era una grande produttrice di Tabacco - racconta Federico. Erano oltre 150 anni, quindi, che mancavano in Sicilia piantagioni di tabacco». Puntando sulla qualità del tabacco siciliano, l’idea dell’imprenditore 52enne è quella di produrre il primo sigaro tutto Made in Sicily. «Siamo passati dal coltivare 12 ettari di terreno a soli 6 ettari, per garantire al massimo la qualità del nostro tabacco. La nostra intenzione, infatti, é quella di produrre un sigaro interamente siciliano». Federico, é il supervisore del tabacco della cooperativa agricola “La Campagnola” attiva nel bagherese, insieme ad altri 3 soci Giuseppe, Francesco e Nicola. «Siamo tornati a coltivare piantagioni di tabacco grazie ad un imprenditore veneto - continua - che ha voluto investire qui Sicilia nella convinzione che la nostra terra avesse tutte le carte in regola per un clima tipico di una vera e propria zona caraibica». Oltre ad essere il primo produttore di tabacco tutto Made in Sicily, Federico é anche il primo produttore in assoluto di sigari in Nicaragua grazie al suo sigaro (autoreferenziale) “FM”, il cui marchio é già registrato. «Grazie alla consulenza di un brand master, che ha lavorato con me nella scelta della miscela di tabacchi più azzeccata, ho scelto infine la qualità del tabacco nicaraguese per la produzione del sigaro che porta le mie iniziali, FM». Inoltre, Federico anticipa che é già iniziata una trattativa Sicilia-Nicaragua per la produzione di un sigaro speciale. «Ho sempre pensato che il tabacco nicaraguese sia di una qualità nettamente superiore a quella del tabacco cubano o dominicano. Così quest’inverno abbiamo intavolato una trattativa con il Nicaragua per arrivare a commercializzare un sigaro figlio del gemellaggio Sicilia/Nicaragua». https://www.balarm.it/news/la-sicilia-come-i-caraibi-tornano-le-piantagioni-di-tabacco-dopo-centocinquant-anni-95617#.XGOv5SCeapg.facebook
Il territorio etneo è ricco di piante erbacee spontanee molte delle quali, assieme ai funghi ed ai frutti di bosco, fino ad un passato non troppo lontano rappresentavano una fondamentale risorsa alimentare per le popolazioni locali (contadini, boscaioli, pastori, ecc.). Infatti, era prassi quasi quotidiana andare per le sciare, le timpe, i coltivi ed i boschi in cerca di verdure selvatiche. Tale abitudine alimentare, principalmente, traeva origini da uno stato di necessità, data la cronica indigenza in cui versava la popolazione rurale e talora quella cittadina. Pure i cacciatori avevano l'abitudine di raccogliere piante selvatiche che trovavano nel loro girovagare. Si cercavano verdure selvatiche anche per variare la dieta giornaliera, principalmente a base di pasta, carne e legumi, e per la mancanza delle diverse varietà di ortaggi carnosi, multicolori ed esotici che oggi si trovano, invece, in bella mostra nei negozi di frutta e verdura. Da questa abitudine alimentare, attraverso i secoli, è giunto fino a noi un imponente patrimonio culturale, tramandato di generazione in generazione. http://www.dipbot.unict.it/alimurgiche/introduzione.htm
SENAPE SELVATICA (Sinapi)
Amatissime protagoniste della cucina contadina, le erbe spontanee sono da sempre l’ingrediente essenziale di una gastronomia povera. Oggi il loro sapore viene riscoperto e rivalutato. Tra le erbe più comuni del nostro territorio, facilmente reperibile ad inizio primavera, vi è la senape selvatica. La Sinapis arvensis appartiene alla famiglia delle Crucifere. Il nome dialettale con il quale è conosciuta nel nostro territorio, ’i lass’ne, potrebbe derivare, a mio avviso, dal nome scientifico di un’altra pianta, anch’essa molto conosciuta e utilizzata in cucina, con la quale è forse stata confusa in passato: la gallina grassa o lassana (Lapsana communis), una Composita dalle infiorescenze a capolino di colore giallo, lo stesso colore dei fiori della senape. In alcuni paesi limitrofi al nostro è chiamata repestre per la somiglianza che ha con le cime di rapa. Queste ultime presentano tuttavia caratteristiche qualitative migliori, tanto che quando si vogliono far notare ed evidenziare le differenze tra un individuo e un altro si ricorre al detto proverbiale: rape e repestre, une m’nèstre? Ovvero “rape e senape, una sola minestra”? La senape è una pianta annuale, presente in quasi tutte le stagioni e diffusa nelle zone temperate, fino a 1.200 metri di altitudine, nei pascoli, nei campi, lungo le strade, anche tra i rifiuti e le rovine, ma soprattutto nei luoghi coltivati soleggiati. Predilige i suoli fertili a reazione leggermente alcalina (terreni calcarei) e si trova più spesso fra le colture erbacee, di cui è considerata una temibile infestante, perché riesce ad esercitare una notevole competizione in virtù del suo rapido sviluppo vegetativo. Ma negli ultimi decenni, in seguito all’uso dei diserbanti (la pianta è molto sensibile al famoso Erbitox), si è avuta una notevole riduzione di questa specie, che riesce a sopravvivere grazie alla produzione di una grande quantità di semi (circa 25.000 per pianta) e alla loro longevità; questi semi possono germinare infatti anche dopo 60 anni. Chi non vuol ricorrere all’uso di fitofarmaci per attenuare la presenza di tale infestante può utilizzare i metodi di lotta preventivi, non inquinanti, quali la falsa semina. Questa tecnica consiste in un affinamento del terreno prima della semina della coltura programmata, al fine di favorire la germinazione dei semi della senape; la successiva lavorazione superficiale provvederà alla eliminazione delle piantine appena nate della senape ma anche di altre specie infestanti. Le foglie sono ricche di vitamine B e C e sali minerali. Anche i semi, contenenti acidi grassi prevalentemente insaturi, amidi e proteine, trovano la loro utilizzazione in erboristeria come lassativi e in cucina per preparare salse e mostarde con cui insaporire carne, pesce, uova e formaggi. La mostarda si diffuse come condimento verso il XIII secolo e si otteneva frantumando i semi della senape nel mosto di vino. Infatti il termine mostarda, che, riferito alla senape, appare per la prima volta in Francia, prende il nome dal latino mustum ardens (mosto che arde), sia perché veniva impastata con il mosto caldo, sia per il suo sapore piccante. In Italia il termine mostarda è invece usato per indicare un prodotto simile ad una macedonia di frutta sciroppata in acqua zuccherata e con una percentuale di semi di senape (e/o aromi) nettamente inferiore, circa una parte su quattro. I due prodotti, oltre all’etimologia del nome, hanno in comune solo l’utilizzo della stessa pianta. La senape è conosciuta anche per la commestibilità delle sue foglie, in particolare quando sono nella fase giovanile nei mesi di marzo-aprile. Già alla fine del I secolo, il latino Columella, nel suo trattato De re rustica, menzionava le foglie di questa pianta conservate in aceto come condimento. In cucina si usano nelle minestre e come verdura cotta, soprattutto le foglie tenere e le cimette con i fiori non ancora sbocciati. Condita a piacere con olio di oliva e/o succo di limone oppure con peperoncino rosso costituisce un ottimo contorno e si unisce perfettamente a salsicce fritte o arrostite. Si può utilizzare anche per preparare frittate. Andando per erbe nei campi si possono mischiare diverse specie spontanee con le dovute proporzioni. Questa mescolanza, ’a m’nèstre mišche, una volta era usata dai contadini per la preparazione del “pancotto”, piatto genuino e di facile realizzazione. Ma come primo piatto consigliamo i pennoni con salsa di senape. Per prepararli bisogna lessare la verdura (500 grammi di senape già pulita) in acqua bollente per circa otto minuti. Una volta lessata, immergerla in acqua fredda per mantenere integro il colore verde brillante delle foglie. Quando si è raffreddata, porla in un contenitore, aggiungendovi un pizzico di sale, pochissimo aglio e del peperoncino. Versare un bicchiere di acqua, possibilmente di fonte, e con un frullatore ad immersione lavorare sino ad ottenere la giusta consistenza. Condire la pasta con questa salsa e un filo di olio extravergine di oliva. http://www.lafonte2004.it/news.php?id=2325
FINOCCHIO SELVATICO (Finocchiu rizzu) Il finocchio (Foeniculum vulgare Mill.) è una pianta erbacea mediterranea della famiglia delle Apiaceae (Ombrellifere). Conosciuto fin dall'antichità per le sue proprietà aromatiche, la sua coltivazione orticola sembra che risalga al 1500. Il finocchio selvatico è una pianta spontanea, perenne, dal fusto ramificato, alta fino a 2 m. Possiede foglie che ricordano il fieno (da cui il nome foeniculum), di colore verde e produce in estate ombrelle di piccoli fiori gialli. Seguono i frutti (acheni), prima verdi e poi grigiastri. Del finocchio selvatico si utilizzano i germogli, le foglie, i fiori e i frutti (impropriamente chiamati "semi"). La raccolta del fiore del finocchio selvatico avviene in Italia appena il fiore è "aperto", normalmente a partire dalla metà d'agosto fino a settembre inoltrato. Il fiore si può usare fresco o si può essiccare, all'aperto, alla luce, ma lontano dai raggi diretti del sole, che farebbero evaporare gli olii essenziali. I diacheni si possono raccogliere all'inizio dell'autunno, quando è avvenuta la trasformazione del fiore in frutto. Le "barbe" o foglie e i teneri germogli si possono cogliere dalla primavera all'autunno inoltrato. Per quanto riguarda il finocchio selvatico, chiamato in cucina anche "finocchina" o "finocchietto", si usano sia i fiori freschi o essiccati, sia i frutti o "diacheni", impropriamente chiamati "semi", che sono più o meno dolci, pepati o amari, a seconda della varietà, sia le foglie (o "barba"), sia i rametti più o meno grandi utilizzati nelle Marche per cucinare i bombetti (lumachine di mare); le foglie si usano fresche e sminuzzate per insaporire minestre, piatti di pesce, insalate e formaggi: nella "pasta con le sarde", nota ricetta siciliana, le foglie del finocchio selvatico sono uno degli ingredienti essenziali. I fiori si usano per aromatizzare le castagne bollite, i funghi al forno o in padella, le olive in salamoia e le carni di maiale (in particolare la "porchetta" dell'Alto Lazio). I cosiddetti "semi" si usano soprattutto per aromatizzare tarallini (Puglia), ciambelle o altri dolci casalinghi e per speziare vino caldo o tisane. Fanno inoltre parte della ricetta di un biscotto tipico del Piemonte, il finocchino. È in uso nelle regioni costiere del Tirreno, un "liquore di finocchietto", per il quale s'utilizzano i fiori freschi e/o i "semi" e le foglie. L'espressione "lasciarsi infinocchiare" deriva dall'abitudine dei cantinieri di offrire spicchi di finocchio orticolo a chi si presentava per acquistare il vino custodito nelle botti. Il grumolo infatti contiene sostanze aromatiche che rendono gustoso anche un vino di qualità scadente o prossimo all'acetificazione. https://it.wikipedia.org/wiki/Foeniculum_vulgare
ALLORO (Addauru) L'alloro (Laurus nobilis) è una pianta della famiglia delle Lauraceae. Utile in caso di disturbi allo stomaco e coliche, è usato per curare febbre e tosse. Scopriamolo meglio. Le foglie e le bacche di alloro contengono in diversa percentuale un olio essenziale, (le prime contengono dall'1 al 3% di olio essenziale, mentre le seconde fino al 10%), costituito da geraniolo, cineolo, eugenolo, terpineolo, fellandrene, eucaliptolo, pinene, dalle proprietà aperitive, cioè stimolanti dell'appetito, digestive e carminative. Per questa ragione l'alloro viene comunemente impiegato per alleviare le coliche, i disturbi dello stomaco; favorire la digestione; e per aiutare ad espellere i gas dall'apparato gastro-intestinale, in presenza di meteorismo o aerogfagia. Sia le foglie che le bacche esercitano azione diaforetica, utile per stimolare la sudorazione, in caso di febbre e stati influenzali; ed espettorante, indicata per eliminare il catarro bronchiale e in caso di tosse. Nell'uso esterno, le bacche fresche sono utilizzate per preparare l'oleolito di alloro, o olio laurinato, con effetto antinfiammatorio, emostatico e astringente, estremamente efficace per lenire reumatismi, artrite, dolori muscolari o per facilitare la ripresa dell'uso delle articolazioni dopo ingessature, contro traumi di varia natura, ecchimosi ed ematomi. Infine l'acido laurico contenuto nelle foglie, possiede proprietà repellenti naturali contro insetti e parassiti. Arbusto cespuglioso, o alberello sempreverde, con fusto eretto e corteccia verde nerastra, comune delle zone mediterranee dove nasce spontaneo. Le foglie, ovate, sono verde scuro, coriacee e molto profumate; la pagina superiore è lucida di colore verde intenso, quella inferiore è opaca. L'alloro è una pianta dioica, cioè esistono esemplari maschili e femminili. I fiori, di colore giallo chiaro, sono riuniti a formare un’infiorescenza a ombrella e compaiono a primavera. I frutti sono drupe nere e lucide (quando mature) con un solo seme. Il vero benessere? Dai 50 anni in poi! Dopo i 50, la vita ricomincia una seconda volta. Più ricca, più divertente, più soddisfacente. È così che te la racconta ogni giorno Victoria50 con tanti consigli per il benessere e contenuti che ti interessano veramente. Scoprili! Diffuso lungo le zone costiere settentrionali del Mar Mediterraneo, dalla Spagna alla Grecia e nell'Asia Minore, in Italia cresce spontaneamente nelle zone centro-meridionali e lungo le coste: mentre è coltivato nelle regioni settentrionali. I Greci pensavano che le sue foglie avessero il potere di trasmettere il dono della divinazione, di allontanare la malasorte e le malattie contagiose. A Delfi, sede dell'oracolo di Apollo, i sacerdoti del dio e la pizia masticavano o bruciavano foglie di Alloro per stabilire la comunicazione con gli Dei e dormivano su "materassi" fatti di strati dei suoi fuscelli, per favorire i sogni premonitori. Con l'oleolito di alloro si prepara il sapone di Aleppo, tipico della Siria e più precisamente della città di Aleppo, da cui prende il nome, particolarmente adatto alle pelli delicate e a chi soffre di allergie e intolleranze ai profumi ed altri additivi, comunemente presenti nei detergenti per l’igiene personale. La diffusione e l'ampio uso che se ne fa nella Cucina Siciliana hanno portato l'alloro ad essere inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T), e dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf) come prodotto tipico siciliano. http://www.cure-naturali.it/alloro/3635
BORRAGINE COMUNE ( (Burrania) Borragine è il più diffuso, ma anche Borraggine, Boragine, Borana, Erba pelosa. Il primo termine del binomio deriva dal latino medievale borrago, nome di origine orientale, che si collega all’arabo abu ‘arak con il significato di “sudorifero” per le proprietà diaforetiche della pianta. Secondo un’altra interpretazione (COSTELLAZZO e ZOLLI, 1979-88) Borago deriva dal nome latino medievale burra = borra, utilizzato per indicare un stoffa di lana a lunghi peli, piuttosto rustica, in riferimento alla setolosità della pianta. La seconda parte del binomio deriva dal latino officina = farmacia e indica le proprietà medicinali della pianta. Pianta erbacea annua marcatamente ispida in tutte le sue parti per la presenza di peli rigidi e pungenti. Il fusto, ricco di mucillagini, è cavo, grosso ma tenero, ramificato nella parte superiore, alto fino a 50 cm. Le foglie, dal tipico aspetto bolloso e reticolato, sono alterne, prive di stipole, quelle basali più grandi, con lamina ovata, quelle cauline lanceolate, sessili e progressivamente più piccole. I fiori, di colore blu intenso (raramente bianchi o porporini), sono regolari, ermafroditi, disposti in cime terminali scorpioidi. La fioritura avviene in tempi diversi a seconda delle località, in Sicilia da gennaio ad aprile. Cresce abbastanza bene su terreno sia vulcanico che sedimentario. E’ presente negli incolti e nei coltivi, ma più frequentemente negli orti e vicino ai luoghi abitati. E’ una specie di origine orientale, diffusa in Europa e nel Mediterraneo, ma in molte zone solo naturalizzata. Sono commestibili sia la pianta intera (a macchia) raccolta all`inizio della primavera, quando è ancora giovane, sia le cime (i spicuni) o le foglie tenere, quando la pianta è matura. L`aspetto ispido della pianta non deve scoraggiare poiché i peli perdono la loro rigidità con la cottura. Nel nostro territorio la Borragine è usata sia come piatto di verdura, lessata in poca acqua e condita con olio, sia come ingrediente di minestre o zuppe, fra cui principalmente quella di lenticchie. Un`altra caratteristica zuppa in cui si fa uso di questa pianta è quella detta a paparotta: l’erbaggio viene lessato in abbondante acqua nella quale si aggiunge semolino, mescolando continuamente. All`impiego culinario della Borragine si attribuisce, oltre all`evidente potere nutritivo, anche una certa valenza curativa in quanto la pianta possiede una buona quantità di mucillagini ad azione antinfiammatoria e rinfrescante (SCHÖNFELDEN e SCHÖNFELDEN, 1982; NEGRI, 1960; GIANI ,1987). Già gli antichi Romani consigliavano l`uso della Borragine in diverse pietanze per il particolare gusto che ricorda quello del cetriolo. Attualmente l`uso gastronomico della Borragine è maggiormente diffuso nell`Italia peninsulare rispetto al nostro territorio. Le giovani foglie si consumano crude in insalata, dopo averle tritate e mescolate con altri erbaggi o con pomodori. La rigidità dei peli svanisce per effetto dell`aceto. Le stesse foglie, come pure le cime, vengono consumate lessate e poi condite con olio e limone oppure saltate al burro, strascicate con olio e limone o anche passate al setaccio sottoforma di purè verde. In minestra, per le loro proprietà emollienti, sono buoni succedanei degli spinaci (POMINI, 1959). In Toscana, le foglie lessate e mescolate a quelle della cicoria e ai semi del finocchio costituiscono un caratteristico piatto regionale, la zuppa frantoiana. Nella regione etnea e in generale in tutto il meridione la Borragine è considerata un`erba infestante, mentre in altre regioni, come in Liguria, è vantaggiosamente coltivata perché ha una buona richiesta di mercato (KUSTER, 1989). - Pianta mellifera La Borragine è utilizzata anche a scopi non alimentari, ma connessi indirettamente alla alimentazione; essa, infatti, è tenuta in grande considerazione soprattutto dagli apicoltori, poiché è una pianta particolarmente mellifera (BREMNESS 1988). - I fiori magnifici Lo splendore dei fiori della Borragine è sottolineato dal proverbio siciliano: esseri tutto pitittu e ciuri di bburrania, in riferimento a cosa o persona che si fa desiderare per la sua bellezza. http://www.dipbot.unict.it/alimurgiche/scheda.aspx?i=10 tagliatella con ricotta e borragine, Polpette di borragie,
SAMBUCO (Saucu) Il sambuco nero, Sambucus nigra, fa parte della numerosa famiglia delle caprifoliaceae. Si presenta come un grande arbusto che prospera facilmente in formazioni cespugliose caratterizzate dai rami vecchi ricadenti. La corteccia è grigia, ma anche giallastra nelle parti vecchie e si mantiene verde nei rami nuovi con particolari lenticelle orizzontali. Le foglie sono opposte e composte formate da cinque o sette foglioline picciolate, anche di grandi dimensioni, di forma ellittica con margine seghettato in modo non regolare e apice acuminato. Il colore è verde intenso e sono fra le prime ad aprirsi in primavera. Gli splendidi fiori del sambuco, che rallegrano nel mese di aprile e maggio le nostre campagne, sono ombrelle erette che si aprono all’estremità dei rami nuovi dell’anno. I fiori, dal profumo buono e dolce, sono di colore bianco. La crescita dei frutti fa reclinare verso il basso le ombrelle che uniscono il nero delle drupe al rosso dei peduncoli. Le piccole drupe sono sferiche e a maturazione si presentano sode, lucide e dolci. Dove trovarlo Il sambuco si contenta di poco e cresce quasi ovunque. Lo testimoniano il suo vasto areale e le testimonianze storiche che lo accompagnano dall’uomo da sempre. Si spinge anche oltre i 1000 metri di altitudine e ama i luoghi al contempo umidi e soleggiati, come i greti dei ruscelli o i margini dei boschi, ma il sambuco è pianta regina fra le macerie delle vecchie case o lungo gli argini delle strade. Sono le radici profonde che gli consentono una tale capacità di adattamento e sopravvivenza. Il sambuco pianta dalle alterne fortune La leggenda penalizza il sambuco presso i popoli dell’area cristiana perché è ai rami di un sambuco che si impiccò Giuda. Il segno sarebbe rimasto nel portamento dei rami che per la vergogna subita non si elevano più eretti come un tempo, ma reclinano verso il basso. Sambyke era, prima di essere il nome della pianta, il nome di una ninfa amata invano da Pan che preferì la morte all’amore del dio. Come già altre volte il mito provvide a trasformarla in pianta e dai suoi rami Pan trasse un flauto, sambyke appunto, che suonato gli dava l’illusione di poterla baciare. Il poeta Virgilio lo descrive macchiato dal succo delle bacche. In effetti, i flauti più semplici, e più antichi, erano ricavati da semplici rami svuotati dal midollo e il sambuco si presta benissimo a questa operazione. La marmellata La marmellata di sambuco è la più classica delle preparazioni casalinghe anche se oggi è caduta in disuso. La marmellata di sambuco è uno dei prodotti più diffusi nella gamma di confetture offerte dai negozi “verdi”. La prima ragione è sicuramente rappresentata dalla facilità con cui si possono reperire le bacche, la seconda, non meno importante, è l’indiscussa bontà della preparazione. Ogni libro che consulterete vi proporrà una personalizzazione della ricetta da seguire e, quindi, anche la mia non sfugge a questa legge. Occorrono frutti maturi, ma non trapassati. Eliminate i peduncoli e schiacciateli con l’aiuto di una forchetta senza però ridurre il tutto ad una poltiglia. L’operazione serve per facilitare la fuoriuscita del succo e, se lo desiderate, lasciatene una parte integra. Mettete il tutto sul fuoco e operate una prima cottura per circa una mezz’ora a fuoco moderato. Aggiungete lo zucchero in ragione di 600 grammi per ogni chilogrammo di composto presente in pentola. Cuocete per altra mezz’ora e invasate ancora calda. I tempi di cottura possono essere prolungati se si desidera ottenere una maggiore consistenza e/o si può incrementare il quantitativo di zucchero di altri 200 grammi per chilo. Lo sciroppo di sambuco, dalla tosse ai gelati Lo sciroppo di sambuco, così come riportato, è un composto la cui collocazione risulta incerta fra la ghiottoneria e il coadiuvante nelle terapie delle affezioni delle vie respiratorie. In qualsiasi modo voi lo usiate, nel latte caldo o sopra il gelato, sarete sorpresi dal “sapore intrigante” che saprà regalarvi. Ricordate di non consumare mai le parti verdi del sambuco. I frutti devono essere raccolti quando sono già neri, e non più rossi, ma ancora brillanti. Il colore opaco è indice di surmaturazione e possibile infestazione parassitaria. http://www.giardini.biz/piante/piante-spontanee/sambuco-nero/
Boschi dell’ambiente planiziario e Ambiente delle siepi campestri Alberi da frutta
Il rinnovato interesse per diverse varietà locali di frumento duro e tenero note come “grani antichi” e la possibilità di iscrivere queste popolazioni al Registro Nazionale delle varietà da conservazione delle specie agrarie e delle specie ortive sta permettendo, sia pur con molte difficoltà, di poter realizzare delle filiere che si contraddistinguono per l’attenzione alla sicurezza alimentare e alla sostenibilità ambientale. In assenza di una definizione univoca, all’interno di Simenza, identifichiamo come ‘grani antichi’, le popolazioni dinamiche di frumento con origine storica, identità distinta, assenza di miglioramento genetico tramite incrocio. In prevalenza si tratta di piante adattate localmente, con l’ausilio di sistemi agricoli tradizionali (anch’essi tuttora privi di definizione univoca), caratterizzate da taglia più alta e glutine meno tenace rispetto alle varietà moderne. Nei primi anni del ‘900, queste popolazioni locali frutto del lavoro di selezione da parte degli agricoltori, hanno ceduto progressivamente il passo a varietà migliorate geneticamente in grado di valorizzare gli input ausiliari, soprattutto fertilizzanti e fitofarmaci di sintesi, che hanno portato a un notevole incremento produttivo e al soddisfacimento di requisiti propri delle moderne industrie di trasformazione. Di contro, le varietà moderne hanno sicuramente un impatto ambientale più pronunciato e delle ricadute sulla salute umana che, seppur controverse, stanno emergendo in tutta la loro significatività. Nel 1927 in Italia esistevano 291 varietà di frumento, 98 delle quali erano ampiamente coltivate; poco più di quarant’anni dopo ne erano già scomparse 250.
In Sicilia, grazie al lavoro delle Università, degli enti di ricerca e di agricoltori ‘custodi’, è stato conservato e recuperato il germoplasma di una cinquantina di popolazioni di frumento, duro e tenero, che rappresentano parte del patrimonio della biodiversità cerealicola disponibile fino alla metà del secolo scorso. Questi genotipi, pur producendo meno, presentano alcune pregevoli caratteristiche di rusticità, resistenza alle avversità biotiche e abiotiche e qualità nutrizionale e organolettica della granella. Contemporaneamente si è cercato di geolocalizzare queste varietà distinguendone le aree vocazionali, tenendo conto delle indicazioni che ci hanno lasciato alcuni dei principali studiosi che si sono occupati della materia: Antonio Vivona (La distribuzione geografica dei frumenti coltivati in Sicilia e loro reciproca posizione nella lotta per la conquista delle superfici, 1934) Ugo De Cillis, (I Frumenti siciliani,1942), Pietro Perrino e Karl Hammer (Sicilian wheat varietes,1983). Intersecando le informazioni riportate in queste tre pubblicazioni è stato possibile ricostruire la mappa riportata in basso, che è inserita in un poster dal titolo ‘Old Sicilian wheat landraces as a tool to optimize organic and low-input farming systems’ di P. Guarnaccia, S. Blangiforti, U. Anastasi, P. Caruso, presentato in occasione dell’Expo tenutasi a Milano nel 2015. Aree di coltivazione dei grani antichi in Sicilia (Guarnaccia et al., 2015) – (1): A. Vivona, 1934. La distribuzione geografica dei frumenti coltivati in Sicilia e loro reciproca posizione nella lotta per la conquista delle superfici. Italia Agricola. (2): U. De Cillis, 1942. I Frumenti siciliani. De Cillis U., 1942. I frumenti siciliani. Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia, Pubblicazione n. 9. (3): P. Perrino e K. Hammer. 1983. Sicilian wheat varietes. Die Kulturpflanze. June 1983. Queste informazioni potrebbero essere di grande aiuto per coloro i quali si accingono a redigere la richiesta per iscrivere le varietà al registro e possono fornire delle indicazioni agronomiche circa le varietà da utilizzare nelle diverse aree pedoclimatiche. E’ indubbio che ognuna di queste varietà si è adattata con il tempo nelle diverse zone e che è sconsigliabile il tentativo di forzarne l’inserimento in contesti agronomici diversi. Ricordiamo inoltre che la legislazione impedisce la coltivazione dei frumenti antichi siciliani al di fuori dell’ambito regionale. Dr. Paolo Caruso – Direttore tecnico Associazione Simenza
https://simenza.it/a-ogni-grano-il-suo-pezzo-di-sicilia/
Il Suino nero dei nebrodi. Salvaguardia e mantenimento delle razze autoctone di Giovanni Corsaro _________________________ Questo animale si differenzia rispetto agli altri suini oltre che per il colore della pelle, per le dimensioni più piccole, per la resistenza alle malattie ed alle avversità climatiche e soprattutto per l’elevata qualità delle carni
Nelle domeniche di maggio, probabilmente nella seconda metà del mese, il Collegio Territoriale Siciliano organizzerà delle giornate alla riscoperta delle nostri tradizioni agricole e d’allevamento, nonché di conoscenza delle eccellenze del territorio. Il nostro Collegio, da tempo, collabora con una delle principali aziende di alimentazione “a filiera corta” strettamente legata al territorio, in particolare con l’Azienda dei Fratelli Borrello, chiocciolina d’oro Slow food per tre eccellenze : per i prosciutti e salumi del suino nero, la provola nebroidea e l’oliva minuta dei Nebrodi. L’Azienda in questione è ubicata tra i Nebrodi per la precisione tra comuni di Sinagra, Raccuja ed Ucria ( ME), include la trattoria aperta al pubblico ( tra Sinagra ed Ucria), la fattoria sita dall’altro lato della vallata ( tra Sinagra e Raccuja) con relativi caseificio e prosciuttificio artigianale.
Le nostre visite si concentreranno sulla loro fattoria capofila per la riproduzione del suino nero in pien’aria, questo animale si differenzia rispetto agli altri suini oltre che per il colore della pelle, per le dimensioni più piccole, per la resistenza alle malattie ed alle avversità climatiche e soprattutto per l’elevata qualità delle carni; questa fattoria è figlia di un progetto pilota che tra i vari soggetti ha anche l’Università di Messina e l’Unione Europea, quest’ultima in un’ottica di salvaguardia delle razze ha posto particolare attenzione al mantenimento ed alla riproduzione delle razze autoctone del suino, come la pata negra andalusa ed il suino nero dei nebrodi, infatti i fratelli Borrello spesso sono invitati a dimostrare le loro lavorazioni con i relativi prodotti in vari stand europei.
La fattoria in questione, immersa nei boschi dei Nebrodi, è composta nella parte bassa da una serie di lotti, ognuno di ca. 500 mq. , nei quali sono stati costruiti dei piccoli casotti con pietre ammassate ( 6/7 mq.) nel pieno rispetto di queste antiche costruzioni a secco; la loro funzione è quella di ricoverare la scrofa nei due mesi pre e post partum, in modo da farla partorire e svezzare i suoi cuccioli in piena natura, nutrendosi con le ghiande cadute dagli alberi. Nella parte superiore della fattoria vi sono altri animali, i principali sono agnelli, vacche, pecore, capre di razza “girgentana”, l’habitat vegetativo è composto da funghi e soprattutto da alberi d’ulivo, ciliegie, nocciole ed altri ancora; vi sono anche il caseificio artigianale nel quale producono la provola nebroidea, il prosciuttificio nel quale conservano, solamente con l’aggiunta di sale, i prosciutti dei suini neri che grazie all’eccellente microclima della vallata, avvolta nei boschi e bagnata dai fiumi, chiusa a nord dai monti Nebrodi e poi dall’Etna invece a sud dalla spiagge della costa tirrenica di Capo d’Orlando.
La fama e l’elevata qualità di questi prodotti ha fatto si che gli stessi siano stati invitati in varie fiere e mostre internazionali e nazionali, tra le quali si citano il salone del gusto di Terra Madre di Torino e la Fiera di Roma. Numerosi e continui sono stati i riconoscimenti ricevuti dalla stampa (La Repubblica ed Osterie d’Italia), associazioni specializzate ( Slow food , Gambero rosso e Cronache di gusto),televisioni tra le quali si citano brevemente solamente quelli dell’emittenza pubblica: servizi Rai 1 Linea verde, Rai 2 Sereno variabile, TG2 Dossier, TG 2 Insieme e TG 1 delle 20,00 del 19/12/2010 sulle tradizioni culinarie regionali.
Il Parco dei Nebrodi
Il più grande della Sicilia: un tripudio di boschi lussureggianti, vallate, laghi e corsi d'acqua dove la natura permette all'uomo di convivere nel reciproco rispetto. Trovandosi nell'area nord-orientale della Sicilia, nessuno potrebbe mai immaginare di trovarsi al centro del Mediterraneo, dove boschi, valli e laghi avvolgono il visitatore. E' l'ultimo tratto dell'Appennino, appunto quello Siculo (formato da Nebrodi, Peloritani e Madonie), fra questi, i Nebrodi meritano il paragone con i rilievi della Svizzera. Nebros significa cerbiatto, che testimonia un tempo in cui il territorio presentava una fauna leggendaria: cervi, daini, caprioli. Boschi sconfinati, mestieri scomparsi, fauna allo stato brado. E' questa la cartteristica dei Nebrodi, sopravvissuti alla prepotenza del progresso. Per conoscere meglio quest'isola di verde bisogna spostarsi al confine di tre province, Messina, Catania ed Enna. Tra Tirreno a Nord, Madonie ad Ovest, Etna ed Erei a Sud e Peloritani ad est, il territorio dei Nebrodi, con i suoi di 85 mila ettari di estensione, è tutelato da un Parco regionale, il più vasto dell'isola, in cui ricadono ventitré Comuni. Uno dei periodi migliori per scoprirlo è l'autunno, quando i boschi cambiano pelle: lasciano la tipica colorazione verdeggiante per vestirsi di rosso, arancio, giallo, tinteggiando il paesaggio di una meravigliosa varietà di colori. I Nebrodi, grazie al loro ambiente boschivo, ampie vallate, fiumare e zone umide, fanno sì che un ambiente ricco di diversità faunistica prenda vita. Qui si possono trovare il gatto selvatico, unico felino allo stato selvatico presente in Italia, la martora, il ghiro. Tra i rapaci si trovano le aquile, per le quali è attivo il telerilevamento nel nido, che permette di seguire il periodo che va dalla deposizione delle uova all'involo dei piccoli, e anche i grifoni, che sono stati reintrodotti da qualche anno, e circa dieci esemplari hanno già iniziato a nidificare. In tanti si avventurano sino alle Rocche del Crasto per osservare il volo dei rapaci. Nei boschi, allo stato naturale, vivono il cavallo sanfratellano e il suino nero dei Nebrodi, il re della tavola.
Paesaggio dei Nebrodi.
I rilievi della catena montuosa presentano un doppio aspetto: Monte Soro (la vetta più alta con i suoi 1847 metri) che presenta un territorio dolce con cime arrotondate e presenta rocce argillose ed arenacee; aspro, quello delle Rocche del Crasto (1315 metri sul livello del mare) che presenta rocce calcaree che connotano un paesaggio quasi dolomitico. I monti sono ricoperti da una vegetazione lussureggiante che si alterna nei diversi piani d'altitudine e comprende macchia mediterranea, querce e faggete. Per conoscere i Nebrodi esistono percorsi di diversa difficoltà. Provenendo dalla statale 289 Cesarò - San Fratello, all'altezza del Rifugio Villa Miraglia, è piuttosto agevole raggiungere la vetta di Monte Soro da cui è possibile ammirare un panorama sconfinato: il Tirreno, da cui emergono le Eolie; il profilo dell'Etna che si fonde a Sud con le ultime propaggini degli Erei che si mischiano alle Madonie; ed infine, ad Est, la Serra del Re. Chi ha voglia di immergersi totalmente nelle atmosfere del Parco, può percorrere i settanta chilometri della Dorsale dei Nebrodi. Per gli amanti del trekking, si compie un percorso in tre giorni che consente di scoprire l'Urio Quattrocchi, il Lago Maulazzo, il Lago Biviere, il Bosco di Mangalavite e, in mezzo, una natura rigogliosa alimentata da fiumare e torrenti che la solcano. Per qualunque informazioni si può contattare la sede del Parco.
Lago Maulazzo (Nebrodi) Per una conoscenza completa, non bisognerebbe tralasciare: il Lago Biviere, che in estate si colora di rosso grazie alla fioritura di una particolare alga; la Cascata del Catafurco (da Galati Mamertino) le cui acque precipitano da una parete alta circa 30 metri all'interno di una cavità detta Marmitta dei Giganti; il Lago Trearie (accessibile da Floresta e da Maniace) con i suoi 1435 metri sul livello del mare che rappresenta la zona umida più alta della Sicilia. Oltre all'aspetto naturalistico, l'elemento umano caratterizza in modo unico il Parco dei Nebrodi. La mano dell'uomo ha creato un paesaggio costruito in armonia con l'ambiente circostante; la pietra locale, squadrata a blocchi, è stata utilizzata per edificare città, monumenti, ricoveri di montagna, portali, stipiti, capitelli serviti ad adornare le abitazioni. Nel territorio sono presenti i segni del passaggio dei popoli diversissimi tra loro: dal Neolitico superiore ai giorni nostri. La sicana Krastos sorgeva sulle Rocche del Crasto; a Caronia si trovano i resti della sicula Kalè Actè; a San Marco d'Alunzio è ancora in ottime condizioni il Tempio greco di Ercole, trasformato successivamente in chiesa cristiana, i torrenti Caronia e Rosmarino che mostrano le arcate di ponti romani. L'arte figurativa dei bizantini è visibile nella chiesa di San Teodoro a San Marco d'Alunzio. Il castello di S. Filippo di Fragalà, tra Frazzanò e Longi è di origine normanna. Da non peredere, la visita alla Ducea di Nelson donata da Ferdinando III di Borbone all'ammiraglio Orazio Nelson nel 1799 (primo nucleo del 1173). Nel museo dei Nelson, fra i vari cimeli, la bottiglia e i bicchieri con cui l'ammiraglio brindò alla vittoria di Trafalgar.
Speciale Nebrodi - mimmorapisarda.it
Parlando di artigianato non si possono tralasciare le ceramiche di Santo Stefano di Camastra; i ricami a mano per tovaglie e lenzuola; le pezzare, tappeti e coperte realizzate su telaio con strisce di stoffa colorata. L'attività portante dei Nebrodi si fonda su un viaggio attraverso il gusto di una cucina sobria ed essenziale, nata in un tempo in cui non si sprecava nulla. Tra i formaggi bisogna citare la Provola dei Nebrodi, originaria di Floresta, prodotta artigianalmente con latte vaccino e dalla classica forma a pera, da appendere legata, dolce o piccantina a seconda della stagionatura. Di latte misto (vaccino-caprino) il canestrato dolce o piccante; la ricotta, preparata ancora con l'antica ricetta, che risale ai tempi di Omero, realizzata con latte di pecora, di vacca o misto e lattice di fico come innesto, da gustare fresca col siero, stagionata, salata, infornata. L'altro gusto dei nebrodi proviene dagli insaccati e dalle carni. Dal suino nero si ottengono il tipico Salame di suino nero e anche il Salame Sant'Angelo che gode del marchio Igp (Indicazione geografica protetta), la cui produzione ebbe inizio con i Normanni intorno all'XI secolo; le carni a grana grossa, ma soprattutto il micro-clima della vallata di Sant'Angelo (poco oltre l'area protetta), regala il migliore salame siciliano. Fra gli insaccati anche la fellata (condita col peperoncino caratterizza il salame di san Marco) e il Capocollo, con una variante affumicata. Sedendosi alla tavola di una delle barracche (i locali tradizionali) dei Nebrodi, si gusterà il gustosissimo antipasto del contadino: salame, pecorino e fave crude (se la stagione lo consente) da accompagnare con fette di pane casareccio e le conserve di funghi, pomodoro e melanzane. Tra i primi si potrà optare per maccheroni casarecci fatti amano (utilizzando il gambo del frumento) con sugo di carne di maiale conditi con pecorino o ricotta infornata ed alla pasta 'ncaciata (timballo di pasta con broccoletti e formaggio). I secondi propongono grigliate di castrato (coste di agnellone) e di maialino (salsiccia, involtino, costoletta, puntine) ed il capretto al forno o fritto con le patate. Tra i contorni non si possono tralasciare le grigliate di funghi di bosco e la provola fritta. Un vero e prorpio trionfo è la pasticceria. Oltre ai dolci della tradizione siciliana, si possono gustare il latte fritto (crema di latte addensata passata in uovo e pangrattato); le paste di pistacchio di Bronte; i buccellati (biscotti farciti di fichi, noci, pinoli, scorze di arancia).
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