Pomodori, zucchine, peperoni e melanzane di contorno, acciughe, orate, rombi e scorfani, arriva agosto e la tavola si arricchisce di gusto e salute. Per il dopocena c’è l’imbarazzo della scelta: pesche, fichi, anguria, melone e frutti di bosco.
Finalmente agosto. L'immagine romantica delle città semivuote, quella un po' meno romantica delle grandi file di macchine in uscita dai caselli autostradali, le spiagge affollate, le sagre di paese, la montagna, le stelle cadenti e i fuochi d'artificio per Ferragosto, sono il film della nostra vita. Aspettando le lacrime di San Lorenzo con un bicchiere di vino e la tavola imbandita, esprimeremo un desiderio. In questo periodo, nel nostro emisfero, il sole irradia più forte con i suoi raggi e la terra ne beneficia, regalandoci verdure e frutti straordinari. Ad agosto il nostro organismo ha smaltito completamente le tossine dell'inverno appena passato, mentre le vitamine A, B e C immagazzinate ci aiuteranno ad affrontare un altro inverno freddo e piovoso. Ma questo non avviene da solo, noi con la nostra alimentazione possiamo dare una mano. Come? Scegliendo i prodotti che la terra ci regala in questo mese, mangiando molta frutta di stagione come albicocche, cocomero, lampone, mele, meloni, mirtilli, more, pere, prugne, ribes, uva, uva spina, fichi e pesche. Frutto delizioso che ad agosto raggiunge il massimo delle sue proprietà. L’introduzione del pesco, così come dell'albicocco, in Europa viene attribuita ad Alessandro Magno a seguito delle sue spedizioni contro i Persiani. Consumate nel vino bianco rappresentano un fine pasto tradizionale, mentre in marmellate o sciroppate costituiscono un assaggio d'estate durante i lunghi inverni. Le pesche sono di moltissime le varietà, si distinguono per il colore della buccia e della polpa, le più comuni sono la pesca gialla, succosa e profumata, e pelle vellutata; labianca, con polpa bianca e più soda, le percoche, particolarmente idonee alla trasformazione, la tabacchiera, dalla forma schiacciata e molto saporita, e le nettarina o pesca-noce o nocepesca: a polpa gialla o bianca, dalla pelle liscia e rossastra. Tra le Nettarine quella di Romagna IGP, che presenta una forma tondeggiante più o meno appiattita a seconda della coltivazione, la polpa gialla o polpa bianca, dolce e succosa. La zona di produzione si estende a numerosi comuni in provincia di Bologna, Forlì-Cesena, Ferrara e Ravenna. La pesca poi ha tantissime qualità. Per la sua ricchezza di vitamine (soprattutto A, B1, B2, C e PP) e di oligo elementi (fosforo, potassio, magnesio, zolfo, ferro, manganese) aiuta ad eliminare le tossine, vince la tensione addominale, tonifica la vescica ed è un digestivo naturale. In questo periodo inizia la stagione dei fichi settembrini, dolci e irresistibili freschi, magari appena raccolti dall'albero, ma si sposano alla perfezione con il salato: con il prosciutto,con formaggi lievemente aciduli, o nei piatti di carne. Ma l'estate è soprattutto cocomero, o anguria che dir si voglia, dissetante e rinfrescante, è il perfetto alleato nelle giornate più calde, meglio lontano dai pasti, per la difficoltà che molti incontrano nel digerirlo. Si consuma fresco, in deliziose granite e sorbetti, o nel famoso gelo siciliano. Le verdure agostane? Sono: barbabietole, bietole, carote, cetrioli, cicorie, cipolle, coste, erbette, fagioli, fiori di zucca, indivie, lattughe, melanzane, peperoni, pomodori, porri, ravanelli, rucola, scalogno, sedano, spinaci, zucchine. Questo è il momento giusto per le conserve: passata di pomodoro, pelati, melanzane e zucchine sottolio che potranno accompagnarci per il resto dell'anno. a cura di Giancarlo Giugno
lattuga, radicchio, bietola, asparago, indivia, borragine, sedano, spinacio, rucola, catalogna, cavolo, basilico, bietola, spinaci, cardo, cicoria;
basilico, maggiorana, prezzemolo, santoreggia comune, cerfoglio.
MAGGIORANA, SCUDO ANTI-STRESS
La maggiorana cresce spontanea nei terreni più esposti al sole: i suoi fiori e foglie sono ricchi di proprietà utili a combattere lo stress e saporiti i piatti La maggiorana è una pianta aromatica universalmente nota: simbolo di felicità, serenità e fortuna, viene così descritta da un antico trattato: “È forse per la piacevolezza del suo odore che è pianta tanto grata alle donne, che non ve n’è quasi alcuna che non la pianti e curi con diligenza negli orti o in vasi… Il succo distillato aspirato per il naso purifica e conforta il cervello”. La maggiorana è un’erbacea dalle piccole foglie di forma ellittica e fiori a grappolo di colore bianco-rosato, appartenente alla famiglia delle Labiate e originaria del Medio Oriente. Nel Mediterraneo cresce spontanea o coltivata su terreni calcarei ben drenati ed esposti al sole, dal quale assorbe tutto il calore e l’energia vitale. La maggiorana non solo è un prezioso aiuto in cucina per dare un tocco in più ai nostri piatti, ma possiede anche qualità medicamentose utili per la salute. Della pianta si utilizzano le sommità fiorite e le foglie, raccolte in estate, le quali emanano un gradito aroma canforato e contengono un olio essenziale (ricco in terpeni), flavonoidi, tannini e oligoelementi. Ansia, agitazione, irritabilità, nervosismo, angoscia e soprattutto insonnia sono manifestazioni ben note dello stesso male: lo stress. La maggiorana è di grande aiuto e conforto, poiché ha un effetto riscaldante che rilassa, distende e armonizza. Il meccanismo che contribuisce a tali proprietà calmanti è la riduzione della pressione arteriosa ottenuta per vasodilatazione attraverso la regolazione dell’attività del sistema nervoso autonomo (inibizione del simpatico e stimolazione del parasimpatico) e per stimolazione della diuresi. La maggiorana favorisce, inoltre, il rilassamento muscolare e la regolazione dei livelli degli ormoni responsabili del nostro stato di serenità o di stress (adrenalina e serotonina). Anche il forte effetto sedativo fa sì che la maggiorana sia un toccasana contro l’ansia, l’insonnia, il nervosismo e l’eccitazione psichica. La maggiorana in cucina Digestione difficile? Mettete un pizzico di maggiorana sui piatti pesanti: pizze, frittate, carni. Oppure, condite con un olio medicato (50 g d’erba in un litro di olio extra vergine d’oliva, a macerare per 15 giorni) A tavola esalta pizze e insalate. In cucina si può usare la maggiorana fresca o essiccata; poiché sensibile al calore, va aggiunta a crudo o solo negli ultimi istanti di cottura, in modo tale da conservare integre le sue proprietà aromatiche ed organolettiche. È il condimento ideale per pizze, insalate miste, aceti e oli aromatici, primi piatti estivi, minestre, zuppe, uova e carne o pietanze che richiedono un aroma deciso ma delicato. Infuso, tintura e olio: stop alle tensioni Nei periodi di tensione la maggiorana sostiene il sistema nervoso senza sovraccaricarlo e risolve le somatizzazioni dello stress. Chiedete l’olio essenziale in erboristeria. L’erba secca si trova in erboristeria; fresca, dal fruttivendolo. - Infuso calmante: Se vi sentite nervosi e affaticati, mettete un cucchiaino di maggiorana secca in una tazza d’acqua bollente, lasciate riposare per 8-10 minuti, filtrate e bevete. La dose ideale è di due-tre tazze al dì. - Olio essenziale antinsonnia: Prendetene 4-6 gocce su una zolletta di zucchero un’ora prima di coricarvi. L’aroma dell’olio essenziale di maggiorana manda in fumo il mal di testa Quando si è sotto pressione, il mal di testa è uno dei disturbi più comuni. La maggiorana, grazie al suo effetto rilassante, è in grado di risolvere il problema, aumentando così i livelli di attenzione e concentrazione. Ideale un massaggio al centro della fronte con una goccia di olio essenziale. Quando la cefalea si accompagna a sinusite o raffreddore, sono consigliabili i fumenti con l’infuso ancora bollente: aspirate l’aroma dell’erba per 20 minuti, coprendo il capo con un asciugamano. Che benefici per reumi e muscoli! A volte lo stress dà origine a fastidiose contratture muscolari o peggiora i dolori reumatici preesistenti. Le frizioni o i bagni alla maggiorana, oltre a rilassare, sviluppano un effetto tonificante e rivitalizzante: Frizioni antireumatiche: Sciogliete 10-20 gocce di olio essenziale di maggiorana in 100 ml di alcol e massaggiate il preparato sulle articolazioni dolenti. bagni anticontratture: Aggiungete all’acqua del bagno 10 gocce di essenza, oppure l’infuso (ottenuto con due manciate di erba in un litro d’acqua). Immergetevi per almeno 10 minuti, massaggiando la muscolatura. http://www.riza.it/benessere/sos-salute/3270/la-maggiorana-scudo-anti-stress.html
fava, pisello, fagiolo, lenticchia, cece, cicerchia, lupino
CECI NERI
Il cece nero è un ecotipo di cece di origini antichissime (direttamente derivante dalla domesticazione di forme spontanee di specie appartenenti al genere Cicer), da molti sconosciuto. La coltivazione del cece nero in azienda è iniziata, come per altre colture per la curiosità ed il gusto per la novità, quasi per gioco nel 2009. Dopo aver acquistato dei terreni con annesso fabbricato ed aver ritrovato pochissimi semi (non più di dieci) di questo particolare legume all’interno di una cassapanca, ho deciso di seminarli per verificarne la germinabilità ed i possibili risultati produttivi. La semina e le meticolose cure destinate alla coltivazione di questi pochissimi e “preziosi” semi ha permesso di ottenere la prima modestissima produzione che sempre utilizzata per intero negli anni successivi ha portato a realizzare, nella scorsa annata (2013), una produzione di circa 4,5 kg di prodotto (tutto riseminato) al fine di giungere nell’anno in corso alle prime prove di commercializzazione del prodotto. Le ricerche storiche e culturali hanno di pari passo permesso di evidenziare che il cece nero aziendale proviene da un ecotipo locale in passato utilizzato dalle famiglie contadine per l’ottenimento di piccole produzioni destinate all’autoconsumo (come la maggior parte delle produzioni agricole realizzate fino all’inizio degli anni ’50) e non al mercato.Il cece nero, caratterizzato da una bassissima ed incostante produzione, è stato negli anni (soprattutto dal secondo dopoguerra in poi) soppiantato e sostituito nella coltivazione da altre varietà a seme chiaro (interessate da selezione e miglioramento genetico) sicuramente molto più produttive anche per la maggiore resistenza alle più comuni avversità. Il cece nero (Cicer arietinum L.), per i caratteri botanici, tra cui: il colore del seme e del fiore, la dimensione e le forme angolose/spigolose del seme, il portamento della pianta, la bassa produttività e l’elevata suscettibilità alle avversità ambientali, può essere ascritto al raggruppamento dei ceci “desi” (prime forme di ceci addomesticate dalle forme selvatiche e coltivate dalle quali si sarebbero originati, forse per mutazione naturale, i ceci della tipologia “Kabuli”, caratterizzati da semi più grandi a forma di testa d’ariete e di colore chiaro. La bassa statura della pianta, il portamento “semiaperto” (non eretto) non consentono la meccanizzazione delle varie operazioni colturali, pertanto, ancora oggi (come nel passato), risulta necessario l’intervento manuale per l’esecuzione delle varie pratiche agronomiche (dalla semina, alla mietitura e raccolta in covoni, fino alla trebbiatura del prodotto). Il seme di colore nero, si presenta angoloso-rugoso, richiama nell’aspetto i piccoli frammenti di pietra lavica emessi dall’Etna durante le fasi eruttive esplosive che spesso caratterizzano l’attività vulcanica del nostro “Mongibello” (come spesso viene comunemente appellato il vulcano). http://www.leonforteagricola.it/index.php/inostriprodotti/cece-nero-di-leonforte
5 ERRORI DA EVITARE CON I BORLOTTI
Al mercato si riescono a trovare ancora gli ultimi borlotti nel baccello, e certo non me li potevo far scappare. Ancora poco, poi tornerà il momento di quelli secchi che, insieme a cannellini, fagioli dall’occhio e compagnia riempiranno la stagione fredda di contorni e zuppe fumanti. Come potete immaginare, quelli in scatola non li calcolo: troppo cotti (come sempre le verdure in lattina) e poco saporiti per i miei gusti. A dire il vero, anche sciupare quelli freschi o secchi a volte è questione di dettagli nella preparazione o nella cottura. Ecco quali sono, e come evitare di sbagliare. 1. Calcolare male le dosi. I fagioli freschi nel baccello hanno molto scarto, quasi il 50 per cento. Questo significa che da mezzo chilo di fagioli da sgranare ne otterrete circa 250 g da cuocere. Succede la stessa cosa anche con gli altri legumi, come piselli e fave (di queste si scarta persino un 10-15 per cento in più): ricordatevelo quando saranno nuovamente di stagione, a primavera. Tornando ai fagioli, calcolate circa 100 grammi a persona per un contorno, 50-60 per una pasta e fagioli. Per quelli secchi, dimezzate le quantità perché con l’ammollo (una notte, in acqua fredda) raddoppieranno grossomodo il loro peso. 2. Mettere poca acqua, o troppa. I fagioli freschi si cuociono coperti a filo di acqua inizialmente fredda, quelli secchi con acqua che li sopravanzi di un dito o due. In entrambi i casi se l’acqua, man mano che cuociono, si consuma (più facilmente con quelli secchi, dalla cottura lunga e che se ne “bevono” di più) potete aggiungerne altra, già bollente. Unite subito gli aromi: rosmarino, aglio, salvia, alloro sono i più comuni. Non il sale, che andrà regolato verso la fine per evitare che le bucce si spacchino. A proposito di bucce, molti rimedi “della nonna” consigliano di aggiungere una presa di bicarbonato per ammorbidirle, mentre i macrobiotici preferiscono un pezzetto di alga kombu che pare avere questa capacità. Perché vi dico di non mettere troppa acqua? Perché il brodetto che si ottiene a fine cottura, se non eccessivamente diluito, potrà essere usato nella preparazione di minestre e passati. 3. Cuocerli eccessivamente. La cottura dei fagioli deve avvenire a fuoco lento, lentissimo. Io amo usare la pentola di coccio, ma va bene qualunque casseruola a fondo spesso, magari con una retina spargi fiamma perché il bollore, una volta raggiunto, sia appena accennato. I tempi si calcolano dall’ebollizione. I legumi freschi cuociono in 20-30 minuti, quelli secchi in genere in un’ora abbondante o anche due, ma dipende dalla durata dell’ammollo e dalla loro età: più a lungo sono stati a bagno, meno staranno in pentola; più sono vecchi, più ci metteranno tempo. Se non vi ricordate da quando li avevate in dispensa, controllate la data di scadenza: in genere, hanno una durata di 12-18 mesi, quindi se stanno per scadere è probabile che abbiano soggiornato nei vostri stipetti per un bel po’. Regolatevi di conseguenza. Freschi o secchi, i fagioli cotti a puntino conservano ancora la loro forma, la buccia non è raggrinzita e i legumi non sono spaccati. Se avete superato l’attimo, non vi resterà che farne un passato. Non occorrono grandi ricette per assaporare i fagioli. Cotti e scolati, sono buoni già così, ancora tiepidi, con olio, sale e pepe generoso. Oppure, potete ripassarli in padella, per esempio con una dadolata di guanciale o pancetta, un po’ di polpa di pomodoro e un trito di rosmarino o salvia fresca. Freddi, sono perfetti in insalata con la cipolla cruda e/o un buon tonno sott’olio. A casa mia vige anche la curiosa abitudine di metterli al naturale in una coppetta e spiluccarli, bevendo un buon bicchiere di vino, come fossero olive o noccioline, nell’attesa che venga pronta la cena. 5. Frullarli in pentola. Per ricette appena più elaborate, come passatine, creme, paste e fagioli, i legumi devono essere ridotti, tutti o in parte, in purea. Posto che, se le bucce fossero molto spesse, sarebbe meglio usare un passaverdura che le trattenga, il sistema più pratico resta il frullatore a immersione. Però, usandolo direttamente in pentola, con tutto il brodo di cottura, se sbagliate i calcoli rischiate di ottenere una consistenza troppo lenta. Meglio trasferire i fagioli nel bicchiere e dosare il liquido di cottura poco per volta, alternandolo a un filo d’olio, man mano che frullate: potrete così controllare la giusta densità, o comunque quella che preferite. Naturalmente, se il liquido fosse poco, è possibile allungarlo con il brodo vegetale che tutti voi avete sempre a portata di mano, lì che borbotta su un angolo del fornello… Non è così? Piuttosto che rovinare tutto con un brodo di dado, io preferisco diluire, se serve, con semplice acqua. Ma la scelta è vostra. Francesca Romana Mezzadri http://www.dissapore.com/grande-notizia/5-errori-da-non-fare-fagioli/
ortaggi da frutto: cetriolo, carosello, zucchina, zucca, peperone, melanzana, fagiolino, pomodoro;
IL CETRIOLO Ci sono cetrioli e cetrioli Frutto dell'omonima pianta erbacea (Cucumis sativus) della famiglia delle Cucurbitacee, il cetriolo è originario dell'Asia. Questo ortaggio tipico dell'estate possiede numerosissime varietà dal Dosakai indiano al Bianco di Parigi e al Verde lungo d'Italia. Il cetriolo è ricco di acqua (oltre il 96%) e contiene mucillagini e steroli vegetali (anticancro e anticolesterolo, soprattutto se mangiato con la buccia che contiene queste benefiche sostanze in gran quantità). Nel cetriolo è inoltre presente una sostanza importantissima per chi vuole dimagrire: l'acido tartarico, che fa sì che una parte dei carboidrati ingeriti nello stesso pasto, e non immediatamente utilizzata, non si trasformi in adipe, ma venga eliminata dall'organismo attraverso le feci. Grazie al loro contenuto di silicio, i cetrioli possono anche contribuire ad alleviare i sintomi della fibromialgia e della sindrome da stanchezza cronica. I cetrioli svolgono poi un ruolo fondamentale nella prevenzione della ritenzione idrica e della cellulite, che spesso affliggono le donne: consumare cetrioli in insalata, soprattutto durante i giorni del ciclo mestruale, può essere un ottimo antidoto al gonfiore tipico della ritenzione idrica e alle tossine che si accumulano nei vari distretti dell'organismo a causa della difficoltà a eliminare i liquidi in eccesso. Contenuti del cetriolo - Kcal/100 g: 14 - Grassi: 0,5 g - Proteine: 0,7 g - Glucidi: 1,8 g - Fibre: 0,8 g - Colesterolo: 0 - Vitamine: tiamina (vit. B1) 0,02 mg; riboflavina (vit. B2) 0,03 mg; niacina (vit. B3) 0,60 mg; acido folico (vit. B9) 9,00 mcg; vit. A tr.; vit. C: 11 mg. - Sali minerali: sodio 13 mg; potassio 140 mg; ferro 0,3 mg; calcio 16 mg; fosforo 17 mg; zinco 0,1 mg.
Il cetriolo in cucina Il cetriolo viene consumato principalmente crudo. Poiché contiene acqua di vegetazione amarognola, una volta tagliate le due estremità del cetriolo, prenderne una, immergerla nel sale marino integrale e strofinarla sull'estremità dalla quale è stata tolta con movimenti circolari; si formerà una piccola quantità di schiuma: togliendo la schiuma, verrà eliminata anche la sostanza amara. Salsa di cetriolo e yogurt 1 yogurt bianco intero; 1 grosso cetriolo, pelato, privato dei semi e grattugiato; sale; un cucchiaino di garam masala (oppure un mix di pepe nero, cardamomo, cannella, chiodi di garofano, coriandolo essiccato, noce moscata, curcuma e semi di finocchio macinati); una manciatina di foglie di menta fresca. Metti in una ciotola il cetriolo grattugiato e strizzato bene per eliminare l'acqua, lo yogurt, le spezie e lascia riposare per un'ora in frigo per amalgamare i sapori. Trita la menta, versala sulla preparazione e servi in tavola. Consigli per l'acquisto: quelli piccoli hanno meno semi È bene scegliere cetrioli con buccia lucida e ben tesa, non raggrinzita. Le due estremità devono essere sode, non mollicce. Anche la grandezza del frutto è un buon criterio per valutare la qualità del prodotto: cetrioli troppo piccoli o troppo grandi possono infatti essere, rispettivamente, indice di scarsa ed eccessiva maturazione. I frutti di dimensione maggiore sono inoltre più ricchi di semi. http://www.riza.it/dieta-e-salute/cibo/2542/cetrioli-diuretici-e-aiutano-a-dimagrire.html
IL PEPERONE Il peperone (Capsicum annum L.), originario della zona centrale del Sudamerica, fu introdotto in Spagna tra la fine del XV sec. e l’inizio del XVI sec., diffondendosi successivamente nelle zone mediterranee. Le regioni meridionali dove prevalentemente è attuata la coltura sono: Puglia, Campania, Calabria e Sicilia. In Sicilia la coltivazione avviene in coltura di pieno campo, anticipata e posticipata, e in serra per produzioni extrastagionali. I suoi frutti (bacche) ricchissimi di vitamine, si usano cotti o crudi, conditi in diverse maniere, oppure essiccati e macinati come condimento piccante (paprika) d’alcune vivande. Le cultivar si distinguono per le particolari caratteristiche del frutto che può essere dolce o piccante, di piccolo o grande volume, di forma cuboide, conica più o meno regolare, piramidale, allungato o breve, di colore rosso, giallo, verde, bruno o scuro.
Le varietà piccanti che, com’è noto, si consumano di preferenza essiccate e per condimenti, sono più ricche di vitamine delle altre, tanto che raggiungono valori 300 volte maggiori di ciascuno degli altri ortaggi coltivati. I peperoni vengono piantati d’inverno, tra l’inizio di gennaio e la fine di febbraio. Le piante vengono poi trapiantate tra la fine di aprile e maggio. I frutti si raccolgono a partire dalla fine di giugno, quando si raccolgono quelli verdi. La raccolta prosegue per tutta l’estate, anche fino ad ottobre. In erboristeria il peperone è utilizzato nella preparazione di rimedi digestivi, antireumatici, antinevralgici e addirittura contro le emorroidi. La bacca ha un valore nutritivo interessante quale sorgente di vitamina A e C per cui possiede anche proprietà antiscorbuto. http://www.colturedisicilia.it/peperone/
Le più apprezzate per il consumo allo stato fresco sono così suddivise: A frutto dolce:
La festa in onore del patrono San Francesco si svolge la seconda domenica di settembre, nel piazzale antistante l’omonima Chiesa, a circa un chilometro dall’abitato. Alla festa religiosa è ormai associata la famosa “Sagra del Peperone”, che conclude i festeggiamenti in onore di San Francesco. E' una festa popolare molto attesa, con un misto di sacro e profano, una interpretazione di fede che sgorga spontanea dal profondo di un’anima popolare, semplice e genuina. Attualmente la festa si svolge in una cornice campestre, dove al rientro del simulacro in chiesa, segue una scorpacciata collettiva di peperoni fritti, patate bollite e uova sode, innaffiati da ottimo vino locale. Il tutto è rallegrato dalla banda musicale del paese e dai classici giochi campestri molto partecipati. Attorno alla rupe gessosa, conosciuta con il nome di Monte San Paolino, quasi a rappresentare un colliere di pietre antiche, è dislocata, la blasonata città, demaniale, di Sutera (CL). Un paese con case ammonticchiate le une sulle altre, tra le quali si articola un dedalo di viuzze in pietra lavica e calcarea.
Una struttura urbanistica di tipo medievale che ingloba fabbricati vecchi e nuovi, amalgamando armonicamente i colori del gesso con quello dei materiali da prospetto più recenti.
Per ulteriori informazioni:
Il pomodoro è una Solanacea originaria dell’America sud-occidentale (Cile, Ecuador, Perù) che solo agli inizi del 1800 cominciò ad essere impiegata in Italia come condimento e che, alla fine dello stesso secolo, iniziò ad essere trasformata industrialmente. La pianta raggiunge altezze che arrivano fino a 2 metri.
Le sue foglie sono lunghe e con un lembo profondamente inciso. I fiori si presentano a grappoli e sono distribuiti lungo il fusto e le ramificazioni. La coltivazione del pomodoro in Italia ha un’estensione totale di circa 134.500 ettari. Di questi circa 127.500 ettari sono coltivati in pieno campo e circa 7.000 ettari come coltura protetta. Nella coltivazione in pieno campo, si stima che le produzioni destinate al consumo fresco siano circa del 20-25%, invece la produzione industriale – destinata all’industria conserviera – è pari a circa il 75-80 %. Tuttavia, le regioni mediterranee e la Sicilia in particolare (con coltivazioni in pieno campo su un’estensione di 6.000 ettari e in serra su 3.200 ettari) restano la culla dell’eccellenza produttiva. Le peculiari condizioni ambientali condizionano significativamente la qualità, la tipicità e la salubrità dei prodotti. In Sicilia il pomodoro è coltivato sia all’aria aperta che in ambiente protetto. La produzione di pomodoro in serra è concentrata prevalentemente nella provincia di Ragusa, nei comuni di Vittoria, Ispica, Acate, Ragusa, Scicli e Santa Croce Camerina. I frutti del pomodoro hanno la seguente costituzione media: polpa e succo 95-96%, buccia 1-2%, semi 2-3%. Tre le forme: costoluto, tondo liscio ed allungato. In genere, la raccolta dei pomodori si effettua tra i mesi di luglio e settembre. A seconda della varietà, il pomodoro può venire raccolto al raggiungimento di vari gradi di maturazione. Di solito la raccolta dei pomodori da insalata viene fatta quando essi sono ancora piuttosto verdi e comunque non completamente rossi, mentre quelli destinati alla preparazione di sughi e salse saranno raccolti a completa maturazione e al raggiungimento di un bel colore rosso marcato. Il pomodoro è un alimento leggero, rimineralizzante, dissetante, ad alta densità nutrizionale e ricco di sapore, quindi con un ottimo equilibrio nutrizionale. Povero di calorie e ricco di sostanze antiossidanti, combatte la ritenzione dei liquidi, la stanchezza, i crampi, la debolezza muscolare e l’ipertensione. Preserva la salute di ossa e denti, dà equilibrio al sistema nervoso, evita l’irritabilità e alcune forme di mal di testa. Grazie al suo sapore acidulo, il pomodoro stimola le secrezioni dell’apparato digerente e favorisce la buona assimilazione di quel che si è mangiato. Oltre che di vitamina B e C, è un’ottima fonte di vitamina C, facilita l’assorbimento del ferro e contribuisce alla produzione dell’emoglobina e dei globuli rossi nel midollo osseo.
note tratte da www.saporidipachino.it
IL RIZZO CATANESE Sebbene proveniente dalla regione francese che gli dà il nome, anche il Marmande può essere considerato un ecotipo locale. Il frutto è di pezzatura medio-grossa, schiacciato, con le tipiche costolature molto evidenti e una collettatura verde molto marcata. La polpa è spessa, poco acquosa e dolce. Vista la scarsa consistenza e la limitata resistenza post-raccolta, i frutti vengono raccolti e venduti a inizio invaiatura.Il Marmande è uno dei pomodori più gustosi in assoluto. Ne esistono moltissime varietà, che vengono commercializzate con nomi come Merinda, Marmandino e perfino RAF. Le differenze fra le varietà sono poche nell’aspetto, ma rilevantissime nel gusto. In tutto il mondo si cerca di migliorare, ma il più saporito Marmande è tuttora quello prodotto nel sud della Sicilia, in una stretta lingua di terra fra Pachino, Marzameni, Portopalo. Qui la speciale composizione del terreno vulcanico, ricco di sali minerali, il regime dei venti, tipico di quella zona, permettono la produzione, da febbraio fino all’inizio di maggio, di una vera prelibatezza. Ma non è da meno la varietà Beef, assonanza per la sua grandezza simile alla bistecca americana ovvero il Rizzo (Rizzu) Catanese, che si coltiva in quasi tutta la Piana di Catania soprattutto fra Adrano, Belpasso, Biancavilla e Bronte. Nei mercati popolari catanesi abbonda in estate e questo prodotto orticolo è riconoscibile dall'aspetto corpulento e rosso, con strane costolature da farlo sembrare un rospo. Si fa perdonare per l'eccellente sapore, così dolce da non farci pentire per averlo scottato per quasi un'ora nella pentola.
MELANZANA VIOLA (varietà Seta)
Pianta erbacea annuale della famiglia delle Solanacee con radice fittonante e fusto eretto, rigido e ramificato, un po’ spinoso che raggiunge circa 70-80 cm, foglie lobate, fiori solitari ascellari, violetti, anch’essi un po’ spinosi. I frutti sono bacche, violacee, o bianche, di forma tonda, oblunga od ovoidale, con la parte superiore avvolta in un calice. La superficie è lucente, liscia o a costole. Grandezza, forma e colore si differenziano a seconda della varietà. La parte edibile è costituita dai frutti dotati di buccia spessa e polpa carnosa di colore biancastro. Fra le varietà più diffuse ricordiamo la Gigante bianca di New York, la Precoce di Barbentane, la Violetta lunga di Napoli, la Violetta tonda. Le melanzane vengono consumate sia tagliate a fette che a dadi, cotte, sia grigliate che fritte, impanate o lessate. Spesso questo ortaggio entra in ricette elaborate come ad esempio melanzane alla parmigiana, o melanzane ripiene. Predilige climi temperati o caldi, e soffre il gelo. Viene coltivata, in semenzaio riscaldato, nel sud Italia in gennaio-febbraio, al centro-nord in marzo. Quando le piantine hanno raggiunto 6-7 cm di altezza ed hanno emesso la quinta foglia, si trapiantano in vivaio, in terreni poco profondi, di medio impasto o sabbiosi, ricchi di sostanze organiche e dopo 2 mesi si piantano nell'orto alla distanza di 50 cm sulle file e 70 cm tra le file. L’irrigazione del terreno deve essere costante. La raccolta si effettua da giugno in quando i frutti non sono del tutto maturi e si protrae fino a Settembre. http://www.ilgiardinodellemeraviglie.it
LE PRINCIPALI VARIETA' SICILIANE PRESENTI AI MERCATI
ortaggi da bulbo: cipolla, aglio, scalogno, porro, cipollotto.
CIPOLLA DI GIARRATANA
Giarratana, piccolo centro in provincia di Ragusa, è divenuta famosa in tutto il mondo per la coltivazione di cipolla dolce, proprio la cosiddetta l“cipolla di Giarratana”. Il colore bianco, la dolcezza, la forma ovale-schiacciata e le grosse dimensioni (dai 600 gr ai 3 kg) costituiscono gli elementi distintivi della cipolla giarratanese, divenuta così, unica al mondo. I terreni del territorio ibleo si presentano calcarei e, arricchiti di sostanze organiche, diventano humus fertile per la coltivazione di questo particolare ortaggio. La coltivazione si effettua rigorosamente in maniera biologica e inizia nel periodo invernale con la concimazione del terreno per mezzo di escrementi bovini; successivamente vengono inserite le piantine che vanno irrigate fino al periodo che precede la raccolta, ossia nei mesi Luglio e Agosto.
Bisogna, però, aspettare che le cipolle siano ben asciutte prima di espiantarle dal terreno così, qualche giorno prima della raccolta, viene sospesa l’irrigazione. Nell’arco di questo breve periodo, i contadini pregano il buon Dio che non arrivino piogge o temporali estivi capaci di annullare il raccolto. La cipolla di Giarratana è ricca di vitamina C, glucochinina – un ormone vegetale con azione antidiabetica – e numerosi fermenti utili alla digestione. L’utilizzo della cipolla giarratanese, infatti, non si limita all’ambito culinario, ma interessa anche quello terapeutico: si utilizza, in questo ambito, anche come disinfettante, antibatterico e antinfiammatorio; il succo è utilizzato inoltre come diuretico. Facilita, inoltre, la circolazione sanguigna e apporta benefici all’intero sistema cardio-circolatorio. La valorizzazione della cipolla giarratanese è iniziata nel 1978 quando un gruppo parrocchiale decise di organizzare, in prossimità della festa di San Bartolomeo, la Sagra della Cipolla. A distanza di anni, la Sagra – che si svolge il 14 Agosto di ogni anno – richiama migliaia di persone provenienti da ogni dove, diventando l’occasione per propagandare questo particolare ortaggio, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. La cipolla di Giarratana è stata inserita nella lista P. A. T. ossia dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani e Presidio Slow Food. Alessia Giaquinta http://www.europamediterraneo.it/la-cipolla-di-giarratana/ Per maggiori informazioni: Comune di Giarratana Tel. 0932.974311 - www.comunegiarratana.gov.it
LA CIPOLLA PAGLINA di Manuela Zanni Il Comune di Castrofilippo, in provincia di Agrigento, è noto per la produzione di una particolare varietà di cipolla, detta paglina, al punto che i suoi abitanti sono detti “cipuddari" che in dialetto significa coltivatori di cipolle. Si tratta di una varietà di cipolla dolce caratterizzata dalle dimensioni notevoli che variano da un minimo di 500 grammi fino a raggiungere oltre 2 chili, con bulbi dalla forma arrotondata di colore che va dal bianco al giallo paglia da cui prende il nome. Questo tipo di coltivazione sembra risalire al periodo borbonico nel 1844. Nonostante il tempo trascorso, tuttavia, i criteri di coltivazione sono rimasti pressocchè identici: si semina a settembre in semenzaio per trapiantare a mano le piantine ottenute già dal mese di novembre con una densità di circa 20 bulbi per metro quadrato. La coltivazione è effettuata nel pieno rispetto della tradizione con l'eliminazione manuale dellle erbe infestanti con la zappatura e, all’occorrenza, si effettuano delle irrigazioni di soccorso. Tutto il resto è affidato alla natura e alla qualità dei terreni. Nella cucina locale la cipolla paglina di Castrofilippo rappresenta l' ingrediente base per di alcune prelibatezze locali come: la “Cipuddrata", la “Mpanata di Cipuddra", la “Cipuddra a furnu". Grazie alla sensibilizzazione e promozione del prodotto da parte dell' Amministrazione comunale, dal 15 dicembre 2015 la cipolla paglina è divenuta presidio Slow Food. Oggi la sua coltivazione è affidata all’Associazione dei Produttori Cipolla Paglina - Castrofilippo, che promuove, valorizza e commercializza non solo il prodotto fresco ma anche i trasformati. "Obiettivo dell'associazione - spiega Andrea Inzalaco, uno dei produttori associati - è conferire il giusto riconoscimento ad un ortaggio che da anni viene apprezzato come prodotto fresco ma che spesso è stato messo da parte per altre varietà che presentano una maggiore conservazione portando i produttori quasi ad abbandonare la sua coltivazione. Con i nostri prodotti lavorati come confetture, salse e patè vogliamo dimostrare che questo ortaggio ha una elevato impiego e anche un'alta consevabilità". Dall'impegno profuso dagli associati deriva un prodotto il cui gusto, freschezza e impiego ripaga degli sforzi necessari per coltivarlo in una filosofia di pieno rispetto della biodiversità. http://www.cronachedigusto.it/archiviodal-05042011/332-il-prodotto/21254-2017-02-06-17-28-54.html
LA PESCA DI LEONFORTE
La Pesca di Leonforte IGP designa il frutto allo stato fresco prodotto dalla coltivazione di due ecotipi locali di pesco: Bianco di Leonforte e Giallone di Leonforte. La coltivazione può essere condotta con metodo convenzionale, integrato o biologico. Le forme di allevamento ammesse sono quelle “a vaso semplice”, “vasetto ritardato”, “tatura trellis”, “Y trasversale” e “fusetto”, che garantiscono la corretta esposizione ai raggi solari e agevolano le operazioni colturali. è ammessa la potatura sia in inverno che in estate, mentre il diradamento deve essere eseguito entro maggio, prima dell’insaccamento dei frutti. Entro e non oltre il mese di luglio la drupa deve essere protetta mediante l’uso di un sacchetto di carta pergamenata. La tecnica d’irrigazione utilizzata è quella a goccia o per aspersione. A partire dalla prima decade di settembre ha inizio la raccolta dei frutti, che si protrae fino alla prima decade di novembre. Le drupe devono essere raccolte a mano evitando l’operazione nelle ore più calde della giornata e l’esposizione diretta al sole dei frutti raccolti. Cura particolare dovrà essere prestata alla separazione del frutto dal ramo, che deve avvenire senza provocare danni al peduncolo. Dopo la raccolta, il prodotto può essere refrigerato a temperatura compresa tra 0,5 e 4,5°C per un massimo di 20 giorni. La Pesca di Leonforte IGP presenta forma globosa e polpa aderente al nocciolo. L’ecotipo Bianco di Leonforte presenta buccia di colore bianco con striature rosse non sempre evidenti e polpa bianca. L’ecotipo Giallone di Leonforte presenta buccia di colore giallo con striature rosse non sempre evidenti e polpa gialla. La zona di produzione della Pesca di Leonforte IGP comprende i comuni di Leonforte, Enna, Calascibetta, Assoro ed Agira in provincia di Enna, nella regione Sicilia. La Pesca di Leonforte IGP gode da tempo di una notevole reputazione, dovuta alle qualità del prodotto quali durezza e maturazione tardiva. Ma fondamentale è stato da sempre il lavoro dell’agricoltore, che col tempo si è specializzato affinando sia le tecniche di coltivazione che le altre fasi specifiche dell’attività, come quella dell’insacchettamento della pesca. La vendita di questo prodotto ha portato ad un miglioramento del tenore di vita degli operatori locali. Da circa venti anni, infatti, la Pesca di Leonforte rappresenta un motore importante per l’economia locale. A questo prodotto è dedicata una Sagra annuale, nata nel 1982 per favorirne la promozione e la valorizzazione. La Pesca di Leonforte IGP, raggiunto il giusto grado di maturazione, può essere conservata in frigorifero per qualche giorno. Se non ancora matura, può essere mantenuta a temperatura ambiente, in un sacchetto di carta, per 2-3 giorni circa, fino a completa maturazione. Queste pesche possono essere gustate fresche in ogni momento della giornata oppure sciroppate, ma anche come ingrediente di dolci, gelati e macedonie. Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Pesca di Leonforte IGP, nelle varietà: Bianco di Leonforte e Giallone di Leonforte. Le categorie commerciali sono Extra e Prima. è commercializzato, da settembre a novembre, in cassette o in scatole di cartone o di legno, o in ceste di vario formato di capacità compresa tra 0,5 e 6 kg. Ogni confezione deve contenere frutti della stessa varietà, categoria, calibro e grado di maturazione. Nota distintiva La Pesca di Leonfonte IGP è caratterizzata da una maturazione tardiva e per questo detta "Settembrina", oltre che dalle caratteristiche specifiche delle varietà, anche da una particolare pratica di coltivazione: l’uso obbligatorio del sacchetto di carta pergamenata, con cui avvolgere la drupa nella fase in cui raggiunge la dimensione di una noce. Ciò consente al prodotto di arrivare sui mercati quando altre varietà di pesche sono generalmente già esaurite. http://www.qualigeo.eu/prodotto-qualigeo/pesca-di-leonforte-igp/
PESCA DI DELIA Varietà: diverse - Comuni interessati: Delia, Canicatti, Riesi, Sommatino, Naro Superficie coltivata Ha Stimata circa 700 ha Produzione Q.li/ha circa q.li 350 - Produzione totale Q.li - circa 250.000 q.li
Si tratta di varietà medio tardive di pesco e nettarine (a buccia liscia) e polpa gialla molto profumata e croccante. Viene coltivata in terreni profondi ed irrigui. Vengono coltivate circa 20 varietà di pesche, 16 di nettarine e 1/2 parcoche. Le tecniche agronomiche hanno ragginuto livelli di specializzazione soddisfacenti specie nel trattamenti anticrittogamici e contro gli insetti. Una cura particolare viene attribuita alla scelta e calibratura dei frutti e al packacing. Alcuni frutti possono raggiungere il peso di gr. 200/300. Molte aziende agricole effettuano la raccolta in 2 stacchi; tuttavia diverse aziende agricole, specialmente quelle che possiedono proprie strutture di lavorazione, effettuano la raccolta anche in 3-4 stacchi. Punti di Forza: discreta presenza di centri di condizionamento; avvio di richiesta della IGP, buona presenza di nettarine particolarmente gradite dai conumatori nazionali. Epoca di produzione - giugno - settembre
AZIENDE PRODUTTRICI Az agr. Corbo Sebastiano di Delia, dotata di struttura di lavorazione, per la produzione aziendale, contrada Cardé-Ramilia, Az. agr. "La Deliana" di Borzellino Diego di Delia, Az. agr. Bonsignore Giuseppe, dotata di struttura di lavorazione sita in contrdada Gebbiarossa (CL), Az. Agr. Guadagnino Antonio Canicattì, Az. Agr. Luigi Di Franco Canicattì, Az. Agr. Lauria Gioacchino Canicattì http://www.projetcq.eu/index.php/it/produzioni/96-pescadidelia
ANGURIA o COCOMERO
Chiamata anche cocomero o melone d'acqua, in botanica prende il nome di Citrullus lanatus. La pianta La pianta appartiene alla famiglia delle Cucurbitaceae ed è un'erbacea annuale. Presenta un fusto "strisciante" e peloso. Produce molti frutti, anche cento per pianta, tutti di grandi dimensioni, dalla forma ovale o tonda e molto pesanti, tanto da poter raggiungere anche i 20 kg. Il cocomero o anguria, frutto della pianta, ha una corteccia piuttosto dura e in genere non edibile, dal colore verde acceso striato o maculato con chiazze bianche o gialle. Il periodo in cui l'anguria giunge a maturazione va da giugno a settembre. Principalmente si distingue in due varietà principali, Anguria Crimson Sweet, quella più diffusa in Italia è la Sugar Baby.
http://www.alimentipedia.it/anguria.html
3 trucchi per capire se un'anguria è matura Un'anguria pronta per essere affettata avrà una macchia giallo pallido sulla buccia. Questa indica, infatti, che il frutto è stato lasciato maturare a terra al sole. Se il 'marchio' non c'è è meglio non rischiare. Il peso Un'altra caratteristica da non trascurare è il peso. Se l'anguria è davvero pesante allora sarà buona. Più pesante è, meglio è… Bussare Certo, gli altri clienti del negozio potrebbero guardavi come se foste pazzi, ma ne varrà la pena. Un rumore sordo suona più come un 'buttare': in altre parole, significa che il frutto non è poi così buono.
ANGURIA DI SIRACUSA o Zuccherino
E' una pianta (Citrullus lanatus) della famiglia delle cucurbitaceae. Il frutto, chiamato in siciliano muluni o mellone, è un prodotto tradizionale siciliano inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Il frutto ha una forma ovale allungata con una buccia che alterna striature verde chiaro e verde scuro. L'interno presenta una polpa rossa, soda e croccante in cui sono presenti i piccoli semi di colore marrone scuro o neri. A maturazione l'anguria di Siracusa pesa fra i sette e i dieci chili. È uno dei frutti più dissetanti in assoluto grazie all'altissima percentuale d'acqua contenuta (95,3 per cento). Il sapore dolce per cui è famosa l'anguria di Siracusa, non dipende dagli zuccheri ma da particolari e caratteristiche sostanze aromatiche. È un frutto con una buona presenza di vitamina A, vitamina C e potassio.
L'anguria di Siracusa è una varietà medio-precoce ma molto
produttiva e resistente sia alle malattie che al trasporto.
Preferisce il clima temperato caldo e asciutto resistendo agli
eccessivi caldi tipici della Sicilia e della zona di Siracusa. Deve
essere irrigata abbondantemente preferendo terreni ricchi di
sostanze organiche ma profondi e permeabili. Si semina in febbraio
nelle serre oppure in aprile/maggio nei campi. La raccolta avviene
durante il periodo estivo, man mano che i frutti raggiungono la
maturazione, ovvero quando il viticcio del peduncolo si stacca o si
secca. Commercialmente si trova da maggio (primizie) a settembre
(tardive).
MELONE CANTALUPO
Il Cantalupo è un melone appartenente alla specie Cucumis melo - varietà Cantalupensis. Ha polpa succosa e profumata, di colore arancione, e la buccia rugosa dalle sfumature che vanno dal verde al giallo-aranciato. Ha forma tondeggiante e piuttosto piccola e il suo peso è mediamente compreso fra 1 kg e 1,5 kg. Deve il suo nome a Cantalupo, sui colli di Roma, luogo in cui sorge il castello pontificio, poiché durante il Rinascimento i contadini autoctoni coltivavano questo frutto per i Papi. Si narra che sia originario dell'India o dell’Iran o dell'Africa o della Cina. L’unica notizia documentata è che era già coltivato in Egitto nel V secolo a.C. e che venne portato in Italia verso la fine del I secolo d.C., come attestano alcuni dipinti rinvenuti ad Ercolano, negli scambi commerciali tra Asia e Mediterraneo. Come fonte scritta, il primo autore a menzionare questo frutto fu Plinio il Vecchio (Gaio Plinio Secondo; Como, 23 – Stabia, 79) nel suo Naturalis Historia, trattato naturalistico in forma enciclopedica costituito da 37 libri e scritto tra il 23 ed il 79, in cui è riportato che il melone era un frutto molto apprezzato dall'imperatore Tiberio Giulio Cesare Augusto (Roma, 16/11/ 42 a.C. – Miseno, 16/03/37). Cartilaginum generis extraque terram est cucumis, mira voluptate Tiberio principi expetitus. (Liber XIX, par. XXIII) Di specie cartilaginosa, e fuor dalla terra, ricercato con gran diletto da Tiberio imperatore. (trad. di Lodovico Domenichi, ed. Giuseppe Antonelli, 1844) La coltivazione di questo frutto è diffusa un po’ in tutta Italia. Il polo produttivo principale è la Sicilia, in cui viene coltivato con maggiore intensità tra il fiume Akragas e il fiume Salso nei territori di Palma di Montechiaro, Licata e Favara. A seguire Emilia Romagna, Puglia, Lazio e Calabria. http://www.girlpower.it/tempolibero_relax/cucina/melone_cantalupo.php
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MELONE GIALLO DI PACECO
Le campagne di Paceco, nel trapanese, già a partire dal mese di giugno si colmano di meloni gialli. Precoci e molto produttivi, contendono a inizio stagione il mercato ai meloni mantovani e a quelli della piana di Sibari ma, a fine luglio, il prezzo crolla a causa dell’eccesso di offerta. A quel punto non conviene più raccoglierli e vengono lasciati in campo a nutrire greggi di pecore e capre. Uno spettacolo frequente ad agosto in queste zone, da alcuni anni in qua. Gli ibridi gialli che hanno sostituito gli autoctoni, sono arrivati in queste terre agli inizi degli anni Novanta: il primo è stato il Madras, tuttora coltivato insieme al Campero e all’Helios, che va per la maggiore. Il vecchio cartucciaru di Paceco – un antico melone dalla forma allungata, con l’estremità un poco ricurva, buccia liscia e gialla, polpa bianca e succosa – poco alla volta è sparito dai campi. Eppure era eccellente. Le ragioni dell’abbandono sono dovute al fatto che ci mette un mese in più dell’Helios a maturare: 70-80 giorni contro i 100 giorni delle varietà tradizionali. Inoltre le varietà tradizionali sono meno produttive, il vantaggio è che non richiedono irrigazione o concimazioni. Non sono spinte con concimi azotati perché crescano in breve come gli ibridi. Il cartucciaru si semina ad aprile – in serra perché all’aperto le api impollinerebbero e si raccoglie a partire da giugno fino ad agosto. Appartiene, come il purceddu d’Alcamo (che è però è verde), il tondo giallo di Fulgatore e il bianco tondo, ai cosiddetti “meloni d’inverno” che, appesi in luoghi ventilati e freschi, diventano più dolci con il passare del tempo e si conservano ancora un paio di mesi, alcuni fino a Natale. Sono tutti ottimi frutti da tavola, ma si utilizzano anche per le granite e per il gelato. Si raccoglie a partire da giugno fino ad agosto. Appeso in luogo fresco e ventilato, diventa più dolce nel tempo e può essere conservato anche due mesi. http://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/melone-cartucciaru-di-paceco/
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PURCEDDU D'ALCAMO
Il purceddu d’Alcamo ha la buccia verde, costoluta e rugosa e la forma ovale. Si chiama purceddu perchè la sua forma ricorda un maialino (purceddu in dialetto). E’una varietà rustica, che si conserva a lungo e che va coltivata rigorosamente in asciutto. La polpa bianca è succosa e diventa più buona e dolce con il passare del tempo grazie alla progressiva concentrazione degli zuccheri contenuti nella polpa. I meloni sono uno dei prodotti più importanti e antichi dell’agricoltura trapanese. Seminati a maggio, si raccolgono, quando non sono ancora perfettamente maturi (in dialetto si dice gresti) a partire da agosto e la loro caratteristica più importante è appunto la serbevolezza. Dopo il raccolto si ripongono in magazzini freschi e ventilati, sovrapposti a cumuli, all’interno di recinti chiamati zamme. Ogni quindici giorni si devono rivoltare con grande cura, senza scuoterli o provocare urti. Questa pratica evita la formazione di marciumi. Ottimi fino a Natale e oltre – un tempo si conservavano anche fino a febbraio – con il passare del tempo diventano addirittura più buoni: tradizionalmente, dopo la raccolta, si sistemavano sulle terrazze delle case oppure si appendevano ai balconi. Il purceddu (Cucumis melo var. inodorus) appartiene a una famiglia di vecchie varietà – come anche il cartucciaru di Paceco, o il tondo bianco di Fulgatore – chiamate infatti meloni d’inverno, varietà che purtroppo rischiano di scomparire. Nel 1997, nella Sicilia occidentale, il “Melone d’inverno” occupava una superficie di circa 6000 ettari, di cui 1500 a buccia verde. Recenti indagini effettuate dalla Sezione operativa 85 dell’Assessorato Regionale all’Agricoltura hanno rilevato una diminuzione di ben 300 ettari di superficie e gli ultimi anni la tendenza continua a essere negativa e la concorrenza di meloni stranieri è sempre più forte. Il melone purceddu è un ottimo frutto da tavola, ed è uno degli ingredienti del gelato e delle tradizionali granite siciliane. http://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/melone-purceddu-di-alcamo/
IL MANGO
La sua forma ovoidale, a volte allungata, e il suo colore (verde, giallo, arancio, rosso) variano a seconda delle varietà e delle provenienze. La Tailandia, l'India, il Pakistan, il Messico e il Brasile sono oggi fra i più grandi produttori di mango. I manghi hanno una buccia liscia sottile che può essere verdastra, giallastra, o rossastra, spesso con sfumature viola, rosa, giallo arancione, o rosse. La polpa è arancione o gialla, come quella della pesca. Mentre i manghi sono a volte fibrosi, la polpa della maggior parte delle varietà è liscia, cremosa, dolce e fragrante. La polpa aderisce al nocciolo, che è abbastanza grande e piatto. Il sapore un po' acido e piccante dei manghi è sorprendentemente piacevole. I mango sono ampiamente usati in cucina. Il mango acerbo insieme ad altri ingredienti forma il chutney, condimento molto diffuso in India per accompagnare la carne, oppure può essere mangiato crudo con sale o salsa di soia. Una bibita estiva rinfrescante chiamata panna o panha viene fatta con i mango. Sebbene i frutti maturi vengano principalmente mangiati freschi, essi vengono usati anche in alcune ricette. L'Aamras è una bibita popolare fatta con mango e zucchero o latte, ed è bevuta accompagnata col pane. I mango maturi vengono anche spesso tagliati in fette sottili, disidratati, ripiegati e tagliati di nuovo. In caso di infiammazioni ai bronchi e all’apparato respiratorio, durante l’estate è semplice ed efficace ricorrere all’aiuto del mango. Non solo consumandolo spesso fresco, ma anche sotto forma di decotto.
http://www.mangodisicilia.it/Mango.html
BANANA La banana è il secondo frutto più venduto al mondo. Ha centinaia di varietà e tutte hanno forma ellittica e una polpa soda e cremosa racchiusa da una buccia non commestibile. Non hanno soltanto la buccia gialla, ma possono essere anche rosse, rosa, violacee e nere. Benché sembri un albero e raggiunga un'altezza di 3-5 m, il banano appartiene alla stessa famiglia dei gigli e delle orchidee. Una pianta produce 50-150 banane, raggruppate in grappoli, i "caschi", composti da 10-15 banane ciascuno. La banana più popolare è quella dolce con buccia gialla e liscia, che può variare per dimensioni e colore, e in genere si mangia cruda. Le banane verdi più grandi, banane platani o platani, si preparano fritte o cotte come un ortaggio. Acquisto Le banane fresche e le banane platano dovrebbero essere gialle senza zone verdi né macchie marroni. Banane e platani con le estremità verdi non sono del tutto maturi, ma continueranno a maturare se conservate a temperatura ambiente. Una volta maturi, banane e platani si conservano a temperatura ambiente per 1-2 giorni, durante i quali continueranno a maturare e a scolorirsi. le banane e i platani maturi si possono conservare in frigorifero: mentre la buccia diventerà marrone scuro, la polpa resterà fresca per 3-5 giorni. Banane e platani ammaccati, scoloriti o molli sono guasti e non vanno mangiati. Proprietà Le banane sono ricche di sostanze nutritive, in particolare di potassio. Il potassio è uno degli elettroliti più importanti: aiuta a regolare le funzioni del cuore come pure l'equilibrio dei fluidi, un fattore cruciale per regolare la pressione del sangue. Le banane hanno un efficace effetto lenitivo sul tratto gastrointestinale grazie all'elevato contenuto di pectina, una fibra solubile che non soltanto abbassa i livelli di colesterolo, ma normalizza i movimenti intestinali.
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Il versante orientale, in particolar modo nei territori di Trecastagni, Zafferana etnea, Sant’Alfio e Milo, si distingue per una pericoltura più frequentemente in consociazione, spesso con il melo, impianti generalmente di età adulta coltivati in asciutto nella tipica forma a vaso; queste condizioni di coltivazione più tradizionale consentono di riscontrare una più ampia biodiversità con la presenza di diverse accessioni locali. Questa tipologia colturale, basata su piante sparse o su impianti promiscui, è in notevole regressione ed in alcune zone può ritenersi del tutto scomparsa. Ciò determina rischi di erosione genetica delle numerose varietà locali cui la coltura ha fatto tradizionale riferimento. La ricchezza di tale patrimonio è comunque ancora notevole; le indagini confermano che la pericoltura dell’Etna è ancora ricca di numerose accessioni a frutto medio o medio-piccolo tra le quali risulterebbero esclusive, o quasi, Buccadama, Chiuzzu, Falcuneddu, Ialofru, Iazzolo, Iazzuleddu, Moscatello, Rosa, Sanamalati etnese, Savino, Spineddu, Ucciarduni. Esse coprono per intero, quanto ad epoca di maturazione, il periodo compreso tra giugno e ottobre, senza contare le cultivar i cui frutti richiedono il passaggio in fruttaio dove maturano durante il pieno inverno; numerose altre cultivar locali non esclusive del territorio etneo sono presenti. Rappresentato è il gruppo delle cosiddette perine (San Giovanni, Rosa, Facci bedda e Moscatello) i cui piccoli frutti sono conosciuti ed apprezzati sui mercati locali.
LE VARIETA' PIU' DIFFUSE IN QUESTO MESE
LA MANDORLA PIZZUTA DI AVOLA
La mandorla d’Avola è un prodotto tipico della zona di Avola, comune in provincia di Siracusa. Ad Avola si coltiva in modo particolare una delle tre varietà di mandorla d’Avola, La Pizzuta d’Avola. La rinomata pasticceria siciliana è particolarmente legata a questo frutto che, molto nutriente e versatile, viene utilizzato in molti prodotti: primo fra tutti il marzapane. Preparazione dolciaria di pasta di mandorle, il marzapane è particolarmente diffuso non solo in Sicilia, ma anche in Calabria, Puglia e Campania; fino a toccare Toscana e Liguria. In Sicilia in particolare, è entrato nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani, con il nome di frutta Martorana, un tipico dolce agrigentino, palermitano, trapanese, a base di mandorle e zucchero, che vengono arrangiati in forma di frutto; viene realizzato in occasione della Festa dei Morti, ma ha origine antichissime, risalente al tempo in cui erano i conventi a produrre dolci. La Pizzuta d’Avola è tipica di tutto il Val di Noto. La sua fioritura inizia in gennaio mentre il frutto arriva a essere pronto non prima della metà di luglio e fino alla prima settimana di agosto. Essa è stata selezionata dal botanico Giuseppe Bianca, del quale abbiamo i primi documenti che attestano la presenza della Pizzuta (e della sua coltivazione) in Sicilia. Si tratta di uno scritto del 1840 (“Flora dei dintorni di Avola”), dedicata al carrubo e alla coltivazione del mandorlo. La mandorla d’Avola viene anche utilizzata per realizzare un altro dolce di origini arabe, la cubàita (o giuggiulena); un prodotto a base di miele e semi di sesamo, che in provincia di Modica viene arricchito con mandorle e frutta candita. A questo proposito non possiamo dunque non citare il torrone, o altre produzioni tipiche siciliane che usano la mandorla come base, magari tritata e cotta: come la pasta reale, base della tipica cassata, o la tipica granita; ma anche il budino e il latte di mandorle. Per non parlare dei molti biscotti, sia di tipo locale che a diffusione nazionale, che usano la mandorla o la farina di mandorle come base per il loro impasto: un esempio tra tutti, i passavolanti di Vicari e i tipici pasticcini ricci con decorazione di mandorla o ciliegia candita. Ed è infatti proprio il piccolo paese in provincia di Palermo a offrire alla mandorla una festa in suo onore, in occasione dei festeggiamenti per San Giorgio Martire. A Cassibile, in provincia di Siracusa, la mandorla si festeggia in agosto insieme al limone, e a Butera (Caltanissetta), sempre in agosto, la mandorla viene ricordata con manifestazioni folcloristiche e degustazioni. Ad Agrigento, al mandorlo in fiore viene dedicata una grande festa, che, come vuole la tradizione, si tiene per una settimana intera durante il mese di febbraio. Molte sono le iniziative locali, alcune delle quali si intrecciano alla tradizione religiosa e al folklore popolare. La Sagra del Mandorlo in Fiore infatti, è legata a un mito scritto da Omero. Secondo lui la fioritura del mandorlo era esplicabile con la storia d'amore tra Acamante e Fillide. Acamante partì per andare a combattere la guerra di Troia e non tornò a casa per ben dieci anni. Ma quando la guerra finì e i Greci tornarono a casa, Acamante non era con loro. La principessa Fillide, disperata, si uccise; Atena, toccata da quel gesto romantico, la trasformò in un mandorlo. Ma Acamante era di ritorno e, quando venne a sapere di Fillide, andò verso l'albero e l’attirò a sé più che poté. L’abbraccio fece così fiore il mandorlo. Enrica Bartalotta http://www.siciliafan.it/mandorla-davola-prodotto-tipico-siracusano-sicilia-tutta/
IL FRUTTO (O FIORE?) DEL FICO Antichissimo e dolcissimo frutto, che ha dato origine a molti modi di dire Info: Generali Culinarie Geografiche Nutrizionali Culturali Commenti Il fico comune (Ficus carica L.) è una pianta xerofila dei climi subtropicali temperati, appartenente alla famiglia delle Moraceae. È da tempi antichi che la pianta del fico viene apprezzata per i suoi falsi frutti omonimi, dolcissimi, succulenti e carnosi. Il fico viene coltivato in molti paesi: Turchia, Grecia, Stati Uniti, Portogallo e Spagna, sono i principali produttori. È un frutto altamente energetico. Il fico È un albero dal tronco corto e ramoso che può raggiungere altezze di 6 – 10 m. Le foglie sono grandi, scabre, oblunghe, grossolanamente lobate a 3-5 lobi, di colore verde scuro sulla parte superiore, più chiare ed ugualmente scabre sulla parte inferiore. Un falso frutto Quello che comunemente viene ritenuto il frutto del fico è in realtà una grossa infruttescenza carnosa, a forma di pera, ricca di zuccheri quando maturo. Viene detta siconio ed è di colore variabile dal verde al rossiccio fino al bluastro-violaceo, cava, all'interno della quale sono racchiusi i fiori unisessuali, piccolissimi. Pianta maschio e pianta femmina La specie ha due forme botaniche che semplicisticamente possono essere definite come piante maschio e piante femmina, dato che la prima (caprifico) produce il polline con frutti non commestibili, mentre la seconda o fico vero (pianta femmina che produce frutti commestibili) produce i semi contenuti nei frutti. La distinzione botanica è molto più articolata e complessa. Terreno e clima Il fico è una pianta tipicamente xerofita; pertanto, sebbene il fico si adatti con facilmente ai terreni e alle zone in cui viene piantato, predilige i terreni argillosi e sabbiosi, soffre terre ad alto grado di umidità e al di sotto dei 10°C sotto lo zero ci sono buone possibilità che la pianta muoia. Varietà di fichi Possiamo trovare due tipi di piante: le piante che producono il frutto una sola volta, chiamate unifere o fico selvatico, e piante che producono due volte l’anno, chiamate bifere o fico domestico.
Questa varietà di pianta produce due qualità di fichi: i fichi primaticci che si formano nei mesi autunnali e vengono poi raccolti in primavera inoltrata e i cosiddetti fichi veri che si formano in primavera e vengono raccolti in estate.
I fichi che vengono raccolti nel mese di maggio chiamati anche fioroni, sono più grandi di quelli raccolti nel mese di settembre, chiamati fichi veri. Esistono oltre 150 varietà di fichi, bianchi, marroni, viola, verdi e neri, ma dal punto di vista commerciale i più importanti sono:
Altri usi. Oltre a consumare i frutti freschi o essiccati, il lattice di foglie e rametti di fico sono stati usati in passato per far cagliare il latte, nella produzione di formaggi artigianali.Quando raccogliere i fichi dall'albero È importante aspettare che i fichi siano maturi prima di raccoglierli. Diversamente da altri frutti, i fichi continuano a maturare una volta raccolti dall’albero, sono infatti frutti climaterici. Controllate il colore dei fichi durante la stagione della crescita, sebbene il colore dei fichi varia in base al tipo, riconoscerete presto il colore che il fico assume una volta maturo. Raccogliete il fico dall’albero lasciando il gambo attaccato al fico per ritardare il deperimento. Mangiate o utilizzate i fichi il prima possibile. Essendo un albero dai rami contorti, flessibili e fragili bisogna salire con un'apposita scala per non poggiare il peso direttamente sulla sua struttura. Come scegliere Quando si comprano fichi freschi devono presentarsi abbastanza morbidi e gonfi con un picciolo ben sodo. Non scegliere fichi se si presentano al tatto troppo molli o con un odore leggermente acido.
Qual è la stagione dei fichi? I fichi freschi si trovano da giugno a ottobre a seconda della varietà; quelli secchi tutto l'anno. Come si conservano i fichi Sono frutti molto delicati e pertanto vanno maneggiati con attenzione. Possono essere conservati in frigorifero per un paio di giorni ma in contenitori ben chiusi per evitare che assorbano gli odori di altri cibi. Il fico può essere congelato, ma deve essere consumato, al massimo, nel giro di 30 giorni. I fichi secchi, invece, devono essere conservati in luogo fresco e asciutto, evitare, data la presenza di zucchero, di lasciarli in un posto in cui possano venire a contatto con insetti, e consumati entro la data di scadenza indicata sulla confezione. Usi in cucina Il fico, generalmente viene consumato al naturale. Ottimo aggiunto alle macedonie e ai dolci ma gustoso anche per accompagnare preparazioni salate o negli gli antipasti abbinato soprattutto con il prosciutto o il salame o formaggi, o per accompagnare carni, coniglio e selvaggina. Inoltre, il fico, viene usato per la preparazione di confetture e composte un esempio è il fico affogato nel porto o nel whisky. Il fico secco invece lo potete consumare così com’è, oppure farcito con noci, mandorle, arancia e ricoperto con del buon cioccolato. www.alimentipedia.it/fico.html
IL FIORONE I botanici storcerebbero il naso a sentire chiamare frutto, quella che in realtà è una infiorescenza, detta siconio. La storia che ci porta al fiorone è una vicenda particolare e affascinante, una simbiosi che si è sviluppata tra l’albero del fico (Ficus carica) e un insetto minuscolo, che noi profani potremmo definire moscerino, ma che in realtà è una piccola vespa, la Blastophaga psenes. La pianta e l’insetto si sono evoluti insieme fino ad arrivare al punto che l’una, non potrebbe sopravvivere senza l’altro e viceversa. Le varietà di fico si distinguono in varietà che producono solo fichi e varietà che produco sia fichi che fioroni. Nelle varietà che producono anche i fioroni a fine primavera, in autunno si formano i fiori dove gli insetti depongono le uova. Una volta deposte le uova queste si schiuderanno e durante la primavera successiva, in aprile, fuoriescono prima i maschi di vespa. Questi facendosi largo tra i fiori all’interno del siconio, che in pratica per forma è uguale a un fiorone in miniatura., fecondano le femmine e impollinano i fiori femminili. Questi svilupperanno il fiorone in giugno, il frutto che ben conosciamo. Le femmine fecondate poi fuoriescono dal proprio siconio, e andranno su una nuova infiorescenza, dove deposte le uova, muoiono. Le nuove vespe nate sono la generazione che provvederà ad impollinare quelli che poi saranno i fichi prodotti a fine estate. http://gofasano.it/rubriche/curiosita/1103-il-fiorone-e-un-fiore-non-un-frutto.html
Come fare i fichi secchi I fichi secchi sono delle vere e proprie delizie della gastronomia, tramandate di generazione in generazione. In commercio è possibile trovare dei fichi secchi già confezionati e pronti per esser consumati, soprattutto nel periodo delle festività natalizie o a capodanno in quanto, insieme ad altra frutta secca, i fichi sono il simbolo delle feste. Spesso possiamo trovarli anche tagliati a metà e farciti al loro interno con nocciole o mandorle tritate e poi ricoperti di cioccolato fondente fuso o miele. Chiaramente preparare i fichi secchi in casa è tutta un’ altra cosa, oltre alla soddisfazione di preparare qualcosa con le proprie mani infatti anche il sapore è molto più buono. Se anche voi avete voglia di preparali, secondo il metodo tradizionale, vediamo insieme come fare i fichi secchi: Il periodo ideale per preparare i fichi secchi è quello estivo, quando i fichi si trovano in abbondanza. Se possedete un essiccatore professionale, potrete tagliare a metà i fichi e poggiarli negli appositi vani dell’ essiccatore ed azionarlo, ma il risultato non sarà soddisfacente come il metodo tradizionale, usato dalle nostre nonne. Si tratta di tagliare a metà i fichi, senza separare le due metà e di esporli al sole, poggiati su di un vassoio di metallo, coperti con del tulle, per una decina di giorni. Durante questo lasso di tempo, dovrete avere l’ accortezza di girarli spesso per essiccarli in maniera uniforme, il tempo necessario affinchè questo processo sia terminato, dipenderà soprattutto dalla temperatura e dal tasso di umidità, in zone particolarmente calde ed umide, il processo di essiccazione è più rapido. Una volta completata l’ essiccazione, potrete farcire i vostri fichi secchi con pezzetti di frutta candita o mandorle e nocciole tritate e poi cuocerli in forno a 200° per una quindicina di minuti. Quando saranno cotti, potrete cospargerli di miele o di cioccolato fuso. http://comefare.donnamoderna.com/come-fare-i-fichi-secchi-13066.html
CARRUBO (Carrubbu)
Il termine carrubo o carrubio deriva dalla parola araba "harruba". Il carrubo è un albero sempre verde spontaneo, tipico della macchia mediterranea, appartenente alla famiglia delle Papillonacee Casalpinioidee (leguminacea). Il carrubo, albero tra i più longevi, può raggiungere l'altezza di 12 metri e un diametro di ben oltre 2 metri. Per la sua folta chioma, l'aspetto inclinato e cavo, spesso ha ospitato il viandante accaldato o il pastore intento a scolpire legnetti e buttare l'occhio al suo gregge sparpagliato. In Sicilia si trovano gli esemplari più antichi, in maggior numero nella provincia di Ragusa e Siracusa. Il frutto secco, propriamente detto siliqua, è simile ad un baccello dal rivestimento più coriaceo, a protezione di una polpa stratificata, il mesocarpo, dolce e carnoso e con dei semi disarticolati. Dal sapore dolce, con retrogusto allappante, viene impiegato in diversi campi e per differenti preparazioni: le confetture, i distillati, le farine alimentari, ad esempio, per la sua funzione addensante. Lo sciroppo di carruba ancora oggi viene preparato dalla famiglia Terranova per produrre le famose caramelle. Per le caratteristiche organolettiche e le peculiarità terapeutiche, la carruba è particolarmente indicata nella cura delle gastroenteriti, in special modo nei lattanti. Sono molti gli studi che evidenziano le preziose caratteristiche e gli eventuali impieghi anche nella medicina tradizionale. Nel consumo quotidiano, più frequente rispetto a qualche anno fa, la carruba è la nota aromatica ed inconfondibile delle sue caramelle che i non troppo giovani ricordano avvolte in un quadrato lattiginoso di carta oleata. Difficile il sapore, povero l'aspetto, elementare la confezione, eppure le caramelle alla carruba sono giunte ai giorni nostri con la loro disarmante semplicità, diventando oggi prezioso prodotto di nicchia, da preservare, come la tradizione centenaria che in sè conserva. http://www.caramelleterranova.it/it/la-carruba
SENAPE CANUTA Hirschfeldia incana (Amareddi)
Brassicaceae -Forma Biologica: H scap - Emicriptofite scapose. Piante perennanti per mezzo di gemme poste a livello del terreno e con asse fiorale allungato, spesso privo di foglie. Descrizione: Pianta erbacea annua o perenne, con la parte superiore ricoperta di peli semplici riflessi (raramente glabra) alta 10-100(140) cm. Fusto molto ramificato, specialmente nella porzione superiore, ricoperto di peli grigiastri semplici, simili a quelle delle foglie basali. Foglie basali lirato-pennatosette 2 x 7 cm con 4-6(9) paia di segmenti laterali di forma oblunghi o subrotondi o ottusi (raramente acuti), il segmento terminale ovato o ovato-ottuso e dentato-seghettato 1,8(2,2) x 2(2,6) cm. Foglie superiori progressivamente più piccole o subnulle, con meno segmenti che hanno forma da lanceolata a lineare ed inegualmente dentate. Infiorescenza formata da racemi contratti che si allungano alla fruttificazione. Sepali 3-4 giallastri, lineari e riflessi 3 - 4 mm Petali 4 interi e disposti a croce 6 - 9 mm, gialli e spatolato-obovati. Stami 6 di cui 2 più corti formati da filamenti verdi; antere lesiniformi e gialle. Il frutto è una siliqua cilindrica, deiscente, di 8-17 x 1-1,5 mm, eretta o appressata con nervo mediano ± sporgente; rostro a volte lungo quanto le valve (3 -4 mm); pedicelli eretti, obconici, di circa 4 mm e larghi all'apice quasi quanto il frutto. Semi bruni, uniseriati (4 - 6 per loculo), ellissoidali di 0,9 - 1,5 mm. Tipo corologico: Subatl. - Europa occidentale e anche piu' ad oriente nelle zone a clima suboceanico. W-Europ. - Europa occidentale dalla scandinavia alla Penisola Iberica. Antesi: (Aprile) Maggio - Luglio (Settembre) Habitat: Campi incolti asciutti o umidi, ruderi, bordo strade e sentieri da 0 a 800 m s.l.m (Nella flora Iberica fino a 2200 m) http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/viewtopic.php?t=82275
MENTA
Menta (Mentha). Plinio ne elencava tutte le virtù che le farmacopea medievale e la più recente erboristeria hanno confermato, ma già gli assiro-babilonesi ne facevano largo uso. Il piacere di passare le mani dentro alle macchie di menta, o di stropicciare una foglia fra le dita per poterne gustare l’aroma non ha età, e se già è fra le nostre abitudini insegniamolo ai bambini per vedere quale meraviglia può suscitare. La menta può stare dappertutto: negli infusi con la melissa, aggiunta come foglia secca ai the invernali, negli aperitivi, nelle insalate primaverili, nelle salse per accompagnare le verdure. Di menta non ce n’è una sola Quella della menta è una “famiglia allargata” che comprende molte forme a foglie verdi, leggermente dissimili fra loro, ma tutte unite dalle stesse proprietà. Il mentastro, la menta acquatica, la menta spigata e molte altre originatesi per ibridazione come la menta piperita. Il genere Mentha appartiene alla famiglia delle Labiate (Lamiaceae) che annovera altri nomi famosi fra le piante aromatiche come la salvia o la melissa. Tutte le mente possono essere riconosciute dall’inconfondibile profumo che in misura diversa emanano. La regina è senza dubbio la menta piperita o menta inglese. A questa faremo riferimento per la descrizione: raggiunge il mezzo metro di altezza, ha fusto quadrangolare e foglie opposte brevemente picciolate con margine seghettato di forma ovata-lanceolata. La radice di colore chiaro dopo un anno inizia la sua attività stolonifera. I fiori, di colore dal bianco al rosato, raccolti in strutture simili a spighe globose, si aprono in estate. Il frutto è un tetrachenio ovoidale. Dove trovarla Come insegna Maurice Messegue la menta tiene “la testa all’ombra e i piedi al fresco”. La troveremo in terreni freschi, non esposti direttamente al sole, fertili, non troppo compatti, quasi friabili, calcarei e con una buona umidità durante tutto l’anno. Una volta individuata una popolazione selvatica non dimentichiamola e, se dovesse esaurirsi, cerchiamo nei paraggi data la buona capacità di diffusione. Coltivare la menta Sfuggiamo alla tentazione di prelevare le piante selvatiche per introdurle nel nostro orto o nel giardino. Con facilità possiamo procurarcele sul mercato con eguali caratteristiche senza depauperare le non ricchissime popolazioni spontanee. La via più facile da seguire è l’acquisto di pianticelle già radicate e ad un buon stadio di sviluppo, ma possibilmente non ancora in fioritura completa, in vasetto di plastica con pane di terra. Acquistandone un certo numero potremo costituire una macchia od una bordura senza dover troppo faticare. Dopo il trapianto annaffiamo con cura. Verifichiamo che il terreno non sia troppo lontano da quello indicato e non si presenti troppo compatto. La via per seme è più lunga, ma più ricca di soddisfazioni. Si semina in semenzaio a primavera, anche inoltrata, e si trapiantano le pianticelle all’inizio dell’autunno scegliendo i soggetti più vigorosi e non filati. L’unica cura richiesta sono le annaffiature regolari e la lotta alle malerbe. I semi della menta sono molto piccoli e quindi difficili da distribuire in modo uniforme anche su superfici ridotte. Ricordiamoci di ricoprirli con appena un velo di terriccio molto fine, se è troppo molti semi germineranno, ma non riusciranno ad emergere. La raccolta può iniziare nella primavera successiva quando le piante hanno ripreso in pieno l’attività vegetativa. La durata attesa di una pianta di menta è di tre anni. Raccolta e conservazione La menta deve essere raccolta, per ottenere il massimo in termini di principi attivi, profumo ed aroma, prima della fioritura. La fioritura può avvenire in epoca anche molto diversa a seconda delle specie, dell’esposizione e delle singole piante. Spicchiamo le foglie, ma anche i fiori, e lasciamo essiccare all’ombra. Conserviamo al buio in sacchetti di carta. Si essicca facilmente, se non ammassata, e altrettanto facilmente si conserva. http://www.giardini.biz/piante/piante-spontanee/menta/
GELSO NERO
Specie: Morus nigra Famiglia: Moraceae Nome comune: Gelso Area di distribuzione: originario dell’Asia, diffuso anche in Europa e nord America Caratteristiche botaniche: -Apparato radicale: molto resistente e vigoroso -Fusto e ramificazioni: il fusto è eretto, ma spesso ogni singola pianta sviluppa più tronchi paralleli, con corteccia grigiastra -Apparato fogliare: caduco. Le foglie sono intere, semplici, cuneiformi alla base ed acuminate all’apice con margine dentato. La pagina inferiore delle foglie è pubescente. La pagina superiore è ruvida. Rispetto alle foglie del gelso bianco sono di dimensioni inferiori -Fiore: i fiori sono ermafroditi o maschili e femminili, sullo stesso albero o su alberi diversi; sbocciano in primavera inoltrata, esistono varietà con fiori femminili e fiori maschili su piante separate Caratteristiche pedo-climatiche: -Esigenze pedologiche: i gelsi si sviluppano in qualsiasi tipo di terreno, anche argilloso e pesante; preferiscono però terreni sciolti, profondi ricchi di materia organica e ben drenati. Il posizionamento in un ottimo terreno e con concimazioni autunnali periodiche porta ad esemplari di migliore qualità e ad una fruttificazione più abbondante -pH ottimale: dai 6 ai 7,5 -Esposizione: pieno sole, mezz’ombra -Resistenza alla siccità: media -Resistenza all’ inquinamento: alta Tecniche colturali -Lavorazioni: Il terreno sul quale verranno posti i gelsi deve essere preparato con scasso a fosse o a buche; le piante si mettono a dimora in autunno o in primavera a seconda delle condizioni pedologiche o climatiche e si seguono poi le normali cure di impianto e di coltivazione utilizzando per esempio concimazioni, lavorazioni del terreno e durante i periodi con scarse precipitazioni periodiche innaffiature. -Concimazioni: -Irrigazione:gli esemplari a dimora da alcuni anni possono sopportare senza problemi periodi anche lunghi di siccità, accontentandosi soltanto elle piogge; gli esemplari giovani vanno annaffiati saltuariamente durante i mesi estivi, per almeno un paio di anni dopo la messa a dimora. -Trattamenti fitosanitari: queste piante rustiche non vengono colpite da parassiti o da malattie; l’arrivo in Europa del bruco americano ha però decimato rapidamente la popolazione di gelsi, le cui foglie sono molto gradite a larve e minatrici fogliari. -Potatura: La potatura di formazione porterà allo sviluppo di una prima impalcatura che successivamente darà origine alla caratteristica “testa di moro” sulla quale si svilupperanno i rami. La potatura di produzione viene eseguita con criteri vari conseguenti al sistema di allevamento del baco da seta, ma generalmente consiste in un semplice taglio netto e rasente al tronco o alla “testa di moro” dei rami frondosi. Uso: era usato per la coltura di bachi da seta, attualmente è usato principalmente come ornamentale, soprattutto le varietà pendule Curiosità: i frutti vengono usati in cucina per preparare conserve e marmellate
ROVO SELVATICO Le more maturano in piena estate, generalmente tra inizio luglio e metà settembre. Sono un frutto poco presente sulle nostre tavole e piuttosto sottovalutato. Le more selvatiche si possono raccogliere nei boschi e nelle campagne, anche lungo i margini della strada, bisogna però fare attenzione alle spine, estremamente appuntite, presenti sui rovi. Le varietà di rovo coltivate non presentano spine. Le more hanno un sapore dolce-acidulo, ma bisogna mangiarle ben mature perché siano gustose. Proprietà e benefici delle more Come tutti i frutti di bosco, contengono antocianine e flavonoidi, due sostanze antiossidanti. Le more sono, inoltre, diuretiche, dissetanti e depurative. Grazie alla loro azione aiutano a mantenere pulite le arterie e sono dunque valide alleate della prevenzione cardiovascolare. Sono piuttosto ricche di fibra e quindi contribuiscono al buon funzionamento dell'intestino.
Le more contengono acido folico e aiutano a regolare i livelli di omocisteina, due sostanze importantissime soprattutto durante la gravidanza. Una carenza di acido folico e una quantità elevata di omocisteina nei primi mesi di gestazione possono infatti causare danni anche molto gravi al feto. Sono ricche di vitamina C e contengono una discreta quota di vitamina A. È difficile trovare le more fresche in commercio, soprattutto nella grande distribuzione, perché sono frutti facilmente deperibili. Inoltre sono piuttosto costose, anche perché la raccolta viene fatta a mano. L’Italia, da Nord a Sud, è piena di boschi e sentieri collinari in cui si possono raccogliere ottime more; quindi, se possibile, è consigliabile andare a fare una scampagnata muniti di cestino e prenderle direttamente dai rovi. In alternativa, le more si trovano più facilmente surgelate, generalmente confezionate insieme ad altri frutti di bosco. http://www.cure-naturali.it/more-proprieta-benefici/3028
Alberi da frutta
La produzione di pasta in Sicilia ha origini lontane ed è testimoniata da documenti storici. Nel 1154 il geografo arabo Al-Idrisi riferisce nel suo Libro di Ruggero, relativamente alla produzione di tryia ("antenati” degli spaghetti) a Trabia, centro poco distante da Palermo. Questa si considera la prima testimonianza scritta sulla produzione di pasta secca che dalla Sicilia si sarebbe poi diffusa in tutta l’Italia. La pasta siciliana, come il resto della cucina isolana, vanta colori e forme uniche, che vanno dai ricchissimi timballi, alle ricette più popolari sempre molto raffinate. La pasta siciliana è pensata e lavorata perché il connubio con il condimento sia perfetto ed esalti al meglio tutti gli ingredienti. Oltre alle innumerevoli tipologie di pasta, la cucina siciliana merita una menzione speciale per i condimenti ugualmente ricercati e vari, principalmente a base di pesce, verdure e formaggio. Tra i più antichi si ricordano quello con le sarde, che conosce anche diverse varianti a seconda della zona, ma che nasce da una base di pesce, finocchietto, pinoli, uva sultanina, zafferano e pomodoro. Come non citare gli spaghetti alla Norma, omaggio di Catania al concittadino Vincenzo Bellini e alla sua eroina? Qui ingredienti semplici come il pomodoro fresco, la ricotta salata, le melanzane e il basilico si fondono per dare vita ad un piatto tra i più gustosi e rinomati. La pasta ncaciata è invece tradizionalmente un piatto del giorno di Ferragosto e viene preparata in maniera differente nelle diverse province, ma la base è sempre un insieme di verdure, insaccati (salame e salsiccia) e formaggio. Al contrario, la sobrietà della quaresima porta in tavola piatti come la pasta ca muddica (pasta con la mollica), condita con un prelibato e ricco insieme di mollica di pane abbrustolito, pinoli, uvetta e finocchietti selvatici. Infine non si può parlare di pasta siciliana senza citare il cuscusu, variante siciliana del cous cous nordafricano, la cui preparazione aveva, fino a pochissimo tempo fa, tutti i caratteri di un rito. Agnolotti siciliani Si tratta di una pasta farcita di forma quadrata o rettangolare, il cui ripieno è normalmente costituito da ricotta, salsiccia, salvia e cannella. Anelli Piccoli anelli di pasta di semola di grano duro, utilizzati soprattutto nella preparazione di timballi e pasticci da forno. I condimenti maggiormente utilizzati per questo tipo di pasta sono i ragù di carne arricchiti di formaggio, in particolare di caciocavallo e i sughi di melanzana, sempre con l’aggiunta di dadini di formaggio locale. Sono preparati con semola di grano duro e acqua e normalmente trafilati al bronzo. Una vera specialità siciliana, ottimi per le paste al forno, come vuole la tradizione isolana. Cannaruzzini I comuni rigatoni, in Sicilia prendono il nome di cannaruzzuni. Questo tipo di pasta era tradizionalmente utilizzata nei matrimoni che si festeggiavano in casa, anche in questo caso sotto forma di timballo di carne macinata, uova sode, sugo, pepe nero, peperoncino piccante. Catanesella E’ un maccherone grosso e corto, tipico di Catania, anche questo impiegato soprattutto nella preparazione dei timballi. Capiddu d’ancilu Il nome significa “capello d’angelo” o capelvenere. A Catania "Scuma (schiuma)". Si tratta quindi di spaghettini finissimi spezzettati, da servire in brodo o con un sugo molto leggero e possibilmente semplice. Con questo tipo di pasta viene preparata la scuma cc’u meli, la spuma con il miele, dolce dal gusto particolarmente delicato. Cuscusu Come è facile intuire si tratta del classico cous cous arabo. Viene realizzato facendo piccole palline di farina di semola ed acqua, che vengono preparate in un apposito contenitore detto mafaradda, dove la semola viene lavorata con le mani in senso rotatorio, bagnandola con acqua salata fino a quando non prendere la forma di piccolissimi grani. In un secondo momento viene condita con un filo d’olio d’oliva e quindi messa ad essiccare su un canovaccio. Il Cuscusu viene cucinato a vapore, con un recipiente particolare, la cuscusera, e subisce diverse cotture, prima di essere condito. Normalmente si condisce con verdure e aromi, ma nelle zone in cui è particolarmente diffuso, come il Trapanese, costituisce la base per la zuppa di pesce o viene portato in tavola con carne di agnello, di maiale, fave e finocchietto selvatico, di cui in Sicilia si fa ampio utilizzo. Ditalini E’ un tipo di pasta corta, cilindrica, rigata o liscia, tipica della tradizione popolare siciliana. Viene normalmente condita con preparazioni semplici. In certi casi solo con ricotta fresca stemperata in qualche cucchiaio dell’acqua di cottura o con i broccoli, a cui vengono aggiunti uva sultanina, pinoli, caciocavallo o pecorino. Filatu E’ una sorta di vermicello tirato a mano. Il nome infatti deriva dall’atto di filare l’impasto di semola o di farina di grano duro, uova e zafferano. Lasagne cacate Piatto tipico del periodo natalizio, diffuso principalmente nell'area di Modica in provincia di Ragusa, ma molto noto anche nella Sicilia occidentale. La tradizione vuole che la ricetta di queste lasagne sia stata elaborata durante il dominio aragonese. Il nome si riferisce ironicamente al fatto che un tempo il loro consumo era riservato esclusivamente alla nobiltà. “Cacato” sta infatti ancora oggi per persona un po’ snob. Si tratta di lasagne all’uovo, larghe, con il bordo arricciato, condite con ragù ricchi e corposi, a base di carne, ricotta e altri formaggi. Gli ingredienti della ricetta classica prevedono uova intere, di ragù di salsiccia e cotenna di maiale, pomodoro, ricotta fresca, pecorino grattugiato, sale e pepe. Maccaruna I Maccaruna, o Maccarruna, fatti in casa, sono una tipica pasta siciliana. Il termine indica diversi tipi di pasta, tutti preparati secondo l’uso tradizionale del ferretto. La tradizione vuole che la pasta non manchi per Carnevale, sulle tavole dei siciliani. E la pasta favorita sono proprio li maccaruna dí zitu a stufato o cu lu sucu di carne di maiale, immancabile per li sdírri, come per Sammartino- per cui si dice ad ogní porcu veni lu sò Carnílivari. Nel trapanese i maccheroni si chiamano Busiati. In questo caso l’impasto è reso senza uova e il condimento tradizionale è costituito dal noto pesto alla trapanese, a base di pomodori, mandorle, aglio, basilico e pangrattato. Le origini di questa pasta si perdono nel tempo. Se ne trova una ricetta nel Liber de arte coquinaria, scritto dal cuoco Maestro Martino vissuto attorno alla metà del XV secolo. L’impasto è preparato con farina di grano duro, sale, uova (sebbene alcune ricette non ne prevedano l’uso) e acqua tiepida. Da questa si ricavano bastoncini dello spessore di un grissino e della lunghezza di 20 cm circa. I bastoncini vengono poi lavorati per l’ottenimento dei maccheroni, premendo gli spiedi sulla pasta. A questo punto vengono sfilati e lasciati essiccare all’aria aperta. In questo caso l’abilità della massaia, soprattutto in tempi andati, si misurava sul numero di maccheroni che era capace di preparare per volta. Maccu di granu Si tratta di una particolare tipologia di pasta che ricorda il Cuscusu. Viene infatti reso da frumento macinato, dapprima grossolanamente tra due sassi e in un secondo momento lessato in acqua salata e condito con olio, sale, pepe e finocchietto selvatico, particolarmente utilizzato nella cucina isolana. In tempo di guerra, questo piatto rappresentava una pietanza comune e diffusa, in molti casi consumata anche in sostituzione di pane e pasta. Scialbò Altra tipologia di lasagne con i bordi arricciati, nota anche come Reginella. Tipica della zona centrale della Sicilia, ed in particolare di Enna, prende il nome dal francesismo con cui si indicava la ruche di ornamento delle vesti femminili. La ricetta del condimento di queste lasagne è caratterizzata da una miscela di sapori che rimanda alle tradizioni della grande cucina nobiliare siciliana: ragù di carne tritata, cipolla, pomodoro, insieme a zucchero, cannella e cioccolato. Taccuna di mulinu E’ il nome che prendono le lasagne fatte in casa nel siracusano, in particolare a Noto. La loro particolarità è nell'impasto, che deve 'ncutugnári, cioè essere lavorato sino ad assumere la forma e la consistenza voluta. Dalle sfoglie che se ne ricavano si fanno dei rotoli che vengono tagliati con un coltello e poi distesi ad asciugare all'ombra e al fresco, per almeno 2 ore. Taccúna deriva con tutta probabilità da táccu, la stecca del biliardo così chiamata dagli spagnoli e quindi, per somiglianza alle lunghe strisce di pasta, sottili ed eleganti. Queste grossolane tagliatelle sono condite solitamente con un sugo di pomodoro al quale vengono aggiunte melanzane fritte e un’abbondante spolverata di ricotta salata. Tagghiarina Anche in questo caso si tratta di tagliatelle dalla sfoglia piuttosto spessa, ma non tipicamente isolane. Si servono condite con sughi vari, sebbene il più utilizzato in Sicilia sia quello con le fave. http://www.lapastaebasta.it/content.php?id=20
La Comisana
(o Lentinese, Testa rossa, Faccia rossa) è una razza italiana a prevalente attitudine alla produzione di latte. Originaria della Sicilia. Zone di maggiore allevamento: Sicilia, Lombardia, Piemonte e Italia centrale e meridionale. Trae origine da razze ovini del Mediterraneo (paesi asiatico-africani) incrociatesi con ovini siciliani. E' conosciuta anche come Testa rossa, Faccia rossa, Lentinese. La lana è piuttosto grossolana e viene usata per materassi.
pecore comisane (foto mimmo rapisarda) Caratteristiche morfologiche e produttive Taglia: medio-grande Testa: acorne, grande e lunga, profilo montonino. Orecchie lunghe, larghe e cadenti. Tronco: lungo. Petto largo e prominente. Torace largo. Dorso diritto. Lombi lunghi e robusti. Ventre voluminoso arti lunghi e robusti. Mammelle grandi. Vello: bianco, esteso, escluso basso ventre e tarso inferiore agli arti è di tipo semi-chiuso o semi-aperto; biocchi cilindro-conici. Pelle: rosea, untuosa, unghielli chiari. Altezza media al garrese: - Maschi a. cm. 80 - Femmine a. cm. 70 Peso medio: - Maschi a Kg. 80 - Femmine a. Kg. 50 Produzioni medie: Latte: 150 - 200 kg per lattazione Carne: - Maschi a. Kg. 75 - Femmine a. Kg. 68 - Lana: (in sucido) - Arieti Kg. 5 - Pecore Kg. 4
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