Maggio inizia con il rito di fave e pecorino, l'abbinata immancabile della tradizionale gita del Primo Maggio che lascia presagire le belle giornate delle settimane a venire. È maggio e siamo nel pieno della primavera, una festa per la tavola.

 

 

 

 

Basta un giro per i mercati per rendersi conto che siamo nel pieno della primavera: i banchi raccontano della rinascita della natura. Ce lo segnala il verde tenero dei piselli e quello delle fave (mangiatele col pecorino!), le taccole e gli asparagi che riempiono a mazzi i carrelli della spesa e si prestano a tante ricette fantasiose, come quella che vi presentiamo qui. E poi la barba di prete, che in molti chiamano agretti. Verdure che già dalla aprile abbiamo visto sui banchi del mercato e (per i più fortunati) negli orti, ma che all'inizio di maggio sono nel loro momento migliore. Sono questi prodotti che ci indicano la strada: al cambio di stagione occorre anche cambiare alimentazione, serve una dieta disintossicante e più leggera. Ma non priva di vitamine. Via dunque a borragine, cicorie, spinacini e insalatine da taglio delicate (consumateli subito) per insalate freschissime e misticanze ricche di sapore. La parola chiave è “novelle”: patate, cipolle, aglio. Aglio e cipollotti freschi sono una riserva di aromi pungenti ma lievi: usate la parte verde, e non solo i bulbi, per dare un tocco esotico a zuppe o più vivacità a una semplicissima frittata. Stesso discorso per i ciuffi delle carote. Vi stupiranno, soprattutto se ne farete frittelle. A proposito di frittelle: borragine, fiori di zucca, fiori di camomilla. Provate a liberare la fantasia!

 

La frutta di questo periodo non è particolarmente duratura: un mese o poco più, e poi bisogna attendere l'anno prossimo per gustarla di nuovo. Sarà questo passaggio di testimone veloce che ce la rende così desiderabile. Come al solito si inizia con prodotti ereditati dal mese precedente, come le fragole, che dal pieno vigore andranno via via a perdere di sapore e consistenza, acquistatele quando sono al meglio e lanciatevi anche voi in gelatine e confetture. Le nespole faticano a trovare il grande pubblico, ma sono deliziose (soprattutto quando la loro buccia è un po' ammaccata) e si trovano per tutto il mese, mentre spingendosi ancora più in là, quasi verso giugno, si trovano le prime ciliegie. Sono frutti ricchi di sali minerali e vitamine, soprattutto A e C. A proposito di vitamine: non dimenticate i kiwi, di cui l'Italia è in pole position come produttore. Di solito si consumano interi o nelle macedonie, al massimo si usano per decorare le crostate di frutta fresca. Noi vi vogliamo invece suggerire di usarli anche in vere e proprie ricette dolci. Fateci sapere come è andata.

 

 

 

lattuga, radicchio, bietola, asparago, indivia, borragine, sedano, spinacio, rucola, catalogna, cavolo, basilico, bietola, spinaci, cardo, cicoria;

 

https://www.mimmorapisarda.it/2024/SP1.JPG

 

 

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LATTUGA CANASTA

 

Poverissima di calorie, è un ottimo rinfrescante e aperitivo. Presenta una buona dose di vitamine, minerali e oligoelementi, specialmente iodio, nichelio, cobalto, manganese e rame. Come tutte le lattughe, contiene un succo lattiginoso, il lactucarium, sostanza complessa che esercita un’azione analgesica, sedativa e ipnotica: le insalate di lattughe sono, infatti, salutari se consumate durante il pasto serale, specialmente dalle persone nervose o che soffrono d’insonnia.

E’ un’utile fonte di acido folico, una vitamina importante per la completa formazione delle cellule del sangue.

Si consuma preferibilmente cruda in insalata.  Può essere servita da sola o mista ad altre verdure come piatto unico o come contorno per piatti a base di carne o pesce.

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LATTUGA FOGLIA DI QUERCIA

 

La foglia di quercia è una tipologia di lattuga introdotta in Campania da circa un decennio dal Nord Europa, è composta da cespi di colore verde brillante, pesanti , rotondeggianti , dal portamento basso e contenuto,  con foglie lunghe di 10-15 cm che ricordano quelle  della quercia per la loro forma e che, tagliate, rinascono rapidamente.  Di bassissimo contenuto calorico, è un ottimo rinfrescante e aperitivo. Presenta una buona dose di vitamine, minerali e oligoelementi, specialmente iodio, nichelio, cobalto, manganese e rame. Contribuisce al buon funzionamento del sistema nervoso ed espleta azione rinfrescante, emolliente e depurativa. La lattuga è croccante , di sapore leggermente dolciastro, ottima shelf life ed è acquistabile in cassette.  La lattuga foglia di quercia si consuma preferibilmente cruda in insalata. Può essere servita da sola o mista ad altre verdure come piatto unico o come contorno per piatti a base di carne o pesce. Per il loro attraente aspetto, le foglie possono essere utilizzate per la guarnizione di piatti di grande effetto estetico.

http://www.terramore.net/foglia-di-quercia.html

 

 

fava, pisello, fagiolo, lenticchia, cece, cicerchia, lupino

 

 

PISELLI

 

Il pisello (Pisum sativum) è una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia Fabaceae, originaria dell'area mediterranea e orientale.

La pianta è largamente coltivata per i suoi semi, consumata come legume o utilizzata come alimento per il bestiame.

Il termine designa anche il seme della pianta, ricco di amidi e proteine .

Il pisello è coltivato dall'era neolitica e ha accompagnato i cereali nelle origini dell'agricoltura nel Vicino Oriente. Nell'Antichità e nel Medio Evo è stato un alimento base in Europa e nel bacino del Mediterraneo.

 Ai nostri giorni, la sua coltura è praticata nei cinque continenti, particolarmente nelle regioni a clima temperato dell'Eurasia e dell'America del Nord.

Esistono diverse varietà di pisello, con caratteristiche diverse.

 

Ad esempio la varietà macrocarpon, detta "pisello mangiatutto", conosciuto anche come taccola, di cui si mangia anche il baccello, in quanto i semi rimangono allo stato embrionale.

Oggi vengono coltivati oltre 250 tipi di piselli che derivano tutti dal progenitore Pisum elatius, assai diverso nella morfologia della pianta e con semi nerastri.

Generalmente le varietà destinate all'essiccamento sono nane o semi-nane e permettono la meccanizzazione della raccolta; per il prodotto destinato al consumo fresco vengono utilizzate piante rampicanti, e la raccolta avviene a mano (ripetuta, a causa della maturazione scalare).

 I piselli tra i legumi, sono quelli meno calorici (solamente 70 kcal); quelli freschi devono essere tolti dal baccello e cotti direttamente come quelli surgelati e in scatola, mentre quelli secchi necessitano di ammollo preventivo e vanno cotti almeno un'ora.

Una volta cotti, i piselli vanno conservati in frigorifero dentro ad un contenitore per 3-4 giorni.

 

 

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LENTICCHIA DI USTICA

 

Su una piccola isola siciliana crescono le lenticchie più piccole d’Italia. Di colore marrone scuro con sfumature delicate verdoline, sono coltivate da sempre sui terreni lavici e fertili di Ustica e da sempre la tecnica è completamente manuale. Si seminano a gennaio e si raccolgono nella prima metà di giugno. Le tecniche di coltivazione sono fatte nel rispetto dell’ambiente e della natura, difatti non si utilizzano né concimi, né erbicidi di sorta: le erbette infestanti si tolgono con una zappetta.

Le piantine si lasciano seccare nel campo, si sradicano e si fanno tanti covoni che vengono sistemati nell’aia e battuti. La spagliatura, in passato, si faceva ancora come mille anni or sono: le piantine si calpestavano trascinando grosse pietre con gli asini e, con un tridente, si lanciavano in aria in modo che il vento di Ustica separasse la paglia dalle lenticchie.

Con la nascita del Presidio è stata introdotta sull’isola la trebbia che rende l’operazione un po’ meno suggestiva, ma molto più comoda e funzionale: in pratica si svolge in poche ore lo stesso lavoro che prima impegnava una famiglia per due intere giornate.

Cibo povero per eccellenza, le lenticchie di Ustica sono un ingrediente fondamentale della cucina locale. Le due ricette classiche sono la zuppa, arricchita con le verdure locali e profumata con basilico o finocchietto selvatico, e pasta e lenticchie, preparata con gli spaghetti spezzati. Tenere e saporite, sono un cibo facile da cucinare: non hanno bisogno di ammollo e cuociono in appena tre quarti d’ora.

http://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/lenticchia-di-ustica/

 

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LE FAVE

 

La fava è una leguminosa della sottofamiglia delle Papilionacee, detta anche la carne dei poveri. È il frutto della pianta Vicia faba, presente nei baccelli. Il numero di semi è variabile e possono avere colori diversi a seconda del tipo. Si trovano in commercio fresche in primavera, secche tutto l'anno.

Le fave fresche primaverili si possono consumare crude, condite con olio e abbinate a salami o pecorini. Si usano le fave anche per preparare degli ottimi purè, minestre, zuppe.

In primavera sono ottime crude fino a Giugno. Tutto l'anno sono in vendita le fave secche, sgranate e a volte private della buccia che risulta esser dura. Se vendute prive della pellicina non richiedono ammollo. Si trovano facilmente in tutti i mercati.

È una pianta annuale, che si semina in genere a novembre e dicembre in terreni argillosi. Il suo clima ideale è il temperato asciutto. Il fusto eretto può esser alto circa un metro. I frutti sono baccelli schiacciati lunghi fino a 30 cm, che contengono appunto le fave. Varietà In genere le cultivar si riconducono a due sottospecie, la paucjiuga, comprendente le varietà indiane a seme piccolo, e la eu-faba, fave a seme grosso destinate all'alimentazione umana, delle varietà minor (detta favino), equina (detta favetta) e major.

In italia la cultivar più diffusa è la aguadulce, da cui sono derivate la fava lunga delle cascine e la sciabola verde. Altre varietà da menzionare sono la astabella, paceco, aprilia, quarantina, gigante d'Ingegnoli, baggiana, corniola, di Caltagirone, di Riesi e Marsala. È presidio Slow Food la fava larga di Leonforte (EN) e la fava di Carpino (FG).

Come pulire e sgranare Sgranare le fave dal baccello, romperne le due estremità, tirare il "filo", e prelevare i semi. Occorre ammollare le fave per un tempo che varia dalle 16 alle 18 ore, in acqua. Se fresche primaverili non occorre l'ammollo.

Possono essere congelate: dopo averle sbollentate per circa 3 minuti, si lasciano raffreddare e si ripongono in sacchetti di plastica.

 http://www.alimentipedia.it/fava.html

 

LA FAVA LARGA DI LEONFORTE

La fava larga di Leonforte  è un prodotto che da sempre lega la sua importanza e la sua fama al territorio di coltivazione come anche il nome dimostra. Risulta riconosciuta tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani ed inserita nell’apposito elenco pubblicato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. La fava larga di Leonforte, per il legame con il territorio, le antiche modalità di coltivazione, gli usi nella cucina tradizionale ed il serio rischio di abbandono della coltura è stata riconosciuta dalla fondazione Slow Food per la biodiversità tra i “presidi” ed in più occasioni si è ritrovata presente nella vetrina internazionale del Salone del Gusto di Torino.

La fava larga di Leonforte, come anche indica il nome, è una particolare leguminose che si caratterizza per le elevate dimensioni del seme (risulta essere la fava dimensionalmente più grande d’Italia); tra le altre caratteristiche di pregio che fanno apprezzare il prodotto da moltissimi estimatori ed affermati chef si evidenziano: la facile cottura (la fava e “cucivuli”); la scarsa farinosità (che la rende particolarmente gustosa e facilmente digeribile); l’elevato contenuto proteico, vitaminico e di sali minerali.

Come per altre leguminose aziendali, derivanti da antichi ecotipi locali, per nulla interessati dal miglioramento genetico, le produzioni non risultano stabili (a volte sono anche molto basse), si caratterizza per l’impossibilità di meccanizzare le varie tecniche colturali (semina, sarchiatura, mietitura e trebbiatura), le stesse, come nel passato, vengono ancora oggi eseguite manualmente; infatti dopo la semina, effettuata tra fine novembre inizio di dicembre, a postarelle (“zotte”) e l’emergenza delle giovani piantine, si eseguono tutta una serie di rincalzature e scerbature manuali (al fine di favorire l’accestimento della pianta ed eliminare le erbe infestanti); in genere, nella seconda quindicina del mese di maggio si iniziano le operazioni di mietitura (a macchia di leopardo, tagliando con la falce solo le piante mature che presentano i baccelli rivolti verso il basso per la perdita del naturale turgore), le piante così tagliate, fatte essiccare al sole in piccoli covoni, vengono trasportate nell’aia dove si esegue la trebbiatura e la separazione, con la forza dell’uomo e l’energia del vento, della paglia dal prodotto.

Le fave così ottenute, dopo selezione manuale (eliminazione dei semi difettosi) è pronta per le tavole dei consumatori. La fava larga di Leonforte o “fava turca” come localmente viene anche indicata, ha rappresentato per molti secoli la “carne dei poveri”; per le popolazioni locali, il consumo di questo legume (che come prodotto secco risulta di facile e lunga conservazione) assieme a quello dei cereali e derivati (frumento duro) ha rappresentato la base della dieta giornaliera delle classi meno abbienti (l’elevato contenuto proteico ed il particolare profilo amnoacidico delle fave completandosi con quello dei cereali, sostituiva le proteine nobili – di alto valore biologico – dei prodotti di origine animale). L’elevata richiesta di manodopera per l’effettuazione delle varie pratiche colturali e gli elevati costi della stessa, ha portato, negli anni, la coltura ad attraversare un lento e continuo declino fino ad essere presente nel territorio solo per poche decine di ettari.

http://www.leonforteagricola.it/index.php/inostriprodotti/fava-larga-di-leonforte

 

 

LA SULLA

è una pianta foraggiera ottima fissatrice di azoto, utilizzata per questo scopo da diversi secoli. È particolarmente resistente alla siccità, ma non al freddo, infatti muore a temperature di 6-8 °C sotto lo zero. Quanto al terreno si adatta meglio di qualsiasi altra leguminose alle argille calcaree o sodiche, fortemente colloidali e instabili, che col suo grosso e potente fittone, che svolge un'ottima attività regolatrice, riesce a bonificare in maniera eccellente, rendendole atte ad ospitare altre colture più esigenti: è perciò pianta preziosissima per migliorare, stabilizzare e ridurre l'erosione, le argille anomale e compatte dei calanchi e delle crete. Inoltre, come per molte altre leguminose, i resti della sulla sono particolarmente adatti a migliorare la tessitura del suolo e la sua fertilizzazione, specialmente per quanto riguarda l'azoto.

Essendo un'ottima coltura miglioratrice, si inserisce tra gli avvicendamenti di due colture cerealicole, come grano e orzo.

La semina di questa leguminosa in passato di solito si faceva in bulatura, in autunno con 80–100 kg/ha di seme con guscio, o in primavera con 20–25 kg/ha di seme nudo. Attualmente una tecnica d'impianto è quella di seminare, a fine estate sulle stoppie del frumento, seme nudo. Alle prime piogge la sulla nasce, cresce lentamente durante l'autunno e l'inverno e dà la sua produzione al 1° taglio, in aprile-maggio. Gli eventuali ricacci verdi, sempre assai modesti, possono essere pascolati dal bestiame prima di lavorare il terreno per il successivo frumento.

 

Campo di sulla a Nicosia con l'Etna sullo sfondo (foto mimmo rapisarda)

 

Attualmente vi sono quattro varietà iscritte al registro nazionale del seme: "Grimaldi", "Sparacia", "Bellante" e "S. Omero". Nei Paesi in cui la specie è stata introdotta di recente sono stati avviati programmi di miglioramento genetico che hanno già condotto alla costituzione di nuove varietà come ad esempio la "Necton" in Nuova Zelanda.

Miele di sulla

La pianta è considerata anche ottima mellifera, così che il miele di sulla è fra i più apprezzati e conosciuti, anche se le aree di produzione si stanno riducendo ad aree meridionali mentre fino a non molto tempo fa l'Appennino romagnolo era fra i maggiori luoghi di produzione[senza fonte]. Il miele oggi si produce quasi esclusivamente nelle zone collinari e montane di Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria e Sicilia. Il colore del miele di sulla va da quasi bianco a giallo paglierino quando è liquido se invece è cristallizzato il colore è da bianco cera a beige. Cristallizza da solo alcuni mesi dopo il raccolto formando una massa compatta, pastosa con granuli fini. L'odore è molto tenue, floreale, leggermente di fieno e il sapore è dolce, leggermente acido. Contiene fruttosio di alta qualità e grandi quantità di oligoelementi (magnesio, rame, zinco, ferro, manganese). In melissopalinologia, la presenza di polline di Hedysarum viene considerata come indice di provenienza italiana del miele. Fino ad alcuni anni fa, i mieli uniflorali di Sulla venivano prodotti abbondantemente dall'Appennino romagnolo alla Sicilia.

La sulla è una pianta edule ed è usata anche in erboristeria per le note proprietà astringenti, vitaminizzanti e contro il colesterolo. Per l'alto valore proteico e il contenuto di tannini viene utilizzata per ridurre le infezioni gastro-intestinali degli animali al pascolo come i bovini o il pollame. In erboristeria è usata in preparati astringenti e come ipocolesterolemizzante per via interna.

In cucina vengono usate foglie e fiori per insalate crude miste, che hanno proprietà nutrienti, per preparare flan, frittate e zuppe varie. Rappresenta una delle foraggere più importanti per le regioni del Mediterraneo e tra le leguminose si contraddistingue per le sue elevate qualità alimentari. Nota è la sua efficacia di ridurre le infezioni gastro-intestinali negli ovini, grazie al contenuto concentrato di tannini ed all'elevato valore proteico, dimostrato da esperimenti effettuati in Nuova Zelanda.

Al di fuori del territorio italiano è nota la produzione di Sulla solo nel Nord Africa. Interessante è sapere che, tutte le leguminose foraggere, hanno una grande capacità di azotofissazione nei terreni e per questo possono rappresentare una interessante alternativa colturale per la conversione dei terreni da destinarsi anche alle produzioni biologiche.

fonte Wikipedia

 

ortaggi da frutto: cetriolo, carosello, zucchina, zucca, peperone, melanzana, fagiolino, pomodoro;

 

 

 

 

ortaggi da bulbo: cipolla, aglio, scalogno, porro, cipollotto.

 

 

AGLIO ROSSO DI NUBIA

 

L'aglio siciliano è tutto ottimo, particolare quello selvatico dell'Etna presso Randazzo o Trecastagni e soprattutto quello dei Nebrodi. 

Ma l'aglio siciliano per eccellenza è a Nubia, piccola frazione di Paceco (Trapani). Da sempre fonda la sua economia sulle saline e sulla coltivazione dell’aglio rosso, tanto da far acquisire a Nubia la denominazione dialettale di “u paisi di l’agghi” cioè il paese dell’aglio.

Tale coltivazione viene ancora oggi praticata con metodi tradizionali che si sono perpetuati nel tempo che vanno dall’attenta selezione dei bulbilli, alla tecnica di coltivazione rispettosa dell’ambiente, all’impianto e raccolta manuale fino alla fase di asciugatura e intrecciatura, sempre rigorosamente manuale.

Un tempo le trizze di aglio erano composte anche di centinaia di teste, erano lunghissime, e si tenevano appese nelle abitazioni per attingerne l’aglio necessario alla preparazione dei cibi.

L’aglio si raccoglie nei mesi di maggio e di giugno, si lascia essiccare e si consuma nell'arco di tutto l'anno.

Area di produzione Comuni di Paceco, Trapani, Erice,Val Elice e Palizzolo.

 

 

La Festa di Sant’Alfio a Trecastagni

Alle ore 9:00 del 10 Maggio al Santuario inizia la messa, dove successivamente si svolge la “Svelata dei Santi” della cappella, contenente le statue dei tre Santi.

Durante la giornata si svolge anche la sfilata dei tipici Carretti Siciliani, riccamente decorati e seguiti da suonatori in costume. Ogni carretto siciliano trasporta una piccola orchestra con gli strumenti della tradizione locale.

Alle ore 13:00 inizia la Processione con le statue dei Santi, che escono dal Santuario per benedire il paese. La Festa di Sant’Alfio si conclude la sera tardi, quando si muove la tradizionale “Calata de ‘mbriachi“. Ai fedeli che hanno celebrato il santo, bevendo e brindando con dell’ottimo vino locale, come segno di partecipazione alla festa, gli viene donato una cresta d’aglio, simbolo di buona salute come vuole l’antica tradizione.

http://www.mondosicilia.it/eventi/festa-sant-alfio-processione-dei-nuri-trecastagni-ct

 

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CIPOLLA ROSSA DI PARTANNA

 Rara e delicata, la cipolla di Partanna venduta un anno prima del raccolto

PARTANNA. Prove di microfinanza rurale per la  «Cipudda partannisa», una varietà di cipolla del territorio di Partanna, comune rurale della valle del Belice in provincia di Trapani, così rara e rinomata da essere di fatto tutta prevenduta di raccolto in raccolto.

Si conserva per poco tempo, è delicata, poco resistente agli urti e quindi a trasporti a 1000 chilometri. È dunque raro trovarla sul mercato perchè i buongustai si impegnano a comprare l'intera produzione di questa cipolla rossa, un prodotto di nicchia - inserita fra le biodiversità di pregio da Slow Food - perchè cresce solo nei territori di Partanna, grazie al terreno sabbioso e la ricchezza d'acqua che lo caratterizza, e qui viene anche trasformata in crema oppure in confettura.

Per la crema spalmabile, prodotto non dolce, la cipolla è cotta in padella con vino, uva passa, capperi e sale. Per la confettura, la cipolla subisce una prima macerazione in vino e foglie di alloro dopo essere stata tagliata a fette. Si prosegue tradizionalmente con la cottura in grandi pentole aggiungendo zucchero.Risultati immagini per cipolla partanna sagra

La «Cipudda partannisa» può pesare anche un chilo, e ha sempre notevoli dimensioni. È nota per il sapore delicato tanto da poterla utilizzare in insalate saporite che si possono fare con pomodori, olive, origano, ma anche per i numerosi altri modi in cui si può mangiare, come accompagnamento in agrodolce in piatti a base di pesce, favolosa con tonno e menta, o un piatto di pasta con cipolle, pancetta e pecorino e altro ancora. E si differenzia dalle altre cipolle perchè è più piatta, rossa e carnosa e di sapore molto dolce.

«L'estate, al momento della raccolta, è il momento migliore per gustarla» ricorda Cristoforo Malerba dell'Azienda Agricola Cri.Sma che la produce al naturale, senza apporto di prodotti chimici. Per assaporare questa tipicità il 23 e 24 luglio, nella cittadina che custodisce il monumentale Castello di Grifeo, si terrà una sagra che permette di esplorare l'estrema versatilità in cucina di questa tipicità sicula, portata a Expo tra i tesori della biodiversità agroalimentare dell'isola.

http://trapani.gds.it/2016/07/01/rara-e-delicata-la-cipolla-di-partanna-venduta-un-anno-prima-del-raccolto_533418/

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PESCA TABACCHIERA

 

La pesca tabacchiera è chiamata così per via della sua caratteristica forma appiattita ed è una varietà di pesca tipica della Sicilia. E’ molto apprezzata per la sua polpa dolce e morbida e per il suo profumo molto intenso. A lungo è stata di produzione piuttosto limitata, anche perchè la sua eccessiva morbidezza la rendeva praticamente intrasportabile.
Oggi la sua disponibilità sui mercati è maggiore e ciò è dovuto anche ad una serie di incroci che il frutto ha subito, iniziati una quarantina di anni fa, per migliorarne la commercializzazione.
In questo modo si è ottenuta la pesca Ufo, con polpa consistente ed un sapore dolce che si ha anche quando il frutto non è completamente maturo. Esistono a polpa bianca o gialla ed oggi sono coltivate soprattutto nelle Marche, anche se, vista la grande richiesta, possono anche essere importate dalla Spagna.

Non è sfuggita neanche all’occhio, da sempre molto attento, dei ricercatori di Slow Food, tanto da farne un presidio tutelato e pubblicizzato in giro per il mondo.

 

 

E’ autoctona e la sua coltivazione rispetta i parametri di un’agricoltura che, forse, non esiste più. Nei campi, a cavallo fra le province di Catania e Messina, cresce la pesca “irregolare”: la chiamano tabacchiera perché, appunto, ha tutte le fattezze del contenitore che, in passato, veniva utilizzato per conservarvi il tabacco da fiuto. E’schiacciata e per nulla tondeggiante.

La pesca tabacchiera si sviluppa là dove le temperature sono più rigide, fra le terse e vivide giornate dei centri pedemontani del catanese, da Bronte ad Adrano passando per Biancavilla, e di quelli messinesi della Valle dell’Alcantara come Roccella Valdemone.

Basta aprirla ed annusarne la polpa per comprenderne l’atipicità. All’interno, infatti, è bianca come le vette invernali di quel vulcano che sovrasta molti dei campi di produzione. Solo quella terra, infatti, e le rigide temperature ne possono assicurare la crescita: e, poi, il mondo.
Questa “atipica” è conosciuta in diverse aree del globo, trasportando con sé la tradizione di una vita, fatti di campi e lavoro.

Perché, per farla nascere e crescere, è necessaria l’attitudine al sacrificio, al lavoro che sembra non finire mai. Drenare la terra e cospargerla, costantemente, di acqua: solo in questo modo, la pesca tabacchiera può abbandonare quelle terse e vivide giornate e farsi mondo.

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FRAGOLA

 

Per fragola si intendono i frutti (in realtà si tratta di un frutto aggregato o falso frutto) delle piante del genere Fragaria a cui appartengono molte specie differenti.

Comunemente con questo termine si intende la parte edule (commestibile) della pianta: anche se le fragole sono considerate dei frutti dal punto di vista nutrizionale, non lo sono dal punto di vista botanico: i frutti veri e propri sono i cosiddetti acheni ossia i semini gialli che si vedono sulla superficie della fragola. La fragola viene considerata come un frutto aggregato perché non è altro che il ricettacolo ingrossato di un'infiorescenza, posizionata di norma su un apposito stelo.

La pianta, al di fuori del sistema riproduttivo, ha sistemi di moltiplicazione non sessuale, come lo stolone, ramificazione laterale radicante per mezzo della quale può produrre nuovi cespi che sono di fatto cloni dello stesso individuo vegetale. Le fragole oggi comunemente coltivate sono ibridi derivanti dall'incrocio tra varietà europee e varietà americane.

Dotate di un buon contenuto calorico a causa dell'elevato tenore zuccherino, le fragole rappresentano una eccellente fonte di vitamina C e di flavonoidi.[2][3][4] Della famiglia dei flavonoidi fanno parte gli antociani, i quali sembrerebbero essere responsabili delle potenziali caratteristiche anti-infiammatorie delle fragole.

 

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FRAGOLINA DI RIBERA E SCIACCA

Le fragoline di Ribera, un gioiello che non esce dalla Sicilia

Una perla in 18 chilometri. Questa è la distanza che separa Ribera da Sciacca, i due comuni in cui nel mese di maggio si raccoglie la fragolina.

Chi passa per quelle strade, dove piccoli produttori la vendono nei camioncini, può comprarne un cestino (a 9 euro) o anche un chilo (a 20), ma la mitica fragolina spontanea non esce dalla Sicilia.

Al massimo si può trovare a Palermo, dove già approda con fatica. Qualche gelateria la lavora o la mette in freezer per tenere delle scorte per gelato e granite. Perché la fragolina appena raccolta, molto aromatica e profumata, ha vita breve, deve essere consumata al massimo entro due giorni.

È questo il vero frutto della passione. Un gioiello che fa spaccare la schiena a chi va a raccoglierla per un lavoro che non dura più di 60 giorni e che in questa stagione durerà anche meno, forse fino al 20 maggio.. “La fragolina viene uccisa dallo scirocco e ha bisogno di tanta acqua, anche il troppo caldo non fa bene, la vendemmia in confronto è uno scherzo, parliamo di un lavoro molto faticoso, un massacro, perché non se ne raccolgono più di 25 chili al giorno”, spiega Nino Tornambé, agricoltore e socio dell’azienda di Ribera Scyavuru, 10 dipendenti, ma già leader nel trasformato e nelle marmellate speciali, prodotte in tanti gusti e anche con la fragolina di Sciacca e Ribera che costa più del doppio (circa 9 euro) di una normale confettura.

“Il prodotto è limitato, a Ribera se ne raccolgono circa 20 quintali, a Sciacca un po’ di più”.

Questo capriccio di madre natura ha un sapore fresco, acidulo e frizzantino, diverso dalla fragola normale e anche dalla classica fragolina di bosco. Pochissimi produttori la trasformano in marmellata, è più facile che la creino, a parte Scyavuru, le nonne, le mamme o qualche piccolissimo artigiano. Ma la vendita deve essere autorizzata. Per questo quattro produttori, tre di Sciacca e uno di Burgio, hanno creato il presidio Slow Food, in collaborazione con l’Università di Palermo. A Ribera nessuno ha ancora aderito. “Il lavoro di commercializzazione è lento”.

La pianta è la stessa è il prodotto assolutamente uguale e di qualità. “Il nostro desiderio è riuscire a farla arrivare a Milano, con Eataly abbiamo avviato un discorso, ma dovremmo farla arrivare in aeroporto e consegnarla immediatamente, vogliamo provarci. Qualche anno fa tentammo un esperimento con la gelateria Grom, ma non andò bene perché le quantità richieste erano eccessive e non si riusciva ad avere particolare soddisfazione. Loro proposero la fragolina di Sciacca e Ribera come gusto del mese, ma poi non si andò avanti”, spiegano Rosario Tortorici, responsabile commerciale di Scyavuru, e Nino Tornambè, che a Cibus hanno uno stand con tutte le perle dell’azienda: “Produciamo olio, arance, frutta, anche la ciliegia che è un altro nostro fiore all’occhiello, come l’albicocca. Lavoriamo la marmellata con semi di carruba e succo di limone”.

L’unico modo per gustare non solo in Sicilia questo frutto spontaneo che cresce ai piedi di alberi di limoni e  pesche e arance e che si sviluppa su un massimo di 15 ettari. “Ormai siamo più famosi per le arance di Ribera che per le fragoline”, spiega il sindaco di Ribera (20 mila abitanti e nel passato una squadra in A1 femminile di basket) Carmelo Pace. “Con l’arancia siamo gli unici in Europa ad avere la Dop ed esportiamo dappertutto, pure tanto all’estero e sviluppiamo la produzione col marchio arancia di Ribera in 14 comuni (6 mila ettari). La fragolina è un discorso molto complesso perché è un lavoro massacrante e la durata è brevissima. Il fatto che entro due giorni vada consumata rende davvero difficile l’esportazione. Bisogna accontentarsi di goderla in una confettura”.

Francesco Velluzzi

http://gazzagolosa.gazzetta.it/2016/05/07/fragoline-di-riber/?refresh_ce-cp

 

 

 

I prodotti della terra, la posizione geografica, il clima, fanno sì che Maletto punti le sue carte sullo sviluppo del turismo e, in particolare, dell'agriturismo. La campagna è ricca di antichi casali che racchiudono parte della storia di questo antico paese etneo. La produzione delle fragole ha reso Maletto famosa nel mondo. Grazie all'arte dei fragolicoltori e alla particolare posizione territoriale, questo frutto possiede delle proprietà (profumo, sapore e colore) che lo rendono unico. La coltivazione è stata introdotta negli anni '50. La scoperta di acque sotterranee nella zona a valle dell'abitato e la presenza di numerosi pozzi, hanno permesso la coltivazione della cosiddetta "fragolina", utilizzata principalmente nell'industria dolciaria. La piantina di fragola, che nasce spontaneamente nei boschi, viene trapiantata a pieno campo, senza altri procedimenti artificiali di maturazione che ne possano alterare le caratteristiche organolettiche. Ciò conferisce alla fragola di Maletto una straordinaria squisitezza e fragranza. Oggi questo prodotto è presente nei mercati ortofrutticoli italiani ed esteri, ed è molto ricercato. Gustare una fragola di Maletto significa fare il pieno di un profumo e di un gusto che solo queste terre riescono ad infondere al rosso e polposo frutto.
Ogni anno, nel mese di giugno, Maletto diventa la città delle fragole, richiamando centinaia di turisti e di visitatori.

 Nel corso della Sagra, le maestranze locali realizzano una gigantesca torta alla fragola di oltre mille chili, che viene offerta a tutti i partecipanti Durante la manifestazione vengono esposti in appositi stand le fragole in piantine e in cassette e sono offerte come assaggio gratuito ai visitatori. Il frutto matura tra i primi di maggio e la fine di giugno e nell'ambito della sagra sono esposti diversi tipi di fragole: la fragolina di pasticceria, la fragola "rifiorente", che matura da gennaio a dicembre, e la fragola tradizionale, dal sapore più dolce e dall'odore più profumato. La sagra dura tre giorni e si svolge di solito dal venerdì alla domenica.

 

 

 

 

NESPOLA DI TRABIA

 

Trabia (‘A Trabbìa in siciliano) è un comune della provincia di Palermo. Oltre che per gli spaghetti, che stando a dei documenti medievali furono inventati proprio qui e si chiamavano “Itriya” è conosciuta anche per le nespole. Si tratta di nespole particolarmente grosse a tal punto da essere chiamate anche “nespolone”. L’albero di nespole arrivò per la prima volta in Europa alla fine del Settecento importato dall’Oriente.

nizialmente veniva utilizzato solo a scopo ornamentale, dal momento che le sue foglie restano sempre verdi, a partire dal 1831 vennero coltivate a scopo agricolo. Le nespole sono tra i primi frutti primaverili, la loro maturazione avviene tra marzo e giugno.

A Trabia, ogni anno, il 18 e il 19 maggio si svolge la Sagra delle Nespole e degli Spaghetti, una kermesse arricchita anche da manifestazioni musicali, culturali e ludiche. Mangiare questi frutti apporta benefici alla salute. Le nespole sono composte prevalentemente da acqua, contengono vitamina A, vitamine del gruppo B, C e sali minerali, possiedono proprietà astringenti e diuretiche, sono utili per la regolarizzazione delle funzioni intestinali e apportano pochissime calorie. Possono essere utilizzate nella preparazione di deliziose marmellate, nella macedonia, o nella preparazione di dolci e gelati.

I noccioli ovviamente non vengono consumati ma possono essere utilizzati per la preparazione di un liquore chiamato “Nespolino”. Questo è un liquore dal colore ambrato e dal gusto che ricorda un po’ quello dell’amaretto.

La preparazione del Nespolino richiede circa 80 giorni di attesa prima di poter essere gustato. Le nespole di Trabia sono un prodotto tradizionale siciliano inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf).

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Ricetta del Nespolino

200 g di noccioli di nespole - 5 dl di alcol a 90° o 95° - 6 dl di acqua - 500 g di zucchero

Preparazione

Prendete i noccioli dalle nespole, sciacquateli e fateli essiccare per qualche giorno.

Una volta essiccati i noccioli tritateli in maniera grossolana, poi uniteli allo zucchero, all’alcol, all’acqua e ponete tutto in un barattolo dalla chiusura ermetica.

Lasciate il tutto in infusione per 40 giorni in un luogo fresco e buio e agitate il barattolo almeno due volte al giorno.

Trascorso il tempo, filtrate il composto utilizzando prima un colino a maglie strette e poi dei filtri di carta ad esempio quelli delle macchine per il caffè americano.

Quando il liquore sarà pronto potrete imbottigliarlo.

Poi lasciate le bottiglie al buio e al fresco per altri 40 giorni.

Trascorso questo ulteriore riposo il Nespolino sarà pronto per essere assaporato.

http://blog.cookaround.com/taorminamagazine/nespole-di-trabia-una-grande-delizia-di-sicilia/

 

 

 

 

ALBICOCCO DI SCILLATO

 

L’albicocco di Scillato è l’albero più prezioso e pregiato di Sicilia. Si contende il primato della produzione con  il nespolo, ma lui si chiama però albicocco, e non albicocco qualunque ma di Scillato,  zona delle Madonie ricadente nella provincia di Palermo.

Dal punto di vista produttivo, l’albicocco di Scillato, è davvero unico, perché produce frutti, le omonime albicocche, estremamente resistenti agli attacchi di  insetti e parassiti. Le albicocche comuni, infatti, soffrono degli attacchi della mosca dell’albicocco, insetto fitopatogeno in grado di danneggiare quintali e tonnellate di colture.

L’albicocco di Scillato invece no: non si lascia intimorire dagli attacchi della mosca e quando questa, in primavera, inizia ad affilare le sue armi, lui, l’albero, sembra far finta di nulla producendo frutti e, per dirla alla siciliana, “immacolati”. Chi guarda le produzioni dell’albicocco di Scillato ha quasi sempre voglia di dire: “Beddamatri”, ovvero di pronunciare tipiche esclamazioni siciliane per descrivere la salubrità delle albicocche. L’albero che le produce è, come già detto, l’albicocco di Scillato, arbusto appartenente alla famiglia delle Rosaceae.

La sua coltivazione venne introdotta a Palermo  intorno agli anni ‘70. La produzione dunque è relativamente recente, perché gli anni in questione si riferiscono al XX secolo, cioè al Novecento. L’albero possiede il merito di produrre frutti sani e resistenti alle malattie, ciò consente di produrre enormi quantità di albicocche senza ricorrere all’uso di pesticidi. Le coltivazioni dell’albicocco di Scillato sono dunque biologiche, cioè senza utilizzo di concimi o pesticidi chimici.

I frutti cominciano a maturare da marzo a giugno. A inizio estate le albicocche di Scillato appaiono in tutta la loro sfolgorante bellezza. Piccole, tonde al punto giusto, con piccole valve asimmetriche che donano loro una forma ovale, le albicocche di Scillato presentano una buccia giallo-arancio, con screziature rosse nella parte esposta al sole.

La polpa è sempre giallo-arancio, dolce e zuccherina al pari della buccia. Le albicocche di Scillato si possono consumare fresche o all’interno di molte ricette e dolci tipici siciliani.

Per le sue proprietà, il mitico albero dell’albicocco di Scillato è stato inserito dal Ministero delle Politiche agricole nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT).

http://www.ricettesiciliane.com/prodotti-tipici-siciliani/albicocco-di-scillato/

 

 

 

 

BARLIA o FIOR DI LEGNA (Pizzingurdu)

 

Famiglia: Orchidaceae - Limodorum abortivum (L.) Sw.

Basionimo: Orchis abortiva Sinonimo: Serapias abortiva; Epipactis abortiva

Etimologia: il nome del genere Limodorum ha origine dalla voce greca leimódoron, che significa “dono del prato”. L’epiteto specifico abortivum deriva dal latino abortus, aborto nel senso di “male sviluppata” per le foglie ridottissime e per i boccioli fiorali che spesso appassiscono prima dell’antesi.

Descrizione: pianta alta 30-80 cm; caule eretto e robusto, di colore verdastro-violaceo; foglie cauline ridotte a squame violacee guainanti; brattee lanceolate, più lunghe dell’ovario; infiorescenza a spiga lassa, allungata con fiori piuttosto grandi di colore bionco-violaceo; sepali laterali lanceolato-acuti, opposti, il mediano più largo dei laterali e diretto in avanti, petali più corti e stretti, labello più corto, grande ricurvo a forma di sella, con ipochilo ristretto alla base ed epichilo slargato all’estremità, con margini rialzati ed ondulati, striato di viola; sperone cilindrico, sottile, inclinato verso il basso.

Habitat: boschi, cespuglietti, luoghi ombrosi e caldi, da 0 a 1800 m.

Periodo fioritura: Aprile – Luglio

http://www.meditflora.com/orchidee/limodorum/l_abo/l_abo.htm

 

 

MALVA (Marua)

 

La malva, malva sylvestris, è una pianta erbacea perenne e spontanea che cresce nei luoghi incolti e nei boschi. Può avere forma di cespuglio eretto o prostrato. Presenta un fusto (60-80 cm) dritto, peloso e legnoso alla base, dove ha foglie grandi che si rimpiccioliscono verso la cima. I fiori, di un colore che va dal violetto all'azzurro intenso con striature più scure,  si raccolgono all’inizio della fioritura, mentre i getti e le foglie più tenere da maggio a settembre, meglio al mattino presto. Può essere essiccata in luogo ventilato e ombroso. Viene anche coltivata, come erba aromatica e verdura, ma più spesso è presente spontaneamente.

Le MUCILLAGINI, è una delle piante più ricche, possiedono proprietà sfiammanti  ed emollienti. Contiene potassio, tannini, antociani (malvina), ossalato di calcio, vitamine e pectina. Viene utilizzata come LASSATIVO, ANTIFLOGISTICO, EMOLLIENTE,  è OFTALMICA e BECHICA (calma la tosse).

Come ALIMENTO, si impiegano i germogli, le foglioline e i fiori freschi (nelle insalate ad esempio). Le foglie, crude, sole o aggiunte ad altre verdure, si utilizzano per insaporire risotti e minestre, con un gusto molto particolare. Le foglie vanno liberate dalla costolatura e tritate finemente e possono essere consumate sia crude che cotte in caso di stitichezza.

RISOTTO COI  FIORI DI MALVA. Preparate il vostro risottino con olio, cipolla e sfumate col vino bianco, come siete soliti fare. Cinque minuti prima del termine della cottura, aggiungete una manciata di fiori di malva (vale per 2/3 persone). Anche così si esplica l’azione lenitiva sull’intestino!

La TISANA si prepara versando 150 ml di acqua bollente su un cucchiaio (3 g) di foglie o fiori frantumati, lasciate riposare per 10 minuti, filtrate e bevete. Utile in caso di tosse e raffreddore, sfiamma le mucose e aiuta ad espettorare. E’ utile in caso di stitichezza, infiammazioni intestinali e dello stomaco. Le mucillagini creano un film protettivo sulla mucosa gastro-intestinale e,con gli antociani presenti, svolgono un’azione sfiammante.

Le mucillagini vengono rilasciate anche a freddo ed è  indicato come il metodo migliore per l'estrazioni delle mucillagini. Un cucchiaio di fiori e foglie essiccate in un bicchiere di acqua a temperatura ambiente, da lasciar riposare tutta la notte e bevuta al mattino a digiuno, aiuta l’evacuazione in caso di intestino pigro.

 DECOTTO PER USO ESTERNO. Mettere 10 g di foglie di malva in 200 ml di acqua fredda e portare a ebollizione. Far bollire per 15 minuti a fuoco minimo e filtrare.

Raffreddato, il decotto, può essere applicato sugli occhi, con un batuffolo di cotone imbevuto, per le infiammazioni degli occhi. I lavaggi col decotto leniscono anche le infiammazioni vaginali.

 FOGLIE FRESCHE. Rimedio della tradizione:  in caso di mal di denti e infiammazioni delle gengive si applicano le foglie direttamente sulla parte.

 MUCILLAGINE DI MALVA: si acquista pronta nelle erboristerie e si utilizza esternamente, sulla pelle in caso di scottature, irritazione da sfregamento, eritemi da pannolino.

 CONSERVAZIONE: sia le foglie che i fiori vanno essiccati rapidamente all'ombra e conservati in recipienti chiusi al riparo da luce e aria.

 POMATA DI BELLEZZA PER LE MANI. Sfogliando e leggendo qua e là, mi sono imbattuta in questa crema/pomata alla malva. Di particolare ha che il componente principale è il burro.

Mettere 50 g di foglie di malva in 200 ml di latte scremato in un pentolino e far bollire per 5 minuti. A parte, sciogliere molto lentamente, 100 g di burro a bagnomaria e unire il decotto di malva filtrato. Mescolare fino ad ottenere un composto omogeneo, lasciate rapprendere a temperatura ambiente e trasferite in un vasetto a chiusura ermetica, da conservare in frigorifero. Spalmate la crema sulle mani tutti i giorni per 15 giorni, magari di sera, strofinando delicatamente, dopo 2/3 settimane avrete delle mani morbide e vellutate. Io sto ancora raccogliendo le foglie ma ragguagliatemi sui vostri risultati!

  AVVERTENZE. La malva non è una pianta tossica, ma se assumete farmaci, come antidiabetici, può ridurne l'effetto, chiedete parere al vostro medico.

 Angela Ballarati

http://benessere-natural-mente.blogspot.it/2015/05/malva-proprieta-benefici-risotto-coi.html

 

 

Campagne nelle zone di Adrano, Piana di Catania

 

ASPARAGO SARBAGGIU  (Spariggiu  o pungente)

 

Di questo erbaggio si consumano gli 'asparagi'; cioè i turioni (micci). A tal proposito è bene precisare che il termine 'a sparago' è ambivalente; esso designa sia alcune specie di piante (fra cui quella qui esaminata), sia i turioni, cioè i germogli che emergono dal rizoma sotterraneo. Lo stesso nome indica anche quelli dell’Asparago coltivato dalla tipica forma affusolata con l’apice arrotondato. I turioni dell`Asparago pungente spuntano nel sottobosco a fine inverno e in primavera. Essi differiscono da quelli dell’Asparago coltivato sia perché sono più contorti e più sottili sia perché hanno le squame membranose con la base marcatamente speronata, mentre è ottusa nell`Asparago coltivato. I turioni dell’Asparago pungente sono, inoltre, poco appariscenti, ma la raccolta è facilitata dalla presenza dei voluminosi tralci persistenti che la stessa pianta ha prodotto nell’anno precedente. Il fitto intrico della macchia non crea, in genere, difficoltà nella raccolta.

Uso alimentare

I turioni dell`Asparago pungente si consumano come i turioni dell`Asparago coltivato; essi però hanno un aroma più marcato. Al palato manifestano un sapore amaro che è considerato un pregio. E` anche apprezzata la loro azione diuretica. Si preparano in vari modi: stufati (affogati), cioè cotti in padella con poca acqua; lessati e poi conditi con olio e limone. Sono pure buoni come condimento per la pasta o per i risotti o come ingredienti delle frittate. Queste ultime sono sicuramente quelle più apprezzate e vengono preparate, tradizionalmente, durante le feste pasquali, che di norma cadono quando si ha la massima produzione dei turioni. L`allestimento della `pasta con gli asparagi` (o del riso) richiede alcune accortezze. Occorre, innanzi tutto, separare le tenere cime dei turioni dai rispettivi 'gambi', che sono duri.

Successivamente, in un’opportuna quantità di acqua e in recipiente separato, si sbollentano appena le cime e si cuociono più a lungo i gambi. Indi si soffriggono le cime e nell`acqua in cui sono state sbollentate le cime e cotti i gambi si fa cuocere la pasta. Infine si mescola quest`ultima con le cime, riscaldando un poco (CONSOLI, 1991a).

L`impiego alimentare dell`Asparago pungente è diffuso, compatibilmente con la sua presenza, in tutta Italia, e i suoi turioni, di norma, sono più ricercati di quelli delle altre specie selvatiche ed anche di quella coltivata. In Romagna si mangiano anche crudi nelle insalate miste. In Toscana e in Sardegna si conservano sott`olio (CORSI e PAGNI, 1979b; CAMARDA e VALSECCHI, 1990). In varie regioni centrosettentrionali, dove l`Asparago pungente è raro, le Amministrazioni locali hanno emanato leggi per regolarne la raccolta o, in alcuni casi, per designarla “specie protetta” (CHIEJ-GAMACCHIO, 1990). L`uso culinario dei turioni è praticato anche all`estero, specialmente nei Paesi mediterranei, dove, come s`è detto, l`Asparago pungente è abbondantemente presente.

http://www.dipbot.unict.it/alimurgiche/scheda.aspx?i=3

 

 

Death Valley? No. Le dune di Biancavilla.

FINOCCHIO MARINO (Finocchiu marinu)

 

Il finocchio marino (Crithmum maritimum L.) è una pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle ombrellifere originaria delle regioni europee mediterranee. È l'unica specie del genere Crithmum.

È una pianta alofita, ossia vive vicino al mare, spesso anche nelle spaccature della roccia; è rizomatosa, perenne, con fusti molto robusti e ramificati, lignificati alla base, alti da 30 a 60 cm.

Le foglie, composte, sono formate da piccole foglioline lanceolate, carnose, glauche, lunghe 1,5-2,0 cm e inserite su un lungo picciolo.

I fiori sono riuniti in ombrelle molto piccole, di colore dal bianco al giallastro;

I frutti sono di forma ovoidale, formati da due acheni. Tutta la pianta è fortemente e piacevolmente aromatica.

È diffuso nelle zone costiere dei paesi dell'Europa meridionale e occidentale, lungo le coste del mar Mediterraneo, in America settentrionale e in Asia centro-occidentale. Cresce sulle scogliere e sui moli.

Alla pianta sono attribuite proprietà terapeutiche; viene usato come vermifugo e per migliorare la funzionalità del fegato.

È una pianta commestibile, si sposa bene con il pesce.

Nella zona di Ancona la pianta è conosciuta con il nome di paccasassi ed è molto apprezzata come contorno per piatti di pesce, per condire la pasta o anche la pizza o la crescia; vengono usate le foglie scottate in acqua ed aceto (o vino) fino a quando non cambiano colore e poi messe sott'olio. I problemi connessi alla raccolta delle piante spontanee, protette dal regolamento del Parco del Conero, si possono facilmente superare coltivando la pianta in vaso o nell'orto.

È tipico del Salento l'uso di conservare sott'aceto le foglie crude ma leggermente appassite del finocchio marino: nella zona viene chiamato salissia. Ottimo è pastellato (acqua e farina) e fritto. Vanno utilizzate le sole foglioline più tenere, eliminando il sostegno portante. La frittella ha un sapore che ricorda il gambo di carciofo fritto.

 (wikipedia)

 

 

 

 

QUANDO SI RACCOGLIE E COME ESSICCARE L’ORIGANO?

L’Origano si può raccogliere tutto l’anno ma per quello destinato alla conservazione è consigliato raccogliere le foglie e i fiori tra giugno e agosto, prima dell’apertura dei fiori. Sembra che le piante di origano a fiore bianco siano maggiormente aromatiche rispetto a quelle con fiore roseo o violaceo. L’aroma dell’origano si intensifica con l’essiccazione. Le foglie vanno essiccate al caldo e all’ombra; le sommità fiorite, raccolte in mazzetti, si essiccano a testa in giù in luoghi ombrosi e ventilati. Una volta essiccate, si “spelano” i fusti (a mano o con l’aiuto di un mortaio), le foglioline sminuzzate e le sommità fiorite. L’operazione deve essere effettuata il più rapidamente possibile in quanto le sostanze aromatiche volatili si disperdono facilmente, compromettendo la qualità.

L’origano si conserva preferibilmente in barattoli di vetro; in alternativa si può conservare in un sacchetto di carta o in un recipiente chiuso ermeticamente.

 

PROPRIETA’ MEDICINALI. L’origano è una pianta apprezzata sin dall’antichità per le qualità terapeutiche delle sommità fiorite e delle foglie. Possiede proprietà antalgiche ed è utile come antisettico, atispasmodico, emmenagogo, espettorante, stomachico, tonico e blandamente disinfettante. Regola le mestruazioni, è utile contro aerofagia, diarrea, torcicollo, nevralgie, inappetenza e dolori muscolari. Stimola la secrezione di succhi gastrici e allevia il mal di denti. Aiuta a combattere cattiva digestione, mal di gola, reumatismi e tosse. Ha anche un’azione stimolante sull’apparato nervoso e, per uso esterno, si applica sulla parte da trattare un cuscinetto delle sommità fiorite, appena colte e riscaldate per brevissimo tempo, per guarire dolori reumatici e muscolari. Contiene: tannino, fenoli, carvacolo, timolo, alfa-terpinene, limonene, borneolo, gernaile, cariofillene; flavonoidi (apigenina), vitamine A e C.

PROPRIETA’ COSMETICHE. Si utilizza in dentifrici e collutori. Con il suo olio essenziale si curano e proteggono le unghie delle mani e dei piedi. Trova inoltre impieghi in prodotti che combattono la cellulite. Un tempo si utilizzava l’origano per tingere la lana di rosso-bruno.

 

 

 

STRIGOLO (Cannatedda)

Stridoli, o Strigoli, detti anche Carletti, o Bubbolini, o Tagliatelle della Madonna, sono diffusi un po' in tutta Italia e prima i contadini erano soliti consumarli a tavola come verdura fresca dal sapore, si diceva, simile a quello dei piselli appena colti. 

La caratteristica di queste piante è quella di avere fiori molto profondi, il cui nettare è quindi difficilmente raggiungibile dagli insetti, cosa questa che non facilita affatto.

L’habitat ideale sono i campi incolti, i bordi dei viottoli e i terreni aridi e calcarei. Il loro nome secondo la mitologia greca va attribuito a Silenòs, semidio compagno di Dioniso e padre dei Satiri, per metà uomo e metà cavallo, con ventre rigonfio, in riferimento al calice fiorale della pianta; secondo altri discende da ‘Selene’ (luna), in allusione a quelle specie del genere che aprono i fiori di notte. Questa erba selvatica poco conosciuta è caratteristica per il suo sapore leggermente amarognolo, e si raccoglie principalmente in primavera inoltrata, quando è fiorita, con i caratteristici fiori bianchi o rosa a palloncino. I getti novelli degli stridoli sono una vera e propria leccornia anche per i palati più raffinati. Si usano lessati come componenti delle mesticanze, alle quali conferiscono un tono particolare, ma principalmente vengono sbollentati in acqua, mescolati alle uova sbattute con aggiunta di formaggio pecorino e pepe, quindi fritti sotto forma di polpettine

In Romagna gli Stridoli si possono mangiare crudi in insalata, oppure si usano per insaporire le frittate, le zuppe, i risotti, e le tagliatelle o per aromatizzare il ripieno dei tortelli di ricotta. Con gli strigoli si fa anche il ragù e lo stufato

 

http://www.saperesapori.it/News/tabid/306/articleType/ArticleView/articleId/591/Gli-strigoli.aspx#.WACEOuCLQhc

 

 

 

Boschi di ambiente fluviale e di zone umide

ONTANO BIANCO ONTANO NERO PIOPPO BIANCO PIOPPO NERO SALICE

Alberi da frutta

CILIEGIO BANANO CEDRO PESCO

Ancor prima di diventare il granaio di Roma, la fertile Sicilia conosceva già l’arte di preparare il pane grazie ai colonizzatori greci. Il mito di Cerere, la dea delle messi, colloca proprio in questo suolo la culla della civiltà del grano. Nell’isola lo spessore mitologico è tutt’oggi vivissimo, tanto da manifestarsi nel simbolismo delle forme. Esempi ne sono: il “pane cannarozza” con sembianze di una trachea, dedicato a S.Biagio protettore dei mali della gola, il “pane di S.Lucia” rappresentante degli occhi, le “minne” prodotte per S.Agata, dalla forma di seno femminile, o il pane di San Paolo

Qui, le numerose dominazioni che si sono susseguite hanno lasciato traccia anche sui banconi dei fornai: la varietà di frumento chiamata “tumminia” è riconducibile al “trimeniaios greco”, il soffice “spincione” è collegabile alla “sponghia” (spugna) ellenica, mentre la “giuggiulena”, spesso spolverizzata su filoni e mafalde, rappresenta un retaggio della tradizione araba.

Molti dei pani siciliani sono ricoperti in superficie di semi di sesamo e, per esaltare gli aromi dei cereali che li compongono, la cottura avviene in forno a legna con rami d’ulivo o quercia.

Nell’isola il pane rappresenta anche un prezioso condimento, come il pan grattato tostato, spolverato su mille ricette di pesce, carne e verdure.

 

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Buke : pane spolverato di semi di sesamo molto apprezzato nel capoluogo siciliano. Meglio conosciuto con il nome di “pani ra piana”, in quanto originario della tradizione bianca albanese, importata dai profughi insediatisi in “Piana degli Albanesi” per sfuggire all’invasione ottomana del 1488;

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Cucciddatu: tradizionale della provincia catanese è conosciuto anche con il nome di “pane co’ buco. La sua forma di ciambella, facilmente riscontrabile in altre regioni italiane, discende dal rito latino della “confarratio”, durante il quale il passaggio delle ragazze alla famiglia del marito era sancito offrendo agli sposi una focaccia di farro rotonda con un grosso buco in mezzo; un'altra versione di questo pane è quella dolce con le uova e la frutta di Martorona tipica del periodo pasquale;

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Cucciddatu di carrozza : la produzione di questo tipo di ciambella salata è strettamente legata alle ricorrenze religiose della provincia di Trapani. Dopo la lievitazione vengono formate delle ciambelle del diametro di venti cm, intorno al cui bordo esterno sono effettuati numerosi intagli regolari che donano al pane una forma di sole splendente. A Calatafimi come a Vita i cucciddatu di carrozza sono utilizzati per decorare i carri e gli stendardi processionali;

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Muffoletta : rotonda (diametro quindici cm), molle e spugnosa, deve le sue caratteristiche alla “muddiata” (ammorbidimento) dell’impasto, ottenuto aggiungendo una percentuale d’acqua maggiore rispetto alla preparazione degli altri pani. Diffuso in tutta la regione, questo panino conosce molteplici varianti. All’impasto possono essere incorporati: pepe nero, olio, semi d’anice, finocchio o formaggio;

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Pane a birra : con questo nome si intendono i prodotti ottenuti dalla farina di grano tenero e lievito di birra. Cinque i formati più comuni diffusi in quasi tutta la Sicilia: scalette, mafalde, parigini, pizziati, torciglioni. Pani soffici caratterizzati da crosta dorata, mollica bianca e compatta, a volte arricchiti con semi di sesamo;

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Pane a pasta dura : diffuso soprattutto nei comuni tra Ragusa e Siracusa, dove la lavorazione fatta con semola di grano dura e una bassa percentuale d’acqua, lo rende meno attaccabile dalle muffe e quindi conservabile più a lungo. Preparato in diverse forme, assume vari nomi: “scollo” o “laddu” se a mezzaluna, “pani tunnu” se rotondo, “panuzzu” se rotondo con tre protuberanza, “cuddura” se ad esse, “rugnuni” se a treccia, “cucchia” se allungato;

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Pane tradizionale di Lentini : modellato a forma di esse e cosparso con semi di sesamo in superficie. Nella tradizione, l’aggiunta alla semola di grano duro di una parte di farina “timilia” (grano tardivo coltivato in Sicilia) conferiva a questo pane una più lunga conservabilità;

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Pane di Monreale : si tratta di una specialità della suggestiva cittadina arabo normanna, da tempo uno dei luoghi d’elezione della panificazione siciliana. Al termine della lievitazione vengono formate delle pagnotte e dei filoncini, poi spolverizzati di sesamo e cotti a legna. Il prodotto finito, del peso approssimativo di un kg, presenta una crosta bruna e croccante che custodisce una mollica finemente alveolata;

Pane nero di Castelvetrano: la tradizione che rischia di ...

 

Pane nero di Castelvetrano : pagnotta rotonda di grande pezzatura. Il prodotto finito è contraddistinto da caratteristiche dolci e tostate, di malto e mandorle, affiancate da inconfondibili aromi di olivo. Nel trapanese si usa tagliare le forme a metà e condirle a caldo con pomodori, origano, primosale, acciughe, basilico e olio d’oliva;

 

 

Pane di Salemi : probabilmente uno dei più suggestivi pani rituali italiani, la cui origine pare risalga al 1542. In quell’anno le campagne della zona furono minacciata da uno sciame di cavallette, e allora gli agricoltori rivolsero le proprie preghiere a S.Biagio. In seguito, per lo scampato pericolo, la comunità dedicò al protettore dei piccoli pani di farina di grano duro, chiamati in base alla forma “cuddureddi” (coroncine) o ”cavadduzzi” (cavallucci);

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Pupu cu l’ovu : è tradizione, tanto antica quanto viva in tutta la Sicilia, quella di preparare in occasione delle festività pasquali pani contenenti uova intere. Al termine della lievitazione l’impasto è suddiviso in piccoli pezzi, modellati a forma di uomini, oggetti, piante o animali; la versione più comune riproduce le sembianze di un bambino, ossia di un pupo. Sul pane, prima d’infornare, viene posto un uovo crudo allacciato con una striscia di pasta. In alcune zone dell’isola, l’aggiunta di zucchero o confetti sta trasformando questo pane in un dolce pasquale;

La Sagra della Vastedda cu sammucu a Troina | Date 2019

 

 

 

 

Vastedda di Enna : si caratterizza per la crosta poco croccante e la mollica dall’alveolatura fine e omogenea. Si tratta del pane tradizionalmente prodotto in occasione della Pentecoste. In siciliano il termine “vastedda” indica qualsiasi tipologia casereccia di forma circolare.

 

http://www.taccuinistorici.it/ita/news/moderna/pane/Pani-tradizionali-Sicilia.html

 

 

LA MAFALDA

Questo pane morbido, ma dalla crosta dorata e croccante, è uno dei prodotti da forno della gastronomia palermitana più venduti. Viene realizzato ancora secondo metodi tradizionali, e sembra possa essere di origini arabe, dato l’impiego della ‘giuggiulena’. Questo pane, particolarmente profumato, è infatti caratterizzato da due ingredienti fondamentali: farina di semola e semi di sesamo, che venivano indicati con la parola siculo-araba di ‘giuggiulena’, appunto.

Con questo termine vengono chiamate anche le rocce di arenaria locale; ad esempio quelle che formano la catena dei monti Iblei, per la loro facilità nello sfaldarsi, nel ridursi appunto della forma di piccoli ciottoli, quasi come semi di sesamo.

 La versione più probabile della storia però, afferma che questo pane sia stato in realtà realizzato nell’Ottocento, e che un maestro panificatore catanese l’abbia dedicato, nei primi del Novecento, a Mafalda di Savoia.

I semi di sesamo sono un ingrediente importante della cucina araba, dunque anche di quella di Sicilia; con i semi di sesamo viene infatti realizzata ad esempio la cubbàita, un dolce molto semplice a base di farina 00, farina di mandorle, zucchero, cannella e lievito, il cui impasto viene spesso aromatizzato anche con semi di anice e zafferano, altro ingrediente di origini arabe. Ma l’elemento principale è appunto la giuggiulena, che dà il secondo nome a questo dolce natalizio; tocco finale glielo dà il miele, che viene utilizzato per fissare i semi sulla pasta, che verrà poi fritta in olio ben caldo.

 Allo stesso modo la tahina, cioè la pasta ricavata dai semi di sesamo, viene utilizzata in larga parte da altre Nazioni che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, per realizzare la nota halva; insieme a miele o zucchero, la tahina viene utilizzata nei Balcani per realizzare dolci tipici. Questi semi, oleosi e nutrienti, sono anche gli ingredienti fondamentali dei dolci tipici del Ramadan, la festa islamica che implica un digiuno della durata di un mese, dal tramonto fino all’alba del giorno dopo, come la chebakia, dolce tipico della zona del Marocco.

 Con il nome di Mafalda, viene realizzato a Galatina, nel Salento, che spesso condivide con la Sicilia una storia di tradizioni, anche culinarie, e parte delle origini della lingua, un dolce. Questo dolce però non ha niente a che vedere con la Mafalda palermitana, né con la cubbàita, perché non viene né fritto né posto in forno: è infatti un dolce freddo e dalle origini piuttosto recenti: è stato infatti realizzato negli anni Cinquanta del Novecento, ed è stato inserito nella lista del P.A.T., i prodotti agroalimentari tradizionali d’Italia.

 Il pane palermitano, presenta poi un’altra caratteristica fondamentale: la sua forma. Viene infatti spesso foggiato dando una curiosa forma a S, che dovrebbe formare ‘gli occhi di Santa Lucia’. Allo stesso modo, quando la parte superiore del panetto viene tagliato in due punti prima della cottura, va a formare ‘la Corona’; nei punti incisi infatti, il pane si andrà ad aprire grazie al calore del forno, fino a disporsi con una forma a ventaglio.

Il pane stava anticamente a rappresentare l’abbondanza produttiva; spesso utilizzato come elemento celebrativo di un buon raccolto, è andato a fondersi nel tempo con le tradizioni Cristiane, per cui rappresenta il Corpo di Cristo. Durante le festività che vengono organizzate in occasione di Santa Lucia, ad esempio, è tradizione non mangiare pane né pasta. Ai fedeli, nel giorno della festa del 13 dicembre organizzata in Siracusa, i sacerdoti usano distribuire la cosiddetta cuccìa, un dolce a base di grano cotto e ricotta di pecora, mentre durante le Festività, più pagane, del 17 marzo che commemorano San Patrizio, in molti centri di Sicilia è uso preparare dei ‘grossi altari’, ovvero tavole imbandite, arricchite con ogni tipo di alimento, tra cui anche il noto pane di Ramacca comune in provincia di Catania, conosciuto in tutta Europa per la sua antica, radicata e abbondante attività cerealicola.

 Questo prodotto da forno, che deriva dalla famosa varietà sen. Cappelli, viene realizzato ancora con lievito naturale messo a cuocere in forni in pietra con riscaldamento a legna; anche per questo, Ramacca viene definita la ‘Capitale del Pane’.

Il comune di Monreale invece, in provincia di Palermo, è l’area di produzione del tipico pane dal nome omonimo, inserito, nel 1999, nelle liste dei prodotti agroalimentari tipici (P.A.T.). Questo prodotto da forno, dalla crosta dorata e croccante, viene realizzato quasi esclusivamente a base di semola di grano duro, sale, acqua e sesamo, ed è infatti da realizzarsi ancora secondo i metodi tradizionali, che includono una lievitazione naturale di all’incirca due ore, al termine della quale le forme vengono depositate a riposare in ‘cannistri’ di giunco; la cottura inoltre, dev’essere a legna ad una certa temperatura, che si aggira intorno ai 300-320 °C. Il pane di Monreale, con la sua caratteristica mollica morbida e giallastra, viene spesso lavorato in diverse forme e dimensioni, anch’esse rigorosamente stabilite.

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